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524<br />

L’INDICE <strong>PENALE</strong>, 1/2011<br />

il vagabondaggio in sé e per sé, ma quel particolare vagabondare; quel particolare<br />

rapporto, insomma, tra vagabondaggio e sospetta ‘‘criminalità’’.<br />

Ora, è vero: l’esercente mestieri girovaghi poteva appartenere al milieu<br />

del vagabondo per vocazione, ma del vagabondo estraneo anche ad ogni<br />

tentazione delittuosa, anzi persino creatore di nuove originali forme di occupazione<br />

girovaga. Contestabile perciò, riduttiva doveva apparire subito<br />

l’affermazione che quelle attività, inevitabilmente, vivificassero un fenomeno<br />

socialmente dannoso di parassitismo; sostituto tra l’altro più credibile,<br />

e più leggibile forse, del mero vagabondaggio( 7 ).<br />

L’assunto, poi, sarebbe stato smentito dalla complessità delle condizioni<br />

ambientali, economiche, sociali in cui la decisione all’esercizio di un mestiere<br />

girovago, supplente spesso l’assenza di ogni prospettiva occupazionale, nasceva.<br />

Una crisi economica poteva infatti espellere l’artigiano da una sede<br />

fissa, costringerlo a rendere girovago il suo mestiere: i venditori ambulanti<br />

di merletti, di corredi che migrano da un’area all’altra del mercato ne sono<br />

esempio quanto mai concreto, non solo squisita memoria letteraria.<br />

Diventava insomma necessaria una organizzazione autonoma semplificata<br />

del lavoro, una sua mobilità. Il venditore ambulante aveva cioè bisogno<br />

di contattare più mercati,e quindi di vagabondare; e correre anche<br />

il rischio di cadere in situazioni di illegalità, di sospetta anomalia sociale:<br />

quando appunto l’attività intrapresa, non assimilabile alla tipologia di mestiere<br />

girovago soggetto all’iscrizione nell’apposito registro ex art. 72 l.p.s.,<br />

risultasse assolutamente estranea a regole, a limiti, e garanzie anche, di libertà<br />

per il suo esercizio.<br />

Alla fine, dunque, investito dal sospetto che vi si potessero annidare i<br />

prodromi di una attività delittuosa, e soprattutto di un’attitudine delinquenziale:<br />

vi si potesse confermare, ancora, l’idea che l’ambulante sappia<br />

profittare del suo vagabondaggio per rubare, per ingannare gli altri, per vivere<br />

illecitamente, votato al ‘’mal fare’’. L’idea, insomma, che crei un pericolo<br />

per la sicurezza sociale; senza valutare, invece, l’eventualità che il suo<br />

vagabondare, funzionale all’attività svolta, non rappresentasse affatto e inevitabilmente<br />

l’anticamera del crimine.<br />

Innegabile, e va riconosciuto: stabilire che nella vicenda dei mestieri<br />

girovaghi fosse sempre riconoscibile una professione nomade di qualche<br />

utilità, una vocazione al lavoro e non all’ozioso vagabondaggio o appunto<br />

alla realizzazione di fatti delittuosi, poteva non essere del tutto facile. Più<br />

boglio, Dei delitti contro l’ordine pubblico, inTrattato di Diritto penale, Milano, 1913-1923,<br />

vol. I, p. 4 ss. Una serie di interrogativi sul valore e sul ruolo del bene ordine pubblico sono<br />

sottolineati da F. Carrara, Programma del corso di diritto criminale, P.S., vol. VI, Lucca<br />

1869, p. 151, par. 3015.<br />

( 7 ) In questo senso, chiaramente, E. Florian - G. Cavaglieri, I vagabondi, cit., vol.<br />

II, p. 181 ss.

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