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L’INDICE <strong>PENALE</strong>, 1/2011<br />

di una effettiva valutazione di necessità e proporzionalità, alla stregua delle<br />

esigenze manifestatesi nel caso concreto e basato quindi su di una sorta di<br />

presunzione di pericolosità del detenuto derivante esclusivamente dal titolo<br />

di reato contestato ovvero, in relazione ai condannati, accertato.<br />

Non possono poi sottacersi le disposizioni in materia di immigrazione.<br />

Sul punto certamente rilevano norme quali quelle che estendono da 2 a 6<br />

mesi il periodo massimo di trattenimento nei CIE (senza neppure le cautele<br />

previste dalla direttiva 2008/115/CE) o che ampliano l’area del ‘‘penale’’ in<br />

materia: dalla locazione di immobili a stranieri irregolari, agli obblighi sanzionati<br />

in capo ai titolari di servizi di money-transfer che non acquisiscano i<br />

documenti dei migranti, alla stessa configurazione come contravvenzione<br />

dell’ingresso o della permanenza irregolare nel territorio dello Stato (che<br />

rileva più che altro per le particolari disposizioni processuali di dubbia<br />

compatibilità con il diritto di difesa, consentendosi la procedibilità e quindi<br />

anche la possibilità di ottenere un proscioglimento nel merito solo qualora<br />

il migrante non sia espulso). Tali norme appaiono tanto più irragionevoli<br />

alla luce del monito rivolto dalla Consulta (sent. 22/2007) al legislatore, rilevando<br />

‘‘l’opportunità di un sollecito intervento, volto ad eliminare gli<br />

squilibri, le sproporzioni e le disarmonie rilevate nella disciplina dell’immigrazione’’.<br />

Ma ciò che in materia rileva in maniera particolare è l’aggravante c.d.<br />

di clandestinità (già al vaglio della Consulta) di cui al 61, c.I, n.11-bis) c.p.<br />

che, ancorché rimodulata nel tenore letterale( 35 ), sembra inasprire il trattamento<br />

sanzionatorio davvero in virtù di una mera condizione personale<br />

anche del tutto estranea al reato-base (una sorta di responsabilità oggettiva<br />

o per la condotta di vita), più che di una circostanza oggettiva espressiva di<br />

per sé di disvalore penale. E ciò soprattutto prima dell’introduzione del<br />

reato di immigrazione illegale, come dimostra il rinvio degli atti ai giudici<br />

a quibus per una nuova valutazione, disposto dalla Consulta. Si consideri<br />

che con sent. 78/07 la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale<br />

( 35 ) Nella sua versione originaria, la norma richiamava infatti ‘‘il fatto commesso da<br />

‘‘soggetto che si trovi illegalmente sul territorio nazionale’’. La formulazione approvata dall’Aula<br />

in prima lettura e confermata nel testo definitivo àncora invece l’aggravante all’avere<br />

‘‘il colpevole commesso il fatto mentre si trova illegalmente sul territorio nazionale’’. Certamente,<br />

rispetto alla versione originaria, la norma appare più omogenea alla formulazione delle<br />

altre aggravanti di cui all’art. 61 c.p., ove le varie circostanze previste si riferiscono alle<br />

modalità di realizzazione della condotta o alle sue finalità. La formulazione originaria della<br />

norma invece, si riferiva tout court alla condizione amministrativa dell’autore. Tale rilievo semantico,<br />

ritenuto da alcuni, nel corso dell’esame parlamentare, espressivo della natura discriminatoria<br />

dell’aggravante, ha indotto il Governo ad accettare la richiesta di riformulazione,<br />

sia pur parziale, dell’aggravante, ma la sostanza cambia poco. Infatti, l’aggravio di pena resta<br />

legato alla condizione amministrativa dell’autore del fatto e non ad esempio, come da alcuni<br />

proposto, alla inottemperanza dello straniero all’ordine di espulsione o allontanamento.

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