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DIRITTO <strong>PENALE</strong> STRANIERO, COMPARATO, COMUNITARIO<br />

513<br />

non può, per definizione, prescindere dall’accertamento della loro effettiva<br />

ricorrenza di volta in volta’’ – dall’altro non ha ravvisato profili d’illegittimità<br />

in relazione alla presunzione assoluta dell’adeguatezza della custodia<br />

cautelare, ovvero al quomodo della cautela, sempre che la disciplina risponda<br />

a criteri di ragionevolezza.<br />

Afferma infatti la Corte che la scelta del tipo di misura, rilevata come<br />

necessaria in concreto, non impone ‘‘ex se l’attribuzione al giudice di analogo<br />

potere di apprezzamento, ben potendo essere effettuata in termini generali<br />

dal legislatore, nel rispetto della ragionevolezza della scelta e del corretto<br />

bilanciamento dei valori costituzionali coinvolti’’. Tuttavia, nella<br />

scelta della Consulta di ‘salvare’ la norma in esame è stata determinante<br />

la considerazione della sua limitazione esclusivamente a imputati per delitti<br />

di particolare efferatezza, quali quelli di mafia. La Consulta ha infatti ritenuto<br />

non illegittima per violazione del principio di ragionevolezza la disciplina<br />

differenziata prevista dal comma 3 dell’art. 275 c.p.p. in quanto limitata<br />

ai soli delitti di mafia, osservando come ‘‘la delimitazione della norma<br />

all’area dei delitti di criminalità organizzata di tipo mafioso (...) rende manifesta<br />

la non irragionevolezza dell’esercizio della discrezionalità legislativa,<br />

atteso il coefficiente di pericolosità per le condizioni di base della convivenza<br />

e della sicurezza collettiva che agli illeciti di quel genere è connaturato’’.<br />

Analoghe considerazioni hanno consentito alla CEDU (sent. Pantano<br />

del 2003) di non censurare la norma, solo in quanto limitata a delitti particolarmente<br />

efferati e pervasivi come quelli di mafia. È quindi evidente che<br />

estendere la custodia cautelare obbligatoria anche a reati monosoggettivi<br />

che, nonostante la loro gravità, non sono sintomatici dell’appartenenza dell’autore<br />

a gruppi criminali organizzati, ovvero a delitti (quali quelli di pedopornografia,<br />

ad es.) che sono stati attribuiti alle procure distrettuali<br />

non certo per la loro gravità ma per mere esigenze di coordinamento delle<br />

indagini, contrasta con gli artt. 3, 24, 111 Cost., nonché con l’art. 6 CEDU<br />

(corretto processo).<br />

La maggior parte dei reati introdotti nel 275, c.3., nel 2009, è stata attratta<br />

dallo stesso decreto-legge nella categoria dei reati ostativi di cui all’art.<br />

4-bis primo periodo l. 354/1975, per i quali le misure alternative sono<br />

concesse soltanto se l’imputato o il detenuto collabora con la giustizia. Ora<br />

– a prescindere dalla dubbia legittimità costituzionale della norma in sé –<br />

proprio il riferimento alla collaborazione evidenzia l’irragionevolezza della<br />

novella proposta, che estende una disciplina modellata sulle caratteristiche<br />

dei delitti di criminalità organizzata, che mancano nel caso dei delitti a<br />

sfondo sessuale. Infatti, se relativamente alla prima categoria la subordinazione<br />

della concessione dei benefici penitenziari alla collaborazione si<br />

spiega con l’esigenza di destrutturare dall’interno l’organizzazione criminale<br />

di riferimento attraverso la dissociazione e il contributo fornito alle indagini<br />

dal ‘pentito’, in relazione a delitti – quali quelli sessuali – monosog-

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