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DIRITTO <strong>PENALE</strong> STRANIERO, COMPARATO, COMUNITARIO<br />

503<br />

umanitario. Tale forma di sottrazione dei sospettati di terrorismo al diritto<br />

comune è stata resa possibile in virtù della classificazione dei sospetti terroristi<br />

catturati in ogni parte del mondo quali ‘‘unlawful enemy combatants’’,<br />

la cui qualifica di ‘‘criminali’’ è funzionale unicamente alla loro sottrazione<br />

allo status di lawful combatants (ed alle sia pur minime garanzie<br />

connesse a tale qualità), ma non è comunque sufficiente ad attribuire loro<br />

la qualifica di imputati, che ne impedirebbe la detenzione a tempo indeterminato,<br />

la sottrazione alla giurisdizione ordinaria (anche militare) in favore<br />

della procedura speciale dinanzi alle Military Commissions, la loro sottoposizione<br />

a ‘‘tactical questionings’’, etc.<br />

La detenzione di tale categoria di ‘‘nemici’’, qualificata come ‘‘simple<br />

war measure’’, non costituisce né una misura cautelare custodiale in senso<br />

stretto, né una vera e propria misura di prevenzione, ‘‘poiché adottata e finalizzata<br />

allo scopo di intelligence gathering e gestita con modalità afflittive<br />

e caratterizzate da estrema severità, spesso integranti trattamenti inumani e<br />

degradanti se non vere e proprie forme di tortura’’( 15 ). Del resto nello<br />

stesso Order che rende unlawful tutti i nemici, il Presidente chiarisce che<br />

vero che il comma 6 dell’art. 41 citato prevede ancora una volta che ‘‘Non è, in ogni caso,<br />

precluso all’autorità giudiziaria di procedere in base a elementi autonomi e indipendenti dagli<br />

atti, documenti e cose coperti dal segreto’’, ma ciò verosimilmente non impedirà il sorgere<br />

di un prevedibile contenzioso giurisprudenziale, anche per il contenuto dei commi 1, 2 e 3<br />

dell’articolo, non conforme ai principi costituzionali in tema di diritto di difesa ed obbligatorietà<br />

dell’azione penale.<br />

La soluzione prevalente negli altri Paesi, soprattutto di common law, èstata invece nel<br />

senso di istituire regole processuali speciali, tali da coniugare esigenze di segretezza a tutela<br />

della sicurezza nazionale con la garanzia del diritto alla difesa, senza impedire all’autorità giudiziaria<br />

di procedere all’acquisizione dei relativi elementi di prova. Ad esempio, Regno Unito<br />

e Canada hanno previsto che qualora la soluzione del giudizio in materie de libertate dipenda<br />

dalla produzione in giudizio di informazioni secretate (closed materials), ad esse possa accedere<br />

uno ,special advocate’ o,security-cleared attorney’ che, tenuto a non divulgare il contenuto<br />

delle prove in virtù del segreto professionale, possa comunque rappresentare gli interessi<br />

dell’assistito (cfr. per il Regno Unito, lo Special Immigration Appeals Commission Act<br />

1997, chapter 8, section 6 e successive modificazioni, o il Prevention of Terrorism Act of<br />

2005, chapter 2, schedule 7). Ancora, in re Charkaoui v. Canada, 1 S.C.R. 350, 71-74<br />

(2007), la Corte Suprema del Canada ha dichiarato l’illegittimità di norme che, diversamente<br />

da quelle descritte sul ,security-cleared attorney’ applicabili in materia di terrorismo, impedivano<br />

tout court al ricorrente avverso il provvedimento di espulsione, di accedere ad informazioni<br />

riservate per ragioni di sicurezza nazionale, inducendo il legislatore ad estendere ai<br />

procedimenti in materia di espulsione o detenzione dei cittadini stranieri la norma sullo special<br />

advocate. Benché compromissoria e come tale comunque in parte limitativa degli interessi<br />

in gioco – tra i quali in primis il diritto alla difesa – tale soluzione appare comunque<br />

preferibile alla scelta di precludere tout court l’acquisizione delle informazioni riservate,<br />

che rischia di sottrarre del tutto al controllo giurisdizionale elementi di prova importanti, soprattutto<br />

in materia di terrorismo, impedendo di fatto l’esercizio del diritto alla difesa.<br />

( 15 ) V. Fanchiotti, Il diritto penale del nemico e i nemici del diritto (Strategie antiterrorismo<br />

e giurisdizione negli Stati Uniti), inQuest. Giust., 2006, n. 4, 707

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