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L’INDICE <strong>PENALE</strong>, 1/2011<br />

illustri editorialisti( 3 ), asseriva( 4 )che‘‘nonsipuòcombattere il terrorismo<br />

con il codice in mano’’, invocando addirittura la legittima previsione di<br />

una sorta di zona grigia tra illegalità elegalità, che consentisse agli inquirenti<br />

e ai servizi di contrastare il terrorismo anche derogando al rispetto della<br />

legge, per difendere la società da coloro che non rappresentano soltanto<br />

dei criminali, ma dei veri e propri nemici per la sicurezza dello Stato. Di<br />

fronte ai rischi del terrorismo quindi, qualsiasi deroga ai principi e alle garanzie<br />

previsti dal nostro sistema penale sarebbe in questa prospettiva legittima<br />

purché efficace, ritenendosi che ‘‘i principi servono solo se si resta vivi’’,<br />

e che sarebbe questo il male minore da scegliere, di fronte ai pericoli cui il<br />

terrorismo espone la democrazia. Che insomma non potrebbe agire con una<br />

mano dietro la schiena( 5 ): lo stato di eccezione sarebbe quindi legittimato<br />

dallo stesso attacco ai principi dello Stato di diritto sferrato dal terrorismo.<br />

Il terrorismo jihadista mira infatti a destituire le democrazie occidentali<br />

delegittimando in primo luogo i valori su cui si fonda: dal pluralismo<br />

alla laicità fino al principio personalista, nei suoi corollari della tutela della<br />

dignità (violata dalla stessa fungibilità e quindi dalla spersonalizzazione<br />

delle vittime) e della vita umana. Si pensi al corpo del kamikaze ‘offerto<br />

in sacrificio’, che si fa da un lato arma di distruzione di massa, e dall’altro,<br />

che si considera corpo misto con il proprio nemico. Ciò non solo rende<br />

inapplicabili a questa forma di terrorismo gli istituti premiali fondativi della<br />

legislazione anti-terrorismo degli anni di piombo, ma denota anche il valore<br />

simbolico attribuito alla corporeità della violenza e alla carica offensiva del<br />

corpo, così delineando un singolare parallelismo con la strumentalizzazione<br />

del corpo martoriato con la tortura che singolarmente ritorna proprio in<br />

relazione al terrorismo, in un’epoca, quale la nostra, che ha visto il progressivo<br />

sottrarsi del corpo alla pena, divenuta da ‘‘arte di sensazioni insopportabili’’,<br />

‘‘economia di diritti sospesi’’( 6 ).<br />

In questo senso, il terrorista (l’unlawful enemy combatant) sembrerebbe<br />

quel nemico capace di ‘‘mettere in questione Noi come figure’’( 7 )enonstu-<br />

( 3 ) A. Panebianco, La nuova guerra (negata). Perché l’<strong>Italia</strong> senza poteri d’emergenza<br />

non può affrontare il terrore globale, inCorriere della Sera, 3.9.2006, 1 ss..<br />

( 4 ) In sede di conferenza stampa tenutasi nel dicembre 2005, ai giornalisti della stampa<br />

estera<br />

( 5 ) Come invece afferma A. Barak, La natura della discrezionalità giudiziaria e il suo<br />

significato per l’amministrazione della giustizia,inPol. Dir., 2003, 1, 11., nella consapevolezza<br />

che rinnegare, da parte della democrazia, i propri principi costitutivi avrebbe significato cedere<br />

alla sfida terrorista, fare il gioco dei ‘‘nemici’’.<br />

( 6 ) M. Foucault, Sécurité, Territoire, population. Cours au Collège de France. 1977-<br />

1978, Paris, 2004, 22; Id., Naissance de la biopolitique. Cours au Collège de France. 1978-<br />

1979, Paris, 2004, 15 ss<br />

( 7 ) C. Schmitt, Theorie des Partisanen. Zwischenbemerkung zum begriff des Politischen,<br />

Berlin, 1963; trad. it., Milano, 1981, 68

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