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L’INDICE <strong>PENALE</strong>, 1/2011<br />

sulla criminalità e sulla giustizia penale sbocciate nel diciottesimo e diciannovesimo<br />

secolo sulla scia degli scritti di Cesare Beccaria( 27 ). Circa duecento<br />

anni dopo, del resto, nel suo contributo fondamentale all’analisi economica<br />

dei delitti e delle pene, Gary Becker nell’opera fondamentale<br />

‘‘Crime and Punishment: Economy Approach (1968)’’ dichiara esplicitamente<br />

di voler riprendere in chiave moderna il pensiero classico( 28 ).<br />

Il comportamento criminale, secondo Becker, può essere spiegato all’interno<br />

di una generale teoria economica per la quale il numero dei reati<br />

commessi da un individuo dipende dalla probabilità di essere condannato,<br />

dalla presunta severità della sanzione, e da altre variabili come il reddito<br />

disponibile per attività legali o illegali, variabili ambientali, e variabili legate<br />

alla volontà di commettere un atto illegale. La formula base del pensiero di<br />

Becker è O=O(p, f, u,).<br />

Becker teorizza, dunque, che il numero di reati commessi da una persona<br />

in un particolare periodo di tempo, ‘‘Ò’, dipenda dalla valutazione<br />

fatta dal potenziale reo sulla probabilità ‘‘p’’, di essere scoperto processato<br />

e condannato per quel reato, sull’entità ‘‘f’’ della sanzione prevista per quel<br />

reato e su una variabile generica che comprende tutti gli altri elementi<br />

idonei ad influenzare l’individuo ‘‘u’’.<br />

Questo modello spiega il comportamento di un ipotetico criminale razionale<br />

informato sui costi ed i benefici delle sue decisioni, sufficientemente<br />

disancorato da influenze di tipo morale nel decidere se commettere<br />

un reato. Becker opera una semplificazione supponendo che le multe non<br />

comportino costi sociali, perché costituiscono dei semplici trasferimenti di<br />

denaro, mentre la reclusione comporti costi sociali positivi a causa delle<br />

( 27 ) L’idea che il criminale sia un oggetto massimizzatore di utilità e che sia necessario<br />

prevenire le sue azioni non sono un contributo originale degli economisti del secondo dopoguerra.<br />

La paternità di queste acquisizioni è in realtà da attribuire al pensiero filosofico nel<br />

18º-19º secolo, e in particolare a Montesquieu, Beccaria e Bentham.<br />

Montesquieu individua la funzione della legge penale come distributrice di incentivi<br />

per gli individui. Beccaria ipotizza un approccio sistematico al diritto penale ideando in quella<br />

che oggi viene intesa come una prospettiva di analisi economica del diritto: nelle prime<br />

pagine dei ‘‘Delitti e delle pene’’ Beccaria collega la legge penale alla necessità di prevenire<br />

i comportamenti antisociali di coloro che seguono razionalmente il proprio tornaconto personale.<br />

Il problema di individuare un criterio di misurazione degli incentivi era poi ben presente<br />

a Bentham, il quale lo formula facendo ricorso alla terminologia delle scienze esatte<br />

che è alla base del pensiero illuminista e dell’economia politica moderna: ‘‘...il profitto del<br />

criminale è la forza che lo spinge a delinquere: il costo della punizione è la forza che lo trattiene.<br />

Se la prima di queste forze prevale, il crimine viene commesso; se prevale la seconda, il<br />

crimine non sarà commesso.’’<br />

( 28 ) G. Becker, Nobel Lecture: The Economy Way of Looking at Behaviour, Journal<br />

of Political Economy, 1993, pp. 385 ss.

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