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DIRITTO <strong>PENALE</strong> STRANIERO, COMPARATO, COMUNITARIO<br />

395<br />

zione interpretativa (che guarda alla fattispecie, al bene giuridico oggetto della<br />

tutela); ii) una funzione classificatoria o metodologica (dove si parla del bene<br />

giuridico categoria, il quale determina la classificazione dei reati all’interno<br />

del codice penale) che svolge una funzione interna all’ordinamento giuridico,<br />

di sistematizzazione, categorizzazione o classificazione, per cui viene considerata<br />

come una tesi formale. Sposando solo quest’ultima delle impostazione,<br />

si finisce per identificare il bene giuridico con lo scopo della norma,<br />

che facilmente passa ad essere la mera violazione di doveri( 44 ). Infine, è<br />

sempre una costante, nel dibattito italiano, la necessità di precisare gli oggetti<br />

di tutela e meglio definire la «dannosità sociale» in chiave operativa( 45 ).<br />

c) Dell’odierna dottrina spagnola sulla materia, per il momento, dobbiamo<br />

ricordare solo che è accettato prevalentemente che il diritto penale<br />

concetti tedeschi nel diritto italiano, v. Ferrajoli Luigi, La cultura giuridica nell’<strong>Italia</strong> del Novecento,<br />

cit.,passim, spec. pp. 20, 71, 86; oltre alle diverse opere di Donini citate prima.<br />

( 44 ) Manes Vittorio, Il principio di offensività nel diritto penale, cit., pp. 25 ss.<br />

( 45 ) Al riguardo Donini Massimo, Teoria del reato, cit., p. 119, nota 3. L’impostazione<br />

di questo autore rappresenta un interessante esempio delle teoriche sorte in <strong>Italia</strong> nei nostri<br />

giorni. Donini, infatti, ricordando che le norme possono avere forme liberali ma nel contempo<br />

avere contenuti illiberali, afferma che si deve abbracciare un concetto di bene giuridico in<br />

grado di offrire una dimensione più compiuta (in positivo) per ciò che riguarda il problema<br />

dell’oggetto e della tecnica di tutela penale. Afferma che già nel 1973, con la pubblicazione<br />

della Teoria generale del reato di Bricola, egli chiedeva un numerus clausus di beni giuridici;<br />

un criterio logico-formale e giuridico, e non politico, di selezione attraverso la Costituzione;<br />

ma né la Costituzione né la dottrina prevalente accolsero questo modello, che oggi rimane<br />

come ‘‘...espressione compiuta e «idealtipica» di un modello ‘forte’ della tutela penale, un<br />

crocevia per ogni dibattito successivo’’ (Ibid., p. 133). Secondo Donini, questo ‘modello forte’<br />

è stato accolto soprattutto in chiave di tendenza politico-criminale (Ibid, pp. 135-136).<br />

Oggi Donini riprende tali argomentazioni: sostiene che l’approccio costituzionalistico presuppone<br />

un giudice che valuta moltissimo, ma che la magistratura italiana tende a un forte<br />

self-restraint, che può peccare di troppa timidezza. Egli avverte che la Consulta, per il principio<br />

di divisione dei poteri, ha limitato troppo, in materia di offensività, le sue possibilità di<br />

controllo delle scelte di criminalizzazione, sebbene siano stati fatti importanti progressi dagli<br />

anni cinquanta e sessanta. Rileva, dunque, la necessità di un potenziamento del controllo della<br />

Corte costituzionale sul legislatore e sulla magistratura penale, non senza chiarire l’importanza<br />

di apprestare precauzioni per evitare che la Corte faccia scelte politicamente troppo<br />

accentuate, ‘‘di parte’’ (Id., Dogmatica penale e politica criminale a orientamento costituzionalistico,<br />

cit., pp. 45, 65-68). In concreto, riconosce il problema di democrazia penale che un<br />

controllo illimitato solleva (Id., L’art. 129 del progetto di revisione costituzionale, cit., pp. 70,<br />

79 ss.), e sostiene che ‘‘...l’eccesso di fiducia nei controlli giurisdizionali (di ogni tipo) non è<br />

solo pessimismo della ragione, è anche un sintomo di debolezza della democrazia, perché<br />

nasce da un sentimento negativo verso la politica’’ (Id., Dogmatica penale e politica criminale<br />

a orientamento costituzionalistico, cit., p. 73). Propone, allora, che non si deleghi in bianco ai<br />

giudici, ma li si doti di regole perché il principio di offensività possa trovare applicazione<br />

(Id., L’art. 129 del progetto di revisione costituzionale, cit., passim, spec. pp. 94-99, 110; a<br />

p. 97 afferma). Sul punto v. anche id., ‘‘Danno’’ e ‘‘offesa’’ nella c.d. tutela penale dei sentimenti,<br />

cit., pp. 1592-1593, dove sostiene, che il campo degli illeciti minori può offrire spunti<br />

importanti per pensare a una rivitalizzazione della teoria del bene giuridico.

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