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376<br />

L’INDICE <strong>PENALE</strong>, 1/2011<br />

del principio della responsabilità penale personale, ma anche con l’accoglimento<br />

di una concezione sostanzialistica di autore fondata sulla nozione di<br />

«controllo del crimine» che consentirà di considerare autori del reato coloro<br />

che, al vertice degli apparati di potere, hanno deciso le politiche criminali<br />

manifestatesi in crimini di guerra o crimini contro l’umanità; attraverso<br />

l’istituto della coautoria e dell’autoria mediata sarà possibile imputare<br />

ai leader i crimini che sono stati consumati dai loro subordinati in attuazione<br />

di quelle politiche o dei piani che loro hanno elaborato, diretto, coordinato.<br />

Permangono dei dubbi sull’eccessiva discrezionalità attribuita al giudice<br />

nel determinare il ruolo di autore e di coautore, nel determinare<br />

quando un soggetto, pur non eseguendo materialmente il crimine, ne ha<br />

il controllo, o quando il contributo fornito nell’ambito della coautoria è essenziale<br />

al punto da attribuire al soggetto il potere di frustare l’esecuzione<br />

del reato o del programma criminale. Sono dei criteri valutativi incerti, rimessi<br />

alla discrezionalità giudiziaria.<br />

L’espressa previsione dell’istituto della c.d. «autorìa mediata» lascia<br />

perplessi, perché anche se può essere utilizzato per incriminare in qualità<br />

di autori coloro che stanno all’apice dell’organizzazione (politica, militare,<br />

...), sembra discutibile la previsione di tale modello di responsabilità che<br />

richiede la strumentalizzazione di un altro soggetto o di un apparato di potere<br />

per consumare il reato. In ogni caso sembra preferibile interpretare<br />

l’art. 25 STcPI, nel senso che, come affermato nel caso Katanga, si deve<br />

escludere la possibilità di ridurre la figura dell’esecutore, soprattutto se responsabile,<br />

a quella di mero complice: è anche lui autore del reato.<br />

Laddove, poi, attraverso l’applicazione del principio dell’«attribution<br />

mutuelle» si attribuiscono ad un soggetto in qualità di coautore, i crimini<br />

realizzati dai subordinati dell’altro coautore, a sua volta autore mediato<br />

di tali crimini, sorge il timore che anche se sotto un nuovo vestito, – le categorie<br />

della autoria mediata e della coautoria –, permangano i rischi già<br />

esaminati in relazione all’istituto della joint criminal enterprise di violare i<br />

principi della responsabilità penale nel tentativo di imputare ai leader tutti<br />

i crimini realizzati in contesti di criminalità di massa, legati ad apparati di<br />

potere; come minimo, nonostante gli sforzi e le dichiarazioni della Pre-Trial<br />

Chamber di accogliere la teoria della coautoria in base al criterio misto del<br />

controllo del crimine, emerge, invece, il pericolo di soggettivizzare la coautoria<br />

che finisce per essere fondata sul mero elemento soggettivo, in mancanza<br />

di un reale contributo essenziale.<br />

Ci si chiede, insomma, se la corretta criminalizzazione dei leader in<br />

qualità di autori dei crimini programmati, non potesse avvenire, piuttosto<br />

che attraverso l’adozione di questa fumosa categoria sostanziale di autore<br />

fondata sul controllo del crimine, su una più dettagliata descrizione delle<br />

forme di concorso e dell’espressa previsione della responsabilità in qualità<br />

di autori del crimine di coloro che, ai vertici delle gerarchie, hanno deciso,

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