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DIRITTO <strong>PENALE</strong> STRANIERO, COMPARATO, COMUNITARIO<br />

365<br />

superiori per non averli impediti, pur avendo il potere e il dovere di impedirli,<br />

più che per aver deciso il se e il come di questi delitti, per averli consumati<br />

tramite i subordinati. Ad esempio si possono considerare i reati di<br />

distruzione della proprietà o dei beni culturali inevitabilmente connessi ad<br />

un attacco contro la popolazione civile o contro installazioni umanitarie, se<br />

non realizzati con modalità tali da impedirli; ma reati come il saccheggio e<br />

la violenza carnale, laddove non fanno parte del programma criminale,<br />

sono spesso legati all’autonoma iniziativa dei subordinati, più o meno prevedibile<br />

o addirittura prevista come possibilità da parte dei superiori, ma<br />

sicuramente non necessariamente connessa all’esecuzione di diversi reati,<br />

come la deportazione e il trasferimento della popolazione.<br />

A questo punto diventa sottile la distinzione tra la responsabilità dei<br />

comandanti cui si imputano a titolo di autoria mediata o di coautoria i crimini<br />

eseguiti dai subordinati, che pur non rappresentando lo scopo dell’attività<br />

criminosa (non direttamente pianificati), ne rappresentano la certa<br />

conseguenza in base al normale decorso degli eventi (dolo diretto di II<br />

grado), e la responsabilità da comando rispetto a crimini non ordinati<br />

dal superiore, ma che lui sa che i suoi subordinati stanno per realizzare<br />

o stanno realizzando e non impedisce, pur avendo il dovere di impedirli.<br />

L’istituto della responsabilità da comando, che prevede anche la responsabilità<br />

in forma colposa o per volontaria ignoranza, è volto proprio ad imporre<br />

ai superiori l’obbligo di impedire quei reati che non sono stati ordinati,<br />

né rappresentano lo strumento necessario per conseguire altri obiettivi<br />

(in particolare militari), ma che nella triste prassi dei conflitti armati<br />

vengono commessi dai subordinati nella diffusa situazione di violenza di<br />

massa e di oblio delle coscienze causate dai conflitti. I comandanti e i superiori<br />

civili hanno degli obblighi di prevenire i crimini dei subordinati, innanzitutto<br />

tenendosi informati del loro operato e poi adottando le misure<br />

necessarie e ragionevoli a prevenire la consumazione di crimini (da un adeguato<br />

addestramento a misure disciplinari).<br />

La differenza sembra correre solo sul piano dell’elemento soggettivo,<br />

nel senso che i crimini imputati a titolo di coautoria o di autoria mediata<br />

devono essere stati oggetto di rappresentazione (perché inevitabilmente<br />

connessi all’esecuzione del piano) e, quindi, voluti al momento della pianificazione<br />

o dell’accordo criminoso, mentre i crimini dei subordinati non<br />

impediti non devono essere oggetto di una preventiva programmazione,<br />

nel senso che in qualunque momento il superiore può venire a conoscenza<br />

del fatto che i suoi subordinati commettono o stanno per commettere dei<br />

crimini e allora scatta il suo dovere di impedimento; o, comunque, si può<br />

trattare di reati la cui consumazione è considerata possibile o probabile in<br />

determinate situazioni e il comandante, accettando il rischio, non ha fatto<br />

nulla per prevenirli (dolo eventuale). Fermo restando che ai sensi dell’art.<br />

28 il comandante risponde anche per negligenza (should have known – per<br />

non aver adempiuto al suo obbligo di tenersi informato circa i comporta-

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