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336<br />

L’INDICE <strong>PENALE</strong>, 1/2011<br />

tato dalla consapevolezza di tali circostanze( 399 ). Il concetto di controllo è<br />

abbastanza circoscritto in modo da considerare coautori solo coloro che<br />

stabiliscono se e come deve essere commesso il reato, impedendo l’attribuzione<br />

di responsabilità a figure marginali( 400 ).<br />

La Camera ritiene, correttamente, che lo Statuto non accoglie il criterio<br />

oggettivo perché prevede espressamente l’ipotesi dell’autoria mediata,<br />

di chi commette il crimine tramite un’altra persona, anche non imputabile;<br />

in quest’ipotesi non si può realizzare l’approccio oggettivo che richiede che<br />

ogni coautore realizzi personalmente gli elementi oggettivi del crimine, evidenziando<br />

come ciò che rileva è il controllo del crimine e non l’esecuzione<br />

materiale( 401 ).<br />

Non si accoglie l’approccio soggettivo, ma si evidenzia che questo è<br />

l’approccio, come sopra evidenziato, accolto dal TPY laddove considera<br />

coautori tutti i membri della comune impresa qualunque sia il contributo<br />

oggettivo fornito, purché si agisca con la volontà di realizzare il crimine (la<br />

I forma di joint criminal enterprise). Si evidenzia, che se gli autori avessero<br />

accolto l’approccio soggettivo la condotta di partecipazione descritta dall’art.<br />

25-3-d) rappresenterebbe una forma di coautorìa; tale ipotesi, però,<br />

osserva correttamente il giudice internazionale è prevista dallo Statuto<br />

come forma di responsabilità residuale del complice («contribue de toute<br />

autre manière à la commission ou à la tentative de commission d’un tel<br />

crime»), che consente di punirlo in presenza di un determinato elemento<br />

soggettivo quando il suo contributo non integri gli estremi delle altre forme<br />

di responsabilità concorsuale (ordine, sollecitazione, incoraggiamento,<br />

aiuto, una forma di concorso o di assistenza previste dalle lettere b) e c)<br />

dell’art. 25-3)( 402 ). L’art. 25 3-d si riferisce, insomma, ad una mera forma<br />

di complicità, ad una condotta accessoria, non serve ad indicare la nozione<br />

di coautorìa prevista dallo Statuto; l’elemento soggettivo, sembra dire la<br />

Camera, può attribuire rilievo penale (consentire di tipizzare) condotte<br />

che oggettivamente non rappresentano né una forma di coautorìa, ne<br />

una forma di complicità, solo in delle ipotesi residuali. Si eliminano così<br />

i dubbi sopra evidenziati, anche in seguito a talune sentenze del TPY, circa<br />

( 399 ) Ibidem, par. 331.<br />

( 400 ) T. Weigend, op. cit., pp. 478-479, il quale evidenzia che la giurisprudenza tedesca<br />

considera rilevante anche l’elemento soggettivo per distinguere gli autori dai complici,<br />

nel senso che ha considerato coautore anche chi non ha il controllo del crimine, ma ne ha<br />

promosso l’esecuzione ed ha un interesse al successo della comune impresa. Alcuni autori<br />

hanno un approccio più aperto, di carattere valutativo, altri un approccio più restrittivo, fondato<br />

sul necessario contributo all’esecuzione del crimine. Cfr. B. Schunemann, §25,in<br />

Strafgesetzbuch, Leipziger Kommentar, 12th Edition, Berlin, 2007, par. 28-30, 181.<br />

( 401 ) ICC, Lubanga Dyil, cit., par. 333; ICC, Katanga et Ngudjolo Chui, cit., par. 482.<br />

( 402 ) ICC, Lubanga Dyil, cit., par. 334 ss.-337; ICC, Katanga et Ngudjolo Chui, cit.,<br />

par. 483.

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