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DIRITTO <strong>PENALE</strong> STRANIERO, COMPARATO, COMUNITARIO<br />

315<br />

minal Justice Act del 1967 ha stabilito che «una corte ...a) non sarà obbligata<br />

dalla legge a inferire che egli ha voluto o previsto un risultato della<br />

propria azione solo per il fatto che esso è una conseguenza naturale e probabile<br />

di quella azione; ma: b) deciderà se ha voluto o previsto quel risultato<br />

tenendo presente ogni prova, traendo tali deduzioni dalla prova come<br />

apparirà appropriato al caso concreto». Non basta, insomma, per aversi intention<br />

o knowledge la circostanza che un risultato sia una conseguenza naturale<br />

e prevedibile di una condotta, ma occorre accertare che il soggetto<br />

voleva quel risultato (dolo intenzionale) oppure che avesse un grado di<br />

consapevolezza tale (certezza o alta probabilità) da essere equiparabile in<br />

termini di disvalore alla volontà( 308 ).<br />

In tale direzione si presenta ancora più chiara la definizione dell’elemento<br />

soggettivo della S. 2.02 del Model Penal Code americano, che stabilisce<br />

che una persona agisce «knowingly» (scientemente) «in relazione ad<br />

un elemento materiale del reato quando: i) se l’elemento riguarda la natura<br />

della sua condotta o le circostanze concomitanti ad essa, egli sa che la sua<br />

condotta è di quella natura o che tali circostanze esistono; e ii) se l’elemento<br />

riguarda un risultato della condotta, egli sa che è praticamente certo<br />

che la sua condotta produrrà tale risultato» (nella nozione di «purposely»<br />

rientra, invece, l’ipotesi in cui è «suo fine consapevole intraprendere una<br />

condotta di tale natura o cagionare un tale risultato...»)( 309 ).<br />

La norma in esame in conclusione, riprendendo la definizione di intention<br />

del Criminal Code Draft inglese, sembra volere escludere la rilevanza<br />

penale del dolo eventuale( 310 ), ma le oscillazioni che anche nella giurisprudenza<br />

di common law emergono sulla nozione di intention e la considerazione<br />

che l’art. 30 StCPI è una norma internazionale, la cui interpretazione<br />

sarà influenzata dalle diverse culture giuridiche dei giudici, avrebbe reso<br />

auspicabile che anche il legislatore internazionale introducesse una definizione<br />

che escludesse il dolo eventuale in maniera più decisa, come nel<br />

Model Penal Code, in cui non ci si limita ad affermare che il soggetto sa<br />

che il risultato si produrrà in base al normale decorso degli eventi, ma<br />

che è praticamente certo che sia così( 311 ). Il legislatore internazionale, il<br />

quale ha scelto di non estendere la responsabilità alla negligence (salva diversa<br />

previsione, come in relazione alla responsabilità da comando ex art.<br />

28 StCPI), avrebbe dovuto escludere anche in negativo il dolo eventuale in<br />

( 308 ) Cfr. N. Pisani, L’elemento psicologico, cit., p. 1383.<br />

( 309 ) Cfr. A. Cadoppi, Mens Rea, cit., p. 642.<br />

( 310 ) Sostiene questa posizione A. Sereni, Responsabilità personale, cit., p. 810.<br />

( 311 ) G. Werle -F.Jessberger, L’adattamento nell’ordinamento nazionale dello Statuto<br />

della Corte criminale internazionale, inInd. pen., 2005, p. 756 ritengono che il testo dell’art.<br />

30 consenta entrambe le letture, sia quella che ammette, sia quella che esclude il dolo<br />

eventuale.

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