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DIRITTO <strong>PENALE</strong> STRANIERO, COMPARATO, COMUNITARIO<br />

5.3. La compatibilità della JCE con i principi penalistici.<br />

303<br />

Dall’esame giurisprudenziale svolto, emerge, in conclusione, come l’istituto<br />

della joint criminal enterprise comporta un ampliamento della rilevanza<br />

a titolo di concorso della punibilità rispetto a comportamenti non<br />

condizionanti l’effettiva consumazione dei crimini.<br />

Nell’ambito di una joint criminal enterprise, infatti, da una parte, in<br />

chiave garantistica, la mera organizzazione non è punibile in sé, ma solo<br />

come forma di consumazione di specifici reati, dall’altra parte, però, si finisce,<br />

talora, per punire a titolo di concorso la mera partecipazione al sistema<br />

(campo di prigionia, esercito, azienda), in mancanza di un sufficiente<br />

accertamento di uno specifico contributo alla realizzazione del reato consumato<br />

nell’ambito del sistema e del relativo elemento soggettivo; tale contributo<br />

finisce per essere considerato implicito nella collaborazione prestata<br />

al funzionamento del sistema criminale. Si rischia di violare il principio di<br />

legalità, prevedendo surrettiziamente una fattispecie associativa dai confini<br />

assolutamente indeterminati e punendo delle condotte indipendentemente<br />

dal loro legame con un crimine, e il principio di colpevolezza, rischiando di<br />

punire un soggetto per il fatto altrui (ogni membro risponde di tutti crimini<br />

consumati nell’ambito dell’organizzazione in base ad una sorta di dolus generalis)<br />

o, comunque, in maniera sproporzionata rispetto all’effettivo contributo<br />

fornito all’offesa agli interessi tutelati. Tanto più che in base ad<br />

un’equiparazione di natura prettamente soggettivistica tutti i compartecipi<br />

sono considerati coautori (finendo per equiparare il disvalore dei diversi<br />

contributi, in violazione del principio di proporzione)( 247 ).<br />

Tale elasticità dell’istituto comporta il pericolo che venga utilizzato per<br />

imputare dei crimini in mancanza di prove, in un’ottica, pur legittima, di<br />

protezione delle vittime( 248 ).<br />

La dottrina esprime, infatti, il timore che l’istituto in esame sia utilizzato<br />

dal TPY per superare le difficoltà concernenti l’attribuzione della responsabilità<br />

individuale, a partire dall’identificazione dei diretti esecutori di un crimine<br />

al discernimento dell’esatto ruolo che la persona accusata ha svolto nella<br />

sua consumazione; in particolare si rivela particolarmente problematica la determinazione<br />

di una connessione causale tra la condotta dell’accusato e i crimini<br />

o i diretti esecutori, laddove l’accusato non ha partecipato personalmente<br />

agli atti criminali ma ha agito a livello decisionale o organizzativo, o<br />

ha agito nelle sfere politiche in mancanza di una rigida gerarchia organizzativa<br />

della sfera militare, come emerge dal caso Krnojelac( 249 )eStakić( 250 ).<br />

( 247 ) Cfr. G. Mettraux, op. cit., p. 292; D. Ohlin, op. cit., p. 85 ss.<br />

( 248 ) A. Marston Danner - J.S. Martinez, op. cit., p. 132.<br />

( 249 ) TPY, Krnojelac, Trial Chamber, cit., par. 343-525.<br />

( 250 ) TPY, Stakić, Trial Chamber, cit., par. 201. Così V.Haan, op. cit., 173 ss.

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