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298<br />

L’INDICE <strong>PENALE</strong>, 1/2011<br />

Emerge da tale analisi come, fondamentalmente, la considerazione<br />

come coautori di tutti i partecipanti alla comune impresa criminale sarebbe<br />

fondata su una sorta di concezione soggettivistica della coautoria per cui sarebbe<br />

sufficiente la condivisione del progetto criminoso, indipendentemente<br />

dallo scarso rilievo del ruolo svolto (non rileva una soglia minima<br />

di rilevanza del contributo), come evidenziato dalla stessa Corte penale internazionale<br />

nella Décision sur la confirmation des charges del caso Lubanga(<br />

229 ). Si tratta di un’interpretazione discutibile soprattutto se si traduce<br />

nel medesimo trattamento punitivo di soggetti che, pur condividendo<br />

il medesimo intento, contribuiscono in maniera diversa all’offesa dell’interesse<br />

tutelato (anche se il giudice può distinguere in sede di commisurazione<br />

il disvalore del ruolo svolto).<br />

Negli ordinamenti di common law che conoscono tale istituto della<br />

joint criminal enterprise, si registrano differenti orientamenti circa il ruolo<br />

rivestito dai partecipi all’impresa; l’ordinamento australiano, ad esempio, li<br />

considera tutti principal, nell’ordinamento inglese ciò èconsiderato in contrasto<br />

con i principi del diritto penale e si ritiene che tutti i partecipi siano<br />

complici in secondo grado( 230 ).<br />

Parte della dottrina anglosassone, però, precisa che la teoria della joint<br />

enterprise serve ad allargare la responsabilità rispetto alla diversa disciplina<br />

della complicità, perché per aversi complicità si richiede la volontà di contribuire<br />

alla consumazione di un crimine e la consapevolezza del crimine<br />

che si realizza, in relazione alla forma di responsabilità in esame, invece,<br />

una volta stabilita la comune impresa criminosa, è sufficiente la previsione<br />

della possibilità di consumare un crimine( 231 ); le due forme di responsabilità<br />

sono incompatibili. La dottrina inglese giustifica questo particolare rigore<br />

della disciplina in esame a causa della particolare pericolosità del fenomeno<br />

in questione; la prassi dimostra che spesso nell’ambito di una comune<br />

impresa si realizzano reati più gravi di quelli programmati( 232 ).<br />

D’altronde la stessa autonomia della categoria, elaborata dalla giurisprudenza<br />

internazionale come forma di manifestazione del reato, distinta<br />

rispetto al mero concorso di persone, o come forma particolare di concorso<br />

di persone, si giustifica proprio perché con essa si vuole cercare di codificare<br />

in strutture penalistiche quel particolare fenomeno del crimine di<br />

massa, della manifestazione di violenza diffusa con volatilizzazione della vo-<br />

( 229 ) ICC, Procureur c. Thomas Lubanga Dyil, 29 gennaio 2007, La Chambre préliminaire<br />

I, Décision sur la confirmation des charges, Nº. 01/04-01/06, par. 328-329 ss.<br />

( 230 ) Cfr. J. Smith -B.Hogan, op. cit., p. 124.<br />

( 231 ) Così A.P. Simester - G.R. Sullivan, op. cit., p. 211.<br />

( 232 ) Ibidem, p. 219, ove si precisa che «le associazioni criminali sono pericolose»,<br />

«rappresentano una minaccia per l’ordine pubblico», rendendo inadeguata la disciplina penale<br />

contro i criminali individuali.

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