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DIRITTO <strong>PENALE</strong> STRANIERO, COMPARATO, COMUNITARIO<br />

291<br />

Come emerge già nel caso Tadić, si ritiene che l’attiva partecipazione nella<br />

realizzazione del piano concertato può essere dedotta dalla posizione di<br />

autorità o dalle specifiche funzioni svolte da ciascun accusato all’interno<br />

del sistema( 193 ). Non solo non si richiede la partecipazione fisica alla consumazione<br />

dei crimini, ma un partecipe può rispondere anche di crimini<br />

realizzati in sua assenza, o, addirittura, prima del suo arrivo( 194 ). Anche l’elemento<br />

soggettivo di chi partecipa ad un sistema di maltrattamenti (come<br />

nei campi di concentramento), – e cioè la consapevolezza della natura del<br />

sistema di maltrattamenti e la volontà di favorire questo comune sistema o<br />

piano di maltrattamenti –( 195 ), può essere semplicemente dedotto dal fatto<br />

che il soggetto continui a rimanere nel campo nonostante la sua provata<br />

consapevolezza dei crimini perpetrati( 196 ), oppure dalla natura dell’autorità<br />

dell’accusato nel campo e dalla sua posizione nella gerarchia( 197 ). Il carattere<br />

sistematico dell’impresa sembra giustificare una presunzione che chi<br />

fornisce un contributo significativo alla vita e al mantenimento del campo,<br />

non può non conoscere il carattere criminale dell’istituzione e volere tutti i<br />

reati che ivi sono realizzati durante il periodo in cui vi lavora( 198 ). In virtù<br />

della posizione di responsabilità rivestita all’interno del sistema si allarga<br />

così l’ambito della responsabilità non solo sotto il profilo oggettivo (qualunque<br />

contributo al sistema di maltrattamenti comporta la responsabilità<br />

per tutti i reati consumati nell’ambito della comune impresa), ma anche<br />

soggettivo( 199 ), ritenendo sufficiente una sorta di dolus generalis comprensivo<br />

di tutto ciò che avviene nel sistema, anche se deciso ed eseguito da<br />

altri; si tratta di quel meccanismo probatorio per cui si deduce il dolo dallo<br />

status rivestito, dai poteri esercitati e dagli obblighi assunti, in base alla<br />

congettura (e non in base all’applicazione corretta di una regola di esperienza)<br />

per cui un superiore con quell’autorità e in quella posizione gerarchica<br />

non poteva non sapere e quindi essere concorrente, almeno moral-<br />

( 193 ) TPY, Tadić, Appeals Chamber, cit., par. 220.<br />

( 194 ) Ibidem, par. 113-114-99.<br />

( 195 ) TPY, Vasiljević, Appeals Chamber, cit., par. 101; TPY, Kvôcka, Appeals Chamber,<br />

cit., par. 82.<br />

( 196 ) TPY, Limaj - Bala - Musliu, Trial Chamber II, cit., par. 511.<br />

( 197 ) TPY, Tadić, Appeals Chamber, cit., par. 220. Cfr. K.Kittichaisaree, International<br />

Criminal Law, Oxford, 2001, p. 239; TPY, Kvôcka, Appeals Chamber, cit., par.<br />

198 e Trial Chamber, cit., par. 324. Su tali casi nella giurisprudenza dei tribunali di Norimberga<br />

(Dachau Concentration Camp; Nadler and others; Auschwitz Concentration Camp; Belsen),<br />

in cui si adottava questo schema presuntivo in base al quale la consapevolezza poteva<br />

essere dedotta dalla posizione di autorità rivestita nel campo, cfr. A. Cassese, International<br />

Criminal Law, cit., p. 186.<br />

( 198 ) TPY, Kvôcka, Trial Chamber, cit., par. 284; V. Haan, op. cit., p. 189.<br />

( 199 ) Cfr. S. Powles, Joint criminal enterprise - Criminal Liability by Prosecutorial Ingenuity<br />

and Judicial Creativity?, in Journ. of Inter. Crim. Just., 2004, pp. 609-610.

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