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L’INDICE <strong>PENALE</strong>, 1/2011<br />

mento, ma diviene anche un possibile mezzo correttivo rispetto ad una ‘‘patologia’’ originaria<br />

nella formulazione dell’imputazione, che richieda di essere sanata tramite la<br />

mera rivisitazione del corredo cognitivo sulla base del quale l’accusa era stata inizialmente<br />

elevata.<br />

Che la Corte dovesse oggi (probabilmente senza neppure condividerlo pienamente)<br />

misurarsi con il predetto orientamento era, del resto, inevitabile, ove si consideri<br />

che essa stessa, in passato, aveva contribuito in modo determinante a fondarne le basi,<br />

con l’opinabile delimitazione dei presupposti per la restituzione in termini ai fini della<br />

proposizione richiesta di applicazione della pena in relazione alle nuove contestazioni<br />

dibattimentali ex artt. 516 e 517 c.p.p.<br />

2. L’itinerario della giurisprudenza costituzionale in tema di rapporti tra nuove contestazioni<br />

dibattimentali e possibilità di accesso a forme alternative di definizione del giudizio.<br />

Ripercorrendo l’itinerario della giurisprudenza costituzionale( 16 )insubiecta materia,<br />

si può notare come, in un primo tempo, la stessa fosse stata ferma nel ritenere<br />

non censurabile, alla luce dei parametri costituzionali, la preclusione alla fruizione<br />

dei benefici connessi ai riti premiali, in caso di sopravvenuta variazione degli addebiti<br />

a norma degli artt. 516 e 517 c.p.p., e ciò in considerazione del fatto che il rischio di una<br />

modifica dibattimentale dell’imputazione è immanente, quindi prevedibile, nel nostro<br />

sistema processuale e, come tale, deve essere tenuto presente dall’imputato nella scelta<br />

del rito col quale intende essere giudicato( 17 ). Tale impostazione finiva, tuttavia, per<br />

accollare interamente all’imputato il pregiudizio derivante dal mutamento della regiudicanda,<br />

impedendogli l’accesso ai riti alternativi in considerazione del mero fatto<br />

che si fosse, comunque, ormai pervenuti al dibattimento.<br />

Nel tentativo, per certi versi anche apprezzabile, di ridimensionarne gli effetti indiscriminatamente<br />

punitivi, la nota sentenza n. 265 del 1994( 18 ) si attestava su una posizione<br />

di «difficile (e discutibile) equilibrio»( 19 ), ammettendo la possibilità di richiedere<br />

l’applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. in relazione al fatto diverso o al reato<br />

concorrente contestati in dibattimento, a condizione che gli stessi fossero già desumibili<br />

dagli atti di indagine al momento dell’esercizio dell’azione penale, oppure nel caso in<br />

cui l’imputato avesse tempestivamente proposto istanza di patteggiamento, rispetto all’imputazione<br />

originaria, ma la stessa non fosse stata accolta.<br />

( 16 ) Con riferimento al giudizio abbreviato, cfr. Corte cost., sent. 28 dicembre 1990, n.<br />

593, in Giur. cost., 1990, pag. 3309; Corte cost., sent. 8 luglio 1992 n. 316, in Giur. cost.,<br />

1990, pag. 2623, con nota di Conti, Nuove contestazioni dibattimentali e preclusione al rito<br />

abbreviato; Corte cost., ord. 19 marzo 1993 n. 107, in Giur. cost., 1993, pag. 870.<br />

Con specifico riguardo al patteggiamento, cfr. Corte cost., ord. 11 maggio 1992 n. 213,<br />

in A.n.p.p., 1993, pag. 226, con nota di Cremonesi, Compatibilità tra le contestazioni suppletive<br />

dopo l’apertura del dibattimento e l’adozione dei riti speciali.<br />

( 17 ) Tra le più recenti, cfr. Corte cost., sent. 21 novembre 2006, n. 384, in Giur. cost.,<br />

2006, pag. 4006.<br />

( 18 ) Corte cost., sent. 30 giugno 1994, n. 265, cit.<br />

( 19 ) Cfr. Rafaraci, Le nuove contestazioni nel processo penale, cit., pag. 201.

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