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L’INDICE <strong>PENALE</strong>, 1/2011<br />

ovvero ‘‘Propositum ipsum et malus animus delinquendi’’( 51 ), definizioni<br />

che portano l’accento sulla conoscenza intellettuale del fine, come conoscenza<br />

consapevole della sua contrarietà al bene protetto dal diritto, sottolinea<br />

due aspetti fondamentali, la causalità del fine, per un verso, e , per un<br />

altro verso, la consapevolezza dell’offesa al bene comune insita tanto nell’oggetto<br />

quanto nel principio del volere.<br />

Essenziale per apprezzare la pienezza del dolo e il livello della sua riprovevolezza<br />

è la considerazione in ordine ai gradi di libertà moraledelsoggetto.<br />

Il dolo presenta fondamentalmente due gradi distinti di ‘‘civile moralità’’(<br />

52 ), il primo meno grave, allorché la volontà sia mossa da un impeto<br />

passionale, come è il caso dell’ira, dell’amore, del timore, della gelosia o<br />

del dolore, e, il secondo, che integra pienamente il dolo, quando l’azione<br />

è mossa da ‘‘una piena, perfetta e maturata malizia’’( 53 ). Nel primo caso l’azione,<br />

pur suscettibile di una valutazione di qualità morale, per il mancato<br />

impedimento da parte della ragione del passaggio all’atto, può dirsi ‘‘di misto<br />

genere’’( 54 ), cioè in parte volontaria e in parte involontaria, in proporzione e<br />

nella misura in cui incide sul soggetto la violenza della passione. Spetta al<br />

discernimento del giudice distinguere, nei casi pratici, grazie alla conoscenza<br />

delle leggi relative all’incidenza dell’energia sensitiva sulla natura razionale<br />

dell’uomo, tra le situazioni in cui effettivamente è sorta nel soggetto una tempesta<br />

emotiva e le situazioni in cui tale tempesta sia stata artificiosamente affettata<br />

da parte dell’accusato, allo scopo di sminuire il livello di appartenenza<br />

dell’azione a se stesso e, conseguentemente, diminuire la gravità dell’imputazione.<br />

Nel secondo caso soltanto, quando il delitto sia stato commesso con<br />

‘‘un animo freddo, tranquillo, né scosso dalla violenza di quegli affetti che<br />

sono un effetto delle passioni’’( 55 ) sussiste vero dolo, definibile come ‘‘piena,<br />

perfetta e compiuta malizia’’( 56 ). Invero, la prima forma di dolo non si radica<br />

pienamente nella decisione della ragione. Poiché, tuttavia, in tale forma sussiste,<br />

a differenza che nei casi di azione commessa per ignoranza, un principio<br />

morale nella volontà e nell’animo dell’agente, tali atti, in quanto liberi<br />

in causa, derivano dalla volontà e sono appartenenti alla persona. Il vero<br />

dolo, invece, è malizia piena, definita da S. Tommaso d’Aquino come quello<br />

stato in cui il soggetto prepone il male al bene, si costruisce, cioè, una massima<br />

per sé in contrasto con la massima dettata dalla norma( 57 ). Dunque,<br />

( 51 ) Ibidem, I. 4.9.<br />

( 52 ) De Simoni, op. cit., 263.<br />

( 53 ) Ibidem.<br />

( 54 ) Ibidem, 264.<br />

( 55 ) Ibidem, 265.<br />

( 56 ) Ibidem.<br />

( 57 ) S. Tommaso L. 2, quaest. 78, a. 1: la malizia piena è una ‘‘pravitas quaedam mentis<br />

studiose et de industria, praeponens malum bono’’.

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