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L’INDICE <strong>PENALE</strong>, 1/2011<br />

nimo d’imputazione è tuttavia richiesto che il fatto reato sia commesso nell’interesse<br />

o a vantaggio dell’ente: tale requisito, rilevante ai fini delle presenti<br />

considerazioni, costituisce il secondo criterio per la corresponsabilizzazione<br />

dell’ente operante sul piano oggettivo. Nonostante l’apparente<br />

semplicità, la formula dell’interesse e del vantaggio ha originato alcuni contrasti<br />

interpretativi che ruotano intorno, da una parte, al carattere realmente<br />

alternativo dei due criteri e, dall’altra, sulla valorizzazione del criterio<br />

dell’interesse sul piano soggettivo o su quello oggettivo quale connotazione<br />

funzionale della direzione della condotta( 59 ).<br />

La previsione di un’autonoma colpevolezza dell’ente costituisce il<br />

fulcro della disciplina introdotta dal d. lgs. 231/2001: se la responsabilità<br />

dell’ente non costituisce il semplice riflesso di quella del soggetto attivo<br />

nel reato presupposto, per muovere un rimprovero si è preteso un compor-<br />

rezione e il controllo dei soggetti apicali: ‘‘ciò che conta, infatti, non è l’essere inquadrati in<br />

uno stabile rapporto subordinato, bensì che l’ente risulti impegnato dal compimento di<br />

un’attività destinata ad esplicare i suoi effetti nella sua sfera giuridica’’. Così Mereu, op.<br />

cit., pag. 53; Pulitanò, La responsabilità da reato degli enti nell’ordinamento italiano,<br />

pag. 16. Contra Vignoli, op. cit., pag. 907, per il quale l’intento di non mandare l’ente esente<br />

da responsabilità per un illecito commesso da un dipendente di fatto deriva dall’esigenza<br />

di non escludere la punibilità di episodi in cui la persona giuridica si sia avvantaggiata dell’attività<br />

criminosa del soggetto non strutturato’’. Di specifico interesse è il riferimento all’attività<br />

di consulenza in materia tributaria. Sotto la previgente disciplina si segnala Caraccioli,<br />

La responsabilità penale dei professionisti e revisori contabili, inIl fisco, 1983, pagg. 2427<br />

ss; Padovani, I soggetti responsabili per i reati tributari commessi nell’esercizio dell’impresa,<br />

in Riv. it. dir. e proc. pen., 1985, pagg. 367 ss.. È stato in seguito rilevato che ‘‘la scelta di<br />

limitare la rilevanza penale a condotte sostenute dal dolo ha indubbiamente comportato<br />

una sensibile riduzione dei rischi connessi allo svolgimento dell’attività di consulenza dei<br />

professionisti, e ciò pur se tale effetto è stato in parte controbilanciato dall’introduzione nell’ambito<br />

dell’illecito amministrativo (ad opera del d. lgs. 472/1997) del principio di personalità<br />

della responsabilità, e dalla conseguente possibilità per i professionisti di essere assoggettati<br />

(solitamente a titolo di concorso) a sanzioni amministrative’’, Aldrovandi, I profili evolutivi,<br />

cit., pagg. 170 ss.. Secondo l’Autore, tuttavia, in ambito penale sembra emergere con<br />

evidenza ancora maggiore la problematica dell’attività del consulente che si esaurisca nel c.d.<br />

‘‘consiglio tecnico’’: entro quali limiti è consentito al professionista fornire al proprio cliente,<br />

senza incorrere in responsabilità penale, nozioni e/o suggerimenti di carattere tecnico, che<br />

poi si traducano nella consumazione di reati ad opera dello stesso cliente? Una problematica<br />

che trova la sua origine ‘‘nell’enorme forza espansiva della (tipicità) che caratterizza il concorso<br />

di persone, soprattutto rispetto ai contributi di carattere morale’’ in quanto la responsabilità<br />

a titolo di concorso può fondarsi, oltre che su un contributo causale-condizionale,<br />

anche su contributo meramente agevolatore, che abbia cioè soltanto facilitata la realizzazione<br />

del reato, nel senso di averla resa più probabile, più facile o più grave. Fiandaca-Musco,<br />

Diritto penale, parte generale, Bologna, 2007, pag. 497.<br />

( 59 ) Per l’approfondimento si rinvia a De Vero, La responsabilità penale delle persone<br />

giuridiche, cit., pag. 158, per il quale – valorizzando il criterio dell’interesse non sul piano<br />

soggettivo-psicologico bensì su quello, oggettivo, della direzione della condotta – la disciplina<br />

degli artt. 5 ss. ha carattere generale e deve dunque valere anche in rapporto ai reati colposi,<br />

alcuni dei quali hanno fatto ingresso nella categoria dei reati presupposto.

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