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162<br />

7. Conclusioni.<br />

L’INDICE <strong>PENALE</strong>, 1/2011<br />

Volendo trarre delle conclusioni su questa breve analisi circa la compatibilità<br />

del delitto di sperimentazione sugli embrioni umani con i principi<br />

fondamentali del diritto penale, è lecito ipotizzare che l’indeterminatezza<br />

degli elementi costitutivi di fattispecie e l’irragionevole anticipazione<br />

di tutela, siano riconducibili agli scopi etici che il legislatore ha perseguito<br />

introducendo la normativa in materia di procreazione medicalmente<br />

assistita.<br />

Egli, cioè, più che assegnare alla vita dell’embrione uno spazio di tutela<br />

realmente forte, avrebbe inteso predisporre delle norme a valenza puramente<br />

simbolica, finalizzate in realtà a inibire pratiche biotecnologiche che<br />

sono ancora biasimate dalle correnti politiche, giuridiche e scientifiche a<br />

stampo prevalentemente etico( 120 ), in quanto ‘‘manipolerebbero’’ la natura.<br />

Se il legislatore avesse realmente inteso la vita dell’embrione come<br />

bene giuridico in senso stretto, anziché come strumento di rafforzamento<br />

dell’etica sociale, avrebbe formulato norme sufficientemente determinate:<br />

«dire ‘‘i diritti sono certi’’ significa, dal punto di vista interno, che le norme<br />

che li proteggono sono sufficientemente chiare»( 121 ).<br />

L’esigenza di tutelare il prodotto del concepimento avrebbe richiesto<br />

non una regolamentazione rigida, bensì una disciplina flessibile, che, distinguendo<br />

lo status degli embrioni in attesa di trasferimento da quello degli<br />

embrioni soprannumerari in condizioni di abbandono, stabilisse in modo<br />

preciso quale sorte destinare a questi ultimi. L’assenza di soluzioni alternative<br />

all’utilizzo degli embrioni per finalità riproduttive intraparentali – non<br />

essendo prevista nel nostro ordinamento l’adozione degli embrioni in condizioni<br />

di abbandono – sembra mostrare, invece, che il legislatore ha preferito<br />

disporre la crioconservazione a tempo indeterminato degli embrioni,<br />

fino alla loro naturale estinzione in vitro, piuttosto che prospettare loro un<br />

progetto di vita al di fuori dell’ambiente familiare biologico.<br />

Il bene giuridico della vita dell’embrione, insomma, sembra passare<br />

in secondo piano rispetto alla tutela dell’ambiente familiare ‘‘naturale’’,<br />

sulla base di punti di vista etici alquanto discutibili. Ce lo conferma l’art.<br />

5 della legge 40, secondo cui «possono accedere alle tecniche di procreazione<br />

medicalmente assistita coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate<br />

o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi».<br />

Sulla base di questa norma – la cui violazione è punita, in base all’art.<br />

( 120 ) Cfr. L. Risicato, Lo statuto punitivo della procreazione tra limiti perduranti ed<br />

esigenze di riforma, op. cit., p. 677 ss.<br />

( 121 ) A. Baratta, Diritto alla sicurezza o sicurezza dei diritti? in AA. VV., La bilancia e<br />

la misura: giustizia, sicurezza, riforme, a cura di S. Anastasi –M.Palma, FrancoAngeli, Milano<br />

2001, p. 20.

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