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STUDI E RASSEGNE<br />

107<br />

lato che nega al giudice la verifica sulle premesse storiche dell’accordo<br />

quoad poenam, per porlo a sostegno di una chiave di lettura volta a ridimensionare<br />

l’ampliamento imposto ex lege all’area della revisione. Così l’assenza<br />

di una pur minima forma di verifica in facto renderebbe sul piano<br />

logico inconciliabile la struttura del patteggiamento con l’accezione di<br />

‘‘nuove prove’’ ex art. 629 lett. c c.p.p., comunemente estesa alle ‘‘prove<br />

non acquisite nel precedente giudizio ovvero acquisite ma non valutate<br />

neanche implicitamente’’( 6 ). Nell’ambito di tale rito, infatti, una volta<br />

esclusi i presupposti per il proscioglimento ex art. 129 c.p.p., l’esame del<br />

giudice è circoscritto alla cornice giuridica dell’accordo e alla congruità<br />

della pena, sicché ‘‘non vi è spazio per l’acquisizione di prove in senso tecnico’’(<br />

7 ). Senza una fase istruttoria, in altre parole, mancherebbe un<br />

quadro conoscitivo pregresso su cui la nuova prova possa incidere, evidenziando<br />

lacune ed incongruenze.<br />

Lo schema logico esposto conduce a conclusioni errate: il codice conosce<br />

altri riti alternativi al dibattimento che, pur privi di una c.d. acquisizione<br />

in senso tecnico – si pensi al decreto penale di condanna o al giudizio<br />

abbreviato non condizionato – non sono affatto inconciliabili con il<br />

mezzo della revisione. Non si deve dimenticare che il metodo del contraddittorio<br />

risulta surrogabile dalla volontà delle parti, capace di accreditare<br />

come prova le conoscenze raccolte nelle fasi anteriori al dibattimento( 8 ).<br />

Ne deriva che l’assenza di un’acquisizione in senso tecnico non significa assenza<br />

di una piattaforma probatoria fondante la decisione giudiziale. Detto<br />

altrimenti, la rinuncia al metodo del contraddittorio non sfocia in decisioni<br />

senza accertamento in facto: il giudice chiamato ad applicare la pena concordata<br />

decide sulla base del fascicolo delle indagini preliminari e niente si<br />

frappone ad una valutazione probatoria degli atti ivi racchiusi( 9 ).<br />

Da quest’angolo visuale, non si avverte alcuna inconciliabilità logica<br />

tra la struttura del patteggiamento e l’adesione a quel concetto ampio di<br />

nuova prova ex art. 630 lett. c c.p.p., altrove accolto dalla giurisprudenza<br />

ed esteso, dalle tradizionali categorie della prova noviter reperta (sopravvenuta<br />

o scoperta in seguito alla sentenza definitiva) e noviter producta (nota<br />

( 6 ) Cass., Sez. un., 26 settembre 2001, Pisano, in Dir. pen. proc., 2002, p. 194 (con nota<br />

di A. Scalfati) ha così definito i confini della categoria, adeguandosi alle convincenti indicazioni<br />

espresse da una dottrina quasi unanime: v., fra gli altri, M. Bargis, Prove nuove ai<br />

fini della revisione, inGiur. it., 1992, II, p. 773.<br />

( 7 ) Cass., sez. VI, 4 dicembre 2006, Tambaro, cit., p. 2979.<br />

( 8 ) In tal modo, l’atto di indagine diviene ‘‘idoneo succedaneo della formazione dialettica<br />

della prova’’: così G. Giostra, Contraddittorio (principio del), II, Diritto processuale penale,<br />

inEnc. giur., vol. VIII, Roma, 2002, p. 9.<br />

( 9 ) Che anche nel patteggiamento la valutazione del giudice si eserciti sugli atti del fascicolo<br />

e non già sulle asserzioni delle parti, è ben chiarito da Corte cost., sent. 2 luglio 1990<br />

n. 313, in Riv. it. dir. proc. pen., 1990, p. 1596.

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