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2.Dante Maffia, Prefazione, in Fenicia, sogno di - Giuseppe Limone

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Centrale nel libro comunque Nóstos, il ricordo del futuro <strong>in</strong> cui il<br />

mondo greco e quello contemporaneo acquistano una lum<strong>in</strong>osità <strong>in</strong>consueta<br />

e si fanno identità <strong>di</strong> un <strong>di</strong>venire eterno che detta le leggi dell’essere e del<br />

non essere, facendo “tutto presente al tempo <strong>di</strong> chi guarda”.<br />

Una <strong>in</strong>tensità musicale si sprigiona da questo poemetto, una<br />

religiosità foscoliana si alza a <strong>di</strong>latare il canto e portarlo <strong>in</strong> una radura<br />

<strong>in</strong>contam<strong>in</strong>ata; e quel “papavero redento” <strong>di</strong>venta davvero ostia consacrata<br />

per una comunione con Dio e con la natura, con ciò che fugge <strong>in</strong> fretta e si<br />

<strong>di</strong>sperde <strong>in</strong> pulviscolo lum<strong>in</strong>escente. Non è la promessa della redenzione,<br />

ma qualcosa <strong>in</strong> più, il ricordo del non accaduto, il tempo frantumato <strong>in</strong><br />

estasi, il bisturi che lacera il misterioso palpito <strong>di</strong> assonanze nascoste nel<br />

<strong>di</strong>luviare delle idee e delle sensazioni, delle emozioni che sp<strong>in</strong>gono<br />

comunque al futuro e <strong>di</strong>p<strong>in</strong>gono “il tuo cuore d’ali / e le mie mani bucate<br />

dalla felicità”.<br />

E come sempre, <strong>Limone</strong> sa <strong>di</strong>radare la temperie addensatasi sul<br />

sistema della felicità perduta, sulla possibilità <strong>di</strong>ventata nodosa e paludosa.<br />

Ed ecco “Venezia sposa”, che si fa specchio del vivere “Forse perché / ha<br />

questo nostro medesimo morire”.<br />

Gli ultimi tre testi, <strong>Fenicia</strong>, Andrò. Il sole <strong>di</strong> Möbius, L’ora della<br />

Fenice sono un’apoteosi, un crescendo mozartiano che trasc<strong>in</strong>a e specifica<br />

gli <strong>in</strong>tenti umani e filosofici dell’autore oramai avviato al viaggio (il libro, o<br />

come io l’ho chiamato, il romanzo, è un vero e proprio viaggio <strong>in</strong>torno a se<br />

stesso) che si concluderà con il ritorno all’<strong>in</strong>nocenza <strong>di</strong> fanciullo. Il quadro è<br />

chiaro, il poeta andrà “verso ovest / a mare aperto ad ali spiegate / dalle risse<br />

dei venti / e non avrò conforto <strong>di</strong> compagni”. Come potrebbe essere<br />

altrimenti? È da sé, da solo che deve trovare, ritrovare le coord<strong>in</strong>ate del<br />

proprio essere, “avendo l’illusione che il tramonto / sia la prova dell’alba” e<br />

tutto avverrà fuori dalle regole, senza aiuti, senza giuda. Come nell’attimo<br />

prima della morte ogni cosa apparirà nel cuore e le immag<strong>in</strong>i <strong>di</strong>venteranno<br />

limpide carezze, ogni cosa troverà il suo assetto def<strong>in</strong>itivo. Gli affetti si<br />

comporranno <strong>in</strong> un ricamo perfetto e il sapore della vita rifluirà grazie alla<br />

presenza <strong>in</strong>separabile dei figli, della donna amata, delle sofferenze <strong>di</strong>ventate<br />

calvario superato e me<strong>di</strong>cato dalla poesia.

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