2.Dante Maffia, Prefazione, in Fenicia, sogno di - Giuseppe Limone
2.Dante Maffia, Prefazione, in Fenicia, sogno di - Giuseppe Limone
2.Dante Maffia, Prefazione, in Fenicia, sogno di - Giuseppe Limone
Create successful ePaper yourself
Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.
Dante <strong>Maffia</strong>, <strong>Prefazione</strong>, <strong>in</strong> <strong>Fenicia</strong>, <strong>sogno</strong> <strong>di</strong> una stella a Nord-<br />
Ovest, E<strong>di</strong>zioni Lepisma, Roma 2008, pp. 5-18.<br />
<strong>Prefazione</strong><br />
<strong>di</strong> Dante <strong>Maffia</strong><br />
Salvatore Quasimodo sosteneva che i filosofi sono “i nemici capitali<br />
della poesia”, naturalmente quando <strong>di</strong>ventano “schedatori fissi del<br />
pensiero”. Se <strong>in</strong>vece il pensiero lo spargono armonicamente e lo <strong>di</strong>stillano<br />
<strong>in</strong> immag<strong>in</strong>i e <strong>in</strong> scatti lirici si ha la grande poesia. Si confront<strong>in</strong>o dante,<br />
Campanella, Leopar<strong>di</strong>, Luzi, solo per fare qualche nome.<br />
Sono pienamente conv<strong>in</strong>to che il calligrafismo, il descrittivismo,<br />
l’annotazione paesaggistica e l’annotazione psicologica sono elementi<br />
importanti <strong>di</strong> un testo, ma se non affondano <strong>in</strong> una visione della vita e nelle<br />
ra<strong>di</strong>ci profonde dell’essere avremo opere piacevoli, carezzevoli, perf<strong>in</strong>o<br />
ammiccanti, ma <strong>in</strong>capaci <strong>di</strong> portarci all’esaltazione totale e allo scontro.<br />
Non si <strong>di</strong>mentichi che i primi gran<strong>di</strong> poeti sono stati i presocratici e che<br />
molte fonti della poesia anche contemporanea att<strong>in</strong>gono a Platone e a<br />
Plot<strong>in</strong>o, a Seneca e a Montaigne, a Pascal e a Rousseau.<br />
Ma questi sono <strong>di</strong>scorsi accennati semplicemente per <strong>di</strong>re che se si<br />
arriva alla poesia dopo lunghi e ponderati stu<strong>di</strong> filosofici è certo che i<br />
risultati saranno considerevoli.<br />
È il caso <strong>di</strong> <strong>Giuseppe</strong> <strong>Limone</strong> che con <strong>Fenicia</strong>, <strong>sogno</strong> <strong>di</strong> un stella a<br />
Nord-Ovest si ripresenta al pubblico dei lettori con la piena consapevolezza<br />
che se vuole trovare la complicità del lettore e la sua comprensione deve<br />
denudarsi, non nascondersi né <strong>di</strong>etro l’ombra delle parole né <strong>di</strong>etro la<br />
concettosità né tanto meno <strong>di</strong>etro la complessità. Il suo deve essere un auto<br />
da fe’ senza sospetti, un bilancio che non esclude nulla, che sia a un tempo<br />
partita doppia della propria esistenza e del tempo <strong>in</strong> cui viviamo.<br />
Credo che <strong>Limone</strong> riesca subito a conquistare il lettore, a portarlo<br />
dentro le ragioni obiettive della sua confessione, dentro una ontologia del<br />
possibile che è <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ita, che si apre <strong>di</strong> cont<strong>in</strong>uo come matriosche sempre più<br />
piccole e sempre più essenziali. Si osservi che nel corpo vivo del tessuto
poetico s’<strong>in</strong>crociano, facendo risonanza e vertig<strong>in</strong>e <strong>in</strong> luoghi <strong>di</strong>versi e<br />
molteplici dell’it<strong>in</strong>erario dell’autore, tre temi lirici <strong>in</strong> una sola parola<br />
evocativa visitata <strong>in</strong> più chiavi: la <strong>Fenicia</strong>. La quale si rivela, come <strong>in</strong> un<br />
progressivo <strong>di</strong>ssigillamento, al tempo stesso: la terra antica dei Fenici centro<br />
<strong>di</strong> partenza simbolica <strong>di</strong> una civiltà me<strong>di</strong>terranea e mar<strong>in</strong>ara, altra ed alta,<br />
possibile alternativa sommersa alle tante che si svilupparono <strong>di</strong> fatto nella<br />
storia del mondo; la figlia del poeta, <strong>Fenicia</strong>, e il tema della resurrezione,<br />
<strong>in</strong>carnato nella celebre figura del mito. Non ci si <strong>in</strong>ganni: i tre motivi sono le<br />
tre chiavi musicali <strong>di</strong> un unico plesso lirico – la catarsi solare del viaggio<br />
come rigenerazione del futuro. Anche le citazioni letterarie nascoste sono<br />
affluenti a questo fiume. Infatti il libro bisogna leggerlo come un unicum e<br />
non come brani sparsi. <strong>Limone</strong> ne ha progettato f<strong>in</strong> nei m<strong>in</strong>imi particolari la<br />
scansione e lo sviluppo ed è evidente che è dall’<strong>in</strong>sieme che si attende la<br />
verifica degli esiti.<br />
Per capire comunque la portata del testo è necessario partire dal<br />
titolo che si richiama alla Fenice, uno degli uccelli mitici <strong>di</strong> cui ci hanno<br />
dato notizia Plutarco ed Erodoto. Pare sia <strong>di</strong> orig<strong>in</strong>e etiopica, <strong>di</strong> bellezza<br />
eccelsa, longevo, con il potere <strong>di</strong> consumarsi nella fiamma del fuoco e <strong>di</strong><br />
r<strong>in</strong>ascere dalle proprie ceneri.<br />
Sulla Fenice sono stati scritti molti volumi, soprattutto durante il<br />
Me<strong>di</strong>oevo che la considerò simbolo della Resurrezione <strong>di</strong> Cristo. In tutti i<br />
mo<strong>di</strong> possiamo leggere nel suo mito la resurrezione, l’immortalità e la<br />
r<strong>in</strong>ascita ciclica o, a partire da Origene, il simbolo della volontà <strong>di</strong><br />
sopravvivenza, il trionfo della vita sulla morte.<br />
La premessa per <strong>di</strong>re che questo libro <strong>in</strong> fondo è una morte totale e<br />
una altrettanto r<strong>in</strong>ascita totale che <strong>Giuseppe</strong> <strong>Limone</strong> compie attraversando<br />
“il punto più <strong>di</strong>fficile, / cercando / gli affetti purissimi / e l’<strong>in</strong>nocenza<br />
dell’aquila / irredenta”. Così ha <strong>in</strong>izio la prima lirica, e dunque il poeta si<br />
presenta privo <strong>di</strong> qualsiasi remora, affidandosi alla libertà e alla clemenza<br />
del lettore e <strong>di</strong> se stesso, ricordando, prima a se stesso e poi a noi lettori,<br />
quali siano stati gli elementi determ<strong>in</strong>anti che l’hanno accompagnato per<br />
lungo tempo e che a un certo punto si sono <strong>di</strong>ssolti. Si rivolge <strong>di</strong>rettamente<br />
al signore, Gli ricorda che ha soccorso “i fiori recisi”, “gli alfabeti / plurali<br />
del respiro, / i gigli illesi, / i coriandoli del nome / e dell’onore” per
condurLo sul suo stesso piano, per <strong>in</strong>vitarlo a scendere a patti con la sua<br />
persona e chiederGli la restituzione delle cose perdute.<br />
C’è <strong>in</strong> questo primo testo la <strong>di</strong>sperazione starei per <strong>di</strong>re gau<strong>di</strong>osa del<br />
proprio percorso che deve servire come moneta e cre<strong>di</strong>to da offrire al<br />
Signore per riavere nelle mani il proprio dest<strong>in</strong>o <strong>di</strong> uomo. <strong>Limone</strong> non<br />
tergiversa, conosce la sua forza <strong>in</strong>teriore, lo slancio con cui ha amato, ha<br />
sofferto, ha goduto, e conosce la mal<strong>in</strong>conia dell’ad<strong>di</strong>o, della rottura con<br />
l’equilibrio e l’armonia del mondo. Un palpito ungarettiano si rivolse <strong>in</strong><br />
scatto campanell<strong>in</strong>o. Le sofferenza sono un travaglio che deve suscitare<br />
l’<strong>in</strong>teresse <strong>di</strong> Dio. E per farci sapere f<strong>in</strong>o a che punto <strong>Limone</strong> è stato uomo<br />
<strong>di</strong> fede, soprattutto nella poesia, oltre che nella vita , fa ricorso a un nume<br />
tutelare che si chiama Federico Garcia Lorca. Vi fa ricorso ad<strong>di</strong>rittura<br />
ricalcandone i moduli espressivi (anche se riportati alla propria <strong>di</strong>mensione<br />
e al proprio ritmo), ricorrendo a una dovizia <strong>di</strong> s<strong>in</strong>estesie che hanno il<br />
bagliore delle lame <strong>di</strong> Toledo, a com<strong>in</strong>ciare dall’<strong>in</strong>cipit: “Il mio cuore<br />
cavalca un puledro / <strong>di</strong> lucido sole”, f<strong>in</strong>o alla glorificazione <strong>di</strong><br />
quell’arcobaleno che “è un pianoforte all’aria / per le tue <strong>di</strong>ta / luce”.<br />
Un lirismo starei per <strong>di</strong>re accecante <strong>in</strong> cui “il pianto rosso<br />
dell’estate” <strong>di</strong>venta a un tempo mal<strong>in</strong>conia fertile e danza irrequieta che<br />
prelude a qualcosa <strong>di</strong> straord<strong>in</strong>ario. La Fenice sa attendere, sa <strong>di</strong>v<strong>in</strong>colarsi<br />
dalle assur<strong>di</strong>tà, dai dolori e trovare l’abbagliante matt<strong>in</strong>o delle nuove albe. Il<br />
poeta altro non è che la Fenice, un unico fiato, un unico f<strong>in</strong>e, un’unica attesa<br />
da cui salterà fuori la nuova strada.<br />
Viene naturalmente da domandarsi se il tu colloquiale a cui i rivolge<br />
<strong>Limone</strong> sia un astratto <strong>in</strong>terlocutore oppure il suo doppio, o il suo amore<br />
sempre sullo sfondo e sempre pronto a <strong>di</strong>ssolversi nella nebbia del ricordo.<br />
Eppure, anche nella caduta egli non recrim<strong>in</strong>a, non fa la vittima, non si<br />
atteggia a giu<strong>di</strong>ce, a moralista. Resta il poeta <strong>in</strong>cantato nella speranza<br />
fenicia e nel grumo irrisolto del dubbio. “Avrei voluto essere il lampo”<br />
spiega l’atteggiamento <strong>di</strong> tenerezza che ricolma le azioni e i pensieri del<br />
poeta che subito dopo si confessa e <strong>di</strong>chiara <strong>di</strong> non avere niente da dare<br />
all’amata, “se non il mio ultimo respiro…. La mia tenerezza <strong>in</strong>visibile … la<br />
mia attesa <strong>in</strong>utile … questi occhi, / segnati da fuochi e da morsi”. Il “pulc<strong>in</strong>o<br />
rannicchiato” a questo punto deve ritrovare le braccia della madre e <strong>in</strong>fatti
icorre a lei, proprio nel giorno dei morti, il due novembre, ma<br />
semplicemente per <strong>di</strong>rle che il pulc<strong>in</strong>o “rannicchiato” è <strong>di</strong>ventato<br />
“sgusciato”.<br />
Mi rendo conto che sto seguendo un it<strong>in</strong>erario <strong>di</strong> lettura che fa<br />
sembrare questo libro un piccolo romanzo. In realtà è proprio un romanzo<br />
questo avvicendarsi <strong>di</strong> ricor<strong>di</strong>, <strong>di</strong> <strong>in</strong>contri, <strong>di</strong> richieste, <strong>di</strong> attese, <strong>di</strong><br />
promesse, ed Etna è il punto nodale <strong>di</strong> un <strong>in</strong>termezzo vissuto come una<br />
rivelazione. Diceva Borges che per capirci meglio, per ritrovare noi stessi a<br />
volte basta soffermare lo sguardo sulle cose e rifletterci proiettando il nostro<br />
doppio e colloquiando. In qualche modo <strong>Limone</strong> attua questo pr<strong>in</strong>cipio e ne<br />
ricava riflessi abbaglianti che illum<strong>in</strong>ano lo stato d’animo <strong>in</strong> cui si trova, le<br />
atmosfere vissute <strong>in</strong> un travaglio che comunque sa sempre sfociare <strong>in</strong> rivoli<br />
che sgusciano dalle tenaglie dell’esasperazione e della <strong>di</strong>sperazione. In<br />
<strong>Limone</strong> non c’è lo smarrimento del deserto a cui per esempio ricorsero nella<br />
<strong>di</strong>sperazione Mar<strong>in</strong>a Cvetaeva e Josif Brodskij, neanche quando descrive,<br />
con lucida consapevolezza, “la sforza del cosmo che non passa, / come<br />
l’istante che mai si consuma: / come una chiesa vuota / <strong>in</strong> cui nessuno crede<br />
più, / <strong>in</strong> cui ramarri sonnecchiano annoiati”.<br />
<strong>Limone</strong> <strong>in</strong>treccia, nella sua confessione, momenti <strong>di</strong> riflessione e<br />
momenti lirici puri, momenti squisitamente narrativi e scavi nel proprio io.<br />
Lo fa con naturalezza, <strong>in</strong>curante degli effetti psicologici, delle onde sonore<br />
che produrrà, dello strazio che farà nascere nel lettore. Egli vuole il lettore<br />
suo complice autentico e non come un viandante che lo sfiora e perciò non<br />
esita a farci assistere a un colloquio col padre – 2 febbraio, per un<br />
anniversario. A mio padre – <strong>in</strong> cui le vite s’<strong>in</strong>trecciano e <strong>in</strong> cui appare<br />
evidente una visione <strong>di</strong> mondo tra<strong>di</strong>to. <strong>Limone</strong> parla ad<strong>di</strong>rittura <strong>di</strong> cilicio e<br />
la parola ci fa comprendere che cosa passa nella sua anima lacerata, nel<br />
subbuglio del suo essere crocifisso all’altare dell’amore e dell’onore. In<br />
Porto <strong>in</strong>vece c’è quasi una nota elegiaca, con accenti civili che spesso<br />
entrano ed escono dalla poesia <strong>di</strong> questo autore così ricco <strong>di</strong> sorprese, al<br />
punto che nella successiva poesia ci parla <strong>di</strong> Dio che è solo a domandarsi<br />
come svegliare i dormienti “domani <strong>di</strong>versi da come li creò”. Dio non è<br />
forse simile a lui nella solitud<strong>in</strong>e? Anche Dio! E qui la universalità della<br />
poesia <strong>di</strong> <strong>Limone</strong> appare <strong>in</strong> tutto il suo fulgore, <strong>in</strong> tutta la sua ampiezza, f<strong>in</strong>o
a trovare Lungo un cielo <strong>di</strong> braci la raff<strong>in</strong>atezza della contemplazione che<br />
<strong>in</strong>vece erompe <strong>in</strong> sc<strong>in</strong>tille <strong>in</strong>fuocate <strong>in</strong> 27 <strong>di</strong>cembre, <strong>in</strong> cui c’è lo sferragliare<br />
della decomposizione <strong>di</strong> un dolore senza riparo, e c’è l’isterilirsi <strong>di</strong> un<br />
magma che deve trovare la sua rapida per uscire senza fare danno. Gli<br />
accenti <strong>di</strong> <strong>Limone</strong> squillano come spifferi <strong>in</strong>candescenti, sbandano. Ma alla<br />
f<strong>in</strong>e ritrovano una ragione d’essere, seppure contam<strong>in</strong>ata dal tripu<strong>di</strong>are del<br />
male, dalle lacerazioni <strong>di</strong> un <strong>di</strong>ssesto umano che all’<strong>in</strong>izio grida e si <strong>di</strong>batte.<br />
Ma la sua anima stessa è Fenice che rimonta il <strong>di</strong>ssesto e ritrova il sole.<br />
Dicesti è più ragionata, più pacata. È lirica che cerca il senso non dal<br />
nonsenso, ma ancora una volta dalla me<strong>di</strong>tazione, dal pensiero, dalla<br />
r<strong>in</strong>uncia <strong>in</strong>tesa come riscatto della verità, come promessa che svela il<br />
mistero della stella.<br />
Questi rapi<strong>di</strong> accenni che cercano <strong>di</strong> scandagliare i segreti<br />
impoll<strong>in</strong>ati nelle parole <strong>di</strong> <strong>Limone</strong> sono appena un barbaglio percepito a<br />
volo <strong>di</strong> rond<strong>in</strong>e. Nelle poesie <strong>di</strong> <strong>Limone</strong> c’è molto <strong>di</strong> più, è quel sostrato <strong>di</strong><br />
filosofia “sfar<strong>in</strong>ata” nei messaggi, <strong>di</strong>luita <strong>in</strong> un pulviscolo che irrora <strong>di</strong><br />
compostezza e <strong>di</strong> fermezza ogni verso. Ma teorizzare <strong>in</strong> maniera decisa a<br />
prefazione <strong>di</strong> libro così sfolgorante <strong>di</strong> metafore sarebbe un eccesso che<br />
<strong>in</strong>ficerebbe la lettura. Se vogliamo trovare supporti <strong>di</strong> carattere filosofico a<br />
questa poesia che gronda umanità e si appella alla <strong>di</strong>screzione del canto<br />
<strong>in</strong>teso come risorsa per salvare la persona, non sarà <strong>di</strong>fficile trovare riscontri<br />
nei tanti testi <strong>di</strong> <strong>Limone</strong>. Egli ha stu<strong>di</strong>ato a lungo e profondamente <strong>in</strong> che<br />
consiste la centralità dell’uomo, non negli <strong>in</strong>tenti r<strong>in</strong>ascimentali ma <strong>in</strong> quelli<br />
che sono i fermenti dell’anima a cospetto della degradazione e delle<br />
rivoluzioni vere e fittizie e ne ha tratto conv<strong>in</strong>zioni che andrebbero valutate<br />
alla luce del frastagliamento o<strong>di</strong>erno per misurare quanta parte <strong>di</strong> irrealtà<br />
circola nelle tesi dei f<strong>in</strong>ti filosofi e nelle affermazioni dei politici che hanno<br />
perduto la meta e sbandano <strong>in</strong> <strong>di</strong>rezioni <strong>in</strong>sensate. Nella poesia <strong>di</strong> <strong>Limone</strong> ci<br />
sono le certezze del vivere, c’è l’amore, con e senza la maiuscola, che<br />
determ<strong>in</strong>a il camm<strong>in</strong>o e lo rende possibile. Tanto è vero che <strong>in</strong> Pirami<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />
pietra noi sentiamo il peso e lo spessore del tempo e ne avvertiamo la<br />
consistenza feroce, il passo deciso che rende tutto “alti misteri umani<br />
prosciugati”.
Centrale nel libro comunque Nóstos, il ricordo del futuro <strong>in</strong> cui il<br />
mondo greco e quello contemporaneo acquistano una lum<strong>in</strong>osità <strong>in</strong>consueta<br />
e si fanno identità <strong>di</strong> un <strong>di</strong>venire eterno che detta le leggi dell’essere e del<br />
non essere, facendo “tutto presente al tempo <strong>di</strong> chi guarda”.<br />
Una <strong>in</strong>tensità musicale si sprigiona da questo poemetto, una<br />
religiosità foscoliana si alza a <strong>di</strong>latare il canto e portarlo <strong>in</strong> una radura<br />
<strong>in</strong>contam<strong>in</strong>ata; e quel “papavero redento” <strong>di</strong>venta davvero ostia consacrata<br />
per una comunione con Dio e con la natura, con ciò che fugge <strong>in</strong> fretta e si<br />
<strong>di</strong>sperde <strong>in</strong> pulviscolo lum<strong>in</strong>escente. Non è la promessa della redenzione,<br />
ma qualcosa <strong>in</strong> più, il ricordo del non accaduto, il tempo frantumato <strong>in</strong><br />
estasi, il bisturi che lacera il misterioso palpito <strong>di</strong> assonanze nascoste nel<br />
<strong>di</strong>luviare delle idee e delle sensazioni, delle emozioni che sp<strong>in</strong>gono<br />
comunque al futuro e <strong>di</strong>p<strong>in</strong>gono “il tuo cuore d’ali / e le mie mani bucate<br />
dalla felicità”.<br />
E come sempre, <strong>Limone</strong> sa <strong>di</strong>radare la temperie addensatasi sul<br />
sistema della felicità perduta, sulla possibilità <strong>di</strong>ventata nodosa e paludosa.<br />
Ed ecco “Venezia sposa”, che si fa specchio del vivere “Forse perché / ha<br />
questo nostro medesimo morire”.<br />
Gli ultimi tre testi, <strong>Fenicia</strong>, Andrò. Il sole <strong>di</strong> Möbius, L’ora della<br />
Fenice sono un’apoteosi, un crescendo mozartiano che trasc<strong>in</strong>a e specifica<br />
gli <strong>in</strong>tenti umani e filosofici dell’autore oramai avviato al viaggio (il libro, o<br />
come io l’ho chiamato, il romanzo, è un vero e proprio viaggio <strong>in</strong>torno a se<br />
stesso) che si concluderà con il ritorno all’<strong>in</strong>nocenza <strong>di</strong> fanciullo. Il quadro è<br />
chiaro, il poeta andrà “verso ovest / a mare aperto ad ali spiegate / dalle risse<br />
dei venti / e non avrò conforto <strong>di</strong> compagni”. Come potrebbe essere<br />
altrimenti? È da sé, da solo che deve trovare, ritrovare le coord<strong>in</strong>ate del<br />
proprio essere, “avendo l’illusione che il tramonto / sia la prova dell’alba” e<br />
tutto avverrà fuori dalle regole, senza aiuti, senza giuda. Come nell’attimo<br />
prima della morte ogni cosa apparirà nel cuore e le immag<strong>in</strong>i <strong>di</strong>venteranno<br />
limpide carezze, ogni cosa troverà il suo assetto def<strong>in</strong>itivo. Gli affetti si<br />
comporranno <strong>in</strong> un ricamo perfetto e il sapore della vita rifluirà grazie alla<br />
presenza <strong>in</strong>separabile dei figli, della donna amata, delle sofferenze <strong>di</strong>ventate<br />
calvario superato e me<strong>di</strong>cato dalla poesia.
Tutto il libro ha qualcosa <strong>di</strong> profetico e <strong>di</strong> immenso; come se dalla<br />
carne <strong>di</strong> <strong>Giuseppe</strong> <strong>Limone</strong> si sprigionasse un vento caldo che score tra le<br />
parole e le rende cose. Non so quanto la lezione <strong>di</strong> Heidegger sia entrata<br />
nella visione estetica <strong>di</strong> <strong>Limone</strong>: è certo che egli compie uno sforzo enorme<br />
per portare alla s<strong>in</strong>tesi mon<strong>di</strong> <strong>in</strong>f<strong>in</strong>iti e mon<strong>di</strong> che stanno <strong>in</strong> agguato sullo<br />
sfondo delle possibilità. Il poeta è come v<strong>in</strong>to costantemente dalla bellezza e<br />
dall’amore e si avverte che la presenza, per esempio, dei due figli, è come<br />
un me<strong>di</strong>camento salutare per fargli superare le avversità e ridargli vigore.<br />
Naturalmente il “romanzo” non si conclude con nessun commento.<br />
Tutto resta aperto, come il cielo, come le “rosse Fenici / calate <strong>in</strong> mare per<br />
rigenerare / il perso alfabeto dei respiri, il giorno al sole, / le ceneri e la luce,<br />
le ra<strong>di</strong>ci e le ali, sempre votate a essere / immortali, /a risorgere da sé”.<br />
In tempi come i nostri <strong>di</strong> “povere cose” e quasi mai miracolose, per<br />
ricordare Lorenzo Calogero, un libro <strong>di</strong> questa portata è un atto <strong>di</strong> fede nella<br />
gioia, nell’amore, nel mondo, nonostante la violenza, i lutti e l’<strong>in</strong><strong>di</strong>fferenza.<br />
Dante <strong>Maffia</strong>