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riflessioni sui primi undici capitoli della genesi - Rocco Li Volsi – Saggi

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«Questa volta essa<br />

è carne dalla mia carne<br />

e osso dalle mie ossa.<br />

La si chiamerà donna<br />

perché dall’uomo è stata tolta».<br />

Rimaniamo al racconto così come esso si presenta nella sua forma favolistica. Il torpore profondo che Dio fa scendere su Adamo<br />

non ha certo un fine anestetico, ma quello di nascondere il mistero che stava per compiere: Adamo non doveva sapere qual’è l’atto<br />

generativo mediante il quale stava per nascere Eva. Tanto più che Dio, tratta la costola dall’uomo, la ‘plasma’ senza soffiare in essa<br />

“un alito di vita”: il corpo di Adamo, anzi una sua parte, possiede ormai in sé questo “alito di vita”, così come il seme umano, in<br />

generale, lo possiede, ed è dunque in grado di dar luogo ad un altro essere umano.<br />

Questo nuovo essere (Eva, “madre di tutti i viventi”, 3, 20) è per Adamo parte di sé così profonda da non poter egli separare il<br />

proprio destino dal suo. L’unione sacramentale del matrimonio ha qui il suo naturale fondamento, come ha il suo fondamento<br />

‘metafisico’ nell’essere l’uomo fatto a immagine di Dio, e nell’essere anche immagine del ‘matrimonio’ di Gesù con la sua Sposa: la<br />

Chiesa.<br />

La seconda parte del versetto 23 (“La si chiamerà donna perché dall’uomo è stata tolta “) ci ricorda il Cur Deus homo? di<br />

Anselmo d’Aosta, il quale in questo opuscolo, tra le altre ragioni del perché Dio si è fatto uomo, ricorda e applica il principio di<br />

esaustività. Tale principio gli fa trarre a proposito <strong>della</strong> nascita di Gesù la seguente conclusione: 1. poiché, naturalmente parlando,<br />

ogni uomo e ogni donna nascono dal concorso di un uomo e di una donna; 2. poiché Adamo nacque senza il concorso né dell’uomo né<br />

<strong>della</strong> donna; 3. poiché una donna (Eva) nacque dal concorso del solo uomo (Adamo); 4. era necessario che un uomo (Gesù) nascesse<br />

dal concorso <strong>della</strong> sola donna (Maria). 19 In questo modo, sono state attuate tutte le possibilità: in particolare, quella <strong>della</strong> nascita di<br />

Eva, in un tempo astorico; quella <strong>della</strong> nascita di Gesù, nella ‘pienezza dei tempi’.<br />

La nascita delle donne nel Popol Vuh fa riferimento espressamente al ‘sonno’ dei <strong>primi</strong> quattro uomini, ed essa è narrata in questo<br />

modo:<br />

“Allora ebbero vita anche le loro mogli e vennero fatte le loro donne. Dio stesso le fece con cura. E così, durante il sonno,<br />

giunsero, belle davvero, le loro donne, accanto a Balam-Quitzé, Balam-Acab, Mahucutah ed Iqui-Balam. Là erano anche le loro<br />

donne quando essi si svegliarono, e subito i loro cuori si riempirono di gioia vedendo le loro mogli. Ecco i nomi delle loro donne:<br />

Cahá-Paluna era il nome <strong>della</strong> moglie di Balam-Quitzé; Chomihá si chiamava la moglie di Balam-Acab; Tzununihá, la moglie di<br />

Mahucutah; e Caquixahá era il nome <strong>della</strong> moglie di Iqui-Balam. Questi sono i nomi delle loro mogli, le quali erano Signore<br />

insigni.” 20<br />

“Poi [gli dèi] fecero un uomo e una donna: dissero l’uomo Uxumuco e la donna Cipastonal (Cipactónal), comandarono loro che<br />

lavorassero la terra e che lei filasse e tessesse e che da loro sarebbero nati i macehuales (la gente) e che non riposassero ma che<br />

sempre lavorassero”. 21<br />

Anche in questo ultimo caso abbiamo una notevole vicinanza al testo biblico sia per la creazione di una sola coppia umana, sia<br />

perché Jahvè impone ad Adamo il lavoro come riscatto dal peccato di disobbedienza, come avviene con la coppia <strong>della</strong> tradizione<br />

azteca. Interessante ancora, come ricordavamo, è il riferimento al “sonno” dei quattro uomini prima che Dio facesse “con cura” le loro<br />

mogli. Il numero di queste persone sembra derivare dalla contaminazione di due diversi episodi: quello <strong>della</strong> creazione dei <strong>primi</strong> due<br />

esserei umani, e quello delle otto persone che si salvarono dal diluvio.<br />

Scrive il Vescovo Molina a proposito di una tradizione peruviana: “Questi indios ritenevano cosa certissima e risaputa che il<br />

Creatore e i suoi figli non nacquero da donna, che erano immutabili e che non dovevano neppure aver fine.” 22<br />

24 Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne. 25 Ora<br />

tutti e due erano nudi, l’uomo e sua moglie, ma non ne provavano vergogna.<br />

L’abbandono dei genitori da parte dell’uomo dà luogo ad un terzo nucleo familiare indipendente, in modo che gli sposi si uniscano<br />

e siano “una carne sola” nei figli. È l’indissolubilità del matrimonio di cui parla anche Gesù. Il figlio è l’unione <strong>della</strong> carne dei due<br />

genitori; e come il figlio non può non essere figlio di ciascun genitore e di entrambi per sempre, così per il figlio i due sposi non<br />

possono essere estranei l’uno all’altro, per sempre.<br />

Adamo ed Eva, nati adulti, avevano, come gli animali, ‘indifferenza’ alla nudità propria ed altrui, perché non vi era in loro<br />

perversione. Ma dopo il peccato originale, essi stessi cercano di coprirsi; poi il “Signore Dio fece all’uomo e alla donna tuniche di<br />

pelli e li vestì.” (3, 21) San Paolo infine affermerà che, dopo la salvezza portata da Gesù, l’uomo aspira ad andare oltre l’ambito<br />

naturale, e desidera essere ‘rivestito’, non spogliato. “In realtà quanti siamo in questo corpo, sospiriamo come sotto un peso, non<br />

volendo essere spogliati, ma sopravvestiti, perché ciò che è mortale venga assorbito dalla vittoria.” 23<br />

Possiamo dire che la nudità è propria dello stato di innocenza (come per i neonati); il ricoprirsi di foglie di fico è un tentativo di<br />

nascondere il peccato originale, ed è segno di paura e di vergogna; le vesti di pelli fatte da Dio, è segno di dignità; l’ultimo<br />

rivestimento, nel Regno di Dio, segno di gloria.<br />

19 Il principio di esaustività è presente, più o meno consciamente utilizzato, nella speculazione greca, ma è messo a punto soltanto da Platone nelle così dette ipotesi<br />

sull’Uno del Parmenide, quando propone la riforma <strong>della</strong> dialettica di Zenone di Elea.<br />

20 Popol Vhu, p. 129.<br />

21 León-Portilla, p. 181, Historia de los Mexicanos por sus pinturas, in Nueva Colleción de Documentos para la Historia de México, III.<br />

22 Cristóbal de Molina, Leggende e riti degli Incas, Il Cerchio, 1993, p. 30.<br />

23 2 Corinzi 5, 4.<br />

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