Ancora nel Popol Vuh troviamo la narrazione, anche in termini tragici, <strong>della</strong> confusione delle lingue e <strong>della</strong> dispersione dei popoli su tutta la terra. “Così dicevano là dove vedevano il sorgere il sole. Una stessa era la lingua di tutti. Non invocavano il legno né la pietra, e si rammentavano <strong>della</strong> parola del Creatore e del Formatore, del Cuore del Cielo, del Cuore <strong>della</strong> Terra. Così parlavano ed attendevano con ansia il sorgere dell’aurora.” 52 “Ed essendo giunta al loro orecchio notizia di una città, si avviarono in quella direzione.” 53 “Ed allora giunsero tutti i popoli, quelli di Rabinal, i Cakchiquel, quelli di Tziquinahá e le genti che ora si chiamano Yaqui. E là si alterò il linguaggio delle tribù; le loro lingue divennero diverse. Non potevano più capirsi chiaramente tra di loro dopo il loro arrivo a Tulán. Là pure si separarono, ve ne furono alcune che andarono verso l’Oriente, ma molte si diressero da questa parte. Ed i loro indumenti erano soltanto pelli di animali; non avevano vesti da indossare, le pelli di animali erano il loro solo abbigliamento. Erano poveri, non possedevano nulla, ma la loro era natura di uomini prodigiosi. Quando giunsero a Tulán- Zuiva, Vucub-Pec, Vucub-Ziván, dicono le antiche tradizioni che essi avevano percorso un lungo cammino per giungere a Tulán.” 54 “Il linguaggio di Balam-Quitzé, Balam-Acab, Mahucutan ed Iqui-Balam è diverso. Ahi! Abbiamo abbandonato la nostra lingua! Che cosa abbiamo fatto? Siamo perduti! Dove fummo ingannati? Una sola era la nostra lingua quando giungemmo là a Tulà; in un solo modo eravamo stati creati ed educati. Non è bello ciò che abbiamo fatto, - dissero tutte le tribù sotto gli alberi e sotto le liane.” 55 Un racconto tanto particolareggiato presuppone il ricordo di un fatto realmente accaduto; ma questo fatto, noi sappiamo che non può essere collocato poco prima <strong>della</strong> nostra éra, bensì che deve risalire a tempi remotissimi, come la Bibbia fa capire, per determinare i quali i riferimenti cronologici che propone sono del tutto inadeguati. Il moltiplicarsi dell’umanità dopo il diluvio senza dubbio dovette aver bisogno di moltissimo tempo, ma, pur nella relativa dispersione di cui parla il Popol Vuh, ciò non aveva tolto l’unità linguistica agli uomini. Si erano formati popoli e tribù per una naturale ramificazione etnica, ma l’unità si era mantenuta proprio grazie all’unicità del linguaggio. La tendenza alla dispersione per un processo di possedimento territoriale certo esisteva, ma è forse proprio per questo che la Genesi parla di una città che doveva essere costruita da tutti affinché l’umanità non si disperdesse sulla terra e mantenesse quell’unità per la costruzione di ‘una torre che toccasse il cielo’, e gli uomini ‘si facessero un nome’. Sul piano spirituale, questa unità è stata realizzata e simboleggiata nella discesa dello Spirito Santo su Maria e gli Apostoli, riuniti in preghiera. Successivamente, infatti, gli apostoli, usciti in strada e parlando alla gente, vengono intesi dalle diverse persone lì riunite. “1 Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. 2 Venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano. 3 Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro; 4 ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere d’esprimersi. 5 Si trovavano allora in Gerusalemme Giudei osservanti di ogni nazione che è sotto il cielo. 6 Venuto quel fragore, la folla si radunò e rimase sbigottita perché ciascuno li sentiva parlare la propria lingua. 7 Erano stupefatti e fuori di sé per lo stupore dicevano: «Costoro che parlano non sono forse tutti Galilei? 8 E com’è che li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa? 9 Siamo Parti, Medi, Elamìti e abitanti <strong>della</strong> Mesopotamia, <strong>della</strong> Giudea, <strong>della</strong> Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, 10 <strong>della</strong> Frigia e <strong>della</strong> Panfilia, dell’Egitto e delle parti <strong>della</strong> <strong>Li</strong>bia vicino a Cirène, stranieri di Roma, 11 Ebrei e prosèliti, Cretesi e Arabi e li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio». 12 Tutti erano stupiti e perplessi, chiedendosi l’un l’altro: «Che significa questo?».” 56 10 Questa è la discendenza di Sem: Sem aveva cento anni quando generò Arpacsad, due anni dopo il diluvio; 11 Sem, dopo aver generato Arpacsad, visse cinquecento anni e generò figli e figlie. 12 Arpacsad aveva trentacinque anni quando generò Selach; 13 Arpacsad, dopo aver generato Selach, visse quattrocentotré anni e generò figli e figlie. 14 Selach aveva trent’anni quando generò Eber; 15 Selach, dopo aver generato Eber, visse quattrocentotré anni e generò figli e figlie. 16 Eber aveva trentaquattro anni quando generò Peleg; 17 Eber, dopo aver generato Peleg, visse quattrocentotrenta anni e generò figli e figlie. 18 Peleg aveva trent’anni quando generò Reu; 19 Peleg, dopo aver generato Reu, visse duecentonove anni e generò figli e figlie. 20 Reu aveva trentadue anni quando generò Serug; 21 Reu, dopo aver generato Serug, visse duecentosette anni e generò figli e figlie. 22 Serug aveva trent’anni quando generò Nacor; 23 Serug, dopo aver generato Nacor, visse duecento anni e generò figli e figlie. 24 Nacor aveva ventinove anni quando generò Terach; 25 Nacor, dopo aver generato Terach, visse centodiciannove anni e generò figli e figlie. 26 Terach aveva settant’anni quando generò Abram, Nacor e Aran. 27 Questa è la posterità di Terach: Terach generò Abram, Nacor e Aran: Aran generò Lot. 28 Aran poi morì alla presenza di suo padre Terach nella sua terra natale, in Ur dei Caldei. 29 Abram e Nacor si presero delle mogli; la moglie di Abram si chiamava Sarai e la moglie di Nacor Milca, ch’era figlia di Aran, padre di Milca e padre di Isca. 30 Sarai era sterile e non aveva figli. 31 Poi Terach prese Abram, suo figlio, e Lot, figlio di Aran, figlio cioè del suo figlio, e Sarai sua nuora, moglie di Abram suo figlio, e uscì con loro da Ur dei Caldei per andare nel paese di Canaan. Arrivarono fino a Carran e vi si stabilirono. 32 L’età <strong>della</strong> vita di Terach fu di duecentocinque anni; Terach morì in Carran. La discendenza di Sem è per noi importante perché ci conduce a Terach (e poi ad Abramo): egli infatti è colui che tenta di allontanarsi da una patria (Ur dei Caldei) che certamente non ‘camminava con Dio’, “per andare nel paese di Canaan”, ma forse anche per ritornare alle origini. Intraprende infatti un viaggio che probabilmente avrebbe dovuto condurre all’Ararat. Ma egli, risalendo l’Eufrate, imbocca un affluente che lo svia, e si ferma a Carran. Il suo sembra essere stato il tentativo naturale di tornare a Dio, ma sarà Dio stesso a chiamare a Sé suo figlio Abramo per condurlo veramente “nel paese di Canaan”, e costituirlo protagonista di un nuovo patto. 52 Popol Vuh, p. 131. 53 Popol Vuh, p. 132. 54 Popol Vuh, p. 133. Interessante è il riferimento agli indumenti che “erano soltanto pelli di animali”, ancora come quelli fatti da Dio per Adamo ed Eva. 55 Popol Vuh, p. 135. 56 Atti degli Apostoli, 2. 20
Con la morte di Terach si chiude il primo periodo <strong>della</strong> storia dell’uomo legata alla sua salvezza: l’uomo da solo non riesce ad avvicinarsi a Dio; anzi la sua natura corrotta lo porta quasi inevitabilmente al male, e ad ostacolare il progetto di Dio. L’albero <strong>della</strong> conoscenza del bene e del male non ha dato buoni frutti, e ora avrà bisogno di un vero e proprio innesto, o meglio, l’umanità avrà bisogno dell’innesto divino del Verbo increato ed eterno che, nella ‘pienezza dei tempi, si incarni nel seno di una vergine di nome Maria. Sarà allora possibile la visione storica e metastorica <strong>della</strong> vicenda umana, e la sua valutazione che in precedenza era preclusa. Questa visione integrale è stata effettuata, pur con i suoi limiti, da San Bonaventura di Bagnoregio, mediante la teoria degli status <strong>della</strong> natura umana, di cui qui basta riportare lo schema cronologico e quello di valore. Il primo è il seguente: 1. natura originaria o incorrotta; 2. natura corrotta; 3. natura redenta; 4. natura glorificata. Il secondo schema è invece questo: 1. natura glorificata; 2. natura redenta; 3. natura originaria; 4. natura corrotta. San Bonaventura sottolinea che lo status <strong>della</strong> natura corrotta è quella che è incapace di comprendere le altre, mentre lo status di gloria è quello più idoneo alla comprensione di tutti gli altri, e al di sotto di questo, lo status <strong>della</strong> natura redenta, che possedendo la fede, può indirizzare, integrare e valorizzare quanto la natura corrotta possiede ancora di bene. Infatti, la natura umana, dopo il peccato originale, è quella più lontana da Dio e più immersa nel male, meno capace per ciò di servirsi dell’albero <strong>della</strong> conoscenza del bene e del male, meno in grado di costruire una città fondata sul bene, anzi capace soltanto di dar luogo a quella ‘città dell’uomo’ a cui Sant’Agostino contrapponeva la ‘città di Dio. Come abbiamo visto, il radicarsi sulla terra, attraverso la costruzione delle <strong>primi</strong>ssime città (da quella di Enoch a quelle di Nembrot, che non abbiamo considerato), abbandonando la vita nomade del pastore, è stata una delle prime tentazioni dell’uomo. Ma gli uomini restano in ogni caso pellegrini sulla terra, anzi gregge disperso, bisognoso di un Pastore che li riunisca in un solo ovile attraverso l’amore. 21