riflessioni sui primi undici capitoli della genesi - Rocco Li Volsi – Saggi
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è il mio splendore. Grazie a me gli uomini cammineranno e vinceranno. Poiché sono d’argento i miei occhi, fulgenti come pietre<br />
preziose, come smeraldi; i miei denti splendono come pietre fini, simili alla faccia del cielo. Il mio naso splende da lontano come<br />
la luna, il mio trono è d’argento e la faccia <strong>della</strong> terra s’illumina quando vado davanti al mio trono. - E così io sono il sole, io sono<br />
la luna, per la stirpe umana. Così sarà, poiché la mia vista si spinge molto lontano. - A questo modo parlava Vucub-Caquix. Ma, in<br />
realtà, Vucub-Caquix non era il sole; si vanagloriava soltanto delle proprie piume e ricchezze. Ma la sua vista giungeva soltanto<br />
all’orizzonte e non spaziava su tutto il mondo. Ancora non si vedeva la faccia del sole, né <strong>della</strong> luna, né delle stelle, ed ancora non<br />
era spuntata l’alba. Per questa ragione Vucub-Caquix si pavoneggiava come se fosse lui il sole e la luna, poiché ancora non era<br />
apparso né si mostrava il chiarore del sole e <strong>della</strong> luna. La sua unica ambizione era innalzarsi e dominare.” 24<br />
Interessante, inoltre, in questo brano le parole di Vucub-Caquix: “Grazie a me gli uomini cammineranno e vinceranno”, se non<br />
ricordano espressamente l’impresa <strong>della</strong> torre di Babele, alludono certo a qualcosa di analogo.<br />
Presso gli Aztechi viene riportata la leggenda di Quetzalcóatl, nel quale non sempre si tengono distinte la figura del dio principale<br />
del popolo (Quetzalcóatl = “Serpente piumato”) e quella dell’omonimo sacerdote; ma il dio azteco si può avvicinare a quello maya e<br />
al Lucifero biblico: ‘la stella del mattino’.<br />
“(50) Poi che si fu preparato, egli stesso si appiccò fuoco e si cremò: per questo si chiama il crematoio lì dove Quetzalcóatl si<br />
cremò. Si dice che quando bruciò, all’istante si innalzarono le sue ceneri, e che comparvero a vederlo tutti gli uccelli preziosi, che<br />
si innalzano e girano per il cielo: il tlauhquéchol, lo xiuhtótotl, il tzinizcan, i pappagalli tozneneme, ollome e cochome e tanti altri<br />
uccelli belli. Nell’esaurirsi le sue ceneri, subito videro innalzarsi il cuore di Quetzalcóatl. Come sapevano, fu in cielo ed entrò nel<br />
cielo. Dicevano i vecchi che si convertì nella stella che sale all’alba; così come dicono che apparve, quando morì Quetzalcóatl, a<br />
chi per questo chiamava il Signore dell’alba (tlahuizcalpantectli). Dicevano che, quando egli morì, soltanto per quattro giorni non<br />
apparve, perché allora andò ad abitare tra i morti (mictlan); e che ugualmente in quattro giorni si provvide di frecce; per la qual<br />
cosa dopo otto giorni apparve la grande stella (Venere), che chiamavano Quetzalcóatl. E aggiungevano che allora si intronizzò<br />
come Signore.” 25<br />
Tra la bontà di Dio e quella del Creato va posta dunque l’azione negativa di un essere ribelle all’armonia esistente. Il problema del<br />
male è però soltanto spostato, poiché non si comprende come possa essere avvenuto che una creatura (Lucifero) fosse tentata al male<br />
e l’abbia compiuto. Se dunque vi era nel paradiso terrestre l’albero <strong>della</strong> conoscenza del bene e del male, qualcosa di simile doveva<br />
esistere nel paradiso celeste. Questo ‘qualcosa’, legato alla conoscenza, doveva essere la visione dell’ordine gerarchico dell’Universo<br />
creato, con la presenza in esso di un essere per metà tratto dal fango e per metà “soffio di vita”: l’uomo, creato a immagine e<br />
somiglianza di Dio. Ciò poteva apparire un disordine nell’ordine universale, non ‘sopportabile’ da una natura spirituale.<br />
Egli disse alla donna: «È vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di nessun albero del giardino?». 2 Rispose la donna<br />
al serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, 3 ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al<br />
giardino Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morirete».<br />
L’astuzia del serpente si manifesta con una domanda di meraviglia: ‘possibile che Dio vi abbia proibito di mangiare dei frutti di<br />
qualsiasi albero del giardino’? Ma la domanda non è fine a se stessa: essa ha di mira la confessione da parte di Eva che esiste un<br />
albero particolare i cui frutti non solo non devono essere mangiati, ma neppure toccati.<br />
Eva non indica il nome di questo albero se non dicendo “che sta in mezzo al giardino”. Ora, noi sappiamo che Dio impose questo<br />
divieto ad Adamo quando Eva non era ancora stata formata: possiamo per ciò dedurre due cose: 1. che Eva sia stata informata da<br />
Adamo, e non anche lei da Dio direttamente; 2. che questo fatto rappresenti per il serpente il punto di debolezza dell’uomo in quanto<br />
maschio e femmina, e la possibilità di raggiungere il proprio scopo. Eva aveva ascoltato indirettamente la parola di Dio, e dunque la<br />
fedeltà ad essa poteva essere più vulnerabile. Anche lei, ad ogni modo, ripete quanto Dio aveva riferito come effetto <strong>della</strong> eventuale<br />
disobbedienza: il frutto dell’albero <strong>della</strong> scienza del bene e del male avrebbe portato alla morte.<br />
Cosa veramente potesse voler dire questa conclusione, e cioè quanto potesse incidere su persone poste in un mondo in cui non<br />
esistevano il male e la morte, non è chiaro, poiché mancava un senso dialettico <strong>della</strong> vita, anche se il serpente, proprio con la sua<br />
domanda iniziale che comporta una risposta negativa, ne dà l’inizio. Infatti, al divieto incondizionato di Dio fa riscontro ora in Eva la<br />
possibilità di una conoscenza del bene e del male, sebbene rimanga come una possibilità esteriore, non ancora propriamente problema<br />
<strong>della</strong> coscienza, come invece avverrà allorché “vide che l’albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per<br />
acquistare saggezza”.<br />
4 Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! 5 Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i<br />
vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male».<br />
Il serpente mette in dubbio la parola di Dio, suggerendo che Dio ha ingannato Adamo, e teme che diventi come Lui, “conoscendo<br />
il bene e il male”: la sua astuzia consiste in un inganno che si nasconde nella verità: non dice il falso, ma una verità di cui neppure<br />
comprende la portata. E in realtà, la verità, benché ‘renda liberi’, secondo le parole di Gesù, non è l’espressione più alta dell’uomo o<br />
di Dio, ma anch’essa è strumentale, e può essere volta al bene come al male. La stessa espressione “La verità vi renderà liberi”,<br />
mostra questa sua funzione, e con il termine ‘liberi’ Gesù indica il bene completo in noi: Dio.<br />
Il male dunque ‘striscia’ ormai nel mondo, e la parola del serpente può avere la stessa autorevolezza di quella di Dio, poiché<br />
entrambe sono parole di verità: l’uomo morrà, e nello stesso tempo diverrà come Dio. In realtà, al serpente non importa nulla<br />
dell’uomo: in lui vuole colpire Dio; e la sua sfida è quella di ‘costringere’ Dio ad abbassarsi al livello umano, costringendolo a<br />
spogliandosi <strong>della</strong> sua gloria. Se infatti l’uomo diverrà come Dio, Dio diverrà come l’uomo. Credo che il mistero dell’incarnazione<br />
del Verbo abbia qui il primo riferimento indiretto.<br />
6 Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese<br />
del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò. 7 Allora si aprirono gli<br />
occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture.<br />
24 Popol Vuh, p. 21<br />
25 Códice Chimalpopoca. Annales de Cuauhtitlán y Leyenda de los Soles, Universidad Nacional Autónoma de México, México 1992, p. 11.<br />
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