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riflessioni sui primi undici capitoli della genesi - Rocco Li Volsi – Saggi

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RIFLESSIONI<br />

SUI PRIMI UNDICI CAPITOLI DELLA GENESI<br />

L’opera dei sei giorni<br />

Genesi 1*<br />

1 In principio Dio creò il cielo e la terra.<br />

Il primo versetto sintetizza tutta la creazione: Dio, all’inizio del tempo, fuori dell’eterno, (“In principio”), creò il cielo e la terra. Il<br />

binomio ‘cielo e terra’ ricompare, ad esempio, nell’Apocalisse, l’ultimo libro <strong>della</strong> Bibbia, in cui si dice che saranno ‘ricreati’ un cielo<br />

nuovo e una terra nuova: “1 Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi”. (21) 1<br />

Di Dio si dice che ‘abita’ nel “cielo dei cieli”, cioè al di là di quanto Egli ha creato. E tuttavia, non vi è altro ‘luogo’ che Dio,<br />

poiché ogni creatura ha il proprio essere (e cioè, il proprio essere intellegibile) nell’Essere di Dio, nel Verbo. Questo non comporta<br />

una concezione panteistica, poiché la sintesi, mediante la quale un qualcosa di creato esiste, è, sì, identica a quella propria di Dio, ma<br />

è fatta ad extra e non ad intra come avviene per la SS. Trinità. 2 Panteistica sarà quella condizione finale nella quale Dio sarà tutto in<br />

tutti. 3<br />

Dio dunque, creando, fa esistere fuori dell’eterno, condizione sua propria, degli esseri che possono esistere soltanto nel tempo:<br />

così, tempo e Creazione nascono assieme, né possono esistere l’una senza l’altro. Qui, dunque, si negano chiaramente due cose: 1. che<br />

l’Universo sia eterno (concezione antica); 2. che abbia cominciato ad esistere nel tempo senza dipendenza di questo dall’eterno<br />

(concezione moderna). Una adeguata risposta la fornisce Platone nel Timeo, quando definisce il tempo “immagine mobile<br />

dell’eternità”. 4 In una non facile pagina del Parmenide egli inoltre sostiene che l’eternità, che lì chiama “istante”, è la condizione di<br />

‘legame’ tra l’Uno assoluto e l’Uno Essere, determinata dall’Uno Bene. Per Platone, questi tre Uno formano Dio. 5<br />

2 La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque.<br />

Il versetto non parla del cielo, benché se ne parli più sotto, ma <strong>della</strong> terra; ed essa viene presentata nello stato primordiale di caos e<br />

di mancanza di vita. Si deve pensare non tanto alla Terra, quanto piuttosto all’intero Universo in una condizione ancora indeterminata<br />

e in fieri.<br />

L’espressione “e le tenebre ricoprivano l’abisso” sembra accennare che nulla vi fosse fuori di Dio. La creazione non esisteva:<br />

esisteva soltanto come un ‘abisso’ di possibilità nascosta dalle tenebre; ma “lo spirito di Dio aleggiava sulle acque”. E questo<br />

‘aleggiare dello spirito di Dio’ potrebbe esprimere la volontà di Dio di dar luogo alla creazione; e allora ‘le acque’ possono<br />

rappresentare ciò che di vivo sarà <strong>della</strong> creazione. 6<br />

* Queste <strong>riflessioni</strong>, del tutto personali, si appoggeranno spesso, oltre che su vari passi biblici, sul pensiero di Platone (tutte le citazioni saranno tratte da Platone,<br />

Opere complete, Laterza, 1971) e su testimonianze <strong>della</strong> cultura precolombiana, nella quale a me pare di ravvisare un lontanissimo legame con quella del Medio<br />

Oriente antico e biblico in particolare. Per quanto riguarda poi il primo capitolo <strong>della</strong> Genesi, faccio mia la tesi che vuole che i ‘sei giorni’ <strong>della</strong> creazione si riducano a<br />

tre, ovvero che i secondi tre siano in stretto legame con i <strong>primi</strong> tre.<br />

1 E inoltre: “5 E Colui che sedeva sul trono disse: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose»”. (21)<br />

2 Tengo presente la concezione platonica, che mi sembra la più rispondente alla ragione, e che prevede per l’anima umana l’unione di identico e diverso nel terzo<br />

elemento che ne consegue: il misto; mentre sul piano fisico prevede l’unione di un elemento infinito e degli elementi finiti a formare i corpi. V. Platone, Timeo 35 a;<br />

Filebo 16 d; 23 c. Identico e diverso, quali elementi dell’anima, corrispondo per Platone rispettivamente a intelletto e immaginazione, mentre il misto è duplice, e cioè è<br />

ragione e credenza. V. Platone, Repubblica 509 d-511 e. La differenza tra anime umane e corpi sta nella diversa partecipazione all’Intellegibile divino (Logos o Verbo):<br />

ciascun’anima partecipa per l’intero Intellegibile, che dà luogo all’identico, ciascun corpo partecipa per la parte dell’Intellegibile, che dà luogo ad un certo numero di<br />

elementi finiti. V. Platone, Parmenide 131 a: “E allora ciascun soggetto di questa partecipazione partecipa di tutto il genere o solo di una parte? Oppure ci sarebbe un<br />

altro modo di partecipare all’infuori di questi?”. Questa differenza fa sì che l’identico (intelletto) sia un pensiero pensante, mentre gli elementi finiti siano dei pensieri<br />

non pensanti (o pensieri che non vengono pensati), v. Platone, Parmenide 132 c. L’impronta trinitaria risulta chiara: dal Padre (Uno assoluto), dal Figlio (Intellegibile o<br />

Uno Essere) e dallo Spirito Santo (Bene) deriva la struttura di ogni essere creato, come cercavano di affermare i Padri <strong>della</strong> Chiesa e i Dottori medievali. Inoltre, nel<br />

grande poema maya, Popol Vuh, leggiamo: “Così venne stabilito nelle tenebre e nella notte dal Cuore del Cielo, che si chiama Huracán. Il primo si chiama Caculhá<br />

Huracán. Il secondo è Chipi Caculhá. Il terzo è Raxa-Caculhá. E questi tre sono il Cuore del Cielo.” Popol Vuh. Le antiche storie Quiché, a cura di Adrián Recinos,<br />

traduzione di Lore Terracini. Einaudi, 1976, p. 12. Questo testo si pensa sia stato scritto tra il 1554 e il 1558 da un maya convertito al Cattolicesimo. Suo interesse era<br />

quello di ‘riportare alla luce’ un libro sacro che raccoglieva tutta la tradizione <strong>della</strong> sua gente e <strong>della</strong> prima umanità, a partire dalla creazione. A mio avviso, per il fine<br />

che lo scrittore si prefiggeva, per lo stile narrativo dell’opera, e per il contenuto culturale in cui sono inseriti gli episodi e le espressioni, non è possibile pensare ad una<br />

contaminazione diretta, cosciente o incosciente, tra questo testo sacro e la Bibbia. Esso rimane una testimonianza di tempi ‘primordiali’, come lo sono altri racconti<br />

aztechi.<br />

3 “E quando tutto gli sarà sottomesso, anche lui, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti.” 1 Corinzi 15, 29.<br />

4 “Ora, la natura dell’anima era eterna, e questa proprietà non era possibile conferirla pienamente a chi fosse stato generato: e però [il Demiurgo] pensa di creare<br />

una immagine mobile dell’eternità, e ordinando il cielo crea dell’eternità che rimane nell’unità un’immagine eterna che procede secondo il numero, quella che abbiamo<br />

chiamato tempo. E i giorni e le notti e i mesi e gli anni, che non erano prima che il cielo nascesse, fece allora in modo che anch’essi potessero nascere, mentre creava<br />

quello.” Platone, Timeo 37 d-e.<br />

5 Nel Timeo leggiamo: “Ma non è possibile che due cose sole si compongano bene senza una terza: bisogna che in mezzo vi sia un legame che le congiunga<br />

entrambe. E il più bello dei legami è quello che faccia, per quant’è possibile, una cosa sola di sé e delle cose legate: ora la proporzione compie questo in modo<br />

bellissimo. Perché quando di tre numeri o masse o potenze quali si vogliano, il medio sta all’ultimo come il primo al medio, e d’altra parte ancora il medio sta al primo,<br />

come l’ultimo al medio, allora il medio divenendo primo e ultimo, e l’ultimo e il primo divenendo a lor volta medi ambedue, così di necessità accadrà che tutti siano gli<br />

stessi, e divenuti gli stessi fra loro, saranno tutti una cosa sola.” Platone, Timeo 31 b-32 a. Questo però Platone non dice qui espressamente di Dio: l’unità e trinità di<br />

Dio è rintracciabile soltanto attraverso una comparazione faticosa dei testi platonici.<br />

6 È interessante confrontare questa espressione con un brano dell’opera mesoamericana, già citata, che sembra riportare tradizioni antichissime, antecedenti la<br />

separazione dei popoli narrata dalla Bibbia dopo la confusione delle lingue. “Questa è la narrazione di come tutto stava sospeso, tutto in calma, in silenzio; tutto<br />

immobile, tacito, e vuota era la distesa del cielo. Questo è il primo racconto, il primo discorso. Non v’era ancora un uomo, né un solo animale, uccelli, pesci, gamberi,<br />

alberi, pietre, caverne, dirupi, erbe, boschi: solo il cielo esisteva. Non appariva la faccia <strong>della</strong> terra. Vi erano solo il mare in calma ed il cielo in tutta la sua estensione.<br />

Non vi era nulla di costituito, che facesse rumore, né cosa alcuna che si muovesse, si agitasse, o facesse rumore nel cielo. Non vi era nulla che stesse in piedi; soltanto<br />

l’acqua in calma, il mare placido, solo e tranquillo. Non vi era nulla dotato di esistenza. Solamente vi era immobilità e silenzio nell’oscurità, nella notte. Soltanto il<br />

Creatore, il Formatore, Tepeu, Gucumatz, i Progenitori, erano nell’acqua circondati di chiarore. Erano nascosti sotto piume verdi e azzurre, perciò vengono chiamati<br />

Gucumatz. Di grandi saggi, di grandi pensatori è la loro natura. A questo modo esisteva il cielo ed anche il Cuore del Cielo, ché questo è il nome di Dio e così viene<br />

chiamato.”Popol Vuh, p. 11.


Si può invertire l’ordine delle tre proposizioni del testo, e dire che lo spirito di Dio aleggiava sulle acque; le tenebre coprivano<br />

l’abisso; la terra era informe e deserta, per evidenziare tre momenti: Dio ‘decide’ la creazione, ma la creazione è ‘nascosta’ dalle<br />

tenebre del nulla; infine l’Universo è ancora senza forma e senza esseri viventi.<br />

3 Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu. 4 Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre 5 e chiamò la<br />

luce giorno e le tenebre notte. E fu sera e fu mattina: primo giorno.<br />

Quelle tenebre che coprivano l’abisso del nulla fuori di Dio ora si ritraggono davanti al primo atto <strong>della</strong> creazione. La luce è la<br />

prima manifestazione e nello stesso tempo la base di ciò che Dio sta per creare: Egli stesso “vide che la luce era cosa buona”.<br />

Dobbiamo pensare contemporaneamente alla luce fisica e a quella spirituale, poiché abbiamo detto che Dio creò il cielo, cioè il Regno<br />

spirituale di Dio, e la terra. Nel Medio Evo era abbastanza diffusa la teoria <strong>della</strong> luce come sostanza di ogni ordine di creature,<br />

spirituali e materiali, tra le quali si poneva l’uomo come essere mediano e mediatore. Platone, parlando del <strong>primi</strong>ssimo momento <strong>della</strong><br />

generazione del Cosmo, ancora informe, si esprime così: “Poiché dio volendo che tutte le cose fossero buone e, per quant’era<br />

possibile, nessuna cattiva, prese dunque quanto c’era di visibile che non stava quieto, ma si aggirava sregolatamente e<br />

disordinatamente, e lo ridusse dal disordine all’ordine, giudicando questo del tutto migliore di quello.” 7<br />

Il Demiurgo volle, secondo Platone che l’universo fosse visibile e tangibile: per ciò creò la luce (fuoco) e la terra.<br />

“Quello ch’è nato (l’universo) deve essere corporeo e visibile e tangibile. Ma niente potrebbe essere visibile, separato dal fuoco,<br />

né tangibile senza solidità, né solido senza terra. Sicché dio, cominciando a comporre il corpo dell’universo, lo fece di fuoco e di<br />

terra. Ma non è possibile che due cose sole si compongano bene senza una terza: bisogna che in mezzo vi sia un legame che le<br />

congiunga entrambe. […] Se dunque il corpo dell’universo doveva essere piano e senz’alcuna profondità, un solo medio bastava a<br />

collegare sé e le cose con sé congiunte: ma ora, poiché conveniva che il corpo dell’universo fosse solido (e i solidi non li<br />

congiunge mai un medio solo, ma due ogni volta), perché dio mise acqua e aria fra fuoco e terra, e proporzionati questi elementi<br />

fra loro, per quant’era possibile, nella medesima ragione, di modo che come stava il fuoco all’aria stesse anche l’aria all’acqua, e<br />

come l’aria all’acqua l’acqua alla terra, collegò e compose il cielo visibile e tangibile. E in questo modo e di così fatti elementi,<br />

quattro di numero, fu generato il corpo del mondo, concorde per proporzione, e però ebbe tale amicizia che riunito con sé nello<br />

stesso luogo non può essere disciolto da nessun altro, se non da quello che l’ha legato.” 8<br />

Il rapporto tra il cielo (Regno di Dio) e la terra (Universo) è così presentato da Platone:<br />

“Certo non reputeremo che l’abbia fatto a somiglianza d’alcuno di quelli che hanno forma di parte, perché niente assomigliato a<br />

cosa imperfetta può esser bello: ma lo porremo somigliantissimo a quello, del quale sono parti gli altri animali [esseri animati<br />

spirituali] considerati singolarmente e nei loro generi. Perché quello ha dentro di sé compresi tutti gli animali intelligibili, come<br />

questo mondo contiene noi e tutti gli altri animali visibili.” 9<br />

È da sottolineare che Dio si compiace del suo primo atto, affermando che la luce “era cosa buona”, espressione che ripeterà ad<br />

ogni fine di ‘giornata’. È da sottolineare inoltre che la creazione avviene per successivi atti di separazione, non di unioni, poiché in<br />

quello che il testo presenta come ‘tenebre e abisso’ c’è la possibilità <strong>della</strong> ‘generazione’ da parte di Dio <strong>della</strong> luce come di ogni cosa.<br />

La luce tuttavia non eliminano le tenebre, ma esse vengono soltanto separate. E del resto davanti a Dio non c’è né tenebra né abisso,<br />

come afferma il Salmo138.<br />

6 Stupenda per me la tua saggezza,<br />

troppo alta, e io non la comprendo.<br />

7 Dove andare lontano dal tuo spirito,<br />

dove fuggire dalla tua presenza?<br />

8 Se salgo in cielo, là tu sei,<br />

se scendo negli inferi, eccoti.<br />

9 Se prendo le ali dell’aurora<br />

per abitare all’estremità del mare,<br />

10 anche là mi guida la tua mano<br />

e mi afferra la tua destra.<br />

11 Se dico: «Almeno l’oscurità mi copra<br />

e intorno a me sia la notte»;<br />

12 nemmeno le tenebre per te sono oscure,<br />

e la notte è chiara come il giorno;<br />

per te le tenebre sono come luce.<br />

Tutto è luce in Dio. San Giovanni scriverà nel suo Vangelo: “4 In lui [nel Verbo] era la vita e la vita era la luce degli uomini; 5 la<br />

luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta.” (1) Dunque, al di là <strong>della</strong> separazione fisica, mediante la quale Dio<br />

“chiamò la luce giorno e la tenebre notte”, vi è la separazione morale che prelude a quella di cui parla l’Evangelista: non si tratta di<br />

una metafora, ma del rifiuto <strong>della</strong> Luce (che è cosa buona) da parte del male. Questa non accoglienza è ‘cecità’: cecità metafisica<br />

(spirituale) e morale (psicologica) da parte di chi rifiuta la bellezza spirituale <strong>della</strong> creazione, e dunque il suo Creatore.<br />

Il Verbo increato è Egli stesso la luce emanata da Dio per la creazione. Dice sempre San Giovanni nel Vangelo: “1 In principio era<br />

il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. 2 Egli era in principio presso Dio: 3 tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di<br />

lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste.” Dunque, mentre il Verbo resta nel seno <strong>della</strong> S.S. Trinità, Egli tuttavia viene come<br />

irradiato fuori di Dio a fugare le tenebre che coprivano l’abisso del nulla. Il primo atto <strong>della</strong> creazione viene ad essere l’emanazione<br />

del Verbo come luce, ‘struttura intellegibile’ dell’universo.<br />

Nella sua prima lettera San Giovanni inoltre scrive: “5 Questo è il messaggio che abbiamo udito da lui e che ora vi annunziamo:<br />

Dio è luce e in lui non ci sono tenebre. 6 Se diciamo che siamo in comunione con lui e camminiamo nelle tenebre, mentiamo e non<br />

7 Platone, Timeo 30 a.<br />

8 Platone, Timeo 31 b- 32 c.<br />

9 Platone, Timeo 30 c-d.<br />

2


mettiamo in pratica la verità. 7 Ma se camminiamo nella luce, come egli è nella luce, siamo in comunione gli uni con gli altri, e il<br />

sangue di Gesù, suo Figlio, ci purifica da ogni peccato.” (1)<br />

Nell’Apocalisse aggiunge che, dopo la rigenerazione del Creato,<br />

“23 La città non ha bisogno <strong>della</strong> luce del sole, né <strong>della</strong> luce <strong>della</strong> luna perché la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è<br />

l’Agnello.<br />

24 Le nazioni cammineranno alla sua luce<br />

e i re <strong>della</strong> terra a lei porteranno la loro magnificenza.<br />

25 Le sue porte non si chiuderanno mai durante il giorno,<br />

poiché non vi sarà più notte.” (21)<br />

“5 Non vi sarà più notte<br />

e non avranno più bisogno di luce di lampada,<br />

né di luce di sole,<br />

perché il Signore Dio li illuminerà<br />

e regneranno nei secoli dei secoli.” (22)<br />

Nel racconto <strong>della</strong> Genesi questo è il primo ‘giorno’, nel senso di periodo; ma poiché il discorso biblico è duplice, la luce sarà<br />

anche quella fisica, come si vedrà quando si compareranno le prime tre ‘giornate’ alle seconde tre.<br />

6 Dio disse: «Sia il firmamento in mezzo alle acque per separare le acque dalle acque». 7 Dio fece il firmamento e separò le<br />

acque, che sono sotto il firmamento, dalle acque, che son sopra il firmamento. E così avvenne. 8 Dio chiamò il firmamento<br />

cielo. E fu sera e fu mattina: secondo giorno.<br />

Il secondo giorno prevede una seconda separazione: quella delle acque dalle acque, le acque sopra le quali Dio ‘aleggiava’. Il testo<br />

sottolinea l’importanza delle acque superiori, che, spiritualmente, come ci pare, rappresentano il Regno di Dio, o la vita spirituale che<br />

sgorga da Lui. Ancora nell’Apocalisse si legge: “1 Mi mostrò poi un fiume d’acqua viva limpida come cristallo, che scaturiva dal<br />

trono di Dio e dell’Agnello.” (22 1) Dio, dunque, che “aleggiava sulle acque”, creata la luce, dà luogo alla prima realtà: quella <strong>della</strong><br />

vita spirituale, ‘separandola’ da quella fisica mediante il firmamento. Si può pensare di risolvere l’ambiguità che nasce dall’avere Dio<br />

chiamato il firmamento ‘cielo’, supponendo che questo sia il cielo considerato da parte di chi sta sotto di esso, cioè da parte delle<br />

acque inferiori. Del resto, questa ‘separazione’ è più una metafora <strong>della</strong> diversità dei due ‘cieli’ che un’azione fisica.<br />

9 Dio disse: «Le acque che sono sotto il cielo, si raccolgano in un solo luogo e appaia l’asciutto». E così avvenne. 10 Dio<br />

chiamò l’asciutto terra e la massa delle acque mare. E Dio vide che era cosa buona. 11 E Dio disse: «La terra produca<br />

germogli, erbe che producono seme e alberi da frutto, che facciano sulla terra frutto con il seme, ciascuno secondo la sua<br />

specie». E così avvenne: 12 la terra produsse germogli, erbe che producono seme, ciascuna secondo la propria specie e<br />

alberi che fanno ciascuno frutto con il seme, secondo la propria specie. Dio vide che era cosa buona. 13 E fu sera e fu<br />

mattina: terzo giorno.<br />

La terza azione di Dio è data dalla nuova separazione tra le acque che sono sotto il cielo e la terra: appare in questo modo<br />

l’asciutto, poiché ora il discorso riguarda la nostra Terra. Questa separazione è considerata come “cosa buona”; e sembra essere quasi<br />

un preludio <strong>della</strong> scomparsa del mare, quando, secondo l’Apocalisse, ci sarà un cielo nuovo e una terra nuova: “e il mare non c’era<br />

più” (21, 1).<br />

Anche nel giorno successivo troviamo un’altra separazione; ma quella del terzo giorno sembra essere definitiva, mentre la<br />

successiva appare secondaria, ovvero la ripetizione sul piano fisico <strong>della</strong> prima: le prime tre hanno infatti un carattere metafisico, e<br />

caratterizzano i <strong>primi</strong> tre giorni come fondamentali per i secondi tre.<br />

Apparsa la terra, Dio fa sì che essa stessa “produca germogli, erbe che producono seme e alberi da frutto”, in modo che ciascun<br />

tipo di pianta si possa riprodurre da sé “secondo la sua specie”. Nasce in questo modo la vita, compaiono cioè esseri capaci di<br />

riprodursi senza più concorso divino, autosufficienti nella generazione. Benché sembri essere corretta nel capitolo successivo, questa<br />

generazione ‘spontanea’ rimane fondamentale come prerogativa <strong>della</strong> terra a produrre, creata com’è quale dimora e sostentamento<br />

<strong>della</strong> vita futura.<br />

E “Dio vide che era cosa buona.” In questo terzo giorno abbiamo due compiacimenti di Dio per la sua opera: per l’apparizione<br />

dell’‘asciutto’ e per quella <strong>della</strong> vita. La luce ha espresso le proprie potenzialità, giungendo alla vita, e i successivi tre giorni , come<br />

abbiamo detto, vanno disposti in parallelo e in unione con questi <strong>primi</strong>, poiché si completano reciprocamente.<br />

14 Dio disse: «Ci siano luci nel firmamento del cielo, per distinguere il giorno dalla notte; servano da segni per le stagioni,<br />

per i giorni e per gli anni 15 e servano da luci nel firmamento del cielo per illuminare la terra». E così avvenne: 16 Dio fece<br />

le due luci grandi, la luce maggiore per regolare il giorno e la luce minore per regolare la notte, e le stelle. 17 Dio le pose<br />

nel firmamento del cielo per illuminare la terra 18 e per regolare giorno e notte e per separare la luce dalle tenebre. E Dio<br />

vide che era cosa buona. 19 E fu sera e fu mattina: quarto giorno.<br />

Vengono creati ora, nel quarto giorno, quei luminari celesti che riguardano la luce fisica del primo giorno. Anche qui abbiamo una<br />

separazione tra la luce del giorno e le luci <strong>della</strong> notte; ma ora abbiamo la completa positività da una parte, e una relativa negatività<br />

dall’altra, perché anche le tenebre avranno la loro luce. La separazione <strong>della</strong> luce dalle tenebre del primo giorno diventa così<br />

realmente separazione del giorno dalla notte determinati dagli astri.<br />

Certamente è con la formazione del sistema solare che per la terra si può parlare di ‘giorno e notte’; ma abbiamo detto che il primo<br />

giorno e il quarto formano un unico periodo, che si stende dalla comparsa <strong>della</strong> luce alla formazione degli astri, fino al configurarsi<br />

del sistema solare, senza che ancora si separino le acque (secondo giorno), e da quelle inferiori emerga la terra asciutta (terzo giorno).<br />

Con il terzo giorno compare anche la vita nella sua forma più semplice e <strong>primi</strong>tiva: la vita vegetale. Nel quinto poi, sulla base del<br />

secondo, compaiono i pesci e gli uccelli; mentre nel sesto, sulla base del terzo, compaiono gli animali terrestri e ultimo, come<br />

coronamento <strong>della</strong> vita e di tutta la creazione, appare l’uomo.<br />

3


20 Dio disse: «Le acque brulichino di esseri viventi e uccelli volino sopra la terra, davanti al firmamento del cielo». 21 Dio<br />

creò i grandi mostri marini e tutti gli esseri viventi che guizzano e brulicano nelle acque, secondo la loro specie, e tutti gli<br />

uccelli alati secondo la loro specie. E Dio vide che era cosa buona. 22 Dio li benedisse: «Siate fecondi e moltiplicatevi e<br />

riempite le acque dei mari; gli uccelli si moltiplichino sulla terra». 23 E fu sera e fu mattina: quinto giorno.<br />

In rapporto alla separazione delle acque del secondo giorno, ora abbiamo il popolamento da una parte delle acque che stanno sotto<br />

il firmamento con la creazione dei pesci e dei grandi mostri marini, e dall’altra dell’aria che sta tra queste acque e il firmamento con la<br />

creazione degli uccelli. E prima vengono creati gli abitanti del mare, poi quelli dell’aria, come in una ascesa verso il firmamento. Dio<br />

infatti, a differenza che con le piante, benedice tutti questi animali, e li benedice parlando loro direttamente.<br />

È da notare che il quinto giorno presenta un’apparente anomalia, in quanto alla fine di esso Dio non esprime, come sempre ha fatto<br />

e farà, il proprio compiacimento. In realtà, la formula “E Dio vide che era cosa buona”, la troviamo una prima volta nel sesto giorno<br />

alla fine <strong>della</strong> creazione di tutti gli altri animali, e una seconda volta alla fine <strong>della</strong> giornata. In questo modo, tutti gli animali, del<br />

mare, dell’aria e <strong>della</strong> terra, ricevono la stessa benedizione che Dio dona ai pesci e agli uccelli, e alla fine Dio esprime il proprio<br />

compiacimento per la loro vita.<br />

Per di più, con la comparsa dell’uomo ha termine l’opera <strong>della</strong> creazione, e la formula di compiacimento si esprimerà nella sua<br />

formulazione maggiore: “Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona.”<br />

24 Dio disse: «La terra produca esseri viventi secondo la loro specie: bestiame, rettili e bestie selvatiche secondo la loro<br />

specie». E così avvenne: 25 Dio fece le bestie selvatiche secondo la loro specie e il bestiame secondo la propria specie e tutti<br />

i rettili del suolo secondo la loro specie. E Dio vide che era cosa buona.<br />

Come abbiamo detto, nel sesto giorno si completa la creazione degli animali: quelli terrestri. Ci sono stati presentati per ciò con<br />

una gradualità prima quelli dell’acqua, poi quelli dell’aria, ed in fine quelli <strong>della</strong> terra. Qui, per un certo verso termina la creazione,<br />

ovvero termina la creazione di tutto quello che è inferiore all’uomo, ed è stato creato come strumento e aiuto dell’uomo, poiché<br />

l’essere che ora Dio sta per creare sarà totalmente diverso: sarà un essere fatto a sua immagine e a sua somiglianza. Non si tratterà per<br />

ciò propriamente di un atto creativo, ma, come si dirà nel capitolo seguente, per il corpo di un utilizzo di elementi già creati; per<br />

l’anima di un diretto ‘alitare’ di Dio: quasi un dare se stesso. Questa distinzione dell’uomo rispetto agli animali è rinvenibile anche nel<br />

fatto, già segnalato, che tutti gli animali hanno avuto una loro benedizione e una attestazione <strong>della</strong> loro bontà.<br />

26 E Dio disse: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini <strong>sui</strong> pesci del mare e sugli uccelli del<br />

cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra».<br />

Dopo la benedizione degli animali e il riconoscimento che tutto ciò “era cosa buona”, Dio crea un essere del tutto particolare, anzi<br />

il culmine di tutto il Creato, esprimendosi con le parole del versetto ventisei.<br />

Ora, l’immagine di qualcosa è ciò che riproduce il modello, ed essa è tanto più perfetta, come nel caso di un essere che Dio vuole<br />

sia tale, quanto più è fedele nella riproduzione. Ma Dio aggiunge anche “a nostra somiglianza”, che sta forse a significare non<br />

propriamente una identità, ma anche una certa diversità.<br />

Poiché Dio parla di immagine e somiglianza, appare evidente, ad ogni modo, che non si tratta tanto dell’uomo nel suo complesso<br />

di anima e di corpo, ma dell’uomo in quanto anima, essendo il suo corpo soltanto il suo strumento essenziale: strumento mediante il<br />

quale potrà utilizzare tutto il Creato come strumento vario e molteplice, e costruire altri strumenti, per le proprie necessità e per i<br />

propri fini. In questo modo, l’uomo è posto come signore, e potremmo dire ‘pastore’ del Creato, al di sopra di tutti gli esseri viventi.<br />

27 Dio creò l’uomo a sua immagine;<br />

a immagine di Dio lo creò;<br />

maschio e femmina li creò.<br />

In questo versetto si ripete l’intenzione di Dio di creare l’uomo a sua immagine, mentre si lascia cadere la somiglianza. Si può<br />

supporre che l’atto <strong>della</strong> creazione abbia dato luogo alla immagine: l’uomo, creato da Dio, è un essere a sua immagine, ma non ancora<br />

a sua somiglianza, perché essa deve essere venire conseguita nel tempo, attraverso il compimento del comando che Dio subito dopo<br />

impartisce.<br />

Ad ogni modo, nel capitolo quinto, riassumendo nuovamente la creazione dell’uomo, si legge “1 Questo è il libro <strong>della</strong> genealogia<br />

di Adamo. Quando Dio creò l’uomo, lo fece a somiglianza di Dio; 2 maschio e femmina li creò, li benedisse e li chiamò uomini<br />

quando furono creati.” Importante è qui la precisazione che l’uomo fu creato “maschio e femmina”. Non che gli animali, creati<br />

ciascuno secondo la propria specie, non fossero maschio e femmina; ma in loro questa diversità sessuale non comporta un essere ad<br />

immagine di Dio: è nell’uomo che la coppia maschio-femmina ‘riproduce’ l’immagine di Dio. Ma è da dire che proprio per questo<br />

manca ancora all’uomo la somiglianza a Dio: il terzo elemento, che è la prole. 10<br />

28 Dio li benedisse e disse loro:<br />

«Siate fecondi e moltiplicatevi,<br />

riempite la terra;<br />

soggiogatela e dominate<br />

<strong>sui</strong> pesci del mare<br />

e sugli uccelli del cielo<br />

e su ogni essere vivente,<br />

10<br />

Si può ricavare dalla concezione platonica qualcosa che è presente implicitamente in essa, e cioè che nella partecipazione dell’anima umana all’intero<br />

Intellegibile ci sia una doppia possibilità. Poiché la partecipazione avviene per la ‘separazione’ di una copia (un duplicato) dall’intero Intellegibile ad opera dell’Uno<br />

assoluto, può esserci nell’anima il ‘prevalere’ dell’Intellegibile sull’Uno o dell’Uno sull’Intellegibile. In ogni caso, la loro unione ad extra da parte del Bene dà sempre<br />

luogo ai tre elementi di cui abbiamo parlato (identico, diverso, misto, e cioè all’intelletto, all’immaginazione, alla ragione discorsiva e alla fede), ma con un prevalere<br />

dell’identico-intelletto nell’uomo, e del diverso-immaginazione nella donna. Questo può essere confermato se si considerano Gesù e Maria le due espressioni più alte<br />

dell’umanità: Gesù, lo stesso Logos incarnato; Maria che, “19 […], da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore.” Luca 2.<br />

4


che striscia sulla terra».<br />

Anche qui, come all’inizio <strong>della</strong> vita animale sulla terra, Dio benedice la sua opera: Egli la invita ad essere feconda in se stessa,<br />

non solo nella quantità, ma soprattutto nella qualità, potremmo dire, nella ‘somiglianza’; non solo nel moltiplicarsi di esseri simili gli<br />

uni agli altri, ma nel progressivo maturare di ciascuno, soggiogando la terra e dominando sugli animali, dei quali si vedrà l’importanza<br />

nel capitolo successivo.<br />

29 Poi Dio disse: «Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra e ogni albero in cui è il frutto, che<br />

produce seme: saranno il vostro cibo. 30 A tutte le bestie selvatiche, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli esseri che<br />

strisciano sulla terra e nei quali è alito di vita, io do in cibo ogni erba verde». E così avvenne. 31 Dio vide quanto aveva<br />

fatto, ed ecco, era cosa molto buona. E fu sera e fu mattina: sesto giorno.<br />

La benedizione data da Dio agli animali dà loro una certa quale vicinanza all’uomo, poiché uomo e animali hanno un uguale tipo<br />

di cibo: i vegetali, e non rientra nel quadro <strong>della</strong> creazione la possibilità che un animale divenga cibo dell’uomo o di un altro animale.<br />

Ciò avverrà dopo il diluvio universale, almeno come concessione fatta da Dio all’uomo. 11 Vi è dunque un’identica dignità corporea tra<br />

uomo e animale, ribadita dal fatto che essi sono nudi e non ne sentono vergogna. Sarà l’uomo, dopo il peccato originale, a prendere<br />

coscienza che la sua disobbedienza l’ha condotto, sul piano fisico, ad un livello inferiore.<br />

La creazione di Adamo ed Eva<br />

Genesi 2<br />

1 Così furono portati a compimento il cielo e la terra e tutte le loro schiere. 2 Allora Dio, nel settimo giorno portò a termine<br />

il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro. 3 Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò,<br />

perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli creando aveva fatto.<br />

Viene riassunta l’opera dei sei giorni, e, con l’aggiunta di un settimo giorno, dedicato al riposo dopo il lavoro dei precedenti, esso<br />

viene benedetto e consacrato da Dio. Viene indirettamente riconosciuto il valore <strong>della</strong> settimana quale unione di diseguali periodi di<br />

lavoro e di riposo per l’uomo, di attività per l’assoggettamento del Creato, e per l’assoggettamento dell’uomo a Dio. Se i sei giorni<br />

corrispondono ai tre periodi ricordati, ora il nuovo numero non è più divisibile in parti uguali, e tuttavia, il sei rimarrà nella cultura<br />

ebraica il numero fondamentale, non per la sua partizione in due, ma per il suo raddoppiarsi nel dodici delle tribù di Israele. Questo<br />

numero, tuttavia, esprime contemporaneamente il suo ‘ritrarsi’ al tre <strong>della</strong> Trinità divina, e il suo allargarsi al dodici del popolo di dio.<br />

Per quanto riguarda il ‘riposo’ di Dio, Gesù, riferendosi al Padre, afferma che Egli opera sempre. La Creazione per ciò non è un<br />

atto compiuto, sia pure in sei ‘giorni’, ma un continuo atto di generazione che si regge per l’opera specifica <strong>della</strong> Trinità divina, che la<br />

sostiene. Nelle Leggi Platone, contro la tesi che forse si andava diffondendo all’interno dell’Accademia ad opera di Aristotele, così fa<br />

dire al protagonista: “Non valutiamo mai dunque gli dèi meno capaci degli artigiani mortali, i quali, relativamente alle opere che<br />

competono loro, di tanto sono migliori, quanto con una unica arte le elaborano più accuratamente e compiutamente negli aspetti<br />

fondamentali e secondari; e la divinità, che è il massimo <strong>della</strong> sapienza e vuole e può prendersi cura delle cose, non pensiamo che<br />

trascuri del tutto proprio quelle cose di cui è più facile prendersi cura, perché sono piccole, e si curi invece delle grandi, come un<br />

artefice ozioso o vile che lavora con negligenza per non affaticarsi.” 12<br />

4 Queste le origini del cielo e <strong>della</strong> terra, quando vennero creati. Quando il Signore Dio fece la terra e il cielo, 5 nessun<br />

cespuglio campestre era sulla terra, nessuna erba campestre era spuntata - perché il Signore Dio non aveva fatto piovere<br />

sulla terra e nessuno lavorava il suolo 6 e faceva salire dalla terra l’acqua dei canali per irrigare tutto il suolo -;<br />

Il versetto riassume nuovamente l’opera <strong>della</strong> creazione, ma si vede subito che il nuovo testo intende dire cose diverse da quelle<br />

dette nel capitolo uno, ponendosi in una prospettiva differente. Ora si dice che “nessun cespuglio campestre era sulla terra, nessuna<br />

erba campestre era spuntata”. Si ha per ciò, più che una smentita dell’opera del terzo giorno, una precisazione: la vita vegetale non era<br />

apparsa sulla terra “perché il Signore Dio non aveva fatto piovere sulla terra e nessuno lavorava il suolo e faceva salire dalla terra<br />

l’acqua dei canali per irrigare tutto il suolo”. Era dunque necessaria l’opera di Dio e quella dell’uomo per far germogliare la<br />

vegetazione, così come anche gli animali saranno creati dopo l’uomo in diretta funzione dell’uomo. Era soprattutto giusto che il primo<br />

essere vivente fosse il più perfetto: quello dal quale sarebbero dipesi tutti gli altri. Se l’uomo come corpo è infatti una parte<br />

dell’Universo, come anima è in sé un intero, di cui gli altri viventi (animali e piante) sono in qualche modo degli ‘interi’ sempre più<br />

lontani dal parametro dell’uomo, e sempre più parti.<br />

11<br />

Leggiamo una pagina del Politico di Platone nella quale egli riscrive la tradizione greca dell’età dell’oro o di Crono. “Allora infatti, fin dal principio, il dio<br />

reggeva la rotazione stessa [dell’Universo] e la curava nella sua totalità, e, come ora avviene per alcuni luoghi, in quel tempo le parti del cosmo erano universalmente<br />

suddivise sotto la direzione di un congruo numero di divinità; ed anche gli animali erano stati distribuiti in generi ed in gruppi sotto la guida di demoni che n’erano<br />

quasi pastori divini, e ciascuno di questi era in tutto e per tutto autosufficiente nel soddisfare i bisogni di ciascun gruppo di quelli, gruppo cui esso stesso era appunto<br />

pastore, e così non ve n’era alcuno selvaggio né gli uni servivano agli altri di cibo e non v’era posto né per la guerra né per la rivolta in modo assoluto. Sarebbero<br />

innumerevoli le altre cose da dirsi volendo elencare tutte le conseguenze di un simile ordinamento dell’universo. Quanto poi a ciò che viene detto degli uomini,<br />

riguardo a quel loro modo di vita per cui si offriva loro spontanea la soddisfazione dei loro bisogni, eccone la ragione. La divinità stessa li guidava al pascolo e<br />

presiedeva loro, come fanno ora gli uomini, i quali, animali più vicini degli altri alla natura divina, guidano al pascolo gli altri generi di viventi di loro meno nobili.<br />

Sotto quella guida del dio non v’era bisogno né di costituzioni di stati né dell’acquisto di donne e di figli; tutti infatti risorgevano alla vita dalla terra, e senza conservare<br />

alcun ricordo di ciò che era stato prima; ma se tutto ciò mancava, frutta senza limite avevano dagli alberi e dalle altre numerosissime piante, non certo prodotto di opere<br />

agricole, ma spontaneamente producendoli il suolo. Senza vesti, senza letto, vivevano all’aria aperta la maggior parte del tempo loro, infatti le stagioni erano tutte ben<br />

temperate in modo che essi non ne subivano noia alcuna, ed avevano teneri giacigli fatti con l’erba che cresceva dalla terra senza limitazione.” Platone, Politico 271 d-<br />

272 a.<br />

12<br />

Platone, Leggi X 902 e-903 a.<br />

5


7 allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un<br />

essere vivente.<br />

Abbiamo un capovolgimento dell’opera dei sei giorni: l’uomo non è creato per ultimo, quale essere eccellente di tutto il Creato,<br />

ma per primo, perché, come abbiamo appena detto, è il parametro di ogni essere vivente. In modo analogo, Platone afferma nel Timeo<br />

che il Demiurgo ha formato prima l’anima (del Mondo e dell’uomo) e poi il corpo dell’Universo e degli uomini, perché essa è la<br />

‘base’ <strong>della</strong> possibile esistenza dei corpi. 13<br />

Qui il testo non ripete che l’uomo fu fatto a immagine e somiglianza di Dio, né che Dio “maschio e femmina li creò”: qui l’uomo è<br />

solo, e compare prima <strong>della</strong> donna. Nella sua funzione di parametro, Adamo è dunque solo, ed egli da solo ascolterà le parole che Dio<br />

gli rivolgerà a proposito di quali frutti potrà mangiare e di quali no. Adamo, il cui nome non viene ancora scritto, è l’immagine del<br />

Figlio, la Parola del Padre pronunciata ad extra. Nella storia <strong>della</strong> salvezza, Gesù sarà il nuovo Adamo, il Verbo di Dio incarnato, il<br />

fondamento e il modello <strong>della</strong> nuova creazione.<br />

Quanto alla doppia ‘dimensione’ di Adamo, è chiara la netta inferiorità del corpo, che è “polvere del suolo” plasmata da Dio,<br />

rispetto all’anima che è “un alito di vita” soffiato da Dio “nelle sue narici”. Adamo partecipa <strong>della</strong> natura di Dio; e questo “alito di<br />

vita” sembra alludere all’immortalità dell’anima.<br />

Sulla nascita dei <strong>primi</strong> uomini, quattro secondo la tradizione maya, nati non da donna, abbiamo questa testimonianza: “Si dice che<br />

furono soltanto fatti e formati, non ebbero madre, non ebbero padre. Venivano solamente chiamati maschi. Non nacquero da donna,<br />

né vennero generati dal Creatore e dal Formatore, dai Progenitori. Soltanto in virtù d’un prodigio, per opera d’incantesimo vennero<br />

creati e formati dal Creatore, il Formatore, i Progenitori, Tepeu e Gucumatz. Ed avendo l’aspetto di uomini, uomini furono; parlarono,<br />

conversarono, videro ed udirono, camminarono; afferravano le cose; erano uomini buoni e belli e la loro figura era una figura<br />

maschile. Furono dotati d’intelligenza; videro e subito la loro vista si dispiegò, riuscirono a vedere, riuscirono a conoscere tutto ciò<br />

che c’è nel mondo.” 14<br />

8 Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato. 9 Il Signore Dio fece<br />

germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, tra cui l’albero <strong>della</strong> vita in mezzo al<br />

giardino e l’albero <strong>della</strong> conoscenza del bene e del male.<br />

La descrizione del giardino in Eden mostra non solo che non vi fu germinazione di tutte le piante sulla terra, come veniva detto nel<br />

terzo giorno, ma Dio stesso “piantò un giardino” e vi collocò l’uomo che aveva plasmato. Mentre la terra, dunque, era ancora<br />

“deserta”, Dio prepara un luogo adatto ad Adamo, in cui vi fosse varietà e abbondanza di piante quale nutrimento per lui. Si tratta di<br />

“ogni sorte di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare”. Pur con la loro funzionalità minore rispetto agli animali, ora qui si fa delle<br />

piante un apprezzamento che non era stato fatto nel capitolo precedente: esse sono gradite alla vista dell’uomo e buone e appetibili per<br />

la sua nutrizione e per quella degli animali. È un apprezzamento fatto non a parte Dei, ma a parte hominis: tutto ciò è bello e buono<br />

per l’uomo, adatto alla sua vita e al suo sviluppo.<br />

Tra le tante piante (e non tra esseri superiori), Dio pose nel giardino di Eden due alberi che erano anche due segni: l’albero <strong>della</strong><br />

vita e quello <strong>della</strong> scienza del bene e del male. Si tratta di due alberi la cui funzione è complementare: mentre il primo dà la vita, il<br />

secondo dà coscienza <strong>della</strong> vita stessa. Avrebbero dovuto avere dunque una funzione di rilievo, anche se sul secondo grava un divieto,<br />

e il primo sarà tolto alla vista di Adamo e di Eva dopo il peccato originale. Entrambi questi alberi sembrano avere un carattere<br />

teleologico in vista di un futuro più o meno lontano, nel quale si sarebbe acquistata veramente la conoscenza del bene e del male, e si<br />

sarebbe raggiunta la vera vita, cioè, l’eternità. Dopo la cacciata dall’Eden, la prima diverrà una faticosa e dolorosa conquista; la<br />

seconda verrà donata dall’alto di quell’albero <strong>della</strong> vita che è la Croce.<br />

10 Un fiume usciva da Eden per irrigare il giardino, poi di lì si divideva e formava quattro corsi. 11 Il primo fiume si<br />

chiama Pison: esso scorre intorno a tutto il paese di Avìla, dove c’è l’oro 12 e l’oro di quella terra è fine; qui c’è anche la<br />

resina odorosa e la pietra d’ònice. 13 Il secondo fiume si chiama Ghicon: esso scorre intorno a tutto il paese d’Etiopia. 14 Il<br />

terzo fiume si chiama Tigri: esso scorre ad oriente di Assur. Il quarto fiume è l’Eufrate. 15 Il Signore Dio prese l’uomo e lo<br />

pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse.<br />

I versetti descrivono il fiume che scaturiva in Eden, e si divideva poi in quattro grandi fiumi, storicamente noti. La germinazione<br />

delle piante e la loro vita non dipendeva dalla pioggia, ma dall’irrigazione: l’opera dell’uomo era quella di coltivare il ‘giardino’,<br />

irrigandolo, curandolo e custodendolo, cioè non lasciandolo in abbandono, ma anzi facendone il proprio regno di bellezza.<br />

16 Il Signore Dio diede questo comando all’uomo: «Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, 17 ma dell’albero<br />

<strong>della</strong> conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti».<br />

Dio concede all’uomo di cibarsi di qualsiasi pianta, poiché la varietà e l’abbondanza è grande: si tratta per di più di “alberi graditi<br />

alla vista e buoni da mangiare”; ma gli vieta il solo “albero <strong>della</strong> conoscenza del bene e del male”. Dio precisa che non si tratta di un<br />

divieto arbitrario, poiché, se ne avesse mangiato, certamente sarebbe morto. In realtà, non c’è rispondenza tra la denominazione di<br />

“albero <strong>della</strong> conoscenza del bene e del male” e la sua funzione di morte; poiché tuttavia è un albero ‘dialettico’, l’infrazione del<br />

divieto divino conduce immediatamente al polo negativo. Non solo, ma Platone afferma che gli elementi corporei dell’Universo si<br />

generano all’interno dell’Anima del mondo, la quale risulta il loro luogo spirituale.<br />

Viene qui presentato uno dei due alberi, ma, anche se Dio non parla dell’albero <strong>della</strong> vita, quest’ultimo viene sottinteso, poiché<br />

Egli afferma che Adamo avrebbe perso la vita. Nel terzo capitolo però vedremo che Dio caccia Adamo dal giardino di Eden proprio<br />

perché non mangi dell’albero <strong>della</strong> vita. In ogni caso l’albero <strong>della</strong> vita dà la vita; quello <strong>della</strong> conoscenza del bene e del male dà la<br />

morte. La conoscenza certamente non è un male, ma essa include sempre anche la conoscenza di ciò che è negativo: l’esperto conosce<br />

ciò che è giusto fare, ma sa anche quello che non si deve fare. La conoscenza del bene e del male include per ciò una tensione<br />

dialettica.<br />

13 Platone, Timeo 34 c: “Egli invero formò l’anima anteriore e più antica del corpo per generazione e per virtù, in quanto che essa doveva governare il corpo, e<br />

questo obbedirle,”<br />

14 Popol Vuh, p. 127.<br />

6


Rispetto agli animali, l’uomo è l’essere che proprio per la conoscenza del bene e del male, dovrebbe essere immagine di Dio. La<br />

condizione di chi non sa di sapere è propria di colui che non si rende ancora ben conto <strong>della</strong> ricchezza conoscitiva che potenzialmente<br />

possiede. Questa sembra essere la condizione di Adamo, posto in un giardino potenzialmente meraviglioso, ma non ancora ‘coltivato’;<br />

con un comando che gli è stato dato, ma che non è stato ancora eseguito; con un divieto che non ha ancora preso in considerazione. 15<br />

Ma c’è ancora questo da aggiungere: perché Dio, dopo aver dichiarato buona ogni cosa da Lui creata, dalla quale pare essere<br />

lontana ogni forma di male, ogni aspetto negativo, e le tenebre che coprivano l’abisso erano state fugate dalla luce dichiarata buona,<br />

perché ora Dio pone davanti all’uomo un albero <strong>della</strong> conoscenza del bene e del male, e cioè il principio di discernimento del bene e<br />

del male? Vi era, dunque, la possibilità del male nell’Universo creato da Dio? E quelle tenebre che coprivano l’abisso non erano state<br />

fugate completamente? E come era stata separata nel quarto giorno la luce dalle tenebre mediante la creazione dell’astro del giorno e<br />

di quelli <strong>della</strong> notte “per regolare giorno e notte”, così dovevano essere state separate luce e tenebre metafisiche, ma non annullate<br />

queste ultime. Dunque, c’è la possibilità del male, del nulla fuori di Dio.<br />

Dio avverte Adamo che, se mangerà del frutto dell’albero <strong>della</strong> conoscenza del bene e del male, morirà. La morte appare come il<br />

male; e nell’Apocalisse la vittoria del bene sul male è data dalla scomparsa <strong>della</strong> morte:<br />

“«Ecco la dimora di Dio con gli uomini!<br />

Egli dimorerà tra di loro<br />

ed essi saranno suo popolo<br />

ed egli sarà il “Dio-con-loro”.<br />

4 E tergerà ogni lacrima dai loro occhi;<br />

non ci sarà più la morte,<br />

né lutto, né lamento, né affanno,<br />

perché le cose di prima sono passate».” (21)<br />

La morte è la negazione <strong>della</strong> creazione, la distruzione dell’unione di elementi, come nel caso dell’anima e del corpo, o degli<br />

elementi dell’anima, in ragione di una causa esterna. Ma in Dio non c’è male: né un male reale, né un male potenziale, né un male per<br />

le proprie relazioni interne, né per quelle esterne di creazione e di provvidenza, infatti: “Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco era cosa<br />

molto buona.”<br />

Platone attribuisce a Dio il carattere di Bene, e ciò che è bene non ha bisogno di nulla poiché è perfetto, e inoltre rende amiche<br />

tutte le cose: 16 non è per ciò possibile che in Lui vi siano imperfezioni, limitazioni, male. Platone ne parla anche in termini di purezza:<br />

“Quando invece l’anima procede tutta sola in se stessa alla sua ricerca, allora se ne va colà dov’è il puro, dov’è l’eterno e l’immortale<br />

e l’invariabile”. 17<br />

18 Poi il Signore Dio disse: «Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile».<br />

Come abbiamo visto, in questo secondo capitolo l’uomo nasce solo: è Adamo; Eva non è stata ancora formata. L’uomo, creato ad<br />

immagine di Dio (maschio e femmina) è soltanto agli inizi <strong>della</strong> sua possibile perfezione. La solitudine di Adamo non è un male, ma<br />

una limitazione che, con il preannuncio del suo dover essere ad immagine e somiglianza di Dio, mostra il suo prestabilito<br />

superamento. Per ciò, attualmente Adamo non è un intero, sia per la mancanza del completamento <strong>della</strong> specie, sia perché la sua<br />

missione di ‘dominio’ sugli animali non è ancora iniziata. 18 Questo completamento dell’uomo, mediante “un aiuto che gli sia simile”,<br />

costituisce la possibilità del raggiungimento di quel dominio sugli animali che corrisponde, potremmo dire, alla maturazione<br />

dell’identico-intelletto.<br />

19 Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo,<br />

per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello<br />

doveva essere il suo nome. 20 Così l’uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutte le bestie<br />

selvatiche, ma l’uomo non trovò un aiuto che gli fosse simile.<br />

Anche per gli animali, come per le piante, troviamo qui che essi sono plasmati “dal suolo”, dopo la nascita di Adamo, senza però<br />

che Dio ‘soffi’ nelle loro narici “un alito di vita”. Ma essi non vengono plasmati per servire di cibo all’uomo, bensì per ‘vedere’ se tra<br />

essi, per l’uomo, se ne trovi uno da costituire “un aiuto che gli fosse simile”. In vista del ‘dominio’ dell’uomo sugli animali, Dio li<br />

conduce davanti al giudizio di Adamo, affinché ricevano ciascuno il nome appropriato, cioè la funzione naturale in connessione con la<br />

razionalità complessiva del Creato: “in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il<br />

suo nome.” Non si tratta dunque di un nome fonetico, ma <strong>della</strong> specifica funzione di ciascun animale perché l’universo possa<br />

raggiungere una perfetta armonia.<br />

Adamo qui appare il pastore di tutti gli animali, affidatigli da Dio; “ma l’uomo non trovò un aiuto che gli fosse simile.” Il<br />

completamento maggiore e la sua essenziale armonia, egli non può ottenerli da esseri inferiori, quanto da un alter-ego, carne <strong>della</strong> sua<br />

carne, ossa delle sue ossa.<br />

21 Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse la<br />

carne al suo posto. 22 Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo.<br />

23 Allora l’uomo disse:<br />

15<br />

A riguardo, Platone distingue le seguenti condizioni: 1. di chi sa (l’esperto: egli riconosce tanto chi sa quanto chi non sa); 2. di chi non sa, ma crede di sapere<br />

(costui non riconosce né chi sa né chi non sa); 3. di chi sa di non sapere (egli si affida all’esperto); 4. chi non sa di sapere (si tratta, in genere, di giovani di buona<br />

natura, desiderosi di apprendere).<br />

16<br />

“Per tutte quelle cose che ci sono amiche in modo relativo, evidentemente noi usiamo un termine improprio: in realtà mi sembra che sia vero amico ciò a cui<br />

fanno capo tutte le cosiddette cose amiche. - Sembra davvero, disse. - Dunque, ciò che è il vero amico, lo è in senso assoluto. - Sì. - Questo dunque è stato chiarito, che<br />

il primo amico è amico in assoluto. Ma questo amico si identifica col bene? - A me sembra di sì.” Platone, <strong>Li</strong>side 220 a-b.<br />

17<br />

Platone, Fedone 79 c-d.<br />

18<br />

Platone, con la teoria <strong>della</strong> partecipazione dell’anima all’intero Intellegibile, ci mostra che l’identico è, sì, un intero, ma ancora privo di parti, che dovrà acquisire<br />

con l’esperienza. Per questo motivo ricorre al mito <strong>della</strong> reminiscenza, affermando che tutto ciò che conosciamo è un ricordare, un fare affiorare alla memoria ciò che<br />

già possediamo. In realtà, nascendo, noi possediamo un intelletto il cui oggetto (che egli chiama ‘principio’) non è ancora determinato, ma si va determinando appunto<br />

mediante l’esperienza, attraverso le connessioni tra le parti tra loro, e tra le parti e l’intero. V. Platone, Menone e Teeteto.<br />

7


«Questa volta essa<br />

è carne dalla mia carne<br />

e osso dalle mie ossa.<br />

La si chiamerà donna<br />

perché dall’uomo è stata tolta».<br />

Rimaniamo al racconto così come esso si presenta nella sua forma favolistica. Il torpore profondo che Dio fa scendere su Adamo<br />

non ha certo un fine anestetico, ma quello di nascondere il mistero che stava per compiere: Adamo non doveva sapere qual’è l’atto<br />

generativo mediante il quale stava per nascere Eva. Tanto più che Dio, tratta la costola dall’uomo, la ‘plasma’ senza soffiare in essa<br />

“un alito di vita”: il corpo di Adamo, anzi una sua parte, possiede ormai in sé questo “alito di vita”, così come il seme umano, in<br />

generale, lo possiede, ed è dunque in grado di dar luogo ad un altro essere umano.<br />

Questo nuovo essere (Eva, “madre di tutti i viventi”, 3, 20) è per Adamo parte di sé così profonda da non poter egli separare il<br />

proprio destino dal suo. L’unione sacramentale del matrimonio ha qui il suo naturale fondamento, come ha il suo fondamento<br />

‘metafisico’ nell’essere l’uomo fatto a immagine di Dio, e nell’essere anche immagine del ‘matrimonio’ di Gesù con la sua Sposa: la<br />

Chiesa.<br />

La seconda parte del versetto 23 (“La si chiamerà donna perché dall’uomo è stata tolta “) ci ricorda il Cur Deus homo? di<br />

Anselmo d’Aosta, il quale in questo opuscolo, tra le altre ragioni del perché Dio si è fatto uomo, ricorda e applica il principio di<br />

esaustività. Tale principio gli fa trarre a proposito <strong>della</strong> nascita di Gesù la seguente conclusione: 1. poiché, naturalmente parlando,<br />

ogni uomo e ogni donna nascono dal concorso di un uomo e di una donna; 2. poiché Adamo nacque senza il concorso né dell’uomo né<br />

<strong>della</strong> donna; 3. poiché una donna (Eva) nacque dal concorso del solo uomo (Adamo); 4. era necessario che un uomo (Gesù) nascesse<br />

dal concorso <strong>della</strong> sola donna (Maria). 19 In questo modo, sono state attuate tutte le possibilità: in particolare, quella <strong>della</strong> nascita di<br />

Eva, in un tempo astorico; quella <strong>della</strong> nascita di Gesù, nella ‘pienezza dei tempi’.<br />

La nascita delle donne nel Popol Vuh fa riferimento espressamente al ‘sonno’ dei <strong>primi</strong> quattro uomini, ed essa è narrata in questo<br />

modo:<br />

“Allora ebbero vita anche le loro mogli e vennero fatte le loro donne. Dio stesso le fece con cura. E così, durante il sonno,<br />

giunsero, belle davvero, le loro donne, accanto a Balam-Quitzé, Balam-Acab, Mahucutah ed Iqui-Balam. Là erano anche le loro<br />

donne quando essi si svegliarono, e subito i loro cuori si riempirono di gioia vedendo le loro mogli. Ecco i nomi delle loro donne:<br />

Cahá-Paluna era il nome <strong>della</strong> moglie di Balam-Quitzé; Chomihá si chiamava la moglie di Balam-Acab; Tzununihá, la moglie di<br />

Mahucutah; e Caquixahá era il nome <strong>della</strong> moglie di Iqui-Balam. Questi sono i nomi delle loro mogli, le quali erano Signore<br />

insigni.” 20<br />

“Poi [gli dèi] fecero un uomo e una donna: dissero l’uomo Uxumuco e la donna Cipastonal (Cipactónal), comandarono loro che<br />

lavorassero la terra e che lei filasse e tessesse e che da loro sarebbero nati i macehuales (la gente) e che non riposassero ma che<br />

sempre lavorassero”. 21<br />

Anche in questo ultimo caso abbiamo una notevole vicinanza al testo biblico sia per la creazione di una sola coppia umana, sia<br />

perché Jahvè impone ad Adamo il lavoro come riscatto dal peccato di disobbedienza, come avviene con la coppia <strong>della</strong> tradizione<br />

azteca. Interessante ancora, come ricordavamo, è il riferimento al “sonno” dei quattro uomini prima che Dio facesse “con cura” le loro<br />

mogli. Il numero di queste persone sembra derivare dalla contaminazione di due diversi episodi: quello <strong>della</strong> creazione dei <strong>primi</strong> due<br />

esserei umani, e quello delle otto persone che si salvarono dal diluvio.<br />

Scrive il Vescovo Molina a proposito di una tradizione peruviana: “Questi indios ritenevano cosa certissima e risaputa che il<br />

Creatore e i suoi figli non nacquero da donna, che erano immutabili e che non dovevano neppure aver fine.” 22<br />

24 Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne. 25 Ora<br />

tutti e due erano nudi, l’uomo e sua moglie, ma non ne provavano vergogna.<br />

L’abbandono dei genitori da parte dell’uomo dà luogo ad un terzo nucleo familiare indipendente, in modo che gli sposi si uniscano<br />

e siano “una carne sola” nei figli. È l’indissolubilità del matrimonio di cui parla anche Gesù. Il figlio è l’unione <strong>della</strong> carne dei due<br />

genitori; e come il figlio non può non essere figlio di ciascun genitore e di entrambi per sempre, così per il figlio i due sposi non<br />

possono essere estranei l’uno all’altro, per sempre.<br />

Adamo ed Eva, nati adulti, avevano, come gli animali, ‘indifferenza’ alla nudità propria ed altrui, perché non vi era in loro<br />

perversione. Ma dopo il peccato originale, essi stessi cercano di coprirsi; poi il “Signore Dio fece all’uomo e alla donna tuniche di<br />

pelli e li vestì.” (3, 21) San Paolo infine affermerà che, dopo la salvezza portata da Gesù, l’uomo aspira ad andare oltre l’ambito<br />

naturale, e desidera essere ‘rivestito’, non spogliato. “In realtà quanti siamo in questo corpo, sospiriamo come sotto un peso, non<br />

volendo essere spogliati, ma sopravvestiti, perché ciò che è mortale venga assorbito dalla vittoria.” 23<br />

Possiamo dire che la nudità è propria dello stato di innocenza (come per i neonati); il ricoprirsi di foglie di fico è un tentativo di<br />

nascondere il peccato originale, ed è segno di paura e di vergogna; le vesti di pelli fatte da Dio, è segno di dignità; l’ultimo<br />

rivestimento, nel Regno di Dio, segno di gloria.<br />

19 Il principio di esaustività è presente, più o meno consciamente utilizzato, nella speculazione greca, ma è messo a punto soltanto da Platone nelle così dette ipotesi<br />

sull’Uno del Parmenide, quando propone la riforma <strong>della</strong> dialettica di Zenone di Elea.<br />

20 Popol Vhu, p. 129.<br />

21 León-Portilla, p. 181, Historia de los Mexicanos por sus pinturas, in Nueva Colleción de Documentos para la Historia de México, III.<br />

22 Cristóbal de Molina, Leggende e riti degli Incas, Il Cerchio, 1993, p. 30.<br />

23 2 Corinzi 5, 4.<br />

8


Il peccato originale<br />

Genesi 3<br />

1 Il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore Dio.<br />

I <strong>primi</strong> tre <strong>capitoli</strong> <strong>della</strong> Genesi appaiono, dal punto di vista <strong>della</strong> continuità narrativa, alquanto slegati; e benché facciano parte di<br />

un’unica antichissima tradizione, presentano delle omissioni e delle diversità di rilievo che non ci fanno ben comprendere il contesto e<br />

il processo degli avvenimenti. In modo particolare, con l’introduzione dell’episodio del serpente quale “la più astuta delle bestie<br />

selvatiche fatte dal Signore”, ci troviamo davanti ad una discrepanza che solo altri testi riescono in parte ad eliminare. Infatti, con<br />

l’espressione “la più astuta di tutte le bestie selvatiche”, si dà per ormai presente il male nel mondo; e tanto più è strana la cosa, in<br />

quanto Dio aveva benedetto tutti gli animali, e li aveva considerati ‘cosa buona’; e inoltre, Adamo aveva imposto loro i nomi secondo<br />

un senso certamente positivo, volto all’armonia, al bene dell’Universo. È vero che si parla di “bestie selvatiche”, cioè non ancora<br />

addomesticate dall’uomo, ma questo non sembra togliere nulla a quanto abbiamo detto.<br />

Qualcosa dunque doveva essere accaduto tra la nascita di Eva e la sua tentazione da parte del serpente. Un passo di Isaia colma<br />

questo vuoto.<br />

“12 Come mai sei caduto dal cielo,<br />

Lucifero, figlio dell’aurora?<br />

Come mai sei stato steso a terra,<br />

signore di popoli?<br />

13 Eppure tu pensavi:<br />

Salirò in cielo,<br />

sulle stelle di Dio<br />

innalzerò il trono,<br />

dimorerò sul monte dell’assemblea,<br />

nelle parti più remote del settentrione.<br />

14 Salirò sulle regioni superiori delle nubi,<br />

mi farò uguale all’Altissimo.<br />

15 E invece sei stato precipitato negli inferi,<br />

nelle profondità dell’abisso!<br />

16 Quanti ti vedono ti guardano fisso,<br />

ti osservano attentamente.” (14)<br />

Ancora nell’Apocalisse troviamo un riferimento al “serpente antico”: “1 Vidi poi un angelo che scendeva dal cielo con la chiave<br />

dell’Abisso e una gran catena in mano. 2 Afferrò il dragone, il serpente antico - cioè il diavolo, satana - e lo incatenò per mille anni; 3<br />

lo gettò nell’Abisso, ve lo rinchiuse e ne sigillò la porta sopra di lui, perché non seducesse più le nazioni, fino al compimento dei mille<br />

anni.” (20) Si tratta <strong>della</strong> così detta ribellione di una schiera di Angeli che, secondo una tradizione, avrebbero rifiutato di riconoscere<br />

la possibilità che l’uomo divenisse superiore a loro. Nel Salmo 8 leggiamo:<br />

“4 Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita,<br />

la luna e le stelle che tu hai fissate,<br />

5 che cosa è l’uomo perché te ne ricordi<br />

e il figlio dell’uomo perché te ne curi?<br />

6 Eppure l’hai fatto poco meno degli angeli,<br />

di gloria e di onore lo hai coronato:<br />

7 gli hai dato potere sulle opere delle tue mani,<br />

tutto hai posto sotto i suoi piedi”.<br />

Si deve concludere che gli Angeli non conoscevano il disegno di Dio relativo al nuovo Adamo: il Verbo incarnato. San Paolo nella<br />

Lettera ai Romani scrive: “[…] Adamo, il quale è figura di colui che doveva venire.” (5, 14) E nel Salmo 39 si legge:<br />

“7 Sacrificio e offerta non gradisci,<br />

gli orecchi mi hai aperto.<br />

Non hai chiesto olocausto e vittima per la colpa.<br />

8 Allora ho detto: «Ecco, io vengo.<br />

Sul rotolo del libro di me è scritto,<br />

9 che io faccia il tuo volere.<br />

Mio Dio, questo io desidero,<br />

la tua legge è nel profondo del mio cuore».”<br />

Questo passo si riferisce al Messia, ed è in stretto rapporto con altri passi veterotestamentari, e con alcuni dell’Apocalisse, tra cui<br />

il seguente:<br />

“1 E vidi nella mano destra di Colui che era assiso sul trono un libro a forma di rotolo, scritto sul lato interno e su quello esterno,<br />

sigillato con sette sigilli. 2 Vidi un angelo forte che proclamava a gran voce: «Chi è degno di aprire il libro e sciogliere i sigilli?» 3<br />

Ma nessuno né in cielo, né in terra, né sotto terra era in grado di aprire il libro e di leggerlo. 4 Io piangevo molto perché non si<br />

trovava nessuno degno di aprire il libro e di leggerlo. 5 Uno dei vegliardi mi disse: «Non piangere più; ecco, ha vinto il leone <strong>della</strong><br />

tribù di Giuda, il Germoglio di Davide; egli dunque aprirà il libro e i suoi sigilli.»” (5)<br />

La tradizione mesoamericana parla di una divinità che sembra avere i caratteri negativi di Lucifero.<br />

“Vi era allora pochissimo chiarore sulla faccia <strong>della</strong> terra. Non vi era ancora sole. Vi era però un essere fiero di se stesso che si<br />

chiamava Vucub-Caquix. Esistevano già il cielo e la terra, ma era celata la faccia del sole e <strong>della</strong> luna. E diceva [Vucub-Caquix]: -<br />

In verità, essi portano chiaramente lo stampo di quegli uomini che morirono affogati e la loro natura è simile a quella di esseri<br />

soprannaturali. - Io sarò grande ora su tutti gli esseri creati e formati. Io sono il sole, sono il chiarore, la luna, - esclamò. - Grande<br />

9


è il mio splendore. Grazie a me gli uomini cammineranno e vinceranno. Poiché sono d’argento i miei occhi, fulgenti come pietre<br />

preziose, come smeraldi; i miei denti splendono come pietre fini, simili alla faccia del cielo. Il mio naso splende da lontano come<br />

la luna, il mio trono è d’argento e la faccia <strong>della</strong> terra s’illumina quando vado davanti al mio trono. - E così io sono il sole, io sono<br />

la luna, per la stirpe umana. Così sarà, poiché la mia vista si spinge molto lontano. - A questo modo parlava Vucub-Caquix. Ma, in<br />

realtà, Vucub-Caquix non era il sole; si vanagloriava soltanto delle proprie piume e ricchezze. Ma la sua vista giungeva soltanto<br />

all’orizzonte e non spaziava su tutto il mondo. Ancora non si vedeva la faccia del sole, né <strong>della</strong> luna, né delle stelle, ed ancora non<br />

era spuntata l’alba. Per questa ragione Vucub-Caquix si pavoneggiava come se fosse lui il sole e la luna, poiché ancora non era<br />

apparso né si mostrava il chiarore del sole e <strong>della</strong> luna. La sua unica ambizione era innalzarsi e dominare.” 24<br />

Interessante, inoltre, in questo brano le parole di Vucub-Caquix: “Grazie a me gli uomini cammineranno e vinceranno”, se non<br />

ricordano espressamente l’impresa <strong>della</strong> torre di Babele, alludono certo a qualcosa di analogo.<br />

Presso gli Aztechi viene riportata la leggenda di Quetzalcóatl, nel quale non sempre si tengono distinte la figura del dio principale<br />

del popolo (Quetzalcóatl = “Serpente piumato”) e quella dell’omonimo sacerdote; ma il dio azteco si può avvicinare a quello maya e<br />

al Lucifero biblico: ‘la stella del mattino’.<br />

“(50) Poi che si fu preparato, egli stesso si appiccò fuoco e si cremò: per questo si chiama il crematoio lì dove Quetzalcóatl si<br />

cremò. Si dice che quando bruciò, all’istante si innalzarono le sue ceneri, e che comparvero a vederlo tutti gli uccelli preziosi, che<br />

si innalzano e girano per il cielo: il tlauhquéchol, lo xiuhtótotl, il tzinizcan, i pappagalli tozneneme, ollome e cochome e tanti altri<br />

uccelli belli. Nell’esaurirsi le sue ceneri, subito videro innalzarsi il cuore di Quetzalcóatl. Come sapevano, fu in cielo ed entrò nel<br />

cielo. Dicevano i vecchi che si convertì nella stella che sale all’alba; così come dicono che apparve, quando morì Quetzalcóatl, a<br />

chi per questo chiamava il Signore dell’alba (tlahuizcalpantectli). Dicevano che, quando egli morì, soltanto per quattro giorni non<br />

apparve, perché allora andò ad abitare tra i morti (mictlan); e che ugualmente in quattro giorni si provvide di frecce; per la qual<br />

cosa dopo otto giorni apparve la grande stella (Venere), che chiamavano Quetzalcóatl. E aggiungevano che allora si intronizzò<br />

come Signore.” 25<br />

Tra la bontà di Dio e quella del Creato va posta dunque l’azione negativa di un essere ribelle all’armonia esistente. Il problema del<br />

male è però soltanto spostato, poiché non si comprende come possa essere avvenuto che una creatura (Lucifero) fosse tentata al male<br />

e l’abbia compiuto. Se dunque vi era nel paradiso terrestre l’albero <strong>della</strong> conoscenza del bene e del male, qualcosa di simile doveva<br />

esistere nel paradiso celeste. Questo ‘qualcosa’, legato alla conoscenza, doveva essere la visione dell’ordine gerarchico dell’Universo<br />

creato, con la presenza in esso di un essere per metà tratto dal fango e per metà “soffio di vita”: l’uomo, creato a immagine e<br />

somiglianza di Dio. Ciò poteva apparire un disordine nell’ordine universale, non ‘sopportabile’ da una natura spirituale.<br />

Egli disse alla donna: «È vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di nessun albero del giardino?». 2 Rispose la donna<br />

al serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, 3 ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al<br />

giardino Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morirete».<br />

L’astuzia del serpente si manifesta con una domanda di meraviglia: ‘possibile che Dio vi abbia proibito di mangiare dei frutti di<br />

qualsiasi albero del giardino’? Ma la domanda non è fine a se stessa: essa ha di mira la confessione da parte di Eva che esiste un<br />

albero particolare i cui frutti non solo non devono essere mangiati, ma neppure toccati.<br />

Eva non indica il nome di questo albero se non dicendo “che sta in mezzo al giardino”. Ora, noi sappiamo che Dio impose questo<br />

divieto ad Adamo quando Eva non era ancora stata formata: possiamo per ciò dedurre due cose: 1. che Eva sia stata informata da<br />

Adamo, e non anche lei da Dio direttamente; 2. che questo fatto rappresenti per il serpente il punto di debolezza dell’uomo in quanto<br />

maschio e femmina, e la possibilità di raggiungere il proprio scopo. Eva aveva ascoltato indirettamente la parola di Dio, e dunque la<br />

fedeltà ad essa poteva essere più vulnerabile. Anche lei, ad ogni modo, ripete quanto Dio aveva riferito come effetto <strong>della</strong> eventuale<br />

disobbedienza: il frutto dell’albero <strong>della</strong> scienza del bene e del male avrebbe portato alla morte.<br />

Cosa veramente potesse voler dire questa conclusione, e cioè quanto potesse incidere su persone poste in un mondo in cui non<br />

esistevano il male e la morte, non è chiaro, poiché mancava un senso dialettico <strong>della</strong> vita, anche se il serpente, proprio con la sua<br />

domanda iniziale che comporta una risposta negativa, ne dà l’inizio. Infatti, al divieto incondizionato di Dio fa riscontro ora in Eva la<br />

possibilità di una conoscenza del bene e del male, sebbene rimanga come una possibilità esteriore, non ancora propriamente problema<br />

<strong>della</strong> coscienza, come invece avverrà allorché “vide che l’albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per<br />

acquistare saggezza”.<br />

4 Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! 5 Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i<br />

vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male».<br />

Il serpente mette in dubbio la parola di Dio, suggerendo che Dio ha ingannato Adamo, e teme che diventi come Lui, “conoscendo<br />

il bene e il male”: la sua astuzia consiste in un inganno che si nasconde nella verità: non dice il falso, ma una verità di cui neppure<br />

comprende la portata. E in realtà, la verità, benché ‘renda liberi’, secondo le parole di Gesù, non è l’espressione più alta dell’uomo o<br />

di Dio, ma anch’essa è strumentale, e può essere volta al bene come al male. La stessa espressione “La verità vi renderà liberi”,<br />

mostra questa sua funzione, e con il termine ‘liberi’ Gesù indica il bene completo in noi: Dio.<br />

Il male dunque ‘striscia’ ormai nel mondo, e la parola del serpente può avere la stessa autorevolezza di quella di Dio, poiché<br />

entrambe sono parole di verità: l’uomo morrà, e nello stesso tempo diverrà come Dio. In realtà, al serpente non importa nulla<br />

dell’uomo: in lui vuole colpire Dio; e la sua sfida è quella di ‘costringere’ Dio ad abbassarsi al livello umano, costringendolo a<br />

spogliandosi <strong>della</strong> sua gloria. Se infatti l’uomo diverrà come Dio, Dio diverrà come l’uomo. Credo che il mistero dell’incarnazione<br />

del Verbo abbia qui il primo riferimento indiretto.<br />

6 Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese<br />

del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò. 7 Allora si aprirono gli<br />

occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture.<br />

24 Popol Vuh, p. 21<br />

25 Códice Chimalpopoca. Annales de Cuauhtitlán y Leyenda de los Soles, Universidad Nacional Autónoma de México, México 1992, p. 11.<br />

10


Eva ora si pone davanti all’oggetto stesso <strong>della</strong> contesa, ed è esso che diviene capace di imporsi alla sua coscienza: “Allora la<br />

donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza”. Non sono più le parole del<br />

serpente a tentarla, ma l’albero stesso per come si presentava ai suoi sensi e al suo intelletto. Cadono così le parole del serpente e<br />

quelle di Dio che Adamo le aveva riferito: Eva rimane sola con la propria coscienza davanti all’oggetto che è diventato oggetto di<br />

desiderio.<br />

La ‘parte’ più debole dell’uomo, fatto ad immagine di Dio, fa partecipe la ‘parte’ più forte del frutto mangiato: Adamo, che pure<br />

aveva udito con le proprie orecchie il divieto divino, non abbandona l’essere tratto dal proprio corpo: egli non può che essere solidale<br />

con Eva, né si può pensare che sia stato ingannato da Eva, perché altrimenti la sua coscienza sarebbe restata senza colpa. Adamo<br />

accettò piuttosto il ‘destino’ di Eva, anche se si può pensare che non abbia conosciuto il discorso fatto dal serpente. Solo allora si<br />

aprono effettivamente i loro occhi, come aveva detto il serpente, ma non per diventare “come Dio”: essi scoprono la loro nudità, cioè<br />

la loro nullità, come la vede il Creatore che li trasse dall’abisso del nulla.<br />

Si sono aperti i loro occhi senza “acquistare saggezza”, o meglio, senza acquistare una saggezza positiva, volta cioè ad un<br />

continuo progresso, ma negativa, che ha per primo risultato un regresso: non hanno aquisito la conoscenza del bene e del male, ma<br />

hanno fatto esperienza del male e del suo prevalere sul bene. Il bene è tuttavia ancora presente in loro nelle forme negative del pudore<br />

e <strong>della</strong> paura: la loro coscienza percepisce dolorosamente la rottura di un’armonia che era perfetta nella sua semplicità, con una<br />

capacità di ampliamento che ora è venuta meno.<br />

Nel Popol Vuh troviamo una storia simile a quella narrata dalla Genesi, ma inserita in un contesto del tutto diverso, e diversamente<br />

narrata.<br />

“Questa è la storia di una fanciulla, figlia di un Signore chiamato Cuchumaquic. Giunsero [queste notizie] all’orecchio di una<br />

fanciulla, figlia di un Signore. Il nome del padre era Cuchumaquic e quello <strong>della</strong> fanciulla Ixquic. Quando essa udì la storia dei<br />

frutti dell’albero, che le fu raccontata dal padre, 26 rimase stupita nell’udirla. - Perché non devo andare a vedere quest’albero di cui<br />

parlano? - esclamò la giovane. - Devono certo essere saporiti i frutti di cui sento parlare -. Poi si mise in cammino da sola e giunse<br />

ai piedi dell’albero che era piantato a Pucbal-Chah. - Ah, - esclamò, - che frutti sono quelli che produce quest’albero? Non è<br />

meraviglioso vedere come si è coperto di frutti? Morirò, mi perderò se ne colgo uno? - disse la fanciulla. Allora parlò il teschio<br />

che stava tra i rami dell’albero e disse: - Che vuoi? Questi oggetti rotondi che coprono i rami dell’albero non sono altro che teschi<br />

-. Così disse la testa di Hun-Hunahpú rivolgendosi alla giovane. - Per avventura li desideri? - soggiunse. - Sì, li desidero, - rispose<br />

la fanciulla. - Benissimo, - disse il teschio. - Stendi da questa parte la tua mano destra. - Bene, - replicò la giovane, ed alzando la<br />

destra la stese nella direzione del teschio. In quell’istante il teschio lanciò uno spruzzo di saliva che andò a cadere direttamente<br />

sulla palma <strong>della</strong> mano <strong>della</strong> fanciulla. Essa si guardò svelta ed attenta la palma <strong>della</strong> mano, ma la saliva del teschio non era più<br />

sulla sua mano. - Nella mia saliva e nella mia bava ti ho dato la mia discendenza, (disse la voce sull’albero). - Ora non vi è più<br />

nulla sopra la mia testa, non è altro che un teschio spoglio <strong>della</strong> carne. Così è la testa dei grandi principi, soltanto la carne dà loro<br />

un bell’aspetto. E quando muoiono, gli uomini si spaventano alla vista delle ossa. Tale è anche la natura dei figli, che sono come<br />

la saliva e la bava, siano essi figli di un Signore, di un uomo saggio o di un oratore. La loro qualità non si perde, quando essi se ne<br />

vanno, ma si eredita; non si estingue né sparisce l’immagine del Signore, dell’uomo saggio o dell’oratore, ma essi la lasciano alle<br />

loro figlie ed ai figli che generano. Questo, appunto, ho fatto io con te. Sali dunque sulla superficie <strong>della</strong> terra, ché non morirai.<br />

Abbi fiducia nella mia parola, che così sarà, - disse la testa di Hun-Hunahpú e di Vucub-Hunahpú. E tutto ciò che così<br />

sagacemente avevan fatto era stato per ordine di Huracán, Chipi-Caculhá e Raxa-Caculhá [Dio: il Cuore del Cielo]. Ricevuti tutti<br />

questi avvertimenti, la fanciulla ritornò subito a casa sua, avendo immediatamente concepito i figli nel ventre in virtù <strong>della</strong> sola<br />

saliva. E così vennero generati Hunahpú ed Ixbalanqué.” 27<br />

Le analogie dei due racconti a me sembrano reali: si parla di una giovane donna e di un albero che è simbolo di morte per i suoi<br />

frutti-teschi. La giovane è fortemente attratta dalla bellezza dell’albero, il quale fa anche le veci del serpente, ovvero le fa “la testa di<br />

Hun-Hunahpú”. Inoltre, “tutto ciò che così sagacemente avevan fatto era stato per ordine di Huracán, Chipi-Caculhá e Raxa-Caculhá”,<br />

cioè <strong>della</strong> Trinità maya. La “testa di Hun- Hunahpú” dice inoltre alla giovane: “Sali dunque sulla superficie <strong>della</strong> terra, ché non<br />

morirai”; e questo sembra un passaggio da un luogo ageografico e astorico a quello in cui risiedono gli uomini. In fine, anche<br />

l’assicurazione (“non morrai”) ricorda quella del serpente.<br />

8 Poi udirono il Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno e l’uomo con sua moglie si nascosero dal<br />

Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino. 9 Ma il Signore Dio chiamò l’uomo e gli disse: «Dove sei?». 10 Rispose: «Ho<br />

udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto». 11 Riprese: «Chi ti ha fatto sapere<br />

che eri nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?». 12 Rispose l’uomo: «La donna<br />

che tu mi hai posta accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato». 13 Il Signore Dio disse alla donna: «Che hai<br />

fatto?». Rispose la donna: «Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato».<br />

Con espressione poetica il testo descrive la presenza di Dio nel giardino di Eden. Come Adamo aveva udito le parole di Dio, ora<br />

sente i suoi passi: Dio si manifesta sensibilmente ai progenitori, non nella sua natura e nella sua gloria, ma, possiamo dire, a immagine<br />

dell’uomo: secondo i suoi sensi.<br />

Con la stessa ingenuità con cui avevano nascosto le loro nudità “intrecciando foglie di fico”, così ora si nascondono “in mezzo agli<br />

alberi del giardino”. Essi non hanno ancora il senso <strong>della</strong> maestà divina, dell’onniscienza e dell’onnipotenza di Dio, e pensano di<br />

sottrarsi alla sua vista nascondendosi tra gli alberi. “Ma il Signore Dio chiamò l’uomo”.<br />

È da notare che non si rivolge ad entrambi, ma al solo Adamo; ed è Adamo a rispondere alle sue domande, perché a lui Dio aveva<br />

rivolto la raccomandazione di non mangiare dei frutti dell’albero <strong>della</strong> conoscenza del bene e del male. Benché Adamo abbia voluto<br />

condividere la sorte di Eva, ora non si trattiene dall’incolparla <strong>della</strong> disobbedienza, quasi rimproverando Dio di avergli dato tale<br />

compagna. Analoga è la risposta di Eva nei confronti del serpente: “Il serpente mi ha ingannata”.<br />

La coscienza di entrambi è divenuta una coscienza complessa (“Allora si aprirono gli occhi di tutti e due”), che riconosce il<br />

proprio limite (“si accorsero di essere nudi”: di essere nulla), la propria vulnerabilità (“Il serpente mi ha ingannato”), una propria<br />

26 È da tener presente che per Eva Adamo è quasi un padre.<br />

27 Popol Vuh, p. 58.<br />

11


colpa. È subentrata una coscienza che in Adamo sentirà il peso <strong>della</strong> propria colpa aumentare con l’aumentare del male in quel Creato<br />

di cui Dio si era compiaciuto: la cacciata dal paradiso terrestre, l’uccisione di Abele, la fuga di Caino, oltre alla morte di altri uomini,<br />

oltre ad altri mali, e alla degenerazione dell’umanità. E questo per 930 anni di vita.<br />

L’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio, non c’è più: l’immagine si è ‘appannata’; la somiglianza dovrà essere raggiunta<br />

attraverso ben altro percorso, e con ben altro aiuto divino. L’albero <strong>della</strong> vita, sottratto all’uomo e alla sua storia, nella ‘pienezza dei<br />

tempi’ ha fatto la propria comparsa come ‘legno <strong>della</strong> croce’, mentre è già presente nella descrizione <strong>della</strong> Gerusalemme celeste<br />

dell’Apocalisse: “2 In mezzo alla piazza <strong>della</strong> città e da una parte e dall’altra del fiume si trova un albero di vita che dà dodici raccolti<br />

e produce frutti ogni mese; le foglie dell’albero servono a guarire le nazioni.” (22)<br />

14 Allora il Signore Dio disse al serpente: «Poiché tu hai fatto questo, sii tu maledetto più di tutto il bestiame e più di tutte<br />

le bestie selvatiche; sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni <strong>della</strong> tua vita. 15 Io porrò inimicizia tra<br />

te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno».<br />

Siamo giunti alla maledizione del “serpente antico”, unico vero responsabile <strong>della</strong> caduta di Adamo ed Eva, e per ciò anche<br />

l’unico su cui cada veramente la maledizione divina. Sembra che le due espressioni che accompagnano la maledizione stiano ad<br />

indicare che il ‘serpente’ non parteciperà alla futura rigenerazione del Creato, benché tutto il Creato ‘soffra le doglie del parto’<br />

nell’attesa <strong>della</strong> sua rigenerazione, perché non avrà altro cibo che la “polvere” di questo mondo.<br />

Siamo anche giunti al così detto protovangelo, nel quale Dio annuncia il conflitto scaturito dall’albero <strong>della</strong> conoscenza del bene e<br />

del male, conflitto tra luce e tenebre, tra la donna (la nuova Eva: Maria) e il serpente, tra la stirpe di lei (Gesù) e la stirpe del male, con<br />

la vittoria finale di Dio, poiché la stirpe di lei “schiaccerà la testa” del serpente. L’Apocalisse descrive per simboli questo conflitto e<br />

questa vittoria, e chiude con la descrizione <strong>della</strong> Gerusalemme celeste il discorso aperto in queste pagine <strong>della</strong> Genesi.<br />

16 Alla donna disse: «Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli. Verso tuo marito sarà il tuo<br />

istinto, ma egli ti dominerà». 17 All’uomo disse: «Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell’albero, di<br />

cui ti avevo comandato: Non ne devi mangiare, maledetto sia il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i<br />

giorni <strong>della</strong> tua vita. 18 Spine e cardi produrrà per te e mangerai l’erba campestre. 19 Con il sudore del tuo volto<br />

mangerai il pane; finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere tornerai!».<br />

Contrariamente a quello che si può immediatamente supporre, le parole di Dio, rivolte ad Eva e ad Adamo, non costituiscono una<br />

maledizione, ma anzi rappresentano le indicazioni per l’accettazione <strong>della</strong> nuova modalità offerta all’uomo per riscattarsi dal peccato,<br />

o per lo meno per creare le condizioni necessarie ad una coscienza che sola può sperare in un aiuto divino di redenzione. Come il<br />

serpente, anche la terra viene maledetta; e anche questa maledizione sembra alludere a quanto abbiamo già detto: essa non parteciperà<br />

alla redenzione direttamente, ma vi saranno cieli nuovi e terre nuove, come attraverso una morte e una resurrezione.<br />

Si avvera quanto Dio aveva predetto, poiché gli uomini moriranno, ma si avvererà anche quanto aveva detto il serpente, poiché<br />

essi diventeranno simili a Dio.<br />

20 L’uomo chiamò la moglie Eva, perché essa fu la madre di tutti i viventi.<br />

Adamo, come aveva fatto per gli animali, ora dà un nome a sua moglie, che la caratterizza come “madre di tutti i viventi”, così<br />

come, in analogia, Maria sarà la ‘madre di tutti i redenti’.<br />

21 Il Signore Dio fece all’uomo e alla donna tuniche di pelli e li vestì.<br />

Dio non abbandona l’uomo; e il primo atto <strong>della</strong> provvidenza divina si concretizza nel provvedere al ‘rivestimento’ di Adamo ed<br />

Eva di tuniche, che coprissero le loro nudità, e che li distinguessero dagli animali, dando loro coscienza di questa distinzione, già<br />

peraltro avvertita da loro stessi. La dignità dell’uomo viene in questo modo salvata da Dio, che non cessa di amare la propria creatura.<br />

22 Il Signore Dio disse allora: «Ecco l’uomo è diventato come uno di noi, per la conoscenza del bene e del male. Ora, egli<br />

non stenda più la mano e non prenda anche dell’albero <strong>della</strong> vita, ne mangi e viva sempre!». 23 Il Signore Dio lo scacciò<br />

dal giardino di Eden, perché lavorasse il suolo da dove era stato tratto. 24 Scacciò l’uomo e pose ad oriente del giardino di<br />

Eden i cherubini e la fiamma <strong>della</strong> spada folgorante, per custodire la via all’albero <strong>della</strong> vita.<br />

L’aver sottratto alla mano dell’uomo l’albero <strong>della</strong> vita è da considerarsi, nel racconto <strong>della</strong> Genesi, uno dei maggiori benefici dati<br />

da Dio all’umanità, poiché ha impedito una immortalità che, legata al male ormai radicato nel mondo, avrebbe reso la vita umana<br />

intollerabile e senza possibilità di redenzione.<br />

In questo contesto, in cui l’umanità non prende affatto la strada di Dio, pochi saranno i beni di cui Adamo potrà rallegrarsi: la<br />

nascita di Set, e il momento in cui “si cominciò ad invocare il nome del Signore”; ma non vide la nascita di Enoch che “camminò con<br />

Dio”.<br />

Ancora un brano del Popol Vhu ci illumina sulla vicinanza di queste antichissime tradizioni mesoamericane a quelle <strong>della</strong> Bibbia.<br />

In questo scritto, tra i vari tentativi fatti per creare gli uomini ve n’è uno in cui essi appaiono troppo perfetti e simili agli dèi, per cui<br />

vengono limitati nei loro poteri.<br />

“Ed avendo l’aspetto di uomini, uomini furono; parlarono, conversarono, videro ed udirono, camminarono; afferravano le cose;<br />

erano uomini buoni e belli e la loro figura era una figura di maschio. Furono dotati d’intelligenza; videro e subito la loro vista si<br />

dispiegò, riuscirono a vedere, riuscirono a conoscere tutto ciò che c’è nel mondo. Quando guardavano, vedevano subito tutt’in giro<br />

e contemplavano intorno a loro la volta del cielo e la faccia rotonda <strong>della</strong> terra. Le cose nascoste [per la distanza] le vedevano<br />

tutte, senza doversi prima muovere; in un attimo vedevano il mondo, ed anche dal luogo in cui erano lo vedevano. Grande era la<br />

loro saggezza; la loro vista giungeva sino alle foreste, le rupi, i laghi, i mari, le montagne e le valli. In verità, erano uomini mirabili<br />

Balam-Quitzé, Balam-Acab, Mahucutah ed Iqui-Balam. Allora il Creatore ed il Formatore domandarono loro: - Che ne pensate del<br />

vostro stato? Non guardate? Non udite? Non vanno bene il vostro linguaggio ed il vostro modo di muovervi? Guardate, dunque!<br />

Contemplate il mondo, vedete se appaiono le montagne e le valli! Provate, dunque, a vedere! - dissero loro. E subito essi<br />

riuscirono a vedere tutto quanto era al mondo. Quindi ringraziarono il Creatore ed il Formatore: - Davvero vi ringraziamo due e tre<br />

12


volte! Siamo stati creati, ci sono stati dati una bocca ed un volto, parliamo, udiamo, pensiamo e camminiamo; sentiamo<br />

perfettamente e conosciamo ciò che è lontano e ciò che è vicino. Vediamo anche ciò che è grande e ciò che è piccolo nel cielo e<br />

sulla terra. Vi ringraziamo, dunque, d’averci creati, oh Creatore e Formatore!, d’averci dato la vita, oh nonna nostra!, oh nonno<br />

nostro! - dissero rendendo grazie per la loro creazione e formazione. Riuscirono a conoscere tutto ed esaminarono i quattro angoli<br />

ed i quattro punti <strong>della</strong> volta del cielo e <strong>della</strong> faccia <strong>della</strong> terra. Ma il Creatore ed il Formatore non udirono ciò con piacere. - Non<br />

è bello ciò che dicono le nostre creature, le nostre opere; sanno tutto, ciò che è grande e ciò che è piccolo, - dissero. E così i<br />

Progenitori tennero di nuovo consiglio: - Che ne faremo ora? La loro vista deve raggiungere soltanto ciò che è vicino, devono<br />

vedere soltanto una parte <strong>della</strong> faccia <strong>della</strong> terra! Non è bello ciò che dicono. Forse che non sono per loro natura semplici creature<br />

e fatture [nostre]? Devono forse essere anch’essi dèi? E se non procreano e si moltiplicano quando spunterà l’alba, quando sorgerà<br />

il sole? E se non si propagano? - così dissero. - Re<strong>primi</strong>amo un po’ i loro desideri, poiché non è bello ciò che vediamo. Devono<br />

per avventura esser pari a noi, loro autori, che possiamo abbracciare grandi distanze, che tutto sappiamo e tutto vediamo? Questo<br />

dissero il Cuore del Cielo, Huracán, Chipi-Caculhá, Raxa-Caculhá, Tepeu, Gucumatz, i Progenitori, Ixpiyacoc, Ixmucané, il<br />

Creatore ed il Formatore. Così parlarono e subito mutarono la natura delle loro opere, delle loro creature. Allora il Cuore del Cielo<br />

gettò una nebbia <strong>sui</strong> loro occhi, i quali si appannarono come quando si soffia sulla lastra di uno specchio. I loro occhi si velarono e<br />

poterono vedere soltanto ciò che era vicino, questo soltanto era chiaro per loro. Così vennero distrutte la loro sapienza e tutte le<br />

conoscenze dei quattro uomini, origine e principio [<strong>della</strong> razza quiché]. Così vennero creati e formati i nostri nonni, i nostri padri,<br />

dal Cuore del Cielo, dal Cuore <strong>della</strong> Terra.” 28<br />

A parte il numero dei <strong>primi</strong> uomini nati anteriormente alle donne, le loro straordinarie capacità dopo la creazione (per le quali<br />

erano simili agli dèi) e le successive, dopo le decisioni divine di limitarle, sembrano avere una notevole analogia con le vicende<br />

descritte in queste pagine bibliche. È una specie di cacciata dal giardino in Eden, inteso qui non tanto come un luogo, quanto come<br />

una condizione; cosa che del resto troviamo anche nella Genesi, con la differenza che ad Adamo ed Eva ‘si aprirono gli occhi’ (per<br />

accorgersi di essere ‘nulla’), mente ai <strong>primi</strong> quattro uomini del Popol Vuh fu limitata la vista. Non ostante la diversità, in realtà la<br />

condizione è analoga.<br />

Un’altra analogia, anche questa capovolta, è data dal fatto che i quattro uomini del racconto mesoamericano sono gia quasi degli<br />

dèi, mentre il serpente biblico insinua ad Eva che ‘diventeranno come Dio’.<br />

Caino, Abele, Set<br />

Genesi 4<br />

1 Adamo si unì a Eva sua moglie, la quale concepì e partorì Caino e disse: «Ho acquistato un uomo dal Signore». 2 Poi<br />

partorì ancora suo fratello Abele.<br />

Nasce il primo essere umano dall’unione dell’uomo e <strong>della</strong> donna: è il primo a non essere stato ‘plasmato’ da Dio, ma Eva<br />

attribuisce ugualmente a Dio questa nascita: “«Ho acquistato un uomo dal Signore».” È il riconoscimento che ogni figlio viene da Lui<br />

quale “soffio di vita”, e Dio stesso proteggerà questo nuovo uomo, che pure introdurrà tra poca nel mondo la morte violenta nella<br />

fattispecie del fratricidio.<br />

Il secondogenito di Adamo ed Eva è Abele; e la secondogenitura pone fin da ora un problema ricorrente poi in tutta la Bibbia.<br />

Infatti, anche il seguito non sarà mai il primogenito (o il primo in generale) l’eletto da Dio, ma il secondo. Così è di Abele rispetto a<br />

Caino, di Isacco rispetto a Ismaele, di Giacobbe rispetto ad Esaù, di Efraim rispetto a Manasse (figli di Giuseppe), di Davide rispetto a<br />

Saul, e così di altri. Viene da pensare che ciò risponda al Verbo, quale Persona divina ‘designata’ all’incarnazione (abbiamo già<br />

riportato un passo del Salmo 39, e quello dell’Apocalisse (5), mentre si ha il ritirarsi di Dio Padre, di cui è figura il primogenito. 29<br />

Ora Abele era pastore di greggi e Caino lavoratore del suolo.<br />

La precisazione di questa distinzione è molto importante, perché indica due diverse concezioni di vita, e due simboli di segno<br />

diverso: da una parte, Abele (nominato per primo) si dedica alla pastorizia, e dunque sulla terra transita senza radicarvisi; dall’altra,<br />

Caino “lavora il suolo”, come aveva comandato Dio, e non solo si lega ad essa, ma egli sarà il fondatore <strong>della</strong> prima città. Si<br />

contrappongono la vita nomade e quella sedentaria, anzi cittadina; quella dell’allevamento di animali, e quella <strong>della</strong> coltivazione dei<br />

vegetali (ma poi <strong>della</strong> produzione artigianale del superfluo).<br />

Nella Repubblica Socrate descrive diversi tipi di Stati a partire da quello patriarcale, che definisce il migliore. I suoi interlocutori,<br />

non contenti <strong>della</strong> semplicità di questa società naturale, lo invitano a delineare lo ‘Stato ideale’, che occupa buona parte del dialogo;<br />

ed egli inizia la trattazione.<br />

“A quanto sembra, non vogliamo soltanto sapere come nasce uno stato, ma uno stato gonfio di lusso. Forse però non è male,<br />

perché così vedremo probabilmente come nascono negli stati giustizia e ingiustizia. Lo stato vero è, a mio giudizio, quello di cui<br />

abbiamo parlato ora, uno stato sano. Ma se voi volete che consideriamo anche uno stato rigonfio, nulla ce lo impedisce. Ad alcuni,<br />

sembra, questo non basterà; né basterà questo genere di vita, ma vorranno inoltre letti e tavole e altre suppellettili e pietanze e<br />

incensi e profumi ed etère e focacce, e ciascuna di queste cose in grande varietà. Ecco allora che le cose prima dette, abitazioni<br />

vestiti calzature, non dobbiamo più considerarle come le uniche necessarie; dobbiamo invece ricorrere alla pittura e al ricamo e<br />

procurarci oro, avorio e ogni altra simile materia. No? - Sì, rispose. - Bisogna dunque ingrandire ancora di più lo stato, perché<br />

quello sano non basta: si deve accrescerlo di mole e riempirlo di una massa di gente la cui presenza negli stati non è più imposta<br />

28<br />

Popol Vuh, p. 127.<br />

29<br />

Al di là <strong>della</strong> volontà del Padre, e in generale dei ‘caratteri’ <strong>della</strong> Persona divina, la dialettica platonica ci permette di ‘comprendere’ che l’Uno assoluto (il<br />

Padre) nella realizzazione <strong>della</strong> partecipazione svolge la ‘funzione’ di dividere e ‘distaccare’ dall’Intellegibile, o Uno Essere (il Verbo) il suo intero e le sue parti, e<br />

quindi di ‘designare’ e, di ‘eleggere’, l’intero e le parti che saranno unite dall’Uno Bene (lo Spirito Santo). Nel contesto biblico, Dio Padre ‘designa ed elegge la<br />

seconda Persona divina per la salvezza del mondo, generando nella ‘pienezza dei tempi’ Gesù in Maria, mediante l’azione dello Spirito Santo. In questo modo,<br />

appunto, il secondogenito eletto al posto del primogenito diviene figura del Verbo che entra nella storia.<br />

13


dalla necessità: così per esempio i vari tipi di cacciatori, gli imitatori, i molti che si occupano di figure e di colori o di musica,<br />

poeti con i loro valletti, rapsodi, attori, coreuti, impresari, fabbricanti di ogni sorta di suppellettili per di versi usi, soprattutto per la<br />

moda femminile. Avremo poi bisogno anche di un maggiore numero di servi: non ti sembra che accorreranno pedagoghi, balie,<br />

nutrici, acconciatrici, barbieri e poi cucinieri e cuochi?” 30<br />

Nella storia del popolo eletto incontriamo la contradizione di un popolo di pastori che aspira sempre più a divenire sedentario e<br />

legato alle città. La vita nomade, ad ogni modo, nella forma dell’attività pastorizia, rimarrà comunque nel simbolo dell’agnello<br />

sacrificale <strong>della</strong> pasqua, e nell’Agnello di Giovanni Battista, 31 come pure nell’Agnello dell’Apocalisse, già ricordato.<br />

La vocazione di Abele è dunque quella di attraversare la vita senza la velleità di costruire nulla sulla terra. Caino, al contrario,<br />

vuole ricavare da essa non solo il sostentamento, ma anche tutti i vantaggi possibili. Sembra che la conoscenza del bene e del male<br />

abbia qui una prima divaricazione, in ordine, da una parte, alla saggezza, e dall’altra, al sapere tecnologico; alla semplicità di vita, e<br />

alla vita artefatta, che ha bisogno di molto superfluo.<br />

Questa diversità di scelta di vita prelude già all’intenzione dell’umanità dopo il diluvio radicarsi sulla terra mediante la<br />

costruzione di una città (e di una torre che arrivasse al cielo) “per non disperderci su tutta la terra”, a cui si contrapporrà invece la<br />

dispersione dei vari gruppi ‘etnici’ a causa <strong>della</strong> confusione delle lingue. Viene in questo modo ribadita la negatività del radicarsi in<br />

questo mondo, e di contro si ricava che la diaspora babelica non è una punizione divina, ma un intervento provvidenziale per un<br />

ripristino di un corretto rapporto tra l’uomo e la sua temporanea dimora.<br />

3 Dopo un certo tempo, Caino offrì frutti del suolo in sacrificio al Signore; 4 anche Abele offrì primogeniti del suo gregge e<br />

il loro grasso. Il Signore gradì Abele e la sua offerta, 5 ma non gradì Caino e la sua offerta. Caino ne fu molto irritato e il<br />

suo volto era abbattuto. 6 Il Signore disse allora a Caino: «Perché sei irritato e perché è abbattuto il tuo volto? 7 Se agisci<br />

bene, non dovrai forse tenerlo alto? Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo<br />

istinto, ma tu dòminalo». 8 Caino disse al fratello Abele: «Andiamo in campagna!». Mentre erano in campagna, Caino alzò<br />

la mano contro il fratello Abele e lo uccise.<br />

Tutto il passo ha qualcosa di misterioso, a cominciare dal fatto che l’iniziativa di una offerta a Dio parte da Caino; ma proprio la<br />

sua offerta ‘non è gradita a Dio’, mentre lo è quella di Abele. Viene però detto subito che “Caino ne fu molto irritato”, quasi che con il<br />

sacrificio offerto avesse voluto accampare un diritto su Dio.<br />

Anche qui leggiamo un passo di Platone che ci può riguardare. “Nessuno di coloro che credono all’esistenza degli dèi, come vuole<br />

la legge, volontariamente ha mai commesso azioni empie, né si è lasciato sfuggire parole illecite. Qualora agisca o parli così, ciò<br />

accade per una di queste tre affezioni che egli subisce, o perché non crede a ciò di cui ho parlato [l’esistenza degli dèi], o, in secondo<br />

luogo, perché pensa che pur esistendo gli dèi non si interessino degli uomini, o finalmente, in terzo luogo, perché ritiene che con<br />

sacrifici e preghiere si possono facilmente placare e sedurre.” 32<br />

Sembra, d’altra parte, che Dio voglia mettere alla prova Caino, o meglio indicargli la via per evitare il male e le sue tentazioni. La<br />

risposta di Caino è invece una risposta insensata: egli elimina il rivale, quasi che, rimanendo solo, divenga ben accetto a Dio.<br />

La morte, quale effetto naturale <strong>della</strong> disobbedienza a Dio, viene anticipata con un atto volontario di un uomo su un altro uomo, di<br />

un fratello su di un fratello, e in questo modo diviene un prodotto dell’uomo prima di diventare costitutivo <strong>della</strong> natura umana. Così,<br />

la ristretta comunità dei <strong>primi</strong> uomini vede la scomparsa di uno di loro, fatto tanto più tragico quanto più era sparuto il loro numero.<br />

Si è avverata la parola di Dio (“certamente morireste”), mentre siamo lontani dalla possibilità che si avveri quella del serpente<br />

(“diventerete simili a Dio”). Nell’Apocalisse la vittoria del bene sul male è descritta con la doppia precisazione del diventare gli<br />

uomini “simili a Dio” e <strong>della</strong> scomparsa <strong>della</strong> morte, come abbiamo letto, in questo momento finale, nel quale il tempo non è più<br />

soltanto un’appendice dell’eternità, ma una sua possibile ‘manifestazione’, la vittoria <strong>della</strong> luce è completa, e le tenebre che coprivano<br />

l’abisso e l’abisso stesso sono tolti senza residuo, e si realizza il Regno di Dio.<br />

9 Allora il Signore disse a Caino: «Dov’è Abele, tuo fratello?». Egli rispose: «Non lo so. Sono forse il guardiano di mio<br />

fratello?». 10 Riprese: «Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo! 11 Ora sii maledetto lungi<br />

da quel suolo che per opera <strong>della</strong> tua mano ha bevuto il sangue di tuo fratello. 12 Quando lavorerai il suolo, esso non ti<br />

darà più i suoi prodotti: ramingo e fuggiasco sarai sulla terra». 13 Disse Caino al Signore: «Troppo grande è la mia colpa<br />

per ottenere perdono! 14 Ecco, tu mi scacci oggi da questo suolo e io mi dovrò nascondere lontano da te; io sarò ramingo e<br />

fuggiasco sulla terra e chiunque mi incontrerà mi potrà uccidere». 15 Ma il Signore gli disse: «Però chiunque ucciderà<br />

Caino subirà la vendetta sette volte!». Il Signore impose a Caino un segno, perché non lo colpisse chiunque l’avesse<br />

incontrato. 16 Caino si allontanò dal Signore e abitò nel paese di Nod, ad oriente di Eden.<br />

Analogamente a come aveva fatto con Adamo, Dio anche in questo caso interviene con una domanda a Caino: “«Dov’è Abele, tuo<br />

fratello?»” Dio sembra voler sollecitare la coscienza di Caino, ma l’effetto che ottiene è opposto. Mentre “La voce del sangue” è<br />

l’espressione che potrebbe indicare il ‘ritorno’ a Dio di un’anima strappata al proprio corpo. È la prima anima che torna a Dio:<br />

l’anima del giusto Abele, figura di innocente, come era stato Adamo prima <strong>della</strong> disobbedienza: egli è colui che viene ucciso per<br />

invidia, perché alcuni si rifiutano di fare il bene, e che altri lo faccia.<br />

Leggiamo la tragica pagina, non unica, che Platone scrive a riguardo di chi vuole aiutare i propri simili ad intraprendere la via<br />

<strong>della</strong> giustizia e del bene, mentre costoro, secondo il mito da lui creato, sono incatenati in una caverna davanti ad ombre ingannevoli,<br />

e nulla sanno <strong>della</strong> ‘vera’ realtà che ne sta fuori, alla quale egli vuole condurli.<br />

“E se dovesse discernere nuovamente quelle ombre e contendere con coloro che sono rimasti sempre prigionieri, nel periodo in cui<br />

ha la vista offuscata, prima che gli occhi tornino allo stato normale? e se questo periodo in cui rifà l’abitudine fosse piuttosto<br />

lungo? Non sarebbe egli allora oggetto di riso? e non si direbbe di lui che dalla sua ascesa torna con gli occhi rovinati e che non<br />

30 Platone, Repubblica II 372 e-373 c.<br />

31 “Il giorno dopo, Giovanni vedendo Gesù venire verso di lui disse: «Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo! […]»”. Giovanni 1, 29.<br />

32 Platone, Leggi 885 b.<br />

14


vale neppure la pena di tentare di andar sù? E chi prendesse a sciogliere e a condurre sù quei prigionieri, forse che non<br />

l’ucciderebbero, se potessero averlo tra le mani e ammazzarlo? - Certamente, rispose.” 33<br />

E prima ancora aveva scritto:<br />

“E diranno che se è così come l’ho descritto, il giusto verrà flagellato, torturato, gettato in ceppi, avrà bruciati gli occhi e infine,<br />

dopo avere sofferto ogni sorta di mali, verrà impalato. Riconoscerà così che si deve volere non essere giusti, ma soltanto<br />

sembrarlo.” 34<br />

Questa volta Dio maledice direttamente Caino, anche se la maledizione è legata alla terra e ai suoi frutti. Caino prende alla fine<br />

coscienza <strong>della</strong> propria colpa, misurandone la ‘grandezza’ in termini comparativi: egli non spera nel perdono di Dio, e teme di venire<br />

ucciso da altri. Egli dovrà nascondersi ‘lontano da Dio’; sarà “ramingo e fuggiasco sulla terra”; e inoltre, chiunque lo incontrerà lo<br />

potrà uccidere. Dio però precisa che “«Però chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte!»”, poiché, se non è lecito<br />

uccidere, lo è meno quando si uccide per presunta giustizia, poiché all’uccisione si aggiunge la presunzione di accampare il diritto a<br />

giudicare.<br />

17 Ora Caino si unì alla moglie che concepì e partorì Enoch; poi divenne costruttore di una città, che chiamò Enoch, dal<br />

nome del figlio. 18 A Enoch nacque Irad; Irad generò Mecuiaèl e Mecuiaèl generò Metusaèl e Metusaèl generò Lamech. 19<br />

Lamech si prese due mogli: una chiamata Ada e l’altra chiamata Zilla. 20 Ada partorì Iabal: egli fu il padre di quanti<br />

abitano sotto le tende presso il bestiame. 21 Il fratello di questi si chiamava Iubal: egli fu il padre di tutti i suonatori di<br />

cetra e di flauto. 22 Zilla a sua volta partorì Tubalkàin, il fabbro, padre di quanti lavorano il rame e il ferro. La sorella di<br />

Tubalkàin fu Naama.<br />

In questo brano <strong>della</strong> Genesi incontriamo una incredibile coincidenza, come a me pare, con il mondo mesoamericano relativa a<br />

Iubal, che “fu il padre di tutti i suonatori di cetra e di flauto”, e “Tubalkàin, il fabbro, padre di quanti lavorano il rame e il ferro.”<br />

Infatti nel Popol Vuh troviamo che “Tutte le arti furono insegnate a Hunbatz e Hunchouén, figli di Un-Hunahpù. Erano flautisti,<br />

cantori, tiratori di cerbottana, pittori, scultori, orefici, argentieri: ciò erano Hunbatz e Hunchouén.” 35<br />

Si tratta di vicinanze (una fonetica: Iubal e Uhnbatz, e l’altra realativa alle arti) che è difficile considerare coincidenze fortuite o<br />

contraffazioni di chi ha scritto il Popol Vuh, estrapolando dalla Bibbia una descrizione di valore secondario, modificandola.<br />

23 Lamech disse alle mogli:<br />

«Ada e Zilla, ascoltate la mia voce;<br />

mogli di Lamech, porgete l’orecchio al mio dire:<br />

Ho ucciso un uomo per una mia scalfittura<br />

e un ragazzo per un mio livido.<br />

24 Sette volte sarà vendicato Caino<br />

ma Lamech settantasette».<br />

Nei discendenti di Caino diminuisce la capacità di perdonare, di rispettare, di amare il prossimo, e aumenta l’arroganza che porta<br />

alla vendetta. Ricordiamo la domanda di San Pietro e la risposta di Gesù relativa al numero delle volte per cui si deve perdonare<br />

un’offesa: ‘non sette volte, ma settanta volte sette’.<br />

25 Adamo si unì di nuovo alla moglie, che partorì un figlio e lo chiamò Set. «Perché - disse - Dio mi ha concesso un’altra<br />

discendenza al posto di Abele, poiché Caino l’ha ucciso». 26 Anche a Set nacque un figlio, che egli chiamò Enos. Allora si<br />

cominciò ad invocare il nome del Signore.<br />

Set è il terzo figlio di Adamo ed Eva, e a partire da lui ha inizio la nuova discendenza, contrapposta a quella di Caino. Dopo le<br />

offerte di Caino e Abele a Dio, con Set, alla nascita di Enos, “si cominciò ad invocare il nome del Signore.” Pare si tratti di una<br />

iniziativa dello stesso Set, che in questo caso diviene una nuova ‘figura’ significativa, da accostare a quelle di Adamo e di Abele.<br />

Questi tre personaggi possono infatti essere figura rispettivamente di Abramo (uscito come Adamo dalla propria patria, e lui<br />

capostipite di un popolo come Adamo è capostipite dell’umanità), di Isacco (come Abele sacrificato a Dio, e specifica figura anche<br />

egli di Gesù), di Giacobbe (come Set iniziatore di una nuova discendenza). Essi possono essere figura poi di Saul, di Davide, di<br />

Salomone, i <strong>primi</strong> tre re di Israele: il primo, rifiutato da Dio e <strong>sui</strong>cida (in ciò simile ad Adamo); il secondo, vissuto sotto la minaccia<br />

<strong>della</strong> lancia di Saul; il terzo, costruttore del Tempio di Gerusalemme. Forse, tuttavia, si può dire soprattutto che Adamo, Abramo e<br />

Saul 36 siano in qualche modo figure indicative di Dio Padre; Abele, Isacco e Davide, del Figlio; Set, Giacobbe e Salomone, dello<br />

Spirito Santo.<br />

La genealogia di Adamo<br />

Genesi 5<br />

1 Questo è il libro <strong>della</strong> genealogia di Adamo. Quando Dio creò l’uomo, lo fece a somiglianza di Dio; 2 maschio e femmina<br />

li creò, li benedisse e li chiamò uomini quando furono creati.<br />

33<br />

Platone, Repubblica 516 e-117 a.<br />

34<br />

Platone, Repubblica 361 e-362 a.<br />

35<br />

Popol Vuh, p. 49.<br />

36<br />

Può scandalizzare considerare Saul figura di Dio Padre, ma sono da tener presenti due cose: 1. quanto abbiamo detto sulla preferenza del secondogenito rispetto<br />

al primogenito; 2. quanto si legge nella Bibbia a proposito <strong>della</strong> morte di Saul, e cioè che tanto Davide quanto Samuele piansero accoratamente. A ciò si può<br />

aggiungere che, quando gli ebrei chiesero un re, Dio disse a Samuele a proposito di questa richiesta: “Ascolta la voce del popolo per quanto ti ha detto, poiché costoro<br />

non hanno rigettato te, ma hanno rigettato me, perché io non regni più su di essi.” 1 Samuele, 8, 7.<br />

15


Dopo la creazione, dopo il peccato originale, e il male entrato tragicamente nel mondo con la morte di Abele e la dinastia di Caino,<br />

si apre ora la pagina <strong>della</strong> genealogia di Adamo e di Set, fino a Noè e i suoi tre figli. Il testo ci porta in questo modo davanti ad un<br />

altro tragico momento, frutto del peccato: la degenerazione di questa prima umanità, e il diluvio universale decretato da Dio. L’inizio<br />

è però ancora positivo, perché ribadisce il ‘valore’ <strong>della</strong> nascita dell’uomo; e se non viene ripetuto che fu creato ad immagine di Dio<br />

(forse, dopo il peccato originale, riesce difficile ricordarne l’immagine), si torna a dire che fu creato “a somiglianza di Dio”: una<br />

somiglianza da conquistare faticosamente attraverso la storia che sarà, umanamente parlando, più negativa che positiva.<br />

Si ribadisce anche che l’uomo fu creato maschio e femmina, e come tali Dio lo benedisse: ‘L’uomo non separi ciò che Dio ha<br />

unito’, secondo le parole di Gesù.<br />

3 Adamo aveva centotrenta anni quando generò a sua immagine, a sua somiglianza, un figlio e lo chiamò Set. 4 Dopo aver<br />

generato Set, Adamo visse ancora ottocento anni e generò figli e figlie. 5 L’intera vita di Adamo fu di novecentotrenta<br />

anni; poi morì.<br />

Nel versetto tre torna l’espressione “a sua immagine , a sua somiglianza”, ma essa riguarda Set, e si riferisce ad Adamo. Si<br />

perpetua in questo modo l’originaria ‘immagine e somiglianza’ che Caino aveva profanata e offuscata; e per di più, come abbiamo<br />

visto, con Set “si cominciò a invocare il nome del Signore.”<br />

La vita di Adamo fu di novecentotrenta anni: un tempo ‘interminabile’ in cui egli ebbe modo di prendere profondissima coscienza<br />

<strong>della</strong> caduta dallo stato <strong>primi</strong>tivo, mentre nascite e morti si susseguono, il male avanza sempre più, e il ricordo <strong>della</strong> promessa di Dio<br />

di una vittoria del bene sul male si riduce a una tenuissima favilla di speranza.<br />

6 Set aveva centocinque anni quando generò Enos; 7 dopo aver generato Enos, Set visse ancora ottocentosette anni e<br />

generò figli e figlie. 8 L’intera vita di Set fu di novecentododici anni; poi morì. 9 Enos aveva novanta anni quando generò<br />

Kenan; 10 Enos, dopo aver generato Kenan, visse ancora ottocentoquindici anni e generò figli e figlie. 11 L’intera vita di<br />

Enos fu di novecentocinque anni; poi morì. 12 Kenan aveva settanta anni quando generò Maalaleèl; 13 Kenan dopo aver<br />

generato Maalaleèl visse ancora ottocentoquaranta anni e generò figli e figlie. 14 L’intera vita di Kenan fu di<br />

novecentodieci anni; poi morì. 15 Maalaleèl aveva sessantacinque anni quando generò Iared; 16 Maalaleèl dopo aver<br />

generato Iared, visse ancora ottocentotrenta anni e generò figli e figlie. 17 L’intera vita di Maalaleèl fu di<br />

ottocentonovantacinque anni; poi morì. 18 Iared aveva centosessantadue anni quando generò Enoch; 19 Iared, dopo aver<br />

generato Enoch, visse ancora ottocento anni e generò figli e figlie. 20 L’intera vita di Iared fu di novecentosessantadue<br />

anni; poi morì. 21 Enoch aveva sessantacinque anni quando generò Matusalemme. 22 Enoch camminò con Dio; dopo aver<br />

generato Matusalemme, visse ancora per trecento anni e generò figli e figlie. 23 L’intera vita di Enoch fu di<br />

trecentosessantacinque anni. 24 Poi Enoch camminò con Dio e non fu più perché Dio l’aveva preso.<br />

Ci interessa qui mettere in rilievo la figura di Enoch, che “camminò con Dio”, con una vita breve in confronto alle altre. Si ripete<br />

alla fine che egli “camminò con Dio e non fu più perché Dio l’aveva preso.” L’espressione finale certamente non può stare ad indicare<br />

la morte naturale, ma propriamente una ‘assunzione in cielo’. In questo modo, nei tre periodi <strong>della</strong> storia <strong>della</strong> salvezza, tre<br />

risulteranno le persone assunte in cielo vive, con il loro corpo, a rappresentare tre generazioni diversamente segnate: quella prima del<br />

patto di Dio con il popolo eletto; quella <strong>della</strong> dichiarazione del patto; quella del compimento del patto. Le altre due persone sono<br />

Elia, 37 e Maria, madre di Gesù.<br />

Che Enoch porti lo stesso nome del figlio di Caino è in qualche modo tanto più significativo in quanto, mentre quest’ultimo dà il<br />

nome ad una città e si radica sulla terra, il primo al contrario ascende al cielo. Egli è il primo abitatore umano entrato nel Regno di<br />

Dio con anima e corpo, che si è staccato completamente dalla terra.<br />

25 Matusalemme aveva centottantasette anni quando generò Lamech; 26 Matusalemme, dopo aver generato Lamech, visse<br />

ancora settecentottantadue anni e generò figli e figlie. 27 L’intera vita di Matusalemme fu di novecentosessantanove anni;<br />

poi morì. 28 Lamech aveva centottantadue anni quando generò un figlio 29 e lo chiamò Noè, dicendo: «Costui ci consolerà<br />

del nostro lavoro e <strong>della</strong> fatica delle nostre mani, a causa del suolo che il Signore ha maledetto». 30 Lamech, dopo aver<br />

generato Noè, visse ancora cinquecentonovantacinque anni e generò figli e figlie. 31 L’intera vita di Lamech fu di<br />

settecentosettantasette anni; poi morì. 32 Noè aveva cinquecento anni quando generò Sem, Cam e Iafet.<br />

Quest’ultima parte <strong>della</strong> genealogia di Adamo vede il più longevo dei patriarchi: Matusalemme, la cui morte dà forse il segnale del<br />

diluvio universale, poiché le due date coincidono.<br />

A noi non interessa il realismo o meno di queste durate, perché quello che conta è vedere se esse hanno importanza per una<br />

ricostruzione cronologica di tutta la storia riportata dall’Antico Testamento. Ora, questa ricostruzione è possibile perché vi sono nel<br />

complesso dei testi biblici abbastanza rimandi cronologici, anche se incerta rimane la lezione dei vari codici. 38<br />

Un altro problema che si presenta a partire da questa genealogia è dato dalla presenza nella Bibbia di serie di personaggi in<br />

numero di dodici, con un legame molto vario al numero tredici. Presento alcuni casi che si possono trovare facilmente, ma che non<br />

pretendono di esaurirne il quadro. 39<br />

37<br />

“1 Poi, volendo Dio rapire in cielo in un turbine Elia, questi partì da Gàlgala con Eliseo. 2 Elia disse a Eliseo: «Rimani qui, perché il Signore mi manda fino a<br />

Betel». Eliseo rispose: «Per la vita del Signore e per la tua stessa vita, non ti lascerò». Scesero fino a Betel. […] 11 Mentre camminavano conversando, ecco un carro di<br />

fuoco e cavalli di fuoco si interposero fra loro due. Elia salì nel turbine verso il cielo. 12 Eliseo guardava e gridava: «Padre mio, padre mio, cocchio d’Israele e suo<br />

cocchiere». E non lo vide più.” 2 Re.<br />

38<br />

I miei vecchi conti mi portano a fissare in 4004 gli anni che vanno dalla nascita di Adamo a quella di Gesù.<br />

39<br />

I patriarchi anteriori al diluvio (comprendendo Dio secondo l’indicazione del Vangelo di Luca): 1. Dio, 2. Adamo, [3. Caino], 4. Abele, 5. Set, 6. Enosh, 7.<br />

Kenan, 8. Mahalaleel, 9. Jared, 10. Henoch, 11. Matushalakh, 12. Lamech, 13. Noè. Genesi 5.<br />

I patriarchi posteriori al diluvio: 1. Sem, 2. Arfakhshad, 3. Shalakh, 4. Eber, 5. Peleg, 6. Reu, 7. Sherug, 8. Nakhor, 9. Terakh, 10. Abramo, 11. Isacco, [12. Esaù],<br />

13. Giacobbe. Genesi 11, 10-32; 21, 1-7; 25, 19-26.<br />

I figli di Giacobbe: 1. Ruben, 2. Simeone, 3. Levi, 4. Giuda, 5. Issachar, 6. Zabulon, 7. Giuseppe, 8. Beniamino, 9. Dan, 10. Neftali, 11. Gad, 12. Asher, [13.<br />

Dina]. Genesi 29, 31-35; ecc.<br />

Le tribù storiche: 1. Ruben, 2. Simeone, [3. Levi] 4. Giuda, 5. Issachar, 6. Zabulon, [7. Giuseppe], 8. Efraim, 9. Manasse, 10. Beniamin, 11. Dan, 12. Asher, 13.<br />

Gad, 14. Neftali. Numeri 1, 5-15.<br />

16


Il diluvio universale<br />

Genesi 6<br />

1 Quando gli uomini cominciarono a moltiplicarsi sulla terra e nacquero loro figlie, 2 i figli di Dio videro che le figlie degli<br />

uomini erano belle e ne presero per mogli quante ne vollero. 3 Allora il Signore disse: «Il mio spirito non resterà sempre<br />

nell’uomo, perché egli è carne e la sua vita sarà di centoventi anni».<br />

Credo che le espressioni “i figli di Dio” e “le figlie degli uomini” non vogliano esprimere altro che un rimprovero nei confronti<br />

degli uomini, i quali dovrebbero ritenersi, come lo sono, “figli di Dio”, e dunque non abbandonarsi ad apprezzare in modo eccessivo<br />

“le figlie degli uomini”, trovandole belle, e prendendone “per mogli quante ne vollero”. Da un lato, è condannata la poligamia,<br />

dall’altro l’eccessivo apprezzamento dell’amore, come attaccamento a questo mondo. Per questo Dio abbrevia la vita dei singoli<br />

individui, che di contro si moltiplica quantitativamente con un numero maggiore di nascite.<br />

4 C’erano sulla terra i giganti a quei tempi - e anche dopo - quando i figli di Dio si univano alle figlie degli uomini e queste<br />

partorivano loro dei figli: sono questi gli eroi dell’antichità, uomini famosi.<br />

I giganti sono ricordati ancora nella Bibbia, e di essi parlano varie tradizioni anche molto lontane tra loro. Da essi vanno distinti i<br />

discendenti dei “figli di Dio” e delle “figlie degli uomini”, considerati “gli eroi dell’antichità, uomini famosi.” Di questa loro fama<br />

non sappiamo nulla; e in ogni caso si tratta di una generazione che scompare con il diluvio.<br />

5 Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni disegno concepito dal loro cuore non era<br />

altro che male. 6 E il Signore si pentì di aver fatto l’uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor suo. 7 Il Signore disse:<br />

«Sterminerò dalla terra l’uomo che ho creato: con l’uomo anche il bestiame e i rettili e gli uccelli del cielo, perché sono<br />

pentito d’averli fatti». 8 Ma Noè trovò grazia agli occhi del Signore.<br />

Ora non è soltanto la stirpe di Caino ad essere malvagia, ma anche quella di Set: tutta l’umanità è degenerata, tanto che Dio decide<br />

di distruggerla, benché non del tutto, perché del tutto non diventi malvagia senza possibilità di ritorno al bene. La spinta al male<br />

risulta nell’umanità quasi irrefrenabile, e nettamente prevalente rispetto al bene, tanto che tra tutti gli uomini soltanto “Noè trovò<br />

grazia agli occhi del Signore.” Sembra la vittoria del serpente su Dio, ma Dio lascia credere alla propria sconfitta perché, a differenza<br />

di quanto accade palesemente, i suoi ‘pensieri’ sono nascosti e ben diversi da quelli degli uomini: “Perché i miei pensieri non sono i<br />

vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie - oracolo del Signore”. 40<br />

9 Questa è la storia di Noè. Noè era uomo giusto e integro tra i suoi contemporanei e camminava con Dio. 10 Noè generò<br />

tre figli: Sem, Cam, e Iafet. 11 Ma la terra era corrotta davanti a Dio e piena di violenza. 12 Dio guardò la terra ed ecco<br />

essa era corrotta, perché ogni uomo aveva pervertito la sua condotta sulla terra. 13 Allora Dio disse a Noè: «È venuta per<br />

me la fine di ogni uomo, perché la terra, per causa loro, è piena di violenza; ecco, io li distruggerò insieme con la terra. 14<br />

Fatti un’arca di legno di cipresso; dividerai l’arca in scompartimenti e la spalmerai di bitume dentro e fuori. 15 Ecco come<br />

devi farla: l’arca avrà trecento cubiti di lunghezza, cinquanta di larghezza e trenta di altezza. 16 Farai nell’arca un tetto e<br />

a un cubito più sopra la terminerai; da un lato metterai la porta dell’arca. La farai a piani: inferiore, medio e superiore. 17<br />

Ecco io manderò il diluvio, cioè le acque, sulla terra, per distruggere sotto il cielo ogni carne, in cui è alito di vita; quanto è<br />

sulla terra perirà. 18 Ma con te io stabilisco la mia alleanza. Entrerai nell’arca tu e con te i tuoi figli, tua moglie e le mogli<br />

dei tuoi figli. 19 Di quanto vive, di ogni carne, introdurrai nell’arca due di ogni specie, per conservarli in vita con te: siano<br />

maschio e femmina. 20 Degli uccelli secondo la loro specie, del bestiame secondo la propria specie e di tutti i rettili <strong>della</strong><br />

terra secondo la loro specie, due d’ognuna verranno con te, per essere conservati in vita. 21 Quanto a te, prenditi ogni<br />

sorta di cibo da mangiare e raccoglilo presso di te: sarà di nutrimento per te e per loro». 22 Noè eseguì tutto; come Dio gli<br />

aveva comandato, così egli fece.<br />

Come Enoch, anche Noè “camminava con Dio”, in mezzo a uomini violenti, che avevano perduto il senso di dipendenza dal<br />

Creatore. Dio, dunque, mentre condanna l’umanità alla distruzione, la preserva dalla estremizzazione del male in Noè, attraverso<br />

un’opera di purificazione universale quale è quella del diluvio. Com’è noto, Noè si salva nell’arca che Dio gli aveva detto di<br />

costruire, salvando contemporaneamente la propria moglie, i suoi tre figli e le loro mogli, e inoltre una coppia di animali per ogni<br />

specie.<br />

Le attestazioni antiche di vari diluvi spingono a relativizzare anche il diluvio biblico; ma in realtà è forse possibile distinguere<br />

catastrofi naturali, piogge torrenziali, inondazioni, maremoti, ecc.) da questa particolare catastrofe, e individuare altre tradizioni che<br />

fanno riferimento espressamente a questa. Se infatti i Greci ricordano almeno tre ‘diluvi’, 41 ancora una volta il contesto<br />

mesoamericano appare privilegiato, sia nel Popol Vuh sia nella tradizione azteca.<br />

“Esistettero e si moltiplicarono; ebbero figlie, ebbero figli, i fantocci di legno; ma non avevano anima, né intelletto, non si<br />

ricordavano del loro Creatore, del loro Formatore; si muovevano senza meta e camminavano carponi. […] Questi furono i <strong>primi</strong><br />

uomini che in gran numero esistettero sulla faccia <strong>della</strong> terra. CAPITOLO TERZO Subito i fantocci di legno vennero annientati,<br />

distrutti e disfatti, e furono uccisi. Un’inondazione venne prodotta dal Cuore del Cielo; si formò un grande diluvio, che cadde sulla<br />

testa dei fantocci di legno. […] Ma essi non pensavano, non parlavano con il loro Creatore, con il loro Formatore, che li avevano<br />

fatti, che li avevano creati. E per questa ragione vennero uccisi, vennero affogati. Una resina abbondante scese dal cielo. Colui che<br />

Le tribù metastoriche: 1. Giuda, 2. Ruben, 3. Gad, 4. Aser, 5. Neftali, 6. Manasse, 7. Simeon, 8. Levi, 9. Issachar, 10. Zabulon, 11. Giuseppe, [12, Efraim], 13.<br />

Beniamino, [14. Dan]. Apocalisse 7, 5-8.<br />

Analoghi elenchi troviamo in area mesoamericana.<br />

Gli Apostoli di Gesù: 1. Pietro, 2. Andrea, 3. Giacomo di Zebedeo, 4. Giovanni, 5. Filippo, 6. Bartolomeo, 7. Tommaso, 8. Matteo, 9. Giacomo di Alfeo, 10.<br />

Taddeo, 11. Simone il Cananeo, [12. Giuda Iscariota], 13. Mattia.<br />

Altro esempio è dato dai dodici Giudici d’Israele, senza contare Debora. E così è per altri casi e altre genealogie.<br />

40 Isaia 55, 8.<br />

41 Di Ogige, di Deucalione, di Dardano.<br />

17


era chiamato Xecotcovach arrivò e vuotò loro gli occhi; Camalotz venne a tagliar loro la testa; e venne Cotzbalam e divorò loro le<br />

carni. Il Tucumbalam giunse anch’egli e spezzò e schiacciò loro le ossa ed i nervi, stritolò e macinò loro le ossa. E ciò fu per<br />

punirli per non aver pensato alla loro madre, né al loro padre, il Cuore del Cielo, chiamato Huracán. E per questo motivo si oscurò<br />

la faccia <strong>della</strong> terra ed incominciò una pioggia nera, pioggia di giorno, pioggia di notte.” 42<br />

Dopo il brano relativo a Vucub-Caquix, che abbiamo riportato più sopra, si legge: “E fu allora che avvenne il diluvio per colpa dei<br />

fantocci di legno.”<br />

Sempre sul diluvio riportiamo un brano del così detto Manoscritto del 1558, più comunemente chiamato Leyenda de los Soles.<br />

“Terminando il loro [degli uomini] anno, Titlacahuan (17) chiamò colui che aveva nome Tata (18) e sua moglie chiamata Nene,<br />

(19) e disse loro: “Non volere nient’altro; (20) bucherai un ahuehuetl (21) molto grande, e lì vi metterò quando sarà la vigilia<br />

(toçoçtli) (22) e si venga sommergendo il cielo.” Lì entrarono; poi li chiuse e disse loro: “Solamente una pannocchia di mais (23)<br />

mangerai tu, e ugualmente una tua moglie.” Quando terminarono di consumare i grani, (24) si notò che andava diminuendo<br />

l’acqua; (25) e non si muoveva il legno.” 43<br />

In questo brano non solo abbiamo il ricordo del diluvio universale, come del resto in altri testi, ma la sopravvivenza di un uomo e<br />

di una donna per intervento di un dio che suggerisce loro la costruzione di una specie di arca. La vicinanza al testo biblico è evidente,<br />

ma altrettanto evidente è la diversità dei particolari che permettono di considerare il racconto náhuatl indipendente da quello<br />

veterotestamentario. 44 Una prova ulteriore <strong>della</strong> indipendenza delle due narrazioni è data dalla continuazione del racconto di Tata e<br />

Nene: mentre nella Genesi, all’uscita di Noè e dei familiari dall’arca, Dio formula una promessa di non più distruggere l’umanità con<br />

un diluvio, e la suggella con l’arcobaleno, 45 il Manoscritto ci presenta l’adirarsi degli dèi per il fumo provocato dal fuoco acceso dai<br />

due sopravvissuti per la cottura del pesce pescato, che giunge fino al cielo, dove essi dimorano.<br />

Altra cosa importante da sottolineare è la coincidenza dei nomi <strong>della</strong> coppia salvatasi nell’albero cavo con i termini di altri contesti<br />

con significato analogo. Infatti Tata significa padre, e Nene (o Nenet) vuol dire sesso femminile. Il nome ‘Tata’, con valore di padre si<br />

trova in contesti linguistici molto lontani tra di loro. Così, anche in ambito mesopotamico troviamo il termine ‘Tutu’, foneticamente<br />

affine, e con lo stesso significato: “Tutu in sumero vuol dire ‘procreatore’.” 46<br />

Quanto al termine ‘Nene’, di cui abbiamo visto il significato, esso non è molto lontano dal significato che ha il nome delle prima<br />

donna nella Bibbia, la quale fu chiamata Eva “perché essa fu madre di tutti i viventi.” 47<br />

Altri testi parlano di quattro persone salvate dal diluvio, come lo scritto di Landa.<br />

“Tra gli dèi che questa gente adorava ce n’erano quattro chiamati «Bacab». Dicevano che questi erano quattro fratelli che Dio<br />

collocò nelle quattro parti del mondo all’atto <strong>della</strong> creazione affinché sostenessero il cielo per impedirne la caduta. Dicevano che<br />

questi «Bacab» si salvarono quando il mondo fu distrutto dal diluvio.” 48<br />

In ambito peruviano abbiamo analoghe tradizioni, tra cui quella riportata da Cristóbal de Molina nella sua relazione del 1574.<br />

“Ebbero notizia certa del diluvio nel quale, dicono, perirono tutti i popoli e tutte le cose create poiché le acque salirono <strong>sui</strong> monti<br />

più alti così che non restò creatura vivente, ad eccezione di un uomo e una donna che trovarono rifugio nella cassa di un tamburo.<br />

Quando le acque si ritirarono, il vento li sospinse a Tiahuanaco, distante più di settanta leghe dal Cuzco. Il Creatore di tutte le cose<br />

ordinò loro che restassero in quel luogo come mitimas [coloni trapiantati da una regione all’altra] e lì, a Tiahuanaco, il Creatore<br />

cominciò a fare genti e nazioni che vivono su questa terra, formando con l’argilla ogni nazione. Dipinse i vestiti secondo la foggia<br />

che ognuna di esse avrebbe dovuto indossare e usare e [dipinse] capelli [lunghi] a quelli che li avrebbero dovuti portare lunghi e<br />

corti a quelli che avrebbero dovuto tagliarli. Una volta fatto ciò, dette ad ogni nazione la lingua che avrebbe dovuto parlare, i canti<br />

che avrebbe dovuto cantare e i semi delle piante alimentari che avrebbe dovuto seminare. Terminato di dipingere e formare le<br />

nazioni e le figure di creta, dette essere ed anima ad ogni essere, in specie agli uomini e alle donne di ogni nazione e ordinò loro di<br />

entrare nelle viscere <strong>della</strong> terra per riemergere dai luoghi e regioni che egli avrebbe stabilito.” 49<br />

Anche in questo testo sembra esserci una contaminazione tra il ricordo del diluvio, quello <strong>della</strong> confusione delle lingue e quello<br />

<strong>della</strong> ‘estrazione’ dell’umanità dalla terra (“fango”).<br />

Il nuovo patto di Dio con l’umanità<br />

Genesi 9<br />

1 Dio benedisse Noè e i suoi figli e disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite la terra. 2 Il timore e il terrore di voi<br />

sia in tutte le bestie selvatiche e in tutto il bestiame e in tutti gli uccelli del cielo. Quanto striscia sul suolo e tutti i pesci del<br />

mare sono messi in vostro potere. 3 Quanto si muove e ha vita vi servirà di cibo: vi do tutto questo, come già le verdi erbe.<br />

4 Soltanto non mangerete la carne con la sua vita, cioè il suo sangue. 5 Del sangue vostro anzi, ossia <strong>della</strong> vostra vita, io<br />

domanderò conto; ne domanderò conto ad ogni essere vivente e domanderò conto <strong>della</strong> vita dell’uomo all’uomo, a ognuno<br />

di suo fratello.<br />

6 Chi sparge il sangue dell’uomo<br />

dall’uomo il suo sangue sarà sparso,<br />

perché ad immagine di Dio<br />

42<br />

Popol Vuh, p. 18.<br />

43<br />

Manoscritto del 1558, in Códice Chimalpopoca. Annales de Cuauhtitlán y Leyenda de los Soles, II 1-6.<br />

44<br />

Com’è noto, il racconto del diluvio si trova nelle antiche tavolette mesopotamiche <strong>della</strong> storia di Gilgamesh. V. La Saga di Gilgamesh, Rusconi, 1993, p. 215, e<br />

in altre diversissime culture.<br />

45<br />

Genesi 9, 12.<br />

46<br />

Furlani, nota al v. 9 dell’Enu%maelisé, p. 103, in La saga di Gilgamesh, Rusconi, 1993.<br />

47<br />

Genesi 3, 20.<br />

48<br />

Diego de Landa, Relazione sullo Yucatán, Edizioni Paoline, Roma 1993, p. 157.<br />

49<br />

Cristóbal de Molina, Leggende e riti degli Incas, Il Cerchio, 1993, p. 24.<br />

18


Egli ha fatto l’uomo.<br />

7 E voi, siate fecondi e moltiplicatevi,<br />

siate numerosi sulla terra e dominatela».<br />

Dopo il diluvio, dopo l’uscita dall’arca, che si era fermata sull’Ararat, Dio benedice Noè e i suoi figli, e introduce un nuovo<br />

‘patto’ tra gli uomini e il resto del creato: “Il timore e il terrore di voi sia in tutte le bestie selvatiche e in tutto il bestiame e in tutti gli<br />

uccelli del cielo. […] Quanto si muove e ha vita vi servirà di cibo: vi do tutto questo, come già le verdi erbe.” Gli animali, che<br />

avrebbero dovuto diventare i collaboratori dell’uomo nella vita nel giardino in Eden, ora sono concessi quale alimento di Noè e dei<br />

suoi discendenti. C’è tuttavia ancora un rispetto verso di loro, che riguarda la stessa dignità dell’uomo: “Soltanto non mangerete la<br />

carne con la sua vita, cioè il suo sangue”, cioè non sbranateli ancora vivi, come ormai faranno gli animali tra loro.<br />

Torna anche l’esortazione ad essere fecondi e a moltiplicarsi e riempire la terra: è la missione di prendere pienamente possesso<br />

<strong>della</strong> dimora creata per gli uomini, sebbene i rapporti originari siano stati alterati: “Il timore e il terrore di voi sia in tutte le bestie<br />

selvatiche e in tutto il bestiame e in tutti gli uccelli del cielo.” Forse ora questo moltiplicarsi e riempire la terra sta ad indicare un<br />

limite temporale ed il segno di un intervento <strong>della</strong> provvidenza divina per una ‘svolta’ <strong>della</strong> storia dell’uomo.<br />

Dio intanto, tornando a condannare l’omicidio, ricorda nuovamente che l’uomo è stato fatto a sua immagine, e dunque l’omicidio<br />

è sempre anche un’offesa diretta a Dio: anche contro il precetto di riempire la terra.<br />

8 Dio disse a Noè e ai <strong>sui</strong> figli con lui: 9 «Quanto a me, ecco io stabilisco la mia alleanza con i vostri discendenti dopo di voi;<br />

10 con ogni essere vivente che è con voi, uccelli, bestiame e bestie selvatiche, con tutti gli animali che sono usciti dall’arca.<br />

11 Io stabilisco la mia alleanza con voi: non sarà più distrutto nessun vivente dalle acque del diluvio, né più il diluvio<br />

devasterà la terra».<br />

Questa nuova alleanza con gli uomini e gli animali è relativa alla sopravvivenza: “non sarà più distrutto nessun vivente dalle<br />

acque del diluvio, né più il diluvio devasterà la terra”. Sappiamo però che una ben più grande e definitiva catastrofe colpirà l’intero<br />

universo, quando alla fine del mondo “Tutta la milizia celeste si dissolve, i cieli si arrotolano come un libro, tutti i loro astri<br />

cadono”. 50<br />

Nel Politico Platone, inventando un mito, parla dell’abbandono del Cosmo da parte di Dio, e di un suo ritorno “al timone di<br />

quello” per ‘raddrizzarlo e renderlo immortale’:<br />

È proprio per questa ragione che il dio che già una volta l’ha ordinato, vedendolo in difficoltà estreme, preoccupandosi che<br />

sconvolto dalla tempesta, sotto il suo infuriare non si dissolva e si inabissi nel mare infinito <strong>della</strong> dissomiglianza, ritornando a<br />

sedere al timone di quello e volgendo a nuovo corso ciò che nel tempo precedente, in cui l’universo era abbandonato a se stesso, si<br />

ammalò e si dissolse, l’ordina ancora e lo raddrizza e così lo rende immortale e senza vecchiaia.” 51<br />

La Torre di Babele e la partenza da Ur dei Caldei<br />

Genesi 11<br />

1 Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole. 2 Emigrando dall’oriente gli uomini capitarono in una pianura nel<br />

paese di Sennaar e vi si stabilirono. 3 Si dissero l’un l’altro: «Venite, facciamoci mattoni e cuociamoli al fuoco». Il mattone<br />

servì loro da pietra e il bitume da cemento. 4 Poi dissero: «Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il<br />

cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra».<br />

Non ci interessa qui il problema storico e filosofico del linguaggio e <strong>della</strong> sua origine, quanto piuttosto seguire il testo biblico e<br />

confrontarlo con altre tradizioni.<br />

Dobbiamo intanto ricordare che un linguaggio unico viene presentato nella Genesi fino a questo momento: Dio ‘parla’ durante la<br />

creazione; parla ad Adamo; Adamo dà il nome agli animali; il serpente parla ad Eva; ecc. Ma ora, in questo passo Dio confonde il<br />

linguaggio degli uomini, e da questo momento nascono contemporaneamente le lingue e i popoli.<br />

La causa di questo intervento divino è il progetto umano di ‘dare la scalata al cielo’ mediante la costruzione di una torre “la cui<br />

cima tocchi il cielo”, questo al fine di ‘farsi un nome, e non disperdersi sulla terra’. Si tratta in definitiva di unire il cielo e la terra, e<br />

abbassare il cielo al livello <strong>della</strong> terra, cioè rendere del tutto umano il progetto di Dio (“facciamoci un nome”).<br />

Già in precedenza erano esistiti “uomini famosi”, e questa fama e questa ‘grandezza’ dovettero essere ‘filtrate’ attraverso i figli di<br />

Noè per riemergere come prepotente desiderio emanciparsi da Dio e ‘diventare simili a Lui’.<br />

5 Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che gli uomini stavano costruendo. 6 Il Signore disse: «Ecco, essi sono un<br />

solo popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è l’inizio <strong>della</strong> loro opera e ora quanto avranno in progetto di fare non<br />

sarà loro impossibile. 7 Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l’uno la lingua<br />

dell’altro». 8 Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. 9 Per questo la si chiamò<br />

Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra.<br />

In questo passo importante è l’espressione di Dio: “Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è l’inizio<br />

<strong>della</strong> loro opera e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile.” Si tratterebbe del pericolo che il progetto divino<br />

fallisca, e dunque si renderebbe necessario allontanare i termini temporali del progetto umano: tuttavia, “quanto avranno in progetto di<br />

fare non sarà loro impossibile”. Secondo il testo, quindi, il progetto umano rimane il fine di tutta la storia dell’uomo; e si attuerà<br />

quando i popoli, ora dispersi “su tutta la terra”, ritroveranno le condizioni di una loro unità. Questa unità ritrovata, estrinseca alla<br />

profonda natura dell’uomo (fatto a immagine di Dio), costituirà la condizione per gli uomini di tentare di emanciparsi totalmente da<br />

Dio e di sostituirsi a Lui.<br />

50 Isaia 34, 4.<br />

51 Platone, Politico, 273 d-e<br />

19


Ancora nel Popol Vuh troviamo la narrazione, anche in termini tragici, <strong>della</strong> confusione delle lingue e <strong>della</strong> dispersione dei popoli<br />

su tutta la terra.<br />

“Così dicevano là dove vedevano il sorgere il sole. Una stessa era la lingua di tutti. Non invocavano il legno né la pietra, e si<br />

rammentavano <strong>della</strong> parola del Creatore e del Formatore, del Cuore del Cielo, del Cuore <strong>della</strong> Terra. Così parlavano ed<br />

attendevano con ansia il sorgere dell’aurora.” 52 “Ed essendo giunta al loro orecchio notizia di una città, si avviarono in quella<br />

direzione.” 53 “Ed allora giunsero tutti i popoli, quelli di Rabinal, i Cakchiquel, quelli di Tziquinahá e le genti che ora si chiamano<br />

Yaqui. E là si alterò il linguaggio delle tribù; le loro lingue divennero diverse. Non potevano più capirsi chiaramente tra di loro<br />

dopo il loro arrivo a Tulán. Là pure si separarono, ve ne furono alcune che andarono verso l’Oriente, ma molte si diressero da<br />

questa parte. Ed i loro indumenti erano soltanto pelli di animali; non avevano vesti da indossare, le pelli di animali erano il loro<br />

solo abbigliamento. Erano poveri, non possedevano nulla, ma la loro era natura di uomini prodigiosi. Quando giunsero a Tulán-<br />

Zuiva, Vucub-Pec, Vucub-Ziván, dicono le antiche tradizioni che essi avevano percorso un lungo cammino per giungere a<br />

Tulán.” 54 “Il linguaggio di Balam-Quitzé, Balam-Acab, Mahucutan ed Iqui-Balam è diverso. Ahi! Abbiamo abbandonato la nostra<br />

lingua! Che cosa abbiamo fatto? Siamo perduti! Dove fummo ingannati? Una sola era la nostra lingua quando giungemmo là a<br />

Tulà; in un solo modo eravamo stati creati ed educati. Non è bello ciò che abbiamo fatto, - dissero tutte le tribù sotto gli alberi e<br />

sotto le liane.” 55<br />

Un racconto tanto particolareggiato presuppone il ricordo di un fatto realmente accaduto; ma questo fatto, noi sappiamo che non<br />

può essere collocato poco prima <strong>della</strong> nostra éra, bensì che deve risalire a tempi remotissimi, come la Bibbia fa capire, per<br />

determinare i quali i riferimenti cronologici che propone sono del tutto inadeguati. Il moltiplicarsi dell’umanità dopo il diluvio senza<br />

dubbio dovette aver bisogno di moltissimo tempo, ma, pur nella relativa dispersione di cui parla il Popol Vuh, ciò non aveva tolto<br />

l’unità linguistica agli uomini. Si erano formati popoli e tribù per una naturale ramificazione etnica, ma l’unità si era mantenuta<br />

proprio grazie all’unicità del linguaggio.<br />

La tendenza alla dispersione per un processo di possedimento territoriale certo esisteva, ma è forse proprio per questo che la<br />

Genesi parla di una città che doveva essere costruita da tutti affinché l’umanità non si disperdesse sulla terra e mantenesse quell’unità<br />

per la costruzione di ‘una torre che toccasse il cielo’, e gli uomini ‘si facessero un nome’.<br />

Sul piano spirituale, questa unità è stata realizzata e simboleggiata nella discesa dello Spirito Santo su Maria e gli Apostoli, riuniti<br />

in preghiera. Successivamente, infatti, gli apostoli, usciti in strada e parlando alla gente, vengono intesi dalle diverse persone lì riunite.<br />

“1 Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. 2 Venne all’improvviso dal cielo<br />

un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano. 3 Apparvero loro lingue come di fuoco<br />

che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro; 4 ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre<br />

lingue come lo Spirito dava loro il potere d’esprimersi. 5 Si trovavano allora in Gerusalemme Giudei osservanti di ogni nazione<br />

che è sotto il cielo. 6 Venuto quel fragore, la folla si radunò e rimase sbigottita perché ciascuno li sentiva parlare la propria lingua.<br />

7 Erano stupefatti e fuori di sé per lo stupore dicevano: «Costoro che parlano non sono forse tutti Galilei? 8 E com’è che li<br />

sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa? 9 Siamo Parti, Medi, Elamìti e abitanti <strong>della</strong> Mesopotamia, <strong>della</strong> Giudea, <strong>della</strong><br />

Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, 10 <strong>della</strong> Frigia e <strong>della</strong> Panfilia, dell’Egitto e delle parti <strong>della</strong> <strong>Li</strong>bia vicino a Cirène, stranieri di<br />

Roma, 11 Ebrei e prosèliti, Cretesi e Arabi e li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio». 12 Tutti erano<br />

stupiti e perplessi, chiedendosi l’un l’altro: «Che significa questo?».” 56<br />

10 Questa è la discendenza di Sem: Sem aveva cento anni quando generò Arpacsad, due anni dopo il diluvio; 11 Sem, dopo<br />

aver generato Arpacsad, visse cinquecento anni e generò figli e figlie. 12 Arpacsad aveva trentacinque anni quando generò<br />

Selach; 13 Arpacsad, dopo aver generato Selach, visse quattrocentotré anni e generò figli e figlie. 14 Selach aveva<br />

trent’anni quando generò Eber; 15 Selach, dopo aver generato Eber, visse quattrocentotré anni e generò figli e figlie. 16<br />

Eber aveva trentaquattro anni quando generò Peleg; 17 Eber, dopo aver generato Peleg, visse quattrocentotrenta anni e<br />

generò figli e figlie. 18 Peleg aveva trent’anni quando generò Reu; 19 Peleg, dopo aver generato Reu, visse duecentonove<br />

anni e generò figli e figlie. 20 Reu aveva trentadue anni quando generò Serug; 21 Reu, dopo aver generato Serug, visse<br />

duecentosette anni e generò figli e figlie. 22 Serug aveva trent’anni quando generò Nacor; 23 Serug, dopo aver generato<br />

Nacor, visse duecento anni e generò figli e figlie. 24 Nacor aveva ventinove anni quando generò Terach; 25 Nacor, dopo<br />

aver generato Terach, visse centodiciannove anni e generò figli e figlie. 26 Terach aveva settant’anni quando generò<br />

Abram, Nacor e Aran. 27 Questa è la posterità di Terach: Terach generò Abram, Nacor e Aran: Aran generò Lot. 28 Aran<br />

poi morì alla presenza di suo padre Terach nella sua terra natale, in Ur dei Caldei. 29 Abram e Nacor si presero delle<br />

mogli; la moglie di Abram si chiamava Sarai e la moglie di Nacor Milca, ch’era figlia di Aran, padre di Milca e padre di<br />

Isca. 30 Sarai era sterile e non aveva figli. 31 Poi Terach prese Abram, suo figlio, e Lot, figlio di Aran, figlio cioè del suo<br />

figlio, e Sarai sua nuora, moglie di Abram suo figlio, e uscì con loro da Ur dei Caldei per andare nel paese di Canaan.<br />

Arrivarono fino a Carran e vi si stabilirono. 32 L’età <strong>della</strong> vita di Terach fu di duecentocinque anni; Terach morì in<br />

Carran.<br />

La discendenza di Sem è per noi importante perché ci conduce a Terach (e poi ad Abramo): egli infatti è colui che tenta di<br />

allontanarsi da una patria (Ur dei Caldei) che certamente non ‘camminava con Dio’, “per andare nel paese di Canaan”, ma forse anche<br />

per ritornare alle origini. Intraprende infatti un viaggio che probabilmente avrebbe dovuto condurre all’Ararat. Ma egli, risalendo<br />

l’Eufrate, imbocca un affluente che lo svia, e si ferma a Carran.<br />

Il suo sembra essere stato il tentativo naturale di tornare a Dio, ma sarà Dio stesso a chiamare a Sé suo figlio Abramo per condurlo<br />

veramente “nel paese di Canaan”, e costituirlo protagonista di un nuovo patto.<br />

52 Popol Vuh, p. 131.<br />

53 Popol Vuh, p. 132.<br />

54 Popol Vuh, p. 133. Interessante è il riferimento agli indumenti che “erano soltanto pelli di animali”, ancora come quelli fatti da Dio per Adamo ed Eva.<br />

55 Popol Vuh, p. 135.<br />

56 Atti degli Apostoli, 2.<br />

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Con la morte di Terach si chiude il primo periodo <strong>della</strong> storia dell’uomo legata alla sua salvezza: l’uomo da solo non riesce ad<br />

avvicinarsi a Dio; anzi la sua natura corrotta lo porta quasi inevitabilmente al male, e ad ostacolare il progetto di Dio. L’albero <strong>della</strong><br />

conoscenza del bene e del male non ha dato buoni frutti, e ora avrà bisogno di un vero e proprio innesto, o meglio, l’umanità avrà<br />

bisogno dell’innesto divino del Verbo increato ed eterno che, nella ‘pienezza dei tempi, si incarni nel seno di una vergine di nome<br />

Maria. Sarà allora possibile la visione storica e metastorica <strong>della</strong> vicenda umana, e la sua valutazione che in precedenza era preclusa.<br />

Questa visione integrale è stata effettuata, pur con i suoi limiti, da San Bonaventura di Bagnoregio, mediante la teoria degli status<br />

<strong>della</strong> natura umana, di cui qui basta riportare lo schema cronologico e quello di valore. Il primo è il seguente: 1. natura originaria o<br />

incorrotta; 2. natura corrotta; 3. natura redenta; 4. natura glorificata. Il secondo schema è invece questo: 1. natura glorificata; 2. natura<br />

redenta; 3. natura originaria; 4. natura corrotta.<br />

San Bonaventura sottolinea che lo status <strong>della</strong> natura corrotta è quella che è incapace di comprendere le altre, mentre lo status di<br />

gloria è quello più idoneo alla comprensione di tutti gli altri, e al di sotto di questo, lo status <strong>della</strong> natura redenta, che possedendo la<br />

fede, può indirizzare, integrare e valorizzare quanto la natura corrotta possiede ancora di bene. Infatti, la natura umana, dopo il<br />

peccato originale, è quella più lontana da Dio e più immersa nel male, meno capace per ciò di servirsi dell’albero <strong>della</strong> conoscenza del<br />

bene e del male, meno in grado di costruire una città fondata sul bene, anzi capace soltanto di dar luogo a quella ‘città dell’uomo’ a<br />

cui Sant’Agostino contrapponeva la ‘città di Dio.<br />

Come abbiamo visto, il radicarsi sulla terra, attraverso la costruzione delle <strong>primi</strong>ssime città (da quella di Enoch a quelle di<br />

Nembrot, che non abbiamo considerato), abbandonando la vita nomade del pastore, è stata una delle prime tentazioni dell’uomo. Ma<br />

gli uomini restano in ogni caso pellegrini sulla terra, anzi gregge disperso, bisognoso di un Pastore che li riunisca in un solo ovile<br />

attraverso l’amore.<br />

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