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27.05.2013 Views

provocarne egli stesso, drammaticamente, la fine. Scomparso il ruolo divino di direzione della vicenda del mondo, il suo dipanarsi resta affidato alle leggi impersonali del divenire. Ad esse non sfuggono gli stessi dèi, a cominciare da Brahma, che la tradizione non buddhista vuole manifestatore delle cose tutte. Costui, che ha larga parte nei miti accentrati nella carriera del Buddha, viene spogliato della sua funzione cosmogonica e ricondotto nel novero degli esseri soggetti al ciclo delle rinascite." "Il sesto testo documenta, tra l'altro, gli esiti di questo processo. Brahma, venuto in esistenza per un processo spontaneo e legato soltanto al consumarsi del deposito di meriti accumulati in un precedente ciclo cosmico, ignora la propria origine ed identità, è convinto, in buona fede, d'essere il Signore e l'Origine degli esseri. La sua posizione ci rammenta irresistibilmente quella dello Yhwh veterotestamentario nella rilettura operata dagli gnostici: demiurgo all'oscuro delle più profonde realtà che, atemporalmente, lo precedono, costui dichiara con le parole di Isaia (XLV, 5): ""Io sono il Signore e non c'è alcun altro; fuori di me non c'è dio"", esattamente come qui, nel Patikasuttanta, Brahma proclama: ""Io sono Brahma, il Gran Brahma, l'onnipotente, il padrone, il fattore, il creatore, l'altissimo, l'ordinatore, il possente padre di ciò che fu e sarà!"" Si tratta di un passo abbastanza rilevante, da venir riprodotto in più versioni: la più nota è nel lunghissimo Brahmajalasutta (II, 3, 5)." "Invero il Buddhismo antico ha molti tratti in comune con le scuole della gnosi mediterranea: ciò vale specialmente per la valutazione sostanzialmente negativa dell'esistenza mondana in sé, dominata da forze ciecamente protese al suo perpetuarsi (ipostatizzate nel sinistro Mara), contrapposta ad una Realtà assolutamente altra, trascendente e ineffabile (che qui è, naturalmente, rappresentata dal concetto-limite del Nirvana). Non sappiamo se vi sia stata una effettiva connessione tra le due gnosi, ma molto porta a supporlo: così apprendiamo da un'iscrizione di Asoka ch'egli aveva spedito missionari a diversi sovrani ellenistici, mentre Clemente Alessandrino mostra di conoscere l'esistenza del Buddha e il nome di sua madre, Maya, 7 sembra figurare nelle aretalogie isiache. In ogni caso, la nozione dell'ignoranza del presunto manifestatore del mondo s'inserisce chiaramente nel disegno della vicenda spirituale indiana: vi si allude in forma enigmatica già nella chiusa del famoso Nasavyasukta del Rgveda (X, 129, 6-7): ""Chi davvero sa, chi qui

potrebbe enunciare dond'è stata generata, dond'è questa manifestazione?... Se invero la stabilì o se invero no, Colui ch'è di questo mondo l'eccelso Supervisore, nel sublime spazio celeste, Costui soltanto lo sa, se pure non l'ignora!"", mentre nella Brhadaranyakopanisad (I, 4) troviamo uno sviluppo del tema come fondamento del timore, oscuro e ingiustificato, provato dal Sé (Atman) venuto in esistenza al principio dei tempi. Al contrario, nelle cosmogonie mediterranee degli antecedenti significativi alla dottrina in discorso non sono facilmente reperibili! Il Patikasuttanta ha anche altri motivi d'interesse: le rivalità fra gli antichi asceti, a colpi di prodigi e di straordinarie operazione di potenza, vi appare vividamente, e porta con sé un meraviglioso tutto indiano. Non manca neppure la favola con animali per protagonisti, un genere accolto largamente nei racconti delle vite anteriori del Buddha (Jataka), e diffusosi nei secoli in tutto l'antico Oriente, dove se ne constata l'impiego per ammaestramento e per diletto come nei racconti d'Esopo e Fedro che ci sono familiari." "Il settimo testo apre il discorso sugl'insegnamenti centrali del Buddhismo antico, orientati a guidare la prassi ascetica e a fornire ad essa le basi teoretiche indispensabili all'attingimento dei suoi frutti più elevati. Appunto da tali frutti prende nome il Samannaphalasutta, che introduce quale interlocutore del Buddha il possente e sinistro monarca dei Maghada, Ajatasatru ("" Colui il cui nemico scilicet capace di vincerlo - non è ancora nato""), designato col matronimico Vaidehiputra (""Figlio di [Cellana, principessa] dei Videha""). Ancorché la narrazione non vi faccia esplicitamente riferimento, gravano sullo sfondo del dialogo cupe vicende, che ne coinvolgono entrambi i protagonisti. Su consiglio del malvagio cugino di Gautama, Devadatta, Ajatasatru avrebbe organizzato una congiura contro l'anziano genitore e, una volta ottenutane l'abdicazione, l'avrebbe messo a morte - otto anni prima della estinzione del Nirvana di Gautama stesso. Quando si consideri che il defunto re, Bimbisara, era ritenuto assai favorevole al Buddha, e che, sempre per istigazione di Devadatta, Ajatasatru avrebbe consentito a un attentato contro il maestro (lasciando libero sulla sua strada il feroce elefante da battaglia Dhanapala), l'impeccabile cortesia con cui questi già si rivolge permetterà d'apprezzarne vieppiù il distacco dal mondo e l'equanimità. L'autocrate ci appare - secondo un modello ideale di regalità attenta alle speculazioni più sottili dei maitres-à-penser contemporanei

provocarne egli stesso, drammaticamente, la fine. Scomparso il ruolo divino di direzione della<br />

vicenda del<br />

mondo, il suo dipanarsi resta affidato alle leggi impersonali del divenire. Ad esse non sfuggono<br />

gli stessi dèi,<br />

a cominciare da Brahma, che la tradizione non buddhista vuole manifestatore delle cose tutte.<br />

Costui, che ha<br />

larga parte nei miti accentrati nella carriera del Buddha, viene spogliato della sua funzione<br />

cosmogonica e<br />

ricondotto nel novero degli esseri soggetti al ciclo delle rinascite."<br />

"Il sesto testo documenta, tra l'altro, gli esiti di questo processo. Brahma, venuto in esistenza<br />

per un processo<br />

spontaneo e legato soltanto al consumarsi del deposito di meriti accumulati in un precedente<br />

ciclo cosmico,<br />

ignora la propria origine ed identità, è convinto, in buona fede, d'essere il Signore e l'Origine<br />

degli esseri. La<br />

sua posizione ci rammenta irresistibilmente quella dello Yhwh veterotestamentario nella<br />

rilettura operata<br />

dagli gnostici: demiurgo all'oscuro delle più profonde realtà che, atemporalmente, lo<br />

precedono, costui<br />

dichiara con le parole di Isaia (XLV, 5): ""Io sono il Signore e non c'è alcun altro; fuori di me<br />

non c'è dio"",<br />

esattamente come qui, nel Patikasuttanta, Brahma proclama: ""Io sono Brahma, il Gran<br />

Brahma,<br />

l'onnipotente, il padrone, il fattore, il creatore, l'altissimo, l'ordinatore, il possente padre di ciò<br />

che fu e<br />

sarà!"" Si tratta di un passo abbastanza rilevante, da venir riprodotto in più versioni: la più<br />

nota è nel<br />

lunghissimo Brahmajalasutta (II, 3, 5)."<br />

"Invero il Buddhismo antico ha molti tratti in comune con le scuole della gnosi mediterranea:<br />

ciò vale<br />

specialmente per la valutazione sostanzialmente negativa dell'esistenza mondana in sé,<br />

dominata da forze<br />

ciecamente protese al suo perpetuarsi (ipostatizzate nel sinistro Mara), contrapposta ad una<br />

Realtà<br />

assolutamente altra, trascendente e ineffabile (che qui è, naturalmente, rappresentata dal<br />

concetto-limite del<br />

Nirvana). Non sappiamo se vi sia stata una effettiva connessione tra le due gnosi, ma molto<br />

porta a supporlo:<br />

così apprendiamo da un'iscrizione di Asoka ch'egli aveva spedito missionari a diversi sovrani<br />

ellenistici,<br />

mentre Clemente Alessandrino mostra di conoscere l'esistenza del Buddha e il nome di sua<br />

madre, Maya,<br />

7<br />

sembra figurare nelle aretalogie isiache. In ogni caso, la nozione dell'ignoranza del presunto<br />

manifestatore<br />

del mondo s'inserisce chiaramente nel disegno della vicenda spirituale indiana: vi si allude in<br />

forma<br />

enigmatica già nella chiusa del famoso Nasavyasukta del Rgveda (X, 129, 6-7): ""Chi davvero<br />

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