LA CITTA' DEI MALATI, II VOL (1995) - Società Amici del Pensiero

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[11] In questo modo la fisica è definita per mezzo del suo «oggetto formale», ossia per mezzo dell‟indicazione del «profilo» o dell‟«aspetto» sotto il quale una scienza considera la realtà e mediante il quale circoscrive in essa il campo di enti cui si riferiscono le sue proposizioni. Il ricorso al criterio dello «oggetto formale» è tipico (anche se né esclusivo né escludente) di Aristotele e è in base alla differenza di «oggetti formali» che, in particolare, egli distingue e classifica, entro l‟ordinamento delle scienze filosofiche, le discipline teoretiche: metafisica, fisica e matematica, ciascuna connotata dal proprio oggetto (è, altrimenti detta, la ripartizione delle scienze teoretiche secondo i livelli di astrazione). [12] Si noti che alla fisica è demandato il compito di stabilire quali sono le condizioni di non-contradditorietà del divenire, non se tali condizioni sussistano. Che tali condizioni esistano (e, cioè, che il divenire non sia contraddittorio) è stabilito in altra sede ed, esattamente, in sede di «filosofia prima» (o metafisica). In questo senso la metafisica è ciò che garantisce la proponibilità e l‟eseguibilità del compito conoscitivo che qualifica la fisica. Basta ciò per riconoscere che, almeno per questo, tra metafisica e fisica intercorre un nesso di fondazione per cui, come insegna il lessico aristotelico, l‟una è filosofia prima rispetto all‟altra, che è filosofia seconda. Conviene, inoltre, aggiungere un chiarimento circa l‟accezione in cui, in questo contesto, è assunto il termine «divenire». Con esso si intende un qualsiasi accadimento, evento, variazione, processo, movimento in cui si determina che qualcosa che prima non era (era «nulla»), poi è ovvero che qualcosa che prima era, poi non è (è «nulla»). In quanto il termine in questione indica una vicenda, un tragitto, uno dei cui estremi è il nulla, esso risulta preso in un significato «nihilistico». [13] In questa costellazione concettuale, il termine «causa» è da assumersi nella sua accezione di «condizione di», più ampia di quella in cui comunemente lo si usa. È significativo che Aristotele ripercorra, in quel compendio esemplare di storia della filosofia che è il I libro della Metafisica, le vicissitudini dell‟impresa filosofica greca secondo un taglio che pone al centro la ricerca dei principi e delle cause, con riguardo privilegiato al tema del divenire. La «dottrina delle quattro cause» è da lui considerata come il 96

compimento e il superamento, la conclusione e l‟inveramento (per dirla con Hegel) dei tentativi (unilaterali) e degli apporti (irrinunciabili) dei suoi predecessori. [14] Anche i termini «materia» e «forma» sono polisensi già in Aristotele; la polisemia si accresce se si considera il loro uso nella varietà degli universi linguistici in cui compaiono. Si impone perciò, qualche delucidazione che scongiuri gli equivoci più grossolani. È bene innanzitutto evitare di trattare il primo come sinonimo di corporeità. Certo, ciò che è corporeo comporta materia e a esso ci si rivolge quando, per scopi didattici, si vuole addurre qualche esempio di materia. I docenti di filosofia nei licei sanno che è quasi una scelta obbligata menzionare il «bronzo» come la materia di cui l‟effigie in esso scolpita è la forma, di quel «sinolo» che è la statua. Ma è pur vero che se da un lato il bronzo è sì materia, non è tuttavia semplicemente materia, poiché, come tale, esso è già investito di una forma (ciò che lo rende bronzo e non altro); è materia nei confronti della statua, ma non rispetto al suo esser bronzo (ciò segnala il carattere «relazionale» di concetti di materia e forma e la conseguente «relatività» del loro uso); d‟altro lato il concetto di materia non implica quello di corporeità, cosicché non è di per sé incompatibile con la possibilità dell‟esistenza di una materia non corporea. Del resto nella stessa storia filosofica dell‟antichità, già a partire da Platone, si è fatto riferimento a una «materia intelligibile» per distinguerla dalla materia propria della realtà corporeo-sensibile; nell‟ambito, poi, della speculazione medievale si è delineato un orientamento che, in merito alla struttura degli enti creati, ha sostenuto che tutti hanno, come tali, una struttura ilemorfica, di cui partecipano anche i puri spiriti (come gli angeli o le anime, indipendentemente dalla loro coniugazione con un corpo, secondo l‟avviso, per esempio, di Bonaventura da Bagnoregio). La materia di tali enti sarebbe, appunto, una materia «spirituale», non corporea, secondo un‟estensione autorizzata dalla stessa nozione aristotelica. Questo scostamento del concetto di materia da quello di corporeità è, d‟altro canto, un‟implicazione del fatto che nella teoresi aristotelica esso non è tanto un concetto di «cosa», quanto di «condizione». Quanto al termine «forma» si tenga presente che esso indica la «determinatezza» di ciò che è determinato. Forma di un ente è ogni qualificazione che, appartenendogli, lo rende così determinato come esso è. Ancorché il termine considerato riceva una pluralità di 97

compimento e il superamento, la conclusione e l‟inveramento (per<br />

dirla con Hegel) dei tentativi (unilaterali) e degli apporti<br />

(irrinunciabili) dei suoi predecessori. <br />

[14] Anche i termini «materia» e «forma» sono polisensi già in Aristotele;<br />

la polisemia si accresce se si considera il loro uso nella varietà degli<br />

universi linguistici in cui compaiono. Si impone perciò, qualche<br />

<strong>del</strong>ucidazione che scongiuri gli equivoci più grossolani.<br />

È bene innanzitutto evitare di trattare il primo come sinonimo di<br />

corporeità. Certo, ciò che è corporeo comporta materia e a esso ci si<br />

rivolge quando, per scopi didattici, si vuole addurre qualche esempio<br />

di materia. I docenti di filosofia nei licei sanno che è quasi una scelta<br />

obbligata menzionare il «bronzo» come la materia di cui l‟effigie in<br />

esso scolpita è la forma, di quel «sinolo» che è la statua. Ma è pur vero<br />

che se da un lato il bronzo è sì materia, non è tuttavia semplicemente<br />

materia, poiché, come tale, esso è già investito di una forma (ciò che lo<br />

rende bronzo e non altro); è materia nei confronti <strong>del</strong>la statua, ma non<br />

rispetto al suo esser bronzo (ciò segnala il carattere «relazionale» di<br />

concetti di materia e forma e la conseguente «relatività» <strong>del</strong> loro uso);<br />

d‟altro lato il concetto di materia non implica quello di corporeità,<br />

cosicché non è di per sé incompatibile con la possibilità <strong>del</strong>l‟esistenza<br />

di una materia non corporea. Del resto nella stessa storia filosofica<br />

<strong>del</strong>l‟antichità, già a partire da Platone, si è fatto riferimento a una<br />

«materia intelligibile» per distinguerla dalla materia propria <strong>del</strong>la<br />

realtà corporeo-sensibile; nell‟ambito, poi, <strong>del</strong>la speculazione<br />

medievale si è <strong>del</strong>ineato un orientamento che, in merito alla struttura<br />

degli enti creati, ha sostenuto che tutti hanno, come tali, una struttura<br />

ilemorfica, di cui partecipano anche i puri spiriti (come gli angeli o le<br />

anime, indipendentemente dalla loro coniugazione con un corpo,<br />

secondo l‟avviso, per esempio, di Bonaventura da Bagnoregio). La<br />

materia di tali enti sarebbe, appunto, una materia «spirituale», non<br />

corporea, secondo un‟estensione autorizzata dalla stessa nozione<br />

aristotelica.<br />

Questo scostamento <strong>del</strong> concetto di materia da quello di corporeità è,<br />

d‟altro canto, un‟implicazione <strong>del</strong> fatto che nella teoresi aristotelica<br />

esso non è tanto un concetto di «cosa», quanto di «condizione».<br />

Quanto al termine «forma» si tenga presente che esso indica la<br />

«determinatezza» di ciò che è determinato. Forma di un ente è ogni<br />

qualificazione che, appartenendogli, lo rende così determinato come<br />

esso è. Ancorché il termine considerato riceva una pluralità di<br />

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