LA CITTA' DEI MALATI, II VOL (1995) - Società Amici del Pensiero

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27.05.2013 Views

di là di un normale senso di frustrazione e di impotenza mal accettata, a un certo punto, ho tentato di sollecitare un dubbio: e se questo ragazzo non volesse realizzare i vostri desideri, se qualcosa lo tenesse vincolato al sua passato traumatico? E allora qualcuno parlò dei suoi ultimi disegni. In essi esisteva qualcosa che assomigliava a lui, «Ha detto che era lui», un‟enorme macchia nera che sovrastava e occupava tutto lo spazio del foglio. Questa mi è sembrata la via per comprendere qualcosa di nuovo. Quel disegno era molto più importante di tutti gli insuccessi riabilitativi, perché quel disegno indicava – erano oramai passati alcuni anni dall‟incidente – qualcosa del suo mondo interno che stava rinascendo e nello stesso tempo qualcosa che conteneva la traccia oscura e misteriosa da cui non poteva allontanarsi, ma che ora poteva riemergere come primitiva, ancora semplice figurazione. Una sorta di fantasticheria ancora senza parole, senza nemmeno forma, una macchia nera, perché ancora non ci si può scrivere dentro, perché da qualche parte il trauma ha lasciato questa sorta di buco, che lui può ora cominciare a disegnare, offrendo contemporaneamente una via al lavoro terapeutico-riabilitativo. Un lavoro che è il «lavoro del negativo»,così centrale nella elaborazione di quella esperienza di spegnimento della coscienza, ma anche di quella esposizione al kerygma. Tracce della esperienza dell‟apocalisse, dell‟epifania, della profezia contenuta nel trauma e nel coma, come condizione di un rischio del ritorno all‟indietro, ma anche come apertura a una nuova soggettività. Il trauma è qualcosa che è talmente legato alla dimensione della distruzione/ricostituzione del Sé, della stessa possibilità di dire Io, è talmente legato alla complessità psiche-corpomondo in cui noi siamo situati, che il processo terapeutico del postcoma investe pienamente la stessa messa in forma della soggettività, sospesa tra presenza della mondanità, seduzione della antichità e apertura della trascendenza. Una soggettività in cerca di una narrazione, di un rinnovato mito fondatore. Questo lo scenario di una possibile relazione terapeutica. In questo senso la techné si deve costantemente misurare sulla singolarità e su un cammino relazionale, che come scrive Antonio Machado: 300 312313

Viandante, la via non c’é la via si fa andando. Il profumo adeguato e la musica adeguata, ove non tutte le musiche e non tutti i profumi sono uguali. Quindi qualcosa che ci permette, le vie che ci permettono l‟accesso a questa sorta di memoria amnestica, popolata di tracce, che il deserto del trauma e del coma ha svelato. Tracce di caduta, di un abisso che non smette di chiamarti... Si comprende così la ricchezza di questo panorama figurativo che noi abbiamo recuperato dopo anni, ma che in realtà deve essere un utile strumentario di lavoro. La cosa che colpisce è questa: avete in mente il bloc-notes magico? Il bloc-notes magico è una bellissima metafora, perché raffigura l‟oscillazione tra scrittura e cancellazione, trapresenza e assenza. Quindi da qualche parte «smemorata memoria». Memoria condizione della dimenticanza e viceversa. L‟oscillazione di questi opposti complementari è l‟orizzonte da riscostituire. Spesso qui si ha l‟impressione che il coma abbia perforato da qualche parte il bloc-notes, abbia marcato profondamente la dimensione di sopravvivenza della memoria stessa. E allora, se così è, si capisce bene che la memoria del post-coma non è, come scrive Green, veramente la memoria: non è la memoria fatta di oggetti, cioè dei soggetti della memoria. Non è nemmeno una memoria fatta dai suoi derivati, che sono in realtà quelle cose nell‟ordine dei deliri, degli elementi di scarto, di certi sogni-incubo, sogni crudi che conosciamo nelle nevrosi traumatiche, come fissazione della memoria all‟evento traumatico. Qui esiste un‟altra memoria, una memoria amnestica. È una memoria che ignora la memoria, più che negarla, una sorta di anti-memoria che si fonda sul non pensabile e sul non ricordabile. È una memoria-cosa, che si fonda su una posizione troppo poco investita narcisisticamente per ammettere che possa persino indirizzarsi a una realzione d‟oggetto, è una memoria «atto» con grande «intensità di attualizzazione» e di ripetizione, come espressione massima di un senso minimo, segnale più che significante (in cui è mantenuta almeno una piccola circolazione intrapsichica), essa si trasforma facilmente in acting 301 313314

di là di un normale senso di frustrazione e di impotenza mal<br />

accettata, a un certo punto, ho tentato di sollecitare un dubbio: e se<br />

questo ragazzo non volesse realizzare i vostri desideri, se qualcosa lo<br />

tenesse vincolato al sua passato traumatico? E allora qualcuno parlò<br />

dei suoi ultimi disegni. In essi esisteva qualcosa che assomigliava a<br />

lui, «Ha detto che era lui», un‟enorme macchia nera che sovrastava e<br />

occupava tutto lo spazio <strong>del</strong> foglio.<br />

Questa mi è sembrata la via per comprendere qualcosa di nuovo.<br />

Quel disegno era molto più importante di tutti gli insuccessi<br />

riabilitativi, perché quel disegno indicava – erano oramai passati<br />

alcuni anni dall‟incidente – qualcosa <strong>del</strong> suo mondo interno che stava<br />

rinascendo e nello stesso tempo qualcosa che conteneva la traccia<br />

oscura e misteriosa da cui non poteva allontanarsi, ma che ora poteva<br />

riemergere come primitiva, ancora semplice figurazione.<br />

Una sorta di fantasticheria ancora senza parole, senza nemmeno<br />

forma, una macchia nera, perché ancora non ci si può scrivere dentro,<br />

perché da qualche parte il trauma ha lasciato questa sorta di buco,<br />

che lui può ora cominciare a disegnare, offrendo<br />

contemporaneamente una via al lavoro terapeutico-riabilitativo. Un<br />

lavoro che è il «lavoro <strong>del</strong> negativo»,così centrale nella<br />

elaborazione di quella esperienza di spegnimento <strong>del</strong>la coscienza, ma<br />

anche di quella esposizione al kerygma.<br />

Tracce <strong>del</strong>la esperienza <strong>del</strong>l‟apocalisse, <strong>del</strong>l‟epifania, <strong>del</strong>la<br />

profezia contenuta nel trauma e nel coma, come condizione di un<br />

rischio <strong>del</strong> ritorno all‟indietro, ma anche come apertura a una nuova<br />

soggettività. Il trauma è qualcosa che è talmente legato alla<br />

dimensione <strong>del</strong>la distruzione/ricostituzione <strong>del</strong> Sé, <strong>del</strong>la stessa<br />

possibilità di dire Io, è talmente legato alla complessità psiche-corpomondo<br />

in cui noi siamo situati, che il processo terapeutico <strong>del</strong> postcoma<br />

investe pienamente la stessa messa in forma <strong>del</strong>la soggettività,<br />

sospesa tra presenza <strong>del</strong>la mondanità, seduzione <strong>del</strong>la antichità e<br />

apertura <strong>del</strong>la trascendenza. Una soggettività in cerca di una<br />

narrazione, di un rinnovato mito fondatore. Questo lo scenario di una<br />

possibile relazione terapeutica. In questo senso la techné si deve<br />

costantemente misurare sulla singolarità e su un cammino<br />

relazionale, che come scrive Antonio Machado:<br />

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