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LA CITTA' DEI MALATI, II VOL (1995) - Società Amici del Pensiero

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1. Esiste un possibile «sapere» e un discorso sulla sofferenza, la<br />

malattia e la soggettività che prova a ricercarsi, a ritrovarsi che non<br />

appartenga solo al «discorso medico», ma che senza negarlo lo<br />

oltrepassi? La esperienza <strong>del</strong>la «cura» nel suo senso più complesso<br />

non apre forse la via a un altro «sguardo» a un altro «sapere», a<br />

un‟altra «denominazione» <strong>del</strong>la malattia e <strong>del</strong> malato, che rivive nel<br />

risveglio una regressione a un‟epoca in cui l‟Io non era ancora<br />

<strong>del</strong>imitato in rapporto all‟Altro e all‟Altrove...?<br />

Un «sapere» e un «agire terapeutico» fondati non tanto sul<br />

semplice «curare», quanto piuttosto sul «prendersi cura» e «sull‟aver<br />

cura», che è un campo <strong>del</strong>l‟intersoggettività, <strong>del</strong>l‟«accoglienza», che<br />

è espressione e significato <strong>del</strong>la corporeità e <strong>del</strong>la «quotidianità»,<br />

enso e conferisce senso; un approccio basato dunque sulla<br />

complessità e sulla circolarità antropologica <strong>del</strong> sintomo-malattia, in<br />

rapporto alla esistenza complessiva <strong>del</strong> soggetto, non più isolato nel<br />

malato e reso afasico in una parte <strong>del</strong> suo corpo anatomico... Si<br />

impone allora una diversa Lebenswelt, un diverso modo di «esserci»,<br />

una qualità <strong>del</strong>l‟ambiente (milieu) (spesso dominato da «codici<br />

affettivi» collettivi inconsci capaci di determinare la pratica e le<br />

scelte operative), una pratica<strong>del</strong>l‟ospitalità, <strong>del</strong>la disponibilità, una<br />

capacità di ascolto <strong>del</strong> corpo individuale e <strong>del</strong> corpo sociale<br />

sofferente e di raccogliere i fili spezzati o interrotti <strong>del</strong>l‟esistenza...<br />

(il mondo di affetti e di oggetti, le relazioni con i familiari, ecc.).<br />

2. Ciò inaugura nella cura la centralità <strong>del</strong> milieu, come «campo<br />

di cura», come una sorta di «organismo vivente», dotato di una<br />

sua«efficacia simbolica» e curativa. Un concetto che rimanda in un<br />

certo senso a quel «triangolo terapeutico», che rimanda in un certo<br />

modo alle ricerche etnologiche di Jean Poullion tra curato, curanti e<br />

comunità, che la «medicina tecnologica» e funzionalistica ha spesso<br />

disatteso o emarginato nella categoria <strong>del</strong>l‟ovvio. Un campo che non<br />

può non mettere in crisi il paradigma <strong>del</strong>la separatezza teorica e<br />

clinica tra malattia, malato, curanti e comunità. Il «triangolo<br />

terapeutico» dunque mette in circolazione la malattia come senso<br />

collettivo rompendone l‟isolamento dentro il corpo individuale e il<br />

corpo collettivo... e nello stesso tempo, più facilmente, scopre le<br />

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