LA CITTA' DEI MALATI, II VOL (1995) - Società Amici del Pensiero

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concreto, con le conseguenze che si possono facilmente immaginare e anche concretamente sperimentare. La Costituzione è entrata in vigore il 1° gennaio 1948. Allora la malattia mentale e lo handicap non formavano oggetto, in quanto tali, di specifiche disposizioni di legge: preesistevano invero, e mantenevano inalterata la loro efficacia, almeno due distinte normative, molto diverse nei contenuti formali, ma tra di loro coerenti, finalizzate a gestire gli effetti sociali della malattia mentale e dello handicap. 2. I «MANICOMI» E GLI «ALIENATI» La prima e più importante delle predette normative, rimasta in vigore senza sostanziali modifiche fino al 16 maggio 1978, ma i cui effetti sono ancora oggi ampiamente apprezzabili, è la Legge 4 febbraio 1904, n.36 «Disposizioni e regolamento sui manicomi e sugli alienati». Il testo della legge si apriva con queste parole: Debbono essere custodite e curate nei manicomi le persone affette per qualunque causa da alienazione mentale, quando siano pericolose a sé o agli altri o riescano di pubblico scandalo e non siano e non possano essereconvenientemente custodite e curate fuorché nei manicomi. Sono compresi sotto questa denominazione, agli effetti della presente legge, tutti quegli istituti, comunque denominati, nei quali vengono ricoverati alienati di qualunque genere. [3] Non andiamo oltre nella citazione testuale della legge e del relativo regolamento di esecuzione [4] e ci limitiamo a sottolineare alcuni aspetti salienti che sono già tutti contenuti nell‟esordio appena trascritto e rispetto al quale la stessa legge e il minuzioso articolato regolamentare si pongono come mera esplicitazione e conferma. Il primo dato che appare di tutta evidenza è la preoccupazione di rimuovere dal contesto sociale quegli elementi che arrecano turbamento all‟ordine pubblico, ma che, in ragione di uno stato di «alienazione mentale» comunque determinatosi, non possono essere 246 252253

considerati delinquenti comuni e come tali trattati. È una distinzione più apparente che reale perché, in effetti, le procedure di internamento e le conseguenze del ricovero, in particolare la perdita della «capacità di agire» – intesa in senso tecnico come capacità di porre in essere fatti rilevanti sotto il profilo giuridico – e l‟annotazione sul casellario giudiziario come per sentenza di condanna passata in giudicato, assimilano le due posizioni, con la differenza, non irrilevante, che per gli «alienati» la condanna è, di norma, a vita. Le finalità del «manicomio», così come sono individuate dalla legge, confermano che gli obiettivi prioritari non sono «la custodia e la cura» del malato di mente in quanto tale, ma solo di quello «pericoloso» o che dia «pubblico scandalo» e che non possa essere altrimenti trattato «convenientemente», cioè, ancora una volta, in condizioni di sicurezza e senza scandalo per il contesto sociale. È solo questione diordine pubblico, da gestirsi attraverso le Questure. La guarigione è problema che non si pone neppure e l‟uso del termine «cura» non ingeneri equivoci. Il binomio «custodia e cura» è sempre inscindibile e se ne può agevolmente desumere il contenuto reale dai compiti attribuiti all‟«infermiere», che è la figura-chiave della struttura manicomiale, assieme all‟onnipotente «direttore»: Spetta agli infermieri, sotto la dipendenza del direttore, dei medici e dei capi infermieri, di sorvegliare ed assistere i malati affidati a ciascuno di essi; vigilare attentamente affinché questi non nuocciano a sé e agli altri, e sia provveduto ad ogni loro bisogno; curare, per quanto è possibile, di adibirli a quelle occupazioni che dai medici fossero indicate come adatte all’indole e alle attitudini di ciascuno; eseguire tutte le prescrizioni dei superiori per la buona manutenzione dei locali, degli arredi, ecc., e riferire immediatamente ai superiori stessi tutto quanto concerne i malati ed il servizio. Rispondono dei malati affidati e della custodia degli strumenti impiegati nel lavoro. [5] Si è dato spazio alla lunga citazione anche per indurre a qualche riflessione sull‟effettiva diversità di impostazione e di contenuti di non pochi centri pubblici e privati, formalmente non manicomiali, 247 253254

considerati <strong>del</strong>inquenti comuni e come tali trattati. È una distinzione<br />

più apparente che reale perché, in effetti, le procedure di<br />

internamento e le conseguenze <strong>del</strong> ricovero, in particolare la perdita<br />

<strong>del</strong>la «capacità di agire» – intesa in senso tecnico come capacità di<br />

porre in essere fatti rilevanti sotto il profilo giuridico – e<br />

l‟annotazione sul casellario giudiziario come per sentenza di<br />

condanna passata in giudicato, assimilano le due posizioni, con la<br />

differenza, non irrilevante, che per gli «alienati» la condanna è, di<br />

norma, a vita.<br />

Le finalità <strong>del</strong> «manicomio», così come sono individuate dalla<br />

legge, confermano che gli obiettivi prioritari non sono «la custodia e<br />

la cura» <strong>del</strong> malato di mente in quanto tale, ma solo di quello<br />

«pericoloso» o che dia «pubblico scandalo» e che non possa essere<br />

altrimenti trattato «convenientemente», cioè, ancora una volta, in<br />

condizioni di sicurezza e senza scandalo per il contesto sociale. È<br />

solo questione diordine pubblico, da gestirsi attraverso le Questure.<br />

La guarigione è problema che non si pone neppure e l‟uso <strong>del</strong><br />

termine «cura» non ingeneri equivoci. Il binomio «custodia e cura» è<br />

sempre inscindibile e se ne può agevolmente desumere il contenuto<br />

reale dai compiti attribuiti all‟«infermiere», che è la figura-chiave<br />

<strong>del</strong>la struttura manicomiale, assieme all‟onnipotente «direttore»:<br />

Spetta agli infermieri, sotto la dipendenza <strong>del</strong> direttore, dei medici e dei<br />

capi infermieri, di sorvegliare ed assistere i malati affidati a ciascuno di<br />

essi; vigilare attentamente affinché questi non nuocciano a sé e agli altri,<br />

e sia provveduto ad ogni loro bisogno; curare, per quanto è possibile, di<br />

adibirli a quelle occupazioni che dai medici fossero indicate come adatte<br />

all’indole e alle attitudini di ciascuno; eseguire tutte le prescrizioni dei superiori<br />

per la buona manutenzione dei locali, degli arredi, ecc., e riferire<br />

immediatamente ai superiori stessi tutto quanto concerne i malati ed il<br />

servizio.<br />

Rispondono dei malati affidati e <strong>del</strong>la custodia degli strumenti impiegati<br />

nel lavoro. [5]<br />

Si è dato spazio alla lunga citazione anche per indurre a qualche<br />

riflessione sull‟effettiva diversità di impostazione e di contenuti di<br />

non pochi centri pubblici e privati, formalmente non manicomiali,<br />

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