LA CITTA' DEI MALATI, II VOL (1995) - Società Amici del Pensiero

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credo che, dopo dime, questa storia e la storia di Giuseppe verranno raccontate ancora una volta. Quando ero molto giovane feci tirare al piccolo Hanno Buddenbrook una lunga linea sotto la genealogia della sua famiglia, e quando fu rimproverato per questo, lo feci balbettare: "Pensavo, pensavo, che non venisse più niente". Per me, ho l‟impressione come se non dovesse venire più nulla. Spesso la nostra letteratura contemporanea, le cose più sottili e più alte mi paiono quasi un congedo, un ricordare rapido, un ricapitolare e evocare ancora una volta il mito occidentale – prima che cada la notte, forse una lunga notte e un profondo oblio. Una piccola opera come questa è tarda cultura che viene prima della barbarie, già guardata dal tempo quasi con occhi estranei. Anche se la leggenda irride parodisticamente le vecchie e pie cose, questo sorridere è più melanconico che frivolo e lo stile giocoso del romanzo, la forma finale della leggenda, conserva in pura severità il suo nucleo religioso, il suo cristianesimo, l‟idea del peccato e della grazia». È anzitutto a noi che Mann ce la racconta, così come se la racconta, è qui la sua perversione, nella sconfessione della propria profonda implicazione in questa storia e della sua ricerca in essa di soluzioni. Così come del resto coglie e nello stesso tempo sconfessa il nesso tra l‟insistenza dell‟irresoluzione della questione della relazione tra fratelli, figli di quale padre, e la «barbarie» nazista, su cui pure egli medita, senza cogliere come non di barbarie si tratti, ma dell‟inciviltà di una soluzione trovata nel totalitarismo di un‟unica legge uguale per tutti, quella dello Stato. La reductio ad unum della possibilità di soluzione alla questione della relazione tra fratelli non gli permette di criticare, benché gli faccia errore, la trinità infernale nazista: un solo popolo, un solo Reich, un solo Führer. NOTE [1] Riprendo con il mio titolo il titolo dell‟Introduzione a L’eletto di Thomas Mann di Lea Ritter Santini: Edipo Papa, da cui traggo anche la citazione con cui inizia il mio testo, in Thomas Mann, L’eletto, Oscar Mondadori, Milano 1993. Per l‟introduzione al giudizio su L’eletto di T. Mann come risoluzione perversa, come perversione, de l‟Edipo re, e del Gregorius di Hartmann von Aue, autore del XII 230 234235 235236
secolo, come ristabilimento del «canone normale di ciò di cui l‟Edipo re è la fissazione patologica», si veda Giacomo B. Contri, Il pensiero di natura, Sic Edizioni e Sipiel, Milano 1994, pp. 254-259. Si veda anche, nel volume di prossima edizione de La città dei malati, il saggio di Raffaella Colombo, Gregorius, sull‟opera di Hartmann. [2] Si veda George Steiner, Le Antigoni, Garzanti, Milano 1990. [3] Ladislao Mittner, Storia della letteratura tedesca, vol. III, Einaudi, Milano 1971, p. 1070. [4] Ivi, p. 1503. [5] Ivi, p. 1070. [6] Ivi, p. 1494. [7] Ivi, p. 1502. [8] T. Mann, L’eletto, op. cit., p. 42. [9] Ivi, p. 40. [10] Ivi, p. 51. [11] Ivi, pp. 38-39. [12] Ivi, p. 35 e 48. [13] Ivi, p. 43. [14] Ivi, pp. 35-36. [15] Ivi, p. 49. [16] Ivi, p. 50. [17] Ivi, pp. 54-55. 231
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