LA CITTA' DEI MALATI, II VOL (1995) - Società Amici del Pensiero

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E così, dopo essere divenuto l‟occasione per parlare – nel seguito della seduta – di lei stessa, questo gioco non si ripeté. 2. Il gioco del pesce morto Un bambino di sette anni diceva di essere un pesce morto, preso nella rete, debole e sempre sconfitto dal pescatore. Voleva essere trascinato in una stoffa – la rete -, diventava ipotonico e si abbandonava come peso morto per essere trascinato a riva. Ripeteva spesso questo gioco, introducendo come unica variante la possibilità di essere un orso, mantenendo fissa, beninteso, la caratteristica della sconfitta. Non faceva nulla per difendersi né dalla rete del pescatore né dalla trappola del cacciatore. Un giorno, mentre si lasciava cadere, dissi: «Ma questo pesce si muove! si sta un po‟ ribellando! Come è forte..., come è grande...». Così dicendo, trascinavo il suo corpo e a tratti mi fermavo per commentare il suo possibile risveglio. A un tratto, attento al mio commento, lo sentii muovere, agitarsi e divincolarsi. «Aiuto, forse mi divorerà, forse si libererà... Come è forte, questo pesce!», ripetei ancora. Ilbambino, liberatosi dalla coperta in cui era avvolto, incominciò a saltare da una parte all‟altra della stanza, corse, si arrampicò sulle scale e si atteggiò a spaventarmi. Gli parlai di nuovo, dicendo: «Giovanni, sei davvero forte! Come salti bene, perfino dal quarto gradino: ormai sai proprio difenderti dai nemici!». Il bambino, molto contento di questa approvazione, provò manifestamente gusto nell‟esibizione delle sue abilità. Dopo molte settimane, il gioco finalmente si modificò e il bambino fu in grado di esprimersi con la ricchezza e la varietà di altre rappresentazioni più mobili. Anche in questo caso si era aperta l‟occasione di parlare col bambino del motivo del suo sentirsi così incapace, debole e rinunciatario. 3. Il gioco della bambola che «si fa tutto addosso» Una bambina di sei anni e mezzo proponeva spesso un gioco nel quale interpretava la mamma; a me imponeva di fare la bambina che 150 148149

veniva sempre punita, sgridata e picchiata, perché si faceva tutto addosso. Anche questo gioco veniva ripetuto più volte e si concludeva con l‟abbandono della bambina da parte della madre. Non c‟era soluzione. Io recitavo la parte della bambina avvilita, ma un certo giorno le dissi: «Ora io non faccio più la cacca addosso, vado nel vasino e tu mamma sarai contenta di me». La bambina, dapprima un po‟ stupita, accettò questa alternativa e in seguito il gioco poté proseguire con notevoli variazioni. A distanza di qualche giorno, ripresi con lei a parlare della sua storia e quindi iniziai un lavoro con i genitori. 4. Il gioco della differenza dei sessi Una bambina giocava da sola a fare la mamma e il papà con il bambolotto e la bambola. A un certo punto disse:«Adesso vanno a fare pipì»; allora mi chiamò e mi disse: «Portiamoli a fare la pipì e mettiamoli in piedi vicino al gabinetto». Io commentai: «No, la bambola sta seduta e il bambolotto sta in piedi», e lei di rimando: «Allora facciamo noi due; tu come facevi la pipi?», «Seduta, come te». Invitandomi a fare la pipì in piedi, la bambina aveva messo alla prova la mia soluzione alla questione della differenza dei sessi, ricavando elementi utili alla prosecuzione della sua personale elaborazione, senza che, al momento, fosse necessario aggiungere altro. NOTE [1] Il presente testo costituisce la rielaborazione della conferenza svolta a Lugano nel dicembre 1993. Faceva parte di un ciclo, organizzato della scuola materna «La Carovana», a cui intervennero anche Raffaella Colombo (La camicia del più piccolo: la capacità di rapporto del bambino da zero a tre anni) e Pietro R. Cavalleri (Le paure dei piccoli e le angosce dei grandi). 151 149150 150151

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Un bambino di sette anni diceva di essere un pesce morto, preso<br />

nella rete, debole e sempre sconfitto dal pescatore. Voleva essere<br />

trascinato in una stoffa – la rete -, diventava ipotonico e si<br />

abbandonava come peso morto per essere trascinato a riva. Ripeteva<br />

spesso questo gioco, introducendo come unica variante la possibilità<br />

di essere un orso, mantenendo fissa, beninteso, la caratteristica <strong>del</strong>la<br />

sconfitta. Non faceva nulla per difendersi né dalla rete <strong>del</strong> pescatore<br />

né dalla trappola <strong>del</strong> cacciatore. Un giorno, mentre si lasciava<br />

cadere, dissi: «Ma questo pesce si muove! si sta un po‟ ribellando!<br />

Come è forte..., come è grande...». Così dicendo, trascinavo il suo<br />

corpo e a tratti mi fermavo per commentare il suo possibile risveglio.<br />

A un tratto, attento al mio commento, lo sentii muovere, agitarsi e<br />

divincolarsi. «Aiuto, forse mi divorerà, forse si libererà... Come è<br />

forte, questo pesce!», ripetei ancora. Ilbambino, liberatosi dalla<br />

coperta in cui era avvolto, incominciò a saltare da una parte all‟altra<br />

<strong>del</strong>la stanza, corse, si arrampicò sulle scale e si atteggiò a<br />

spaventarmi. Gli parlai di nuovo, dicendo: «Giovanni, sei davvero<br />

forte! Come salti bene, perfino dal quarto gradino: ormai sai proprio<br />

difenderti dai nemici!». Il bambino, molto contento di questa<br />

approvazione, provò manifestamente gusto nell‟esibizione <strong>del</strong>le sue<br />

abilità.<br />

Dopo molte settimane, il gioco finalmente si modificò e il<br />

bambino fu in grado di esprimersi con la ricchezza e la varietà di<br />

altre rappresentazioni più mobili.<br />

Anche in questo caso si era aperta l‟occasione di parlare col<br />

bambino <strong>del</strong> motivo <strong>del</strong> suo sentirsi così incapace, debole e<br />

rinunciatario.<br />

3. Il gioco <strong>del</strong>la bambola che «si fa tutto addosso»<br />

Una bambina di sei anni e mezzo proponeva spesso un gioco nel<br />

quale interpretava la mamma; a me imponeva di fare la bambina che<br />

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