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LA CITTA' DEI MALATI, II VOL (1995) - Società Amici del Pensiero

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grande abilità il rocchetto oltre la cortina <strong>del</strong> suo lettino in modo da farlo<br />

sparire, pronunciando al tempo stesso il suo espressivo «o-o-o»; poi<br />

tirava nuovamente il rocchetto fuori dal letto, e salutava la sua<br />

ricomparsa con un allegro «da» [«qui»]. Questo era dunque il giuoco<br />

completo – sparizione e riapparizione – <strong>del</strong> quale era dato assistere di<br />

norma solo al primo atto, ripetuto instancabilmente come giuocoa sé<br />

stante, anche se il piacere maggiore era legato indubbiamente al<br />

secondo atto. [3]<br />

Servendosi <strong>del</strong> proprio dominio sugli oggetti il bambino li<br />

dispone in modo tale che essi gli consentono non solo di<br />

immaginare, ma anche di padroneggiare le situazioni <strong>del</strong>la propria<br />

esistenza. Nel gioco descritto, il bambino domina la mamma come<br />

una marionetta: la fa partire, la allontana addirittura e poi la fa<br />

ritornare a proprio piacimento. Gioca a essere l‟attore di qualcosa<br />

che in realtà egli ha vissuto in posizione passiva.<br />

Si può dire che il bambino utilizzi il gioco secondo due principi.<br />

Il primo, che lo differenzia dal fantasticare <strong>del</strong>l‟adulto, è la sua base<br />

reale e rappresenta un modo vantaggioso e sicuro per raggiungere un<br />

esame di realtà più completo; il secondo è basato invece<br />

sull‟immaginazione e sulla finzione, che gli permettono di<br />

controllare e modificare la realtà a suo piacere. Egli sa che quello<br />

che sta facendo non è reale e sa, soprattutto, che il gioco non implica<br />

conseguenze reali. Il bambino attribuisce a bambole, a maghi, a<br />

streghe i suoi sentimenti ostili, angosciosi o percepiti come cattivi;<br />

scaglia contro il muro o immerge nell‟acqua un bambolotto, perché<br />

geloso <strong>del</strong> fratellino appena nato, senza provare sensi di colpa. Il<br />

bambino, che sopraffà le sue tigri nel gioco, padroneggia la sua<br />

paura e mantiene i confini tra realtà e fantasia. È frequentissimo che<br />

un bambino si vendichi e sanzioni l‟altro nel gioco per qualcosa che<br />

ha subito o per un episodio spiacevole che gli è accaduto. Posso<br />

citare per esempio il caso di un bambino che mi raccontava,<br />

timidamente e con un tono di voce sommesso, le parolacce che<br />

alcuni compagni gli avevano indirizzato. In seguito, giocando su mio<br />

invito a inventare parolacce, il bambino ha cominciato a ripetere<br />

quelle che aveva sentito, ma che non osava pronunciare; ne ha<br />

inventate di nuove,divertendosi e un po‟ vendicandosi di ciò che<br />

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