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LA CITTA' DEI MALATI, II VOL (1995) - Società Amici del Pensiero

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2. Il gioco come rimaneggiamento e riedizione <strong>del</strong>la<br />

relazione che il bambino vive con i suoi altri<br />

Ogni bambino impegnato nel gioco si comporta come un poeta,<br />

che si costruisce un suo proprio mondo. Si appoggia a fatti e a<br />

esperienze reali; tende a ripetere ciò che ha sperimentato essere<br />

piacevole, noto e rassicurante oppure riproduce esperienze<br />

sgradevoli e penose nel tentativo di dominarle e di elaborarle<br />

psichicamente; a suo piacere egli dà un assetto alle cose <strong>del</strong> suo<br />

mondo; sistema la realtà secondo la sua capacità di giudizio. Nel<br />

gioco realizza i suoi desideri, crea un mondo suo <strong>del</strong> quale risulta,<br />

oltre che artefice, anchedominatore. Risulta dunque che il contrario<br />

<strong>del</strong> gioco non è ciò che è serio, ma ciò che è manifestamente reale.<br />

Nel descrivere il famoso «gioco <strong>del</strong> rocchetto» compiuto da un<br />

bambino di diciotto mesi, Freud ne sottolinea alcuni aspetti simbolici<br />

importanti. Per mezzo di quel gioco il bambino evoca i continui<br />

allontanamenti <strong>del</strong>la madre e ne propizia i successivi ritorni. Mentre<br />

nella realtà egli prova una notevole angoscia per queste assenze<br />

materne, nel gioco sembra invece provare piacere. Nel simulare tale<br />

avvenimento in forma di finzione, egli si sente, infatti, l‟artefice di<br />

tale realtà dolorosa: occupa una posizione attiva e non più passiva, in<br />

cui può determinare egli stesso la scomparsa e la successiva<br />

ricomparsa <strong>del</strong>la madre. In questo modo può giungere a un dominio<br />

psichico <strong>del</strong>l‟avvenimento.<br />

Ora questo bravo bambino aveva l’abitudine – che talora disturbava le<br />

persone che lo circondavano – di scaraventare lontano da sé in un<br />

angolo <strong>del</strong>la stanza, sotto un letto o altrove, tutti i piccoli oggetti di cui<br />

riusciva a impadronirsi, talché cercare i suoi giocattoli e raccoglierli era<br />

talvolta un’impresa tutt’altro che facile. Nel fare questo emetteva un «oo-o»<br />

forte e prolungato, accompagnato da un’espressione di interesse e<br />

soddisfazione; secondo il giudizio <strong>del</strong>la madre, con il quale concordo,<br />

questo suono non era un’interiezione, ma significava «fort» [«via»].<br />

Finalmente mi accorsi che questo era un gioco, e che il bambino usava i<br />

suoi giocattoli solo per giocare a «gettarli via». Un giorno feci<br />

un’osservazione che confermò la mia ipotesi. Il bambino aveva un<br />

rocchetto di legno intorno a cui era avvolto <strong>del</strong> filo. Non gli venne mai in<br />

mente di tirarselo dietro per terra, per esempio, e di giocarci come se<br />

fosse una carrozza; tenendo il filo a cui era attaccato, gettava invece con<br />

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