LA CITTA' DEI MALATI, II VOL (1995) - Società Amici del Pensiero

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l‟esperienza precedente (in quella famiglia si invitavano amici, si faceva il barbecue in giardino, ecc.). Da quel momento il mangiare non è più un bene. Ha più memoria la bambina, che però non sa difendersi dall‟attacco proditorio del padre, nel quale è facile riconoscere un figlio a disagio in questo elogio del mangiare nei confronti della propria madre, anch‟essa presente alla stessa mensa. La giovane racconta: «Mia nonna e mio padre si sono scandalizzati, mio padre poi se l‟è presa a male» Risultato: di lì a qualche anno bisognerà togliere un posto a tavola, la ragazza non sarà più loro commensale, diventerà anoressica. L‟Altro è stato trovato inaffidabile: non gli si affiderà più il moto del mangiare. L‟anoressica «tiene duro» su un punto: mangiare non è un‟azione causata da un istinto, cioè da leggi naturali: «Tu mi dici che il mangiare è determinato da causalità naturale, ma è talmente evidente che ciò non è vero neanche per te, che meriteresti un «non dire eresie!». Non ne sono capace e piuttosto faccio lo sciopero della fame, rinunciando a un bene già sperimentato come bene». Di lì a qualche anno, nella cosiddetta età dello sviluppo, la situazione si aggrava: la ragazza ha il menarca a un‟età che viene giudicata dai familiari troppo avanzata, poi qualche mestruazione, poi amenorrea per cinque o sei anni. Il padre le dice, chiamandola col nome proprio: «Se vuoi, puoi!», «Apri i rubinetti!». Per la figlia, è un‟autentica infamia, è l‟invito alla teoria perversa che il corpo femminile sia regolato da leggi trattabili con le leggi dell‟idraulica, e non piuttosto dal principio di piacere, disponibile all‟amore e alla possibilità di generare in esso. L‟espressione dei rubinetti ha un aspetto ulteriore e aggravante. Vuol dire: «Piscia!», col che questo padre esprime la propria teoria sul funzionamentodel corpo femminile. Il trattare le mestruazioni come l‟urinare è una teoria formalmente perversa: la ragazza non è trattata neanche come maschio, ma come indifferente, perché la stessa ingiunzione potrebbe essere rivolta a un figlio di entrambi i sessi. 126 129130
7. UNA NOTA CONCLUSIVA Al termine del loro percorso attraverso il Purgatorio, avvicinandosi il momento del commiato, Virgilio dice a Dante: Tratto t’ho qui con ingegno e con arte; lo tuo piacere omai prendi per duce. Purg. XXVII, 134 In altre parole: dopo avermi seguito ed esserti purificato, adesso fa‟ ciò che ti piace, perché ormai, potremmo dire, hai buoni gusti. Per Dante non il piacere sta nella virtù, ma la virtù nel seguire il proprio piacere. NOTE [1] Il testo raccoglie le lezioni tenute nei giorni 17, 24 marzo e 14 aprile 1994 al Seminario della SPPP. La trattazione del tema si avvale di idee e concetti già introdotti a più riprese e a più voci nello svolgersi dell‟insegnamento della Scuola; per parte mia ho cercato di mettere in evidenza il concetto di piacere nella costituzione della legge del moto. [2] C. Ranzoli, Dizionario di scienze filosofiche, Hoepli, Milano 1963, p. 895. [3] G. Reale, Storia della filosofia antica, vol. V, Vita e Pensiero, Milano 1993, p. 211. [4] Cfr.: C. Ranzoli, op. cit., p. 897. [5] N. Bobbio, Pace, concetti, problemi e ideali, in Enciclopedia del Novecento, vol. VIII, G. Treccani, Roma 1989. L‟autore esordisce dicendo che il concetto di pace è così strettamente connesso a quello di guerra che i due termini acquistano il loro significato non dall‟essere singolarmente definiti, ma solo dal fatto di presentarsi in coppia; in questo caso, continua Bobbio, il termine che viene definito è il termine 127 130131
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