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LA CITTA' DEI MALATI, II VOL (1995) - Società Amici del Pensiero

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proprio la tentazione da cui si difese Giobbe quando mandò i suoi<br />

«amici» a farsi benedire.<br />

2. ALCUNI CENNI STORICI<br />

Il tema <strong>del</strong> piacere e <strong>del</strong>la sua natura nasce nella storia <strong>del</strong><br />

pensiero occidentale insieme alla riflessione morale e filosofica, ed è<br />

oggetto di discussione vivacissima fin dall‟età socratica, trovandosi<br />

al centro <strong>del</strong>l‟antitesi fra etica cinica e etica cirenaica.<br />

La prima, proponendo una posizione autarchica, sostiene che per<br />

essere felici è sufficiente la virtù in quanto norma di vita che rende<br />

indipendenti dalle vicende <strong>del</strong>la realtà esterna. La virtù, insegnando a<br />

sopprimere i desideri e a limitare quanto più è possibile i bisogni,<br />

risponderebbe all‟opposizione fra la natura e ogni genere di legge. È<br />

chiaro che per un tale pensiero il piacere diviene il nemico massimo,<br />

appunto perché motivo determinante di tutte quelle azioni che,<br />

presupponendo una dipendenza affettiva dalla realtà esterna,<br />

inducono l‟animo umano in schiavitù. Di qui la frase attribuita ad<br />

Antistene, il quale diceva di «preferire diventar pazzo piuttosto che<br />

provare piacere». [11]<br />

Per l‟etica <strong>del</strong>la scuola edonistica cirenaica, che la tradizione<br />

vuole fondata da Aristippo di Cirene, il bene incondizionato fine a sé<br />

stesso è appunto il piacere, inteso come piacere attuale e presente.<br />

Tuttavia alla morte di Aristippo, fra gli epigoni <strong>del</strong>la sua scuola, si<br />

parlò sempre meno di piacere, per far posto alla gioia e alla serenità<br />

<strong>del</strong>l‟anima; Egesia, arrivò perfino a sostenere che il piacere è il<br />

massimo fine<strong>del</strong>la vita ma, essendo irraggiungibile, all‟uomo non<br />

rimane che difendersi dal dolore. Egli descrisse anzi con tanta<br />

efficacia i mali <strong>del</strong>la vita – un suo scritto si intitola Colui che si<br />

lascia morire di fame – che fra i suoi seguaci vi furono molti casi di<br />

suicidio. Il fatto gli valse il soprannome di «avvocato <strong>del</strong>la morte», e<br />

le autorità di Alessandria gli proibirono l‟insegnamento in pubblico.<br />

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