cittadinanza attiva - Archivio "Pace diritti umani"
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avente il “via libera” dell’ONU) e perciò manifestava la propria contrarietà ad “azioni militari preventive”,<br />
esigendo su questi punti “la massima espressione dell’unione di intenti in Europa”. A<br />
quest’ultimo proposito il presidente del PE così aggiungeva, rivolgendosi ai capi di Stato o di governo<br />
degli Stati membri dell’UE, presenti nel Consiglio europeo:<br />
“E se tollereremo il perdurare delle nostre divisioni interne, saranno i dittatori come Saddam Hussein a trionfare. Se sottoporremo<br />
ad eccessiva tensione le nostre tradizionali alleanze, daremo man forte alla dittatura, non alla democrazia. Se<br />
invece crediamo che il metodo delle Nazioni Unite, la Carta dell'ONU e il Consiglio di Sicurezza rappresentino strumenti<br />
unici per creare un nuovo ordine mondiale pacifico, dobbiamo astenerci dal compiere qualsiasi atto in grado<br />
di pregiudicare la credibilità delle Nazioni Unite e la loro capacità di intervenire in qualsiasi circostanza.”<br />
E concludeva con grande severità sul tema del “futuro dell’Europa”:<br />
“Il merito del dibattito in corso è quello di aver posto in evidenza il divario tra le nostre aspirazioni e la nostra capacità<br />
di agire. Mentre discutiamo del futuro dell'Europa, dobbiamo renderci conto che le costituzioni e le istituzioni sono<br />
soltanto dei gusci vuoti in assenza di un’energica volontà e visione politica.”<br />
Il minimo comun denominatore fra le due istituzioni dell’UE, il Consiglio europeo e il PE, era comunque<br />
il riconoscimento dell’esclusiva responsabilità del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite<br />
nella decisione sul tempo di scadenza dell’ultimatum e quindi di avvio della guerra, nella “dimenticanza”,<br />
peraltro, che a contribuire a tale decisione avrebbero dovuto essere ben quattro Stati<br />
membri dell’UE presenti all’epoca in tale organismo e quindi nell’assoluta mancanza di indicazioni<br />
dell’UE verso di loro al riguardo. E subito uno dei membri del Consiglio di sicurezza, gli Stati Uniti<br />
d’America, manifestò il suo orientamento a considerare ormai scaduto l’ultimatum e quindi maturo<br />
l’avvio della guerra; di conseguenza cercò di convincere altri Paesi della NATO, anch’essi all’epoca<br />
membri del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, a unirsi al governo americano nella presentazione<br />
di una proposta di risoluzione, nella quale si affermava molto semplicemente che “l’Iraq ha<br />
mancato di afferrare l’opportunità finale offertagli dalla risoluzione 1441 (2002)” ovvero che<br />
l’ultimatum era scaduto e perciò era aperta la guerra tra l’ONU e l’Iraq. Tali Paesi erano precisamente<br />
i quattro Stati membri dell’UE predetti, che si trovarono a compiere, in tale difficile situazione,<br />
una scelta per la quale non esisteva affatto una precisa posizione comune europea, ovvero se<br />
proporre o no di dare inizio subito a una guerra, condotta dalle Nazioni Unite, contro l’Iraq. Tali<br />
quattro Stati membri finirono perciò, su una questione di capitale importanza per le sorti del mondo<br />
intero, per decidere, appena una settimana dopo la riunione del Consiglio europeo, ognuno per conto<br />
proprio, trovandosi su posizioni antitetiche tra loro e distruggendo con ciò ogni credibilità della<br />
PESC e insieme a essa dell’UE in quanto tale: il Regno Unito e la Spagna accolsero l’invito americano,<br />
la Germania e la Francia si opposero anzi alla proposta americana. Di conseguenza il Consiglio<br />
di sicurezza delle Nazioni Unite si trovò a discutere, il 27 febbraio 2003, due documenti, entrambi<br />
presentati il 24 febbraio 2003, la proposta di risoluzione di Stati Uniti d’America, Regno Unito<br />
(entrambi membri permanenti con diritto di veto) e Spagna e un memorandum di Germania,<br />
Francia e Russia (gli ultimi due, pure, membri permanenti con diritto di veto), che diceva tra l’altro:<br />
“1. Un disarmo pieno ed effettivo in accordo con le risoluzioni pertinenti del Consiglio di sicurezza resta l’obiettivo imperativo<br />
della comunità internazionale. La nostra priorità deve essere quella di conseguirlo pacificamente attraverso il<br />
regime delle ispezioni. L’opzione militare dev’essere soltanto un’ultima risorsa. Finora le condizioni per l’uso della forza<br />
contro l’Iraq non sono state adempiute:<br />
- benché rimanga il sospetto, non è stata data prova che l’Iraq possieda ancora armi di distruzione di massa o capacità in<br />
questo campo<br />
- le ispezioni hanno appena raggiunto il loro pieno regime; stanno funzionando senza ostacoli; hanno già prodotto risultati<br />
- benché non ancora pienamente soddisfacente, la cooperazione irachena sta migliorando, come attestato dagli ispettori<br />
in capo nel loro ultimo rapporto.”