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VERSIONE INTERA PROVA - Padis - Sapienza

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INDICE<br />

INTRODUZIONE i<br />

ARGOMENTO E MOTIVAZIONI DELLA RICERCA..................................................................i<br />

L’epica di Dimdim i<br />

GLI STUDI PRECEDENTI....................................................................................................iii<br />

Curdologia e musicologia iii<br />

Il lavoro di Ordixanê Celîl vii<br />

INTERESSE MUSICOLOGICO DELLA RICERCA....................................................................x<br />

METODOLOGIA ...............................................................................................................xiii<br />

Raccolta sul campo: localizzazione xiii<br />

Raccolta sul campo: aspettative e problemi xvi<br />

Analisi del testo xix<br />

Analisi musicologica xxi<br />

Antologia di Celîl xxiii<br />

Bahdinan-2009 xxvii<br />

Altre varianti xxvii<br />

Stran xxix<br />

LA QUESTIONE LINGUISTICA .........................................................................................xxx<br />

ABBREVIAZIONI xxxv<br />

RINGRAZIAMENTI xxxvii<br />

CAPITOLO I – LA TRADIZIONE 1<br />

LA LETTERATURA ORALE: LINGUA, POESIA E MUSICA 1<br />

IL BEYT 6<br />

L’EPICA IN FORMA DI CANZONE: LO STRAN 9<br />

IL CONTESTO E LE FIGURE DELLA TRADIZIONE 12<br />

IL KURDISTAN IRACHENO E LA PROVINCIA DI DUHOK 12


ii<br />

LE FIGURE DELLA TRADIZIONE 23<br />

I CANTORI DELLA RACCOLTA 29<br />

BIOGRAFIE DEI CANTORI 32<br />

LO SPAZIO DELLA PERFORMANCE 35<br />

ANALISI DELLA PERFORMANCE 37<br />

GESTUALITÀ 37<br />

PUBBLICO 41<br />

PERFORMANCE DELLO STRAN 41<br />

CAPITOLO II – L’EPOS 43<br />

IL CONTESTO STORICO ...................................................................................................44<br />

LE FONTI..........................................................................................................................55<br />

La storia persiana: “nell’anno del Gallo…” 55<br />

LA LEGGENDA DI KHAN LEPZÊRÎN, IL KHAN MANODORO.............................................66<br />

CAPITOLO III – ANALISI DEI CANTI: 83<br />

IL TESTO 83<br />

Motivazioni dell’applicazione della Teoria Formulaica 90<br />

Metodologia per l’individuazione delle formule 91<br />

Esempi 94<br />

TEMI ..............................................................................................................................134<br />

CAPITOLO IV – ANALISI DEI CANTI: 169<br />

VERSO E MELODIA 169<br />

STRUTTURA DEI VERSI ..................................................................................................172<br />

RITMICA E SILLABAZIONE..............................................................................................184<br />

MELODIE DEL BEYT .......................................................................................................203<br />

MODELLI MELODICI ......................................................................................................209<br />

DISPOSIZIONE DELLE MELODIE IN RELAZIONE AL TESTO.............................................239


Modelli ritmico-melodici e temi 239<br />

Modelli melodici e metrica testuale 241<br />

Effetti vocali 242<br />

GLI STRAN: VERSI E MELODIE.......................................................................................244<br />

Testi poetici 244<br />

Esecuzioni musicali 248<br />

CONCLUSIONI 259<br />

BIBLIOGRAFIA 271<br />

INDICE DELLE TRACCE AUDIO 281


INTRODUZIONE<br />

ARGOMENTO E MOTIVAZIONI DELLA RICERCA<br />

L’epica di Dimdim<br />

Il fascino della cultura popolare curda risiede in gran parte nei suoi canti.<br />

Colmi di afflati nostalgici, dolore e sofferenza per i cari perduti, la patria lontana, la<br />

libertà agognata, gli amori impossibili, i canti, la poesia e la letteratura orale in<br />

genere sono espressione della storia, della memoria e dell’immaginario popolare e<br />

hanno un forte potere evocativo e identitario.<br />

Della tradizione più antica fanno parte i canti epici, alcuni dei quali sono la<br />

base e il fondamento della letteratura orale popolare e di alcune opere della<br />

letteratura scritta colta.<br />

Tra le più brillanti e longeve creazioni di questa tradizione, una delle più note<br />

e diffuse è l’epopea di Dimdim. Conosciuto come Kelaê Dimdim, “il castello di<br />

Dimdim”, Beyta Dimdim, “il canto di Dimidim”, o anche con il nome del<br />

protagonista, Beyta Xanê kurda, “il canto del Khan curdo”, Xanê Lepzêrîn, “Khan dal<br />

braccio d’oro”, Xanê Çengzêrîn, “Khan Manodoro”, questo racconto epico ha fornito<br />

lo spunto per il mio lavoro, scaturito, dal desiderio di affrontare in modo<br />

approfondito e con la specificità dello sguardo musicologico l’analisi di un’opera<br />

importante del patrimonio orale curdo, e restituirle la dimensione musicale che gli è<br />

propria.<br />

KELAÊ DIMDIM i


ii INTRODUZIONE<br />

L’epica di Dimdim si è ben prestata a questo tipo di analisi, per vari fattori.<br />

Innanzitutto la popolarità del canto e la sua importanza nella cultura curda.<br />

Assieme a Mame Alan, Derwêshê ‘Evdî, Shaykh Seydo e altre storie altrettanto celebri, la<br />

leggenda di Kelaê Dimdim si è mantenuta in vita fino ad oggi nella tradizione orale<br />

popolare. Essa è, infatti, la rappresentazione dell’orgoglio e della “resistenza” del<br />

popolo curdo, la lotta per la propria indipendenza e libertà dall’asservimento.<br />

Questo è uno degli aspetti che in genere suscitano maggiormente l’interesse per<br />

questa narrazione da parte degli studiosi di cultura curda.<br />

Gli aspetti identitari, che non saranno qui discussi, sono spesso al centro degli<br />

studi curdi, e la lotta contro il dominatore è per questo popolo una delle più<br />

importanti strategie di identificazione e affermazione culturale, oltre alla lingua, alle<br />

tradizioni e, in misura minore, alla religione. Difatti, in ambito accademico, questa<br />

epica è frequentemente citata per i suoi contenuti e, per lo stesso motivo, è<br />

conosciuta nelle sue linee generali, da molti curdi anche della diaspora.<br />

Altro elemento corroborante della popolarità di questa narrazione è l’aver<br />

fornito spunto e ispirazione per produzioni artistiche di vario tipo. Sotto questo<br />

aspetto ha seguito, in parte, la sorte di Mame Alan, trasformata dal poeta Ahmed<br />

Khanî nel capolavoro fondativo della letteratura curda, Mem û Zîn che a sua volta ha<br />

dato vita ad una serie di rielaborazioni in varie forme e generi artistici, dalla<br />

canzone al cinema. 1<br />

1 Del racconto Mem û Zin esiste, tra le una versione cinematografica realizzata dal regista Ümit Elçi negli anni<br />

Ottanta.


Il caso più noto di “traduzione” dell’epica di Dimdim è il romanzo dello<br />

scrittore curdo Areb Shamo 2 , considerato uno dei maggiori scrittori curdi. Nato a<br />

Kars 3 sotto il dominio zarista, fu costretto all’esilio in Siberia tra il 1937 e il 1957. In<br />

questo frangente Shamo scrisse, inizialmente in russo poi in una versione curda, Il<br />

castello di Dimdim, 4 ispirandosi alla tradizione popolare. Esistono anche vari altri<br />

esempi più recenti di poesia e arte visiva ispirati all’epopea.<br />

Dato il limitato tempo a disposizione per svolgere la ricerca sul campo, la<br />

difficoltà di muoversi agilmente all’interno del Paese e di localizzare i cantori, la<br />

notorietà dell’epica è stata un aspetto di non trascurabile importanza nella scelta<br />

dell’argomento, poiché mi è sembrata una garanzia di rintracciarne versioni orali<br />

sul campo.<br />

GLI STUDI PRECEDENTI<br />

Curdologia e musicologia<br />

KELAÊ DIMDIM iii<br />

Nell’ambito degli studi curdi la letteratura orale di tradizione popolare è un<br />

argomento molto considerato e variamente affrontato negli aspetti socio-culturali,<br />

politici, letterari. La prolificità del repertorio e il ruolo preponderante nella<br />

connotazione e nella rivendicazione identitaria che la tradizione ha assunto, sono,<br />

2 La grafia curda del nome dell’autore, Ereb Şemo, viene traslitterata Arab Shamo in italiano. Il nome<br />

naturalizzato russo è, però, spesso scritto Arab Shamilov.<br />

3 La città di Kars si trova attualmente in Turchia.<br />

4 Shamilov, 1999.


iv INTRODUZIONE<br />

con ogni probabilità, i motivi per cui gli aspetti più tecnici dell’analisi musicale sono<br />

passati in secondo piano rispetto a ricerche di tipo sociologico.<br />

Gli studi curdi hanno una storia piuttosto antica, addirittura nata con un<br />

padre missionario italiano, Maurizio Garzoni, che nel 1787 pubblicò Grammatica e<br />

vocabolario della lingua Kurda, ad uso dei missionari che dopo di lui si fossero recati in<br />

quelle regioni.<br />

Successivamente esploratori, militari e studiosi contribuirono a gettare le basi<br />

per un filone di studi orientalistici dedicato al popolo curdo. Una importante scuola<br />

di Curdologia si sviluppò in Russia, presso l’università di San Pietroburgo, e ad essa<br />

fanno capo molte ricerche tuttora valide.<br />

Tra i lavori più importanti, anche se ormai datati, spiccano le raccolte di<br />

repertori orali e musicali effettuate dai fratelli Celîl (naturalizzati russi, Dzhalilov),<br />

Ordikhan, Cêlîle e Cemila. Le numerose raccolte di testi della tradizione avevano la<br />

funzione di presentare la grande varietà della produzione orale curda, senza<br />

addentrarsi in analisi specifiche né approfondite. L’impostazione è quindi di stampo<br />

folkloristico, e sia i testi che gli esempi musicali sono spesso normalizzati e adattati<br />

ad un’estetica, metrica e musicale, occidentale colta.<br />

Oggi centri di ricerca in materia curda esistono in Europa (Francia, Germania,<br />

Regno Unito, Svezia) e negli Stati Uniti. Gli studiosi moderni hanno adottato<br />

approcci multidisciplinari, attenti ai vari aspetti della tradizione orale: dal contesto,<br />

alla tipologia degli esecutori, ai metodi di trasmissione, memorizzazione ed<br />

esecuzione, all’analisi testuale.


Nonostante molta parte della produzione orale popolare curda sia intonata, se<br />

non addirittura cantata e accompagnata da uno o più strumenti musicali, gli studi di<br />

tipo musicologico, in ambito curdologico, non sono particolarmente numerosi. In<br />

passato alcuni studiosi, tra i quali D. Christensen, S. Blum, A. Hasanpour, hanno<br />

effettuato analisi musicali su alcune opere o repertori specifici, legati alla tradizione.<br />

Attualmente l’interesse degli studiosi sembra convogliarsi verso i fenomeni musicali<br />

più recenti, anche legati al mercato e all’industria culturale o dell’intrattenimento –<br />

ad esempio la canzone politica, le trasmissioni radiotelevisive, la censura culturale.<br />

In generale, si può dire che le particolari contingenze storico politiche, nelle<br />

quali si è sviluppata la storia curda anche più recente, hanno, comprensibilmente,<br />

catalizzato l’attenzione degli studiosi e dei ricercatori verso argomenti più urgenti e<br />

rilevanti dal punto di vista politico, sociale, umanitario: le guerre e il ruolo strategico<br />

del Kurdistan e delle sue comunità; la discriminazione etnica e le conseguenti<br />

repressioni e persecuzioni politico-sociali vissute dai curdi nei vari Stati di<br />

appartenenza; le lotte politiche portate avanti in vario modo, anche con la violenza<br />

delle armi, per il riconoscimento etnico-culturale o l’indipendenza politica; la<br />

rivendicazione dei diritti civili, culturali e umani; la condizione femminile.<br />

La musica, l’analisi metrica la tassonomia dei generi sono stati affrontati, in<br />

modo non sempre puntuale, da folkloristi, linguisti, oralisti e in rari casi da<br />

musicologi. Inoltre la tendenza – alla quale si è piegato, come si vedrà, anche il<br />

presente lavoro – a specializzarsi sulla produzione di una particolare comunità<br />

locale non agevola una visione d’insieme completa e cristallina degli aspetti musicali<br />

di questa cultura.<br />

KELAÊ DIMDIM v


vi INTRODUZIONE<br />

Per questo motivo e nell’intento di aggiungere un contributo e sviluppare la<br />

ricerca musicologica in ambito curdo, una delle ragioni per orientare la scelta<br />

proprio su un’epica e non sul repertorio della canzone o della musica per danza, ad<br />

esempio, è stata l’intenzione di restituire a questo repertorio la sua valenza non<br />

solamente poetica, ma anche ritmico-musicale. Per farlo ci si è orientati non tanto<br />

sugli aspetti etnico-sociali o politici, bensì proprio sugli aspetti tecnico musicali<br />

relativi a questo particolare genere.<br />

Pertanto, un altro fattore a favore di questa scelta è stata la possibilità di<br />

appoggiarsi al corpus di testi trascritti e pubblicati in epoche passate per effettuare<br />

una comparazione e verificare anche la persistenza della memoria orale.<br />

Fondamentale importanza, sotto questo aspetto, ha avuto il saggio di Ordixane<br />

Celîl 5 Kurdskij gerojceskij epos “Slatoruki Khan” (“Il poema eroico curdo ‘Il Khan<br />

Manodoro’”) nel quale, oltre ad un’introduzione storica sulla vicenda e una<br />

panoramica sulle registrazioni storiche del poema, sono state raccolte le trascrizioni<br />

e le traduzioni in russo delle versioni edite fino al momento della pubblicazione del<br />

saggio nel 1967.<br />

5 La grafia del nome dell’autore, come visto nel caso di Shamo, cambia sia in relazione alla lingua dalla quale<br />

viene trascritto, sia all’alfabeto utilizzato. Con l’alfabeto curdo in caratteri latini la traslitterazione risulta<br />

Ordîxanê Celîl, trascritto anche Ordikhane Jalil. La trascrizione dal cirillico è Ordikhan Dzhalil o Dzhalilov. Nel<br />

testo si utilizzerà la grafia curda del nome.


Il lavoro di Ordixanê Celîl<br />

Ordixanê Celîl, etnologo armeno-sovietico di origine curda aveva pubblicato<br />

nel 1967 il saggio che ad oggi rimane lo studio più importante sull’epica di Dimdim<br />

Il poema epico curdo “Il Khan Manodoro” . 6<br />

Lo studio dell’epica è affrontato da un punto di vista curdologico, come l’autore<br />

tiene a precisare nell’introduzione, e dunque la descrizione delle modalità di<br />

esecuzione e degli elementi musicali che concorrono nella realizzazione e nella<br />

trasmissione del poema sono affrontati solo per cenni.<br />

Le informazioni contenute nel saggio sono indubbiamente preziose, potendo<br />

Celîl citare fonti di varia provenienza: persiane, arabe, sovietiche e curde.<br />

Il resoconto storico da lui fornito si basa prevalentemente sul testo di Iskandar<br />

Beg e sullo Sharafnâma, la più importante storiografia curda, compilata da Sharaf<br />

Khan principe di Bitlisi (1543 – 1604) in lingua persiana. Nello Sharafnâma, per<br />

evidenti questioni anagrafiche, non è descritto l’episodio storico dell’assedio alla<br />

fortezza curda, ma da essa Celîl trae la storia dei più importanti principati e tribù<br />

curdi dal Medioevo alla fine del XVI secolo, mettendo in risalto il rapporto di<br />

sottomissione, seppure riottoso e conflittuale, con l’impero safavide, e l’impossibilità<br />

di una alleanza pan-curda a causa delle insanabili divergenze e inimicizie tra le<br />

tribù.<br />

KELAÊ DIMDIM vii<br />

Affrontando l’argomento della diffusione e dell’esecuzione dell’epica, l’autore<br />

si fa sostenitore dell’esistenza di una versione originaria, dalla quale si sarebbero<br />

6 Celîl,1967.


viii INTRODUZIONE<br />

diramate le altre. La principale motivazione che adduce all’esistenza di una simile<br />

Urversion è la somiglianza o la coincidenza di versi o gruppi di versi tra le varianti, in<br />

particolare quelle inserite nel saggio: «la maggior parte dei frammenti cantati<br />

coincidono nelle diverse varianti e talvolta si ripetono testualmente». 7<br />

Sebbene il contenuto delle epiche sia comune e molti degli episodi, o temi, si<br />

ripetano in gran parte delle varianti, altrettanto non si può dire della versificazione.<br />

Attraverso l’analisi morfologica e formulaica, di cui si tratterà nel Capitolo III di<br />

questo lavoro, le differenze risultano evidenti.<br />

Tra i testi collazionati nel saggio, Celîl inserisce anche una copia anastatica di<br />

alcune pagine di un poemetto in versi scritto in caratteri persiani, del quale però<br />

omette di inserire la traduzione. Si tratta di Racconto della battaglia per il castello di<br />

Dimdim contro i qizilbash, un’opera in versi attribuita a Faqîh-ê Tayrân, famoso e<br />

importante poeta curdo vissuto a cavallo tra XVI e XVII secolo. 8 Tale attribuzione<br />

è dovuta al nom de plume con cui si manifesta l’autore alla fine del poema, Mim Khei,<br />

utilizzato in opere di sicura appartenenza allo stesso Tayrân.<br />

Al momento della pubblicazione del saggio, tuttavia, gli studiosi retrodatavano<br />

di tre secoli circa la biografia del poeta. Per questo motivo Celîl esclude<br />

perentoriamente che il poema potesse essere stato composto subito dopo i fatti<br />

storici narrati e proprio da Tayrân. Gli studi successivi 9 smentirono la datazione<br />

della biografia di Tayrân, stabilendo che il poeta visse tra 1590 e 1660. Per gli studi<br />

7 O. Celîl, 1967.<br />

8 Il titolo completo del poema di Tayrân è Hikayat sere ser kelay Dimdim di gel kizilbashan, got Feqi Teyran (“Racconto<br />

della battaglia per il castello di Dimdim contro i qizilbash, di Faqîh-ê Tayrân”).<br />

9 In particolare si veda McKenzie, 1969.


attuali non c’è modo di stabilire se il poema di Tayrân sia una creazione originale<br />

sull’argomento, o invece, come nel caso di Mem û Zin 10 , la rielaborazione savante di<br />

un’opera della letteratura orale popolare.<br />

Celîl considera questa versione letteraria posteriore allo sviluppo e alla<br />

diffusione delle versioni orali popolari e non ritiene importante un raffronto<br />

approfondito. Accenna solamente al fatto che in una delle strofe del poema si<br />

attribuisca la principale causa della guerra alla volontà dei qizilbash di convertire i<br />

Curdi allo sciismo.<br />

Sarebbe un interessantissimo spunto per ulteriori studi, soprattutto linguistici e<br />

letterari, mettere a confronto il poemetto con le versioni orali popolari, cosa che, per<br />

il presente lavoro, non è stato possibile fare anche a causa della difficoltà di<br />

reperimento e traduzione dell’opera di Tayrân.<br />

Le versioni cronologicamente più tarde inserite nel saggio di Celîl sono<br />

abbastanza fedeli al resoconto storico di Iskandar Beg, come nota l’autore stesso. È<br />

possibile che l’opera storiografica, comparsa in Iraq in traduzione curda a partire<br />

dalla fine degli anni Cinquanta del Novecento, abbia costituito una fonte di<br />

ispirazione per l’elaborazione di una versione orale popolare della vicenda. Di<br />

questo aspetto si può avere una qualche conferma dall’analisi dei temi, delle<br />

sequenze e dei personaggi che compaiono nelle versioni orali.<br />

KELAÊ DIMDIM ix<br />

10 Ahmed Khanî elaborò il poema fondativo della letteratura curda, Mem û Zin, sulla preesistente narrazione<br />

orale conosciuta come Mamê Alan.


x INTRODUZIONE<br />

Per quanto riguarda le modalità di esecuzione, Celîl sostiene che, non essendo<br />

la narrazione semplice da eseguire, il dengbêj o beytbêj (ossia il cantore, il cantore<br />

epico) dovesse aiutarsi con la mimica durante il canto.<br />

Di questo atteggiamento mimico-attoriale non posso dire di aver trovato piena<br />

conferma durante la ricerca sul campo. Al contrario, come si osserva nel Capitolo I,<br />

uno dei tratti comuni nel contegno dei cantori era la compostezza e il minimalismo<br />

nella gestualità illustrativa.<br />

Delle “grida simboliche”, sulle quali il curdologo riporta la testimonianza di<br />

un cantastorie, rimane qualche reminiscenza nei salti ascendenti e accentati, usati in<br />

modo non sempre coerente con il significato del testo cantato, ma più<br />

probabilmente con funzione di intercalare ritmico-melodico.<br />

Celîl presenta successivamente la storia delle registrazioni del poema effettuate<br />

e pubblicate a partire dalla seconda metà dell’Ottocento da studiosi sovietici.<br />

Queste versioni compaiono nell’antologia di testi inserita nella seconda parte del<br />

saggio con una traduzione in russo.<br />

INTERESSE MUSICOLOGICO DELLA RICERCA<br />

Dal punto di vista musicologico la novità di questa ricerca risiede<br />

principalmente nell’approccio analitico allo studio del repertorio, con i metodi<br />

specifici della disciplina.<br />

In particolare, si può osservare come il canto epico sia un argomento<br />

stimolante per la ricerca, in quanto genere misto tra musicale e poetico, nel quale gli


aspetti ritmico-musicali concorrono, con molta probabilità, a determinare sia le<br />

modalità di memorizzazione ed esecuzione, sia di composizione ed eventualmente<br />

composizione estemporanea del verso.<br />

Uno dei principali elementi di interesse è la fusione tra il ritmo melodico e il<br />

ritmo verbale che, influenzandosi reciprocamente, contribuiscono a creare,<br />

all’interno di una pulsazione costante, un movimento ritmico sempre vario, che crea<br />

coinvolgimento e mantiene viva l’attenzione del pubblico.<br />

Un’ultima considerazione da fare sull’importanza dello sviluppo di un<br />

approccio musicologico alla ricerca sul repertorio orale curdo parte dalla<br />

constatazione, evidenziata da molti studiosi e in particolare da C. Allison e Ph.<br />

Kreyenbroek 11 , di come sia consistente il rischio che l’importanza culturale e il<br />

valore nella formazione identitaria della creazione artistica popolare vengano<br />

sottaciuti o sottovalutati, se categorizzati sbrigativamente come “folklore”.<br />

Fino ad anni recenti gli studi in ambito curdo erano limitati all'ambito del<br />

folklore, sia perché quella curda è una cultura prevalentemente orale, sia a causa<br />

della particolare vicenda storica di questo popolo, quasi sempre assimilato alle etnie<br />

dominanti, e di conseguenza sminuito e non riconosciuto dalle politiche culturali<br />

repressive dei vari paesi.<br />

KELAÊ DIMDIM xi<br />

In particolare l’importanza dell'enorme repertorio tradizionale di poesia,<br />

racconti, canzoni e musica come veicolo di formazione identitaria e conservazione<br />

11 Allison affronta diffusamente l’argomento in Allison, 2001, Cap. I, mentre l’intera pubblicazione Kreyenbroek,<br />

Allison, 1999 è focalizzata a mettere in luce proprio questo aspetto: la necessità di restituire dignità alla varia<br />

produzione culturale curda attraverso studi specifici e approcci multidisciplinari.


xii INTRODUZIONE<br />

culturale è perciò stata generalmente sottovalutata, e gli studi accademici specifici<br />

hanno cominciato a svilupparsi in modo consistente a partire dagli anni Novanta.<br />

Analizzare nello specifico i vari tipi di produzione tradizionale, sia nel campo<br />

della poesia e della letteratura che in quello delle arti visive e dell'artigianato,<br />

significa restituire al carattere orale di questa cultura il giusto valore e rivalutarne il<br />

ruolo fondamentale nella costruzione identitaria.<br />

L’adozione di punti di vista meno “assolutistici” e l'abbandono della visione<br />

“occidentalista”, che implicitamente determina un giudizio di valore, nella<br />

distinzione tra “orale” e “letterario”, tra cultura “tradizionale” e “ufficiale”, è<br />

servita a rivalutare il ruolo e l’importanza delle tradizioni popolari, oltre che a<br />

comprenderne e ad apprezzarne i valori estetici.<br />

La produzione letteraria orale è, in particolare nella cultura curda, un<br />

elemento fondamentale di affermazione e riconoscimento identitario, oltre che di<br />

trasmissione culturale ed intrattenimento. Il suo ruolo sembra infatti fondante<br />

nell’affermazione della specificità etnica, vale a dire nella rivendicazione di diritti<br />

culturali, linguistici e sociali, oltre che nel radicamento dei costumi e di un<br />

immaginario collettivo.<br />

Per questo una valutazione più specifica e approfondita della qualità e del<br />

valore di una creazione orale dovrebbe essere una priorità negli studi accademici in<br />

questo campo.<br />

Questo lavoro intende, dunque, costituire una proposta di studio in chiave<br />

musicologica di uno dei più noti e meravigliosi esempi dello sterminato patrimonio<br />

della letteratura poetica orale curda, e si propone anche come un’ideale


continuazione del lavoro dei ricercatori del passato, nella speranza che ad esso<br />

potranno seguire ulteriori studi, ricerche ed approfondimenti.<br />

METODOLOGIA<br />

Il modus operandi messo in atto per questa ricerca ha previsto, in prima istanza,<br />

l’individuazione e la registrazione di differenti versioni contemporanee dell’epopea.<br />

I testi raccolti sul campo e quelli già a disposizione grazie a precedenti<br />

pubblicazioni sono stati trascritti, tradotti e analizzati. L’analisi si è basata sulla<br />

teoria “formulaica”, elaborata da Albert Lord. Di fatti è stata portata avanti<br />

attraverso la ricerca di formule, ripetizioni e paralleli all’interno delle singole<br />

versioni e successivamente con la comparazione tra i vari testi raccolti, sul campo e<br />

da altre pubblicazioni.<br />

L’analisi musicologica ha interessato soprattutto la relazione tra melodia e<br />

testo verbale nelle varie versioni, il ruolo della melodia e dei modelli ritmici nella<br />

strutturazione del verso ed eventualmente della forma delle sezioni cantate e infine<br />

una comparazione tra le varie melodie.<br />

Raccolta sul campo: localizzazione<br />

KELAÊ DIMDIM xiii<br />

La ricerca del campo ha costituito il primo problema da affrontare. La scelta<br />

del luogo più idoneo a questo tipo di ricerca doveva infatti rispondere sia ad<br />

un’esigenza scientifica, ovvero la probabilità di rintracciare cantori che conoscessero<br />

la leggenda di Dimdim ed avere la possibilità di intervistarli e registrarli, sia a


xiv INTRODUZIONE<br />

necessità di sicurezza. Il Kurdistan infatti è, purtroppo ancora, una regione<br />

turbolenta e non ovunque è possibile muoversi agevolmente senza incappare in<br />

controlli, anche invadenti, delle autorità.<br />

La possibilità di effettuare la ricerca presso i curdi della diaspora è stata<br />

scartata poiché, nella miriade di piccole comunità locali in cui oggi si manifesta,<br />

sarebbe risultato molto complesso e dispersivo rintracciare cantori che conoscessero<br />

ed eseguissero l’epica, dato che, fra l’altro, questo tipo di repertorio non pare essere<br />

frequentemente praticato.<br />

Una ricerca sul territorio, al contrario, avrebbe offerto maggiori garanzie sulla<br />

possibilità di rintracciare cantori e avrebbe inoltre permesso di salvaguardare alcuni<br />

degli aspetti legati all’esecuzione in un contesto a loro familiare.<br />

Con queste premesse, e grazie anche al consiglio di alcuni ricercatori più<br />

esperti, la scelta si è indirizzata verso la Regione Autonoma del Kurdistan iracheno,<br />

e in particolare verso il Bahdinan, la parte settentrionale di dialetto kurmanji,<br />

limitrofa, tra le altre cose, ai luoghi in cui si svolge la storia raccontata nell’epica.<br />

La Regione Autonoma del Kurdistan iracheno (d’ora in avanti RAK) è parte<br />

dello Stato Federale dell’Iraq, tuttora martoriato dalla pluridecennale dittatura<br />

Ba’ath e dalle conseguenze di una serie di guerre. Nella RAK le condizioni di<br />

sicurezza sono, in modo apparentemente paradossale (se non si conosce a fondo la<br />

storia di questa parte di mondo), molto maggiori che non altrove in Kurdistan.<br />

Il Bahdinan, inoltre, è considerato dagli esperti e dalla popolazione stessa<br />

come la “culla” linguistica e culturale dei curdi. Come si diceva poc’anzi, anche il<br />

presente studio risente della limitazione territoriale. D’altra parte, una ricerca estesa


a varie località del Kurdistan avrebbe richiesto un investimento economico e<br />

temporale decisamente maggiore rispetto a quello che è stato possibile compiere,<br />

anche per il fatto che gli spostamenti internazionali attraverso il Kurdistan e i<br />

movimenti interni in alcune regioni non sono sempre tra i più agevoli. Ciò non<br />

toglie che in futuro il lavoro possa essere continuato in un’altra località curda e si<br />

riesca così a “mappare” la presenza dell’epopea di Dimdim nelle sue varie forme,<br />

esecuzioni e dialetti.<br />

Attualmente per entrare nella RAK serve un visto rilasciato dalle autorità a<br />

seguito di un “invito” ufficiale formulato da un ente o un’organizzazione locale che<br />

si assuma la responsabilità dell’accoglienza del cittadino straniero.<br />

In questo caso la trasferta è stata resa possibile dall’Organizzazione Non<br />

Governativa e no profit “Heevie-Nazdar for Children”, presieduta dalla Signora<br />

Bakshan Ali-Aziz.<br />

L’Associazione si occupa di fornire informazioni e cure mediche di vario<br />

genere, con un servizio ambulatoriale mobile, alla popolazione rurale della RAK,<br />

concentrandosi in particolare sulla provincia di Duhok. In collaborazione con enti e<br />

associazioni umanitarie italiane seleziona, inoltre, pazienti pediatrici affetti da<br />

patologie, cardiache o di altro tipo, le cui terapie specifiche non possono essere<br />

somministrate in Iraq, o per i quali siano necessari interventi chirurgici che<br />

necessitano di apparecchiature o competenze sofisticate attualmente non reperibili<br />

in loco.<br />

KELAÊ DIMDIM xv<br />

Heevie svolge anche un difficile lavoro di monitoraggio delle condizioni<br />

sanitarie della popolazione e si avvale di numerose professionalità, da medici e


xvi INTRODUZIONE<br />

infermieri diplomati a interpreti e traduttori, responsabili dell’organizzazione e della<br />

logistica, permettendo la trasferta sia dei pazienti dal Kurdistan all’estero, per le<br />

cure necessarie, sia dei medici specializzati verso il Kurdistan.<br />

Questa organizzazione mi ha fornito tutta l’assistenza necessaria per espletare<br />

gli obblighi burocratici, dalla validazione del visto, alla obbligatoria donazione di<br />

sangue, alle presentazioni ufficiali (al Ministro della Cultura, al Rettore<br />

dell’università, al Direttore Generale della Sanità) e per poter svolgere in sicurezza il<br />

lavoro di ricerca. Un autista, alcuni interpreti e ottime conoscenze del territorio mi<br />

sono state messe a disposizione durante tutta la durata del soggiorno, in un clima di<br />

amichevole scambio culturale e umano.<br />

Raccolta sul campo: aspettative e problemi<br />

Arrivando in Kurdistan l’aspettativa era di trovare una maggior diffusione<br />

dell’epica e dei suoi conoscitori. Invece, sia la storia che l’epica stessa sono<br />

scarsamente conosciute, soprattutto dalle generazioni più giovani, e anche la pratica<br />

del canto è sempre più rara, relegata a occasioni, contesti e modalità di fruizione<br />

che stanno rapidamente mutando.<br />

Sebbene la memoria dei repertori tramandati oralmente stia progressivamente<br />

svanendo a causa di vari fattori, tra i quali il massiccio inurbamento e la diffusione<br />

dei mezzi di comunicazione e intrattenimento di massa, alcuni cantori riescono<br />

tuttora a ricordare ed eseguire l’epica di Dimdim.


Tuttavia la trasmissione intergenerazionale ha subito molte e gravi<br />

interruzioni, a causa delle guerre o delle repressioni che hanno funestato il popolo<br />

curdo, e non sempre si è potuta ripristinare, una volta che le condizioni erano<br />

tornate propizie.<br />

In molti casi la tradizione si è persa, e anche per le narrazioni più diffuse e<br />

popolari non è, ormai, remoto il rischio di una completa dispersione.<br />

La ricerca dei cantori è stata possibile soprattutto attraverso le relazioni<br />

instaurate sul posto, anche in questo caso grazie all’indispensabile ampia rete di<br />

conoscenze messa a disposizione dai membri di Heevie. I primi nomi di cantori<br />

sono stati proposti da esperti e conoscitori locali di folklore; ma costoro, invitati ad<br />

eseguire l’epica di Dimdim in forma di beyt, non sempre erano preparati. I cantori<br />

stessi, poi, proponevano altri loro “colleghi” in grado di eseguire l’epica e, al<br />

termine del periodo di permanenza, per quanto breve, si può dire che la ricerca si<br />

sia rivelata fruttuosa.<br />

Gli spostamenti, non sempre agevoli, all’interno del territorio sono avvenuti<br />

sempre, rigorosamente, in auto e sotto la vigile “scorta” degli accompagnatori.<br />

Nonostante, infatti, la RAK sia una zona relativamente pacifica, dove le aree<br />

metropolitane sono controllate e non soggette ad episodi eclatanti di violenza, quali<br />

atti terroristici ad esempio (come ancora, purtroppo, accade in altre zone sia<br />

dell’Iraq che dello stesso Kurdistan, in Turchia, Iran o Siria), i movimenti sono<br />

fortemente controllati dalle autorità e, essendo molto alto il controllo sociale, non<br />

sempre per una donna straniera è prudente muoversi da sola.<br />

KELAÊ DIMDIM xvii


xviii INTRODUZIONE<br />

Inoltre, nelle zone rurali, c’è un elevato pericolo di imbattersi in aree minate,<br />

spesso non adeguatamente segnalate, che a tutt’oggi sono causa di incidenti anche<br />

gravi tra la popolazione.<br />

Durante gli incontri con i cantori erano sempre presenti gli accompagnatori e<br />

l’interprete, che oltre a tradurre le domande e le risposte delle interviste, svolgeva<br />

spesso una funzione di “mediatore”. Alcune delle persone incontrate, infatti, non<br />

avevano mai avuto contatti “ravvicinati” con occidentali, soprattutto ricercatori<br />

interessati alla cultura popolare e non sempre era immediatamente comprensibile la<br />

ragione del mio interesse nei confronti di un’epica che gli stessi giovani curdi fanno<br />

ormai fatica a ricordare.<br />

Le registrazioni dei canti e delle interviste sono state effettuate con un<br />

apparecchio elettronico EDIROL R-09HR; le riprese con una videocamera<br />

Panasonic HD.<br />

L’immensa generosità, ospitalità e disponibilità, e anche un certo orgoglio,<br />

manifestato dai cantori non professionisti nell’eseguire i repertori, parlare della<br />

propria esperienza musicale e raccontare la propria storia personale è stata in parte<br />

controbilanciata dalla scarsa disponibilità dei professionisti del campo (non solo i<br />

cantori, ma anche i cultori, gli esperti), più restii a collaborare nella ricerca degli<br />

esecutori.


Analisi del testo<br />

I testi, frutto della raccolta sul campo che per semplicità individueremo con la<br />

dicitura Bahdinan-2009, sono stati trascritti e tradotti con l’indispensabile<br />

collaborazione di parlanti locali 12 che fossero in grado di comprendere il dialetto<br />

specifico, l’accento e il gergo locale, per altro non sempre, neanche per loro, di<br />

immediata intelligibilità.<br />

Le differenti versioni di Bahdinan-2009, inizialmente trascritte da un<br />

interprete 13 in caratteri arabi modificati (l’alfabeto curdo utilizzato in Iraq) e<br />

successivamente da me revisionate, uniformate 14 e traslitterate nell’alfabeto hawar<br />

(l’alfabeto in caratteri latini modificati per il curdo), sono state anche tradotte in<br />

italiano.<br />

KELAÊ DIMDIM xix<br />

Per la traduzione, tutt’altro che agevole, a causa della difficoltà del dialetto<br />

locale e della lingua arcaica e a volte “confusa”, ho lavorato in collaborazione con<br />

una seconda interprete 15 , la quale ha effettuato una prima traduzione “grezza” e<br />

non letterale del testo, in inglese. Successivamente, avvalendomi della mia<br />

personale, anche se non specialistica, conoscenza della lingua ho elaborato una<br />

traduzione il più possibile fedele ai testi originali, indicando in molti casi, le<br />

particolarità lessicali, gli arcaismi, le sfumature del significato, i modi di dire.<br />

12 Salam Mizouri, Diyar Qassam, Ahmed AbdulKarim AbdulRahim Doski, Karam.<br />

13 Bahzad Zana.<br />

14 Non sempre infatti la trascrizione fonetica utilizzata dall’interprete corrisponde ad una corretta ortografia delle<br />

parole.<br />

15 Berivan Mizouri.


xx INTRODUZIONE<br />

Conseguentemente al lavoro di traduzione è stato possibile effettuare l’analisi<br />

del testo verbale. Per quest’ultima sono stati considerati tutti i testi in forma di beyt –<br />

ovvero il genere della poesia popolare, misto di versi e prosa, in cui si presenta la<br />

leggenda di Dimdim – contenuti in Celîl 1967, i due presenti in un altro testo di<br />

Celîl Zargotina Kurda 16 , i beyt e gli stran (canzoni strofiche) di Bahdinan-2009, tre stran<br />

che fanno parte della raccolta di canti tradizionali conservata presso il Kurdish<br />

Heritage Institute di Suleymanya e che l’Istituto ha gentilmente acconsentito ad<br />

inviarmi. Un ulteriore testo in forma di beyt, contenuto in una registrazione su<br />

nastro magnetico e conservato presso il Dipartimento di Iranistica dell’Università di<br />

Göttingen in Germania, è stato utilizzato come termine di paragone. Purtroppo,<br />

data la scarsissima qualità della registrazione non è stato possibile completarne la<br />

trascrizione e dunque non ho ritenuto di utilizzarlo in modo sistematico nella<br />

comparazione.<br />

Per portare avanti l’analisi mi sono basata fortemente sui presupposti della<br />

teoria formulaica enunciata da A. Lord e sulle teorie morfologiche di Propp e<br />

Thompson. 17<br />

I risultati di questa analisi hanno permesso di comparare le varie versioni in<br />

mio possesso, al fine sia di rintracciare una continuità tra passato e presente (ma<br />

anche tra le diverse località in cui le versioni sono state registrate), che di stabilire un<br />

rapporto di ideale continuità con gli studi già avviati sull’argomento.<br />

16 Celîl, 1978.<br />

17 Propp, 2009 e Thompson, 1994.


L’analisi poetica, infine, si è basata sulle nozioni a disposizione circa la metrica<br />

poetica curda e alcuni testi di grammatica curda, si sono rivelati utili per l’analisi<br />

accentuativa. Non essendo stato possibile lavorare in collaborazione con un linguista<br />

specializzato alcune questioni più specifiche non sono state, tuttavia, vagliate fino in<br />

fondo.<br />

I testi di questa particolare epica non erano mai stati analizzati con la specifica<br />

finalità di rintracciare elementi formulaici ed eventuali substrati comuni che<br />

offrissero fondamento alla teoria della composizione in esecuzione, tipica di molti<br />

repertori epici popolari di tradizione orale. Per questo motivo ho ritenuto che fosse<br />

utile ed interessante valutare questi materiali in una simile prospettiva,<br />

riallacciandomi anche all’esperienza del curdologo M. Chyet che ha realizzato un<br />

lavoro analogo sulle trascrizioni di alcune versioni orali di Mem û Zin. 18<br />

Rara, se non unica, inoltre, è la traduzione in italiano di un corpus così ampio<br />

di testi originali, che ci si augura possa diventare punto di partenza per ulteriori<br />

studi.<br />

Analisi musicologica<br />

KELAÊ DIMDIM xxi<br />

Per l’analisi musicologica mi sono avvalsa delle versioni con supporto audio,<br />

oltre che delle trascrizioni in notazione occidentale da me effettuate anche grazie al<br />

sussidio di specifici software, quali Audacity, Transcribe! e altri. Tali software hanno<br />

permesso, ad esempio, di rallentare l’esecuzione senza modificare l’altezza assoluta<br />

18 Chyet, 1991.


xxii INTRODUZIONE<br />

dei suoni prodotti. Questo espediente si è rivelato molto utile anche al fine di una<br />

migliore comprensione del testo verbale in alcuni passaggi particolarmente confusi.<br />

L’analisi si è indirizzata, oltre che sugli aspetti più prettamente tecnici relativi<br />

all’apparato musicale, come l’analisi della melodia o del ritmo in relazione alla<br />

parola, anche su quelli antropologici, relativi alla biografia degli esecutori, al<br />

contesto, alle occasioni di esecuzione, alle particolari modalità performative.<br />

Una consistente difficoltà è stata la mancanza di un avviato filone di studi<br />

curdi in Italia dove si contano pochissimi, seppure eccellenti, esperti specializzati<br />

nella ricerca storica o linguistica. Per affrontare l’analisi musicologica, mi sono,<br />

quindi, dovuta basare sulle esperienze di ricercatori attivi in altri scenari,<br />

specializzati su repertori analoghi o simili per caratteristiche a quello da me<br />

affrontato.<br />

Anche per questo motivo ho preferito scegliere un’opera poetica già affrontata<br />

dalla Curdologia, per la quale fossero disponibili una bibliografia seppur minima ed<br />

anche qualche studio specifico.<br />

LE VERSIONI CONSIDERATE<br />

Il lavoro si è sviluppato a partire dalle varianti del beyt di Dimdim che è stato<br />

possibile reperire sia in forma sonora (sul campo o tramite registrazioni preesistenti),<br />

che in forma scritta (in raccolte di testi del folklore curdo) .<br />

Per l’analisi del testo poetico sono state utilizzate le versioni precedentemente<br />

pubblicate e le trascrizioni di quelle raccolte sul campo.


Per l’analisi musicale sono state considerate esclusivamente le versioni<br />

corredate di documentazione sonora.<br />

Prima di addentrarsi nella trattazione si è ritenuto utile, in questo capitolo<br />

introduttivo, dare conto delle diverse versioni raccolte e in seguito analizzate.<br />

Per agevolare la lettura le varie versioni verranno indicate con una sigla di cui<br />

si dà una legenda più avanti.<br />

Dimdim.<br />

Antologia di Celîl<br />

KELAÊ DIMDIM xxiii<br />

Nell’antologia compilata da Celîl sono presenti sei versioni dell’epopea di<br />

1. La più antica di cui sia stata pubblicata una trascrizione del solo testo<br />

verbale, è in prosa e fu eseguita da un cantore proveniente da Bayazit in Turchia. Fu<br />

pubblicata a San Pietroburgo nel 1860, nella raccolta di A. Jaba, Kurdskie rasskazy<br />

(“Raccolta di narrazioni curde”). In questa versione la vicenda dell’assedio di<br />

Dimdim viene collocata durante l’epoca di Shah Ismail, di due generazioni<br />

precedente Shah ‘Abbas il Grande, e la paternità della leggenda attribuita al poeta<br />

Molla Bati Mim Khei. Per le considerazioni avanzate in precedenza questo<br />

particolare è interessante perché testimonierebbe la circolazione in ambito popolare<br />

e in varie forme della leggenda resa letterariamente da Tayrân. Il contenuto di<br />

questa versione è molto scarno, ma vi compaiono alcuni elementi tematici che<br />

ricorrono anche in altre versioni, come ad esempio la scelta delle donne di bere il<br />

veleno al momento della disfatta curda, la figura della madre, la distruzione della


xxiv INTRODUZIONE<br />

fortezza causata dall’incendio volontario del deposito delle polveri. Gran parte delle<br />

espressioni utilizzate, invece, non ricorre in altre versioni.<br />

2. Il secondo testo inserito nell’antologia è la trascrizione di una registrazione<br />

effettuata ad Elkosh, nel Bahdinan, dal cantore Ravi e pubblicata nel 1890 a San<br />

Pietroburgo, nel volume Kurdischen Sammlungen a cura di E. Prym e A. Socin. Questa<br />

versione è in versi, e pertanto doveva essere completamente cantata, tant’è vero che<br />

sia nel contenuto che nell’articolazione del testo verbale compaiono corrispondenze<br />

notevoli con le versioni più recentemente raccolte (si veda Capitolo III).<br />

3. – 4. Seguono le due versioni inserite da O. Mann in Die Mundart der Mukrî-<br />

Kurden (“L’arte orale dei Curdi Mukrî”), pubblicato nel 1906-09, entrambe in dialetto<br />

Mukrî. La regione del Mukrî, come detto in precedenza, si trova nel Kurdistan<br />

centro-meridionale, al confine tra gli attuali Iraq e e Iran, e prende il nome dalla più<br />

popolosa tribù che la abitava al tempo delle ricerche di Mann. Il dialetto Mukrî fa<br />

parte del gruppo del kurmanji del sud, detto anche sorani.<br />

Delle due versioni una è molto breve, in prosa, e fu recitata dal segretario<br />

personale di Mann, Mizra Javad; l’altra fu registrata in Iran, nella località di<br />

Subchulak, dal cantore Romane Bekir. In quest’ultima, nella quale pur compaiono<br />

molti dei temi comuni, non si sono individuate analogie nella composizione dei versi<br />

in relazione alle altre varianti. La non corrispondenza testuale con le versioni di<br />

Bahdinan-2009 è con molta probabilità dovuta alla differenza di dialetto e non è


assurdo supporre che anche dal punto di vista melodico la versione in questione<br />

potesse discostarsi molto da quelle del Bahdinan.<br />

5. Segue poi il testo registrato da K.K. Kurdoev nel 1939 a Tiseli in Georgia,<br />

dal contadino Aloe Slo Jalalî e pubblicato nel 1962 in “Kurdskie epitcheskje<br />

pesniskazy” (“Antologia di epiche curde”, Mosca). In questa lunga variante in forma<br />

di beyt si nota la presenza di alcuni versi isolati che possono essere intesi come<br />

formule. Non vi è traccia, però, di sequenze più lunghe, passaggi di almeno un paio<br />

di versi uguali o simili in altre versioni.<br />

6. Pubblicata per la prima volta, e inserita per ultima, è la versione di Selim<br />

Isa Mizouri, registrata nel villaggio di Pendro nella regione di Barzan, in Iraq, e<br />

scelta tra la ventina raccolte da Celîl tra il 1957 e il 1958. Questo corposo beyt in<br />

dialetto bahdini presenta notevoli affinità sia nei contenuti che nei singoli versi o<br />

passaggi di tre, quattro o cinque versi adiacenti, con le versioni della raccolta<br />

Bahdinan-2009.<br />

KELAÊ DIMDIM xxv<br />

7. – 8. Oltre a varie registrazioni e trascrizioni da lui non pubblicate, Celîl fa<br />

riferimento ad altre due interessanti varianti che egli ha registrato nel secondo sovkoz<br />

(distretto ortofrutticolo) di Vrevskij vicino a Taskent, nel 1958. Entrambe le varianti<br />

sono state inserite nella corposa raccolta in due volumi Zargotina Kurda (“Folklore<br />

curdo”) pubblicata a Mosca nel 1978 e curata dallo stesso O. Celîl e dal fratello<br />

Cêlil. La versione intitolata Beyt’a Xane Kurda (“Il beyt del Khan curdo”) fu eseguita


xxvi INTRODUZIONE<br />

per lui dal dengbêj Karim Malko 19 , nato nel 1906 nel villaggio di Barzan, distretto di<br />

Ahmed-Barzanî, nel Kurdistan iracheno. Il cantore era emigrato nella Repubblica<br />

Sovietica dell’Uzbekistan dopo aver partecipato al movimento di liberazione curdo,<br />

culminato con la fondazione nel 1946 e la destituzione nello stesso anno della<br />

Repubblica curda di Mahabad, in Iran. Malko aveva imparato dal proprio zio Sayd<br />

il beyt, del quale, riporta Celîl, «eseguiva con grande entusiasmo i brani che si<br />

riferivano alle azioni di guerra» 20 , cantilenando anche le parti che usualmente,<br />

secondo l’autore, erano destinate alla prosa. Celîl non inserisce nel suo saggio uno<br />

schema generale della suddivisione tra parti in prosa e versi cantati delle versioni da<br />

lui raccolte, né specifica a quali temi esse corrispondano. Si può supporre che nel<br />

corpus di varianti da lui raccolto, le sezioni di canto e prosa fossero simili.<br />

Un’ulteriore informazione offerta dall’autore riguarda la novità rappresentata<br />

dall’introduzione di alcuni temi, da lui chiamati “episodi”, presenti nella versione di<br />

Malko e in nessuna delle altre varianti a lui note. Cita in proposito l’“episodio del<br />

Leone” 21 . È significativo che questa versione sia, invece, estremamente simile nei<br />

temi e nella verificazione alle versioni di Bahdinan-2009, e che proprio il tema “del<br />

Leone” (tema 1.2.1-Leone) accomuni questo insieme di varianti. Non è un fatto<br />

trascurabile, evidentemente, che il cantore provenisse dalla regione del Barzan.<br />

La seconda variante, intitolata Beyt’a Xanê Lepzêrîn (“Il beyt di Khan<br />

Manodoro”), anch’essa registrata da Celîl, nel medesimo anno e sovkoz, fu eseguita<br />

19 Le notizie biografiche sui cantori sono riferite in parte in Celîl, 1967. Informazioni più complete si trovano in<br />

Celîl, 1978.<br />

20 Celîl, 1967.<br />

21 Cfr. Capitolo III.


dal cantore Seyd Ismail Wirwanî, nato nel 1918 nel villaggio di Wirwan nel distretto<br />

curdo iracheno di Aqra, nel Bahdinan. Anche Seyd Ismail aveva partecipato al<br />

movimento di liberazione curda tra il 1943 e il 1946. Questa versione, seppure<br />

abbia temi simili a quelle di Bahdinan-2009, non presenta molti versi in comune,<br />

neppure con la versione di Malko.<br />

Bahdinan-2009<br />

La raccolta denominata Bahdinan-2009, è il risultato della ricerca sul campo<br />

effettuata per questo lavoro. Di essa fanno parte cinque versioni dell’epica di<br />

Dimdim in forma di beyt e due in forma di stran. 22<br />

Della biografia degli esecutori e delle peculiarità di questa raccolta si darà nota<br />

nel Capitolo I.<br />

Altre varianti<br />

Alle varianti finora citate si aggiunge la versione in forma di beyt in dialetto<br />

bahdini registrata su nastro magnetico e conservata presso la biblioteca dell’Istituto di<br />

Iranistica dell’Università di Göttingen, in Germania; tre versioni in forma di stran<br />

provenienti dall’archivio sonoro del Kurdish Heritage Institute di Suleymaniya, in<br />

Iraq ed eseguite, in una forma ridotta esemplificativa di stili regionali, dal cantore<br />

Salih Heydo.<br />

22 Canzone strofica, vedere oltre.<br />

KELAÊ DIMDIM xxvii


xxviii INTRODUZIONE<br />

Dall’Istituto di Iranistica dell’Università di Göttingen provengono due<br />

registrazioni del poema, le uniche contenute nell’Archivio sonoro dell’Istituto.<br />

Entrambe le versioni sono anonime, senza riferimenti certi circa il luogo e la<br />

data di registrazione, né riguardo l’autore della registrazione o il cantore.<br />

La versione titolata “Dimdim Ph. [forse intende Philip Kreyenbroek] bought<br />

Duhok 1992” è molto interessante. Vi si ascolta un beyt della durata di circa due ore.<br />

Il cantore è un uomo adulto, parlante il dialetto bahdini. Verosimilmente la<br />

registrazione è stata effettuata a Duhok, ma sull’autore e sul periodo della<br />

registrazione, così come sul cantore, non è stato possibile recuperare alcuna<br />

informazione. Inoltre come detto in precedenza la registrazione è molto deteriorata.<br />

Tale versione, che chiameremo d’ora in avanti A.D.1 (Anonimo Dimdim 1),<br />

presenta una notevolissima somiglianza con la versione H.S. della raccolta<br />

Bahdinan-2009. Le parti in prosa sono recitate con una parlata svelta e monotona,<br />

proprio come in H.S., mentre gli interventi in versi cantati sono per la maggior<br />

parte identici a H.S. sia per la melodia utilizzata che per i versi. Le discrepanze<br />

maggiori tra A.D.1 e H.S. si hanno nelle parte finale del racconto, in pratica da<br />

dopo il v. 415 di H.S. Da qui in poi le versioni si discostano ma solo in parte, perché<br />

la melodia e alcune sequenze di versi rimangono comuni.<br />

Escludendo che il cantore possa essere lo stesso, sia per questioni anagrafiche<br />

che per la diversità del timbro vocale, si può supporre che A.D.1 sia una versione di<br />

riferimento per H.S. Il cantore, durante l’intervista, ha affermato di avere imparato<br />

il beyt dal padre e ascoltando altri cantori durante le feste. Non è da escludere che


H.S. fosse personalmente in contatto con il cantore in A.D.1 ed abbia imparato da<br />

lui la sua versione del beyt.<br />

È anche plausibile, però, che una registrazione di A.D.1 su supporto<br />

magnetico circolasse già dagli anni Novanta, e che, entratone in possesso, H.S. ne<br />

abbia memorizzato lunghe sequenze.<br />

La versione intitolata “Dimdim 1 (J[oyce]. Blau ?)”, è forse stata registrata<br />

dalla studiosa francese, ma non è specificato né dove né quando. Il dialetto non è<br />

kurmanji, né bahdini, probabilmente sorani. Il canto è continuo e non ci sono<br />

interruzioni in prosa. La melodia si discosta notevolmente dallo stile di quelle delle<br />

registrazioni di Bahdinan-2009. Tale versione non è stata considerata nell’analisi, sia<br />

poiché unico esemplare in lingua sorani con audio in mio possesso, e dunque<br />

imparagonabile ad altre varianti, sia a causa delle cattive condizioni del nastro che<br />

ne rendevano difficile, se non impossibile la comprensione.<br />

Stran<br />

KELAÊ DIMDIM xxix<br />

Una traccia della narrazione, oltre che in forma di beyt è rimasta nelle canzoni<br />

(stana kurda, kilam, qetar). Lo stran è una composizione strofica di estensione contenuta,<br />

il cui testo, maggiormente cristallizzato rispetto a quello di un beyt, è composto da<br />

strofe di due o quattro versi rimati. Lo stran si esegue solitamente con<br />

l’accompagnamento strumentale e può essere utilizzato come musica per danza.


xxx INTRODUZIONE<br />

Nelle cinque versioni di stran considerate per questo lavoro 23 , I.A.St., H.B.St.<br />

sono eseguite senza accompagnamento strumentale, in coppia da due cantori che si<br />

alternano nell’esecuzione.<br />

Del cantore che esegue le versioni siglate con KHI, Salih Heydo, non si hanno<br />

informazioni biografiche.<br />

Negli stran si narrano brevemente alcuni episodi salienti della vicenda epica,<br />

che l’ascoltatore deve evidentemente conoscere nella sua interezza per poterne<br />

apprezzare il senso. La forma sintetica dello stran non offre la possibilità di<br />

espandere il racconto, poiché un solo verso dei due o quattro che compongono la<br />

strofa permette di inserire contenuti narrativi, mentre gli altri versi fungono da<br />

ritornello. 24<br />

LA QUESTIONE LINGUISTICA<br />

Uno dei primi e maggiori problemi con cui ci si scontra quando si affrontano<br />

argomenti relativi alla cultura curda è senz’altro quello della lingua. 25<br />

Il curdo è una lingua indoeuropea. Non deriva dall’arabo, né tantomeno dal<br />

turco. Ha molto in comune con il farsi, dal quale si è distaccato in epoca alto<br />

medioevale, sviluppandosi autonomamente.<br />

Solitamente si distinguono due principali dialetti: il kurmanji diffuso nel<br />

Kurdistan settentrionale e centrale (Turchia Iraq e Siria), e il sorani, una macro-<br />

23 I.A.St., H.B. St., KHI1, KHI2, KHI3.<br />

24 Cfr. Capitolo IV.<br />

25 I testi di nei quali la questione della lingua curda è analizzata sia negli aspetti linguistici che nelle implicazioni<br />

socio-politiche sono molti. Mi limiterò qui a fornire alcune informazioni utili per la lettura del testo.


famiglia che comprende i dialetti del Kurdistan meridionale. I dialetti e le lingue<br />

diffuse in Kurdistan, legate a varie etnie, comunità sociali religiose sono molti,<br />

localizzati in zone anche piuttosto limitate. Ognuno ha le proprie peculiarità<br />

lessicali, grammaticali e fonetiche, che arrivano a renderli, a volte, reciprocamente<br />

incomprensibili, sia per la pronuncia che per il gergo.<br />

A causa delle condizioni storiche e sociali del Kurdistan, del diffuso<br />

analfabetismo, delle repressioni politiche, sociali e culturali subite da parte degli<br />

Stati in cui è frammentato, e in particolare dei divieti di pubblicazione vigenti in<br />

Turchia fino al 2002 – non ancora del tutto abrogati – e tuttora esistenti in Siria e in<br />

parte in Iran, il curdo è rimasto, a lungo, e si può dire sia ancora, una lingua<br />

prevalentemente orale. Ancora oggi non ha raggiunto un’uniformità di scrittura a<br />

livello “internazionale”, sebbene nel Kurdistan iracheno kurmanji e sorani siano usati<br />

come lingue ufficiali, e siano insegnati nelle scuole.<br />

Oggi il curdo si scrive in almeno tre alfabeti, quello arabo, quello persiano e<br />

quello latino 26 , modificati anche con l’aggiunta di segni diacritici per introdurre i<br />

suoni mancanti. Gli studiosi occidentali usano prevalentemente l’alfabeto detto<br />

hawar in caratteri latini, ed esiste uno standard di traslitterazione per i maggiori<br />

dialetti kurmanji e sorani, elaborato dal Principe Bedir Khan, autore di una autorevole<br />

grammatica e del suddetto alfabeto.<br />

KELAÊ DIMDIM xxxi<br />

26 Fino al crollo dell’U.R.S.S. i curdi che abitavano nelle Repubbliche Sovietiche utilizzavano sia l’alfabeto<br />

cirillico che quello armeno per scrivere nella loro lingua.


xxxii INTRODUZIONE<br />

Il bahdini, dialetto in cui sono state cantate le epiche di Bahdinan-2009, è un<br />

sottodialetto del curdo settentrionale, ha quindi grammatica e lessico simili al<br />

kurmanji, ma una pronuncia notevolmente diversa. Proprio la pronuncia è la<br />

maggior discriminante nella trascrizione delle parole, che, per questo motivo,<br />

possono cambiare significativamente di grafia. Ad esempio il pronome riflessivo xwe<br />

diventa xo, il verbo essere bûn che al passato assume la forma bûye diventa bîye.<br />

Lessico. Le maggiori trasformazioni sono quelle che riguardano modi di dire<br />

dialettali o obsoleti: tala o tîbla per “il dito”, anziché tîlî; birûsk, “il fulmine” diventa<br />

birîs; il vebo kuştin, “uccidere”, diventa kojin. Si trovano anche esempi di arabismi:<br />

l’imperativo di incitamento Yalla!, “Andiamo!”; vari nomi di Allah; termini quali<br />

fidaîn “martire” (in H.A.).<br />

Grammatica. Il curdo compone varie parole attraverso l’aggiunta di suffissi<br />

o prefissi, ma nella trascrizione spesso anche i pronomi vengono collegati, tramite<br />

indicatori, in un’unica parola. Ad esempio la locuzione birayî min, “mio fratello”,<br />

sarebbe letteralmente il fratello (bira) quello (yî) mio (min).<br />

Inoltre le esigenze della rima a volte si impongono sulla grammatica e non è<br />

infrequente trovare esempi del genere: t’opane “cannoni”, salane “anni”, kurdana<br />

“curdi”, dove alla forma plurale, in -an, viene aggiunta una vocale per realizzare la<br />

rima. 27<br />

27 Cfr. Capitolo IV.


Per facilitare la lettura delle trascrizioni e degli esempi presenti nel testo si dà<br />

un breve elenco di regole di pronuncia (ove manchi l’indicazione la pronuncia è<br />

uguale all’italiano):<br />

Hawar Trasl. Pronuncia<br />

a a chiusa, nell’inglese awful – vocale lunga<br />

b b<br />

c j dolce, come in gelato<br />

ç c dolce, come in cera<br />

d d<br />

e a aperta, come in albero – vocale breve<br />

ê e chiusa, quasi come una “i” come in tetto – vocale lunga<br />

f f<br />

g g dura<br />

h, ‘h h aspirata,<br />

i i suono corto, quasi un’interruzione – vocale breve<br />

î i suono più lungo – vocale lunga<br />

j j dolce, come nel francese jour<br />

k k dura, come in casa<br />

l l<br />

m m<br />

n n<br />

o o chiusa, come in ora – vocale lunga<br />

p p<br />

q k glottidale, come in arabo<br />

r r<br />

KELAÊ DIMDIM xxxiii


xxxiv INTRODUZIONE<br />

s s<br />

t t<br />

u u corta come in tu – vocale breve<br />

û u come in ugola – vocale lunga<br />

v v<br />

w w semi vocalica, come in uovo<br />

x, ‘x kh come nel tedesco ch<br />

y y semi vocalica, come in ieri<br />

z z sonora e dolce, come in rosa


ABBREVIAZIONI<br />

Per agevolare la lettura ho preferito siglare le varie fonti nominate nel testo.<br />

VERSIONI CON AUDIO<br />

Raccolta Bahdinan-2009<br />

I.A. [Versione del cantore Ibrahim Awa in forma di beyt]<br />

I.A.St. [Versione del cantore Ibrahim Awa in forma di stran]<br />

F.B. [Versione del cantore Fahmi Balawa in forma di beyt]<br />

H.S. [Versione del cantore Haji Sh’aban in forma di beyt]<br />

B.B [Versione del cantore Haji Benjamin Barkhouli in forma di beyt]<br />

H.A. [Versione del cantore Haji Ahmed in forma di beyt]<br />

H.B.St [Versione della cantrice Halala Barci in forma di stran]<br />

Altre versioni<br />

A.D.1 [Anonimo Dimdim 1 — Versione anonima conservata presso la<br />

Biblioteca dell’Istituto di Iranistica dell’Università di Göttingen, Germania, in<br />

forma di beyt]<br />

KHI1 [Kurdish Heritage Institute 1 — Versione del cantore Selih Heydo in<br />

forma di stran nello stile del Bahdinan]<br />

KELAÊ DIMDIM xxxv


xxxvi INTRODUZIONE<br />

KHI 2 [Kurdish Heritage Institute 2 — Versione del cantore Selih Heydo in<br />

forma di stran nello stile della minoranza Yezide della regione Shengal, in Iraq]<br />

KHI 3 [Kurdish Heritage Institute 3 — Versione del cantore Selih Heydo in<br />

forma di stran nello stile della regione Jazirah (Siria)]<br />

VERSIONI TESTUALI<br />

Antologia Celîl<br />

A.J. [Versione in forma di racconto raccolta da Alexander Jaba 1860]<br />

E.P. [Versione in forma di beyt raccolta da Eugen Prym 1890]<br />

O.M.r [Versione in forma di racconto raccolta da Oskar Mann 1906]<br />

O.M. [Versione in forma di beyt raccolta da Oskar Mann 1906]<br />

K.K. [Versione in forma di beyt raccolta da Qenate Kurdo (Kanate<br />

Kurdoev) 1939]<br />

O.D. [Versione in forma di beyt raccolta da Ordixan Cêlil (Ordikhane<br />

Dzhalilov) 1958]<br />

Kurda]<br />

K.M [Versione in forma di beyt di Karim Malko contenuta in Zargotina<br />

S.I. [Versione in forma di beyt di Seyd Ismail contenuta in Zargotina Kurda]


RINGRAZIAMENTI<br />

Ringrazio il Professor Francesco Giannattasio e il Professor Giovanni Giuriati<br />

per aver seguito con pazienza il mio lavoro durante questi anni, non sempre facili.<br />

Il Professor Adriano Rossi e il Professor Giovanni La Guardia per l’interesse<br />

che hanno manifestato nei confronti della mia ricerca ed avermi spesso invitata al<br />

Seminario di Storia e cultura del popolo curdo presso l’Università Orientale di<br />

Napoli.<br />

Il Professor Piero Sinatti e il carissimo signor Francesco Sarri per aver tradotto<br />

dal russo il testo di Celîl. Senza il loro aiuto non avrei potuto accedere ad una delle<br />

più importanti fonti di informazioni.<br />

Iole Pinto e Bakhshan Aziz di “Heevie Nazdar for Children” senza le quali<br />

questa ricerca non avrebbe potuto essere realizzata. Gli amici curdi e iracheni che<br />

mi hanno aiutata durante la ricerca sul campo, in particolare Diyar Qassam, Salam<br />

Mizourî, Ahmed Doskî e gli altri membri dell’associazione. I ragazzi italiani che<br />

sono stati con me a Duhok, Francesco Picciolo, Pietro Gualandi e Antonio Spanò.<br />

I traduttori Berivan Mizourî e Bahzad Zana e i molti curdi che nel tempo mi<br />

hanno parlato della loro cultura e del loro Paese.<br />

I cantori che si sono prodigati con me non solo nell’eseguire i canti e<br />

raccontando la propria storia, ma anche offrendo la più cordiale ospitalità.<br />

Federico, la sua famiglia e tutti gli amici che mi sono stati vicini.<br />

KELAÊ DIMDIM xxxvii<br />

Ringrazio immensamente la mia famiglia per non aver mai smesso di<br />

incoraggiarmi, sostenermi, aiutarmi in questo lungo lavoro. A tutti loro è dedicato.


xxxviii INTRODUZIONE


CAPITOLO I – LA TRADIZIONE<br />

LA LETTERATURA ORALE: LINGUA, POESIA E MUSICA<br />

Nei secoli il popolo curdo ha dato vita a un immenso patrimonio di arte orale<br />

che di gran lunga supera in quantità la letteratura colta scritta. Le tradizioni e la<br />

cultura letteraria popolare sono conservate sotto forma di canti epici e amorosi,<br />

canzoni, proverbi e racconti. Da questo patrimonio attingono anche le moderne<br />

forme di arte popolare o popular, soprattutto musicale.<br />

Uno dei fattori determinanti affinché si realizzasse questo particolare<br />

fenomeno, che il fondatore della curdologia sovietica Vladimir Minorsky definì<br />

“ipertrofia del folklore”, fu il mancato sviluppo di una letteratura nazionale scritta che<br />

permettesse la standardizzazione dei dialetti e la creazione di una lingua “ufficiale”<br />

sovra-regionale, compresa e condivisa da tutta la popolazione.<br />

A questo contribuì non poco la dominazione culturale araba, alla quale si<br />

affiancarono e succedettero quella persiana, ottomana e turca. Come molte<br />

popolazioni nomadi, i curdi subirono un iniziale tentativo di sedentarizzazione con<br />

la conquista araba nel VII secolo. Il processo fu portato a compimento dopo la fine<br />

della prima guerra mondiale, quando il controllo della popolazione e delle<br />

minoranze etniche da parte dei governi nazionali diventò una priorità per il<br />

mantenimento dello statu quo.<br />

KELAÊ DIMDIM 1


2 CAPITOLO I – LA TRADIZIONE<br />

Con la dominazione alloctona, l’arabo, lingua della religione, e<br />

successivamente il persiano e il turco, divennero le lingue ufficiali della cultura,<br />

inibendo di fatto lo sviluppo di un’autonomia linguistica e culturale specificamente<br />

curda.<br />

La frammentazione linguistica, culturale e politica del Kurdistan ha, inoltre,<br />

prodromi nei secoli XV e XVI. Questo cruciale momento storico vide l’avvento del<br />

sistema dei principati feudali indipendenti, nelle cui corti, attraverso la produzione<br />

scritta di forme poetiche in lingua curda, tra le quali il caposaldo della cultura<br />

letteraria colta Mem û Zin di Ahmedê Khanî, cominciarono ad affermarsi le prime<br />

idee nazionalistiche. La lingua avrebbe dovuto diventare il principale elemento di<br />

unificazione della koinè e simbolo di unità nazionale, e la nascente letteratura scritta<br />

nei maggiori dialetti un fattore di civilizzazione. L’assetto feudale di stampo tribale,<br />

connesso ad un’economia rurale di tipo pastorale, impedirono però a lungo<br />

l’alfabetizzazione e di conseguenza l’uniformazione della lingua 28 .<br />

Le logiche tribali, unite al carattere "bellicoso" del popolo curdo, inasprirono<br />

inoltre gli scambi tra le comunità, già difficoltosi a causa delle asperità del territorio<br />

ed ulteriormente impediti politicamente con la tracciatura dei confini degli Stati<br />

nazionali. Questo accentuò le divisioni interne, e la mancanza di rappresentanza<br />

politica negli Stati di appartenenza ha poi fatto sì che i curdi e la loro cultura siano<br />

stati a lungo “cancellati” dalla Storia ed abbiano lottato e sofferto per il<br />

riconoscimento dei propri diritti, negati spesso con la repressione violenta e armata.<br />

28 Cfr. Hassanpour, 1999.


Dagli anni Sessanta, quando cominciano le sollevazioni nel Kurdistan<br />

iracheno, ad oggi, la lingua si è sempre più connotata come vero e proprio elemento<br />

di resistenza culturale 29 e il folklore ha avuto una notevole parte nella registrazione<br />

storica di eventi trascurati o volutamente censurati dalle storiografie ufficiali, di<br />

trasmissione di conoscenze, di preservazione linguistica e di auto-definizione etnico-<br />

culturale. 30<br />

Questi aspetti così salienti e sensibili per la storia del popolo curdo sono stati<br />

recepiti dall’Accademia, che nello studio in ambito curdologico molto si è<br />

concentrata proprio sulla produzione di arte orale popolare. Numerosi studi sono<br />

stati compiuti da folkloristi, linguisti, oralisti e antropologi e molte delle più<br />

importanti tradizioni sono state documentate, raccolte, analizzate.<br />

Dal punto di vista musicale, tuttavia, ancora molto potrebbe essere fatto, sia<br />

nella classificazione dei generi e nell’analisi delle specificità locali, sia per quanto<br />

riguarda le analisi melodiche e il rapporto testo-musica. Molta parte degli studi in<br />

materia, infatti, si concentra ormai sui fenomeni legati all’attuale mercato<br />

discografico e alle produzioni urbane che esprimono in maniera evidente ed<br />

immediata le urgenze sociali e le questioni politiche più critiche.<br />

KELAÊ DIMDIM 3<br />

29 Questo aspetto si rivela particolarmente vero per la situazione dei curdi di Turchia ai quali era<br />

impedito per legge, con punizioni che arrivavano all’incarcerazione, non solo scrivere o utilizzare la<br />

propria lingua in contesti ufficiali, ma anche i situazioni locali o private. L’aspetto di connotazione<br />

identitaria è valido ancora oggi tra le comunità della diaspora, soprattutto quelle provenienti dalla<br />

Turchia.<br />

30 Cfr. Brenneman, 2005.


4 CAPITOLO I – LA TRADIZIONE<br />

Nella cultura tradizionale curda la musica, intesa come accompagnamento<br />

strumentale alle danze, oppure al canto è prevalentemente di matrice vocale. Se non<br />

ha la funzione di accompagnare un testo poetico, come nel caso della musica per<br />

danza, ha con le forme poetiche uno stretto legame formale e strutturale. Dunque,<br />

proprio a causa del fatto che fino a tempi molto recenti la poesia è stata la<br />

prevalente forma di espressione letteraria orale popolare, ma anche scritta colta, la<br />

enorme produzione poetica tradizionale rende la musica un elemento fortemente<br />

presente e caratterizzante della cultura curda.<br />

Non volendo, né potendo in questa sede, fare un panoramica completa ed<br />

esaustiva dei generi della tradizione orale – cui appartengono racconti (çirok)<br />

proverbi (gotina pêshîyan), parabole (mesel), giochi di parole – né specificamente di<br />

quelli musicali, si ricorderà solamente che, in ambito musicale, oltre alla principale<br />

distinzione tra i generi sacro e profano, le classificazioni sono compiute<br />

prevalentemente in base al contenuto e alla funzione dei brani.<br />

Durante il medioevo contributi alla musica arabo-islamica sono stati portati da<br />

teorici di origine curda, anche se culturalmente arabi o persiani 31 – come Ibrahim<br />

al-Mehdi, Ishaq e Hammad, esponenti della famiglia al-Mawsili, o Ziriyab noto<br />

anche in occidente – ma non esiste una tradizione musicale distinta da quella<br />

popolare che si possa definire colta. Il Kurdistan afferisce musicalmente alle grandi<br />

aree culturali che lo circondano: la Persia ad oriente, il modo turco-ottomano ad<br />

31 Cfr. Izady, 1992, p. 265.


occidente e quello arabo a meridione. Ciò si manifesta soprattutto con la<br />

comunanza di alcuni generi musicali e degli strumenti della tradizione.<br />

I generi musicali si differenziano nelle due macro-categorie di musica per<br />

danza e generi lirico-narrativi. 32<br />

Le danze curde, la cui forma più tipica è il govend, sono balli di gruppo eseguiti<br />

in linea o semicerchio semovente da uomini e donne insieme. Le tipologie di danza<br />

si differenziano in base al ritmo o all’occasione per cui vengono eseguite.<br />

KELAÊ DIMDIM 5<br />

La musica che accompagna le danze, solitamente eseguite in associazione con<br />

altri canti, può usufruire del solo organico strumentale. Una tipica coppia di<br />

strumenti utilizzati a questo scopo è zîrne e dahol. La zîrne è una sorta di ciaramella,<br />

un aerofono ad ancia doppia, con canneggio conico, timbro molto sonoro e<br />

penetrante; il dahol è un tamburo bipelle dal diametro abbastanza ampio, portato a<br />

tracolla, che si suona con un bastone piuttosto spesso da un lato e con uno più sottil<br />

dall’altro. Altri strumenti tipici sono il saz o tembur, liuto dalla cassa piriforme, a<br />

manico lungo, tasti mobili e tre ordini di corde doppie suonate a pizzico o plettro; la<br />

kemençe, una viella a tre corde; il flauto obliquo, bîlîl che può essere in legno o<br />

metallo; il duduk, oboe monocalamo (molto tipico anche delle culture limitrofe come<br />

quella armena) o anche bicalamo - come quello che mi è stato presentato durante il<br />

soggiorno a Duhok, di taglia piccola e suono molto acuto - ad ancia doppia dalla<br />

sonorità calda e prorompente, suonato con la tecnica della respirazione circolare;<br />

vari tipi di tamburi a cornice, con o senza sonagli, chiamati dimbek, bendêr, def.<br />

32 Cfr. Allison, 2001.


6 CAPITOLO I – LA TRADIZIONE<br />

Con questo strumentario, oltre alle danze si accompagnano anche i canti<br />

strofici generalmente indicati con il termine stran o k’ilam. Lo stran cantato è usato<br />

anche come musica per danza. A questa categoria appartengono varie tipologie di<br />

canti, classificati soprattutto in base al contenuto: canti di guerra, şer; d’amore, evinî<br />

o k’ilamêd dilk’etinê; lamenti, lawj; ma anche ninnenanne k’ilamêd bêshikê; canti nuziali<br />

k’ilamêd daweta; eroici k’ilamêd mêranîyê; canzoni di carattere politico o rivoluzionario<br />

k’ilamêd rêvolûsîyaê.<br />

Canti lirico-narrativi più estesi in forma e argomenti sono le epiche e le<br />

leggende amorose, noti come destan o beyt. Alcune espressioni di questo genere<br />

imponente e complesso della tradizione orale vennero paragonate alla perla della<br />

letteratura poetica persiana, lo Shahnamâ di Firdusi, e la causa del loro oblio è<br />

attribuita al fatto che non siano stati registrati in forma scritta 33 . L’opera presa in<br />

esame in questo lavoro, l’epica di Dimdim, appartiene appunto al genere del beyt.<br />

IL BEYT<br />

Il beyt è un genere narrativo, affine a quelli conosciuti in area turco-iranica<br />

come dastan, ossia lunghi racconti epici eseguiti con accompagnamento di uno<br />

srtumento a corda 34 . La sua particolarità è di essere un genere misto, ossia di poter<br />

comprendere delle parti narrate in prosa eseguite in alternanza a sezioni in versi<br />

cantati. Non esiste pertanto una forma fissa, ma possono trovarsi versioni<br />

33 Cfr. Hassanpour 1999.<br />

34 Cfr. http://www.iranicaonline.org/articles/bayt-folk-art [ultima consultazione giugno 2012]


interamente cantate o con sporadiche inserzioni in prosa, oppure versioni in cui<br />

sezioni prosastiche piuttosto ampie si alternano con regolarità a quelle cantate. Le<br />

versioni completamente in prosa prendono nome di çirok.<br />

L’esecuzione del beyt prevede l’uso della sola voce, senza alcun<br />

accompagnamento strumentale e può arrivare a durare anche alcune ore.<br />

Gli argomenti sono vari, dall’amore tragico all’epopea eroica, alla biografia<br />

più o meno leggendaria. Questo genere è diffuso in gran parte del Kurdistan e<br />

narrazioni sullo stesso argomento possono presentare notevoli differenze sia di<br />

forma che di contenuto.<br />

Seguendo la distinzione tra ethic ed emic potremmo osservare come il beyt, in cui<br />

è evidente una sostanziale partecipazione di elementi musicali, non sia considerato a<br />

tutti gli effetti “musica” dai locali, ma qualcosa di più simile ad un racconto<br />

all’interno del quale le melodie presenti servono più a “portare” la voce e a<br />

sostenere la memoria, che a suscitare il movimento del corpo e l’abbandono dello<br />

spirito. Come l’adhan, la cui melodia non può essere confusa con la “musica” da un<br />

credente musulmano, così il beyt si situa in una posizione intermedia nel panorama<br />

ricco della tradizione orale narrativa e musicale curda.<br />

KELAÊ DIMDIM 7<br />

Una prova di questa connotazione sui generis può venire dall’atteggiamento<br />

tenuto da un cantore in particolare della raccolta Bahdinan-2009 35 , Haji Sh’aban.<br />

Informato della mia intenzione di ascoltare il beyta Dimdim ha acconsentito<br />

specificando, prima di iniziare, che nonostante il suo credo musulmano sunnita gli<br />

impedisse, una volta compiuto il pellegrinaggio alla Mecca, di cantare o partecipare<br />

35 Vedi Introduzione.


8 CAPITOLO I – LA TRADIZIONE<br />

a feste per un periodo non meglio precisato, ma allora non ancora terminato,<br />

avrebbe comunque eseguito il beyt, non potendolo definire propriamente un canto, o<br />

musica di intrattenimento come le canzoni da ballo.<br />

All’interno del folklore curdo, infatti, questa tipologia di narrazione, complessa<br />

e difficile da eseguire, soprattutto per la mole di versi consecutivi da intonare, gode<br />

di un particolare prestigio. Allo stesso tempo, come fa notare A. Hassanpour nella<br />

voce ad esso dedicata nella Encyclopædia Iranica 36 , il beyt è progressivamente ed<br />

inesorabilmente soppiantato dalle nuove tecnologie di comunicazione che rendono<br />

obsoleta alle orecchie del pubblico la narrazione orale lunga e articolata, essendo<br />

questo sempre più abituato a forme semplici, brevi e di intrattenimento tipiche dei<br />

generi della musica popular.<br />

L’esecutore del beyt è solitamente un dengbêj, un tempo cantore professionista e<br />

figura importante della cultura tradizionale, oggi rispettata anche se non più<br />

centrale.<br />

Anche in relazione ad altri generi musicali, nei quali il carattere fiero e<br />

orgoglioso, ma anche carico di pathos, di questo popolo si manifesta sempre con una<br />

singolare compostezza, lo stile di esecuzione, così come i mezzi tecnici musicali ed<br />

espressivi, la forma, la rappresentazione gestuale del beyt, risponde coerentemente<br />

all’aggettivo minimale. Difatti, il cantore, per eseguire un beyt, non ha bisogno di altro<br />

che della propria voce.<br />

Questo concetto verrà approfondito più avanti, nella sezione intitolata Analisi<br />

della performance.<br />

36 Cfr. nota 6.


L’EPICA IN FORMA DI CANZONE: LO STRAN<br />

Sebbene i lunghi racconti epici e in particolare l’epica di Dimdim, siano<br />

raccontati prevalentemente nella forma del beyt, alcuni episodi significativi delle<br />

narrazioni più famose sono stati elaborati in forme più concise come lo stran, la<br />

canzone strofica.<br />

Lo stran è il genere fondamentale, più diffuso e praticato, della musica curda.<br />

Con questo termine, usato in maniera generica, ci si riferisce a tipologie di canzoni<br />

diverse per contenuto, forma e organizzazione metrico-prosodica della strofa. Le<br />

strofe possono in effetti avere lunghezza, schemi metrici e rimici vari, nonostante la<br />

rima baciata sia nettamente prevalente.<br />

KELAÊ DIMDIM 9<br />

Lo stran richiede un accompagnamento che il cantore, o un accompagnatore,<br />

producono su uno strumento a corda. Tale accompagnamento serve a garantire un<br />

bordone armonico al canto, del quale imita la melodia con abbellimenti tipici dello<br />

strumento. La struttura strofica è ricalcata, così voce e strumento si alternano<br />

nell’esecuzione della melodia, mentre il sostrato armonico rimane continuo.<br />

Anche l’epopea di Dimdim si rintraccia sotto forma di canzone stran. In<br />

particolare i due esempi della raccolta Bahdinan-2009 I.A.St e H.B.St sono stati<br />

eseguiti da due esecutori che intonavano in successione la medesima strofa. Questa<br />

modalità antifonale di esecuzione sembra ormai essere relegata al solo panorama<br />

tradizionale, ed è assente nelle moderne rielaborazioni discografiche del folklore.


10 CAPITOLO I – LA TRADIZIONE<br />

Nelle versioni citate i cantori sono rispettivamente Ibrahim Awa e Muhammed<br />

Raşid in I.A.St, e Halala Barçi e lo stesso Raşid in H.B.St. Una particolarità di<br />

quest’ultima versione è che mentre i due uomini cantavano all’unisono, la signora<br />

Barçî eseguiva la propria melodia una terza sopra rispetto al compagno.<br />

Dieter Christensen (1961) osservando l’usanza del canto a due voci in uno<br />

studio sulle canzoni nuziali (şeşbendi), dà una descrizione della performance del tutto<br />

analoga a quella da me verificata sul campo per questo lavoro, e descritta più avanti.<br />

In particolare si sofferma con grande entusiasmo sulla pratica della trasposizione<br />

della melodia, la quale, nei casi da lui registrati nel Kurdistan turco verso la fine<br />

degli anni Cinquanta, è alla quarta, quando nella responsione sono coinvolti gruppi<br />

di uomini e gruppi di donne, o anche singoli cantori di sesso opposto. Christensen<br />

giustifica questa variazione di altezza con il fatto che per consuetudine gli uomini<br />

tendano a cantare in un registro acuto mentre le donne mantengano un’intonazione<br />

in registro medio.<br />

Eine bemerkenswerte Erscheinung, deren Vorkommen auch bei den<br />

Tanzliedern vermutet werden kann, wenngleich sie in dem bisher gesammelten<br />

Material fehlt, ist die Quarttransposition der Strophen beim alternierenden<br />

Singen von Männer- und Frauenchören. Als bestimmend für die Entstehung<br />

dieses Transpositionsverhält- nisses kann u.a. die hohe Stimmlage der<br />

Männer beim Singen von Braut- (und Tanz-) liedern angesehen werden, der


eine mittlere Stimmlage der Frauen auch in nur von Frauen ausgeführten<br />

Gesängen gegenübersteht. 37<br />

Dalla cantrice Halala Barçi si apprende con estremo interesse che un tempo il<br />

canto di Dimdim, strana Dimdim, non solo veniva eseguito frequentemente, ma era<br />

un brano molto usato durante le feste o i raduni nuziali, che nella tradizione curda<br />

durano variabilmente da tre giorni a oltre una settimana.<br />

De’watî tuçendî jî dizanê dawêjê bo me bêje. De’watî jê ya ‘ewilê me<br />

d’got me de’wat l’ber. Me d’got: «Haê Dimdim, haê Dimdim...». Ez dî bêm<br />

tu vegêre, bila? 38<br />

È da notare l’uso del termine de’wat, con il quale si definiscono specificamente<br />

le canzoni nuziali. Normalmente il de’wat è inteso come musica per danza tanto che<br />

con lo stesso termine si indica anche la danza nuziale 39 , come del resto ricorda<br />

Halala Barçi.<br />

KELAÊ DIMDIM 11<br />

37 Christensen, 1961, pp. 70-72: “Un fenomeno straordinario, di cui si può sospettare l’esistenza anche<br />

nelle canzoni da ballo, nonostante ne manchi la testimonianza nel materiale fino ad ora raccolto, è la<br />

trasposizione alla quarta delle strofe cantate in alternanza da cori maschili e cori femminili. Per<br />

l'origine di questo rapporto di trasposizione nell'esecuzione dei canti nuziali, può essere considerato<br />

determinante il fatto che gli uomini cantino in una tessitura acuta in contrapposizione alle donne che<br />

mantengono un registro medio.” [T.d.A.]<br />

38 Per tanto tempo questa canzone si ballava e si cantava. Su questa canzone prima si cantava e insieme si ballava.<br />

Dicevamo: «Hey Dimdim, hey Dimdim...». Io la canto e voi rispondete, va bene?. Intervista raccolta e tradotta<br />

dall’Autrice.<br />

39 Cfr. Chyet, 2003, alla voce De’wat («[...] 1) {syn: cejin; dîlan [2]} wedding celebration [...]; 2) {syn:<br />

govend} dance, particularly folk dances performed at wedding celebrations and the like.»


12 CAPITOLO I – LA TRADIZIONE<br />

L’abitudine di cantare e ballare sullo stran di argomento epico, in occasione di<br />

matrimoni o semplici feste di villaggio, è stata interrotta probabilmente per vari<br />

motivi. Innanzi tutto l’avvento della tecnologia e dei mezzi di comunicazione di<br />

massa ha minato la resistenza e l’efficacia di questo tipo di folklore e modificato il<br />

gusto dell’ascolto che a partire dalle città fino ad arrivare nelle “case basse” dei più<br />

remoti villaggi, attraverso la radio prima e la televisione poi, si è progressivamente<br />

abituato ai timbri elettrificati ed ai volumi amplificati. Un altro non trascurabile<br />

fattore sono le guerre civili che hanno afflitto il Paese, hanno disperso la<br />

popolazione, creato ampie comunità di profughi e reso a volte impossibile la<br />

continuazione di un modus vivendi tradizionale preesistente. Sta di fatto che oggi la<br />

pratica così remota e particolare di danzare su stran di argomento epico è caduta in<br />

disuso, tanto che attualmente ha diffusione limitata e la sua stessa sopravvivenza<br />

sembra essere seriamente compromessa.<br />

IL CONTESTO E LE FIGURE DELLA TRADIZIONE<br />

Il Kurdistan iracheno e la provincia di Duhok<br />

La ricerca sul campo è stata condotta nel Kurdistan iracheno, precisamente<br />

nella provincia di Duhok nel Bahdinan 40 . Qui convivono varie comunità religiose,<br />

linguistiche ed etniche, in particolare sono diffuse e ben radicate le comunità<br />

cristiane caldea e assira e la minoranza yezide 41 .<br />

40 Vedi Appendice IV.<br />

41 Gli Yezidi sono una minoranza religiosa di cultura e lingua curda, ma hanno sviluppato un credo<br />

particolare, in parte legato ancora all’immaginario pre-islamico.


La tradizione dell’epica di Dimdim è però patrimonio della comunità curda<br />

sunnita, presso la quale, difatti è stata rintracciata.<br />

La Regione Autonoma del Kurdistan Iracheno (RAK) corrisponde<br />

grossomodo all’area di lingua e cultura curda del Nord dell’Iraq (Kurdistan centro-<br />

meridionale). Venne istituita inizialmente come no-fly zone nel 1991 a seguito delle<br />

drammatiche vicende che avevano colpito la popolazione curda.<br />

Negli anni Ottanta la furia di Saddam Hussein al-Takriti contro le minoranze<br />

e in particolare contro i curdi, raggiunse un tragico apice. Venne architettata e<br />

perpetrata, sotto il comando del Ministro della difesa Ali Hassan al-Majid detto “il<br />

chimico”, un’operazione sistematica di violenta repressione del dissenso, distruzione<br />

del territorio e dispersione o deportazione forzata della popolazione. Questa<br />

campagna acerrima, che prese nome di al-Anfal 42 , fece nel solo Kurdistan oltre<br />

200.000 vittime. Oltre 4.000 villaggi vennero distrutti e la popolazione deportata e<br />

segregata in villaggi collettivi sorti come baraccopoli alle periferie delle città, oppure<br />

costretta all’esilio oltre confine. L’evento più tristemente noto di questa campagna<br />

repressiva fu il bombardamento nel 1988 del villaggio di Halabja, effettuato con gas<br />

venefici, in particolare cianuro. In poche ore morirono più di 5.000 persone.<br />

Dei drammatici avvenimenti risalenti a quel periodo centri culturali, musei<br />

locali e associazioni di vario tipo cercano di mantenere la memoria attraverso<br />

esposizioni fotografiche e attività di sensibilizzazione.<br />

42 Il nome deriva dall’ottava Sura del Corano, al-Anfal, ovvero “il Bottino”.<br />

KELAÊ DIMDIM 13


14 CAPITOLO I – LA TRADIZIONE<br />

In Occidente le notizie sulla condizione curda fecero scalpore soltanto nel<br />

decennio successivo, quando le immagini del massiccio e disperato esodo della<br />

popolazione oltre i confini turco e iraniano cominciarono a comparire sui notiziari<br />

nazionali e i primi profughi sbarcarono sulle nostre coste.<br />

Dopo la fine del conflitto iracheno-statunitense (seconda guerra del Golfo,<br />

1990-1991), nella speranza di scardinare il regime di Saddam Hussein, la<br />

popolazione sciita a sud e in seguito quella curda nel nord del Paese si erano levate<br />

in una massiccia insurrezione. Spalleggiate strumentalmente dai governi iraniano e<br />

siriano, le due principali fazioni partitiche curde, il Puk di Jalal Talabanî e il Pdk di<br />

Mas'ud Barzanî, figlio del grande Mollah Mustafa, avevano occupato gran parte dei<br />

territori e delle città del nord, scatenando la feroce rappresaglia del governo.<br />

In questa occasione iniziò l’esodo di massa verso i confini, ma i due o forse tre<br />

milioni di profughi non furono accolti benevolmente, ed entrambi gli Stati, Turchia<br />

e Iran, fecero pressione affinché gli organismi internazionali trovassero rapidamente<br />

una soluzione al problema dei rifugiati.<br />

Le condizioni per il rientro si verificarono quando il governo di George Bush<br />

senior stabilì la suddetta no-fly zone a nord del 36° parallelo. Questa zona dell’Iraq,<br />

controllata dalle forze ONU, godeva di fatto di una sostanziale autonomia rispetto al<br />

governo centrale.<br />

Nel 2005 dopo la terza guerra del Golfo, condotta da una coalizione guidata<br />

dagli Stati Uniti e dal nuovo presidente George W. Bush, venne creata la nuova<br />

costituzione irachena nella quale si ratificava l’esistenza e l’autonomia della Regione<br />

del Kurdistan, all’interno di uno Stato federale.


Oggi la Regione Autonoma del Kurdistan Iracheno è provvista di un proprio<br />

governo democratico parlamentare, il Kurdish Regional Government (KRG); è<br />

divisa amministrativamente in tre governatorati, Erbil (Hawler), As-Suleimaniya,<br />

Duhok; conta una popolazione multietnica e multireligiosa di circa quattro milioni<br />

di abitanti; ha come lingua ufficiale il curdo (nei macro-dialetti kurmanji al nord e<br />

sorani al sud).<br />

L’eredità più grave e sconcertante di queste epoche di scontri impari, che ha<br />

reso ulteriormente difficile il recupero territoriale ed economico regionale, è la<br />

massiccia presenza di mine antiuomo, seminate lungo i confini dai vari eserciti<br />

coinvolti negli scontri. Le operazioni di bonifica sono complesse e costose e la<br />

popolazione rimane tutt’oggi frequentemente vittima di esplosioni.<br />

KELAÊ DIMDIM 15<br />

Tra i lasciti del regime e degli anni di repressione ci sono inoltre alcune sinistre<br />

architetture. I molti “castelli”, roccaforti militari, fatti costruire in territorio curdo da<br />

Hussein a monito del suo incessante controllo, poi diventate basi per la milizia curda<br />

insurrezionalista. Le caserme-prigioni dove le persone sospette al regime venivano<br />

interrogate e torturate. A Duhok una di queste caserme simbolo di violenza e<br />

terrore ha subito un’amara metamorfosi divenendo ospizio di fortuna per famiglie<br />

indigenti che ne hanno occupato i locali sprovvisti anche dei servizi minimi.<br />

Le risorse economiche del Kurdistan sono costituite in gran parte dagli<br />

idrocarburi (gas e petrolio) di cui è ricco il sottosuolo e la cui estrazione rappresenta<br />

circa il 40% del totale nazionale. 43 Se si considera che Kirkuk e Mosul, due città<br />

43 Cfr. Abdul-Malek, 2002, pp. 85 e segg.


16 CAPITOLO I – LA TRADIZIONE<br />

curde forzatamente arabizzate dal regime, e rimaste fuori dai confini della RAK,<br />

posseggono i maggiori giacimenti di tutto l’Iraq si può ancor meglio capire il motivo<br />

del forte interesse internazionale verso quest’area geografica.<br />

Le montagne sono ricche di minerali tra cui l’uranio e il passaggio di corsi<br />

d’acqua, tra i quali il Tigri e l’Eufrate più a sud, rende la terra fertile e coltivabile.<br />

L’industrializzazione è ancora scarsa. Difatti l’economia locale è ancora fortemente<br />

basata sull’agricoltura e sull’allevamento, seppur praticati con metodi antiquati e<br />

senza il necessario supporto di infrastrutture, tecnologie e servizi adeguati. 44<br />

Molti dei progressi che la RAK ha compiuto negli ultimi anni sono però<br />

dovuti all’aumento degli investimenti esteri, soprattutto americani, che hanno<br />

accelerato lo sviluppo dei centri urbani, dove le amministrazioni si sono limitate a<br />

conservare quei privilegi cui gli iracheni sono da sempre abituati (bassa pressione<br />

fiscale, sanità, scuola, ed energia gratuite) facendo però scarsi investimenti<br />

sull’innovazione. Il divario sociale ed economico tra zone rurali e zone urbane è per<br />

questo molto accentuato.<br />

Politicamente la questione dell’indipendenza è stata progressivamente<br />

abbandonata, o almeno non è più tra le priorità. L'abbandono dell’ideale<br />

indipendentista è dovuto in parte alla propaganda americana, che ha sempre un<br />

occhio di riguardo nei confronti della Turchia, ma sicuramente gioca un ruolo<br />

importante l’abitudine della popolazione alla mescolanza etnica e religiosa,<br />

all’interculturalità e al plurilinguismo.<br />

44 Circa lo sfruttamento delle ricchezze naturali in Kurdistan, in particolare del petrolio, cfr. Izady,<br />

1992, cap.9 e Galletti, 2004, cap. VIII.


È da notare che dall’inizio dell’ultimo conflitto la RAK è diventata meta di<br />

migrazione interna per cittadini iracheni di varie provenienze, etnie e religioni, le<br />

cui condizioni di vita sono state messe a repentaglio prima dai bombardamenti poi<br />

dal terrorismo dilagante e incontrollato. Questo ha causato un repentino<br />

incremento della popolazione urbana, e, soprattutto, dei cittadini di religione<br />

cristiana e sciita provenienti dal sud del Paese.<br />

Il Governatorato di Duhok ha una superficie di circa 7.000 Km 2 (un po’ più<br />

della provincia di Roma), conta un milione di abitanti e comprende quattro<br />

provincie (o distretti): Duhok, Sumel, Zakho e Amedî.<br />

Duhok, così come gli altri capoluoghi costruita rapidamente e senza piani<br />

regolatori, è un dedalo di strade tra architetture ambiziose lasciate incompiute,<br />

palazzi fatiscenti, baracche. È evidente l'inadeguatezza, quando non l’insufficienza,<br />

delle infrastrutture rispetto alle necessità della popolazione.<br />

Nei palazzi amministrativi e di rappresentanza sembra non si badi a spese in<br />

quanto a ricchezza di finiture e arredamenti (pavimenti e pareti in marmo, divani in<br />

pelle), ma nelle residenze, anche in quelle di un certo livello – fatta eccezione per gli<br />

hotel riservati ai forestieri – non è scontato avere a disposizione riscaldamento,<br />

elettricità e acqua corrente ad ogni ora del giorno. Enti pubblici e famiglie, se<br />

possono permetterselo, devono ricorrere a propri generatori autonomi, ingombranti<br />

e rumorosi, per l’approvvigionamento costante di energia elettrica.<br />

KELAÊ DIMDIM 17<br />

Le carenze sono diffuse anche nel settore dei servizi e la regola, in generale, è<br />

arrangiarsi per ottenere ciò di cui si ha bisogno. La società, difatti, risente ancora


18 CAPITOLO I – LA TRADIZIONE<br />

molto delle regole proprie dell’organizzazione tribale 45 , ideali per il proliferare di<br />

fenomeni di clientelismo e corruzione.<br />

Anche ad alti livelli, in burocrazia e politica valgono le regole del familismo di<br />

stampo clanistico-tribale. La parte agiata della popolazione urbana, cioè ricchi<br />

possidenti, professionisti in affari o politici di alto rango è decisamente minoritaria.<br />

La restante parte della popolazione si può suddividere in un ceto medio di<br />

professionisti e intellettuali – con poche risorse, ma benestante – e in una classe<br />

proletaria decisamente povera.<br />

Se la città – con i suoi centri amministrativi e del potere, le attività<br />

commerciali e il settore del terziario in espansione – è il regno di politici e burocrati,<br />

la campagna, cui ancora sono legati in modo quasi feudale, è il centro e la fonte<br />

primaria della ricchezza di molti Shaykh, capi tribù, i quali godono tuttora di un<br />

vasto potere economico e sociale.<br />

In questo tipo di società la ricchezza materiale è ancora un valore assoluto, e il<br />

benessere si misura in relazione alla capacità di acquisto di beni di consumo e<br />

finanche di lusso. Costume diffuso è l’ostentazione: della propria condizione, del<br />

proprio potere e della propria ricchezza, quando c’è. Si mettono in mostra gli<br />

emblemi del proprio valore economico e, quindi, di riflesso, sociale.<br />

Rispetto alle grandi città irachene (prima delle devastazioni belliche), dove il<br />

melting-pot culturale, l’apertura mentale data da alti livelli di istruzione, un certo<br />

benessere ed emancipazione femminile permettevano costumi meno rigidi pur nel<br />

45 Cfr. anche Enciclopedia Islamica, vol V, voce Kurdistan, pp. 470-472.


ispetto delle imposizioni austere della religione (non importa quale), il Kurdistan,<br />

anche nei maggiori centri urbani, soffre ancora di una certa arretratezza sociale.<br />

Qui la scarsa alfabetizzazione gioca un ruolo potente nel far sì che la morale<br />

comune – in particolare in tema di comportamenti e ruoli affidati ai sessi e reciproca<br />

relazione, ma anche nel confronto intergenerazionale e sociale – sia ancora guidata<br />

dai leader religiosi, o da ataviche convenzioni sociali e conformismi, che regolano il<br />

contegno pubblico.<br />

La situazione nelle campagne è in una fase di sviluppo ancora più arcaica. Nei<br />

villaggi la povertà è estrema. Non c’è acqua corrente, né un sistema fognario, né<br />

elettricità pubblica – il riscaldamento è sostituito in genere da stufe economiche al<br />

kerosene causa di non pochi incidenti domestici anche gravi.<br />

KELAÊ DIMDIM 19<br />

Nei villaggi (gund) molte case sono ancora costruite alla maniera tradizionale,<br />

cioè con mattoni di fango seccato ed erba, tetti intravati coperti di paglia, pietre,<br />

teloni di pvc, infissi scadenti o di riciclo. Le costruzioni sono basse e il complesso-casa<br />

è costituito da uno o più locali separati connessi esternamente da un cortile dove si<br />

affaccia anche la latrina (separata dal resto del bagno) e dove possono essere<br />

custoditi piccoli animali domestici (galline, capre, pecore o altro). Ognuno di questi<br />

locali può essere luogo di varie attività della vita domestica, poiché l’arredamento è<br />

effettivamente costituito da pochi oggetti “mobili” che vengono utilizzati e rimossi a<br />

seconda delle necessità. Si mangia e si dorme in terra, e raso terra, lungo il<br />

perimetro delle pareti, sono disposti i cuscini e gli schienali del k’uçik o dîwan (il


20 CAPITOLO I – LA TRADIZIONE<br />

salotto). Non è però raro che alla generale “sobrietà” e funzionalità dell’arredo si<br />

imponga, unico pezzo immobile e sopraelevato, un televisore di ultima generazione.<br />

In queste zone l’assistenza sanitaria, l’educazione scolastica e gli altri servizi<br />

sociali di base sono carenti o quasi del tutto assenti; l’analfabetismo è molto elevato,<br />

e la condizione femminile è decisamente più arretrata e disagiata rispetto alla città.<br />

Mentre le famiglie cittadine possono in molti casi essere conformi a quelle<br />

occidentali – pochi figli, entrambi i coniugi con un impiego e, eventualmente, titoli<br />

di studio – nelle campagne le famiglie sono molto numerose e tendono a<br />

concentrarsi attorno al nucleo del capofamiglia più anziano. Non è infrequente che<br />

padri, figli e nipoti abitino sotto lo stesso tetto contribuendo tutti al sostentamento<br />

economico della famiglia. Le donne non lavorano e badano ai figli. Si vive spesso<br />

con piccole pensioni, con gli stipendi delle varie generazioni dei componenti<br />

maschili della famiglia e di autoproduzione agricola e di animali domestici.<br />

Nelle campagne dove i ritmi naturali, del lavoro della terra e dell’accudimento<br />

del bestiame condizionano i tempi della vita, la tradizione è ancora molto viva e<br />

mantiene tuttora i propri ruoli e funzioni. Qui, dove la principale finestra sul mondo<br />

è quasi esclusivamente la televisione – dalla quale in effetti passano anche messaggi<br />

di recupero delle tradizioni popolari e del folklore, come si vedrà in seguito con<br />

l’esempio di Duhok TV – non è soltanto l’abbigliamento ad essere ancora legato ai<br />

costumi e ai ritmi arcaici. Il repertorio di canti, racconti e componimenti poetici<br />

tradizionali è ancora parte integrante della vita delle comunità.


Come è naturale, è la popolazione più giovane, soprattutto quella cittadina, a<br />

distaccarsi dal repertorio della tradizione orale. La musica continua a rimanere uno<br />

degli intrattenimenti più apprezzati, ma oltre a modificare la propria estetica<br />

secondo le regole del mercato discografico – la tendenza, è di utilizzare alcune<br />

caratteristiche tipiche della tradizione (melodie, stile di canto e strumenti), e<br />

riadattarlo al gusto moderno attraverso le nuove tecnologie (amplificazione,<br />

strumentazione elettronica, effetti , post-produzione) – modifica anche i canali di<br />

diffusione, la tipologia di prodotti offerti e le modalità di fruizione.<br />

La fruizione moderna, come nota anche Clémence Scalbert Yücel a proposito<br />

del revival della pratica dei dengbêj in Turchia 46 , risente della velocizzazione dei<br />

tempi. Il gusto per l'ascolto di lunghe opere, come ad esempio i canti epici, è<br />

tramontato lasciando il posto all'ascolto sempre più personale e rapido.<br />

Tra i giovani sono considerati punti di riferimento i divi della canzone pop, per<br />

il successo di pubblico, i vantaggi economici derivanti dalla loro professione, e la<br />

conseguente possibilità di prendere le distanze dal ristretto mondo di valori arcaici –<br />

in cui ancora si trova gran parte della popolazione – per sperimentare modi di vita<br />

più liberi dalle convenzioni, “all’occidentale”.<br />

KELAÊ DIMDIM 21<br />

In città le mode estere arrivano, seppure con un certo ritardo, in quasi tutti i<br />

settori. Quello musicale appare molto interessante. È attivissimo un mercato del<br />

disco piratato: copie di LP, o singole canzoni, compilation e masterizzazioni più o<br />

meno clandestine e autoprodotte. È possibile acquistare brani musicali direttamente<br />

46 Scalbert Yücel, 2009.


22 CAPITOLO I – LA TRADIZIONE<br />

in formato mp3 in negozi appositi che pare non sottostiano ad alcuna legge sul<br />

copyright. Oltre ad alcuni dei nomi più popolari dell’industria discografica<br />

americana, proliferano nel generale apprezzamento, i cantanti e i cantautori in<br />

lingua araba o curda che fondono in uno stile folk-pop temi e melodie tradizionali<br />

ad arrangiamenti e sonorità da disco dance.<br />

Lo stile estetico è in linea con quello acustico. Scarpe e giacche lucidate, i<br />

capelli impomatati, sigarette sempre alla mano, i giovani curdi propongono<br />

un’immagine di sé come rampanti tuttofare in cerca di fortuna, denaro, agiatezza,<br />

comfort.<br />

Conservatori delle tradizioni sono prevalentemente gli anziani.<br />

Anziani erano molti dei cantori che ancora ricordavano il beyt di Dimdim e che<br />

ho potuto registrare. Un fattore di assoluta importanza e di cui tener conto a questo<br />

proposito, è che vent’anni di guerra, oltre ad aver vessato e disperso la popolazione<br />

curda irachena, hanno creato un’interruzione nella trasmissione culturale<br />

intergenerazionale, che da sempre è avvenuta in forma orale. I giovani hanno in un<br />

certo senso re-imparato le tradizioni. O perlomeno così hanno fatto e ancora<br />

tentano di fare quelli che rimangono al paese, immersi quindi in un contesto ancora<br />

arcaico e tradizionale. I giovani nati e cresciuti in città sono quasi completamente<br />

ignari non solo delle tradizioni, ma spesso anche dei costumi e dei dialetti locali.<br />

La figura del cantore tradizionale è comunque recuperata attraverso<br />

operazioni culturali di vario genere.


Le figure della tradizione<br />

Gli eredi del patrimonio orale e musicale, esecutori, detentori e creatori della<br />

tradizione orale, sono individuati sia in base alla funzione dei repertori poetico-<br />

musicali che eseguono, sia per la tipologia di generi che maggiormente frequentano,<br />

o per il particolare repertorio a cui attingono o nel quale si specializzano e per il<br />

quale vengono riconosciuti dalla comunità.<br />

Ad esempio, presso gli Yezidi esiste una particolare categoria di musici-<br />

religiosi, detti qawwal specializzata nel repertorio cerimoniale; nel Kurdistan<br />

iraniano i mitrib, musicisti professionisti in genere nomadi, venivano ingaggiati in<br />

occasione di feste di villaggio o celebrazioni per intrattenere i partecipanti con<br />

danze 47 ; analogamente in altre località curde questa funzione è assolta dallo stranbêj.<br />

I maggiori interpreti del repertorio poetico o poetico-musicale, figure<br />

incontrate anche durante la ricerca sul campo, sono il çirokbêj, “colui che narra<br />

racconti” in prosa, vero e proprio raccontastorie; lo stranbêj, o stranvan “colui che<br />

canta canzoni” tradizionali – come visto lo stran è la tipica canzone strofica di breve<br />

estensione –, spesso accompagnandosi con uno strumento a corda; e il dengbêj,<br />

letteralmente “colui che canta la voce” (deng,“voce”), altrimenti detto “bardo<br />

itinerante” 48 . Ad esse è possibile aggiungerne altre ancor più specifiche, come ad<br />

esempio beytbêj, “cantore di canti epici (beyt)” o lawjebêj “cantore di lamenti (lawj)”.<br />

Questa flessibilità terminologica è dovuta al significato della parola bêj, che significa<br />

“dire”, “cantare”.<br />

47 Cfr. voce Kurdistan, in Grove Music Online.<br />

48 Cfr. la voce dengbêj in Chyet, 2003.<br />

KELAÊ DIMDIM 23


24 CAPITOLO I – LA TRADIZIONE<br />

Indubbiamente, la terminologia è confusa e la distinzione di ruoli e repertori<br />

eseguiti non è sempre chiara 49 . Da questa breve rassegna, tuttavia, si può evincere lil<br />

grado di considerazione riservato ai repertori vocali e agli esecutori.<br />

Il dengbêj, in particolare, riceve grande stima ed ha un ruolo fortemente<br />

simbolico nell’immaginario collettivo, poiché conserva e soprattutto contribuisce a<br />

creare la memoria storico-culturale della comunità. Egli è il miglior rappresentante<br />

della cultura tradizionale e, come ricorda Kendal Nezan, «agente dell’elaborazione<br />

di una cultura nazionale» 50 . Oltre che esecutore del patrimonio della tradizione,<br />

anonimo per la gran parte, è infatti, a differenza dello stranbêj, anche compositore di<br />

canti il cui argomento spazia dalla cronaca alla storia popolare e, in anni più recenti<br />

alla politica, alla resistenza.<br />

Anche le donne hanno un ruolo attivo nella conservazione dei repertori<br />

tradizionali e ne sono spesso anche produttrici. 51<br />

Una delle caratteristiche imprescindibili di un buon dengbêj, oltre all'abilità<br />

come helbestvan, “poeta”, è la qualità della voce. La sonorità, il volume, ma anche la<br />

pasta timbrica e la capacità di emissione prolungata, sono molto apprezzate dal<br />

pubblico, come anche la padronanza dell’intonazione e il virtuosismo<br />

nell’ornamentazione.<br />

Durante uno şevbêrk (o şevbihêrk), serata con intrattenimento musicale, presso<br />

la residenza di campagna del capo della tribù Doskî a Duhok, ho potuto assistere a<br />

49 Cfr. Allison, 2001, pp. 68 e segg.<br />

50 Nezan, (http://www.institutkurde.org/kurdorama/musique/).<br />

51 Sul ruolo delle donne nella società curda nella conservazione, elaborazione e produzione di repertori<br />

poetico-musicali cfr. anche Nezan (on line), Allison, 2001.


un “duello” canoro tra due esperti cantori sul tema della rivolta di Shayk Simko.<br />

Dei due il più anziano cantava con voce delicata, molto controllata<br />

nell’intonazione e agile nei passaggi virtuosistici, mentre l’altro, giovane e piuttosto<br />

noto, esibiva la potenza della propria emissione vocale suscitando sincero<br />

apprezzamento nel pubblico. Dopo qualche avvicendamento nelle strofe del canto<br />

il più anziano ha fatto notare al rivale che a lungo andare quel modo di cantare lo<br />

avrebbe fatto rimanere afono. Il commento, che non riusciva a nascondere una<br />

certa invidia, ha suscitato il riso del pubblico.<br />

Un’altra qualità apprezzata del dengbêj è la memoria che deve supplire la<br />

mancanza di supporti scritti. Questa prodigiosa memoria permette ai cantori di<br />

ritenere un repertorio personale a volte iperbolicamente quantificato in “giorni<br />

interi” di recitazione o di canto continuativo.<br />

In passato, il dengbêj svolgeva un’importante funzione di trasmissione del<br />

patrimonio culturale e linguistico, poiché attraverso l’invenzione di canti poteva<br />

elaborare e trasmettere informazioni tra i villaggi.<br />

Il tipo di repertorio che lo contraddistingue è specificamente il dengbêjî. Con<br />

tale termine si intendono letteralmente i canti “di voce” o “di parola”, in cui<br />

l’invenzione testuale viene messa in luce da una particolare costruzione melodica<br />

modale, la cui la linea viene ripetuta per ogni strofa, o verso, e abbellita con<br />

ornamentazioni melodiche ed effetti vocali.<br />

KELAÊ DIMDIM 25


26 CAPITOLO I – LA TRADIZIONE<br />

Il dengbêj è però anche definito come “bardo professionale specializzato<br />

nell’esecuzione di canti epici” 52 , il principale esecutore di questi lunghi e complessi<br />

canti che richiedono una memoria molto allenata.<br />

Alcuni studiosi 53 differenziano il dengbêj dallo stranbêj poiché, come si notava<br />

nella definizione dello stran, mentre l’uno ha come unico mezzo la propria voce,<br />

l’altro usa accompagnarsi con uno strumento a corda, solitamente un liuto a manico<br />

lungo (saz o tembur) o ad arco (kemençe), o è accompagnato da un gruppo di strumenti.<br />

L’accompagnamento, quando presente, sostiene la melodia con una sorta di<br />

bordone, in cui gli strumenti monodici eseguono la fondamentale e quelli polifonici<br />

arpeggiano creando un tappeto sonoro mono-accordale. La melodia anche in<br />

questo caso è caratterizzata dalla ricca ornamentazione e l’esecuzione è articolata in<br />

un’alternanza tra strofe eseguite dalla voce e strofe strumentali.<br />

Il modo di cantare e la tipologia stessa dei canti rendono i dengbêjî<br />

intrinsecamente simili al lamento. Da un registro medio le melodie si spostano<br />

progressivamente verso l’acuto cercando un limite estremo, gli abbellimenti<br />

(acciaccature e intensi vibrati, o cambi repentini di registro) e le esclamazioni tipiche<br />

(lê lê! o loy loy!, traducibili con “ahi!”) vengono pronunciate enfatizzando l’esplosione<br />

gutturale della voce. L’effetto complessivo che ne risulta ricorda in modo<br />

onomatopeico il pianto o il singhiozzo.<br />

La pratica del dengbêjî è un argomento di estremo interesse sia da un punto di<br />

vista storico e sociale e per gli argomenti toccati nelle liriche, per il ruolo<br />

52 Blum e Chyet in Encyclopaedia Iranica,voce dengbêj.<br />

53 Lo stesso Nezan o Allison.


culturalmente fondativo che tale pratica assume nella cultura curda, sia da un punto<br />

di vista musicologico, per occasioni e contesti, forme, tecniche esecutive e repertori.<br />

Sarebbe interessante approfondire l’estensione e la qualità dei repertori<br />

personali dei singoli dengbêj, poiché fonti preziose per l’analisi della società, della<br />

storia orale, della cultura popolare, e per le loro stesse biografie di militanti e<br />

guerriglieri impegnati in prima persona nelle lotte partigiane 54 , o di semplici<br />

testimoni della travagliata vicenda curda degli ultimi decenni.<br />

KELAÊ DIMDIM 27<br />

Un altro aspetto che emerge solamente in parte e la cui verosimiglianza<br />

dovrebbe essere valutata attraverso un intensivo studio sul campo e un’osservazione<br />

di tipo antropologico, è il ruolo di intrattenimento intellettuale che sembrano<br />

assumere i canti. La cultura curda ama i virtuosismi verbali. Anche le canzoni e in<br />

particolare i dengbêjî si possono considerare come un “gioco della parola” che si<br />

esprime attraverso la composizione di motti, proverbi, poemi e canzoni in versi<br />

rimati, colmi di assonanze, allitterazioni, uso ritmico della voce ed altri espedienti 55 .<br />

Attualmente il professionismo musicale, se con esso si intende la capacità di<br />

trarre dalla propria competenza artistica una forma di sussistenza, è, in ambito<br />

tradizionale, abbastanza raro. A meno di non essere inserito in un canale<br />

54 Di grande interesse per conoscere la pratica del dengbêjî curdo, per come è stata recuperata<br />

recentissimamente nella città di Amed/Diyarbakir (capitale putativa del Kurdistan) in Turchia, è il sito<br />

http://www.youtube.com/user/medamed21 nel quale si possono trovare molti esempi canti e musiche<br />

tradizionali, in particolare dengbêjî, registrati in modo amatoriale, ma con grande sensibilità<br />

“antropologica” da un probabile conoscitore esperto della materia.<br />

55 Un’ampia panoramica di questa produzione si trova ad esempio in Celîl,Celîl, 1978 e in Blau, 1984.


28 CAPITOLO I – LA TRADIZIONE<br />

privilegiato, come il mercato discografico, la produzione televisiva, o godere della<br />

“protezione” di un mecenate, il cantore deve basare la propria sussistenza su un<br />

altro impiego.<br />

Nei centri culturali, come la «Gallery of Folklore» o il «Yezidi Cultural<br />

Centre» a Duhok, in cui sono allestite sale di esposizione di oggetti storici e<br />

tradizionali, gli appassionati e gli amatori della musica tradizionale si riuniscono per<br />

cantare insieme, ognuno con il proprio strumento.<br />

Sempre a Duhok la televisione locale, DuhokTV, produce da anni un<br />

programma di intrattenimento culturale, che ha come titolo Mehvana kuç’ka “il<br />

salotto degli ospiti”, il cui argomento principale è il folklore: dai proverbi, ai<br />

racconti, alle canzoni, con uno spazio privilegiato lasciato alla musica. In studio<br />

viene ricreata l’atmosfera del kuçik, il tipico salotto curdo 56 , con il pavimento<br />

ricoperto di tappeti e divani, in luogo dei bassi cuscini con schienale appoggiati a<br />

terra, intorno al perimetro. Il conduttore, il signor Abdulaziz Khayat, ottimo<br />

conoscitore del repertorio tradizionale e abile talent scout, intervista gli artisti e li<br />

invita ad eseguire alcuni brani live. L’importanza di simili operazioni è, secondo il<br />

signor Khayat, da me intervistato durante la ricerca, quella di preservare la<br />

memoria culturale tradizionale e istruire i giovani sulle loro radici.<br />

La trasmissione ha un buon successo ed è espressione dell’orgoglio culturale<br />

nazionale. Seppure con un diverso peso politico e senza le implicazioni di<br />

rivendicazione sociale e culturale rispetto alle analoghe e ben più ricche trasmissioni<br />

56 Letteralmente kuç’ik è il posto attorno al fuoco, che occupava il centro delle case di villaggio e in<br />

tempi moderni è stato sostituito dalla stufa a kerosene.


messe in onda ad esempio da RojTV 57 , anche nel Kurdistan iracheno si vuole dare<br />

il giusto spazio e riconoscimento alla cultura tradizionale, disdegnata bisogna dire<br />

dagli ambienti universitari locali.<br />

Un professore di letteratura della locale università è rimasto perplesso, quasi<br />

contrariato, dal fatto che anziché studiare i classici della poesia curda avessi scelto di<br />

dedicare il mio tempo alla ricerca di una leggenda orale né colta né raffinata.<br />

Anche nel caso dell’epica il discorso di Scalbert Yücel resta valido, e<br />

rintracciare cantori esperti che conoscano e sappiano eseguire questo repertorio<br />

risulta davvero non banale.<br />

I CANTORI DELLA RACCOLTA<br />

KELAÊ DIMDIM 29<br />

Tutti i cantori curdi incontrati e registrati in Bahdinan-2009 e quasi tutte le<br />

persone intervistate riguardo al folklore e alla tradizione curda erano a conoscenza<br />

57 Emittente satellitare con base in Danimarca e Belgio attiva dal 2004, i cui programmi, di contenuto<br />

vario, sono per la maggior parte in lingua curda. Altre emittenti televisive con programmi di<br />

intrattenimento informazione politica e musica hanno contribuito a sostenere e propagandare le<br />

istanze del movimento indipendentista curdo e in particolare sono state accusate di sostenere le attività<br />

del PKK (Partito dei Lavoratori Curdi attivo in Turchia) considerato in molti Stati un'organizzazione<br />

terroristica, e pertanto oscurate.<br />

Il ruolo delle emittenti satellitari nella diffusione della lingua, di istanze identitarie, oltre che delle idee<br />

e posizioni politiche dei partiti filocurdi, e stato fondamentale a partire dalla fine degli anni Novanta,<br />

soprattutto in Turchia, dove vigeva fino al 2002 il veto sulle pubblicazioni e le emissioni in curdo. Sul<br />

potere delle emittenti satellitari nella diffusione di idee politiche tra i curdi si veda ad esempio<br />

Hassanpour, 1995 e 1997. Sulla politicizzazione della canzone tradizionale si veda ad esempio Aksoy<br />

(2006),


30 CAPITOLO I – LA TRADIZIONE<br />

dell’argomento dell’epopea di Dimdim, da essi unanimemente considerata<br />

l’espressione del valore curdo in battaglia e dell’unità delle tribù e del popolo nel<br />

fronteggiare il nemico comune. Gli informatori più giovani e quelli appartenenti a<br />

comunità diverse (ad esempio cristiani-caldei, assiri o yezidi) hanno invece<br />

dimostrato di ignorare completamente l’esistenza di un simile canto e della stessa<br />

vicenda storica.<br />

Tra i cantori registrati, solo cinque sono stati in grado di recitare l’intera epica<br />

in forma di beyt, altri ne conoscevano solo frammenti.<br />

Tra costoro, Ibrahim Awa, Fahmi Balawa, Haji Abdullah Ahmed e Halala<br />

Barçî si sono definiti veri e propri dengbêj, cioè compositori e poeti di canti originali,<br />

Haji Benjamin Barkhouli un çirokbêj e Haji ‘Ali Sh’aban uno stranbêj.<br />

Un’esperienza comune a tutti i cantori, la cui età variava dai 37 anni di Haji<br />

Sh’aban agli 81 di Ibrahim Awa, è stata la migrazione forzata durante gli anni della<br />

guerra e delle persecuzioni.<br />

L’apprendimento del repertorio è avvenuto durante gli anni dell’infanzia e<br />

della giovinezza ascoltando altri cantori esperti eseguire il repertorio di canti<br />

tradizionali durante le varie occasioni offerte dalla vita di villaggio.<br />

In genere gli argomenti dei canti originali vertono sulla guerra e la condizione<br />

di miseria economica ed esistenziale che ne deriva; la perdita o l’allontanamento<br />

dalla propria zona di origine e dai propri cari, la fatica della battaglia, la<br />

sofferenza;,la morte.


Questa modalità di espressione della tragedia storica, ma anche esistenziale, di<br />

un intero popolo per più di una generazione, pone interessanti spunti di riflessione<br />

riguardo alla possibile funzione della creatività poetica come pratica di esorcismo<br />

della paura, della violenza, dell’ansia per il futuro, della perdita, del pericolo.<br />

Non è fuori luogo a questo proposito citare il pensiero di un medico psichiatra,<br />

Dottor Nazar, ascoltato durante una conversazione presso il centro di aiuto medico<br />

umanitario Heevi-Nazdar for Children. Il medico ha affermato che uno dei disturbi<br />

più diffusamente osservati tra la popolazione, in modo particolare quella infantile, è<br />

l’afasia dei sentimenti positivi, felicità, affetto, speranza. Questa difficoltà o<br />

incapacità di manifestazione emotiva, ha la sua origine nel trauma della guerra.<br />

L’ansia e il terrore di sentirsi sottrarre serenità, sicurezza, affetti, con la violenza che<br />

solo la guerra è in grado di produrre, trovano un palliativo nella negazione quasi<br />

totale di tali sentimenti, nel timore che possano essere nuovamente lacerati. Il<br />

trauma provocato dallo stato di guerra, dalla repressione violenta e dalle<br />

drammatiche eredità sociali che hanno lasciato 58 , è alla base di questo fenomeno.<br />

L’emotività è elusa, soffocata, protetta tanto da generare uno stato profonda apatia<br />

che facilmente si trasforma in depressione.<br />

KELAÊ DIMDIM 31<br />

Il folklore e la proliferazione di canti di argomento connesso con il coraggio e<br />

la sofferenza derivante dalla lotta e dalla battaglia, potrebbe essere interpretato<br />

58 Si ricorda che nel Kurdistan iracheno sono disseminati circa 20milioni di mine anti-uomo<br />

soprattutto lungo i confini con l’Iran e la Turchia. Gli ordigni inesplosi sono causa di gravi incidenti.<br />

Inoltre l’uso di armi chimiche e di metodi di repressione violenta, durante gli anni Ottanta e Novanta,<br />

ha generato forti traumi nella popolazione.


32 CAPITOLO I – LA TRADIZIONE<br />

proprio come una reazione “culturale”, inconscia ed emotiva, ad uno stato al limite<br />

della sopportazione. Come ricorda Brenneman:<br />

oral narratives demonstrate resistance to dehumanizing forces 59<br />

La “sapienza indigena” (indigenous knowledge) e la pratica di condivisione dei<br />

repertori orali, sono, secondo l’autore, un forte elemento di imprinting culturale e di<br />

resistenza sociale, prima ancora che politica. La politicizzazione dei prodotti<br />

culturali della tradizione rappresenta un ulteriore stadio nella coscienza collettiva di<br />

reazione e resistenza al sopruso. Questo fenomeno non si è verificato in modo<br />

omogeneo in tutto il Kurdistan, bensì in misura notevolmente maggiore in Turchia,<br />

sotto l’egida del PKK.<br />

Biografie dei cantori<br />

Ibrahim Awa, nato nel 1928, a Derelok-Amediya, paese nel quale<br />

attualmente vive ma che ha dovuto abbandonare a causa della guerra, divenne<br />

peshmerga, ossia combattente per la libertà, “partigiano”, all’età di undici anni<br />

quando entrò nella guardia di Mullah Mustafa Barzanî sui monti Galala. Durante i<br />

quarantasette anni vissuti da combattente è diventato anche dengbêj e ha composto<br />

molti siyasî (“canti politici”) sulla guerra e sulla condizione dei curdi. Dopo il 1945<br />

ha cominciato a cantare per i matrimoni. A seguito delle persecuzioni è dovuto<br />

fuggire con la famiglia in Iran, dove è nato uno dei suoi figli, per poi emigrare in<br />

Turchia, dove un altro figlio è nato, ma nei campi profughi la vita era ancora più<br />

59 R. L. Brenneman 2005, p.108.


dura che nei villaggi. Con la sua famiglia è tornato in Iraq negli anni Novanta. Oggi<br />

lo Stato non gli riconosce che una piccola pensione come reduce e partigiano. Per<br />

lui è importante ricordare la storia e le battaglie dei curdi, e le canzoni sono un<br />

importante mezzo per farlo, anche se sostiene che i giovani non ascoltano e non<br />

imparano più i canti, ma in molti si allontanano dai villaggi in cerca di lavoro nelle<br />

città.<br />

Fahmi Balawa è nato nel 1943. Anche lui ha combattuto come peşmerga<br />

contro il regime di Saddam Hussein per entrambi i partiti curdi PUK e PDK 60 dal<br />

1961 al 1975. Nel 1985, durante le campagne di repressione gli fu bruciata la casa e<br />

decise di lasciare il Paese. È stato esule in Iran dal 1988 al 1993, quando è tornato a<br />

stabilirsi nel suo villaggio, Balawa. Ha una piccola pensione che non gli basta per<br />

mantenere la famiglia e deve arrangiarsi lavorando la terra e allevando qualche<br />

animale. Come cantore non ha molto lavoro né tantomeno guadagno, così che la<br />

moglie, una giovane donna tra i venti e i trenta anni, è piuttosto infastidita dalla sua<br />

abitudine di ricevere allievi e ascoltatori e lo rimprovera sonoramente, anche in mia<br />

presenza. In molti, infatti vengono ad imparare da lui il repertorio che comprende<br />

beyt, canzoni soprattutto per i matrimoni, racconti; ma non hanno più la pazienza di<br />

ascoltare a lungo e quindi registrano oppure scrivono i testi che lui canta. Fahmi è<br />

convinto che sia importante tramandare la tradizione perché è parte della storia<br />

curda, mentre le canzoni odierne parlano solo di amore.<br />

60 Rispettivamente guidati da J. Talabanî e M. Barzanî.<br />

KELAÊ DIMDIM 33


34 CAPITOLO I – LA TRADIZIONE<br />

Halala Barçi, nata nel 1930, già da bambina seguiva il padre che cantava ai<br />

matrimoni e da lui ha imparato il repertorio ascoltando e memorizzando. Sia il<br />

padre che il marito erano poeti-cantori e adesso lei cerca di insegnare al suo unico<br />

nipote adolescente qualcuna delle canzoni del suo repertorio, del quale va molto<br />

fiera. Il nipote però dimostra più interesse verso il proprio gruppo di musica<br />

moderna. Halala conosce molti vecchi canti e pratica tutti i generi, ma predilige la<br />

canzone politica.<br />

Assieme al marito e a due dei suoi figli, morti in varie battaglie, ha combattuto<br />

come peşmerga. Come molte donne si occupava anche della cucina nei campi<br />

partigiani. Ha composto poesie e canti per i quali ha ricevuto premi e<br />

riconoscimenti ed è tenuta in grande considerazione a Barçi, il suo villaggio.<br />

Muhammed Rashid, nato negli anni Sessanta, ha combattuto nella<br />

resistenza fin da bambino, ma non riceve per questo nessun sussidio da parte dello<br />

Stato. Attualmente esercita la professione di guardiano e nel tempo libero<br />

frequenta i centri culturali, dove incontra altri appassionati del folklore. Anche lui<br />

compone e canta poesie e canzoni sulla guerra, la politica e i diritti dei Curdi. Si<br />

definisce un helbestvan.<br />

Haji Sh’aban, nato nel 1972, vive nel villaggio di Batifa-Zakho dove lavora<br />

sia come impiegato in un ufficio locale che come contadino. Sh’aban cantava<br />

durante le feste e i matrimoni, ma dopo il pellegrinaggio alla Mecca che ha


compiuto nel 2003, da qui l’appellativo di Haji ha dovuto smettere di cantare. Ha<br />

imparato il repertorio dal padre.<br />

Haji Benjamin Barkhouli, nato nel 1929 nel villaggio di Bilajan nel<br />

distretto di Zakho, ha combattuto nella resistenza sui monti di Galala, per Mustafa<br />

Barzanî. Dopo il pellegrinaggio ha smesso di cantare, ma conosce e recita molti<br />

racconti (çirok) soprattutto in occasioni conviviali, ma non lo fa per lavoro.<br />

Haji Ahmed Abdullah, nato nel 1941 nel vecchio villaggio di Bendha<br />

andato distrutto durante la guerra. Vive nel nuovo villaggio dal 1961, in una casa<br />

che lui stesso ha costruito, assieme alle due mogli e ai suoi numerosi figli. Non ha<br />

combattuto durante la guerra, ma anche lui è dovuto fuggire. Lavora come fattore.<br />

LO SPAZIO DELLA PERFORMANCE<br />

KELAÊ DIMDIM 35<br />

In particolari occasioni in grandi momenti di incontro della comunità, come<br />

festività religiose o il newroz, il capodanno iranico 61 , canti e danza non mancano<br />

mai. Si organizzano quindi luoghi appositi dove la gente possa ascoltare la musica e<br />

danzare, mangiare e incontrarsi. Ormai è una prassi allestire palchi con<br />

amplificazione dai quali si esibiscono artisti di vario tipo, cantanti pop, tradizionali,<br />

poeti, danzatori professionisti. Questo genere di manifestazioni di solito prevede un<br />

61 Si festeggia il 21 marzo, equinozio di primavera.


36 CAPITOLO I – LA TRADIZIONE<br />

grande assembramento di pubblico e lo spettacolo mira all’intrattenimento e alla<br />

socializzazione 62 .<br />

L’esecuzione del beyt, che richiede molto tempo e un ascolto continuativo<br />

prevede una atmosfera distesa, uno spazio più intimo e ristretto, dove il pubblico si<br />

possa raccogliere intorno al cantore. Questa modalità è in effetti sempre più<br />

desueta.<br />

La mitezza del clima primaverile e il caldo estivo permettono di ritrovarsi<br />

all’aperto, nel zozan, il pascolo campestre, dove è un’abitudine diffusa fare pic-nic<br />

con la famiglia, mentre nella stagione fredda, in questa zona del Kurdistan, le<br />

montagne si coprono di neve e non è raro che la temperatura sia molto rigida anche<br />

in pianura. Il ritrovo avviene di conseguenza all’interno delle mura domestiche o in<br />

luoghi adatti, come le sale da tè o i centri culturali.<br />

Nei villaggi, le case sono ancora costruite alla vecchia maniera curda, con<br />

pietre e mattoni di fango seccato tenuti insieme dalla malta; il riscaldamento,<br />

soprattutto nelle case più povere, è fornito dal fuoco o dalle onnipresenti stufe al<br />

kerosene che, poste al centro della stanza, illuminano e riscaldano quasi come un<br />

vero fuoco.<br />

La cultura e le abitudini dei Curdi sono caratterizzate da alcuni “rituali” in<br />

parte riconosciuti come identitari 63 . Tra essi estremamente sentito è il pasto<br />

62 Della valenza identitaria che simili spettacoli, con i loro rituali e la simbologia delle immagini e degli<br />

oggetti che vengono esposti (bandiere del Kurdistan, fotografie di guerriglieri catturati o morti in<br />

battaglia, leader e slogan politici) hanno assunto specialmente nelle comunità in diaspora si riferiscono<br />

Blum e Hasanpour (1966), ma anche Christensen (2010) e altri.<br />

63 Cfr. Brenneman, 2005.


consumato insieme 64 a cui generalmente segue o esiste in contemporanea lo şevbêrk,<br />

l’intrattenimento serale a base di canzoni, poesie, racconti della tradizione. Nei<br />

villaggi questa abitudine ancora si conserva.<br />

All’interno del kuçik 65 , dove ci si accomoda in terra, a gambe incrociate e si<br />

sorseggia bollente çay, tè nero zuccherato offerto in piccoli bicchieri di vetro, si<br />

racconta o si canta a turno manifestando apprezzamento e interagendo attivamente<br />

alle proposte altrui.<br />

L’offerta di cibo, così come la quantità degli ospiti, è generalmente<br />

proporzionata alle possibilità economiche del padrone di casa. Alle canzoni<br />

succedono declamazioni di poesie, proverbi, aneddoti, racconti, commenti<br />

sull’attualità. Ognuno si esibisce a turno, non senza una certa dose di competitività,<br />

e l’apprezzamento è tanto più esplicito quanto maggiori sono il virtuosismo, l’abilità<br />

compositiva o la profondità dell’argomento toccato.<br />

ANALISI DELLA PERFORMANCE<br />

Gestualità<br />

KELAÊ DIMDIM 37<br />

Le versioni del beyt raccolte sul campo sono state eseguite “a richiesta” per la<br />

registrazione. Le diverse performance si sono tutte svolte in un contesto familiare ai<br />

cantori che avevano, d’altra parte, la consapevolezza di essere al centro di<br />

un’indagine di carattere scientifico. Dunque il contesto non è stato troppo dissimile<br />

64 Ibid., p. 205.<br />

65 Vedere sopra. Il kuçik, letteralmente “focolare” è una specie di salotto, vale a dire una stanza per<br />

accogliere gli ospiti.


38 CAPITOLO I – LA TRADIZIONE<br />

da quello che avrebbe potuto verificarsi normalmente, se non per il maggior<br />

imbarazzo generato dall’“ufficialità” dell’occasione.<br />

Durante l’esecuzione i cantori sedevano all’uso curdo, di fronte, o meglio,<br />

circondati dal pubblico che ascoltava e al contempo commentava con esclamazioni<br />

di approvazione. L’esclamazione più comune, “taw”, era pronunciata con tono più<br />

sommesso rispetto a quando, in occasioni di maggiore esibizione, come le<br />

amichevoli gare tra più cantori, viene pronunciata come apprezzamento per un<br />

canto virtuosistico o di un vero e proprio dengbejî.<br />

Il cantore non fa uso di strumenti né si accompagna, durante il canto, con il<br />

battito delle mani.<br />

La mimica facciale è asciutta, composta in rigide espressioni, ridotta a<br />

occasionali movimenti sopracciliari o vaghe espressioni empatiche, in cui gli occhi<br />

cercano un contatto con il pubblico. Il cantore è estraniato dalla storia, non<br />

partecipa interpretando, né immedesimandosi nella narrazione o impersonandosi<br />

nei protagonisti.<br />

Anche la gestualità del corpo è limitata a pochi gesti illustratori e deittici delle<br />

mani e delle braccia, più o meno pronunciati, che spiegano, come in una normale<br />

conversazione, a seconda del carattere del cantore. Questi gesti servono ad<br />

enfatizzare alcune immagini visualizzandole mentre vengono cantate, ma non<br />

sembrano avere nessun carattere di teatralità.<br />

I gesti possono essere figurativi e spiegare, come in un linguaggio di segni, ciò<br />

che la poesia sta descrivendo: quando descrivono e danno una dimensione alle<br />

forme, delineano nell’aria gli oggetti, mimano le azioni o rappresentano concetti –


un allungamento simbolico del braccio, ad esempio per significare distanza o<br />

lontananza.<br />

Altrimenti, se il gesto è astratto – un movimento rotatorio e ciclico, oppure<br />

ondeggiante del braccio e della mano, o anche l’indicare, l’unirsi a cerchio di indice<br />

e pollice per sottolineare un passaggio – la descrizione manca e il gesto diventa un<br />

semplice coadiuvante dell’esecuzione, una sorta di metronomo flessibile che<br />

accompagna il tempo del canto.<br />

Neanche le parti parlate prevedono una particolare mimica, ma lo stile del<br />

racconto è molto personale. Alla dizione rapida e quasi asettica di Haji Sh’aban. si<br />

contrappone, ad esempio, la spiegazione prolissa di Ibrahim Awa.<br />

KELAÊ DIMDIM 39<br />

L’uso della voce è anch’esso limitato alla definizione degli elementi con<br />

un’intonazione piana, quasi mai enfatica. Un’eccezione a questa modalità è<br />

rappresentata da Benjamin Barkhouli, il quale ha prodotto, in vari passaggi, una<br />

sorta di differenziazione dei personaggi, attraverso l’uso di differenti toni di voce.<br />

Un atteggiamento frequentemente osservato durante le esecuzioni, soprattutto<br />

di canti solistici diversi dal beyt, è stato quello che D. Christensen 66 ha definito il<br />

“portare la mano alla guancia”, atteggiamento per il quale non ottenne spiegazioni.<br />

Il cantore cercando con un suono prolungato la “base” vocale del proprio<br />

canto, quella che definiremmo tonica, tiene la mano piegata a conca portandola<br />

66 Christensen, 1961.


40 CAPITOLO I – LA TRADIZIONE<br />

vicino alla guancia, oppure la appoggia sull’orecchio, lasciando una luce, o arriva<br />

addirittura chiudere con il dito medio il condotto uditivo.<br />

Alla domanda specifica sulla necessità di questo gesto uno dei cantori<br />

intervistati, Nadir Taher Kirit Spendarî, ha risposto che serve per mantenere<br />

l’intonazione.<br />

Tale affermazione può essere spiegata in modo abbastanza semplice. Il suono<br />

prodotto dal cantore, se bene indirizzato nel risonatore naturale, ovvero la laringe e<br />

il cavo orale, è poco percepito dall’orecchio interno ed è più facilmente<br />

controllabile, anche se all’esecutore può sembrare il contrario.<br />

Quando, invece, il suono ha delle costrizioni, dovute ad esempio alla forte<br />

pressione dell’aria sulle corde vocali, o quando è cercata una sonorità più “nasale” e<br />

a laringe alta, allora l’orecchio interno è maggiormente stimolato dalla vibrazione<br />

prodotta internamente ed amplificata dalle rigidità muscolari non funzionali alla<br />

corretta emissione. Questo può causare una diminuzione della percezione del suono<br />

prodotto e può essere difficile mantenere una corretta intonazione.<br />

Il cantore che canta da solo, basa la propria esecuzione su una nota-cardine<br />

sulla quale ciclicamente torna. Quella nota è solitamente in un registro comodo<br />

oppure medio alto, a seconda del genere e del repertorio che sta eseguendo.<br />

Mantenere l’intonazione è sicuramente un’abilità apprezzata e un valore estetico<br />

importante nella valutazione di una esecuzione. Per questo la mano all’orecchio<br />

favorisce fisicamente il “ritorno del suono” e quindi aumenta effettivamente o<br />

anche solo psicologicamente il controllo dell’intonazione.


Pubblico<br />

Altro elemento deducibile dalla performance è che questo genere sia fatto per<br />

l’ascolto attento, non per il divertimento svagato o l’intrattenimento.<br />

Il pubblico siede in un relativo silenzio. C’è libertà di lasciare la stanza e<br />

rientrarvi saltando alcune parti del racconto, di bere e fumare, di bisbigliare<br />

commenti ai vicini. L’attenzione però è abbastanza concentrata e rispettosa. Le<br />

interruzioni, per permettere al cantore di riposare, sono occupate dalla distribuzione<br />

del çay o dell’acqua minerale.<br />

Dunque una generale sobrietà di mezzi ed espressioni caratterizza l’aspetto<br />

“esteriore” del beyt, la sua esecuzione; questa in un gergo ethic si potrebbe definire<br />

minimalista, come si accennava all’inizio del capitolo.<br />

Il genere stesso e la struttura formale possono essere letti in questa ottica<br />

“minimale”.<br />

Vi sono, infatti, pochi elementi salienti: l’alternanza fra prosa e canto; la<br />

tipologia stessa di canto, continuo, litanico, quasi monotono con pochi elementi<br />

ritmici e melodie al limite della declamazione; la forma strofica, che Chyet definisce<br />

rhyme sequences (“sequenze rimiche”), 67 non ha cesure nette, delimitate da cambi<br />

melodici, ritornelli o versi speciali.<br />

Performance dello stran<br />

KELAÊ DIMDIM 41<br />

Gli stran di Dimdim eseguiti a due della raccolta Bahdinan-2009, così come<br />

quelli del Kurdish Heritage Institute, dei quali, però, non è possibile commentare<br />

67 Chyet, 1991.


42 CAPITOLO I – LA TRADIZIONE<br />

l’esecuzione, sono molto semplici nella struttura, che verrà meglio analizzata in<br />

seguito.<br />

Gli stran, come detto in precedenza, sono stati eseguiti in coppia da due cantori<br />

(Ibrahim Awa e Muhammed Raşid in I.A.St e dallo stesso Raşid e Halala Barçî in<br />

H.B.St), in una particolare modalità responsoriale, descritta anche da Christensen. 68<br />

In entrambi i casi l’esecuzione è sobria e priva di enfasi.<br />

Alla richiesta di eseguire lo stran il cantore più giovane si alza e si siede a fianco<br />

dell’altro. Cantare seduti vicini, o come aveva notato Christensen, «mettendo<br />

insieme le teste ed entrambe le mani sulle guance» 69 , ha, analogamente al canto<br />

solistico, lo scopo di controllare e mantenere l’intonazione. Inoltre è un modo per<br />

stabilire un contatto con l’altro esecutore.<br />

Il primo cantore intona la prima strofa che il secondo ripete senza soluzione di<br />

continuità, anzi sovrapponendosi alle ultime note del canto. I due uomini, in I.A.St,<br />

cantano in registro medio e all’unisono. Con Halala Barçi, invece, Mohamed<br />

Rashid intona la stessa melodia una terza sotto. Il canto si prolunga per qualche<br />

minuto senza interruzioni.<br />

L’intensità e il divertimento dell’esecuzione sono dati non solo dalla difficoltà<br />

di ripetere correttamente da parte del secondo cantore, ma anche dal mantenere la<br />

vivacità ritmica. Il piacere di questo tipo di pratica è, alla fine, soprattutto degli<br />

esecutori, a giudicare dall’energia che Muhammed Rashid, ha espresso nel<br />

ringraziare i più anziani per il privilegio di poter cantare assieme.<br />

68 Cfr. Christensen, 1961.<br />

69 «Die Sänger hocken oder sitzen eng beieinander auf dem Boden, stecken die Köpfe zusammen und<br />

legen beide Hände an die Wangen.», Christensen, 1961, p. 70.


CAPITOLO II – L’EPOS<br />

L’episodio storico sul quale trova fondamento la leggenda di Khan Lapzêrîn è<br />

la ribellione del principe curdo Emir Khan della tribù dei Baradost allo Shah<br />

‘Abbas, avvenuta tra il 1608 e il 1610.<br />

La testimonianza di questo avvenimento è data dalla «principale e più<br />

attendibile fonte storica per l’epoca di Shah ‘Abbas» 70 , l’opera annalistica Tariqe<br />

Alamara-ye ‘Abbasi 71 di Iskandar Beg Monshi. Iskandar Beg è uno dei monshi,<br />

segretario-capo, della corte safavide, e in quanto tale ebbe la possibilità di assistere<br />

di persona ad alcuni degli avvenimenti che descrive. Tra essi trova un degno spazio<br />

la ribellione curda e l’assedio alla fortezza di Dimdim (Domdom nel testo).<br />

KELAÊ DIMDIM 43<br />

Oltre alla testimonianza storica ne esiste una letteraria altrettanto autorevole<br />

Al poeta Muhammad Faqih-Tayran, vissuto tra il 1590 e il 1660 e conosciuto anche<br />

col nome letterario di Mim Khei, è attribuito il poema in versi dal titolo Hikayat sere<br />

ser kelay Dimdim di gel kizilbashan, got Feqi Teyran (“Racconto della battaglia per il<br />

castello di Dimdim contro i qizilbash, di Faqîh-ê Tayrân”). La duplice versione<br />

manoscritta in caratteri persiani chekaste e korani, conservata presso la Biblioteca<br />

Pubblica “Saltykov-Shtchedrin” di Leningrado 72 , appartiene al fondo manoscritto<br />

70 Cfr. Guillou, Burgarella, Bausani, 1997, p.445.<br />

71 Cfr. Iskandar Beg Munši, 1978.<br />

72 Cfr. Celîl, 1967.


44 CAPITOLO II – L’EPOS<br />

della collezione di A. Jaba, console russo ad Erzurum durante la seconda metà<br />

dell’Ottocento e appassionato studioso di materia curda.<br />

Dell’epopea esistono anche rielaborazioni moderne in forma scritta, la più<br />

famosa delle quali è il romanzo di Ereb Shamilov scritto tra il 1937 e il 1957<br />

durante l’esilio in Siberia e tradotto anche in italiano. 73<br />

La leggenda è però nota al popolo curdo soprattutto attraverso le numerose<br />

versioni orali in forma di stran (canzone strofica) o beyt tramandate fino ai giorni<br />

nostri.<br />

IL CONTESTO STORICO<br />

Per meglio comprendere lo scenario entro il quale si svolsero i fatti è<br />

opportuno delineare un breve panorama storico.<br />

Tra il XVI e il XVII secolo il Kurdistan era una strategica e contesa regione di<br />

confine tra l’impero ottomano, all’inizio di una lenta e inesorabile decadenza, e<br />

l’impero safavide, che viveva con il regno di ‘Abbas il proprio periodo aureo.<br />

Al tempo degli eventi di Dimdim, Ahmed I (1606-1613) era Sultano.<br />

Il suo regno coincideva con un periodo di decadenza morale e politica che<br />

stava progressivamente sgretolando i fondamenti che sorreggevano la grandezza e la<br />

forza dell’impero: la flessibilità delle classi sociali, l’intelligente amministrazione<br />

territoriale e, soprattutto, la figura del Sultano, personificazione di potenza e unità.<br />

Tale decadenza avrebbe condizionato in modo irreversibile la storia successiva.<br />

73 Cfr. Shamilov, 1999.


Con il regno di Solimano il Magnifico (1520-1566) l’impero ottomano aveva<br />

raggiunto un’acme in potenza, estensione e prosperità 74 . Temuto dagli Stati europei<br />

per i suoi eserciti e armamenti considerati invincibili, aveva sotto controllo i territori<br />

arabi e nordafricani, dallo Yemen al Marocco, le regioni caucasiche, la penisola<br />

balcanica e l’est europeo fino all’Ungheria.<br />

Il Sultano era l’autorità centrale e assoluta, il resto della società doveva<br />

provvedere a produrre, amministrare e accrescere la sua ricchezza e la sua potenza.<br />

La classe dirigente era formata dagli Ottomani, e per appartenervi bisognava<br />

dichiararsi fedeli al Sultano, essere di religione musulmana e soprattutto conoscere e<br />

praticare la cosiddetta “via ottomana”, un complesso sistema di regole culturali.<br />

Dovere degli Ottomani era proteggere i possedimenti del Sultano governando le<br />

istituzioni su cui lo Stato si basava.<br />

I raya erano tutti i sudditi dell’impero che non professavano la fede islamica<br />

sunnita o non rispondevano ai requisiti del codice ottomano. 75 Loro compito<br />

precipuo era produrre la ricchezza dello Stato, principalmente attraverso<br />

l’agricoltura i commerci e il pagamento delle tasse.<br />

KELAÊ DIMDIM 45<br />

Questa organizzazione, fortemente centralizzata, manteneva la propria<br />

stabilità grazie al frazionamento delle responsabilità. Il controllo delle comunità<br />

religiose era gestito con il sistema dei millet, che lasciava autonomia di<br />

74 Pe la storia dell’Impero ottomano cfr. Bernardni, 2003, Grunebaum, 1972, pp. 84-107, Guillou, Burgarella,<br />

Bausani, 1997, cap. II e Hourani, 1998, pp. 211-249.<br />

75 È interessante sapere che il sistema era flessibile e per diventare ottomano ed entrare a far parte della<br />

classe dirigente bastava arrivare a soddisfare i suddetti requisiti.


46 CAPITOLO II – L’EPOS<br />

amministrazione e libertà di culto, ma imponeva la sottomissione alle leggi civili e<br />

fiscali dell’impero.<br />

L’amministrazione territoriale veniva invece frazionata e decentrata attraverso<br />

il sistema delle mutaqa, “deleghe”. La più diffusa e importante di queste “deleghe”<br />

era quella del timar, cioè la concessione di terre in usufrutto. I beneficiari<br />

conservavano tutti i proventi e in cambio dovevano rendere servizio allo Stato<br />

nell’esercito o nell’amministrazione.<br />

Altre deleghe consistevano nella riscossione delle tasse doganali, affidata ad<br />

emissari locali che trattenevano una parte della somma raccolta, o negli appalti per<br />

la riscossione delle tasse comuni, retribuiti con uno stipendio.<br />

Questa organizzazione permetteva un decentramento dell’amministrazione e<br />

del controllo sociale ed economico, per questo l’impero poteva contare su una<br />

discreta stabilità e su enormi risorse economiche.<br />

Alla fine del Cinquecento le prime sconfitte militari, tra le quali ricordiamo<br />

quella navale di Lepanto (1571), 76 manifestano l’indebolimento del sistema<br />

ottomano.<br />

I Sultani si erano da sempre esposti in prima persona nell’adempiere al dovere<br />

di difensori del territorio e dello Stato. Solimano per primo cominciò a delegare la<br />

gestione del governo al vizir e ai ministri, dando inizio ad un’abitudine che si<br />

sarebbe rivelata devastante in breve tempo.<br />

76 Sebbene sul piano militare non ci siano dubbi sulla sconfitta ottomana, l’equilibrio politico tra gli<br />

stati del Mediterraneo rimase pressoché immutato. In breve tempo la flotta navale distrutta dai<br />

Veneziani fu ricostruita e gli Ottomani riguadagnarono il controllo sulle rotte commerciali del mare<br />

nostrum. La vera decadenza commerciale della Porta, cominciò con l’apertura delle rotte via mare verso<br />

l’Oriente, grazie alla circumnavigazione del Capo di Buona Speranza.


Si estese il costume di confinare nell’harem anche il legittimo erede al trono,<br />

così come si faceva con gli altri rampolli del Sultano anziché trucidarli come<br />

accadeva in epoche precedenti. Chiuso nell’harem il futuro sovrano non acquisiva le<br />

necessarie competenze, né l’esperienza per poter gestire in prima persona gli affari<br />

dello Stato. Queste condizioni furono estremamente favorevoli al dilagare degli<br />

interessi personalistici dell’harem e di un altro potente elemento della società<br />

ottomana, i devshirme. Il sistema del devshirme consisteva nel selezionare giovani<br />

cristiani, convertirli all’Islam e farli studiare nelle scuole imperiali per poi impiegare<br />

i migliori nella burocrazia istituzionale, nell’amministrazione, nell’esercito. Il famoso<br />

corpo dei giannizzeri, un’arma stabile i cui soldati godevano di uno stipendio fisso,<br />

era così reclutato; era al diretto servizio del Sultano e aveva notevole influenza sulla<br />

politica dell’impero.<br />

Nello stesso periodo si sviluppò una guerra di confine contro gli Asburgo per il<br />

controllo di Ungheria e Transilvania, mentre in Anatolia dilagavano le rivolte<br />

popolari, spesso alimentate da fenomeni di banditismo e da recrudescenze del<br />

movimento politico-religioso dei Jalalî.<br />

KELAÊ DIMDIM 47<br />

Questo fenomeno aveva avuto origine all’inizio del secolo, quando nel 1519 a<br />

Tokat, in Anatolia settentrionale, un certo Jalal aveva dato origine e nome ad un<br />

movimento religioso per certi aspetti simile al Culto degli Angeli diffuso nell’area<br />

iranico-anatolica. I Jalalî simpatizzarono con la propaganda safavide e si sollevarono<br />

contro gli Ottomani. Furono sostenuti nella loro lotta dalle popolazioni turcomanne<br />

dell’Anatolia, scontente soprattutto della pressione fiscale. Alleatisi con i Persiani,<br />

furono in varie occasioni un elemento di disturbo per le operazioni militari


48 CAPITOLO II – L’EPOS<br />

ottomane sui confini orientali, poiché tagliavano le vie di accesso agli<br />

approvvigionamenti. La Persia, il cui vigore cresciuto sotto i primi Safavidi vedeva<br />

ora l’apogeo con il regno di ‘Abbas, mirava infatti a riconquistare i territori caucasici<br />

e possibilmente a spingersi verso l’Anatolia centrale.<br />

La solida struttura che l’impero aveva avuto in passato cominciava a venire<br />

meno. Nonostante lo stato di decadenza, l’impero ottomano perdurò ancora a lungo<br />

grazie alle enormi risorse economiche interne, e alla potenza degli armamenti che<br />

gli garantiva una fama di invincibilità tale da scoraggiare attacchi da parte degli<br />

Stati europei.<br />

L’impero safavide 77 viveva al contempo l’apogeo della propria potenza, grazie<br />

al regno lungimirante benché spietato di Shah ‘Abbas il Grande (1588-1629).<br />

La dinastia safavide ha origine ad Ardabil agli inizi del XIV secolo. Ardabil<br />

situata nei pressi della sponda sud occidentale del Mar Caspio, nell’attuale regione<br />

dell’Azerbaijan iraniano, era una città turco-azera allora governata dai Qara<br />

Qoyunlu. 78 Qui il capostipite della famiglia, del quale alcuni storici attestano origini<br />

77 Per la storia della dinastia Safavide cfr. Savory, 1960-2005.<br />

78 I Qara Qoyunlu (lett. Montone Nero), con i cugini Aq Qoyunlu (lett. Montone Bianco) erano popolazioni<br />

turcomanne migrate dalle steppe centrasiatiche. I Qoyunlu si erano poi espansi verso ovest fondando regni anche<br />

di una certa importanza e stabilendo i propri domini nelle aree a sud ovest del Mar Caspio. All’epoca in<br />

questione i domini delle due dinastie, avversarie tra loro, erano limitati ad aree circoscritte all’Azerbaijan –<br />

regione dell’attuale Azerbaijan iraniano – e dell’Anatolia sud orientale, dove le tribù Aq Qoyunlu si spingevano<br />

in profondità.


curde 79 , Shaykh Safi al-Din (1252/3-1334), fondò una tariqa sufi 80 , detta dal suo<br />

nome Safawiyya. Nei secoli successivi alla morte di Safi al-Din la confraternita<br />

aveva conquistato un enorme potere economico e politico, e si era diffusa<br />

grandemente sopratutto presso le popolazioni turcomanne fino in Anatolia.<br />

La dinastia Safavide si affermò definitivamente nel 1501, quando Shah<br />

Isma’il, sesto discendente e capo della ormai potentissima confraternita, conquistò<br />

Tabriz, portando a termine l’assoggettamento dei numerosi piccoli regni che fino ad<br />

allora si erano divisi e contesi la Persia. Shah Isma’il si riappropriò del titolo Shahin-<br />

Shah, “re di re”. Nelle versioni orali dell’epica di Dimdim di tanto in tanto viene<br />

usato questo titolo per riferirsi allo Shah ‘Abbas.<br />

I cardini del potere safavide erano la dottrina religiosa e il fedelissimo,<br />

imbattibile esercito dei qizilbash.<br />

Lo sciismo duodecimano era l’orientamento dottrinale imposto alla tariqa<br />

safavide da Isma’il. Questo orientamento, che si contrappone al sunnismo ortodosso<br />

di scuola sha’fita largamente diffuso tra Ottomani e Curdi, ha come caposaldo<br />

centrale l’identificazione della dottrina teologica (la shari’a) con la legge dello Stato, e<br />

del potere religioso con quello politico. Questo dava fondamento teologico al culto<br />

del Re, venerato come reincarnazione di ‘Ali, consolidandone il carisma e la<br />

devozione dei sudditi.<br />

KELAÊ DIMDIM 49<br />

L’esercito dei qizilbash venne formato già all’inizio del XV secolo da membri<br />

dell’aristocrazia azera alleatisi con la confraternita. Il nome, espressione denigrante<br />

79 Ibn Bazzaz Ardabilî nel Safwat al-Safa, completato nel 1357, traccia la genealogia di Safi al-Din e individua il<br />

capostipite della famiglia del sant’uomo in Piroz Shah Zarrin Kulah, un curdo della tribù Dimili emigrato nel X<br />

secolo da Sanjar e stabilitosi ad Ardabil (Bernardini, 2003; Izady, 1992).<br />

80 Scuola religiosa ispirata ai principi del misticismo islamico.


50 CAPITOLO II – L’EPOS<br />

adottata dai turchi, derivava dal caratteristico abbigliamento dei soldati che si<br />

rasavano la testa facendo crescere considerevolmente i baffi e indossavano un<br />

copricapo rosso a dodici spicchi 81 . Grazie al loro contributo il regno safavide poté<br />

espandersi e rafforzarsi enormemente.<br />

Durante il regno di Isma’il avvenne una delle più importanti battaglie della<br />

storia dell’impero, quella di Chaldiran 82 (1514). Selim I, detto Yavuz, “il Feroce”,<br />

sultano ottomano all’inizio del proprio regno (1512-1520), temendo l’accresciuto<br />

potere politico religioso degli sciiti safavidi in Anatolia condusse campagne di<br />

contrasto nelle zone orientali del proprio impero, spingendosi fino all’Azerbaijan.<br />

Grazie alla superiore potenza degli armamenti, all’uso combinato di cannoni e<br />

polvere da sparo, Selim riuscì a sconfiggere l’esercito comandato dallo Shah in<br />

persona, e ad arrestare l’espansione persiana verso occidente.<br />

Questa battaglia è rimasta significativa nella storia curda poiché con essa<br />

venne stabilito il confine tra la Persia safavide e l’impero ottomano, assestato poi con<br />

il trattato di Qasr-î Shirin del 1639. Il confine tra i due imperi ha generato la<br />

divisione del Kurdistan ancora oggi esistente.<br />

Dopo quello di Isma’il il più prospero e importante regno safavide fu quello di<br />

‘Abbas il Grande durato dal 1588 al 1629 che ha molto in comune con quello di<br />

Solimano. Dopo di lui, infatti, e in parte per le stesse ragioni, la dinastia safavide<br />

andrà incontro ad una fatale decadenza.<br />

‘Abbas smantellò progressivamente il potere dei qizilbash introducendo nella<br />

burocrazia cittadina e nell’esercito, elementi di altre etnie iraniche tra cui anche i<br />

81 In turco qizil = rosso bash = testa.<br />

82 La città si trova a nord-est del lago di Van, presso il confine turco-iraniano.


curdi, ma soprattutto armeni e georgiani. Sulla falsariga dei giannizzeri ottomani,<br />

questi ultimi vennero impiegati sopratutto nella costituzione di un esercito<br />

stipendiato, detto dei ghulam, e acquisirono nel tempo un ragguardevole potere.<br />

Il regno di ‘Abbas fu prospero. Vennero affrontate importanti opere di<br />

urbanistica. Con la costruzione di grandiosi monumenti furono abbellite le città<br />

principali, come la nuova capitale, spostata per volontà di ‘Abbas da Qazvin ad<br />

Isfahan. La viabilità fu migliorata e resa più sicura nelle strade extraurbane, dove<br />

furono installati caravanserragli soprattutto nelle zone montane. La realizzazione di<br />

un servizio idrico all’avanguardia diede giovamento all’agricoltura.<br />

La cultura, le arti tipiche, come la miniatura e la lavorazione della ceramica e<br />

le produzioni artigianali locali 83 fiorirono, sostenute dal sovrano. Furono<br />

incoraggiati i commerci interni ed esteri, in particolare con l’Europa, poiché<br />

permettevano l’ampia circolazione di beni e ricchezza, ma poiché non erano gestiti<br />

direttamente dai persiani, furono le comunità cristiane ad essere coinvolte. Gli<br />

Armeni, ad esempio, subirono una vera e propria deportazione ad Isfahan per<br />

portare là i propri affari. I commercianti europei furono grandemente accolti nelle<br />

maggiori città e i missionari cristiani tollerati.<br />

KELAÊ DIMDIM 51<br />

La terra continuava, tuttavia, a rimanere la principale risorsa economica. I<br />

maggiori introiti dello Stato safavide derivavano, infatti, dalla tassazione sulle<br />

coltivazioni. Inoltre, soprattutto le zone di frontiera venivano divise in<br />

appezzamenti, concessi poi in usufrutto agli ufficiali dell’esercito sotto forma di<br />

83 Famosi anche in Europa i prodotti dell’industria tessile e dei tappeti, la lavorazione della ceramica e del cuoio,<br />

alcuni tipi di armi.


52 CAPITOLO II – L’EPOS<br />

tiyul. 84 Anche per questo motivo le nuove acquisizioni territoriali rappresentavano<br />

una risorsa irrinunciabile per l’economia dell’impero, e ‘Abbas era fermamente<br />

intenzionato a preservare e possibilmente espandere i propri confini. Durante il suo<br />

regno tentò di recuperare i territori caucasici e dell’Anatolia orientale; riuscì a<br />

riconquistare Tabriz, Herat e l’Iraq, grazie anche al sostegno delle tribù curde<br />

dell’Ardalan. 85<br />

Il desiderio e la necessità di appropriarsi o proteggere le zone di confine<br />

occidentale, il Kurdistan, appunto, fu dunque la causa principale del continuo stato<br />

di conflitto intrattenuto dal regno di Persia con gli ottomani.<br />

La battaglia di Chaldiran, come detto in precedenza, rappresentò un punto di<br />

svolta nella storia del Kurdistan 86 .<br />

Il confine persiano si era arrestato sulla linea montana tra il lago di Van e<br />

quello di Urmia, e il territorio era stato smembrato in due parti contrapposte. La<br />

maggioranza della popolazione curda si era ritrovata all’interno dei confini<br />

ottomani e una gran parte delle tribù strinse alleanza con il Sultano, sia in virtù<br />

della comunanza di credo 87 sia, soprattutto, per ricevere protezione e contrastare le<br />

incursioni dei Persiani.<br />

84 Simile al timar ottomano.<br />

85 Cfr. Ardalan, 2004.<br />

86 Per la storia del Kurdistan tra medioevo ed età moderna cfr. Izady, 1992, pp. 41-58 e Bois, Minorsky,<br />

1960-2005, pp. 447-449.<br />

87 Come si è detto la maggioranza dei Curdi è di fede islamica sunnita, come gli Ottomani, mentre i Persiani<br />

sono sciiti.


L’Anatolia orientale e le zone caucasiche di confine erano infatti soggette alle<br />

mire espansionistiche dei Safavidi, i quali, contando su un esercito composto in<br />

prevalenza da cavalleria e arcieri, evitavano di fronteggiare in campo aperto<br />

l’esercito ottomano, dotato di armamenti pesanti e artiglieria. Veniva adottata,<br />

bensì, dai Persiani la tecnica della “terra bruciata”, con la quale sia in attacco che in<br />

difesa, si puntava a limitare le capacità di approvvigionamento dell’avversario,<br />

eliminando fisicamente ogni risorsa alimentare locale o tagliando le vie di<br />

comunicazione. A farne le spese erano i territori e le popolazioni che vi stanziavano.<br />

Per trarre un vantaggio da questa situazione di contrasto tra gli imperi e<br />

tentare di mantenere una relativa autonomia all’interno dei propri territori, le tribù<br />

curde si organizzarono in un sistema di principati tra la fine del XV e l’inizio del<br />

XVI secolo. L’intuizione politica alla base di questa strategia fu del principe Hakim<br />

Idris di Bitlis (1452-1520), appartenente ad una delle famiglie più importanti della<br />

regione di Diyarbakir e dignitario della corte ottomana. Egli credette opportuno,<br />

per mantenere la stabilità del Kurdistan, che i capi tribali più importanti<br />

stringessero alleanza con il Sultano. In cambio avrebbero ricevuto il conferimento<br />

ufficiale di feudi e principati e autonomia nell’amministrarli. I reggenti si<br />

impegnavano a pagare un tributo finanziario alla Porta e a difendere i confini e il<br />

territorio anatolico dagli attacchi persiani e dal proselitismo sciita.<br />

KELAÊ DIMDIM 53<br />

Furono istituiti dal Sultano cinque principati indipendenti – Bitlis, nella<br />

regione di Diyarbakir; Hakkari, in Anatolia sud-orientale; Bahdinan, nell’attuale<br />

Iraq settentrionale; Jazirah-Bothan, nel corno siriaco; Hisn-Keyf, sul Tigri al<br />

confine tra Turchia e Siria. Alcune minoranze religiose di dottrina sciita, come gli


54 CAPITOLO II – L’EPOS<br />

Alevi o gli Yezidi, scelsero l’alleanza con lo Shah, mentre tribù sunnite rimaste in<br />

territorio persiano scelsero invece una conversione di comodo per rimanere sotto la<br />

protezione dello Shah.<br />

L’istituzione dei principati dette inizio ad un’epoca aurea per il Kurdistan,<br />

poiché i principi sostennero lo sviluppo delle arti e della cultura. Alcuni dei maggiori<br />

poeti curdi vissero nelle corti e diedero vita ai primi esempi di letteratura<br />

“nazionale”.<br />

Il Sultano che inizialmente offrì grande autonomia ai principati, sfruttò poi la<br />

situazione secondo la sua necessità, conferendo terre di confine a piccoli signorotti o<br />

addirittura deportando tribù intere dai villaggi dell’interno verso il confine, a scopo<br />

difensivo. Il territorio curdo andò quindi frazionandosi in una miriade di piccoli<br />

feudi i cui capi erano in costante lite tra loro.<br />

Le alleanze con entrambi gli imperi erano inoltre piuttosto labili, poiché le<br />

tribù o i capi dissidenti, trovavano facilmente riparo presso altre tribù curde appena<br />

valicato il confine.<br />

Questo frazionamento, unito all’instabilità politica e alla bellicosità delle tribù,<br />

fu una delle maggiori cause della decadenza della regione.<br />

L’altro sostanziale mutamento che dette avvio all’inesorabile declino del<br />

Kurdistan, fu l’interruzione delle vie commerciali di terra, in particolare della<br />

cosiddetta “via della seta”. L’economia locale era enormemente stimolata dal<br />

commercio in transito e allo stesso modo lo erano le infrastrutture ad esso collegate.<br />

Le strade, le stazioni di posta, le strutture di ospitalità, così come le attività di<br />

amministrazione del denaro e di gestione degli scambi avevano prodotto una vivace


economia locale e sviluppato una classe istruita di burocrati. I commerci avevano<br />

reso necessario il controllo della stabilità e dell’ordine sociale e generato una<br />

domanda di prodotti locali. Prosperavano ad esempio le manifatture di tessuti e<br />

tappeti.<br />

Quando la via commerciale di terra cadde in disuso, poiché la rotta via mare<br />

inaugurata da Vasco de Gama permetteva maggiori profitti ed era più sicura, questo<br />

vitale panorama perse il proprio sostentamento. Le regioni si impoverirono e<br />

produzioni e commerci tornarono ad essere limitati e locali. Con i beni di consumo<br />

smisero di arrivare dall’Europa anche le notizie, le innovazioni tecnologiche, la<br />

cultura. Il Kurdistan fu relegato in una condizione di arretratezza crescente.<br />

La vicenda dell’assedio alla fortezza di Dimdim si colloca in questo periodo<br />

storico, precisamente tra il 1608 e il 1610. L’episodio viene ricordato<br />

prevalentemente sotto forma di leggenda orale, e l’unica fonte storica che ne fa<br />

menzione è l’opera annalistica di Iskandar Beg Munši, Tariqe Alamara-ye ‘Abbasi. 88<br />

LE FONTI<br />

La storia persiana: “nell’anno del Gallo…”<br />

KELAÊ DIMDIM 55<br />

Iskandar Beg fu al servizio della corte safavide come segretario-capo (munši-ye<br />

‘azim), e tra il 1616 e il 1629 compilò un’opera in tre volumi sulla storia della<br />

dinastia safavide. Il primo volume era dedicato alle origini della confraternita<br />

88 Iskandar Beg Munši, 1978.


56 CAPITOLO II – L’EPOS<br />

Safawiyya poi divenuta dinastia, il secondo e il terzo agli avvenimenti occorsi<br />

durante il regno di ‘Abbas.<br />

Come per molti degli avvenimenti registrati negli ultimi due volumi, Iskandar<br />

Beg partecipò personalmente agli eventi di Dimdim, incaricato dallo Shah di unirsi<br />

al contingente militare per fornire un resoconto della missione. Nelle sue stesse<br />

parole:<br />

All’autore fu ordinato di accompagnare la spedizione. Per questo ne<br />

darò un resoconto da testimone oculare, impegnandomi a non dilungarmi<br />

troppo. 89<br />

La narrazione della sommossa curda e dell’assedio alla fortezza di Dimdim<br />

trovano spazio nei capitoli intitolati Gli eventi dell’anno del Gallo 90 e Gli eventi dell’anno del<br />

Cane 91 , nei quali Iskandar Beg fornisce una precisa descrizione dei fatti salienti<br />

avvenuti in quel biennio.<br />

Lo storiografo racconta come all’indomani del Nowruz, il capodanno iranico<br />

che si festeggia all’equinozio di Primavera, lo Shah ordinò una spedizione punitiva<br />

contro le tribù curde di confine che causavano non pochi problemi. Il contingente<br />

militare era guidato da emiri qizilbash e composto dalle loro truppe e da gruppi di<br />

Jalalî. Questi ultimi furono assoldati per mettere un freno alle faide interne nelle<br />

quali si trovavano spesso coinvolti.<br />

89 Iskandar Beg Munši, 1978, p. 989.<br />

90 Il titolo completo è: Gli eventi dell’anno del Gallo, corrispondenti in parte all’anno musulmano 1017/1608-09, e in parte<br />

all’anno musulmano 1018/1609-10, il ventitreesimo anno del regno di Shah ‘Abbas.<br />

91 Il titolo completo è: Gli eventi dell’anno del Cane, corrispondenti in parte all’anno musulmano 1018/1609-10, e in parte<br />

all’anno musulmano 1019/1610-11, il ventiquattresimo anno del regno di Shah ‘Abbas.


Non è chiaro se Iskandar Beg si riferisca alla tribù curda dei Jalalî, che abitava<br />

la zona a nord-est del lago di Van, come suggerisce Celîl, o piuttosto, com’è anche<br />

lecito supporre, a gruppi di guerriglieri turcomanni mercenari affiliati al movimento<br />

religioso scismatico sorto negli anni Venti del Cinquecento, di cui si è detto altrove.<br />

Lo Shah aveva interesse a riconquistare la regione dell’Azerbaijan sottratta<br />

all’impero persiano dal Sultano Murad III due generazioni prima. Per questo voleva<br />

ingaggiare la battaglia contro il Kurdistan, allora considerato un’entità politica<br />

composita, ma unitaria. Allo stesso tempo contrattò con gli emissari del Sultano<br />

Ahmed I, ricevuti con tutti gli onori, le condizioni di una tregua ai confini.<br />

Sconfiggendo i curdi lo Shah avrebbe automaticamente inglobato i loro territori.<br />

La missione, rifornita di armamenti e ben pagata, partì da Isfahan e raggiunse<br />

Maraga, in Azerbaijan, dove Mohammad Pasha, capo dei Jalalî, unì le proprie<br />

truppe all’esercito persiano. Lo Shah decise di inviare anche un distaccamento in<br />

supporto ai soldati Jalalî e lo mise agli ordini dell’emiro Imamqoli Khan. Il<br />

distaccamento venne mandato in stanza a Salmas, città poco a nord del Lago di<br />

Urmia, con molta probabilità coincidente con la Sela Maste citata nell’epopea.<br />

La spedizione avrebbe raggiunto successivamente Erzerum, in Anatolia e<br />

Diyarbakir, il cuore del Kurdistan, in territorio ottomano. A Qazvin altri beglerbeg 92<br />

ed emiri 93 , che avevano avuto l’ordine dallo Shah, si unirono in forze alla<br />

spedizione. Iskandar Beg ne fa un elenco non troppo dissimile da quelli che si<br />

ritrovano nelle versioni orali.<br />

92 Il belerbeg era un governatore regio nominato dallo Shah.<br />

KELAÊ DIMDIM 57<br />

93 Con il termine amir, emiro, venivano indicati tutti i capi tribali nomadi sottoposti allo Shah, detti a seconda del<br />

rango sultan o khan (il più importante).


58 CAPITOLO II – L’EPOS<br />

Molti dei territori attraversati erano sotto il controllo di emiri curdi, e lo Shah,<br />

consapevole della loro riottosità, aveva dato ordine di saccheggiare e depredare<br />

quelli di loro che non si fossero immediatamente schierati con la spedizione.<br />

Emir Khan Baradost, khan curdo fiduciario dello Shah e governatore di<br />

Urmia, aveva ricevuto l’ordine di garantire il transito sicuro della spedizione<br />

attraverso il Kurdistan. Iskandar Beg offre del personaggio una descrizione dai toni<br />

leggendari.<br />

Emir Khan era membro della tribù dei Baradost alla quale Shah Tahmasp,<br />

predecessore di ‘Abbas, aveva concesso la reggenza dei territori di Targavar e<br />

Margavar a sud ovest del Lago di Urmia. 94 Emir Khan era stato, in precedenza, al<br />

servizio dei governatori curdi della regione e durante una battaglia aveva perso una<br />

mano. Era stato per questo motivo soprannominato Emir Khan Čulaq, “il Monco”<br />

in persiano.<br />

Nel periodo precedente all’insurrezione, quando ‘Abbas conduceva le prime<br />

campagne per la riconquista dell’Azerbaijan, Emir Khan si mise sotto la sua<br />

protezione dichiarandogli fedeltà. Lo Shah lo accolse, investendolo governatore dei<br />

territori dei Baradost e dei distretti qizilbash di Urmia e Oshnia. Inoltre, in<br />

riconoscimento della lealtà e del coraggio dell’alleato, fece forgiare per lui una mano<br />

d’oro con incastonate pietre preziose.<br />

Emir Khan fece parte a lungo del diwan, la corte dello Shah, e contribuì a<br />

riunire sotto il controllo persiano molte tribù curde stanziate in territorio ottomano.<br />

Per questo lo Shah lo teneva in altissima considerazione. Emir Khan, conscio della<br />

94 Orientativamente compresi tra Rawanduz e Hakkarî.


posizione privilegiata di cui godeva, cominciò a maturare atteggiamenti<br />

autonomistici e soprattutto ad intraprendere azioni di disturbo contro i qizilbash che<br />

abitavano le zone di frontiera limitrofe al suo territorio.<br />

Più tardi espresse la volontà di abbandonare il forte di Urmia per costruirne<br />

uno migliore altrove. Ricevuto il consenso dello Shah, cominciò la costruzione della<br />

fortezza di Dimdim (Domdom nella trascrizione persiana), la quale secondo una<br />

tradizione curda, sorgeva sulle rovine di una precedente fortificazione di età pre-<br />

islamica. La supposta collocazione della fortezza, della quale oggi rimangono poche<br />

rovine, è nei pressi del villaggio urbano di Balanej a sud di Urmia, nelle valli tra i<br />

fiumi Baranduz e Qasemlu. 95<br />

Ad Ardabil, durante il ritiro invernale, lo Shah accolse i timori di un generale<br />

persiano in comando a Tabriz che Emir Khan, costruendo la fortezza, avesse<br />

intenzione di ribellarsi. Lo Shah lo incaricò di sollecitare Emir Khan affinché<br />

desistesse dall’intento. Ma, nonostante il generale adducesse ottime ragioni circa<br />

l’inutilità di costruire una fortezza che non avrebbe migliorato la protezione del<br />

territorio né dagli attacchi ottomani, né dalle faide curde, il khan curdo, come<br />

riportato anche nelle versioni orali, non dette ascolto all’invito: costruì la fortezza e<br />

fece scorta di armi, munizioni e viveri. Dette inoltre protezione ad un khan<br />

dissidente, la cui famiglia era in lotta con lo Shah da tempo. Questi aveva nome<br />

Khan Abdal Mukrî, individuabile nel Khan Mukrî delle versioni orali.<br />

KELAÊ DIMDIM 59<br />

Lo Shah, confidando nella passata amicizia con Emir Khan, continuò a<br />

chiedere la sua collaborazione nel portare avanti la spedizione punitiva verso il<br />

95 Cfr. Hassanpour, 1995.


60 CAPITOLO II – L’EPOS<br />

Kurdistan. Poiché Emir Khan continuava a tergiversare, il sovrano si dimostrò<br />

disponibile a trovare un compromesso, arrivando a sostituire il capo della missione,<br />

non gradito all’emiro, con l’iracheno Hasan Khan. Quando però fu il momento di<br />

unirsi all’esercito, arrivato nei pressi di Urmia, Emir Khan non si presentò<br />

all’appello, né inviò alcun soldato.<br />

Le truppe regie si accamparono allora nei pressi della fortezza, ma mentre<br />

Hasan Khan persisteva nel domandare la collaborazione di Emir Khan, pattuglie<br />

curde lanciavano rapide offensive fuori dal castello e da lì colpivano con l’artiglieria.<br />

Dopo un ammutinamento da parte di un gruppo di Jalalî, passati al nemico, lo<br />

Shah affidò al vizir Hatem Beg il comando delle operazioni. Nelle versioni orali il<br />

vizir è sostituito dal personaggio del Califfo (Xelif). Vale la pena ricordare che<br />

l’appellativo kalifa era dato agli emissari degli sceicchi safavidi di Ardabil, inviati<br />

nelle zone di influenza per controllare e fare propaganda.<br />

Il visir approntò un esercito con artiglieri e moschettieri, ma tentò ancora una<br />

volta di trovare una soluzione diplomatica con Emir Khan. Questi, sostenendo di<br />

non essere in rivolta contro lo Shah, si rifiutava di collaborare con i Jalalî e sosteneva<br />

che il suo comportamento fosse dovuto al timore di essere attaccato da loro.<br />

L’intenzione di Emir Khan di non cedere alle negoziazioni diventò infine chiara.<br />

Iskandar Beg inserisce anche una descrizione molto dettagliata della fortezza<br />

di Dimdim. Situata su una alta collina e riparata da una roccia invalicabile alle<br />

spalle, era protetta sui lati da ripide scarpate che scoraggiavano possibili attacchi. La<br />

struttura si componeva di una fortificazione principale, una secondaria nella parte<br />

meno scoscesa della collina, due fortini a difesa delle cisterne d’acqua e una torre


laterale, che proteggeva una delle grandi porte d’accesso. Le cisterne, di cui la<br />

principale era direttamente collegata ad una sorgente che scendeva dal monte alle<br />

spalle della fortezza, e il cui accesso era stato accuratamente nascosto, garantivano<br />

l’approvvigionamento essenziale dell’acqua potabile. Erano per questo<br />

estremamente ben protette.<br />

L’esercito persiano si era preparato a porre d’assedio la fortezza, dislocando i<br />

propri distaccamenti in punti strategici tutto intorno. Gli armamenti eccezionali di<br />

cui disponeva, oltre all’artiglieria, erano due grandi cannoni, uno speciale cannone<br />

pesante da assedio, un cannone piccolo.<br />

Durante l’assedio alcuni fuggiaschi curdi fecero sapere al vizir che la fortezza si<br />

trovava in una grave carenza d’acqua e che tagliare l’approvvigionamento dalla<br />

sorgente avrebbe significato la resa immediata di Emir Khan. I Persiani<br />

cominciarono quindi la costruzione di trincee e paratie in pietra per raggiungere la<br />

cisterna principale. Questo, nelle versioni orali, è un punto di snodo abbastanza<br />

importante. La figura del traditore è molto ben delineata: scarsamente affidabile,<br />

pusillanime e avido, in alcune versioni ha la lingua mozzata per evitare che sveli il<br />

segreto della fortezza.<br />

La torre difensiva laterale fu bombardata per un mese prima essere<br />

danneggiata, ma la difesa curda non fu incrinata.<br />

L’assedio perdurò durante i tre mesi invernali, da novembre a febbraio, con<br />

molte vittime da entrambe le parti, ma senza che i curdi si piegassero, né che i<br />

persiani riuscissero a raggiungere la sorgente. Fu impiegato anche il grande cannone<br />

d’assedio per difendere la costruzione della trincea persiana.<br />

KELAÊ DIMDIM 61


62 CAPITOLO II – L’EPOS<br />

I curdi contrattaccavano ferocemente senza cedere ed anzi Emir Khan, fatti<br />

alcuni prigionieri, li fece curare e li rimandò al campo persiano in segno di rispetto<br />

per il coraggio dimostrato nell’assedio. In alcune versioni orali contenute nel volume<br />

di Celîl 96 compare un episodio analogo (K.K. e O.D.): Khan, che lo Shah crede in<br />

enorme difficoltà di approvvigionamenti, fa arrivare un succulento piatto alle tende<br />

dello Shah in segno di rispetto, ma anche di sfida, causando lo stupore del sovrano.<br />

In primavera i Persiani riuscirono ad occupare la cisterna principale esterna<br />

alla fortezza. Ne forarono il tetto e appiccarono il fuoco ad un cumulo di paglia in<br />

modo che i soldati curdi che la difendevano dall’interno fossero costretti a fuggire.<br />

Quando la situazione dei ribelli sembrava volgere al peggio, le piogge<br />

primaverili riempirono le cisterne d’acqua pulita, mettendo in salvo la guarnigione<br />

curda per almeno altri sei mesi. L’evento fu salutato dai Persiani come un<br />

imperscrutabile intervento divino.<br />

Successivamente l’esercito assediante subì la diserzione di molti Jalalî che<br />

abbandonarono in massa le terre dello Shah per fare ritorno in Anatolia.<br />

L’anno successivo lo Shah ordinò rinforzi per l’assedio e mise sotto controllo la<br />

frontiera di Van. Era infatti venuto a sapere che alcune tribù curde da Amadiya e<br />

dal Sohran avevano chiesto assistenza al beglerbeg di Diyarbakir, il curdo Nasuh<br />

Pasha, per poter andare in soccorso di Emir Khan.<br />

I Safavidi, lavorando giorno e notte alle trincee riuscirono ad avvicinarsi al<br />

muro della torre e ad espugnarla. L’esercito potè allora attaccare le mura della<br />

fortezza con il cannone pesante da assedio.<br />

96 Celîl, 1967.


Quando l’assedioarrivò al punto che tre delle cinque postazioni difensive curde<br />

furono sotto il controllo dell’esercito persiano, Khan Abdal Mokrî si arrese, e con i<br />

figli e alcuni dei suoi uomini si recò al campo nemico, dove vennero tutti messi sotto<br />

custodia. Poco dopo anche il capo dei Jalalî passati dalla parte dei curdi fece<br />

altrettanto.<br />

Khan Abdal Mukrî con i suoi uomini era stato portato nei quartieri di uno<br />

degli emiri, Elias Kalifa, per essere affidato alla sua custodia. L’emiro era assente e i<br />

servitori avevano accolto i curdi nel segno dell’ospitalità musulmana, offrendo loro<br />

bevande fresche e lasciandoli in possesso di tutte le loro armi. Quando Kalifa,<br />

rientrato al padiglione, ordinò che fossero loro ritirate, i curdi si rivoltarono ferendo<br />

lui e alcuni dei suoi gregari. Altri soldati persiani accorsi per il trambusto trovarono<br />

l’emiro e i suoi a terra e uccisero Khan Abdal Mukrî e gli altri curdi.<br />

Iskandar Beg ipotizza che la resa fosse stata inscenata e che i Curdi avessero in<br />

realtà progettato di uccidere nel loro stesso campo gli ufficiali nemici, morendo con<br />

le armi in pugno, se avessero fallito nell’intento.<br />

Questo episodio si rintraccia, con notevoli somiglianze nei particolari, in tutte<br />

le versioni orali più recenti (a partire da K.K. e O.D.). A mio avviso, si può<br />

ipotizzare che il personaggio di Califfo sia derivato dal nome di questo emiro e poi<br />

assimilato a tutte le altre figure di ufficiali persiani.<br />

KELAÊ DIMDIM 63<br />

Anche Emir Khan e altri soldati curdi si trovarono nella stessa situazione e<br />

combatterono i persiani nel loro stesso accampamento fino alla completa disfatta.


64 CAPITOLO II – L’EPOS<br />

Dopo l’eccidio, tutti i curdi rimasti in vita all’interno della fortezza furono<br />

imprigionati, i possedimenti di Emir Khan distribuiti tra i qizilbash e la fortezza di<br />

Dimdim fu lasciata al nuovo governatore di Urmia.<br />

Nello stesso anno lo Shah ordinò un massacro generale della tribù Mukrî a<br />

causa dei ripetuti episodi di ribellione e tradimento.<br />

È interessante annotare un’altra vicenda avvenuta nell’anno del Cane e<br />

raccontata da Iskandar Beg: la cattura di Mohammed Pasha figlio di Zal Pasha.<br />

Mohammed era il governatore ottomano di Arjis e Adeljavaz 97 , che per arroganza e<br />

boria si mise contro lo Shah causando disordini al confine. Fatto prigioniero durante<br />

una battaglia, fu accolto alla corte, come voleva l’uso diplomatico persiano, ma<br />

nonostante la clemenza dello Shah, si comportò in modo disdicevole e offensivo.<br />

Lo Shah tuttavia, continuando a trattarlo da ospite, gli permise di inviare una<br />

missiva alla famiglia che passò al regolare controllo della censura. La lettera fu fatta<br />

intercettare agli emiri di frontiera, e leggendone il contenuto modificato rispetto<br />

all’originale lo Shah scoprì il tentativo di tradimento e fece arrestare Mohammed<br />

Pasha.<br />

Un episodio simile (tema ricorrente a.b) si ritrova nelle versioni orali dove le<br />

lettere inviate da Khan in richiesta di aiuto vengono intercettate dagli emissari<br />

persiani e modificate, in modo che i destinatari non ne comprendano il significato.<br />

97 Attuali città di Ercis e Adilcevaz sulle sponde settentrionali del lago di Van, nella provincia di Bitlis in Turchia.


Gli storici commentatori concordano nell’affermare che nella storiografia<br />

safavide questo avvenimento ebbe un certo peso e che lo Shah fu seriamente<br />

impegnato nella repressione dell’insurrezione.<br />

Da parte curda viene data un’interpretazione indipendentistica del fatto<br />

storico, ed Emir Khan assurge al ruolo pionieristico di unificatore delle tribù curde e<br />

difensore dell’indipendenza e dell’autonomia del popolo.<br />

In effetti, proprio nel XVII secolo nelle corti curde cominciano ad essere<br />

formulate le prime idee nazionalistiche. Uno dei massimi esempi di questa tendenza<br />

è il famoso poema di Ahmed Khanî Mem û Zin, il primo della letteratura colta ad<br />

essere scritto in curdo. Il sommo esponente e fondatore della letteratura curda<br />

incoraggia il popolo a cercare l’unità, soprattutto attraverso la lingua, e smettere di<br />

soccombere ai dominatori stranieri.<br />

Nella storia curda, dunque, la battaglia di Dimidim assumeva i connotati della<br />

lotta di liberazione dall’oppressione persiana, e la strenua resistenza dell’emiro<br />

ribelle rappresentò il prodromo delle successive lotte per l’autonomia portate avanti<br />

da questo popolo.<br />

Purtroppo, come si è riferito altrove, il poema nella sua forma orale, ma anche<br />

nella memoria popolare ha perso la forza che doveva avere avuto un tempo, e<br />

sebbene la sua importanza nel panorama della letteratura orale sia di poco inferiore<br />

a quella del poema Mamê Alan (versione orale del poema di Ahmed Khanî) poiché<br />

non ne esistono rilevanti tradizioni scritte, ha ricevuto minor attenzione nel campo<br />

degli studi accademici.<br />

KELAÊ DIMDIM 65


66 CAPITOLO II – L’EPOS<br />

LA LEGGENDA DI KHAN LEPZÊRÎN, IL KHAN MANODORO<br />

L’altra fonte dalla quale si apprende la vicenda dell’eroe curdo Khan<br />

Manodoro e dell’assedio della fortezza è l’epica di tradizione orale.<br />

Oralisti, storici, viaggiatori, studiosi di materia curda hanno, in varie epoche,<br />

raccolto e trascritto i testi popolari recitati dai dengbêj. In particolare, uno dei<br />

maggiori folkloristi sovietici Ordikhane Celîl, di origini curde, ha dedicato all’epica<br />

di Dimdim una monografia dal titolo L’epos eroico curdo “Il Khan Manodoro” 98 , ad oggi<br />

ancora lo studio più importante e completo sul tema.<br />

Il saggio, definito dall’autore stesso “l’introduzione allo studio dell’epos” 99 , è<br />

composto da tre capitoli nei quali si delineano, nell’ordine: il fondamento storico<br />

della vicenda e un breve panorama del contesto curdo medioevale; le modalità di<br />

esecuzione nella tradizione orale, la diffusione e la storia della registrazione; il<br />

contenuto ragionato dell’epica. Nel volume, cosa di estremo interesse, sono inoltre<br />

riunite le trascrizioni in curdo, con le relative traduzioni in russo, dei testi di tutte le<br />

versioni orali pubblicate a partire dalla fine dell’Ottocento.<br />

Celîl sostiene che ancora negli anni Cinquanta l’epopea fosse molto nota e<br />

apprezzata in tutto il Kurdistan. Le sue ricerche si erano mosse in prevalenza nelle<br />

Repubbliche socialiste sovietiche di Armenia e Georgia, dove la presenza curda era<br />

massiccia. Dopo la disastrosa fine della Repubblica di Mahabad, inoltre, vi avevano<br />

trovato rifugio anche molti profughi del Kurdistan iracheno, ai quali l’epica era ben<br />

nota. Citando gli studi di altri ricercatori di inizio secolo, tra i quali V. F.<br />

98 O. Celîl, 1967.<br />

99 Traduzione a cura del Professor F. Sinatti.


Minorskij 100 , Celîl afferma che il poema fosse noto anche alla popolazione curda di<br />

Iran e Turchia.<br />

Il contenuto della leggenda non si discosta fortemente dal resoconto di<br />

Iskandar Beg, di cui si può supporre che già alla fine del XVII secolo circolassero in<br />

forma orale alcune parti.<br />

I punti di più stretta somiglianza tra la versione storiografica e l’intreccio<br />

desumibile dalle versioni orali sono la presenza dei personaggi storici quali Emir<br />

Khan Manodoro, Khan Mukrî, Shah ‘Abbas e in alcune versioni il generale<br />

persiano Hasan Khan [S.I.]; la descrizione dell’architettura della fortezza di<br />

Dimdim, munita di cisterne, pozzi e un acquedotto; la chiamata a raccolta<br />

dell’esercito dello Shah, con un elenco degli emiri suoi vassalli; l’uso di particolari<br />

armi da fuoco, come i cannoni, da parte dei persiani; il miracoloso arrivo, dopo una<br />

lunga siccità, di una pioggia salvifica che permette agli assediati di prolungare la<br />

resistenza; il tradimento da parte di alcuni fuoriusciti curdi; l’uccisione di alcuni capi<br />

persiani all’interno del proprio accampamento ingannati da un contingente di<br />

Curdi che simulano la resa.<br />

KELAÊ DIMDIM 67<br />

Lo Shah è ‘Abbas di Persia, ma in A.J. ad esempio, è confuso con Isma’il. È<br />

l’unico personaggio storico citato, fatta eccezione per Khan (Emir Khan) e Hasan<br />

Khan. È anche l’unico che non soggiace completamente alla logica del dualismo. Se<br />

in effetti dichiara guerra a Khan e assedia il castello per sconfiggere la ribellione dei<br />

curdi, mantiene anche un profondo rispetto per il valore dell’eroe e una devota<br />

100 Per una breve biografia di Vladimir Feodorov Minorskij (1877-1966), orientalista russo autore di numerosi<br />

studi in materia curda, vedere anche Encyclopædia Iranica on line (www.iranicaonline.org).


68 CAPITOLO II – L’EPOS<br />

amicizia per il khan dei curdi suo nemico, tant’è che lo manda a cercare tra i morti e<br />

feriti rimasti sul campo una volta conclusa la battaglia [H.S., H.A.].<br />

di Khan.<br />

leggenda.<br />

Il vero nemico è impersonato dal Califfo, che subito si accorge della ribellione<br />

Le differenze più notevoli riguardano gli episodi d’invenzione inseriti nella<br />

Un elemento molto caratteristico, e che frequentemente cambia da versione a<br />

versione è la localizzazione geografica della città di provenienza di Khan.<br />

Un villaggio o località di nome Hezarjut, secondo alcuni localizzato in Turchia<br />

[H.S.], secondo altri in Iraq vicino ad Aqra [F.B.], è citato con notevole frequenza<br />

come luogo di provenienza di Khan. Si nota anche che in S.I., vv. 24-26 il testo<br />

riporta:<br />

Xan hêtîme bû, min mezinkirdîye Khan è un orfano, io lo crescerò<br />

Kîja xo dayê bi hedîye, Gli darò poi mia figlia<br />

Kirîye serokê hezar cotyare Si metterà a capo di mille contadini<br />

li hezar cotê a mille aratri<br />

Se diamo per buona la trascrizione riportata da Celîl 101 , si può supporre che il<br />

testo abbia subito una traslazione e il paese dal nome parlante, Hezarjut (da hezar =<br />

mille e cot = aratro), sia derivato dalla fusione dei due vocaboli.<br />

In K.M. e O.D. Khan proviene da Amedî; dalla provincia di Khekar in A.J.<br />

101 In realtà si riscontrano incongruenze ortografiche anche all’interno della medesima trascrizione.


È chiamato Emir Khan [I.A.], il Khan dei Curdi (Xanî Kurdan) [I.A.]; Khan<br />

Abdal in A.J. e Khan Ahmed nella versione prosastica registrata da Mann e<br />

contenuta in Celîl; in K.K. è confuso con Khan Mukrî.<br />

Alcuni degli inserimenti della leggenda si trovano solo in alcune versioni. Ad<br />

esempio in B.B. e O.D. si raccontano alcune imprese compiute da Khan prima di<br />

mettersi sotto la protezione dello Shah, come la costruzione di opere di<br />

architettura. 102<br />

Altri si trovano in molte versioni, ad esempio il sogno profetico, grazie al quale<br />

Khan decide di costruire la fortezza, presente tutte le versioni ad eccezione di O.M.<br />

Ne riporto qui un esempio tratto da B.B.<br />

Lo Shah disse: “Una mosca nera è comparsa dal mio naso ha passato<br />

un ponte pieno di buchi che sovrastava un mare bianco, poi si è posata su una<br />

pila di pietre. Io sono entrato in quella pila di pietre, c’era una costruzione<br />

piena di denaro e quando ho aperto la porta tutto il denaro è caduto!” 103<br />

KELAÊ DIMDIM 69<br />

Alcuni avvenimenti, riportati anche nella storiografia, vengono rielaborati in<br />

chiave magica o miracolosa. Grazie ad un intervento divino Khan acquista la<br />

mobilità della protesi dorata, così come dopo una preghiera ad Allah si verifica il<br />

“miracolo” della pioggia fuori stagione, che riempie le cisterne ormai vuote della<br />

fortezza. Questo corrisponde a ciò che deve essere realmente accaduto, poiché<br />

102 Cfr. Appendice I, p. 219 e pp. 461-462<br />

103 Cfr. Appendice I, p. 220.


70 CAPITOLO II – L’EPOS<br />

l’attenzione dello storico fu colpita in modo particolare. Iskandar Beg, infatti, così<br />

commenta:<br />

A questo punto critico dell’assedio, la guarnigione fu salvata dallo<br />

scoppiare di temporali primaverili. A differenza dell’anno precedente questa<br />

volta furono continui e abbondanti. Per la volontà di Dio, che è al di là della<br />

comprensione umana, piovve ininterrottamente per un mese, ciò concesse alla<br />

guarnigione l’approvvigionamento d’acqua per sei mesi. 104<br />

Nel poema l’evento viene salutato come la risposta divina e inaspettata<br />

all’invocazione di Khan (F.B. vv. 364-366):<br />

Non è aprile non è maggio<br />

Siamo tra luglio e agosto<br />

Le nubi tuonarono<br />

e Serichkan si riempì 105<br />

L’incontro tra Khan Mukrî e Khan Manodoro è un particolare che emerge<br />

solamente nelle versioni orali. Storicamente le due tribù si erano affiliate proprio in<br />

vista della ribellione allo Shah. Khan Mukrî è il principale alleato di Khan.<br />

L’incontro tra i due avviene, nelle versioni più moderne compresa O.D., con le<br />

stesse modalità: Khan Mukrî offre un dono a Khan sperando di averne un beneficio<br />

e Khan lo accoglie come alleato.<br />

Nella versione O.M., più prossima al resoconto storico, l’alleanza tra il Khan<br />

dei Baradost e Khan Mukrî avviene in precedenza alla costruzione della fortezza e<br />

con l’esplicito intento di far guerra allo Shah.<br />

104 Iskandar Beg Munši, 1978, p. 1001.<br />

105 Cfr. Appendice I, p. 128.


Nelle versioni orali non viene menzionato l’ammutinamento dei Jalalî, alcuni<br />

dei quali passarono dalla parte curda, mentre ha un ruolo fondamentale e di<br />

assoluto spicco la figura del traditore a causa del quale gli eventi bellici subiscono<br />

una rapida virata a vantaggio dei persiani.<br />

Nella connotazione dualistica del racconto epico, il personaggio in assoluto più<br />

negativo è proprio il traditore, che viene meno alla lealtà nei confronti del proprio<br />

popolo e al proprio onore, e per questo disprezzato da ambo i contendenti, i curdi e<br />

lo Shah. Essere bugiardo e traditore lo rende bersaglio della punizione esemplare:<br />

viene sparato come un proiettile sulle mura della fortezza con un cannone.<br />

Nonostante la strategia persiana durante l’assedio sia effettivamente stata<br />

mirata alla distruzione delle sorgenti acquifere di Dimdim, l’episodio<br />

dell’inquinamento della sorgente compare solamente nella leggenda. Storicamente<br />

la cisterna più grande fu raggiunta e conquistata dai persiani, ma non manomessa.<br />

Alcune caratteristiche generali sulla modalità con cui vengono delineati i<br />

personaggi sono tipiche della narrazione epica.<br />

La descrizione è limitata a pochi tratti, che riguardano prevalentemente aspetti<br />

del carattere o ruoli sociali e rispecchiano il dualismo morale tra buoni e cattivi; eroi, i<br />

Curdi, e malvagi aggressori, i persiani.<br />

Così mentre Khan:<br />

KELAÊ DIMDIM 71


72 CAPITOLO II – L’EPOS<br />

Era un uomo scaltro e coraggioso [...] era un uomo intelligente e aveva<br />

molta esperienza. La gente non lo invidiava per la sua ricchezza ma per le<br />

sue doti. 106<br />

e Khan Mukrî:<br />

ovunque. 107<br />

Mahmid Alakanî:<br />

La fama di Khan Mukrî e il suo coraggio nella lotta si diffusero<br />

Ma lasciò in vita Mahmid Alekani, perché credeva fosse un uomo<br />

intelligente e un giorno avrebbe potuto essere utile 108 .<br />

Quel Mahmid il cui padre è morto. 109<br />

Walkhani era intelligente, ma molto loquace, per questo Khan gli aveva<br />

amputato un pezzo di lingua così quello non poteva parlare 110<br />

il Califfo:<br />

Lo stupido e cieco Califfo 111<br />

La descrizione fisica è quasi inesistente, o limitata ad elementi caratteristici<br />

dell’abbigliamento.<br />

106 I.A., Appendice I, p. 48.<br />

107 I.A., Appendice I, p. 70.<br />

108 H.S., Appendice I, p.175.<br />

Khan Mukrî si levò,<br />

109 F.B., v. 298, Appendice I. p. 126.<br />

110 I.A., Appendice I., p. 70.<br />

Con il copricapo di velo dorato<br />

111 H.S., v. 547, Appendice I, p. 191.


Indossò spada e armatura<br />

E a sera uscì<br />

Per andare alla preghiera. 112<br />

Molta parte della narrazione avviene sotto forma di dialogo e ogni<br />

personaggio è connotato prevalentemente dalla relazione che intrattiene con gli<br />

altri, oppure dal narratore che si rivolge in seconda persona, come fosse anche lui<br />

partecipe della vicenda in modo diretto, in quanto curdo.<br />

Durante la battaglia ad esempio:<br />

E ancora:<br />

«Oh pagano sii maledetto<br />

Segui la via della giusta guida<br />

Ti farò diventare una brava persona!»<br />

«Oh Khan sei un brav’uomo<br />

Sei un falco e noi ti cacciamo» 113<br />

Khan Mukrî è come un vecchio lupo<br />

Disse: «Oh Khan sei come un falco!»<br />

Disse: «Oh Khan sei come un corvo o una volpe!» 114<br />

Oppure contro il traditore:<br />

Perché hai fatto questo Mahmid Alakani?<br />

112 B.B., vv. 119-123, Appendice I, p. 228<br />

113 I.A., vv. 707-711, Appendice I, p. 79.<br />

114 I.A., vv. 807, 813, 817, Appendice I, p. 82.<br />

KELAÊ DIMDIM 73


74 CAPITOLO II – L’EPOS<br />

Che ti venisse una vescica sulla punta della lingua 115<br />

[Khan] disse: «Spero che Dio maledica la casa di Mahmid Alikani<br />

che gli venga una verruca sulla punta della lingua! / [...] / Quel<br />

Mahmid figlio di nessuno. 116<br />

Oltre a questi aspetti eroici, inoltre, ne emergono altri legati alla società tribale<br />

nella quale si è formata la leggenda. Particolari truci per un lettore occidentale,<br />

come l’uccisione di centinaia di operai innocenti per proteggere il segreto della<br />

fortezza, risultano accettabili in un contesto in cui il capo ha diritto e potere su tutto<br />

ciò che riguarda il proprio regno se il fine è la protezione della comunità.<br />

Altri risultano anche un po’ ridicoli, seppur rispondono alla retorica della<br />

narrazione: il figlio di Khan, ad esempio, combatte con la spada infilata nell’elsa,<br />

lamentandosi della sua cattiva fattura finché il padre non lo esorta a denudare la<br />

spada e a dimostrare la sua vera potenza in battaglia. Lo scopo è certamente dare<br />

enfasi maggiore alla forza di ‘Abdalbeg, facendo notare come combattendo con<br />

l’elsa ancora infilata possa uccidere lo stesso molti nemici.<br />

Altri particolari interessanti, specifici delle versioni orali, sono i dialoghi e le<br />

scene in cui compaiono personaggi femminili.<br />

Le donne curde sono un elemento di sfondo della narrazione. Sono anch’esse<br />

una voce del popolo. In una versione (O.M.) una principessa si lamenta con Khan<br />

quando si accorgono che l’acqua della sorgente è inquinata. La loro fedeltà alla<br />

causa curda si manifesta pienamente con la scelta di sacrificarsi piuttosto che<br />

115 F.B., vv. 294-295, Appendice I, p. 126.<br />

116 H.S., vv. 326 e segg., Appendice I, p. 182.


divenire schiave dei persiani. Uno dei possibili esempi è il seguente tratto da F.B. (vv.<br />

389-397):<br />

Le donne della tribù di Khan sono quaranta belle<br />

Si scambiano una coppa di veleno<br />

Una beve mentre altre quindici soffrono<br />

Le donne della tribù di Khan sono più di quaranta<br />

Si scambiano una coppa di veleno<br />

Una beve e quindici altre muoiono<br />

Le donne della tribù di Khan sono quarantasei<br />

La coppa di veleno si porgono rapidamente<br />

Una beve e altre quindici si sentono male 117<br />

Le due figure che si stagliano maggiormente rispetto alle altre sono la madre<br />

di Khan e la moglie di ‘Abdalbeg, figlia dello Shah che in alcune versioni ha nome<br />

Khan Parî, in altre Sitî.<br />

La madre di Khan assume il ruolo dell’anziano sapiente, poiché nella cultura<br />

curda le donne anziane sono rispettate alla stregua degli uomini, e rappresenta il<br />

modello della donna curda, saggia e coraggiosa. In A.J. ha nome Goar Khanum. A<br />

lei Khan chiede consiglio nei momenti più drammatici dell’assedio.<br />

117 Cfr. Appendice I, p. 129.<br />

Oh madre, oh madre<br />

Tu che indossi vestiti curdi<br />

Dammi il tuo consiglio e la tua opinione<br />

Distruggerò i pagani questa volta?» 118<br />

Disse: “Oh madre, oh madre!<br />

118 H.S., vv. 385-388, Appendice I, p. 300.<br />

KELAÊ DIMDIM 75


76 CAPITOLO II – L’EPOS<br />

In abiti curdi,<br />

Tu sei più anziana di me dammi un consiglio!» 119<br />

L’aspetto “patriottico” dell’epica di Dimdim è solitamente messo in luce dalla<br />

storiografia curda più recente. 120 L’episodio storico quanto l’epica, infatti, sono<br />

comunemente citati in relazione alla longevità della lotta del popolo curdo e alla<br />

persistenza nella politica e nell’immaginario collettivo dell’ideale dell’autonomia e<br />

del nazionalismo.<br />

Questo aspetto così pregnante per la storia curda non è in realtà molto<br />

preponderante nelle epiche, ma può trovare il suo spazio. Ad esempio I.A., nelle<br />

parti prosastiche dove ha una maggiore libertà di descrivere e commentare azioni e<br />

personaggi, descrive Khan Manodoro così:<br />

Quest’uomo era scaltro e coraggioso e il suo ideale era il patriottismo<br />

per la salvezza dei curdi. 121<br />

E più oltre altri commenti sulla storia curda più recente sono:<br />

Questo è una prova che Khan aveva mandato quelle lettere a sovrani<br />

curdi. Questo prova che come ha detto il presidente Barzani Kirkuk è il cuore<br />

dei curdi 122<br />

Li avevano sterminati. I curdi hanno sofferto umiliazioni dai tempi<br />

antichi fino ad oggi. 123<br />

119 F.B. vv. 331-333, Appendice I, p. 127.<br />

120 Cfr. per esempio Izady, 1992 e Abdul Malek, 2002.<br />

121 Cfr. Appendice I, p. 48.<br />

122 Cfr. Appendice I, p. 62<br />

123 Cfr. Appendice I, p. 75.


Mettere in risalto questo aspetto può essere dovuto a vari fattori, non ultimo la<br />

vicenda personale del cantore che, come già detto, 124 ha combattuto come peshmerga<br />

nella guardia di Mustafa Barzanî sui monti di Galala, durante la ribellione contro il<br />

regime Ba’ath.<br />

Non è da escludere che il commento possa essere stato formulato ad hoc in<br />

occasione della mia ricerca e, poiché avevo chiesto di ascoltare un’epopea che, come<br />

detto, esprime fortemente l’essenza dell’orgoglio nazionale curdo.<br />

Robert L. Brenneman, studioso e conoscitore di lunga data della cultura<br />

curda, nella sua ricerca dottorale, 125 afferma che per il popolo curdo la cultura<br />

tradizionale, intesa come l’insieme dei fattori che creano una differenza con i popoli<br />

limitrofi – la lingua, l’abbigliamento, i rituali, la musica e la danza, tutte le forme di<br />

tradizione orale – rappresentino una forma di resistenza rivolta ai dominatori e agli<br />

oppressori che storicamente hanno imposto al Kurdistan pesanti sofferenze.<br />

Questo elemento è talmente potente che arriva addirittura a rappresentare un<br />

carattere di identificazione etnica. Christian Kutschera, 126 in un saggio sui rapporti<br />

tra lingua cultura ed identità tra i curdi, lo evidenzia affermando come dalle<br />

interviste da lui condotte su un campione scelto tra la popolazione curda in diaspora<br />

di varia estrazione provenienza cultura ed educazione, emerga con prepotenza che<br />

uno dei tratti identitari peculiari, sia identificare l'essere curdo con una sofferenza<br />

per la continua condizione di lotta.<br />

124 Cfr. Capitolo I.<br />

125 Cfr. Brennemann, 2005.<br />

126 Cfr. Kutschera, 2005.<br />

KELAÊ DIMDIM 77


78 CAPITOLO II – L’EPOS<br />

Quelle che emergono sono caratteristiche soggettive, dunque, ma che<br />

“tipizzano” un insieme di valori culturali, che possono anche dirsi etnici. Seguendo la<br />

definizione di Ugo Fabietti:<br />

L’identità etnica e l’etnicità, cioè il sentimento di appartenere ad un<br />

gruppo etnico o etnia, sono […] definizioni del sé e/o dell’altro<br />

collettivi che hanno quasi sempre le proprie radici in rapporti di forza tra<br />

gruppi coagulati attorno ad interessi specifici. 127<br />

E ancora:<br />

Le etnie emergono come tali, solo in un contesto [di tipo] oppositivo e<br />

contrastivo. Sono sempre il prodotto di una storia caratterizzata da uno<br />

squilibrio nei rapporti di forza. 128<br />

In questa ottica oppositiva dal confronto con i persiani risulta abbastanza forte<br />

l’idea della cosiddetta kurdayati, cioè, come detto, quel sentimento di appartenenza<br />

alla etnia curda che aspira come prima cosa a rendersi autonoma, indipendente, a<br />

diventare nazione.<br />

Il personaggio principale, Khan Manodoro, è un magnifico esempio di questo<br />

“carattere” etnico: coraggio, valore in battaglia, spirito di sacrificio, fede<br />

incorruttibile nella dottrina ortodossa, difesa strenua del proprio popolo, del suo<br />

onore e della sua indipendenza. Si può dire che la sua parabola sia una<br />

rappresentazione della storia del popolo curdo.<br />

127 Cfr. Fabietti, 1998, p. 14.<br />

128 Cfr. Fabietti, 1998, p. 50.


Certamente bisogna notare che non tutte le versioni pongono lo stesso accento<br />

sul patriottismo, ma la questione assume anche sfumature diverse.<br />

In molte varianti si nota che le motivazioni del contrasto sono personali<br />

anziché politiche: Khan stringe amicizia con lo Shah per cercare protezione e<br />

presso di lui svolge una mansione importante, ma piuttosto umile, come il guardiano<br />

di bestiame. 129 Per riaffermare onore e dignità a seguito di un sopruso, presunto o<br />

realmente subito (non in tutte le varianti compare l’episodio del litigio con lo Shah o<br />

con il Califfo), fa in modo di scatenare l’aggressione armata dello Shah.<br />

«Khan disse a Khan Mukrî: “L’inverno è arrivato, dobbiamo darci<br />

alla rapina. Quando le carovane dello Shah che vanno ad Urmia si<br />

avvicineranno dobbiamo andar loro incontro e derubarle.”.<br />

Le carovane arrivarono, entrambi i khan andarono loro incontro, le<br />

derubarono e uccisero il figlio dello Shah [...]<br />

Urmia» 130<br />

Autunno, la neve coprì le vette,<br />

Di ghiaccio si coprirono le sorgenti,<br />

Le carovane dello Shah e del Califfo furono depredate nella pianura di<br />

Questo scatena l’ira del Califfo e l’incredulità dello Shah:<br />

Il Califfo disse allo Shah: “Perché tu ti convinca delle mie parole vai a<br />

guardare il corpo di tuo figlio”. Lo Shah uscì e quando scorse il corpo di suo<br />

figlio davanti alla porta del castello disse al Califfo:<br />

“ [...] adunate un grande esercito<br />

cosicché con esso possiate distruggere Khan”». 131<br />

KELAÊ DIMDIM 79<br />

129 L’economia persiana era sostanziata dallo sfruttamento agricolo delle terre, e altrettanto fondamentale era la<br />

pastorizia, gestita per lo più dalle tribù nomadi del regno.<br />

130 O.D. n° 42, Appenice I, p. 468.<br />

131 O.D. n° 49, Appendice I, p. 469.


80 CAPITOLO II – L’EPOS<br />

In questo frangente la questione religiosa assume un ruolo prioritario rispetto<br />

alla “resistenza nazionalistica”, e la battaglia contro i persiani assurge a difesa<br />

dell’ortodossia sunnita contro l’eresia sciita.<br />

«Oh Shah, oh Shah<br />

Il tuo servo Khan<br />

È diventato nostro nemico di fede» 132<br />

Il nemico, difatti, ha una connotazione esplicitamente legata alla religiosità:<br />

«Oh pagano [lo Shah] sii maledetto<br />

Segui la via della giusta guida<br />

Ti farò diventare una brava persona!» 133<br />

Una lettera fu inviata ad Ovest<br />

Un pagano sta arrivando da Ovest 134<br />

Nel testo compare il termine kafir un arabismo che significa “pagano”,<br />

“infedele” ed è il modo con cui i curdi sunniti si rivolgono ai persiani sciiti,<br />

denigrandoli.<br />

Nel momento di massima sopraffazione di uno degli avversari, il Califfo,<br />

l’offerta di clemenza è subordinata al riconoscimento della vera fede:<br />

132 H.S. vv. 179-181, Appendice I, p. 177.<br />

133 I.A., vv. 707-709, Appendice I, p. 79.<br />

134 H.A. vv. 310-311, Appendice I, p. 296.


«Califfo tu sei un miscredente<br />

Solleva il tuo indice per la shahada se la spada si avvicina all’anima 135<br />

In questo capitolo sono state presentate le fonti attraverso le quali è stata<br />

tramandata la storia della fortezza di Dimdim. Rispetto al resoconto storiografico,<br />

visto dalla parte dei persiani e fortemente incentrato sugli aspetti strategici messi in<br />

atto dallo Shah, nelle versioni orali dell’epopea la storia è elaborata in uno stile più<br />

“leggendario”, e il punto di vista si sposta, logicamente, dalla parte dei curdi.<br />

Inoltre, in queste versioni, si attribuisce maggiore importanza agli aspetti religiosi<br />

(Khan è definito dai persiani il “nemico di fede” dello Shah), i quali, sì, vennero<br />

usati strumentalmente nella contesa tra persiani, ottomani e curdi, ma che non ne<br />

furono il motivo scatenante.<br />

L’epopea si distingue per l’inserimento di particolari scene di “umanità”, quali<br />

l’incontro del protagonista, Khan Manodoro, con l’amico e alleato, Khan Mukrî; la<br />

disperazione per la morte di Abdalbeg, figlio Khan, durante la battaglia, la<br />

preoccupazione per la sorte delle donne. Le figure femminili, in effetti, assumono un<br />

certo rilievo nella narrazione, anche se limitatamente ad alcuni brevi passaggi. In<br />

particolare la madre di Khan Manodoro e la moglie di Abdalbeg.<br />

La leggenda è permeata anche da alcuni aspetti del magico, che risolvono<br />

alcune situazioni difficili per il protagonista: la mano d’oro prende vita per<br />

intercessione divina; un sogno premonitore precede e guida l’iniziativa a costruire la<br />

fortezza; quando la situazione sembra disperata, a seguito di una preghiera la<br />

pioggia comincia a cadere mettendo in salvo la guarnigione curda.<br />

135 H.S. vv. 581-582, Appendice I, p. 192.<br />

KELAÊ DIMDIM 81


82 CAPITOLO II – L’EPOS<br />

L’epopea si conclude con un’apertura verso un possibile riscatto alla sconfitta<br />

curda, infatti la giovane nuora di Khan Manodoro aspetta un figlio al quale, lei dice,<br />

spetterà di vendicare suo padre.<br />

Nel capitolo successivo si affronterà l’analisi formulaica e morfologica dei testi<br />

raccolti. Come si potrà vedere ogni cantore elabora la storia in modo diverso<br />

organizzando variamente i temi principali, inserendone altri e dedicando a ciascuno<br />

uno spazio non predeterminato o fisso.<br />

Dall’analisi formulaica si vedrà invece come l’elaborazione del materiale da<br />

parte dei cantori sia coerente con l’idea della composing performance anche se è molto<br />

probabile che ciascun cantore abbia elaborato e cristallizzato una propria versione<br />

dell’epica. Inoltre dall’analisi dei testi emerge come alcuni dei temi che<br />

compongono la storia siano caratterizzati dalla presenza di formule specifiche che<br />

ricorrono in versioni anche cronologicamente molto distanti.


CAPITOLO III – ANALISI DEI CANTI:<br />

IL TESTO<br />

Nell’epica orale, che l’argomento sia di derivazione storica o frutto di<br />

invenzione, il contenuto di base, ossia il nucleo inscindibile per poter riconoscere il<br />

medesimo soggetto, è generalmente arricchito da episodi di contorno che possono<br />

diventare strutturali ed essere tramandati come parte integrante della storia.<br />

Ogni cantore, basandosi sulle versioni che conosce, elabora il proprio modo<br />

per raccontare la stessa epopea e può scegliere di aggiungere, omettere, ampliare o<br />

restringere e modificare variamente le parti di cui il canto si compone.<br />

KELAÊ DIMDIM 83<br />

Per questo lavoro, come più volte detto in precedenza, è stato possibile<br />

analizzare e confrontare una serie di testi trascritti da registrazioni effettuate in<br />

diversi momenti a partire dall’inizio del Novecento in varie zone del Kurdistan.<br />

Questo ha permesso di valutare la somiglianza delle varianti non solo tra le<br />

esecuzioni dei cantori, ma anche attraverso le epoche e le località geografiche.<br />

Per l’analisi strutturale dei testi dell’epopea di Dimdim si è creduto opportuno<br />

avvalersi della teoria formulaica, elaborata e descritta da A. Lord ne Il cantore di<br />

storie 136 , e pienamente applicabile al contesto della tradizione epica orale curda.<br />

136 Cfr. Lord, 2005.


84 CAPITOLO III – IL TESTO<br />

Una delle questioni che immediatamente si pongono nell’analizzare la<br />

costituzione formale del beyt, sia da un punto di vista testuale che musicale, è la<br />

modalità di memorizzazione (e conseguentemente di esecuzione) adottata dal<br />

cantore.<br />

Durante la ricerca questa importante questione è stata affrontata direttamente<br />

attraverso interviste che contemplavano anche le domande: “Ricorda a memoria i<br />

canti che conosce?” o “Ha imparato a memoria il beyt di Dimdim?”. Le risposte<br />

offerte dai cantori della raccolta Bahdinan-2009 sono state tutte piuttosto simili: i<br />

cantori sostenevano con sicurezza di avere imparato il canto a memoria esattamente<br />

come lo ripetevano e di non improvvisare, elaborare al momento il testo.<br />

Accettando questo dato, bisognerebbe riconoscere a questi esecutori facoltà<br />

mnemoniche prodigiose, tenuto conto che alcuni di essi eseguivano il canto per la<br />

prima volta dopo anche vent’anni.<br />

Sempre dalle interviste è emerso che il beyt è stato appreso dalla voce di altri<br />

cantori durante l’infanzia o la giovinezza. Alcuni, modestamente, dicono di averlo<br />

imparato dopo un numero imprecisato di ascolti, altri di aver avuto bisogno di un<br />

unico ascolto per poterlo memorizzare e ripetere autonomamente.<br />

L’enfasi di una tale affermazione rende lecito il dubbio che una mole simile di<br />

versi recitati continuativamente, senza il sussidio di un supporto scritto o di versioni<br />

registrate, possa non essere effettivamente memorizzata e quindi ripetuta parola per<br />

parola anche a distanza di tempo e senza un regolare esercizio, bensì riadattata<br />

attraverso la tecnica della composing perfomance.


Purtroppo non è stato possibile verificare nell’immediato se ciascuno dei<br />

cantori potesse ripetere il beyt in maniera identica.<br />

D’altra parte è vero che, come sostiene Lord 137 , l’applicazione della tecnica<br />

formulaica nell’elaborazione estemporanea di una narrazione orale, non comporta<br />

necessariamente la continua reinvenzione dell’intero canto o di parti di esso. Il<br />

cantore, una volta elaborata la propria versione, ne memorizza per “economia” le<br />

parti cantate, che potrà ripetere con minime variazioni ad ogni nuova esecuzione.<br />

Dovrebbe, inoltre, essere ponderato il significato del termine memorizzare. Se<br />

la memorizzazione e la trasmissione del canto si realizzassero effettivamente “parola<br />

per parola” non si potrebbe parlare di composing performance. Se invece, come pare più<br />

probabile, la memoria fosse “approssimativa”, il cantore dovrebbe poter fare uso di<br />

stereotipi, dunque formule, per ricostruire la storia.<br />

Nel caso del beyt di Dimdim, dunque, si può considerare come molto probabile<br />

l’ipotesi che il cantore ripeta a memoria, “parola per parola”, un canto generato<br />

attraverso la tecnica della composing performance, da lui stesso o da altri, ma non è<br />

neanche da escludere che, attraverso tale tecnica, il testo venga riadattato, ricreato,<br />

modellato all’occorrenza, nel momento stesso dell’esecuzione.<br />

Un ulteriore supporto nell’analisi testuale è costituito dalla teoria degli oicotipi<br />

elaborata da M. Chyet nella propria dissertazione dottorale sul poema amoroso<br />

curdo di Ahmed Khanî Mem û Zin. 138<br />

137 Cfr. Lord, 2005, p. 134.<br />

138 Cfr. Chyet, 1991.<br />

KELAÊ DIMDIM 85


86 CAPITOLO III – IL TESTO<br />

Chyet utilizza, mutuandolo dalla biologia, il termine oicotype, “oicotipo” (dal gr.<br />

oicos = luogo), riferendosi al fenomeno che ha osservato analizzando un ampio corpus<br />

di trascrizioni di Mem û Zin. L’oicotipo sarebbe la versione “locale” di una<br />

determinata narrazione orale, quella particolare “specie” o “tipo” conosciuta e<br />

tramandata da cantori provenienti dalla medesima zona geografica, dialettale o<br />

micro-culturale. L’oicotipo è caratterizzato da alcuni aspetti narratologici, quali scelta<br />

e successione degli episodi, personaggi e nomi, luoghi di riferimento che compaiono<br />

simili o identici, mentre si discostano da quelli di versioni provenienti da altre<br />

“località”.<br />

Nell’analisi dei testi delle varianti dell’epica di Dimdim si è cercata conferma<br />

di questa teoria.<br />

Nel caso del Kurdistan la “località”, intesa come micro-area all’interno di una<br />

più vasta area linguistico-culturale omogenea, si può considerare determinata dal<br />

dialetto o sottodialetto che vi si parla (vedi Introduzione). Il Bahdinan è una regione<br />

dialettalmente e geo-politicamente unita ed omogenea e l’ipotesi che esista un<br />

oicotipo-bahdini dell’epopea di Dimdim trova conferma nell’analisi delle varianti.<br />

Un ulteriore e più ampio studio, da effettuarsi in varie zone del Kurdistan,<br />

potrebbe chiarire in quali aspetti, in particolare, si creano e stabiliscono le differenze<br />

e quanto le variazioni linguistiche incidano sulla costruzione formale e sul contenuto<br />

della narrazione orale.


Oltre che a livello geografico, i materiali a disposizione, seppur non ingenti in<br />

termini quantitativi, permetterebbero di sostenere la teoria degli oicotipi anche a<br />

livello temporale.<br />

Si riscontrano, infatti, somiglianze notevoli tra le versioni della raccolta<br />

Bahdinan-2009, le due più recenti della raccolta di Celîl che risalgono al 1939<br />

(K.K.) e al 1957/58 (O.D.), le due versioni contenute in Zargotina Kurda entrambe del<br />

1958 (K.M. e S.I.), la versione anonima di Göttingen dell’inizio degli anni Novanta<br />

del Novecento (A.D.1).<br />

K.K. conserva la voce di un esponente della tribù Jalalî, la cui versione è in<br />

dialetto kurmanji ed è stata registrata in una regione molto vicina a Urmia, dove<br />

ebbe luogo il fatto storico, inoltre prossima al Bahdinan; O.D. è in dialetto bahdini e<br />

proviene dalla regione del Barzani, che si trova nel distretto amministrativo quello di<br />

Duhok, lo stesso nel quale sono state registrate le versioni di Bahdinan-2009; sia<br />

K.M. che S.I. furono registrate nella Repubblica sovietica dell’Uzbekistan da<br />

rifugiati curdi originari (il primo del Barzan, l’altro del distretto di Aqra, entrambi<br />

situati in Bahdinan); A.D.1 è stata acquistata, forse direttamente registrata, in<br />

Bahdinan.<br />

KELAÊ DIMDIM 87<br />

Nei repertori delle popolazioni vicine non è affrontato il soggetto della<br />

battaglia di Dimdim, ma grazie ai cataloghi compilati dai folkloristi A. A. Aarne e S.<br />

Thompson, il Types of the Folktales (“Indice dei tipi di fiabe”) di Aarne-Thompson, e<br />

nel Motif-Index of Folktales (“Indice dei motivi dominanti”) del solo Thompson, si<br />

possono però individuare alcuni temi presenti anche in altre tradizioni popolari.


88 CAPITOLO III – IL TESTO<br />

L’episodio del leone fa parte della tipologia H1360 (Ricerca di animali pericolosi)<br />

nel Motif-Index, infatti:<br />

Non v’è area culturale che non abbia le sue ricerche pericolose, fra cui<br />

popolarissime quelle di animali particolarmente feroci che potrebbero<br />

facilmente uccidere l’eroe. 139<br />

Un altro è il motivo della pelle di bue, classificato come K185 (L’acquisto di una<br />

terra basato sull’inganno) nel Motif-Index e come tipo 2400 (Il terreno misurato con la pelle<br />

del bue) nel Types. Thompson lo descrive come:<br />

[...] uno dei più antichi esempi di affari truffaldini [...]. La storia<br />

compare sotto forma di leggenda non solo in Virgilio [episodio di Didone<br />

nell’Eneide, N.d.R.], ma anche in Erodoto, nell’antica letteratura buddhista,<br />

nelle saghe islandesi e nella Historia Britonum di Geoffrey of Monmouth,<br />

mentre piuttosto rare sono le sue apparizioni come fiaba orale. 140<br />

Un altro motivo è classificato come X913 (Il ragazzo sparato dal cannone) nel<br />

Motif-Index e tipo 1880 nel Types e illustra la punizione esemplare di un bugiardo.<br />

Per esaminare nei particolari le versioni si deve partire dal contenuto di base,<br />

quello per cui la narrazione rimane riconoscibile.<br />

Chiameremo invarianti gli argomenti che caratterizzano la storia e permangono<br />

sostanzialmente inalterati nella maggior parte delle versioni raccolte.<br />

139 Cfr. Thompson,1994, p. 471.<br />

140 Cfr. Thompson, 1994, p. 282.


La struttura dell’epica di Dimdim – il cui argomento fondamentale, è la<br />

ribellione del capo curdo Khan Manodoro allo Shah di Persia – si basa su tre<br />

invarianti, rintracciabili identici in tutte le versioni considerate, comprese quelle della<br />

raccolta di Celîl non afferenti a quello che è stato definito oicotipo-bahdini.<br />

Gli invarianti sono: 1) la costruzione della fortezza inespugnabile di Dimdim; 2)<br />

l’assedio di questa da parte dello Shah a capo di un esercito di persiani; 3) la<br />

definitiva disfatta curda a causa di un tradimento.<br />

Ognuna delle versioni si differenzia nell’ordine e nella modalità di<br />

presentazione degli episodi che definiremo “temi”, per la lunghezza e la ricchezza di<br />

particolari con cui sono presentati, oltre che nell’uso di formule e motivi poetici di<br />

cui si dirà più avanti.<br />

ANALISI FORMULAICA<br />

Una delle peculiarità delle narrazioni popolari orali è la ricorrenza di versi,<br />

modi di dire, gruppi di parole, figure retoriche (come ad esempio la similitudine) che<br />

possono raggrupparsi entro l’accezione di formula.<br />

KELAÊ DIMDIM 89<br />

Il discorso sulla composizione estemporanea dei cantori epici popolari<br />

attraverso l’uso di formule è stato ampiamente affrontato in primis da A. Lord.<br />

L’applicazione di questo tipo di tecnica all’epica curda e in particolare al beyt di<br />

Dimdim è senza dubbio possibile, ma una ricerca veramente sistematica a riguardo,<br />

avrebbe richiesto una mole più estesa di materiale e soprattutto una o più ripetizioni<br />

dell’esecuzione da parte del medesimo cantore, anche a distanza di tempo. A causa


90 CAPITOLO III – IL TESTO<br />

della logistica non sempre agevole e del limitato tempo a disposizione per la ricerca<br />

sul campo, ciò non è stato possibile.<br />

Il confronto tra versioni cronologicamente distanti dell’epica si è rivelato,<br />

d’altra parte, un metodo altrettanto efficace per vagliare la presenza e la<br />

permanenza di formule, con risultati interessanti e a volte inaspettati. Tale analisi è,<br />

stata applicata alle versioni di Bahdinan-2009, alle versioni raccolte nel saggio di<br />

Celîl, ad A.D.1 e alle due versioni contenute in Zargotina Kurda.<br />

Motivazioni dell’applicazione della Teoria Formulaica<br />

L'interesse nel tentare un’analisi formulaica è dovuto anche ad<br />

un’affermazione dello stesso Celîl:<br />

La maggior parte dei frammenti cantati fondamentalmente coincidono<br />

nelle diverse varianti e talvolta si ripetono testualmente. Ciò dà diritto a<br />

ritenere che l’epos “Khan Manodoro”, all’inizio aveva un’unica forma in<br />

versi 141<br />

Questa affermazione è certamente datata. 142 Inoltre, nelle versioni riportate<br />

nel saggio (tutte quelle fino ad allora pubblicate) questa coincidenza non risulta così<br />

evidente. Piuttosto, si potrebbe dire, viene avvalorata la tesi della formulaicità<br />

dell’epica, poiché nella maggior parte dei casi non si trovano ripetute sezioni intere<br />

o passaggi ampi, come risulterebbe se uno stesso originale fosse stato memorizzato<br />

141 Cfr. Celîl, 1967.<br />

142 Probabilmente Celîl, all’epoca della pubblicazione del saggio citato, non era a conoscenza della<br />

teoria formulaica elaborata ne Il cantore di storie, pubblicato nel ’60.


anche approssimativamente, bensì ricorrono tra le varie versioni versi singoli ed<br />

elementi caratterizzanti, come epiteti, verbi, locuzioni.<br />

Riporto, inoltre, l’idea di M. Chyet che studiare i poemi curdi, indubbiamente<br />

di natura orale, applicando l'analisi formulaica sia indispensabile per una miglior<br />

comprensione del testo e dei versi che compongono le parti cantate. Chyet, nella sua<br />

ricerca dottorale, ha raccolto le trascrizioni dei testi dell'epica curda Mem û Zin 143 –<br />

trascrizioni che definisco mute perché prive di una versione sonora – effettuate da<br />

etnologi e folkloristi in varie epoche, ma avendo a disposizione solo il testo scritto, e<br />

un’unica esecuzione di ciascun cantore, ha orientato l’analisi sulla composizione del<br />

verso e l'elaborazione della macro-forma anche attraverso l'uso delle formule.<br />

Si è pensato, dunque, di applicare l’analisi formulaica sia per verificare la<br />

teoria della composizione estemporanea, sia, dando questa per scontata, per<br />

valutare le modalità di costruzione del verso. Infatti, questo tipo di analisi può essere<br />

di aiuto per approfondire meglio alcune questioni di metrica sulle quali gli studiosi<br />

non sono sempre concordi: la natura del verso popolare curdo e la forma metrica<br />

delle parti cantate dei beyt.<br />

Metodologia per l’individuazione delle formule<br />

KELAÊ DIMDIM 91<br />

143 Poema fondativo della letteratura curda, scritto da Ahmedê Khanî nel XVII secolo ma già esistente<br />

in forma orale con il nome di Mamê Alan. Le versioni raccolte nel saggio di Chyet sono state trascritte<br />

da studiosi in varie epoche e in varie parti del Kurdistan e appartengono tutte indubbiamente ad una<br />

tradizione orale popolare.


92 CAPITOLO III – IL TESTO<br />

Lord e Parry definiscono la “formula” come<br />

Un gruppo di parole adoperate con regolarità nelle medesime<br />

condizioni metriche per esprimere una data idea 144<br />

In particolare, Lord individua come formule più stabili quelle espressioni<br />

ricorrenti individuate tramite una serie di criteri “connotativi”, che indicano: a)<br />

nomi dei protagonisti, dunque epiteti o luoghi d’origine; b) azioni principali,<br />

comprendendo in questa categoria le azioni più frequenti, descritte anche solo<br />

attraverso un verbo ricorrente, o una coppia [verbo + complemento] associata a<br />

soggetti variabili; c) tempo, il momento in cui si verifica l’azione; d) luogo, attraverso<br />

costruzioni grammaticali riconoscibili.<br />

Tramite questa categorizzazione è possibile rintracciare alcune formule.<br />

Ad esempio, nella categoria nomi si possono individuare alcuni modi per<br />

riferirsi al protagonista: Xana kurda (“il khan dei curdi”), Xanê Lepzerin (“Khan<br />

Manodoro”), Xan sor (“il khan rosso”). I paragoni con animali sono frequenti nella<br />

descrizione dei combattenti di entrambe le fazioni: Ya şêr û pilingêt kurdane (“voi siete i<br />

leoni e le tigri del Kurdistan”, I.A. v. 141), Bo şerî b’şîr û beraze (“la guerra dei leoni e<br />

dei maiali”, H.A. v. 821), ‘Heft şêrin sî sed pilinge/‘Heft şêrin sî sed qulinge (“Sono sette<br />

leoni e trecento tigri/sono sette leoni e trecento gru”, F. B. vv. 141-142), e anche<br />

Xanî Mokrî gorgî pîre (“Khan Mukrî è come un vecchio lupo”, I.A. v. 806).<br />

Una locuzione che ricorre, e in alcune versioni con una certa frequenza, nella<br />

descrizione della fortezza è Dila Dimdim û Xan têda (“Amata Dimdim che proteggi<br />

144 Lord, 2005, p.85.


Khan”). 145 Questa formula sembra avere in molti casi una funzione di conclusione o<br />

cesura interna, nel senso che può chiudere, come una sorta di ritornello, un<br />

argomento all’interno di un tema o in molti casi una sequenza cantata, può<br />

separare un episodio dal successivo, o può, infine, essere utilizzata come<br />

“intercalare”. Tale formula non si trova nelle versioni più antiche.<br />

Tra le formule indicanti azioni si individuano alcuni verbi usati con molta<br />

frequenza. Ad esempio il verbo rabûn (“alzarsi”) e i verbi çûn o herîn (“andare”) usati<br />

in combinazione e spesso nella formula a) [soggetto], b) rabû c) çû d)<br />

[complemento di moto a luogo]. Questa formula è spesso usata, in<br />

concomitanza con una formula “temporale”, in apertura di una sequenza cantata.<br />

Le formule che danno una collocazione temporale all’azione e che sono<br />

spesso utilizzate come incipit delle sezioni cantate 146 , sono una sorta di stereotipo: Çi<br />

spêdeye spêde zîye (“Che mattino è, è mattino presto!”), Çi spêdeye hêşta zûye (“Che<br />

mattino è, è ancora presto!”), Çi evare direngîye (“Che sera è, è tardi! “), Çi şeveke Xodî<br />

daê (“Che notte Dio ha creato”). Questo tipo di formula verrà analizzato meglio più<br />

avanti.<br />

KELAÊ DIMDIM 93<br />

Per rintracciare le formule è stato decisamente utile appoggiarsi alla ricerca di<br />

Chyet su Mem û Zin ed utilizzare i criteri che anch’egli individua 147 come più idonei<br />

145 Per l’elenco delle ricorrenze si veda la tabelle in Appendice III.<br />

146 In particolare in H.S.<br />

147 Cfr. Chyet, 1991, pp. 147 e segg.


94 CAPITOLO III – IL TESTO<br />

per la poesia orale curda. Tali criteri permettono di individuare come formule, le<br />

stringhe che:<br />

1. compaiono un’unica volta in un canto, ma hanno evidenti paralleli in<br />

altre versioni;<br />

2. compaiono più di una volta in un canto. 148<br />

Uno spoglio accurato delle versioni dell’epopea in forma di beyt ha permesso di<br />

individuare versi comuni o simili tra le versioni. La loro successiva comparazione ha<br />

permesso di rintracciare quelle che, secondo i criteri precedentemente esposti,<br />

possono essere definite formule. Tali formule sono state catalogate in modo sinottico<br />

e classificate per tipo (vedi tabella in Appendice III).<br />

Conseguentemente, è stato valutato il ruolo delle formule nella costruzione di<br />

temi specifici, ovvero la presenza ricorrente di versi o gruppi di versi in<br />

corrispondenza del medesimo tema.<br />

Esempi<br />

Tipologia formula 1: ricorre una volta in una versione, ma ha<br />

paralleli in altre versioni<br />

Di seguito verranno analizzati alcuni passaggi contenenti la prima tipologia di<br />

formula della classificazione di Chyet, ossia quella che, pur essendo presente anche<br />

una sola volta in una versione del poema, abbia evidenti paralleli in altre versioni.<br />

148 Un terzo criterio – [Le formule] sono condivise con altre narrazioni dello stesso genere – non è stato<br />

utilizzato poiché il campione di testi selezionato non prevedeva opere di altro argomento. Potrebbe<br />

essere spunto per approfondimenti ulteriori in altri lavori.


Alcune delle formule che appartengono a questa categoria sono utilizzate<br />

esclusivamente in relazione ad uno specifico tema e non vengono adoperate altrove.<br />

Questo argomento è valido soprattutto quando le formule compaiono in gruppo 149 ,<br />

come nei casi esemplificati di seguito.<br />

Primo esempio<br />

Il seguente breve esempio è estrapolato dalla parte finale del poema, in<br />

corrispondenza del tema 10.4 (Morte di Abdalbeg). 150<br />

1. I.A. vv. 908-911<br />

‘Ebdalbegô tu nezanê Abdalbeg sei un ignorante<br />

Xanî babî tu nezanê Anima di tuo padre sei un ignorante<br />

Şîrê derbîne ji nav kevlanê Togli la spada dal fodero,<br />

Dî zerê û komzirê digel xodanê [Taglierà] l’oro delle armature<br />

2. F.B. vv. 571-575<br />

con il padrone!»<br />

«‘Ebdalbego tu ê nezanê «Abdalbeg tu non sei furbo!<br />

Tu şîr ê b’kêşe ji kavlanê Tira fuori la tua spada dall’elsa<br />

Da birît zirêt xodanê» Essa taglia l’armatura e il padrone»<br />

3. H.S. vv. 669-671<br />

Gotî: «‘Ebdalbego te çendî nezanê Gli disse: «Abdalbeg sei così stolto!<br />

Tu şîrê bikêşe ji kavlanê Tira fuori la spada dall’elsa<br />

Da tu ‘hinêra şîrê bizanê!» Per conoscere il potere della spada!»<br />

4. B.B. vv. 423-425<br />

KELAÊ DIMDIM 95<br />

149 Chyet fa riferimento al concetto di formula cluster, elaborato da Ritzke-Rutherford e da lui riadattato al contesto<br />

della poesia orale curda (Chyet, 1991, p 149).<br />

150 Vedi paragrafo successivo.


96 CAPITOLO III – IL TESTO<br />

Got: «Babo ‘Ebdalbego tu Khan disse: «Abdalbeg tu sei un<br />

çendî nezanê ignorante!<br />

Tu şirî bikêşe ji kavlanî Tira fuori la spada dall’elsa<br />

Da ‘hinîra wê şirê bizanê Per conoscere il potere della spada.<br />

5. H.A. vv. 763-765<br />

«‘Ebdalbego tu yî nezanê «Abdalbeg sei uno stupido!<br />

De bo şîrê bikêşe ji kafilanê Tira fuori la spada dal fodero!<br />

Dibirit zirxo biriye digele xodanê!» Taglia un’armatura con il<br />

6. O.D., n°110<br />

Xan yê lê ramînît, Il khan ci pensò su,<br />

proprietario!»<br />

E’bdal-beg şiri kavlan datînît. Abdalbeg rispose la spada nell’elsa.<br />

Xanê Lepzêrîn dibejitê: Khan Lepzerin dice:<br />

«Babo, tu ne min yê dînî «Caro, non hai perso il senno?<br />

Şîrî be kavlan ve datînî, Hai riposto la spada nell’elsa,<br />

Şîrî k’eşa ji kavlanê, Tira fuori la spada dall’elsa<br />

De birit hesp û zîn û xudanê» Essa taglia il cavallo, la sella<br />

7. K.M., vv. 557-563<br />

e il padrone<br />

Xanê Kurda dibête: Il Khan dei Curdi disse:<br />

«Hey kurê min, xan E’vdal-beg, «Ehi, figlio mio, khan Abdalbeg<br />

tu çendê dinî, quanto sei pazzo?<br />

Şîrî ji kavlani derbîne, Tira fuori la spada dall’elsa<br />

Şîrêd wekî şîrê te çenebune, Una spada come la tua è una<br />

protezione<br />

Şîrê te li asinê birûsîyêye, Il ferro della tua spada è come il lampo<br />

Çi gava tu radiwaşîni, Adesso sferzala<br />

Dê xodani birît, nahêl zîni» Essa taglia il padrone e la sella


8. E.P., vv. 506-507<br />

senza sforzo<br />

Avdel-beg şerê helbestî, Abdalbeg tornò in battaglia<br />

Şir bi kavlan va hate destî Estrasse la spada dall’elsa<br />

I passaggi in questione sono estremamente simili e alcuni versi, che compaiono<br />

in più di una versione, possono essere considerati formule. Indicherò tali formule<br />

con le lettere minuscole tra parentesi quadre:<br />

[a]<br />

I.A. vv. 908-909 (es. 1)<br />

‘Ebdalbegô tu nezanê Abdalbeg sei un ignorante<br />

Xanî babî tu nezanê Anima di tuo padre sei un ignorante<br />

F.B. v. 571 (es. 2)<br />

«‘Ebdalbego tu ê nezanê «Abdalbeg tu non sei furbo!<br />

H.S. v. 669 (es. 3)<br />

Gotî: «‘Ebdalbego te çendî nezanê Gli disse: «Abdalbeg sei così stolto!<br />

B.B. v. 423 (es. 4)<br />

Got: «Babo ‘Ebdalbego tu Khan disse: «Abdalbeg tu sei un<br />

çendî nezanê ignorante!<br />

H.A. v. 763 (es. 5)<br />

«‘Ebdalbego tu yî nezanê «Abdalbeg sei uno stupido!<br />

KELAÊ DIMDIM 97<br />

La struttura di questa formula prevede i seguenti elementi: a) [Vocativo] –<br />

‘Ebdalbego negli esempi 1 v. 908, 2, 3, 5; Xanî babî nell’esempio 1 v. 909 e Babo<br />

‘Ebdalbego nell’esempio 4 –, b) tu nezanê (forma negativa, tempo presente, seconda


98 CAPITOLO III – IL TESTO<br />

persona singolare del verbo zanîn = sapere, da tradurre letteralmente con “tu non<br />

sai”) ed un eventuale elemento c) [complemento oggetto] – çendî = quanto,<br />

presente negli esempi 3 e 4; yî = questo, nell’esempio 5. Questi elementi sono<br />

disposti nell’ordine a-b e a-c-b , quando compare il complemento oggetto.<br />

Lo stesso concetto è espresso con una formula simile nelle seguenti versioni:<br />

[a.1]<br />

O.D. (es. 6)<br />

Xanê Lepzêrîn dibejitê: Khan Lepzerin dice:<br />

«Babo, tu ne min yê dînî «Caro, non hai perso il senno?<br />

K.M., vv. 557-558 (es. 7)<br />

Xanê Kurda dibête: Il Khan dei Curdi disse:<br />

«Hey kurê min, xan E’vdal-beg, «Ehi, figlio mio, khan Abdalbeg<br />

tu çendê dinî, quanto sei pazzo?<br />

Il primo verso è formato da [vocativo] (Xanê Lepzêrîn nell’es. 6 e Xanê Kurda nell’es.7)<br />

+ [verbo bêjin = dire].<br />

pazzo.<br />

= elsa.<br />

Il secondo verso è formato da [vocativo] + espressioni contenenti [tu dînî] = sei<br />

[b]<br />

La formula seguente è caratterizzata dalla presenza dei termini şîr = spada e kavlan<br />

I.A. v. 910<br />

Şîrê derbîne ji nav kevlanê Estrai la spada dall’elsa,


F.B. v. 527<br />

Tu şîrê b’kêşe ji kavlanê Tira fuori la tua spada dall’elsa<br />

H.S. v. 670<br />

Tu şîrê bikêşe ji kavlanê Tira fuori la spada dall’elsa<br />

B.B. v. 424<br />

Tu şirî bikêşe ji kavlanî Tira fuori la spada dall’elsa<br />

H.A. v. 764<br />

De bo şîrê bikêşe ji kavlanê Tira fuori la spada dal fodero!<br />

O.D.<br />

Şîrî k’eşa ji kavlanê, Tira fuori la spada dall’elsa<br />

K.M. v. 559<br />

Şîrî ji kavlani derbîne, Tira fuori la spada dall’elsa<br />

E.P. v. 507<br />

Şir bi kavlan va hate destî Estrasse la spada dall’elsa<br />

KELAÊ DIMDIM 99<br />

Negli esempi da 1 a 6 (versioni della raccolta Bahdinan-2009 e O.D.) la<br />

costruzione della formula vede il termine şîr (“spada”) usato ad inizio verso e il<br />

termine kavlan (“elsa”) come parola rima. 151 I componenti della formula sono i<br />

seguenti: a) tu, pronome personale, seconda persona singolare, in funzione di<br />

soggetto (questo elemento manca nell’es. 1, I.A.), b) şîr = la spada, in funzione di<br />

complemento oggetto, c) verbo imperativo (b’kêşe, da kêşîn = tirare fuori, derbîne =<br />

151 Nell’esempio 5 non è chiaro l’uso delle particelle de bo che introdurrebbero un complemento di mezzo.


100 CAPITOLO III – IL TESTO<br />

der+bûn = estrarre), d) complemento di moto da luogo (ji (nav) kavlanê =<br />

dall’elsa). Un particolare interessante è che I.A. usa lo stesso verbo di K.M., ma con<br />

una diversa costruzione.<br />

In K.M. e E.P. le posizioni dei due termini chiave cambiano. Entrambi<br />

occupano il primo emistichio e la costruzione risulta: b) şîrî/şîr in funzione di<br />

soggetto, d) complemento di moto da luogo (ji kavlani/bi kavlani), c) verbo<br />

(derbîne/va hate destî = prese con la mano).<br />

Il parallelismo è comunque evidente.<br />

La terza formula, come la precedente, vede l’uso ricorrente di due termini:<br />

xodan (“signore, padrone”), in genere come parola rima, e del verbo birîn<br />

(“tagliare”).<br />

[c]<br />

I.A. v. 911<br />

Dî zerê û komzirê digel xodanê [Taglierà] l’oro delle armature<br />

F.B. v. 575<br />

con il padrone!»<br />

Da birît zirêt xodanê» Essa taglia l’armatura e il padrone»<br />

H.A. v. 765<br />

Dibirit zirxo biriye digele xodanê!» Taglia un’armatura con il<br />

O.D.<br />

proprietario!»<br />

De birit hesp û zîn û xudanê» Essa taglia il cavallo, la sella<br />

e il padrone


K.M. v. 563<br />

Dê xodani birît, nahêl zîni» Essa taglia il padrone e la<br />

sella senza sforzo<br />

In H.S. e B.B. nella stessa posizione si trova questa altra formula.<br />

[c.1]<br />

H.S. v. 671 (es. 3)<br />

Da tu ‘hinêra şîrê bizanê!» Per conoscere il potere della spada!»<br />

B.B. v. 425 (es. 4)<br />

Da ‘hinîra wê şîrê bizanê Per conoscere il potere della spada!»<br />

La costruzione è la seguente: da = affinché, tu = tu, soggetto, ‘hinêr = talento,<br />

şîrê = della spada, complemento di specificazione, bizanê = conosca, imperativo di<br />

zanîn. In B.B. non è chiaro l’uso del pronome wê = di essa, poiché l’oggetto (şîrê, “la<br />

spada”) viene esplicitato.<br />

Le versioni in cui compare questo gruppo di formule sono tutte<br />

geograficamente vicine, e questo confermerebbe, anche per l’epopea di Dimdim, la<br />

teoria dell’oicotipo.<br />

KELAÊ DIMDIM 101<br />

Inoltre, è interessante che O.D. e K.M., versioni raccolte alla fine degli anni<br />

Cinquanta, presentino un ordine logico degli avvenimenti leggermente diverso<br />

rispetto alle versioni più moderne (Bahdinan-2009). L’ordine nelle versioni più<br />

antiche risulta: 1) Abdalbeg combatte i nemici ma è insoddisfatto della spada, allora


102 CAPITOLO III – IL TESTO<br />

2) la ripone nell’elsa, 3) viene esortato dal padre ad estrarla nuovamente. Nelle<br />

versioni più recenti invece sembra ci sia stata una crasi concettuale tra 1) e 2),<br />

dunque Abdalbeg combatte bizzarramente con la spada nell’elsa e 3) il padre lo<br />

redarguisce. La mia ipotesi è che ci sia stata una lieve mutazione nella trasmissione e<br />

che l’omissione di alcuni versi abbia modificato l’originale svolgimento della scena.<br />

Un altro particolare interessante è fornito dalla presenza del verso şîrê te li asinê<br />

birûsîyêye, (“Il ferro della tua spada è come il lampo”, K.M. v. 561). È anch’esso una<br />

formula che compare in altre versioni del poema in corrispondenza del tema accessorio d:<br />

spade (H.S. v. 479, B.B. vv. 340, 349, H. A., 459, 594, 638).<br />

Secondo esempio<br />

Questo esempio mostra l’uso di uno stereotipo per la comparazione. Viene<br />

utilizzato in concomitanza del tema 6 (Inizio dell’assedio). La costruzione è<br />

leggermente diversa nelle varie versioni, ma i termini rimangono gli stessi.<br />

1. I.A., vv. 391-393<br />

Wekê stêrîn esmane ne Sei come una stella del cielo!<br />

Her wekê xîzê deva ne Ma loro sono come sabbia<br />

sulla spiaggia<br />

Her wekê xîzê deva ne Ma loro sono come sabbia<br />

2. F.B., vv. 179-182<br />

sulla spiaggia<br />

Wekê xîzî deva ne Sono come sabbia sulla spiaggia<br />

Wekê stêran esmana ne Sono come le stelle in cielo<br />

Wekê belgêt dar û barane 152 Sono come le foglie degli alberi<br />

152 Dar û bara (letteralmente “le foglie e le rive”) è un binomio usato per indicare le foglie di molti alberi.


Xivet û çadir 153 yêd vedane Sono le tende che hanno piantato.<br />

3. H.S., vv. 227-230<br />

Çend xîzî ber va çemane Come la sabbia sulle sponde<br />

dei fiumi<br />

Çend belgêt dar û baran Come foglie d’albero<br />

Çend stêrêt van ‘esmana ne Come stelle in cielo<br />

Binî kela Dimdimê xîvet vedane [I pagani] piantarono le tende<br />

4. B.B., vv 102-105<br />

alle pendici di Dimdim.<br />

Çend xizî l’ber van çemane Quanta sabbia sulle sponde<br />

dei fiumi<br />

Çend belgîn li dar û barane E quante sono le foglie sugli alberi<br />

Çend sitêrên l’van ‘esmana ne! E quante sono le stelle nel cielo.»<br />

Nid xîvet û çadir li binya kela Tante tende disposero ai piedi<br />

Dimdim vedana di Dimdim<br />

5. S.I., vv. 172-174 e 202-205<br />

Çendî stêrê li e’zmana, Quante sono le stelle in cielo<br />

Çendî p’elkê li darana Quante sono le foglie sugli alberi<br />

Çendî xîzê li ç’emane Quanta è la sabbia nei fiumi<br />

Hind xîvet yê hildane. Tante tende sono sul campo.<br />

6. O.D., n° 55<br />

Çendî stêrê li e’smana, Quante sono le stelle in cielo<br />

Çendî belgîê dar û bara Quante sono le foglie sugli alberi<br />

Çendî xîzê dev ru be’ra, Quanta sabbia è sulla spiaggia<br />

Hind xîvet û çadira yê li bin Tante tende ci sono intorno<br />

Dimdimê me danay» a Dimdim<br />

153 Xîvet e çadir sono sinonimi, qui usati in binomio.<br />

KELAÊ DIMDIM 103


104 CAPITOLO III – IL TESTO<br />

7. K.M., vv. 189-192<br />

Babo, çend xêvetê dolo alay şîne Padre, quante sono nella valle<br />

le tende con la bandiera azzurra?<br />

Beh’ra têra bu rengîne Riempiono un mare di colore,<br />

Hind stêr li i’smana nîne Non ci sono tante stelle in cielo!<br />

Yê li me girti hemi çîne. Queste sono quelle che ci circondano.<br />

8. K.K. n° 94<br />

Bavo çiqas steryn li e’smana, Padre quante sono le stelle in cielo<br />

çiqas xîze devê behra Quanta sabbia c’è sulla spiaggia<br />

Eqwas xêvet dor me girtine Tante tende ci circondano<br />

Come si vede dagli esempi, i termini di paragone usati sono tre:<br />

i. xîzî deva ne la sabbia sulla spiaggia (ess. 1-6)<br />

ii. stêrê li e’smana le stelle in cielo (ess. 1-8)<br />

iii. belgêt dar û barane le foglie sugli alberi (ess. 2-6)<br />

Negli esempi 1 e 2 la costruzione della frase è fatta con l’avverbio wêke<br />

(“come” ). Negli esempi da 3 a 7 si usa invece l’aggettivo interrogativo çend<br />

(“quanto”).<br />

Negli esempi 3, 4 e 5 la formula i) differisce leggermente in quanto il<br />

complemento di luogo è ber va çemane/li ç’emane (“sulle sponde dei fiumi”, “nei<br />

fiumi”), e in 6 viene aggiunta la specificazione dev ru be’ra (“le sponde del mare”).<br />

Nell’esempio 5 c’è una grafia alternativa della parola belg (“foglia”), p’elkê.<br />

È interessante, infine, questo ultimo esempio:<br />

9. O.M. vv. 392-393<br />

Her çendî berdî le ber estêran, Quante pietre sono sotto le stelle


Her çendî gîaî ser dar dênê Quanta erba cresce nelle paludi<br />

le h’euşan, le zenwêran umide<br />

Sed hezar selawet le p’ê’xemberî Centomila lodi al Profeta e al<br />

de gel gûêdêran! pubblico che ha ascoltato!<br />

Quelli presentati nell’esempio 9 sono i versi conclusivi del poema ed è questo<br />

l’unico caso, tra le versioni analizzate, in cui questa comparazione, o almeno uno<br />

degli elementi ricorrenti, compare in relazione ad un altro tema. È sicuramente<br />

possibile, però, che questa formula si trovi anche in altre epiche e dunque in<br />

relazione ad altri temi e argomenti. Infatti il dizionario Chyet 154 riporta alle voci<br />

xêvet (“tenda”) e xîz (“sabbia”) un esempio analogo tratto dal Kurdskie Epicheskie Pesni-<br />

Skazy (Mosca: Izd vostochnoi literatury, 1962).<br />

Terzo esempio<br />

Questo ultimo esempio esemplifica in modo convincente come alcune formule<br />

siano legate ad un tema 155 e come lo caratterizzino. Nei passaggi seguenti si svolge<br />

la medesima scena che rappresenta quello che più avanti è stato definito tema 8<br />

(Donne). Come si vede dalla diversa lunghezza di ciascuno, la porzione di canto<br />

riservata all’argomento differisce da cantore a cantore, ma alcune formule sono<br />

comuni.<br />

KELAÊ DIMDIM 105<br />

Una notevole eccezione si trova nella versione O.M. (vv. 308-310). Qui il tema<br />

compare, ma è sviluppato in modo diverso 156 e nessuna delle formule suddette<br />

154 Chyet, 2003.<br />

155 L’argomento è affrontato più avanti in questo capitolo.<br />

156 Xatun Perwarê, moglie di Abdalbeg, dice che si getterà dalla finestra all’arrivo dei persiani.


106 CAPITOLO III – IL TESTO<br />

compare. È però da notare che questa versione proviene da una regione<br />

dialettalmente diversa rispetto a quelle elencate in questo esempio.<br />

1. I.A., vv. 540-570<br />

Got: «Gele sitiya pisiyarêt dinyayê E disse: «Voi donne curde, non<br />

dibê ‘eybin c’è peccato nel fare domande.<br />

Şulet Xana d’be hisêbin Sui problemi della tribù di Khano<br />

riflettiamo,<br />

Paşê me hîn dê bû ke bin? Chi si prenderà cura di voi, dopo<br />

di noi?<br />

Paşê me ka dê bû ke bin? Chi si prenderà cura di voi, dopo<br />

di noi?<br />

‘Ewan got: «Serê me qursandê bît E loro replicarono: «Le nostre<br />

teste sono state rasate,<br />

Biskame ya tirşê bit Le nostre ciocche sono state recise,<br />

Piştê we bû ekê de bîn» Che dopo loro non ci sia nessuno!»<br />

[sezione in prosa]<br />

Bêjît sitkêt Xana çil pê tirîn Si dice che le donne della tribù di Khano<br />

sono più di quaranta<br />

Sitkêt Xana çil pê tirîn Le donne della tribù di Khano<br />

sono più di quaranta,<br />

Jehrî b’fîncanê werdigirin, Si passano il veleno nella coppa<br />

Êk ved’xon pazde êd mirin, Una beve e altre quindici muoiono.<br />

Sitkêt Xana çil û şeş in Le donne della tribù di Khano<br />

sono quarantasei,<br />

Sitkêt Xana çil û şeş in Le donne della tribù di Khano<br />

sono quarantasei,<br />

Jehrê b’fîncanê ve dibeşin Aprono le labbra sulla coppa di veleno


Êk ved’xon pazde di nexuşin Una beve e altre quindici<br />

si sentono male.<br />

Sitkêt Xana çil û çar in Le donne della tribù di Khano<br />

sono quarantaquattro,<br />

Sitkêt Xana çil û çar in Le donne della tribù di Khano<br />

sono quarantaquattro,<br />

Fîncanî jehrî vexwarin Bevono dalla coppa di veleno<br />

Ked kel hewala da d'barin [...]<br />

Cabî ben bo sitkêt Bersîka Andate a chiamare le donne<br />

di Barsika,<br />

Hewarê bo sitkêt Bersîka Andate ad avvisare le donne<br />

di Barsika,<br />

Da bi xemilîn wekê bûka Che si facciano belle come spose,<br />

Bên cefa landikêt bicûka [...] le piccole culle<br />

Cabê ben bû sitikêt jorî Andate a chiamare le donne del sud,<br />

Heware bû sitikêt jorî Andate ad avvisare le donne del sud,<br />

Da bi xemilîn keşk û sore Che si agghindino con [vesti]<br />

verdi e rosse.<br />

Xan ‘Ebdalbeg dayike gorê La madre di Khan Abdalbeg disse:<br />

Ve xar û sitiya mezin e «Il dolore delle donne è grande<br />

Ve xar û sitiya mezin e Il dolore delle donne è grande<br />

Nalî û balîfik dane bin e Lamenti e guanciali date loro,<br />

Bû qîrê û men dana sala Voglio che restino a piangerle anni»<br />

2. F.B. vv. 389-409<br />

Sitîyêt Xana nale nale Le donne della tribù di Khan<br />

stanno soffrendo<br />

Xanî dibêt «Babo şolet me hemê Khan dice: «Ogni problema<br />

bi ‘hisêbin che abbiamo lo ponderiamo<br />

Şolêt me hemê b’kitêbin Ogni problema che abbiamo<br />

lo affrontiamo<br />

Xozê mezanê ba kanî piştî me sitiyêt Ma vorrei sapere anche chi si<br />

KELAÊ DIMDIM 107


108 CAPITOLO III – IL TESTO<br />

me dî bo kî bin?» prenderà cura delle nostre<br />

donne dopo di noi?»<br />

Sitîyêt Xana çilê delalin Le donne della tribù di Khan<br />

sono quaranta belle<br />

Fincanêt jehrî lî hinarin Si scambiano una coppa di veleno<br />

Êk vedxo û pazde bî dinalin Una beve mentre altre<br />

quindici si lamentano<br />

Sitîyêt Xana çilê pitirin Le donne della tribù di Khan<br />

sono più di quaranta<br />

Fincanêt jehrî lî werdigirên Si passano una coppa di veleno<br />

Êk ved xo û pazde pî dimirin Una beve e quindici altre<br />

muoiono<br />

Sitiyêt Xana çil û şeş in Le donne della tribù di Khan<br />

sono quarantasei<br />

Fincanêt jehrî lî d’meş in La coppa di veleno si porgono<br />

rapidamente<br />

Êk ved xo û pazde di nexoşin Una beve e altre quindici si<br />

sentono male<br />

«Cabî bên bo sititêt jûrê «Andate a chiamare le donne del sud<br />

Bangê bên bo sititêt jûrê Portate la notizia alle donne del sud<br />

Da b’xemilin bi kesk û surê Che si agghindino con [vesti]<br />

verdi e rosse<br />

Bin cefa lawkî b’siporê Sono in pena per i ragazzi [...]<br />

Cabî bên bo sitiyêt sîka Andate ad informare le donne<br />

che non sono a casa<br />

Bangê bên bo sitiyêt sîka Portate la notizia alle donne<br />

che non sono a casa<br />

Da xemilin wekê bîka Che si facciano belle come spose<br />

Bin cefa landikêt b’çuyika!» Sono in pena per le culle dei bambini.<br />

3. H.S., vv. 446-453<br />

Piştê me dî bû kî mînît E per coloro che verranno dopo


Piştê Xanê aman da îna da Dopo Khan ha fatto portare<br />

Ficanêt jehrî dadigirit Ha riempito di veleno una coppa<br />

Êk vedxon pazde b’mîrin Uno beve e in quindici muoiono.<br />

Jina ‘Ebdalbeg dibêjît: La moglie di Abdalbeg disse:<br />

«Ez nevexo vê fincana ne «Io non berrò da quella coppa,<br />

‘Hemilî min‘hemilî kora ne Sono incinta di un maschio.<br />

Dilgirit şîna babane Prenderà il posto di suo padre!»<br />

4. B.B., vv 261-268<br />

Got: «Em sitê ji çila di pitirîn!» Loro risposero: «Siamo più di<br />

quaranta donne!»<br />

Got: «Em sitê ji çila di pitirîn, Loro risposero: «Siamo più di<br />

quaranta donne!<br />

Em fincanêt jehrî Una coppa di veleno<br />

Ji êk û dû werdigirîn» Ci passeremo l’una con l’altra.»<br />

Êk ji çûn pazida pêd mirîn Una ci va e quindici muoiono.<br />

Jina ‘Ebdalbegî gotî: «Nevexom La moglie di Abdalbeg disse: «Io<br />

çi fincanêt non berrò da questa coppa<br />

Jehrê wo. ‘Hemaî min ‘hemaî Quel veleno. Sono incinta di un figlio<br />

kora ne maschio,<br />

Kor vedkin tula babane» Lui vendicherà suo padre.»<br />

5. H.A., 521-535<br />

«Weê sitîye weê sitîye «Oh donne, oh donne<br />

Pisiyarêt me û di bî ‘aêbin Noi vogliamo chiedervi<br />

Piştî xana dî bo kî bin?» Dopo i Khan chi si prenderà<br />

Ev xatîne di pir ‘hinêrin Queste ottime donne<br />

cura di voi?»<br />

Fincanet jehirî ji êk û dû werdigirin Una coppa di veleno si passano<br />

l’una con l’altra<br />

Êk vedxon paze pêt mirin Una beve e quindici muoiono.<br />

Sîtiya kiça Şahîye Sitî la figlia dello Shah<br />

KELAÊ DIMDIM 109


110 CAPITOLO III – IL TESTO<br />

Sîtiya kiça Şahîye Sitî la figlia dello Shah<br />

«Na vexom û fincanane [Disse:] «Io non berrò dalla coppa.<br />

‘Hemilî min ‘hemilî kuro ne Sono incinta di un maschio.<br />

Dî vekit ‘heyfa û babane» Sarà lui a vendicare suo padre!»<br />

«Weê Sitîyî weê Sitîyî «Oh Sitî, oh Sitî!<br />

Werî kortî zebilek sipîyî Noi siamo piccole e abbiamo<br />

armi bianche<br />

Zavaê rake ji pişt periyî Sveglia il tuo sposo<br />

Xanî korî bab li hîvîyî» Khan sta aspettando suo figlio!»<br />

6. K.M., vv. 373-380<br />

Xanî dibêtê: «Gelî srîya, p’sîyarêd Khan disse: «Non è peccato chiedere<br />

me bê aybin,<br />

Ma p’aşê me hing dê bo k’ebin?” Cosa farete dopo di noi?<br />

Dibêynê: “Serê meyî t’iraşî bî Risposero: «Le nostre teste<br />

sono state rasate<br />

Biskêd meyêd qursandî bî, Le nostre ciocche sono state recise<br />

Heger paş hingo em dê bo yeke Se dopo di voi non ci sarà<br />

dîn bî” nessuno a guardarci»<br />

Sitîyêd xana sed bêt’irin Le donne della tribù di Khan<br />

sono più di cento<br />

Fincanêd jehrê lêk wedigirin Una coppa di veleno si passeranno<br />

Êk vedixun panzdeh pê dimirin Una beve e altre quindici muoiono<br />

7. O.D. n° 90<br />

Xan dibêjte styane: Khan chiese alle donne<br />

«Pisyar dibê e’ybin, Non è peccato domandare<br />

Paşê me dê bo k’ê dîbin?» Chi si prenderà cura di voi dopo<br />

8. O.D., n° 92<br />

di noi?


Styêd xana çil û şeşin, Le donne della tribù di Khan<br />

sono quarantasei<br />

Fîncanê jarê lêk vedibeşin, Prendono una tazza con il veleno<br />

Ek ya vedixot pênc û çar neheşin. Una beve e quarantacinque<br />

muoiono<br />

Styed xana fincanê jarê vexarin Le donne della tribù di Khan<br />

bevono dalla tazza col veleno<br />

H’emu delaqêd qesrêda çûne xare Tutte si gettarono dalla<br />

finestra del castello<br />

I versi sottolineati sono le formule che di seguito sono elencate, sempre con<br />

lettere minuscole tra parentesi quadre, e spiegate.<br />

[a]<br />

Pisyar dibê e’ybin, Non è peccato domandare<br />

Con leggere varianti o aggiunte si trova in I.A. v. 540, H.A.<br />

v. 522, O.D. n° 90.<br />

[b]<br />

Şolet [comp.spec] ‘hisêbin/b’kitêbin<br />

Problemi [...] riflettiamo/affrontiamo<br />

Si trova in I.A. v. 541, F.B. vv. 390-391<br />

[c]<br />

Paşê me dê bo k’ê dîbin?» Chi si prenderà cura di voi dopo<br />

KELAÊ DIMDIM 111<br />

di noi?


112 CAPITOLO III – IL TESTO<br />

Dove il termine paşê è una grafia alternativa dell’avverbio di<br />

tempo piştî (“dopo”) e il complemento di specificazione (me “di<br />

noi”) può essere Xana (“dei khan”). Questa formula compare<br />

anche con leggere varianti in O.D. n° 90, I.A. vv. 542-543, 546,<br />

F.B. v. 392, H.S. v. 446, H.A. v. 523, K.M. v. 737.<br />

[d]<br />

Queste formule sono usate solamente nelle due versioni<br />

riportate sotto. È caratteristico l’uso dei termini serê (“testa”),<br />

qursandê (participio del verbo qursandin “tagliare, rasare”), biskame<br />

(plurale di bisk “ciocca” + aggettivo possessivo me, “nostre”) tirşê<br />

participio, con grafia alternativa, di t’eraş kirin “tagliare, rasare”)<br />

che come si vede sono usati in abbinamenti diversi.<br />

I.A. vv. 544-545<br />

Serê me qursandê bît Le nostre teste sono state rasate,<br />

Biskame ya tirşê bit Le nostre ciocche si sono seccate,<br />

K.M. vv. 375-376<br />

Biskêd meyêd qursandî bî, Le nostre ciocche sono state rasate<br />

Dibêynê: “Serê meyî t’iraşî bî Risposero: «Le nostre teste<br />

[e]<br />

sono state seccate<br />

Styêd xana [numero] in, Le donne della tribù di Khan sono [...]<br />

Questa formula è costituita da tre parti: a) sitkêt xana (“le donne della tribù di<br />

Khano”) b) [numero] c) in/tirin (“sono/sono di più”). È usata in I.A. vv. 547-548,<br />

551-552, 555-556, F.B. vv. 393, 396, 399, B.B. vv. 261-262, K.M. v. 378, O.D. n° 92


f. e g.<br />

La formula è usata in una costruzione anaforica insieme alle successive formule<br />

L’alternanza e la ripetizione nel medesimo ordine di queste formule dà luogo a<br />

brevi strofe.<br />

[f]<br />

La formula è: a) fîncanî jehrî (“coppa di veleno”) b) [verbo].<br />

Essa compare in I.A. vv. 549, 553, F.B. vv. 394, 397, 400, H.S. v. 447, B.B. v.<br />

263-264, HA. vv. 525, K.M. v. 379, O.D. n° 92<br />

In I.A. si ha l’inversione dei termini jehrî b’fîncanê (“il veleno nella coppa”). In<br />

B.B. la formula è divisa su due versi uno anomalo di 6 sillabe, l’altro di 8. In O.D.<br />

c’è una sorta di fusione tra questa e la formula precedente, infatti il verso è a di e)<br />

styed xana, a di f) fincanê jarê, b di f) vexarin (“le donne della tribù di Khan bevono dalla<br />

tazza col veleno”).<br />

Da segnalare che l’espressione fîncanê je’hrê compare in alcune versioni anche<br />

nel tema 10.2 (Uccisione del Califfo) (I.A. v. 721, v. 475, v. 528).<br />

[g]<br />

Êk ved’xon [numero] [verbo] Una beve [...]<br />

Si trova in I.A. vv. 550, 554, F.B. vv. 395, 398, 401, H.S. v. 469, B.B. v. 265,<br />

H.A. v. 526, K.M. v. 380, O.D. n°92<br />

[h]<br />

La seguente formula è:<br />

KELAÊ DIMDIM 113


114 CAPITOLO III – IL TESTO<br />

[verbo con significato di chiamare] [nome]<br />

I verbi utilizzati sono cabê ben bû/heware bû /bangê biben bo<br />

(“Andate a chiamare, avvisate”). La formula è utilizzata in versi<br />

consecutivi con stesso [nome] e verbo diverso. Alla successiva<br />

ripetizione i verbi sono gli stessi, nella stessa sequenza e cambia il<br />

[nome].<br />

Questa formula si trova in I.A. vv. 559-560 e 564-565, F.B.<br />

vv. 402-403 e 406-407<br />

[i]<br />

[j]<br />

Da bi xemilîn [complemento] Che si facciano belle [...]<br />

Solamente in I.A. vv. 561, 565, F.B. vv. 404, 408.<br />

Bên cefa [complemento oggetto] [...] le piccole culle<br />

Anch’essa usata solamente in I.A. vv. 562, F.B. vv. 405, 409.<br />

Le precedenti tre formule (h., i. j.), così come le prossime tre (k., l., m.)<br />

costituiscono anch’esse un gruppo formulaico che, poiché viene ripetuto, genera<br />

strofe simili.<br />

[k]<br />

Na vexom û fincanane Io non berrò dalla coppa.<br />

Presente in H.S. v. 451, B.B. v. 266, H.A. v. 529


[l]<br />

‘Hemilî min ‘hemilî kuro ne Sono incinta di un maschio.<br />

Presente in H.S. v. 452, B.B. v. 267, H.A. v. 530<br />

[m]<br />

[verbo] babane» [...] suo padre!»<br />

Presente in H.S. v. 453, B.B. v. 268, H.A. v. 531<br />

È interessante a questo punto vedere la disposizione delle numerose formule<br />

incontrate in questo passaggio nelle varie versioni in cui si presentano. Le successioni<br />

sono le seguenti:<br />

• I.A.: a b c c d d c [...] e e f g e e f g e e f - h h i j h h i [...].<br />

• F.B.: b b c e f g e f g e f g h h i j h h i j<br />

• H.S.: c c f g - k l m<br />

• B.B.: e e f g k l m<br />

• H.A.: -q q - f g - - k l m [...]<br />

• K.M.: a c d d c e f g<br />

• O.D.: - a c [...] e f g -<br />

Tipologia formula 2: ricorre più volte in una versione<br />

KELAÊ DIMDIM 115<br />

Analizzerò qui di seguito, la seconda tipologia di formula proposta da Chyet.<br />

Appartengono a questa categoria le formule che compaiono più volte in una


116 CAPITOLO III – IL TESTO<br />

versione del poema e hanno paralleli in altre. Questo tipo di formula può essere<br />

utilizzato in vari punti del racconto senza avere nessuna relazione esclusiva con il<br />

tema descritto. Molte delle formule di questo tipo sono versi isolati.<br />

Quarto esempio<br />

La seguente formula consiste in una generica indicazione temporale. Si tratta<br />

di un verso connettivo che segnala l’interruzione dell’azione precedente, un<br />

cambiamento di luogo o di personaggi. Questa formula è sempre utilizzata in<br />

apertura oppure all’interno di una sezione cantata, ma mai come verso conclusivo.<br />

Sotto sono elencate le varie forme in cui compare.<br />

1. H.A., v. 6, 57, 264, 272, 321, 372, 373, 438, 439, 448,<br />

449, 559, 569, 570, 730, 753, 833<br />

Çi spêdeye spêde zîye Che mattino è, è mattino presto!<br />

2. F.B. vv. 70, 89, 102, 131, 148, 176, 202, 314<br />

Çi spêdeye hêşta zûye Che mattino è, è ancora presto!<br />

3. H.S., vv. 175, 223, 262, 342, 515<br />

Çi spêde ye soba zîye Che mattino è, è presto l’indomani!<br />

4. H.S., vv. 349, 411<br />

Bejîn: «Çi spêde ye soba zîye Dicono: «Che mattino è,<br />

5. H.S., v. 514<br />

è presto l’indomani!<br />

Bejît bît: «Çi spêde ye soba zîye Si dice: «Che mattino è,<br />

è presto l’indomani!


6. H.S., vv. 224, 269, 350, 412, 413<br />

Çi spêde ye dunya zîye Che mattino è, è presto!<br />

7. H.S., v. 241 e H.A., vv. 18,19<br />

Çi evare direngîye Che sera è, è tardi!<br />

8. H.A., v.114<br />

Hêe gote: çi evare direngîye Hee dice: che sera è, è tardi!<br />

9. H.S., vv. 86,<br />

Çi sobeye dunya zuye Che giorno seguente, è presto!<br />

10. H.S., v. 268<br />

Çi spêdeye şeva zîye Che mattino è, presto è notte!<br />

11. H.A. vv. 736, 737, 754 e I.A. vv. 382, 383<br />

Çi spêdeye digel beyanî Che mattino è, il sole splende!<br />

12. H.A., v. 405<br />

Çi spêdeye Xano dibêjit: Che mattino è, Khan disse:<br />

13. H.A., v. 794<br />

Çi spêdeye tavî dayê Che mattino è, c’è un temporale!<br />

14. H.S., vv. 1, 17, 48, 85<br />

Çi şeveke Xodî daê Che notte Dio ha creato<br />

15. H.S., vv. 2,18, 49<br />

Çi rojeke Xodî daê Che giorno Dio ha creato<br />

16. H.A., vv. 80, 81<br />

KELAÊ DIMDIM 117


118 CAPITOLO III – IL TESTO<br />

Çi spêdeko Xodî dayê Che mattino Dio ha dato<br />

17. I.A., v. 69<br />

He çi roja Xodê daî Ah che giorni Dio ha dato!<br />

18. I.A., v. 192<br />

He çi rojekî Xodî daî Ah che giorno Dio ha dato<br />

Dagli esempi elencati, corrispondenti a tutte le ricorrenze di questa formula<br />

rintracciabili nel materiale analizzato, si può dedurre la struttura di questa formula.<br />

La formula si divide in due parti. La prima è composta da tre elementi: a) çi<br />

(aggettivo interrogativo, “che/quale”), b) [sostantivo] indicante una parte della<br />

giornata c) -ye/-e (verbo bûn = essere, terza persona singolare, tempo presente). La<br />

seconda parte presenta: d) [sostantivo/avverbio/pronome /–], e) [aggettivo],<br />

nuovamente c).<br />

Questa struttura è simmetrica, poiché il verso è diviso in due emistichi di<br />

quattro sillabe ciascuno, terminanti entrambi con la sillaba rima (-ye). A essa<br />

corrispondono gli esempi da 1 a 10. Gli elementi in più che si trovano negli esempi<br />

4, 5 e 8 (bejîn = dicono, bejît bît = si dice, heê gote = dice) non modificano la formula:<br />

sono espressioni tipiche usate, in genere, per il primo verso di una sezione cantata.<br />

Nei suddetti esempi, fatta eccezione per il 7, la realizzazione è: a) çi = che, b)<br />

spêde = mattino/, sobe = domani), c) -ye/e = è, d) spêde = mattino/ hêşta = ancora/<br />

soba = domani / şeva = notte/dunya = esso 157 , e) zû/zî = presto, precoce, c).<br />

157 Forma del neutro che si usa come soggetto di frasi impersonali relative al tempo cronologico e meteorologico.


Negli esempi 7 e 8 la struttura è a), b) evar = sera, c), e) direngî = tardo,<br />

avanzato, c).<br />

Negli esempi da 11, 12 e 13, mentre la prima parte della formula rimane<br />

strutturalmente uguale, la seconda viene modificata. Si hanno infatti solamente gli<br />

elementi d) e f) [verbo]. Risulta perciò: a) çi, b) spêde, c) ye, d) tavî = temporale/<br />

Xanî = Khan, f) dibêjit = disse/dayê = ha dato. 158<br />

Negli esempi da 14 a 18 cambia leggermente anche la struttura della prima<br />

parte e la formula intera diventa: a) çi, b) spêde/şeveke = notte 159 / rojekî = giorno 160 , d)<br />

Xodî = Dio, f) dayê/daê =ha dato.<br />

Come si può notare questa formula è ampiamente usata nelle varie versioni: in<br />

F.B. è ripetuta identica per otto volte; in H.S. se ne trovano sedici ricorrenze. 161 Il<br />

verso è un ottosillabo con quattro accenti (i.e.: çi spêdeye hêşta zûye), uno dei più<br />

frequenti, con rima femminile in -îye.<br />

KELAÊ DIMDIM 119<br />

Questa formula, la quale, come si diceva, ha in genere funzione di raccordo<br />

tra “scene” diverse quando è utilizzata all’interno di una sequenza cantata, può<br />

essere utilizzata come elemento di discontinuità rimica. Questo è valido in F.B. (vv.<br />

202, 314) , in I.A. (vv. 382, 383), in H.A. (tutte le ricorrenze). È interessante notare<br />

che H.A. è l’unico cantore ad utilizzare sistematicamente questa formula come<br />

elemento di discontinuità nella sequenza rimica, mentre a livello musicale non c’è<br />

158 Per quanto riguarda l’esempio 11 non sono riuscita a trovare corrispondenze semantiche né grammaticali, sui<br />

dizionari da me consultati, alla traduzione suggerita dall’interprete.<br />

159 Lett. “una notte”: şev = notte + ek = una (art. indet.)<br />

160 Lett. “un giorno”: roj = giorno + ek = un (art. indet.)<br />

161 Cfr Appendice III.


120 CAPITOLO III – IL TESTO<br />

una corrispondenza sistematica tra cambiamento della melodia ed uso di questa<br />

particolare formula.<br />

Chyet, discutendo dell’organizzazione metrica delle sezioni cantate del beyt, si<br />

riferisce ad alcuni versi che hanno la caratteristica di segnalare il cambiamento della<br />

rima, con il termine rhyme signalling device (RSD), ovvero dispositivo di segnalazione<br />

rimica. 162 Con questa espressione si riferisce al primo di una breve serie di versi in<br />

rima, il quale ad ogni ripetizione viene modificato nella parte finale e dunque nella<br />

parola-rima. L’anafora e la rima generano, in effetti, la stroficità di simili passaggi,<br />

anche se non c’è regolarità nell’utilizzo di simili espedienti. Inoltre non si può dire<br />

che questa sia una caratteristica intrinseca della formula, poiché altri cantori non la<br />

utilizzano alla stessa maniera, ma si può affermare che l’uso che ne fa H.A. sia<br />

proprio questo.<br />

Quinto esempio<br />

Gli esempi seguenti, molto simili l’uno all’altro, sono adatti ad illustrare meglio<br />

l’uso delle formule come RSD. All’interno del poema si trovano alcuni passaggi<br />

costruiti per anafora che enumerano azioni, oggetti o persone secondo uno schema<br />

fisso. Tale schema consiste nell’uso di uno o più versi, di cui ad ogni successiva<br />

ricorrenza viene modificata la parte finale, ossia la parola rima. Si creano pertanto<br />

sezioni, piccole strofe di lunghezza variabile, con il primo o i primi versi simili e<br />

rima diversa. Gli esempi seguenti serviranno a chiarire l’uso di questo tipo di<br />

formule. Per semplicità, prenderò in esame una sola versione del poema, quella di<br />

162 Chyet, 1991, p. 140.


H.A., dove compaiono una serie di elenchi realizzati con lo stesso espediente.<br />

Elenchi analoghi si trovano in tutte le altre versioni del poema.<br />

1. H.A. vv. 170-179<br />

Ser hosta mamî Qasime Il mastro costruttore, zio Qasim<br />

Bera bibire bi û bisome Tagliò la pietra e la puntellò<br />

Ew heqî tevir û asin e Il prezzo del piccone è di un ferro<br />

Ser hosta mamî ‘Omere Il mastro costruttore è zio Omar<br />

Bera bibire bi û tevire Tagliò la pietra col piccone<br />

B’heqî tevir û qiran e Il prezzo di un piccone è di un qiran<br />

Ser hosta mamî ‘Elê ye Il mastro costruttore è zio Alì<br />

Bera bibire bi û tefşiye Ha tagliato la pietra con lo scalpello<br />

‘Heqî tevir û ripê ye Il prezzo di un piccone è di un repi<br />

Dimdim îna ber bestine Hanno quasi completato la<br />

2. H.A. vv. 204-215<br />

costruzione di Dimdim<br />

Ser hosta mamî ‘Ebase L’esperto costruttore è zio Abbas<br />

Bera bibire bi armase Hanno tagliato le pietre con i<br />

diamanti<br />

Şeyk Seidane serê û piştane Sulla testa e sulle spalle di shayk<br />

go’: «Bes e!» Said disse: «Basta!»<br />

Darêjî û pûlaye ya wê rêzase Il legno e acciaio sulla cima<br />

Dilê min nebît was wase Non rendete sospettoso il mio cuore<br />

Serî hosta mamî ‘Omere L’esperto costruttore è zio Amar<br />

Bera bibire bi tevire Ha tagliato la pietra col piccone<br />

Heqî tevir û qiran e Il prezzo del piccone è di un qiran<br />

Serî hosta mamî ‘Elê ye L’esperto costruttore è zio Alì<br />

Bera bibire bi tefşiye Ha tagliato la pietra con lo scalpello<br />

Heqî tevir û ripê ye Il prezzo del piccone è un repi<br />

Dimdim îna ber pî kolî Hanno provato a costruire Dimdim<br />

KELAÊ DIMDIM 121


122 CAPITOLO III – IL TESTO<br />

Come si può notare, i versi sottolineati determinano la costruzione anaforica<br />

di questi passaggi.<br />

In entrambi gli esempi sono usate due formule, indicate sotto con a. e b. In a.<br />

la prima parte del verso, corrispondente alle prime cinque sillabe, rimane fissa,<br />

mentre la seconda, che occupa tre sillabe, cambia ad ogni ricorrenza. Le formule<br />

del tipo a. sono tutte di otto sillabe. In b. la prima parte, fissa, è composta da sei<br />

sillabe (tra bi e û c’è una sinalefe), mentre la seconda, variabile, da tre, per un totale<br />

di nove sillabe.<br />

a. Ser hosta mamî [nome] (Il mastro costruttore, zio ...)<br />

b. Bera bibire bi û [verbo/compl. mezzo] (Tagliò la pietra e ...)<br />

La rima indicata dalle formule di tipo a. viene mantenuta fino alla successiva<br />

comparsa della formula. La formula b. è sempre ripetuta dopo la a.<br />

3. H.A. vv. 230-244<br />

Bînin û t’opa Mirarê Portate il mortaio dei Mirari<br />

Der xite wekê tirarê La bocca del mortaio è<br />

rotonda come un ricettacolo<br />

Ew per ê bo biracî tuyare L’hanno portato alla torre di fidanzati<br />

Bircî têkira deng vedave Il rumore alla base della torre<br />

si fece acuto e potente<br />

Şîr zêrîna nav li xodane In mezzo ai signori delle<br />

spade d’oro<br />

Bînin û t’opa biçûyike Portate il mortaio piccolo<br />

Der xire wek sindurîke Il canale del mortaio è rotondo<br />

come una bara


Ew per ê bo bircêt bîka Lo hanno portato alla torre delle spose<br />

Bircî jikêra deng vedave Il rumore alla base della torre<br />

si fece acuto e potente<br />

Şîr zêrîna nav li xodane In mezzo ai signori delle<br />

spade d’oro<br />

«Bînin û t’opa ‘Enzelî «Portate il mortaio di Anzali<br />

Der xire wekê mencelî Il canale del mortaio è come<br />

un falcetto<br />

Ew perê bo bircêt kelî Lo hanno portato alla torre<br />

del castello<br />

Bircî jikêra dengi ve dave In mezzo ai signori delle<br />

spade d’oro<br />

Şîn zêrîna nav li xodane Dimdim è una rocca davvero forte<br />

In questo caso si hanno tre formule utilizzate la prima come RSD e le altre in<br />

chiusura dello schema-strofa.<br />

[a] Bînin û t’opa [nome] Portate il mortaio [...]<br />

[b] Bircî têkira deng vedave Il rumore alla base della torre si fece acuto e potente<br />

[c] Şîr zêrîna nav li xodane In mezzo ai signori delle spade d’oro<br />

La formula a. è divisa anch’essa in cinque sillabe fisse e tre variabili, mentre le<br />

formule b. e c. si ripetono identiche.<br />

4. H.A. vv. 245-252<br />

Dimdim berekî xorsitê Dimdim è una rocca davvero forte<br />

‘Heftsed t’op çûnî bidirostê È stata colpita da settecento<br />

mortai esattamente<br />

Ber ser dari îna vego hastê Nessuna delle sue pietre si è smossa<br />

KELAÊ DIMDIM 123


124 CAPITOLO III – IL TESTO<br />

Dimdim berekî di avêda Dimdim è una rocca nell’acqua<br />

‘Heftsed t’op çûnî digavêda È stata colpita da settecento<br />

mortai insieme<br />

Ber ser berê neçû pêda Nessuna delle sue pietre si è smossa<br />

Dimdim berekî bin kupe Dimdim è una rocca sulla<br />

cima della montagna<br />

Welat weko ber Bersîkê La patria come le rocce di<br />

li ber dilope Barsika sotto le gocce.<br />

5. H.A. vv. 415-436<br />

Hîviya min ‘Xewisî û Geyalinê La mia speranza è Ghaws Geyalin<br />

Tu bi serokî ewliyanê Tu sei il capo degli alleati<br />

Ta bi hatê bi hewara Xanê Voi siete venuti ad aiutare Khan<br />

Hîviya min ni şêxî Îslamî La mia speranza è riposta in<br />

Şaykh Islam<br />

Li ser milê şîrî pane Che portava una larga spada<br />

sulla spalla<br />

Hatê tawara xanane Sei venuto ad aiutare i Khan<br />

Hîviya min mela Brîfika La mia speranza è riposta nel<br />

Mullah dei Brefki<br />

Çi di sor in weko kolîlika Loro sono come dei fiori rossi<br />

Yî tên û wek babelîsika Arrivano tuonando<br />

Tên û di hawara biçîka Arrivano per aiutare i bambini<br />

Hîviya min Melayî Badê La mia speranza è riposta<br />

in Mullah Badi<br />

Tu bi ‘amî xo dêê rêbadê Tu sei uno scienziato grazie<br />

alla conoscenza divina<br />

Li hawara xana we tu hatê Sei venuto ad aiutare i Khan<br />

Hîviya min mela E’hmedî Kemekê La mia speranza è nel<br />

Mullah Ahmed Kamaki<br />

Tu bi ‘ebaê we belekê Tu indossi una veste ampia e nera<br />

Nav şera nî tu gelekê Hai un grande ruolo in ogni<br />

battaglia


Hîviya min lawî Bêtkarê La mia speranza è riposta<br />

nell’uomo dei Betkari<br />

‘Helal bît şîrî te xarê Il latte che bevi te lo sei meritato<br />

Bi destikî şîrê hatiye xarê Sei sceso da cavallo tenendo una spada<br />

Hîviya min lê babî Keçere La mia speranza è riposta nel<br />

padre di Chicire<br />

Negli esempi 4 e 5 le formule seguono il modello dell’esempio 1: la prima<br />

parte della formula rimane fissa la seconda cambia:<br />

Es. 4: Dimdim berekî [complemento] Dimdim è una rocca [...]<br />

Es. 5: Hîviya min [nome] La mia speranza è riposta [...]<br />

6. H.A. vv. 602-627<br />

Şîrekî bomin hatîye Mi è stata inviata una spada<br />

Îbihiniye îbiminiye […]<br />

Bi ç’em û cenan û kaniye Ha il valore di fontane e fiumi<br />

Bi asinî xo de birûskiye Il suo ferro è come il lampo<br />

Çar çeqa lidevê dayi ye È stata battuta quattro volte<br />

Çar çeqa lidevê dayi ye» È stata battuta quattro volte»<br />

«Herî weye herwe nîne» «No, non è così!»<br />

«Şîrî te maholî sor e «La tua spada è un sarchio di<br />

legno rosso<br />

Şîrî te maholî sor e La tua spada è un sarchio di<br />

legno rosso<br />

Sertîra wê nî sator e La sua punta è come un grosso coltello<br />

Nabirit qelişêt gundure Non taglia la buccia di un melone<br />

Şîrî te maholî reşê La tua spada è un sarchio di legno nero<br />

Sertîra wê gola neşe La sua punta è un fiore brillante<br />

Nabirit qelişêt zebeşe Non taglia la buccia di un’anguria<br />

Şîrî te maholî sipî ye La tua spada è un sarchio di<br />

KELAÊ DIMDIM 125


126 CAPITOLO III – IL TESTO<br />

-e.<br />

legno bianco<br />

Sertîra wê gola geşe La sua punta è un fiore<br />

Nabirit qelişêt zebeşe Non taglia la buccia di un’anguria<br />

Şîrî te maholî reş e La tua spada è un sarchio di<br />

legno nero<br />

Cexwerî wê tenîye Il suo metallo è in realtà carbone<br />

Nabirit belgî kir mîye» Non taglia neanche le foglie secche.»<br />

Xelîfe dibête xolamê Il Califfo disse al suo servo<br />

«Şîrê bîne digel kavlanê «Porta qui la spada con la sua custodia<br />

Û bide lepêt evê Xanê Dalla in mano a questo Khan!»<br />

Xolamî dibêtî «We nakem Il servo disse: «Non lo farò<br />

Ez vê çavê ji çû çe nakem Non mi macchierò di tale vergogna!<br />

Şîrê lepêt Xanoê nakem» Non darò la spada in mano a Khan»<br />

Nell’esempio 6 due formule si ripetono e sono messe in relazione dalla rima in<br />

[a] Şîrî te maholî [colore] e La tua spada è un sarchio di legno [...]<br />

[b] Nabirit qelişêt [oggetto] Non taglia la buccia di [...]<br />

L’anomalia dei versi 616 e 619 ai quali non seguono, come suggerisce lo<br />

schema-strofa, versi in rima, è imputabile ad un “errore” del cantore che inverte i<br />

due versi. Infatti i versi 617 e 618 rimano con 619, mentre 620 e 621 con 616.<br />

I versi 602, 623 e 627 non appartengono all’insieme delle formule di cui sopra,<br />

ma per assonanza e anafora le richiamano. Sono stati dunque inseriti come esempio<br />

delle varie possibili relazioni che si instaurano tra i versi all’interno di un passaggio<br />

cantato.


Il caso seguente è interessante poiché una delle formule subisce due mutazioni,<br />

una nella parte iniziale e una in quella finale. Un comportamento simile è stato<br />

individuato anche in precedenza: terzo esempio, formula h.<br />

7. H.A. vv. 299-320<br />

Derza Berî<br />

Darza Berî.<br />

Ka’xezek çû Derza Berê Una lettera fu inviata a<br />

Kafirek tê û ji Derza Berê Un pagano sta arrivando da<br />

Ew kafirî te cil serê Il pagano indossa una corona<br />

Got: «Ezim dujiminî welatê Ha detto: «Sono il nemico<br />

pê’xemberê della nazione del Profeta<br />

Ka’xezek çû j’Herdebêle Una lettera fu inviata ad Ardabil<br />

Kafirek tê wo j’Herdebêle Una lettera fu inviata ad Ardabil<br />

Te simbêl bî dîvî çêle Lui ha dei baffi<br />

Got: «Dimdim û xirabiken bû Disse «Distruggerò Dimdim<br />

t’opê û simbêle!» con un pelo dei miei baffi!»<br />

Ka’xezek çû rojave he Una lettera fu inviata ad Ovest<br />

Kafirek têwo ji rojava he Un pagano arriva dall’Ovest<br />

Xolamî yek t’opek berda ve Un servo ha sparato con un mortaio<br />

Xolamî yek t’opek berda ve Un servo ha sparato con un mortaio<br />

Li kelî nedabûnî tave Sul castello non ha splenduto il sole<br />

Ka’xezek çû rojava he Una lettera fu inviata ad Ovest<br />

Kafirek têwo ji rojava he Un pagano sta arrivando dall’Ovest<br />

Xolamî yek t’opek berda ve Un servo ha sparato con un mortaio<br />

Sî roja li kelî nedabûnî tave Per tre giorni sul castello non<br />

ha splenduto il sole<br />

Ka’xezek çû Sela Mesta Una lettera fu inviata a Sela Maste<br />

Kafirek têt û Sela Mesta Un pagano sta arrivando da Sela Maste<br />

Hindibîn direwe hindibîn raste Qualcuno dice che è falso<br />

qualcuno dice che è vero<br />

Dura kelî ve û vebeste Ha circondato il castello<br />

Dura kelî ve û vebeste Ha circondato il castello<br />

KELAÊ DIMDIM 127


128 CAPITOLO III – IL TESTO<br />

Le formule individuabili in questo passaggio sono tre:<br />

[a] Ka’xezek çû [luogo x] Una lettera fu inviata ad Ovest<br />

[b] Kafirek têwo [luogo x] Un pagano arriva dall’Ovest<br />

[c] Xolamî yek t’opek berda ve Un servo ha sparato con un mortaio<br />

Le formule [a] e [b] sono connesse. La [b] può facilmente essere considerata<br />

una variazione della [a] poiché:<br />

dove α e β sono costanti e x variabile.<br />

[a]= sogg. α + luogo x e [b] = sogg. β + luogo x<br />

La formula [c] è ripetuta identica.<br />

Più avanti in questo capitolo verranno presentati i temi, ovvero motivi, episodi<br />

caratteristici e salienti, utilizzati in questo poema. È interessante notare che questo<br />

utilizzo “anaforico” delle formule risulta caratterizzante per alcuni di questi temi, in<br />

particolare per alcuni di quelli che sono stati definiti ricorrenti. 163<br />

Sesto esempio<br />

Una formula che sembra avere una precipua funzione di cesura testuale è:<br />

163 Vedere oltre in questo capitolo.<br />

Dilê Dimdim û Xan têda Dimdim che proteggi Khan


Questa formula compare, con leggere varianti, indicate sotto, in tutte le cinque<br />

versioni in forma di beyt di Bahdinan-2009. Essa ha la funzione di concludere<br />

sequenze seguite da parlato o di separare due sequenze rimiche distinte senza<br />

necessariamente concordare nella rima con nessuna di esse.<br />

Qualche esempio. In H.S. la formula compare come conclusione di una<br />

sequenza cantata al v. 118 e al v. 330, come separatore di sequenze rimiche al v. 174<br />

(rispettivamente -in da -îye e -anê da -êda). In H.A. la formula ai vv. 260-261 separa<br />

(rime -in da -îye). In I.A., dove compare nella forma Lema Dimdim xwê Xan têda<br />

(Poiché Dimdim protegge il Khan) ai vv. 433-434, separa due argomenti all’interno<br />

dello stesso tema e della stessa sequenza rimica. In B.B. ai vv. 69-70 e 112 conclude<br />

una sequenza cantata, ai vv. 37 e 52 separa sequenze rimiche (rispettivamente -hela<br />

da -îne e -en da -înin).<br />

Settimo esempio<br />

Questa formula, estremamente semplice, consiste nella ripetizione del verbo<br />

bînin (“portare”) ed è usata con una certa frequenza, probabilmente per convogliare<br />

l’attenzione sulla scena che sta per essere descritta.<br />

Sotto sono elencate le varie forme in cui compare e tra parentesi è indicato<br />

l’oggetto cui si riferisce.<br />

1. I.A., vv. 224-225 (carta)<br />

Xanê d’betê binin binin<br />

Xanê d’betê binin binin<br />

2. I.A., vv. 273-274 (carta), 1117-1118 (polvere da sparo)<br />

Şahê gotî «Bînin, bînin<br />

KELAÊ DIMDIM 129


130 CAPITOLO III – IL TESTO<br />

Şahê d’bêtî bînin, binin<br />

3. I.A., vv. 493-494 (badili e asce ai persiani)<br />

Hê îna gotê binin, binin,<br />

Binin, binin, binin, binin<br />

4. I.A., vv. 1103-1104 (corona)<br />

Go bînin bînin bînin<br />

Şahê gote bînin bînin<br />

5. F.B., v. 213 (carta)<br />

Gotî xo: «Bînin bînin<br />

6. F.B., v. 249 (cannoni)<br />

«Dî hîn binin û hîn bînin<br />

7. F.B., v. 256 (cannoni)<br />

We ê hîn bînin û hîn bînin<br />

8. F.B., v. 325 (cannoni)<br />

Dî hîn bînin û hîn bînin<br />

9. F.B., v. 626 (polvere da sparo)<br />

Gotî huyin bînin, kafira gotî huyin bînin<br />

10. H.S., v. 303 (cannoni), v. 441 (oro e argento per forgiare<br />

armi)<br />

«Haê d’bînin û d’bînin<br />

11. H.S., vv. 706-707 (polvere da sparo)<br />

«Haê dî bînin û dî bînin»<br />

Şahê got: «Haê dî bînin


12. B.B., v. 54 (carta)<br />

Da û dî bînin û dî bînin<br />

13. B.B., v. 149 (cannoni), v. 164 (carta), v. 157 (cannone), v.<br />

199 (Mahmid), v. 449 (polvere da sparo),<br />

Go’: «Dî bînin û dî bînin<br />

14. H.A., vv. 144 (pelle di bue), v. 188 (cannoni), v. 362<br />

(cannoni), v. 584 (tazze d’acqua), v. 848 (polvere da sparo)<br />

«Wê dî bînin weê dî bînin<br />

15. H.A., v. 227 (cannoni)<br />

«Weyla bînin weyla bînin<br />

Uno sguardo a parte merita lo stran. Le cinque versioni a disposizione (I.A. st.,<br />

H.B.st, KHI1, KHI2, KHI3) hanno una forma strofica simile: distici in cui il<br />

secondo verso funge da ritornello. La successione dei distici è tra I.A. st, H.B.st e le<br />

tre versioni KHI non è uguale 164 .<br />

Nel primo verso di ogni distico si trovano alcune formule presenti nel beyt, e<br />

anche in questo caso è usata la costruzione anaforica. Ad esempio in H.B.St le strofe<br />

6, 9 e 12 e in I.A.St. le strofe 4, 7 , 10, 13 mostrano la formula incontrata in uno<br />

degli esempi visti in precedenza (secondo esempio n° 4): Dimdim berekî<br />

[complemento]. L’alternanza della formula a distanza di tre strofe crea una<br />

sequenza rimica.<br />

KELAÊ DIMDIM 131<br />

164 Da notare che le versioni KHI sono eseguite dal medesimo cantore che adatta allo stesso testo stili musicali<br />

differenti. Queste versioni non sono state raccolte sul campo.


132 CAPITOLO III – IL TESTO<br />

In I.A.St. l’espediente è utilizzato ulteriormente con altre formule che creano<br />

un interessante intreccio attraverso l’intero canto.<br />

Le formule individuate sono sotto elencate.<br />

[a] Dimdim ber e [complemento] Dimdim è una rocca [...]<br />

[b] Du hizar t’upa [verbo] Duemila cannoni [...]<br />

[c] Dimdim nîne [specificazione] Dimdim non è [...]<br />

[d] Dimdim îna [specificazione] Dimdim non è [...]<br />

[e] Du hizar [animale 1] û du hizar [animale 2] Duemila [...] e duemila [...]<br />

[f] Du hizar pala [verbo] Duemila operai [...]<br />

[g] Wan çekir hikî qertulî Lo hanno reso il luogo della vendetta<br />

[h] Xan dibêtî hosta [nome] Khan ha chiamato il mastro [...]<br />

[i] Mifireqê bike di nav berê y Fai un buco nella roccia<br />

[j] Ser helat zêrekî [colore] La ricompensa sarà dell’oro [...]<br />

Queste formule sono disposte secondo un interessante “intreccio”che si è<br />

cercato di rendere evidente attraverso una tabella. Sull’asse delle ascisse sono<br />

indicate le formule elencate per esteso sopra, sull’asse delle ordinate le strofe in cui<br />

compaiono. Nell’ultima colonna a destra sono segnalate le formule che compaiono<br />

nella versione in forma di beyt dello stesso cantore, Ibrahim Awa, o in altre (come nel<br />

caso della strofa 28), ma un’unica volta nello stran. 165<br />

frm./str. a b c d e f g h i j altro<br />

1<br />

I.A. v. 71<br />

4 x<br />

165 Per maggior chiarezza cfr. Appendice III.


frm./str. a b c d e f g h i j altro<br />

5<br />

x<br />

6<br />

I.A. v. 459<br />

7 x<br />

8<br />

x<br />

9<br />

I.A. v. 459<br />

10 x<br />

13 x<br />

17<br />

x<br />

20<br />

x<br />

22<br />

x<br />

23<br />

x<br />

24<br />

x<br />

26<br />

x<br />

27<br />

x<br />

28<br />

H.S. v. 592<br />

29<br />

x<br />

30<br />

x<br />

32<br />

x<br />

33<br />

x<br />

34<br />

x<br />

35<br />

x<br />

36<br />

x<br />

37<br />

x<br />

38<br />

x<br />

39<br />

x<br />

40<br />

x<br />

41<br />

x<br />

42<br />

x<br />

43<br />

I.A. v. 115<br />

44<br />

x<br />

45<br />

x<br />

46<br />

x<br />

47<br />

x<br />

48<br />

x<br />

49<br />

x<br />

50<br />

x<br />

54<br />

x<br />

57<br />

x<br />

60<br />

x<br />

In conclusione, da questa disamina si possono trarre alcune considerazioni.<br />

La teoria dell’oicotipo sembra trovare conferma anche per questa epica, poiché<br />

le versioni che presentano più similitudini in termini di versi e formule comuni<br />

provengono dalla medesima zona geografico-dialettale.<br />

KELAÊ DIMDIM 133<br />

Le formule individuate, prevalentemente secondo le categorie di Chyet, sono<br />

divisibili in formule isolate e gruppi di formule. Le prime sono in genere utilizzate<br />

come separatori, versi introduttivi, o come una sorta di “ritornello” anche in


134 CAPITOLO III – IL TESTO<br />

conclusione di un passaggio cantato o di un argomento all’interno di una sezione<br />

più ampia. I gruppi di formule sono invece spesso legati ad un tema specifico, che<br />

da esse viene caratterizzato. Soprattutto questo tipo di formule, relative cioè a<br />

specifici temi, si rintracciano anche nelle versioni più antiche, in particolare in E.P.<br />

O.D. K.M. I.S.<br />

Alcune formule possono avere anche una funzione metrica, inferendo<br />

sull’organizzazione rimica e strofica. Sono usate, ad esempio, per costruire passaggi<br />

in anafora, oppure servono per segnalare il cambiamento della rima.<br />

Un ulteriore aspetto da tenere in considerazione è che formule che si trovano<br />

nel beyt vengono utilizzate, con le medesime funzioni metriche, anche nello stran.<br />

TEMI<br />

Come afferma A. Lord all’inizio del quarto capitolo de Il cantore di storie 166 :<br />

Formule e gruppi di formule [...] hanno un unico fine: fornire uno<br />

strumento per narrare una storia in canto e versi. [...] ho definito gli insiemi<br />

di idee usati abitualmente nella narrazione di storie nello stile formulare di<br />

canto tradizionale i “temi” della poesia.<br />

Gli episodi che, sulla scorta di Albert Lord, chiameremo temi sono definibili<br />

come sequenze narrative, composte da una serie di motivi o funzioni, alcuni dei quali<br />

fondamentali altri accessori. Il termine “motivo” compare nell’enucleazione della<br />

166 Cfr. Lord, 2005, p. 133.


analisi morfologica dei racconti favolistici di Vladimir Ja. Propp 167 , il quale<br />

preferisce rintracciare degli schemi funzionali, che chiama appunto funzioni dei<br />

personaggi, entro i quali classificare i singoli motivi. La funzione è l’unità minimale<br />

della narrazione popolare e non può essere suddivisa in parti più piccole senza<br />

perdere di significato. Rappresenta in genere un’azione che contribuisce<br />

all’evoluzione dell’intreccio.<br />

Per funzione si intende l’atto del personaggio, ben determinato dal<br />

punto di vista della sua importanza per il decorso dell’azione. 168<br />

Un esempio di funzione è il seguente: Khan Manodoro ha dei figli. Questo è di<br />

per sé un motivo, il cui significato non cambia in relazione alla modalità con cui si<br />

presenta, dunque il numero dei figli può variare a seconda della versione senza<br />

pregiudicare la funzione.<br />

Complessi più ampi ma stabili e ricorrenti di questi motivi o funzioni<br />

costituiscono delle sezioni narrative, i temi.<br />

Nel caso dell’epica orale i temi si comportano come unità strutturali<br />

indipendenti che, coerentemente con lo svolgimento dell’azione, possono essere<br />

combinati in ordine diverso creando sequenze originali.<br />

167 Cfr. Propp, 2009.<br />

168 Ibid., p. 27.<br />

KELAÊ DIMDIM 135


136 CAPITOLO III – IL TESTO<br />

Ogni tema può, inoltre, essere trattato dal cantore in modo personale,<br />

ampliato o ridotto, farcito di particolari pur mantenendo alcuni elementi cardine<br />

che lo rendano riconoscibile. Lo stile del cantore, secondo Lord, è individuato<br />

proprio dal modo in cui sceglie di disporre ed elaborare i vari temi, decidendo a<br />

quali conferire maggior importanza e a quali dedicare meno attenzione.<br />

La narrazione orale di un’epica, in questo caso Dimdim, fa venir meno la<br />

coerenza delle funzioni, in senso proppiano, poiché gli eventi sono giustapposti , in<br />

linea di massima, secondo la successione cronologica degli avvenimenti storici,<br />

sebbene l’elaborazione orale abbia conferito alla vicenda un aspetto di leggenda.<br />

Pertanto, coerentemente con le idee avanzate da Lord sull’organizzazione<br />

della narrazione, ogni unità tematica diventa indipendente e la connessione tra le<br />

unità non segue la logica funzionale tipica delle fiabe, bensì avviene o tramite versi<br />

di cesura, come indicato nel paragrafo precedente, oppure senza soluzione di<br />

continuità secondo un processo “agglomerante” o “aggregativo” per citare Walter<br />

Ong 169 .<br />

Accade inoltre che i vari temi si comportino come strutture a finestra,<br />

all’interno delle quali trovano spazio altri temi minori.<br />

Temi, motivi e sequenze<br />

I temi sono stati individuati in base alla ricorrenza, sia nel racconto storico che<br />

nelle versioni orali, e segmentati in base al contenuto o alla presenza di formule di<br />

cesura. Questa suddivisione in temi è dovuta ad una scelta personale, basata<br />

169 Cfr. Ong, 1986, pp. 67 e segg e pp. 154 e segg.


sull’osservazione e il confronto delle versioni a disposizione e anche sulla<br />

individuazione di formule specifiche. Non escludo che ci possano essere analisi e<br />

suddivisioni più efficaci.<br />

tipologie:<br />

Realizzata l’articolazione del testo in temi, ne sono state individuate tre<br />

- Temi principali: sono gli elementi fondamentali del racconto, i più<br />

importanti e rilevanti. Compaiono, con rare eccezioni, in tutte le varianti.<br />

Ricorrono un’unica volta all’interno di ogni narrazione.<br />

- Temi accessori: elementi di corredo che possono variare a seconda della<br />

versione, essere presenti o meno. Non sono strutturali e compaiono un’ unica<br />

volta.<br />

- Temi ricorrenti: più che temi si dovrebbero definire “motivi tematici”.<br />

Non hanno funzione strutturale dal punto di vista narrativo, ma una notevole<br />

importanza sul piano formale. Hanno, infatti, una struttura “a contenitore” e<br />

possono essere messi in relazione ad argomenti vari rimanendo riconoscibili grazie<br />

soprattutto alla presenza di una formula. Fanno parte di questa categoria rassegne<br />

ed elenchi che possono essere ripetuti con analoga modalità e diverso contenuto<br />

all’interno della stessa narrazione.<br />

Gli schemi morfologici ottenuti sono serviti per mettere a confronto i testi in<br />

funzione dell’analisi testuale e formulaica, dell’elaborazione della forma da parte del<br />

cantore, e del canto in relazione alla versificazione e al suo contenuto.<br />

KELAÊ DIMDIM 137


138 CAPITOLO III – IL TESTO<br />

Sono state messe a confronto le strutture delle varianti dell’epica, comparando<br />

tutte le versioni in forma di beyt tra quelle collazionate.<br />

Successivamente sono elencate le varie strutture morfologiche così come<br />

compaiono nelle versioni in forma di beyt.<br />

Dal confronto, soprattutto tra le versioni di Bahdinan 2009, si riscontra la<br />

permanenza di personaggi fondamentali, episodi, temi e motivi, che contribuiscono<br />

a confermare l’esistenza e l’omogeneità dell’oicotipo Bahdinan, descritta in<br />

precedenza.<br />

Il raffronto tra le versioni della raccolta Bahdinan-2009 e quelle<br />

cronologicamente precedenti relative allo stesso oicotipo, rivela infatti una discreta<br />

somiglianza nei temi, nella loro successione e nella presenza e nell’uso di alcune<br />

formule.<br />

Temi<br />

Ogni tema è sviluppato in un numero di versi (o in frasi se si trova nelle parti<br />

in prosa) variabile da cantore a cantore. A volte un tema è svolto in un paio di versi,<br />

ma deve essere considerato sostanziale nello sviluppo narrativo.<br />

I titoli sono riassuntivi e non esaustivi della complessità che alcuni temi<br />

presentano.<br />

I temi principali che ho potuto individuare sono dieci. Utilizzando una<br />

numerazione progressiva questi sono stati suddivisi in sottotemi, episodi che


solitamente compaiono in concomitanza, ma che possono eventualmente non essere<br />

presenti o subire delle variazioni di contenuto senza inficiare la struttura generale né<br />

del tema stesso, né dell’epopea, in varianti, ossia svolgimenti alternativi con il<br />

medesimo fine morfologico.<br />

Altre categorie di temi sono state denominate temi ricorrenti e temi<br />

accessori. I temi ricorrenti, come suggerisce l’aggettivo, possono comparire più di<br />

una volta all’interno della narrazione anche in contesti differenti. Sono strutturati<br />

come “contenitore” e modificati a seconda della necessità. Possono avere funzione<br />

riempitiva, di raccordo, di elenco. Un esempio è il tema dell’invio della lettera (tema<br />

ricorrente a) che comporta una ripetizione di un certo tipo di formula ben<br />

riconoscibile, ma il cui schema tematico-formulaico si adattata alla necessità e al<br />

contesto.<br />

I temi accessori sono invece episodi a latere della storia, spesso introduzioni<br />

originali del singolo cantore che non comportano modificazioni sostanziali<br />

nell’intreccio o nella struttura del beyt. Anche questi hanno nella maggior parte dei<br />

casi la funzione di riempitivo e sono anch’essi connotati da strutture formulaiche<br />

tipiche o versi ricorrenti.<br />

Di seguito sono riportate le descrizioni schematiche dei vari temi. Se ne indica<br />

il titolo, la tipologia (se compare in prosa o versi), una breve descrizione, le formule<br />

caratteristiche associate e in quali versioni compare.<br />

KELAÊ DIMDIM 139


140 CAPITOLO III – IL TESTO<br />

TEMA INTRODUTTIVO. Prosa. Vengono fornite informazioni che riguardano<br />

il personaggio principale, o la situazione generale prima della vicenda; non è<br />

presente in tutte le varianti. Non ci sono formule specifiche. [I.A, E.P. O.M]<br />

TEMA 1: PRESENTAZIONE DEL PROTAGONISTA. Prosa o versi. Si suddivide in<br />

sotto-temi indipendenti che possono o meno comparire o essere disposti in ordine<br />

diverso. [I.A., F.B. H.S., B.B., H.A., K.K., O.D.]<br />

SOTTOTEMA 1.1: ORIGINI. Prosa o versi; in alcune varianti è<br />

ripetuto in entrambi i modi. Si danno informazioni sulla provenienza del<br />

protagonista e sulle cause che lo hanno portato a cercare ospitalità presso lo Shah.<br />

Non c’è una formula specifica collegata a questo tema, ma alcune formule<br />

generiche, usate cioè anche in altri contesti, Eccone alcuni esempi:<br />

I.A., v. 4<br />

Xanek j’nav kurda rabû ye Un eroe (un khan) comparve tra<br />

H.A., vv. 1,2<br />

i curdi.<br />

Hêe Xanek rabû ji Hizarcûtê Un Khan arrivò da Hezarjut<br />

K.M., v. 1<br />

Xan xulame li Amêdîye Khan era un suddito di Amedî<br />

SOTTOTEMA 1.2.: ATTRIBUZIONE DEL NOME. Prosa. Si fornisce la<br />

motivazione leggendaria per l’origine del nome del protagonista. Esistono due<br />

principali tradizioni. 1.2.1: Leone. Khan perde la mano catturando un leone per<br />

volere dello Shah. Come segnalato in precedenza, questo tema appartiene alla


categoria Ricerca di animali pericolosi del Motif-Index; e, in ottica proppiana, assume la<br />

funzione della Prova attraverso la quale si stabilisce il valore dell’eroe. 1.2.2:<br />

Battaglia/Punizione. Khan perde la mano in combattimento oppure gli viene<br />

recisa per punizione.<br />

SOTTOTEMA 1.3: LITE CON CALIFFO. Prosa. A seguito di una lite<br />

Khan decide di abbandonare la casa dello Shah e di rendersi indipendente<br />

costruendone una propria.<br />

TEMA 2: ACQUISIZIONE DEL TESORO. Prosa o versi. Khan entra in possesso<br />

di un tesoro grazie al quale può costruire la sua fortezza. Due sotto-temi che, se<br />

presenti entrambi, compaiono in ordine.<br />

SOTTOTEMA 2.1: SOGNO. Durante una visita ai pascoli insieme allo<br />

Shah, Khan ha una visione che gli svela il modo di ottenere un tesoro di nascosto<br />

allo Shah.<br />

Alcuni elementi ricorrono in varie versioni e caratterizzano il tema.<br />

Un primo gruppo si individua nel racconto del sogno mentre sta accadendo.<br />

Gli elementi comuni sono sottolineati:<br />

I.A., vv. 13-16<br />

Xanê b’ çavê d'xo dîtîye Ad un tratto Khan coi suoi<br />

stessi occhi vide<br />

Mişê reş û hêke sipî ye Una mosca nera e un uovo bianco,<br />

B’tiblêt Şahê derkeftiye Uscire da un dito dello Shah.<br />

L’ser wê pira bîlaê l’ser wê bilîla Attraversò un mare di latte<br />

asnê û be'hra sîrê derbas bûye usando un ponte di metallo<br />

F.B., vv. 25-28<br />

KELAÊ DIMDIM 141


142 CAPITOLO III – IL TESTO<br />

«Min dît xewnek ‘ecîbîye «Ho fatto un sogno così strano<br />

Mîşek reşe û hêka sipîye C’era una mosca nera con un<br />

uovo bianco<br />

Li bin difinî min der keftîye Che usciva fuori dalla mia<br />

narice proprio sotto il mio naso,<br />

Pira bîlê be’hra şîrê derbaz bîye Attraversava il ponte di metallo<br />

H.A., vv. 87-88<br />

e un mare di latte<br />

Mişê reş keleka derkeftîye Una mosca nera è apparsa<br />

Li be’hraka şîrê derbaz bîye Ha attraversato un mare di latte<br />

K.M.<br />

Xan li xewê h’işîyar nebuye Khan non si svegliò dal sogno<br />

Mêşekê xwe li difna Xani dabuye Una mosca uscì dalla sua narice<br />

Successivamente quando il sogno viene raccontato si ha il seguente verso:<br />

I.A. v., 34<br />

Gotî: «Şahî xuş bît xewn nine E disse: «Shah, non era un bel<br />

ew xeyale sogno era una visione<br />

F.B., vv. 33-34<br />

Xanî gotî: «Ew xewn nine ew xeyale Khan disse: «Non è un sogno,<br />

è una visione!<br />

Ew xewn nine ew xolîne Non è un sogno, sono le ceneri<br />

H.A., v. 104<br />

«Xewn nîne ê xiyale Non è un sogno è un’illusione<br />

SOTTOTEMA 2.2: MULLAH. Khan chiede aiuto ad un Mullah per<br />

decifrare lo scritto che lo rende proprietario della ricchezza trovata, poi lo uccide.


TEMA 3: COSTRUZIONE DI DIMDIM. Suddiviso in sotto-temi racconta la fase<br />

precedente all’assedio.<br />

SOTTOTEMA 3.1: RICHIESTA DELLA TERRA. Versi. Khan con uno<br />

stratagemma - indicato come L’acquisto di una terra basato sull’inganno nel Motif-Index e<br />

come Il terreno misurato con la pelle del bue nel Types - ottiene una terra vasta e ricca di<br />

acqua.<br />

La formula specifica utilizzata è:<br />

I.A., vv. 71-72<br />

«Herê Şahî here Şahî «Oh Shah, oh Shah<br />

Bide min temit çerme gaî Dammi un pezzo di pelle di bue<br />

F.B. vv. 104-105<br />

«Herî Şahê ye, herî Şahê ye «Oh Shah, oh Shah<br />

Tu b’de min qeder çermî gayiye Dammi un pezzo di pelle di bue<br />

H.S., vv. 51-52<br />

«Herî Şahe herê Şahê «Oh Shah, oh Shah,<br />

‘Erdê b’de min temit çermî gaê Dammi una terra [grande<br />

B.B, v. 16<br />

come] la pelle di un bue<br />

Bide min temet çermî ga ye Dammi un pezzo di pelle di bue<br />

H.A., vv. 117-118<br />

«Werî Şahê herî Şahê «Oh Shah, oh Shah<br />

KELAÊ DIMDIM 143<br />

Bide min temetê çermî gayê Dammi un pezzo di pelle di bue


144 CAPITOLO III – IL TESTO<br />

SOTTOTEMA 3.2: OPERAI AL LAVORO. Versi. Il numero degli operai<br />

che costruiscono è specificato con enfasi. Per questo tema sono usate costruzioni<br />

anaforiche, come ad esempio F.B. vv. 133-147, H.A. vv. 156-252.<br />

SOTTOTEMA 3.4: APPROVVIGIONAMENTI. Prosa. Completata la<br />

costruzione si provvede a raccogliere cibo a sufficienza per resistere ad un assedio.<br />

TEMA 4: MATRIMONIO. Versi o prosa. Brevissimo accenno alla festa nuziale<br />

che si svolge, in molte versioni, al completamento della costruzione della fortezza. Il<br />

matrimonio, tra il figlio di Khan e la figlia dello Shah, dovrebbe servire a suggellare<br />

un’alleanza. Nella Storia curda una simile unione avvenne qualche anno dopo la<br />

battaglia di Dimdim tra Khan Ahmad Khan della potente tribù degli Ardalan 170 e<br />

la giovane sorella dello Shah ‘Abbas, Zarrin Kholâh Begom.<br />

TEMA 5: KHAN MUKRÎ. Prosa. L’unica versione in cui questo Tema compare<br />

in versi rimati, anche se non si può avere la certezza piena che fossero effettivamente<br />

cantati, è S.I. Nel tema si racconta dell’incontro tra i due capi tribù e di come<br />

l’inusuale dono di una culla di legno, che Khan Mukrî offre a Khan Manodoro,<br />

colpisca l’attenzione di questo che decide di stringere l’alleanza.<br />

170 ‘Abbas nel 1611 fu sull’orlo di condurre un’altra grandiosa battaglia contro una tribù curda, quella<br />

degli Ardalan. Deciderà poi di stabilire un’alleanza attraverso il giovane rampollo Khan Ahmad Khan<br />

che verrà educato alla corte di Ispahan, convertito allo sciismo e nominato vâli, vassallo, dell’impero.<br />

La riconquista di Baghdad alla Persia, nel 1625, avverrà per mano di Khan Ahmad Khan.


TEMA 6: INIZIO DELL’ASSEDIO. Versi. La prima parte della battaglia vede i<br />

contendenti in equilibrio di forze. Si individuano dei sotto-temi.<br />

SOTTOTEMA 6.1: NEMICI DI FEDE. Versi. Nella stagione invernale i<br />

Curdi rapinano le carovane persiane e con questo manifestano l’ostilità contro lo<br />

Shah. Il Califfo convince lo Shah del tradimento del suo vecchio ospite definendolo<br />

“nemico di fede”.<br />

I.A., v. 196<br />

Yî biye dujminî dînî te È diventato un tuo nemico di fede<br />

F.B., vv. 168-170<br />

«Ew Xanî xolamî te ye «Il tuo servo Khan<br />

Kuştin bazirganî te ye Ha ucciso i tuoi mercanti<br />

Bû dujiminî dînî te ye» È diventato il tuo nemico di fede!»<br />

H.S., vv. 179-181<br />

«Herî Şahê herî Şahê «Oh Shah, oh Shah<br />

Ew Xankî xolamî meye Il nostro servo Khan<br />

Bû dujminî dînî meye È diventato nostro nemico di fede!<br />

B.B., vv. 89-90<br />

Ev xankî xolamî te wo Quel Khan tuo servitore<br />

Bû dujiminî dinî te wo» È diventato il tuo nemico di fede!»<br />

SOTTOTEMA 6.2: AMULETI. Versi. Accortosi dell’imminente attacco<br />

persiano Khan fa scrivere lettere o amuleti per scongiurare la battaglia. Il tema<br />

viene presentato con una costruzione anaforica in modo che l’azione (scrittura<br />

dell’amuleto o della lettera e invio in diverse parti del Kurdistan) possa essere<br />

ripetuta più volte e acquisire così maggiore evidenza.<br />

KELAÊ DIMDIM 145


146 CAPITOLO III – IL TESTO<br />

Questo tema può essere introdotto dalla formula, vista in precedenza, che usa<br />

a ripetizione il verbo binin (“portare”). Si veda ad esempio: I.A. vv. 224-286.<br />

SOTTOTEMA 6.3: ASSEDIO. Versi. L’esercito persiano si assiepa alle<br />

pendici di Dimdim. Le tende viste dalla fortezza sembrano coprire l’intero<br />

territorio, ma Khan convince i suoi che non tutte siano piene di soldati. In questo<br />

tema è usata la formula di comparazione già vista in precedenza (Secondo esempio,<br />

n°1).<br />

SOTTOTEMA 6.4: SORTITE DEI CURDI. Versi. Durante la notte<br />

alcuni eroi curdi escono dalla fortezza, penetrano nel campo nemico ed uccidono<br />

molti soldati. Una formula caratteristica [numero] xîvet kirine vale (“hanno svuotato<br />

[...] tende”)<br />

TEMA 7: TRADIMENTO. Versi e prosa. Questo è l’evento che segna le sorti<br />

della battaglia. Il tradimento, nonostante non abbia nell’immediato un effetto<br />

catastrofico per la guarnigione curda, risulta essere il perno attorno al quale girano<br />

le sorti della battaglia<br />

SOTTOTEMA 7.1: IL TRADITORE. Versi. Il traditore, in molte versioni<br />

chiamato Mahmid Alakani, è offeso e disprezzato per il gesto che compie: lega una<br />

lettera, in cui svela la posizione della cisterna d’acqua di Dimdim, attorno ad una<br />

freccia che raggiunge l’accampamento nemico. Lo Shah, sfrutta il suo aiuto però<br />

disprezzandone il gesto lo fa giustiziare.<br />

L’epiteto associato al traditore è “senza padre/madre”, la formula: ew Me’hmîdî<br />

bab/da ê nemayi (“quel Mehmid, figlio di nessuno”).


SOTTOTEMA 7.2: INQUINAMENTO DELLA SORGENTE. Versi. La<br />

sorgente viene inquinata con il sangue della macellazione, in modo che alla fortezza<br />

non arrivi più acqua potabile.<br />

TEMA 8: DONNE. Versi. Le donne curde decidono di sacrificare la propria<br />

vita nel momento in cui la sorte sembra segnata. Le formule riguardanti questo<br />

tema sono state ampiamente illustrate in precedenza.<br />

TEMA 9: CONSIGLIO DELLA MADRE. Versi. Khan chiede consiglio alla madre<br />

su come comportarsi per sopravvivere alla carenza d’acqua. La madre lo esorta a<br />

pregare.<br />

curdi”).<br />

Alla madre è associato il verso Ya bi kurtîkê li bi lebayi (“Tu che indossi vestiti<br />

TEMA 10: BATTAGLIA. Versi. La parte finale del racconto verte sulla battaglia<br />

all’ultimo sangue tra gli eserciti. Sono presenti vari sotto-temi<br />

SOTTOTEMA 10.1: I CURDI ESCONO DAL CASTELLO. Versi. In forma<br />

di elenco con struttura ricorsiva e anaforica. Sono passati in rassegna alcuni degli<br />

eroi curdi che si preparano alla battaglia vestendo l’armatura.<br />

KELAÊ DIMDIM 147<br />

SOTTOTEMA 10.2: UCCISIONE DEL CALIFFO. Versi. Khan si reca<br />

nella tenda del Califfo e con uno stratagemma gli sottrae la spada e lo uccide.<br />

Questo tema ricorda l’episodio storico effettivamente accaduto. In questo ricorrono<br />

alcune formule tra cui: kuştîn mamo biraza (“uccise lo zio e i nipoti”); ti tibla xo bik’êşe


148 CAPITOLO III – IL TESTO<br />

şadeo (“Solleva il dito per la shahada”). All’interno di questo tema può essere<br />

inserito il tema delle spade (tema accessorio d) spesso in costruzione ricorsiva.<br />

SOTTOTEMA 10.3: LA BATTAGLIA. Versi. Viene descritta la battaglia<br />

corpo a corpo e si fa riferimento alla grande quantità di morti.<br />

SOTTOTEMA 10.4: MORTE DI ABDALBEG. Versi. Il figlio di Khan,<br />

ancora inesperto, maneggia la propria spada in modo maldestro, tenendola nell’elsa.<br />

Quando comincia a combattere a piena forza attira su di sé gli attacchi nemici.<br />

Viene colpito e ucciso. Un esempio di formula collegata a questo tema è stato dato<br />

in precedenza (Primo esempio).<br />

SOTTOTEMA 10.5: FINE DELLA BATTAGLIA. Versi. Khan disperato<br />

per la morte del figlio si getta all’inseguimento dello Shah. Lo Shah per mettere fine<br />

drasticamente alla battaglia fa cospargere il campo di battaglia di polvere da sparo e<br />

fa dare fuoco. Oppure una delle donne rimaste al castello (la madre o la moglie di<br />

Khan) dà fuoco al deposito della polvere da sparo, distruggendo la fortezza. Tutto<br />

viene distrutto.<br />

TEMI RICORRENTI<br />

a: Lettere. Tema frequentemente utilizzato in contesti vari. Se ne<br />

individuano due tipologie.<br />

a.a: Invio lettere. Versi. In forma ricorsiva la struttura si ripete per<br />

ogni destinatario: la scrittura della lettera con una richiesta e l’invio ad un<br />

destinatario. In certe strutture può essere compresa la risposta.


Come in precedenza anche questo tema può essere introdotto dal verbo binin<br />

(“portare”). 171<br />

a.b: Intercettazione e falsificazione delle lettere. Versi o<br />

prosa. La lettera con una richiesta (generalmente di aiuto) è intercettata e<br />

manomessa senza che il messaggero se ne renda conto. Arrivata a destinazione<br />

risulta incomprensibile e la richiesta non viene esaudita.<br />

Questa formula si presenta come un elenco in cui compare ricorsivamente<br />

l’espressione kaqezek ji belgî “lettera [è fatta] di una foglia di”. Un esempio:<br />

H.S. vv. 386 e segg.<br />

Bêjin: «Kaqeza ji belgî bîberî Dicono: «La lettera è fatta con<br />

una foglia di peperone<br />

Kaqeza ji belgî bîberî La lettera è fatta con una<br />

foglia di peperone<br />

Diken bû mîrî Yemenî È stata inviata al principe<br />

degli Yaman<br />

Çû mu mamela nadenî Non gli hanno dato nessuna risposta<br />

Kaqeza ji belgî tirşokî La lettera è fatta con una<br />

foglia di acetosa<br />

Diken bû mîrî Zahokî È stata inviata al principe di Zakho<br />

Perî kaqezî yî şîne La lettera è blu<br />

Çi ‘alim û xandin lî nîne Nessuna informazione e nessuna<br />

scritta sono visibili su di essa<br />

b: Rassegna di persone. Versi. Tema tipico con cui si elencano tutti i<br />

partecipanti ad un evento.<br />

Anche in questo caso attraverso anafore viene effettuata una rassegna di nomi,<br />

a volte ad ognuno è associata una breve descrizione.<br />

171 Si veda anche il Settimo esempio, più indietro in questo capitolo.<br />

KELAÊ DIMDIM 149


150 CAPITOLO III – IL TESTO<br />

c: Cannoni. Versi. In forma ricorsiva e con anafore. Vengono elencati i tipi di<br />

cannoni enfatizzando la potenza di ognuno.<br />

binin.<br />

Anche in questo caso può essere utilizzata la formula introduttiva con il verbo<br />

Un esempio:<br />

H.S. vv. 307-309<br />

Dî bînin t’opa mezine Portano il grande mortaio!<br />

Berkêwî d’bêjin ‘heft mine Qualcuno dice che colpirono sette volte<br />

Dimdimî hezandê j’bine Dimdim alla sua radice<br />

TEMI ACCESSORI<br />

a: Servizio postale. Compare solamente in I.A. spiega il funzionamento del<br />

servizio postale a staffetta nel Kurdistan del medioevo.<br />

b: Lo Shah promette a Khan il regno di Urmia. L’offerta del potere<br />

ufficiale in cambio della fedeltà allo Shah compare in posizioni varie. Il tema è<br />

analogo all’offerta di una corona.<br />

c: Offerta della corona. Il Califfo propone a Khan una corona, simbolo<br />

dell’investitura ad un potere ufficiale soprattutto in situazioni di difficoltà. Khan<br />

rifiuta.<br />

d: Spade. Versi. Esistono due tipologie.<br />

d.a: Costruzione di spade potenti. Khan richiede la costruzione<br />

di armi particolarmente resistenti per il suo esercito.<br />

d.b: La spada non è abbastanza affilata e non taglia. Se<br />

l’arma non corrisponde alle aspettative perché non sufficientemente affilata, viene<br />

derisa.


e: Preghiera. Versi. In forma ricorsiva compare in due tipologie<br />

e.a: Per la pioggia<br />

e.b Per l’aiuto degli alleati. La preghiera è esplicita e può essere<br />

in forma di elenco con struttura ricorsiva.<br />

f: Incitamento alla battaglia. Versi. Khan incita i suoi a combattere fino<br />

allo stremo.<br />

Curdi.<br />

g: Il consiglio di Dimdim. Compare in H.S. e descrive il Consiglio dei<br />

h: Qero e Kanin. Versi. Due giovanissimi eroi combattono ai lati opposti del<br />

campo non riconoscendosi a causa delle armature. Sono però fratelli e quando si<br />

riconoscono cominciano a combattere assieme. In una delle versioni, H.A., il nome<br />

di uno dei due fratelli è Bangin, personaggio dell’epopea Mem û Zin. Spesso si tratta<br />

di un unico verso o di un piccolo gruppo di cui caratteristica è l’associazione dei due<br />

nomi. Ad esempio in B.B. v. 405 si ha: Êk Qeraye û êk Kanine (“uno è Qero l’altro è<br />

Kanin”).<br />

i: Offerta cibo. Per ingannare lo Shah sul reale stato di cose, Khan fa inviare<br />

un pasto all’accampamento nemico, per far credere di poter protrarre ancora a<br />

lungo l’assedio.<br />

j: Il Sultano. Compare in O.M. Il Sultano arriva da Istanbul per combattere<br />

contro lo Shah. I due eserciti combattono in campo aperto, ma i turchi schierano<br />

molti più cannoni e vincono la battaglia.<br />

MORFOLOGIA DELLE VARIANTI ORALI<br />

KELAÊ DIMDIM 151


152 CAPITOLO III – IL TESTO<br />

Di seguito sono elencati i temi nell’ordine in cui compaiono in ciascuna delle<br />

versioni di Bahdinan-2009. Ad esse si aggiungono le versioni in forma di beyt<br />

presenti nelle pubblicazioni di Celîl (Celîl, 1967, e Celîl, 1978) , e A.D.1.<br />

Accanto ad ogni tema è specificato se l’episodio compare in versi, in prosa o<br />

misto, per rendere immediato il confronto tra le varianti.<br />

[I.A.]<br />

Tema introduttivo Prosa<br />

Tema 1 – Presentazione del protagonista<br />

Tema 1.1 – Origini Prosa<br />

Tema 1.2.2 – Attribuzione del nome (Battaglia) Prosa<br />

Tema 1.2.1 – Attribuzione del nome (Leone) Prosa<br />

Tema accessorio (a.a) Prosa<br />

Tema accessorio (b) Prosa<br />

Tema 2 – Acquisizione del tesoro<br />

Tema 2.1 – Sogno Prosa<br />

Tema 2.2 – Mullah Prosa<br />

Tema 1.1 – Origini Versi<br />

Tema 2 – Acquisizione del tesoro<br />

Tema 2.1 – Sogno Versi<br />

Tema 2.2 – Mullah Versi<br />

Tema 3 – Costruzione di Dimdim<br />

Tema 3.1 – Richiesta della terra Versi<br />

Tema 3.2 – Operai al lavoro Versi<br />

Tema ricorrente (b) Versi<br />

Khan convoca gli usta<br />

Tema 4 – Matrimonio Versi e prosa<br />

Tema 6 – Inizio dell’assedio<br />

Tema 6.1 – Nemici di fede Versi<br />

Tema ricorrente (a.a) Versi e prosa<br />

Lo Shah scrive a Khan per chiedere spiegazioni.<br />

Tema 6.2 – Amuleti (Khan) Versi


Tema ricorrente (a.a) Versi<br />

Khan scrive ai capi curdi.<br />

Tema 6.2 – Amuleti (Shah) Versi<br />

Tema ricorrente (b) Versi<br />

Arrivano gli emiri persiani.<br />

Tema 6.3 – Assedio Versi<br />

Tema 5 – Khan Mukrî Prosa<br />

Tema ricorrente (a.b) Prosa<br />

Tema 7 - Tradimento<br />

Tema 7.1 – Il traditore Versi<br />

Tema 7.2 – Inquinamento delle sorgenti Versi<br />

Tema accessorio (e.a) Versi<br />

Tema 8 – Donne Prosa e versi<br />

Tema 9 – Consiglio della madre Versi<br />

Tema 10 – Battaglia Versi<br />

Tema 10.2 – Uccisione del Califfo Versi<br />

Tema accessorio (d.b) Versi<br />

Tema ricorrente (b) Versi<br />

Rassegna degli eroi curdi<br />

Tema accessorio (h) Versi<br />

Tema 10.4 – Morte di ‘Abdalbeg Versi<br />

Tema 10.5 – Fine della battaglia Versi<br />

Tema accessorio (c) Versi<br />

[F.B.]<br />

Tema 1 – Presentazione del protagonista<br />

Tema 1.1 – Origini Prosa<br />

Tema 1.2.1 – Attribuzione del nome (Leone) Prosa<br />

Tema 1.1 – Origini Versi<br />

Tema 2 – Acquisizione del tesoro<br />

Tema 2.1 – Sogno Versi<br />

Tema 2.2 – Mullah Versi<br />

Tema 4 – Matrimonio Prosa<br />

KELAÊ DIMDIM 153


154 CAPITOLO III – IL TESTO<br />

Tema 5 – Khan Mukrî Prosa<br />

Tema 2.2 – Mullah (II) Versi<br />

Tema 3 – Costruzione di Dimdim<br />

Tema 3.1 – Richiesta della terra Versi<br />

Tema 3.2 – Operai al lavoro Versi<br />

Tema 6 – Inizio dell’assedio<br />

Tema 6.1 – Nemici di fede Versi<br />

(Rip.) Tema 6.1 – Nemici di fede Versi<br />

Tema 6.3 – Assedio Versi<br />

Tema 6.4 – Sortite dei curdi Versi<br />

Tema 6.2 – Amuleti Versi<br />

Tema ricorrente (b) Versi<br />

Arrivano gli emiri persiani.<br />

Tema ricorrente (c) Versi<br />

I persiani sparano sulle mura di Dimdim<br />

Tema 7 – Tradimento<br />

Tema 7.1 – Il traditore Versi<br />

Tema ricorrente (c) Versi<br />

Lo Shah fa sparare Mahmid Alakani sulle mura di Dimdim<br />

Tema 7.2 – Inquinamento della sorgente Prosa<br />

Tema 9 – Consiglio della madre Versi<br />

Tema accessorio (e.a) Versi<br />

Tema 10 – Battaglia<br />

Tema 10.1 – I Curdi escono dal castello Versi<br />

Tema 8 – Donne Versi<br />

Tema accessorio (h) Versi<br />

Tema accessorio (d.a) Versi<br />

Tema 10 – Battaglia (II)<br />

Tema 10.2 – Uccisione del Califfo Versi<br />

Tema accessorio (c) Versi<br />

Tema accessorio (d.b) Versi<br />

Tema 10.4 – Morte di ‘Abdalbeg Versi<br />

Tema 10.5 – Fine della battaglia Versi<br />

Tema accessorio (h) Versi


[H.S.]<br />

Tema 1 – Presentazione del protagonista<br />

Tema 1.1 – Origini Prosa<br />

Tema 1.3 – Lite con Califfo Prosa<br />

Tema 1.2.1 – Attribuzione del nome (Leone) Prosa e versi<br />

Tema 2 – Acquisizione del tesoro<br />

Tema 2.1 – Sogno Prosa e versi<br />

Tema 2.2 – Mullah Prosa e versi<br />

Tema 3 – Costruzione di Dimdim<br />

Tema 3.1 – Richiesta della terra Prosa e versi<br />

Tema accessorio (b) Versi<br />

Tema 3.2 – Operai al lavoro Versi e prosa<br />

Tema 4 – Matrimonio Prosa<br />

Tema 3.3 – Approvvigionamenti Prosa<br />

Tema 5 – Khan Mukrî Prosa<br />

Tema 6 – Inizio dell’assedio<br />

Tema 6.1 – Nemici di fede Versi<br />

Tema 6.4 – Sortite dei Curdi Versi<br />

Tema ricorrente (a.a) Versi<br />

Lo Shah invia lettere in tutto l’Iran.<br />

Tema ricorrente (b) Versi<br />

Arrivo dei pagani.<br />

Tema ricorrente (c) Versi<br />

Tema 7 – Tradimento<br />

Tema 7.1 – Il traditore Versi<br />

Tema 7.2 – Inquinamento della sorgente Prosa e versi<br />

Tema 9 – Consiglio della madre Versi<br />

Tema accessorio (e.a) Versi<br />

Tema ricorrente (a.b) Prosa e versi<br />

Khan chiede aiuto ai capi curdi<br />

Tema 10 – Battaglia<br />

Tema accessorio (e) Versi e prosa<br />

KELAÊ DIMDIM 155


156 CAPITOLO III – IL TESTO<br />

Tema accessorio (f) Versi<br />

Tema accessorio (d.a) Versi<br />

Tema 8 – Donne Versi<br />

Tema 10 – Battaglia (II)<br />

Tema accessorio (g) – Il Consiglio di Dimdim Versi<br />

Tema accessorio (h) Versi<br />

Tema accessorio (d.a)<br />

Tema 10.1 – I curdi escono dal castello Versi<br />

Tema 10.2 – Uccisione del Califfo Versi<br />

Tema accessorio (d.b) Versi<br />

Tema 10.3. – La battaglia Versi<br />

Tema ricorrente (b) Versi<br />

Rassegna dei combattenti curdi<br />

Tema accessorio (h) Versi<br />

Tema 10.4 – Morte di ‘Abdalbeg Versi<br />

Tema 10.5 – Fine della battaglia Versi<br />

[B.B.]<br />

Tema 1 – Presentazione del protagonista<br />

Tema 1.1 – Origini Prosa<br />

Tema 1.3 – Lite con Califfo Prosa<br />

Tema 2 – Acquisizione del tesoro<br />

Tema 2.1 – Sogno Prosa<br />

Tema 2.2 – Mullah Versi<br />

Tema 1.2.1 – Attribuzione del nome (Leone) Prosa<br />

Tema 3 – Costruzione di Dimdim<br />

Tema 3.1 – Richiesta della terra Prosa e versi<br />

Tema 3.2 – Operai al lavoro Versi e prosa<br />

Tema 3.3 – Approvvigionamenti Prosa<br />

Tema 4 – Matrimonio Prosa<br />

Tema 5 – Khan Mukrî Prosa<br />

Tema 6 – Inizio dell’assedio


Tema 6.1 – Nemici di fede Versi<br />

Tema 6.3 – Sortite dei Curdi Versi<br />

Tema accessorio (c) Versi<br />

Lo Shah ordina di sparare contro Dimdim<br />

Tema ricorrente (a.a) Versi<br />

Lo Shah invia lettere per radunare un esercito<br />

Tema 7 – Tradimento<br />

Tema 7.1 – Il traditore Versi<br />

Tema 7.2 – Inquinamento della sorgente Prosa<br />

Tema 9 – Consiglio della madre<br />

Tema accessorio (e.a) Versi<br />

Tema ricorrente (a.b) Versi<br />

Tema ricorrente (b) Versi<br />

I Curdi che arrivano in aiuto di Khan<br />

Tema 8 – Donne Versi<br />

Tema 10 – Battaglia<br />

Tema 10.1 – I Curdi escono dal castello Versi<br />

Tema 10.2 – Uccisione del Califfo Versi<br />

Tema accessorio (d.b) Versi<br />

Tema 10.3 – La battaglia Versi<br />

Tema accessorio (h) Versi<br />

Tema 10.4 – Morte di ‘Abdalbeg Versi<br />

Tema 10.5 – Fine della battaglia Versi<br />

[H.A.]<br />

Tema 1 – Presentazione del protagonista<br />

Tema 1.1 – Origini Versi e prosa<br />

Tema 1.3 – Lite con Califfo Prosa e versi<br />

Tema 1.2.1 – Attribuzione del nome (Leone) Prosa e versi<br />

Tema 2 – Acquisizione del tesoro<br />

Tema 2.1 – Sogno Versi e prosa<br />

Tema 3 – Costruzione di Dimdim<br />

Tema 3.1 – Richiesta della terra Versi e prosa<br />

KELAÊ DIMDIM 157


158 CAPITOLO III – IL TESTO<br />

Tema 3.2 – Operai al lavoro Versi e prosa<br />

Tema ricorrente (b) Versi<br />

Vengono enumerati i mastri che lavorano alla costruzione.<br />

Tema ricorrente (c) Versi<br />

Khan fa sparare sulle mura per provarne la resistenza<br />

Tema 5 – Khan Mukrî Prosa<br />

Tema 3.4 – Approvvigionamenti Prosa<br />

Tema 6 – Inizio dell’assedio<br />

Tema 6.1 – Nemici di fede Versi<br />

Tema ricorrente (a.a) Versi<br />

Il Califfo invia lettere per formare un esercito di persiani<br />

Tema ricorrente (b) Versi<br />

I persiani arrivano<br />

Tema 7 – Tradimento<br />

Tema 7.1 – Il traditore Versi e prosa<br />

Tema ricorrente (c) Versi<br />

Mahmid Alakani viene sparato sulle mura di Dimdim<br />

Tema 7.2 – Inquinamento della sorgente Prosa<br />

Tema 9 – Consiglio della madre Versi e prosa<br />

Tema accessorio (e.a) Versi e prosa<br />

Tema ricorrente (a.b) Prosa<br />

Tema accessorio (e.b) Versi<br />

Tema ricorrente (b) Versi<br />

Tema 10 – Battaglia<br />

Tema accessorio (d.a) Versi<br />

Tema 10.1 – I Curdi escono dal castello Versi<br />

Tema 8 – Donne Versi<br />

Tema 10 – Battaglia<br />

Tema 10.3 – Battaglia Versi<br />

Tema accessorio (h) Versi<br />

Tema 10.2 – Uccisione del Califfo Versi<br />

Tema accessorio (c) Versi<br />

Tema accessorio (d.b) Versi<br />

Tema 10.3 – Battaglia Versi


Tema ricorrente (b) Versi<br />

Vengono passati in rassegna i combattenti curdi.<br />

Tema 10.4 – Morte di ‘Abdalbeg Versi<br />

Tema 10.5 – Fine della battaglia Versi e prosa<br />

Tema accessorio (h) Versi<br />

[E.P.]<br />

Tema introduttivo<br />

Tema 3 – Costruzione di Dimdim<br />

Tema 3.1 – Richiesta della terra<br />

Tema 3.2 – Operai al lavoro<br />

Tema 6 – Inizio dell’assedio<br />

Tema 6.1 – Nemici di fede<br />

Tema 3.4 – Approvvigionamenti<br />

Tema 6.3 - Assedio<br />

Tema 9 – Consiglio della madre<br />

Tema 6.4 – Sortite dei Curdi<br />

Tema ricorrente (b)<br />

Arrivo dei capi persiani chiamati dal Califfo<br />

Tema accessorio (c)<br />

Tema ricorrente (c)<br />

Lo Shah fa sparare su Dimdim senza riuscire a scalfirla.<br />

Tema accessorio (i)<br />

Tema 7 – Tradimento<br />

Tema 7.1 – Il traditore<br />

Tema ricorrente (c)<br />

Mahmid Alakani è sparato contro le mura di Dimdim.<br />

Tema 7.2 – Inquinamento della sorgente<br />

Tema accessorio (g)<br />

Tema 9 – Consiglio della madre (II)<br />

Tema 10 – Battaglia<br />

Tema 10.1 – I Curdi escono dal castello<br />

Tema ricorrente (b)<br />

KELAÊ DIMDIM 159


160 CAPITOLO III – IL TESTO<br />

Rassegna dei combattenti curdi.<br />

Tema accessorio (d.a)<br />

Tema accessorio (f)<br />

Tema 6.3 – Assedio<br />

Tema ricorrente (b)<br />

Rassegna delle tende dei persiani assiepate intorno a Dimdim.<br />

Tema 10.3 – La battaglia<br />

Tema 10.2 – Uccisione del Califfo<br />

Tema accessorio (d.b)<br />

Tema 10.4 – Morte di ‘Abdalbeg<br />

Tema 10.5 – Fine della battaglia<br />

[O.M.]<br />

Tema introduttivo<br />

Tema 5 – Khan Mukrî<br />

Tema 6 – Inizio dell’assedio<br />

Tema 6.1 – Nemici di fede<br />

Tema 6.3 – Assedio<br />

Tema 7 – Tradimento<br />

Tema 7.1 – Il traditore<br />

Inquinamento della sorgente<br />

Tema accessorio (e.a)<br />

Tema accessorio (f)<br />

Tema accessorio (e.b)<br />

Tema ricorrente (b)<br />

Enumerazione dei capi curdi accorsi in aiuto di Khan.<br />

Tema 10 – Battaglia<br />

Tema 10.3 – La battaglia<br />

Tema 8 – Donne<br />

Tema 10 – Battaglia (II)<br />

Tema accessorio (j)<br />

Tema 10.3 – La battaglia (II)


[K.K.]<br />

Tema 1 – Presentazione del protagonista<br />

Tema 1.1 – Origini Versi<br />

Tema 2 – Acquisizione del tesoro Prosa<br />

Tema 2.1 - Sogno Prosa<br />

Tema 1.2.2 - Attribuzione del nome (Battaglia) Versi<br />

Tema 3 – Costruzione di Dimdim<br />

Tema 3.1 – Richiesta della terra Versi<br />

Tema 3.2 – Operai al lavoro Versi e prosa<br />

Tema ricorrente (c) Versi<br />

Khan fa sparare su Dimdim per provarne la resistenza<br />

Tema 6 – Inizio dell’assedio<br />

Tema 6.1 – Nemici di fede Versi e prosa<br />

Tema ricorrente (a) Versi<br />

Scambio di lettere tra il Califfo e lo Shahe tra lo Shahe Khan.<br />

Tema ricorrente (b) Versi<br />

Rassegna dei Khan convocati da Hasan Khan per ordine dello Şah.<br />

Tema 10 – Battaglia<br />

Tema 10.1 – I curdi escono dal castello Versi e prosa<br />

Tema 10.3 – La battaglia Prosa<br />

Tema accessorio (i) Prosa<br />

Tema 7 – Tradimento<br />

Tema 7.1 – Il traditore Versi<br />

Tema 7.2 – Inquinamento della sorgente Versi<br />

Tema ricorrente (c) Versi e prosa<br />

Mahmud viene sparato sulla fortezza.<br />

Tema 9 – Consiglio della madre<br />

Tema accessorio (e.a) Versi e prosa<br />

Tema 10 – Battaglia (II)<br />

Tema 10.3 – La battaglia (II) Prosa<br />

Tema ricorrente (a.a) Prosa<br />

Khan chiede aiuto ai capi curdi.<br />

Tema ricorrente (a.b) Prosa<br />

KELAÊ DIMDIM 161


162 CAPITOLO III – IL TESTO<br />

Khan chiede aiuto al pasha turco.<br />

Tema 10.1 – I Curdi escono dal castello Versi<br />

Tema 10.2 – Uccisione del Califfo Versi e prosa<br />

Tema accessorio (d.b) Versi<br />

Tema ricorrente (b) Versi<br />

Rassegna di combattenti curdi.<br />

Tema 10.3 – Fine della battaglia Versi e prosa<br />

Tema 8 – Donne Prosa<br />

[O.D.]<br />

Tema 1 – Presentazione del protagonista<br />

Tema 1.1 – Origini del protagonista Prosa<br />

Tema 1.2.2 – Attribuzione del nome (Punizione) Prosa<br />

Tema 1.2.1 -Attribuzione del nome (Leone) Prosa<br />

Tema 1.3 – Lite con Califfo Prosa<br />

Tema 3 – Costruzione di Dimdim<br />

Tema 3.1. – Richiesta della terra Versi e prosa<br />

Tema 2.1 – Sogno Prosa<br />

Tema 3.2. – Operai al lavoro Versi<br />

Tema ricorrente (b) Versi<br />

Khan chiama i mastri artigiani.<br />

Tema 3.4 - Approvvigionamenti Versi<br />

Tema 5 – Khan Mukrî Prosa<br />

Tema 6 – Inizio dell’assedio<br />

Tema 6.1 – Nemici di fede Versi<br />

Tema ricorrente (a.a) Versi<br />

Lo Shah fa scrivere ai persiani per radunare un esercito.<br />

Tema 6.3 – Assedio Versi e prosa<br />

Tema 6.4 – Sortite dei Curdi Versi<br />

Tema ricorrente (a.a) Versi<br />

Lo Shah invia lettere ai capi persiani delle città più importanti<br />

Tema ricorrente (b) Versi<br />

Arrivo dei capi persiani


Tema ricorrente (c) Versi<br />

Lo Shah fa sparare su Dimdim, ma senza scalfirla<br />

Tema accessorio (i) Prosa<br />

Tema 7 – Tradimento<br />

Tema 7.1 – Il traditore Versi e prosa<br />

Tema 7.2 – Inquinamento della sorgente Versi<br />

Tema accessorio (e.a) Versi<br />

Tema 9 – Consiglio della madre Versi<br />

Tema accessorio (a.b) Versi<br />

Tema accessorio (d.a) Prosa<br />

Tema 8 – Donne Versi<br />

Tema 10 – Battaglia<br />

Tema 10.1 – I Curdi escono dal castello Versi<br />

Tema 10.2 – Uccisione del Califfo Versi<br />

Tema accessorio (d.b) Versi<br />

Tema 10.4 – Morte di ‘Abdalbeg Versi<br />

Tema 10.5 – Fine della battaglia Prosa<br />

[K.M.]<br />

Tema 1 – Presentazione del protagonista<br />

Tema 1.1 – Origini del protagonista Versi<br />

Tema 2 – Acquisizione del tesoro<br />

Tema 2.1 – Sogno Versi<br />

Tema 1.2.1 – Attribuzione del nome (Leone) Versi<br />

Tema 3 – Costruzione di Dimdim<br />

Tema 3.1 – Richiesta della terra Versi<br />

Tema 3.2 – Operai al lavoro Versi<br />

Tema ricorrente (b)<br />

Khan chiama i mastri artigiani.<br />

Tema 6 – Inizio dell’assedio<br />

Tema 6.1 – Nemici di fede Versi<br />

Tema 6.3 – Assedio Versi<br />

KELAÊ DIMDIM 163


164 CAPITOLO III – IL TESTO<br />

Tema 6.4 – Sortite dei Curdi Versi<br />

Tema ricorrente (a.a) Versi<br />

Lo Shah invia lettere ai capi persiani delle città più importanti<br />

Tema ricorrente (b) Versi<br />

Arrivo dei capi persiani<br />

Tema ricorrente (c) Versi<br />

Tema 7 – Tradimento<br />

Tema 7.1 – Il traditore Versi<br />

Tema 7.2 – Inquinamento della sorgente<br />

Tema accessorio (e.a)<br />

Tema 8 – Donne Versi<br />

Tema 10 – Battaglia<br />

Tema 10.1 – I curdi escono dal castello Versi<br />

Tema 10.2 – Uccisione del Califfo Versi<br />

Tema accessorio (d.b) Versi<br />

Tema 10.3. – La battaglia Versi<br />

Tema accessorio (d.a) Versi<br />

Tema 10.4 – Morte di ‘Abdalbeg Versi<br />

Tema 10.5 – Fine della battaglia Versi<br />

[S.I.]<br />

Tema 1 – Presentazione del protagonista<br />

Tema 1.2.1 – Attribuzione del nome (Leone) Versi<br />

Tema 1.1 – Origini del protagonista Versi<br />

Tema 2 – Acquisizione del tesoro<br />

Tema 2.1 – Sogno Versi<br />

Tema 3.1 – Richiesta della terra Versi<br />

Tema 3.2 – Operai al lavoro Versi<br />

Tema 5 – Khan Mukrî Versi<br />

Tema 6 – Inizio dell’assedio<br />

Tema ricorrente (a.a) Versi<br />

Lo Shah invia lettere ai capi persiani delle città più importanti<br />

Tema ricorrente (b) Versi


Tema 6.3 – Assedio Versi<br />

Tema ricorrente (b) Versi<br />

Tema 7 – Tradimento<br />

Tema 7.1 – Il traditore Versi<br />

Tema ricorrente (c) Versi<br />

Tema 8 – Donne Versi<br />

Tema 10 – Battaglia<br />

Tema accessorio (d.b) Versi<br />

Tema 10.5 – Fine della battaglia Versi<br />

[A.D.1]<br />

Tema 1 – Presentazione del protagonista<br />

Tema 1.2.1 – Attribuzione del nome (Leone) Versi<br />

Tema 2 – Acquisizione del tesoro<br />

Tema 2.2 – Mullah Versi<br />

Tema 3 – Costruzione di Dimdim<br />

Tema 3.1 – Richiesta della terra Versi<br />

Tema accessorio (b) Versi<br />

Tema 3.2 – Operai al lavoro Versi<br />

Tema 6 – Inizio dell’assedio<br />

Tema 6.1 – Nemici di fede Versi<br />

Tema 6.4 – Sortite dei curdi Versi<br />

Tema ricorrente (c) Versi<br />

Tema 7 – Tradimento<br />

Tema 7.1 – Il traditore Versi<br />

Tema 9 – Consiglio della madre Versi<br />

Tema accessorio (e.a) Versi<br />

Tema ricorrente (a.b) Versi<br />

Khan chiede aiuto ai capi curdi<br />

Tema 10 – Battaglia<br />

Tema accessorio (e) Versi e prosa<br />

Tema accessorio (f) Versi<br />

Tema accessorio (d.a) Versi<br />

KELAÊ DIMDIM 165


166 CAPITOLO III – IL TESTO<br />

Tema 8 – Donne Versi<br />

Tema 10 – Battaglia (II)<br />

Tema accessorio (g) – Il Consiglio di Dimdim Versi<br />

Tema accessorio (h) Versi<br />

Tema accessorio (d.a)<br />

Tema 10.1 – I curdi escono dal castello Versi<br />

Tema 10.2 – Uccisione del Califfo Versi<br />

Tema accessorio (d.b) Versi<br />

Tema 10.3. – La battaglia Versi<br />

Tema ricorrente (b) Versi<br />

Rassegna dei combattenti curdi<br />

Tema accessorio (h) Versi<br />

Tema 10.4 – Morte di ‘Abdalbeg Versi<br />

Tema 10.5 – Fine della battaglia Versi<br />

Come si può notare ogni sequenza è diversa, sia per l’ordine in cui compaiono<br />

alcuni temi principali, sia per quali e quanti temi secondari, accessori o ricorrenti<br />

vengono inseriti e dove. Alcuni temi sono presenti in tutte le versioni e costituiscono<br />

l’ossatura della narrazione. Altri possono essere inseriti in vari punti<br />

indifferentemente in versi o prosa. Tutto ciò è in linea con le teorie di Lord circa la<br />

flessibilità con cui i temi possono essere ordinati e giustapposti nella formazione di<br />

un canto a discrezione del cantore. 172<br />

Le versioni da me raccolte durante la ricerca sul campo presentano, anche se<br />

in ordine diverso, tutte quante gli stessi temi. Nelle restanti versioni in forma di beyt<br />

collazionate e analizzate, invece, alcuni temi mancano. In particolare: in E.P.<br />

mancano i temi 1 (Presentazione del protagonista), 2 (Acquisizione del tesoro), 4<br />

172 Cfr. Lord, 2005, pp. 171 e segg.


(Matrimonio), 5 (Khan Mukrî), 8 (Donne); in O.M. 1 (Presentazione del<br />

protagonista), 2 (Acquisizione del tesoro), 3 (Costruzione di Dimdim), 4<br />

(Matrimonio), 9 (Consiglio della madre); in K.K. e K.M.4 (Matrimonio), 5 (Khan<br />

Mukrî); in O.D. 2 (Acquisizione del tesoro), 4 (Matrimonio); in S.I. 3 (Costruzione di<br />

Dimdim), 4 (Matrimonio), 9 (Consiglio della madre).<br />

La diversa disposizione e organizzazione del materiale narrativo delle versioni<br />

di cui sopra potrebbe, in effetti, essere dovuta a una diversa tradizione dell’epica, e<br />

non dover essere considerata un’omissione. Non è, però, possibile formulare ipotesi<br />

plausibili su questo argomento, poiché non si hanno notizie sufficienti circa le<br />

condizioni e il contesto di esecuzione e registrazione dei canti di cui si possiede il<br />

solo testo scritto, né informazioni esaurienti circa le modalità, i luoghi e i tempi<br />

dell’apprendimento dell’epica da parte dei cantori da me registrati sul campo. Tutto<br />

ciò potrebbe essere, tuttavia, uno spunto per una successiva ricerca sulle modalità di<br />

elaborazione e disposizione del materiale tematico da parte dei vari cantori,<br />

modalità che contribuiscono, come sostiene Lord, a creare il loro stile specifico. 173<br />

In questo capitolo è stata valutata e analizzata la presenza nel beyt di Dimdim<br />

di versi individuabili come formule. Sono stati inoltre rintracciati e delineati i temi<br />

che concorrono a formare la narrazione. L’esistenza di formule e gruppi di formule,<br />

unita alla gestione dei temi in modo autonomo e personale da parte dei cantori, dà<br />

modo di confermare l’ipotesi che questa epica curda sia elaborata secondo il<br />

metodo della composing perfomance.<br />

173 Cfr. Lord, 2005, pp. 163 e segg.<br />

KELAÊ DIMDIM 167


168 CAPITOLO III – IL TESTO


CAPITOLO IV – ANALISI DEI CANTI:<br />

VERSO E MELODIA<br />

Come accennato nell’Introduzione, in ambito curdo non sono molti gli studi<br />

con un approccio specificamente musicologico. 174 Sebbene la musica sia uno degli<br />

aspetti più importanti della cultura curda, i lavori più approfonditi e interessanti sul<br />

patrimonio orale sono stati effettuati da sociologi, linguisti e oralisti. Il taglio dato<br />

all’analisi, pertanto, non si accosta mai a sufficienza all’aspetto sonoro dell’oralità<br />

popolare.<br />

In questo lavoro si tenta di applicare un’analisi musicologica finora mai<br />

affrontata (almeno in Italia) a un genere importante della letteratura orale curda,<br />

sebbene sempre più raro da ascoltare.<br />

KELAÊ DIMDIM 169<br />

Il testo di Celîl, più volte citato in questo lavoro, è stato un preziosissimo<br />

riferimento sia per la visione d’insieme sull’epica di Dimdim, sia per la raccolta<br />

documentaria. D’altra parte le trascrizioni musicali, riportate in conclusione al<br />

saggio, non sono accompagnate da alcuna spiegazione specifica né tantomeno<br />

esaustiva sui modi d’uso e le specificità del genere. I due esempi musicali inseriti si<br />

limitano a indicare una linea ritmico-melodica di massima. È stato così trascurato<br />

un aspetto strutturale di questo tipo di poesia popolare, ovvero la specifica<br />

174 Da ricordare il lavoro pionieristico dei fratelli Celîl sul folklore, pubblicati in ex Unione Sovietica, di D.<br />

Christensen sulla classificazione dei generi e sugli strumenti tradizionali (Christensen, 2001), e gli studi di S. Blum<br />

e A. Hasanpour sulla canzone (Blum, Hasanpour,1966).


170 CAPITOLO IV – VERSO E MELODIA<br />

musicalità della parola, caratterizzata dal ritmo sillabico che ne rende attive e vitali<br />

l’esecuzione e l’ascolto.<br />

I due esempi proposti da O. Celîl sono tratti dal volume di Cemila Celîl 175<br />

Kilameta û miqamed cimeta kurda (Melodie e maqam del popolo curdo, Erevan, 1964) 176 :<br />

Esempio 1<br />

Esempio 2<br />

Il testo dei versi, riportato in caratteri cirillici, è in curdo e tratto da versioni<br />

del beyt di Dimdim raccolte dall’autrice.<br />

175 Cemîle Celîl (o Jamila Jalil), musicista e ricercatrice, sorella di Ordikhane e Celîle insieme ai quali ha svolto<br />

ricerche sul folklore curdo. (Per la grafia dei nomi vedere Nota in Introduzione)<br />

176 Cfr. C. Celil, 1965.


L’andamento è sillabico e la scansione binaria, ma nelle misure 3, 5, 7 si nota<br />

il prolungamento della vocale sulla stessa nota ribattuta.<br />

L’autrice sceglie di dare un’indicazione ritmica (2/4) per segnalare la presenza<br />

di due accenti forti all’interno di ciascun verso, composto da due misure. Inoltre,<br />

inserendo negli esempi quattro versi consecutivi, pare suggerire un’omogeneità<br />

ritmico-melodica e una strutturazione strofica del canto. Tutto questo, unito alla<br />

esplicitazione di un impianto tonale lascia pensare ad una normalizzazione della<br />

melodia che in nessun caso analizzato in Bahdinan-2009 trova riscontro.<br />

In effetti Dieter Christensen, uno tra i maggiori esperti di musica curda,<br />

mosse una forte critica alla pubblicazione di C. Celîl, rilevando in particolar modo<br />

la scarsa accuratezza delle trascrizioni musicali, adattate ad uno stile europeo<br />

specialmente nei ritmi. 177<br />

Poiché nella monografia di Celîl (Celîl, 1967) l’analisi musicale del beyt di<br />

Dimdim si limita a questi esempi, si è creduto opportuno approfondirla<br />

ulteriormente.<br />

KELAÊ DIMDIM 171<br />

Nel prosieguo del capitolo verranno presentati i modelli melodici utilizzati da<br />

ogni cantore per l’esecuzione del beyt e le modalità di variazione adottate. Si<br />

porranno successivamente a confronto le melodie con i rispettivi versi poetici per<br />

coglierne le relazioni fra testo poetico ed esecuzione cantata. Saranno anche offerti<br />

esempi specifici di come il cantore utilizzi il verso musicale adattandolo alle esigenze<br />

177 Cfr. Christensen, 1967, pp. 131-132. «The musical transcriptions show a strong European bias, they appear to<br />

be extremely simplified and therefore not very reliable. Alternating uneven measures, which are so frequent in<br />

Kurdish dance and ceremonial songs, have been forced here into simple "European" meter». Il brano è tratto<br />

dalla recensione che Christensen fece del volume di C. Celîl precedentemente citato.


172 CAPITOLO IV – VERSO E MELODIA<br />

del testo, e di come questo tenda a rispettare alcune “imposizioni” della frase<br />

musicale, quali ad esempio, la scansione ritmica.<br />

Le varianti prese in considerazione per questa analisi sono I.A., F.B., B.B.,<br />

H.S., H.A. della raccolta Bahdinan-2009 e A.D.1 in forma di beyt, e I.A.St, H.B.St,<br />

KHI1, KHI2 e KHI3 in forma di stran, quelle, cioè, per le quali esiste una<br />

registrazione sonora.<br />

Lo stran, la canzone strofica, pur avendo una struttura formale diversa da<br />

quella del beyt, condivide con esso alcuni particolari. Vi si trovano ad esempio alcuni<br />

versi-formula e il comportamento delle melodie, sia nella loro struttura che nella<br />

relazione con il verso, è molto simile a quello osservato nel beyt.<br />

A causa di queste somiglianze e della rarità degli esempi sonori di questo<br />

genere si è ritenuto di dover inserire anche una descrizione di questa forma.<br />

Trattandosi di poesia cantata, prima di affrontare nello specifico l’analisi delle<br />

melodie, è però fondamentale dare qualche nozione sulle questioni metriche che<br />

riguardano la struttura del verso curdo utilizzato nel beyt.<br />

STRUTTURA DEI VERSI<br />

Le teorie sulla versificazione della poesia popolare curda sono varie e non tutte<br />

concordanti.


Uno degli studiosi più citati in merito all’analisi della metrica nella poesia<br />

popolare curda è senza dubbio Oskar Mann. Ufficiale ed etnologo tedesco, pubblicò<br />

nel 1906-09 Die Mundart der Mukrî-Kurden, opera nella quale trascrisse, tradusse ed<br />

analizzò una cospicua mole di canti popolari da lui stesso raccolti durante una<br />

permanenza nel Kurdistan iraniano.<br />

Analizzando alcuni canti epici in forma di beyt, Mann constatò che le tre<br />

fondamentali caratteristiche della poesia popolare curda erano la presenza costante<br />

e imprescindibile della rima, una sostanziale mancanza di regolarità metrica e<br />

prosodica, la struttura strofica.<br />

KELAÊ DIMDIM 173<br />

La rima è l’elemento in assoluto preponderante del verso popolare, tanto da<br />

costituire, nell’analisi di Mann, una netta discriminante tra la prosa e la poesia. In<br />

particolare risulta prevalente la rima “femminile”, ove a rimare sono le due sillabe<br />

finali, delle quali solo la prima accentata. Sono frequenti anche le rime impure.<br />

Le considerazioni sulla metrica e la prosodia Mann le trasse dall’analisi di<br />

alcuni canti lirici (lawj) e poemi epici (beyt o destan) della tradizione Mukrî, tra cui<br />

anche il poema di Dimdim. Dall’analisi delle trascrizioni dei testi poetici dedusse<br />

che la prosodia del verso non rispondeva a regole metriche basate sulla quantità o la<br />

qualità delle sillabe, come accade nella poesia colta. Scelse, quindi, come parametro<br />

di analisi, il numero di sillabe e suddivise i versi dei componimenti raccolti in “versi<br />

lunghi”, oltre le otto o dieci sillabe, e “versi brevi”, otto e raramente sette sillabe.<br />

Constatò come tale numero fosse, anche all’interno del medesimo componimento o<br />

della medesima strofa, estremamente variabile e apparentemente non soggetto a<br />

precise regole, pertanto stabilì che anche l’alternanza di versi lunghi o brevi non


174 CAPITOLO IV – VERSO E MELODIA<br />

seguiva in un disegno formale predefinito. Riscontrò che l’andamento del canto, o<br />

della declamazione, era più rapido in presenza di versi lunghi, mentre rallentava in<br />

passaggi definiti “lirici”, i cui versi erano brevi. Questa tipologia di verso da otto<br />

sillabe con rima femminile era di gran lunga prevalente nei brani da lui<br />

analizzati. 178<br />

Il canto di Dimdim presente in Die Mundart, facente parte anche della<br />

collazione di testi di Celîl e qui indicato come O.M., fornisce un esempio di tutte le<br />

caratteristiche sopra elencate. Di particolare interesse, poiché non si riscontra<br />

fenomeno analogo nei canti in dialetto kurmanji, sono i trentotto versi introduttivi. 179<br />

Essi corrispondono al modello di verso lungo. Sono, difatti, individuabili in quanto<br />

versi grazie alla rima finale, per lo più femminile, ma alcuni superano le quaranta<br />

sillabe. Il corpo del canto è invece costituito da versi brevi, ottosillabici, con rima<br />

femminile. Purtroppo di questa come delle altre versioni non esiste una trascrizione<br />

musicale, e non è dato sapere in che modo questi versi ipertrofici fossero intonati.<br />

Sempre secondo Mann, il ritmo interno del verso, segue l’accentazione<br />

naturale delle parole, fatta eccezione per la penultima sillaba, ossia la rima, che<br />

viene marcata in modo più evidente.<br />

Infine, la struttura strofica, che il ricercatore tedesco individua come terzo<br />

elemento caratteristico della poesia popolare curda, è quasi sempre costituita,<br />

secondo le sue analisi, da unità di tre o quattro versi in rima.<br />

178 Cfr. Mann 1906-09, pp. 15-49 dell’introduzione.<br />

179 Cfr. Appendice II, p. 425.


Fu Basile Nikitine, curdologo sovietico, a evidenziare l’acceso dibattito che si<br />

creò tra sostenitori e oppositori della tesi di Mann. 180 Tra questi ultimi il Principe<br />

curdo Kamuran Bedir Khan, autore di un’importante grammatica curda, il quale<br />

sostenne l’impossibilità della non esistenza di una metrica.<br />

Ordixane Celîl, 181 considera l’esistenza di due tipologie di versificazione che<br />

definisce “simmetrica” e “asimmetrica”. La versificazione “simmetrica” si ha<br />

quando i versi contano lo stesso numero di sillabe e non presentano rima finale, ma<br />

numerose assonanze interne. Quella “asimmetrica” quando i versi, di diversa<br />

lunghezza sillabica, rimano tra loro. Questa considerazione dimostra, secondo<br />

l’autore, che la versificazione è sillabico-accentuativa, basata cioè sul numero delle<br />

sillabe e sulla posizione degli accenti all’interno del verso. Per dare ulteriore<br />

conferma di questo fatto inserisce un esempio di quattro versi in notazione metrica<br />

quantitativa, apponendo l’accentazione così come risulterebbe nella naturale<br />

pronuncia parlata. Gli accenti risultano disposti in modo irregolare, ma neanche<br />

secondo un’organizzazione quantitava sembrerebbe esserci uno schema. Celîl non<br />

inserisce però l’esempio melodico relativo e non è dunque dato sapere se e quale<br />

corrispondenza metrica ci fosse tra i versi e la loro esecuzione musicale.<br />

KELAÊ DIMDIM 175<br />

Michael L. Chyet, infine, allineandosi con gli studi precedenti e concordando<br />

sostanzialmente con la tesi di Mann, secondo la quale gli elementi costitutivi della<br />

180 Cfr. Nikitine, 1947-50.<br />

181 Cfr. Celîl, 1967, p.130.


176 CAPITOLO IV – VERSO E MELODIA<br />

poesia popolare curda siano la rima, il ritmo sillabico e la struttura strofica<br />

introduce il concetto innovativo di “sequenza-rimica” (rhyme sequence). 182<br />

La sequenza rimica sarebbe una struttura facilmente individuabile all’interno<br />

dei componimenti di carattere epico beyt, e corrisponderebbe all’insieme di versi<br />

adiacenti che presentano la medesima rima sulla penultima e ultima sillaba, o meno<br />

frequentemente, sulla sola ultima sillaba. Queste sequenze possono prolungarsi<br />

anche per decine di versi.<br />

L’analisi dei testi della raccolta Bahdinan-2009 e degli altri beyt dell’epica di<br />

Dimdim a disposizione ha offerto alcune conferme alle teorie precedentemente<br />

espresse, ma anche alcuni interessanti spunti di riflessione.<br />

Rima<br />

Le parti del beyt in versi cantati sono caratterizzate dalla presenza di sequenze<br />

rimiche composte da due o più versi, fino anche ad alcune decine. Versi in rima<br />

sciolta si trovano molto raramente e sono, in genere, isolati. In alcuni casi sono<br />

dovuti a incertezze del cantore: si veda per esempio I.A. v. 241. 183<br />

Come nelle versioni “antiche” anche in quelle di Bahdinan-2009 le rime più<br />

diffuse sono di tipo femminile.<br />

182 Crf. Chyet, 1991, p.138.<br />

183 Cfr Appendice I, p. 14.


Un espediente intensivamente utilizzato, come ha notato Mann tra i primi 184 ,<br />

consiste nell’aggiunta di una vocale (o sillaba) eufonica grammaticalmente<br />

irrilevante, come -e, -a, ye, ya, che permette di completare un verso garantendo la<br />

rima come si vede nel seguente esempio:<br />

B.B. vv. 313-315:<br />

‘Edilanî di çarde saline Dei giovani di quattordici anni<br />

T’asêt avî înandîne Portarono delle ciotole d’acqua<br />

T’aset avî vexwarîne Bevvero delle ciotole d’acqua<br />

le terminazioni grammaticalmente corrette sarebbero salin (“hanno...anni”) 185 ,<br />

înandîn (“portarono”), wexwarîn (“bevvero”). La -e finale è grammaticalmente<br />

irrilevante. Questa aggiunta sembrerebbe necessaria soprattutto a fini musicali e<br />

canori, poiché la presenza della vocale, irrilevante in termini metrici e grammaticali,<br />

permette l’intonazione di una nota nel rispetto del ritmo stabilito. Non è<br />

infrequente, tuttavia, che la parola rima sia la coniugazione alla terza persona<br />

singolare del verbo essere (-e o -ye per l’appunto), la quale consente di realizzare<br />

lunghe sequenze in rima grazie anche alla costruzione grammaticale della frase<br />

nominale che prevede il verbo in ultima posizione. Si veda a tal proposito la lunga<br />

sequenza in H.A. da v. 18 a v. 41. 186<br />

184 Cfr. Mann, 1906-09.<br />

KELAÊ DIMDIM 177<br />

CD 1 – tr. 1<br />

185 La costruzione è come in inglese: çarde (“quattordici”) sal (“anni”) in (“sono”) = hanno quattordici anni.<br />

186 Cfr. Appendice I, pp. 238-239. Inoltre, dove indicato, sono presenti esempi sonori estratti dalle registrazioni e<br />

contenuti nel CD in allegato.


178 CAPITOLO IV – VERSO E MELODIA<br />

Tale espediente è applicato anche nell’esecuzione dello stran, dove trova una<br />

enfasi ulteriore, quando il secondo cantore subentrando al primo sovrappone la<br />

propria voce a quella del compagno proprio sull’ultima sillaba che risulta quindi<br />

non accentata, ma più vigorosa. Nel canto a solo del beyt un effetto analogo è<br />

ottenuto accentuando vocalmente anche l’ultima sillaba, che continua ad essere<br />

atona, ma viene rinforzata dal volume della voce. Della particolare importanza che<br />

assume l’ultima pulsazione della melodia, ovvero l’ultima sillaba, si dirà<br />

successivamente.<br />

Strofe e sequenze rimiche<br />

Riguardo alla struttura strofica dei canti epici bisogna accettare con cautela sia<br />

la teoria di Mann, secondo il quale la struttura strofica princeps è la quartina, che la<br />

teoria di Chyet, forse più consistente.<br />

Le strutture che si incontrano sia nelle versioni “antiche”, contenute in Celîl,<br />

che nelle versioni di Bahdinan-2009 sono, infatti, di vario tipo.<br />

Ad esempio, alcune lunghe sequenze con medesima terminazione femminile<br />

sono: I.A., vv. 1-33, H.A. vv. 57-79 e vv. 505-520, K.M. vv. 1-62 (con sporadiche<br />

eccezioni di versi isolati in cui solo l’ultima sillaba è in rima). 187 Da notare che le<br />

vocali î e û sono equivalenti dal punto di vista rimico. 188 In questi casi, dunque,<br />

sembrerebbe più corretto parlare di sequenza rimica anziché di strofa.<br />

187 Cfr. Appendice I, pp. 6-7, pp. 241-242 e Appendice II, testi.<br />

188 Cfr. Chyet, 1991, p.135.


Si trovano, invece, con una incidenza maggiore, sequenze composte da un<br />

numero di versi più contenuto. Un esempio tra i molti: F.B. vv. 129-185 e segg., dove<br />

si succedono, senza regolarità, sequenze di varia lunghezza, con anche alcuni versi<br />

sciolti isolati. Numero di versi e rima sono i seguenti: 2 (-egê), 3 (-inî), 3 (- unî/-olî), 2<br />

(-ave), 4 (-inge), 4 (-aze), 5 (-iye), 3 (-andin), 4 (-eye), 4 (-îne), 3 (-iştin), 4 (-eye), 2 (-êbît), 6 (-<br />

iye), 5 (-ane), 2(-ikê). 189<br />

KELAÊ DIMDIM 179<br />

In alcuni casi, oltre che grazie alla rima, i versi possono essere raggruppati<br />

secondo una struttura anaforica. Ogni sequenza comincia con un verso la cui parte<br />

iniziale rimane invariata mentre, ad ogni ripetizione, cambia la terminazione,<br />

Questo tipo di verso, il cui funzionamento è stato descritto anche nel precedente<br />

capitolo, è quello definito da Cyhet rhyme signalling device. Le strofe così costruite,<br />

dette anche “parallele”, 190 ricorrono in vari punti del canto, ma sembrano<br />

comparire senza uno schema predefinito, e non avere un numero fisso di versi.<br />

Per illustrare questo aspetto propongo un esempio tratto da I.A. (vv.<br />

105-138). 191 Al v. 105 comincia una sequenza di sette versi con rima in -ane. Al v.<br />

109 inizia, senza che la rima cambi, una prima sequenza di anafore (du hizar,<br />

“duemila”). Al v. 112 inizia una seconda sequenza di anafore (Dimdim îna, “Dimdim<br />

cominciarono”). Questi versi introducono anche una nuova rima (-anî) che cambia<br />

alla successiva apparizione del suddetto verso, v. 116, (-ûlî). Così nei versi successivi<br />

si osserva che la prima anafora (Du hizar) si ripete per undici volte senza modificare<br />

la rima, la seconda (Dimdim îna) conta quattro ripetizioni dopo ciascuna delle quali la<br />

189 Cfr. Appendice I, pp. 94-97.<br />

190 Cfr. Mann, 1906-09, pp. 39-41 dell’introduzione e Chyet, 199, p.139.<br />

191 Cfr. Appendice I, pp. 9-10.


180 CAPITOLO IV – VERSO E MELODIA<br />

rima cambia. Tra ciascuna delle occorrenze di questa seconda anafora sono<br />

compresi tre o quattro versi. Dal v. 128 in poi il “ritmo strofico” si fa più serrato<br />

infatti le ripetizioni dell’anafora sono a distanza di uno o due versi. Constatato che<br />

un comportamento analogo si verifica anche nelle altre versioni, la teoria del verso<br />

di segnalazione sembra trovare riscontro.<br />

Questa sequenza offre anche un’ottima rappresentazione di ciò che rende<br />

vivace e vario il canto. Le due anafore alternate e la rima mutevole creano un<br />

intreccio del movimento ritmico-fonetico, producendo un interessante meccanismo<br />

di richiami interni.<br />

105. Xanî digerê berzî kane Khan cerca una sorgente nascosta<br />

Sika diçite du kanane [...] andò per due sorgenti<br />

Du kana çû qeîsarê yane Due sorgenti passavano per il castello<br />

Sed husta min divên kurdane Cercò cento abili artigiani curdi<br />

Du hizar ber husta di gel wane E duemila artigiani arrivarono<br />

dal popolo<br />

110. Da çêken Dimdim xane per costruire il castello di Dimdim<br />

Da çeken Dimdim xane per costruire il castello di Dimdim<br />

Dimdim îna l’ber kulanî cominciarono a scavare per le<br />

fondamenta di Dimdim<br />

Dimdim îna l’ber kulanî cominciarono a scavare per le<br />

fondamenta di Dimdim<br />

Du hizar pale yid berdanî duemila operai lasciarono<br />

115. Çêkir cihî Sêrîçkanî il posto per costruire Serickane.<br />

Dimdim îna l’ber pêkulî cominciarono a scavare<br />

Dimdim con fatica<br />

Du hizar palelî diken şulî Duemila operai lavorarono al castello<br />

Wan çikir cihkî kir tulî Lasciarono il posto per la vendetta<br />

Dimdim îna li bin kevirî Dimdim è fatta di pietra<br />

120. 'Hemî Dimdimê wekirî Fecero le fondamenta di Dimdim


Du hizar beyna l'axî berî Duemila forestieri del deserto<br />

Da negirin l'qîmet kafirî Qui non trovano il pugnale<br />

del pagano<br />

Dimdim îna li bin çiyayê Fecero Dimdim sulla montagna<br />

'Hêmî Dimdim kulayê Scavarono una fossa<br />

125. Du hizar beyna axî nayê Duemila forestieri senza terra<br />

Da negirin l’qimî Şahî Qui non trovano il pugnale<br />

dello Shah<br />

Da negirin l’qimî Şahî Qui non trovano il pugnale<br />

dello Shah<br />

Du hizar tevir û du hizar bêran Duemila asce duemila badili<br />

Du hizar pelin du hizar şêrin Duemila foglie duemila leoni<br />

130. Ser gera Dimdim Dimdim fêrin Cercavano Dimdim,<br />

conobbero Dimdim<br />

Du hizar tevir û du hizar kulîng Duemila asce duemila picconi<br />

Du hizar şêrin du hizar pelin Duemila leoni duemila foglie<br />

Ser Dimdim û bivi rengarin Su Dimdim [...]<br />

Du hizar şêro 192 Duemila leoni<br />

135. Du hizar tevir û du hizar almas Duemila asce e duemila diamanti<br />

Du hizar şêrin du hizar beraz Duemila leoni e duemila montoni<br />

Ser Dimdim bivik û deraz Su Dimdim accette e chiodi<br />

Ser Dimdim bivik û deraz Su Dimdim accette e chiodi<br />

Da questo esempio emergono abbastanza efficacemente anche gli altri aspetti<br />

poetici che caratterizzano questo tipo di poesia orale, quali l’assonanza,<br />

l’allitterazione, e l’anafora.<br />

Ad esempio in H.A. ai vv. 468-469 si hanno alcuni versi onomatopeici:<br />

192 Verso incompleto, probabile anticipazione del v. 136.<br />

KELAÊ DIMDIM 181<br />

CD 1 – tr. 2


182 CAPITOLO IV – VERSO E MELODIA<br />

assonanze:<br />

Çirke-çirkî şîrê tînit Fece stridere la spada<br />

Nirke nirkî şîrê tînit Fece vibrare la spada<br />

In O.D. tra il n. 45 e il n. 46 si hanno i seguenti versi, con allitterazioni e<br />

Xan xulame mine Khan è mio servitore<br />

Emîne mala mine fedele alla mia casa<br />

Rasta sere kurê mine. è alla destra di mio figlio<br />

Xelifey gotê Şay: «Raste Califfo disse allo Shah: «Vero,<br />

xan xulamê teye, Khan è tuo servitore<br />

Emîne mala teye è fedele alla tua casa<br />

Belê dijminê dinê teye ma è tuo nemico di fede<br />

Prosodia e metro<br />

Effettivamente, pur esistendo nell’alfabeto curdo una differenza tra vocali<br />

brevi e lunghe 193 , sembra trovare conferma, nei canti analizzati, la teoria che la<br />

metrica poetica della poesia popolare non abbia natura puramente quantitativa.<br />

Bisogna però mettere in evidenza il fatto che rispetto ai testi delle versioni<br />

“antiche”, le esecuzioni del beyt da me registrate in Bahdinan sono decisamente più<br />

regolari nella lunghezza del verso. In queste ultime versioni, i versi brevi sono in<br />

maggioranza assoluta rispetto ai cosiddetti versi lunghi, i quali sono utilizzati<br />

sporadicamente e nella maggior parte dei casi si trovano isolati.<br />

193 Cfr. per esempio Blau, 1999, pp. 20-21 e Introduzione di questo volume.


Un esempio statistico può servire come ulteriore conferma di questo punto.<br />

Nella prima tabella sono riportati i conteggi delle sillabe dei primi cinquanta versi<br />

dei beyt di Bahdinan-2009.<br />

Tab. I - Distribuzione delle tipologie di verso secondo il numero di sillabe (Bahdinan-2009)<br />

Cant./n° sill. 7 8 9 10 11 Altro Tot. versi<br />

I.A. 1 28 13 3 1 1 (13), 1 (14), 1 (17), 1 (23) 50<br />

F.B. 0 28 9 9 0 2 (12), 1 (14), 1 (20) 50<br />

H.S. 1 28 13 2 1 3 (12), 1 (14), 1 (25) 50<br />

B.B 1 16 17 6 5 1 (12), 3 (13), 1 (15) 50<br />

H.A. 0 24 17 8 1 50<br />

Tot. versi 3 124 69 28 8 18 250<br />

Nella tabella seguente è rappresentato il conteggio dei primi cinquanta versi<br />

delle versioni del beyt contenute in Celîl (1967), in dialetto kurmanji.<br />

Tab. II - Distribuzione delle tipologie di verso secondo il numero di sillabe (altre versioni)<br />

Cant./n° sill. 7 8 9 10 11 Altro Tot. versi<br />

K.M. 1 9 9 11 5 5 (12), 3 (13), 3 (14), 1 (15), 1<br />

(16), 1 (19), 1 (20)<br />

S.I. 3 18 10 5 5 1 (12), 1 (13), 5 (14), 2 (16) 50<br />

E.P. 7 21 8 4 1 1 (12), 1 (13), 1 (14), 2 (15), 2<br />

(16), 2 (17)<br />

K.K. 6 10 19 7 3 3 (6), 1 (12), 1 (13) 50<br />

O.D. 3 9 7 8 8 2 (12), 3 (13), 2 (14), 4 (15), 1<br />

(16), 3 (17)<br />

KELAÊ DIMDIM 183<br />

Totale versi 20 67 53 35 22 52 250<br />

Come si vede la distribuzione è molto diversa, ma non avendo a disposizione<br />

le registrazioni originali è difficile dire se il fenomeno sia dovuto a un’effettiva<br />

50<br />

50<br />

50


184 CAPITOLO IV – VERSO E MELODIA<br />

differenza nella versificazione, oppure all’emendamento dei testi trascritti o ad altre<br />

ragioni ancora.<br />

In ogni caso, per analizzare la struttura del verso mi sono basata<br />

esclusivamente sulle versioni con audio da me registrate.<br />

RITMICA E SILLABAZIONE<br />

Nell’ipotesi di non accettare l’idea che non esista alcuna metrica a governare il<br />

verso popolare curdo, ho cercato di individuare un possibile schema a partire<br />

dall’analisi delle esecuzioni cantate.<br />

Qui di seguito è riportato un primo gruppo di esempi, rappresentativi di una<br />

grande mole di versi analizzati. Nelle trascrizioni si indica il numero del verso<br />

all’inizio di ogni rigo. Gli accenti sono indicati con un segno di battuta. Le legature<br />

indicano quando l’altezza della nota cambia sulla stessa sillaba, mentre i trattini<br />

indicano note ribattute. L’esecuzione cantata prevede una pulsazione regolare che<br />

indicherò con e .


1) I.A. vv. 1-4<br />

2) H.A. vv. 113-117<br />

KELAÊ DIMDIM 185<br />

CD 1 – tr. 3<br />

CD 1 – tr. 4


186 CAPITOLO IV – VERSO E MELODIA<br />

3) H.S. vv. 1-6<br />

CD 1 – tr. 5


Un secondo gruppo di esempi è il seguente:<br />

4) H.A. vv. 251-256<br />

KELAÊ DIMDIM 187<br />

CD 1 – tr. 6


188 CAPITOLO IV – VERSO E MELODIA<br />

5) F.B. vv. 358-361<br />

6) I.A. vv. 464-466<br />

CD 1 – tr. 7<br />

CD 1 – tr. 8


Negli esempi 1, 2 e 3 sono riportati alcuni versi che rispondono ad uno schema<br />

ritmico binario, composto da sedici pulsazioni e quattro accenti così organizzati:<br />

Schema 1) | e e e e| e e e e| e e e e| e e e e<br />

Il primo e il terzo accento sono più forti rispetto al secondo e al quarto. Questo<br />

comporta che le sillabe che si trovano rispettivamente sulla prima e sulla quinta<br />

pulsazione siano pronunciate con maggior appoggio. Si genera, inoltre, una cesura<br />

alla fine della seconda misura che divide il verso in due emistichi.<br />

Negli esempi 4, 5 e 6 la scansione è ternaria e conta complessivamente dodici<br />

pulsazioni e quattro accenti:<br />

Schema 2) | e e e| e e e| e e e| e e e<br />

Anche in questo caso gli accenti forti cadono sul primo e sul terzo accento e<br />

tra la sesta e la settima pulsazione si ha una cesura.<br />

Dall’ascolto, dalla trascrizione e dall’analisi dei canti, risulta che i versi<br />

sottostanno a questi due unici schemi ritmici, i quali vengono utilizzati con melodie<br />

diverse da ciascun cantore. Si è, inoltre, evinto che la pulsazione non può essere<br />

ulteriormente suddivisa e ogni sillaba può occupare una o al massimo due<br />

pulsazioni.<br />

KELAÊ DIMDIM 189


190 CAPITOLO IV – VERSO E MELODIA<br />

Una pratica comune è quella di suddividere l’ultima pulsazione dello schema<br />

ritmico melodico del verso e aggiungere una sillaba. Tale ulteriore sillaba è spesso<br />

costituita dalla congiunzione û (“e”), da un pronome wê, wî, ya (“il suo”, “il/la<br />

quale”), da preposizioni (li “a”, bi “con”), o da altri monosillabi atoni, e costituisce<br />

l’anacrusi del verso successivo. Si vedano, per esempio, i vv. 2 e 3 dell’esempio 1.<br />

Altri esempi, tra i molti possibili, sono:<br />

F.B. vv. 120-121<br />

I.A. vv. 135-136<br />

Lo stesso espediente, se applicato all’interno del verso, comporta l’aggiunta di<br />

monosillabi atoni (gli stessi citati in precedenza), oppure, nel caso di sillabe chiuse 194<br />

la vocalizzazione dell’ultima consonante (tipicamente “k”, “m”, “r”, “s”). Si osservi<br />

l’esempio:<br />

194 Sono chiuse le sillabe composte da consonante + vocale + consonante, i.e. min (“io, me”).


La “s” della sillaba qes- e la “n” del pronome min sono vocalizzate.<br />

Viene qui divisa la sillaba kur- e la “r” vocalizzata sulla sesta pulsazione.<br />

H.A. v. 14<br />

H.A. v. 16<br />

H.A. v. 115<br />

In ultima istanza è da notare che la sillaba eufonica di cui si è detto nella<br />

sezione precedente si trova sempre in corrispondenza delle ultime due pulsazioni.<br />

La funzione musicale di questa aggiunta si rintraccia, come detto, nel consentire il<br />

completamento metrico dello schema ritmico-melodico del verso, e dunque nel<br />

rende possibile l’intonazione dell’ultima sillaba.<br />

KELAÊ DIMDIM 191<br />

Se la metrica fosse puramente quantitativa, quanto detto finora sarebbe<br />

normale, ma come vedremo successivamente, rimane qualche dubbio in proposito.


192 CAPITOLO IV – VERSO E MELODIA<br />

Procedendo nell’analisi, osserviamo alcune tipologie di verso. Nelle trascrizioni<br />

seguenti le crome legate (ossia quelle che corrispondono ad una sola sillaba, ma a<br />

due altezze) verranno sottolineate, mentre le crome ribattute, ove anche si<br />

riferiscano ad una sola sillaba o ad una consonante vocalizzata, verranno scritte<br />

come tali.<br />

Nell’esempio 5 il v. 365 è in effetti composto da sette sillabe: da pir bît Siriçxane<br />

(“per riempire di nuovo Serickhan”), nella realizzazione musicale la prima “a” viene<br />

ripetuta sulla terza pulsazione e il ritmo risulta:<br />

| q e| q e| q e| q e<br />

Sono invece composti da otto sillabe il v. 2 dell’esempio 1, i vv. 114, 116<br />

dell’esempio 2, i vv. 2, 3, 4, 6 dell’esempio 3, il v. 252 dell’esempio 4.<br />

Le rispettive ritmiche sono:<br />

Es. 1 v. 2<br />

| e e e e| e e e e| q q| q e e<br />

L’ultima pulsazione, corrispondente alla congiunzione û (“e”) è divisa in due<br />

sillabe brevi, di cui l’ultima ha funzione di anacrusi per il verso successivo.<br />

Es. 2 vv. 114, 116 e es. 3 vv. 2, 4, 6<br />

| q q| q q| e e e e| q q


Es. 3 v. 3<br />

Es. 4 v. 252<br />

| e e q | q q| e e e e| q q<br />

| q e| q e| q e| q e<br />

Sono versi di nove sillabe il v. 3 dell’esempio 1, il v. 115 dell’esempio 2, il v. 5<br />

dell’esempio 3, i vv. 251, 253, 254 dell’esempio 4, i vv. 363, 364 dell’esempio 5, i vv.<br />

465, 466, 467 dell’esempio 6. La rispettiva realizzazione ritmica è:<br />

Es. 1 v. 3<br />

Es. 2 vv. 115<br />

Es. 3 v. 5<br />

Es. 4 vv. 251<br />

| q e e| q e e| q q| q e e<br />

| q q| q q| e e e e| q q<br />

| q q| e e q| e e e e| q q<br />

| e e e| q e| q e| q e<br />

KELAÊ DIMDIM 193


194 CAPITOLO IV – VERSO E MELODIA<br />

Es. 4 vv. 253, 254<br />

Di dieci sillabe è il v. 4 dell’esempio 1<br />

Es. 1 v. 4<br />

| q e| e e e| q e| q e<br />

| e e e e| q q| q q| q q<br />

Da questi esempi dovrebbe risultare più evidente come lo schema ritmico sia<br />

mantenuto e adattato a versi di varia lunghezza sillabica tramite l’unione e la<br />

separazione dei valori ritmici.<br />

Il primo verso di una sezione cantata presenta frequentemente un inizio in<br />

anacrusi, come si vede dai primi versi degli esempi 1, 2, 3 e 6, tratti in effetti<br />

dall’inizio di sezioni cantate. Spesso si tratta di varie coniugazioni del verbo gotin 195<br />

(“dire, raccontare, parlare”), che servono ad introdurre il racconto.<br />

L’anacrusi può tuttavia essere estesa con l’inserimento di altre parole come nel<br />

caso seguente:<br />

F.B. v. 33<br />

195 ll verbo ha vari radicali: -bêj-/-bê-/vêj-/-vê-/-wê-/wegî-. La forma al presente è ez dibêj (“dico”), al passato min<br />

got (“ho detto, dissi”). Cfr. Blau, 1999 e Chyet, 2003.


Il primo accento della melodia cade sul pronome ew (“esso”) mentre le quattro<br />

sillabe introduttive sono enunciate in anacrusi con intonazione indefinita.<br />

Un altro aspetto caratterizza le varie esecuzioni del beyt: la presenza dei<br />

cosiddetti “versi lunghi”. Appartengono a questa tipologia il v. 117 dell’esempio 2 e<br />

il v. 255 dell’esempio 4. Sono, infatti, composti il primo da tredici sillabe, di cui solo<br />

le ultime sette sono cantate, il secondo da venticinque, di cui sono cantate le ultime<br />

dieci. Le sillabe non cantate, sono pronunciate in stile parlato o su un’altezza fissa,<br />

in ritmo libero e, spesso, con un notevole aumento della velocità di esecuzione.<br />

Simili stringhe sillabiche sono riconoscibili come versi grazie alla presenza della<br />

rima e al fatto che le sillabe finali vengano intonate secondo il modello ritmico-<br />

melodico in uso.<br />

Poiché si è notato che i versi oltre le undici sillabe non vengono intonati con<br />

uno schema ritmico-melodico, ma declamati rapidamente (come nei casi suddetti),<br />

ci si è posti il problema di capire in che modo ritmo del canto e ritmo del verso si<br />

potessero collegare. È risultato che gli schemi ritmici effettivamente utilizzati dai<br />

cantori non adottino tutte le potenziali combinazioni di scomposizioni in singole<br />

pulsazioni.<br />

Nelle tabelle sono elencati i ritmi utilizzati in ciascuno dei raggruppamenti<br />

ritmici dati dagli accenti, segnati sull’asse delle ascisse, ovvero dei movimenti. Per la<br />

scansione binaria essi sono:<br />

KELAÊ DIMDIM 195


196 CAPITOLO IV – VERSO E MELODIA<br />

Tab. III - Raggruppamenti ritmici per la scansione binaria<br />

1 2 3 4<br />

q q q q q q q q<br />

e e q e e q e e q<br />

q e e q e e q e e q e e<br />

e e e e e e e e<br />

E per il ritmo ternario:<br />

Tab. IV - Raggruppamenti ritmici per la scansione ternaria<br />

1 2 3 4<br />

q e q e q e q e<br />

e e e e e e e e e e e e<br />

Come si nota nella tabella III, il primo e il terzo movimento possono<br />

presentare tutti i possibili tipi di scansione, mentre non si rintracciano casi in cui il<br />

secondo e il quarto movimento siano suddivisibili nelle singole pulsazioni. Inoltre la<br />

prima metà del quarto movimento non è mai suddivisa. Questo comporta, per<br />

quanto detto in precedenza, che il verso cantato (non declamato) possa avere da un<br />

minimo di otto ad un massimo di undici sillabe e che l’ultimo movimento sia sempre<br />

di tipo spondaico o dattilico (q q, q e e).<br />

È, inoltre, da considerare che la divisione in crome sul quarto movimento del<br />

la scansione ternaria è molto rara e sembra non essere utilizzata qualora anche gli<br />

altri tre movimenti presentino analoga divisione.


Questo tipo di organizzazione ritmica indurrebbe a pensare, in contraddizione<br />

con gli studi precedentemente citati, che la metrica possa avere natura quantitativa.<br />

Eppure la varietà di combinazioni ritmico-sillabiche presenti nei versi cantati non<br />

sembrerebbe dare conferma piena di questo fatto.<br />

Difatti vediamo dagli esempi che non sempre le sillabe lunghe vengono<br />

realizzate con un valore pari a due pulsazioni, né, viceversa, sillabe brevi sono<br />

sempre equivalenti ad un’unica pulsazione. Ad esempio nei seguenti versi le sillabe<br />

con le rispettive quantità e la realizzazione ritmica sono:<br />

Es. 1 v. 2<br />

Es. 1 v. 114<br />

Wex-tî dun-ya a-va bû-ye (û)<br />

Un giorno verso il tramonto<br />

__|__|__|_‿‿<br />

| q q| q q| q q| q e e<br />

Xa-nî kur-da wî ra-bû-ye<br />

Il Khan dei curdi si è levato<br />

__|__|__|__<br />

| q q| q q| q q| q q<br />

KELAÊ DIMDIM 197


198 CAPITOLO IV – VERSO E MELODIA<br />

Es. 3 v. 3<br />

Xa-no ra-bû çû nik Ş a-hê<br />

Khan si è alzato ed è andato a casa dello Shah<br />

__|__|__|_ _<br />

| q q| q q| q q| q q<br />

In questi casi una sillaba breve equivale a una pulsazione (e ), mentre una<br />

lunga a due (e e o q )<br />

Nei seguenti esempi invece:<br />

Es. 1v.1<br />

Bê-ja ro-ja dun-ya a-va bû-ye<br />

Raccontano che un giorno verso il tramonto<br />

__|__|__|__|_‿<br />

e e| q e e| e e e e| q q| q q<br />

L’inizio in anacrusi è musicalmente reso con due crome nonostante entrambe<br />

le sillabe siano lunghe. La sillaba dun- è realizzata con due crome di cui la seconda<br />

corrisponde alla -n- vocalizzata.


Es. 1 v. 3<br />

Xan-êk ji nav kur-da ra-bû-ye (û)<br />

Un khan comparve tra i curdi<br />

__‿ |__|__|_‿‿<br />

| q e e| q e e| q q| q e e<br />

La sillaba -êk è lunga, ma viene realizzata con una croma. Anche in questo<br />

caso la sillaba kur- è realizzata con due crome e la vocalizzazione della “r”, sulla<br />

seconda di esse. L’ultima pulsazione ha, come osservato in precedenza, funzione di<br />

anacrusi per il verso successivo.<br />

Es. 1 v. 4<br />

Ç i bi-lûl-ê bê-ja ‘e-ceb bû-ye<br />

Era un abilissimo suonatore di flauto<br />

‿‿__|__|‿ _|__<br />

| e e e e| q q| q q| q q<br />

Le sillabe -lûl e -ê sono lunghe, ma realizzate con crome. La sillaba -’e è corta,<br />

ma realizzata con una semiminima.<br />

E nella scansione ternaria:<br />

KELAÊ DIMDIM 199


200 CAPITOLO IV – VERSO E MELODIA<br />

Es. 4 v. 252<br />

B e- fir-kî kî-rê a-lan-din<br />

La neve ha coperto la cima [delle montagne]<br />

‿ _|__|__|__<br />

| q e| q e| q e| q e<br />

La prima sillaba, breve, è realizzata con una semiminima, mentre le sillabe<br />

lunghe kî-, a- e din- sono ritmicamente brevi.<br />

La varietà di combinazioni ritmico-sillabiche riscontrata dall’analisi dei canti,<br />

non sembra, dunque, collimare perfettamente con una metrica quantitativa, come si<br />

vede da questi pochi esempi. Tuttavia, poiché non è stato possibile lavorare con un<br />

linguista specializzato, non si sono potuti approfondire sufficientemente gli aspetti<br />

più strettamente legati alla prosodia e non è possibile pertanto prendere una<br />

posizione netta sulla questione. Questo potrebbe essere spunto per ulteriori ricerche.<br />

Si può, infine, concordare solo parzialmente con l’affermazione di Celîl<br />

secondo cui l’accentazione interna propria della parola determini una metrica<br />

sillabico-accentuativa. 196 Infatti, bisogna specificare che nella lingua curda l’accento<br />

non ha una posizione fissa, ma dipende da vari aspetti grammaticali. 197 I nomi<br />

comuni hanno in genere l’accento sull’ultima sillaba (heval “amico”, siwar<br />

“cavaliere”) che rimane quando si aggiungono enclitiche, ad esempio -êk (articolo<br />

196 Cfr. Celîl, 1967.<br />

197 Cfr. Blau, 1999, p.24.


indeterminativo); hevalêk (“un amico”), siwarêk (“un cavaliere”). I verbi all’infinito<br />

con più di due sillabe hanno accento piano (xemilandin, “abbellire”, înandin<br />

“portare”), mentre gli altri sono accentati sull’ultima (kirin “fare”, birin “sostenere,<br />

portare”).<br />

Tali aspetti sembrano non essere rispettati sistematicamente nella prosodia del<br />

verso. Ad esempio in H.S., vv. 101-105, l’accentazione naturale dovrebbe essere<br />

Şahê ha bi xo yî rabûye / pazde pala înandin(e) 198 / Pazde pala cemandin(e) /<br />

‘Ebdalbeg lî zivirîye / Qesda nik Xanê kirîye 199<br />

Nella realizzazione musicale risulta invece:<br />

KELAÊ DIMDIM 201<br />

198 L’enclitica -e, anche nel verbo successivo, non ha funzione grammaticale ma è aggiunta in fine verso per<br />

eufonia.<br />

199 “Lo Shah, oh, in persona si levò / Portarono quindici operai / Raccolsero quindici operai /Abdalbeg tornò<br />

indietro /Si recò da Khan”


202 CAPITOLO IV – VERSO E MELODIA<br />

Gli accenti sembrano, dunque, essere disposti secondo una logica musicale<br />

piuttosto che prosodica: Şahê ha bi xo yî rabûye / pazde pala înandine / Pazde pala<br />

cemandîne / ‘Ebdalbeg lî ziviriye / Qesda nik Xanê kirîye.<br />

Il fatto che molte parole curde siano mono, bi o trisillabi permette una<br />

straordinaria concomitanza tra gli accenti tonici, intrinseci della parola, e quelli<br />

musicali, nonostante, come notavano Blum e Hassanpour 200 , nel repertorio<br />

folklorico curdo il rispetto degli accenti tonici non sia sempre una priorità né del<br />

musicista né dell’ascoltatore, e dunque può accadere che gli accenti musicali si<br />

appoggino ora su sillabe toniche, ora atone.<br />

In conclusione, sembrerebbe che la metrica del verso cantato risponda a vari<br />

parametri, tra i quali sono predominanti il numero delle sillabe e l’accentazione<br />

degli schemi musicali ai quali sottostà il verso.<br />

La presenza di versi composti da un numero estremamente alto di sillabe<br />

(anche oltre la ventina) non sembra avere giustificazioni formali.<br />

CD 1 – tr. 9<br />

Il verso “ipertrofico”, declamato dal cantore concitatamente e in stile quasi<br />

parlato, non spezza se non momentaneamente la continuità del canto, poiché dal<br />

punto di vista poetico trova, grazie al mantenimento della rima, una sorta di<br />

200 «Most words are easily understood no matter which syllables receive longer duration or<br />

coincide with strong beats (this is what is usually meant by the term ‘syllabic rhythm’)». Blum,<br />

Hassanpour, 1966, p. 335.


amalgama con gli altri versi, e dal punto di vista melodico, come visto, si ricollega al<br />

canto attraverso la cadenza.<br />

Questa tipologia di versi, usati indiscriminatamente da ciascuno dei cantori e<br />

in vari punti del canto, potrebbe rappresentare uno “stacco”, un modo per inserire<br />

una digressione all’interno della struttura litanica dei versi cantati; oppure, molto<br />

più semplicemente, può trattarsi di un “inciampo” della memoria, o dell’inventiva<br />

del cantore, che non riuscendo a comporre un verso rispettando il giusto ritmo e il<br />

giusto numero di sillabe, inserisce frasi quasi prosastiche, lunghe oltre i limiti del<br />

verso, pur tentando di mantenere, con la rima, la continuità.<br />

La variazione del modello ritmico-melodico, basata sulla costanza<br />

dell’accentuazione metrica, sembra rappresentare, infine, il propellente maggiore<br />

del canto del beyt. Ogni verso acquista un suo particolare ritmo interno, poiché alla<br />

pronuncia delle sillabe corrisponde un profilo ritmico specifico in continua<br />

mutazione da verso a verso, mentre gli accenti metrici principali sono sempre<br />

rispettati.<br />

MELODIE DEL BEYT<br />

KELAÊ DIMDIM 203<br />

Sempre per questioni logistiche non è stato possibile approfondire nel<br />

dettaglio l’uso che viene fatto della melodia del beyt di Dimdim al di fuori delle<br />

esecuzione specifiche. Se ad esempio melodia e testo debbano necessariamente<br />

essere intesi come un corpo unico o se, viceversa, possano essere scorporati ed<br />

utilizzati in modo indipendente. Sarebbe interessante valutare su un più ampio<br />

corpus di materiali dello stesso cantore se e come le melodie siano legate ad uno


204 CAPITOLO IV – VERSO E MELODIA<br />

specifico canto o se si possano utilizzare anche nell’esecuzione di altri canti dello<br />

stesso genere, o addirittura in canti diversi per genere e testo.<br />

Le parti cantate del beyt sono musicalmente analoghe ad una litania per voce<br />

sola, senza alcun accompagnamento strumentale.<br />

Nell’esecuzione del beyt, il cantore fa uso di più melodie. Pur mantenendo<br />

alcuni aspetti caratteristici della struttura, le melodie si differenziano da cantore a<br />

cantore, in quanto si deve ritenere che così siano state apprese e si trasmettano<br />

assieme al testo. L’unico caso di quasi completa coincidenza melodica si ha tra le<br />

versioni di H.S. e A.D.1 che condividono, in modo sorprendente, anche buona parte<br />

del testo.<br />

Il sostrato comune a tutte le melodie osservate è la scansione, binaria o<br />

ternaria che risponde ad alcune limitazioni ritmiche, come messo in luce nel<br />

paragrafo precedente. La regolarità degli accenti di cui il primo e il terzo sono più<br />

forti, sia nella scansione binaria che in quella ternaria, unita alla ripetizione dei<br />

modelli melodici, e come vedremo alla loro tipologia, conferiscono alle sezioni<br />

cantate il caratteristico stile litanico.<br />

Durante l’esecuzione la pulsazione tende a essere uniforme, tuttavia la<br />

concitazione agogica, e soprattutto l’enfasi possono aumentare o diminuire in<br />

corrispondenza di particolari episodi. Ad esempio l’andamento è più lento all’inizio<br />

delle sezioni cantate, mentre si nota un’accelerazione della pulsazione in<br />

corrispondenza di episodi di argomento guerresco.


Le melodie sono sillabiche e comprese in un ambitus molto ristretto. La loro<br />

lunghezza corrisponde a un singolo verso, la cui fine, come detto, è segnalata dalla<br />

presenza quasi costante della rima. In alcuni casi (come si vedrà oltre) si evidenziano<br />

strutture melodiche strofiche, ma non sembra esserci una regolarità formale nel loro<br />

utilizzo, né una diretta corrispondenza con eventuali strofe presenti nel testo.<br />

Il primo verso di una sezione cantata è spesso introdotto da una lunga nota<br />

tenuta su cui viene pronunciata una sillaba nonsense (molto spesso si tratta<br />

dell’esclamazione hê) e, occasionalmente, da parole introduttive in anacrusi.<br />

L’ambitus melodico entro cui si muovono le melodie, quasi esclusivamente per<br />

grado congiunto o intervalli di terza, non supera la terza maggiore. Sono tuttavia<br />

presenti all’interno del canto, e con una maggiore frequenza in alcune versioni,<br />

anche intervalli più ampi raggiunti per salto e accentati sulla nota più acuta.<br />

Questo espediente sarà meglio descritto in un successivo paragrafo.<br />

Buona parte del verso è declamata su una “corda di recita”, in genere una<br />

nota nel registro centrale raggiunta dal grave.<br />

Il seguente esempio illustra i primi versi di una sezione cantata. Si può vedere<br />

come la prima nota sia lunga e intonata con un glissando dal basso. I versi successivi<br />

sono intonati su una corda di recita e si notano innalzamenti alla terza superiore al<br />

v. 257 (seconda misura), v. 258 (prima misura), e v. 231 (seconda misura).<br />

KELAÊ DIMDIM 205


206 CAPITOLO IV – VERSO E MELODIA<br />

I.A. vv. 225-231<br />

CD 1 – tr. 10<br />

La scala sulla quale le melodie si sviluppano sembra prevedere l’uso di<br />

microintervalli, contemplati nei makam della musica curda, anche se non è da<br />

escludere un’intonazione imprecisa dei cantori. L’individuazione di un makam<br />

specifico non è, però, cosa semplice, proprio per via del ridotto ambitus melodico.


La monotonia dell’andamento litanico è compensata dalla vivacità data al<br />

verso dalla compenetrazione del ritmo musicale con quello della parola. Questo<br />

fenomeno potrebbe essere definito “ritmicizzazione” della parola.<br />

La “ritmicizzazione” consiste, oltre che nell’organizzazione temporale di<br />

sillabe e accenti, anche nella vocalizzazione di consonanti, come appare anche da<br />

esempi precedenti, attraverso cui si creano situazioni ritmicamente varie e<br />

interessanti, che esulano da ragioni sempantiche e poetiche. Tali espedienti<br />

vivificano l’esecuzione litanica, nonostante la metrica e la melodia e la scansione<br />

temporale rimangano pressoché inalterate anche per sequenze molto lunghe.<br />

Un esempio di vocalizzazione è il seguente, nel quale il nome proprio ‘Ebdalbeg<br />

che in questo esempio viene segmentato attraverso la vocalizzazione delle<br />

consonanti b, l e g, e reso con un ritmo di quattro crome.<br />

H.S. v. 104<br />

KELAÊ DIMDIM 207<br />

CD 1 – tr. 11<br />

Un ulteriore elemento da considerare è il modo in cui i cantori organizzano la<br />

presa di fiato, a seconda della perizia, dell’abitudine al canto e delle proprie<br />

possibilità fisiche. Anch’esso, infatti, può essere considerato un elemento musicale<br />

utile all’elaborazione di una variazione ritmica sempre nell’ottica della<br />

ritmicizzazione del verso e del “divertimento della parola ritmicizzata”. Solitamente


208 CAPITOLO IV – VERSO E MELODIA<br />

il respiro è preso, quando necessario, prima del terzo accento oppure alla fine al<br />

verso, rispettando il ritmo musicale. In questo caso il verso musicale viene<br />

“allungato” per non interrompere la continuità e il canto riprende dalla sillaba<br />

successiva.<br />

L’unico cantore che rispetta in modo preciso e con una certa sistematicità la<br />

scansione temporale durante il respiro è F.B. Egli aggiunge una misura a metà o<br />

spesso alla fine del verso, respirando sulle prime due pulsazioni e riempiendo le<br />

rimanenti con sillabe nonsense, solitamente hane.<br />

F.B. v. 4<br />

F.B. v. 6<br />

F.B. v. 9<br />

CD 1 – tr. 12<br />

Un altro espediente adottato è la ripetizione dell’ultima parola o della sillaba<br />

pronunciata prima del respiro. In questo modo, nonostante la pausa per prendere


fiato possa dilatarsi e interrompere il ritmo del canto, la continuità è preservata nella<br />

scansione accentuativa che, sospesa, viene recuperata con la ripetizione.<br />

Un esempio:<br />

I.A. v. 334<br />

Il tempo del canto, infine, non è rigoroso, anzi subisce continuamente<br />

oscillazioni più o meno marcate. Le indicazioni metronomiche che vengono<br />

proposte per ogni modello sono da intendersi come una media dei tempi di<br />

esecuzione, i quali, all’interno di una stessa sezione cantata o tra le varie sezioni in<br />

cui viene utilizzato uno stesso modello melodico, possono variare anche<br />

notevolmente.<br />

MODELLI MELODICI<br />

KELAÊ DIMDIM 209<br />

CD 1 – tr. 13<br />

In tutte le versioni, come detto in precedenza, sono usati due soli modelli<br />

ritmici, quantunque la realizzazione melodica sia diversa per ciascun cantore. I.A.,<br />

a differenza degli altri, inserisce un terzo modello a ritmo libero che utilizza<br />

limitatamente a un unico tema e di cui si dirà in seguito. L’uso dei modelli ritmici<br />

presenta una caratteristica, che si può definire “permanenza”, ovvero, una volta<br />

adottato, viene mantenuto per una serie cospicua di versi, e mai usato in alternanza


210 CAPITOLO IV – VERSO E MELODIA<br />

con l’altro. Il modello binario viene usato da tutti i cantori a partire dall’inizio del<br />

canto. Successivamente, in genere a seguito di una sezione prosastica, viene<br />

adottato il modello ternario, con il quale l’esecuzione continua e si conclude. Quello<br />

di F.B. risulta essere l’unico caso, nella raccolta Bahdinan-2009, in cui il cantore<br />

cambia modello ritmico-melodico senza inserire una parte in prosa (ciò avviene tra<br />

v. 362 e v. 363).<br />

Ogni cantore utilizza una melodia per un grande numero di versi. Deve quindi<br />

adattarla con micro-variazioni legate prevalentemente alla sillabazione. Per valutare<br />

la tipologia delle variazioni si è cercato di rintracciare dei modelli melodici a cui far<br />

riferimento. Il modello rappresenta una sorta di “scheletro melodico” e, poiché<br />

dall’analisi risulta che alcune tipologie di frase musicale apparivano con maggior<br />

frequenza si è deciso di considerare quelli come modello<br />

Di seguito vengono presentati i modelli e le rispettive varianti. Le altezze, se<br />

non diversamente indicato, sono quelle effettivamente intonate dai cantori. La<br />

fluttuazione, come detto, non sembra essere un elemento significativo.<br />

1) [I.A.]<br />

Modello1: binario<br />

Il tempo metronomico utilizzato, seppur variabile durante il canto, è all’incirca<br />

di 90-100 bps per misura, ossia q ~180-200.


I.A. Modello<br />

La nota reale della corda di recita, indicata con sol nella trascrizione, ha<br />

un’escursione che varia dal fa# crescente al sol#.<br />

Questo modello, in uso dal v. 1 al v. 223, si sviluppa in un ambitus melodico di<br />

terza minore. L’apice melodico (il sib della seconda misura) è raggiunto con un<br />

movimento in crome per grado congiunto. Questo particolare delle due crome<br />

legate ascendenti per grado congiunto, si mantiene costante, a prescindere dal<br />

numero di sillabe effettivamente pronunciate (una o due).<br />

seguenti:<br />

Alcuni esempi di variazione ritmico-melodica di questo modello sono i<br />

I.A. v. 18<br />

Qui si nota la divisione in due crome, per permettere la vocalizzazione della ş,<br />

del secondo movimento della seconda misura, il quale presenta anche un<br />

movimento melodico ascendente per grado, e del primo della terza.<br />

KELAÊ DIMDIM 211<br />

CD 1 – tr. 14<br />

I.A. v. 36


212 CAPITOLO IV – VERSO E MELODIA<br />

In questo caso sono suddivisi il primo movimento della prima misura e il<br />

secondo della terza, per permettere la pronuncia delle due sillabe. Il secondo<br />

movimento della seconda misura presenta invece un movimento melodico<br />

ascendente per grado, pur contenendo una sola sillaba.<br />

I.A. v. 95<br />

Qui la dizione è perfettamente sillabica, ma si nota che la corda di recita è<br />

raggiunta solamente all’inizio della quarta misura.<br />

Come si può notare, la variazione del modello melodico è prevalentemente<br />

legata alla quantità di sillabe presenti nel verso. Le variazioni constano anche nella<br />

permutazione o nell’uso combinato delle altezze a disposizione oppure,<br />

saltuariamente, nell’inserimento di una nota acuta, forte e accentata, in punti diversi<br />

della melodia. Ad esempio:<br />

CD 1 – tr. 15<br />

CD 1 – tr. 16<br />

I.A. v. 137


Il salto ascendente sul secondo movimento della terza misura è pronunciato<br />

con enfasi, come una sorta di grido la cui intonazione non sempre è precisa.<br />

Modello 2: ternario<br />

Anche in questo caso la velocità di esecuzione è piuttosto sostenuta, all’incirca<br />

110 bps per misura, dunque la pulsazione è e ~ 220-240.<br />

I.A. Modello 2<br />

Questo modello viene usato dal v. 224 al v. 546. La struttura di base prevede la<br />

scansione bicrona su una stessa nota e le variazioni ritmiche sono prevalentemente<br />

dovute alla sillabazione. Le varianti melodiche sono in genere flessioni verso l’acuto<br />

con ritorno alla corda di recita.<br />

KELAÊ DIMDIM 213<br />

CD 1 – tr. 17<br />

L’esempio successivo è un tipo di variazione frequentemente utilizzata, dove<br />

un intervallo di terza è inserito sul primo o tra il primo e il secondo movimento.<br />

I.A. v. 227


214 CAPITOLO IV – VERSO E MELODIA<br />

Oppure anche:<br />

I.A.v. 228<br />

Un uso particolare del modello è quello di una variante sincopata. In questo<br />

caso la pronuncia dell’ultima sillaba della prima misura viene prolungata sul battere<br />

della successiva. Evitando, così, l’accento si ottiene un effetto, nel contesto,<br />

interessante.<br />

Con anche varianti ritmiche:<br />

CD 1 – tr. 18<br />

CD 1 – tr. 19<br />

I.A. v. 477<br />

CD 1 – tr. 20


I.A. v. 515<br />

Come accennato in precedenza, in certi casi il cantore usa una combinazione<br />

di variazioni melodiche, associate a versi adiacenti. Tale combinazione ha una<br />

compiutezza melodica data dal ritorno sulla nota iniziale (la corda di recita), che<br />

avviene sull’ultimo verso interessato.<br />

KELAÊ DIMDIM 215<br />

In I.A. si trovano combinazioni di due versi eseguite nel seguente modo:<br />

CD 1 – tr. 21<br />

I.A.vv. 301-302<br />

CD 1 – tr. 22<br />

I.A. vv. 325-326<br />

CD 1 – tr. 23


216 CAPITOLO IV – VERSO E MELODIA<br />

Ottengono lo stesso effetto anche combinazioni in cui la flessione melodica<br />

verso l’acuto è interna al verso, ma il verso successivo è identico e cantato sulla<br />

corda di recita:<br />

Modello 3: ritmo libero<br />

I.A. vv. 270-271<br />

I.A. vv. 280-281<br />

Questa tipologia melodica, definibile come “canto lungo”, non è tipica del beyt,<br />

anzi è usata in generi quali il lamento amoroso (lawjik).<br />

CD 1 – tr. 24<br />

CD 1 – tr. 25


I.A. è l’unico che ne fa uso da v. 547 a v. 562, in un punto particolarmente<br />

drammatico e toccante sia nel contesto generale del racconto (il Tema 8 – Donne)<br />

che per la particolare modalità con cui viene cantato.<br />

Le melodie di lamento nella tradizione curda sono estremamente diffuse.<br />

Formalmente ricordano la pratica del taqsim. 201 Questo modello si differenzia dagli<br />

altri a causa del ritmo libero e della presenza di note tenute.<br />

I.A. Modello 3<br />

Il modello melodico è composto da due parti quasi uguali (indicate con A e B<br />

nella trascrizione), ciascuna delle quali compete ad un verso. L’ambito melodico è di<br />

una terza.<br />

KELAÊ DIMDIM 217<br />

Ciascuna delle due parti del modello melodico si presenta in forma “ad arco”.<br />

In particolare la prima parte (A) ha un arco divisibile in tre segmenti: il primo (a)<br />

che dalla nota iniziale porta per grado congiunto e sillabicamente verso l’apice<br />

201 Il taqsim è la parte introduttiva, in ritmo libero, del maqam, in cui la melodia si svolge<br />

attorno ad alcune note perno e dal grave esplora verso l’acuto tutto il registro.


218 CAPITOLO IV – VERSO E MELODIA<br />

melodico superiore; il secondo (b) che consiste in una serie discendente di note<br />

lunghe, diversamente ornamentate; il terzo (c), nuovamente sillabico, che riporta la<br />

melodia verso la nota iniziale.<br />

La seconda parte del modello melodico (B) si trova in corrispondenza del verso<br />

successivo. Presenta le stesse caratteristiche della prima parte, cioè ambito di terza<br />

con apice raggiunto dal basso e disegno ad arco con ritorno alla nota iniziale, ma<br />

non ha le note tenute. Una sorta di eco riassuntiva.<br />

Per illustrare meglio la modalità di esecuzione si riportano nel seguente<br />

esempio, i primi quattro versi cantati secondo questo modello melodico, mentre<br />

nell’esempio musicale è possibile ascoltare l’intera sezione:<br />

CD 1 – tr. 26


Le note tenute possono essere eseguite in vari modi:<br />

- con un’emissione stabile: la voce non vibra;<br />

- con vibrato naturale: il vibrato è morbido e di rapida frequenza;<br />

I.A. vv. 546-549<br />

- con vibrato in yodel 202 : la nota è mossa attraverso un vibrato gutturale<br />

di bassa frequenza e maggiore intensità;<br />

KELAÊ DIMDIM 219<br />

- con un abbellimento, una sorta di gruppetto, in cadenza della frase melodica.<br />

202 In curdo questo tipo di vibrato può essere definito girtlak. Cfr. Ferdeghini, p.79.


220 CAPITOLO IV – VERSO E MELODIA<br />

2) [H.S.]<br />

Modello 1: binario<br />

La pulsazione è piuttosto rapida, q ~140-160, e regolare.<br />

Questo modello binario è utilizzato da v. 1 a v. 166.<br />

H.S. Modello 1<br />

L’ambito melodico è di una quarta giusta, da fa a sib, e nella trascrizione sono<br />

state segnate, con una freccia rivolta verso il basso le note la cui intonazione risulta<br />

calante. Con i dati a disposizione, non è possibile dire se ciò dipenda da aspetti<br />

contingenti legati all’esecuzione. Per lo stesso motivo le trascrizioni sono state fatte<br />

supponendo lo stesso centro tonale, mentre nell’esecuzione c’è una notevole<br />

tendenza all’oscillazione dell’intonazione.<br />

La melodia è imperniata sulla corda di recita (sol) ed è divisibile in due parti –<br />

segnate nella trascrizione con le lettere (a) e (b) –, delle quali la seconda (b) presenta<br />

un movimento melodico caratteristico che rimane identico, per ritmo e successione<br />

di altezze, in tutti i versi. Le note legate sono eseguite con una sorta di<br />

“portamento”.<br />

Le variazioni ritmiche legate alla sillabazione riguardano, pertanto,<br />

specialmente la prima parte della melodia (a).


Modello 2: ternario<br />

L’esecuzione di questo modello è molto rapida e regolare, q .~94-100.<br />

H.S. v. 25<br />

H.S. v. 57<br />

H.S. Modello 2<br />

Questo modello melodico permane dal v. 167 fino al v. 268, è poi ripreso dal v.<br />

434 e mantenuto fino alla fine (v. 709).<br />

Anche in questo modello risulta evidente il carattere cantillatorio scandito dai<br />

quattro accenti e dal ritmo bicrono.<br />

KELAÊ DIMDIM 221<br />

CD 1 – tr. 27<br />

CD 1 – tr. 28


222 CAPITOLO IV – VERSO E MELODIA<br />

Le variazioni ritmiche sono basate sulla sillabazione:<br />

H.S. v. 214<br />

H.S. v. 263<br />

H.S. v. 265<br />

In quest’ultimo esempio è molto evidente la pratica della vocalizzazione delle<br />

consonanti, illustrata in precedenza.<br />

CD 1 – tr. 29<br />

CD 1 – tr. 30<br />

CD 1 – tr. 31


Modello 3: ternario<br />

Molto simile al precedente, questo modello ha una corda di recita più grave e<br />

una pulsazione leggermente più rapida, anche se, come detto, durante il canto sia<br />

l’intonazione che la pulsazione possono subire leggere oscillazioni. Il tempo<br />

metronomico è q .~108-110.<br />

Questo modello è in uso dal v. 269 al v. 428.<br />

La flessione verso il grave è più enfatizzata nell’ultimo tempo della battuta.<br />

Alcune varianti sono:<br />

KELAÊ DIMDIM 223<br />

H.S. Modello 3<br />

H.S. v. 277<br />

CD 1 – tr. 32


224 CAPITOLO IV – VERSO E MELODIA<br />

3) [H.A.]<br />

Modello 1: binario<br />

La scansione è particolarmente sostenuta e piuttosto regolare: q ~130.<br />

H.S. v. 285<br />

H.A. Modello 1<br />

L’ambito di estensione melodica è di una terza maggiore, fa-la. Il cantore<br />

utilizza questo modello in una successione di sezioni cantate, intervallate da sezioni<br />

in prosa, dal v. 1 al v. 252. Ad ogni nuova sezione cantata la nota iniziale viene<br />

modificata nell’intonazione: da mi calante si passa a fa, sol, la calante, la, la<br />

crescente che progressivamente si avvicina a sib, poi nuovamente la, e infine la<br />

crescente. Come detto altrove, è difficile dire se questo fenomeno sia volontario o<br />

dipendente da fattori fisiologici, non musicali.<br />

Questo cantore mantiene il modello in modo molto stabile e le variazioni<br />

sono quasi esclusivamente ritmiche e legate alla sillabazione del testo. Ne sono<br />

illustrate alcune di seguito.<br />

CD 1 – tr. 33


pulsazioni:<br />

Si noti sull’ultima pulsazione del v. 13 l’anacrusi del verso successivo.<br />

H.A. vv. 12-13<br />

I seguenti esempi sono due dei rari casi in cui l’ultima misura è suddivisa in<br />

Modello 2: ternario<br />

KELAÊ DIMDIM 225<br />

CD 1 – tr. 34<br />

H.A. vv. 245-246<br />

CD 1 – tr. 35


226 CAPITOLO IV – VERSO E MELODIA<br />

Il modello ternario è, anche in questo caso, una melodia monotòna sulla corda<br />

di recita. L’esecuzione, inizialmente piuttosto lenta, si stabilizza successivamente su<br />

una velocità più sostenuta: q. ~100-110.<br />

Di seguito alcuni esempi di utilizzo:<br />

H.A. Modello 2<br />

H.A. v. 270<br />

CD 1 – tr. 36<br />

H.A. v. 260<br />

CD 1 – tr. 37


Alcune varianti di questo modello sono utilizzate in combinazioni che si<br />

succedono a distanza irregolare a partire dal v. 253 fino alla fine del canto (v. 859).<br />

Un esempio è il seguente:<br />

KELAÊ DIMDIM 227<br />

H.A. vv. 290-294<br />

CD 1 – tr. 38<br />

I versi contrassegnati con la lettera (A) sono semplici variazioni ritmiche del<br />

modello con flessioni di tono verso l’acuto. Il v. 293, contrassegnato con (B),<br />

contiene, invece, un intervallo di terza, grazie al quale si genera una tensione<br />

melodica “risolta” nel verso (C) che dalla nota di tensione riporta la melodia al<br />

centro tonale. Questo schema, che si potrebbe definire “strofico”, è usato sempre


228 CAPITOLO IV – VERSO E MELODIA<br />

nella medesima combinazione: a una serie di versi di tipo (A) seguono un verso di<br />

tipo (B) e successivamente uno di tipo (C).<br />

Questa combinazione non sembra essere usata in relazione sistematica con<br />

eventuali parametri testuali oppure ad esempio con il respiro o particolari formule<br />

poetiche. Appare, però, molto frequentemente in concomitanza con un cambio<br />

della rima. Si può, infatti, trovare all’inizio di una sequenza rimica (ad esempio vv.<br />

263-265, vv. 292-294), in mezzo (vv. 353-355, vv. 374-376, vv. 550-552), alla fine (vv.<br />

297-299, vv. 365-367, vv. 398-400), o a cavallo tra due (vv. 276-278, vv. 327-329, vv.<br />

528-530). Quest’ultima opzione è, in effetti, la più frequente.<br />

H.A. vv. 550-553<br />

CD 1 – tr. 39


KELAÊ DIMDIM 229<br />

H.A. vv. 398-401<br />

CD 1 – tr. 40<br />

H.A. vv. 528-530<br />

CD 1 – tr. 41


230 CAPITOLO IV – VERSO E MELODIA<br />

4) [F.B.]<br />

Modello 1: binario<br />

Anche questo modello ha una pulsazione sostenuta: q ~180-190.<br />

F.B. Modello 1<br />

Questo primo modello è mantenuto con continuità dal v. 1 fino al v. 362.<br />

L’ambitus melodico è ridotto e ha le caratteristiche di un recto tono, con una corda di<br />

recita, la, alternata ad una flessione verso l’acuto sulla metà non accentata della<br />

misura. Il canto è regolare e sostenuto e le variazioni sono prevalentemente<br />

ritmiche.<br />

F.B. v. 5<br />

CD 1 – tr. 42<br />

F.B. v. 40


Saltuariamente il cantore inserisce intervalli ampi e accentati, una sorta di<br />

“grido” come visto in precedenza.<br />

F.B. v. 65<br />

Un’altra caratteristica riscontrata nell’esecuzione di questo cantore è la<br />

costruzione di versi composti da tre segmenti uguali suddivisi da due cesure.<br />

Sembrerebbe che il cantore aggiunga un emistichio per completare il verso e<br />

rimanere, allo stesso tempo, nel ritmo del canto.<br />

Ad esempio:<br />

KELAÊ DIMDIM 231<br />

CD 1 – tr. 43<br />

CD 1 – tr. 44<br />

F.B. vv. 16-17<br />

CD 1 – tr. 45


232 CAPITOLO IV – VERSO E MELODIA<br />

Gli emistichi sono contrassegnati con dei numeri. Dall’esempio si vede che il v.<br />

16, la cui prima sillaba è in anacrusi, è composto tre emistichi (1, 2, 3). Questi<br />

emistichi corrispondono a sei misure e ad altrettanti accenti, i quali scandiscono<br />

ventiquattro pulsazioni, anziché dalle usuali quattro misure, ovvero quattro accenti,<br />

che raggruppano sedici pulsazioni. Il v. 17 torna ad essere composto da soli due<br />

emistichi (1 e 2) con l’aggiunta di una misura centrale che permette al cantore di<br />

prendere il respiro. Come detto in precedenza, per mantenere la regolarità ritmica il<br />

cantore inserisce la respirazione, con la quale produce un caratteristico suono<br />

aspirato dall’effetto percussivo, all’interno del canto, aggiungendo un’intera misura.<br />

I versi successivi sono anch’essi composti da quattro misure.<br />

Comportamento identico, con il respiro dopo la parola rima, si ha qualche<br />

verso dopo, quando c’è una ripetizione letterale del testo:<br />

F.B. vv. 28-29<br />

L’unico particolare nuovo è l’ampio intervallo melodico (una settima anche se<br />

l’intonazione è imprecisa) inserito sul secondo movimento della prima battuta.<br />

CD 1 – tr. 46


Un altro esempio di una realizzazione analoga è il seguente:<br />

F.B. vv. 110<br />

L’unità del verso è assicurata dalla presenza della rima alla fine del terzo<br />

emistichio, prima del quale è inserita la misura necessaria al respiro.<br />

Modello 2: ternario<br />

L’indicazione metronomica di questo modello è: q. ~100.<br />

KELAÊ DIMDIM 233<br />

CD 1 – tr. 47<br />

F.B. Modello 2<br />

Anche in questo caso il cantore utilizza una sorta di recto tono in cui è inserita<br />

una flessione per grado congiunto verso l’acuto, effettuata sull’ultimo accento forte<br />

della melodia (quarta misura). A differenza di quanto avviene nelle altre versioni, in<br />

cui il modello ritmico ternario viene separato da quello binario da una sezione<br />

recitata in prosa, in questa versione il cantore non separa i due modelli ritmico-


234 CAPITOLO IV – VERSO E MELODIA<br />

melodici se non con una breve pausa (vv. 357-358) Il modello viene poi mantenuto<br />

fino alla fine del canto (v. 643).<br />

F.B. v. 364<br />

F.B. v. 373<br />

Le variazioni ritmiche sono legate al testo mentre melodicamente si<br />

presentano gli inserimenti di grida acute, quasi sempre in levare.<br />

F.B. v. 404<br />

Interessante questo caso in cui il “grido” è usato in ben quattro versi<br />

consecutivi:<br />

CD 1 – tr. 48<br />

CD 1 – tr. 49<br />

CD 1 – tr. 50


5) [B.B.]<br />

F.B. vv. 411-414<br />

Il cantore che esegue questo canto, a differenza degli altri, si è presentato come<br />

ç’irokbêj, vale a dire contastorie, volendo forse cautelarsi dalla propria imperizia o<br />

minor attitudine al canto. Questa disabitudine al verso cantato mi è sembrata la<br />

principale causa della titubanza sia nell’intonazione che nella regolarità ritmico-<br />

melodica durante l’esecuzione.<br />

KELAÊ DIMDIM 235<br />

CD 1 – tr. 51<br />

A differenza degli altri cantori, inoltre, B.B. fa uso del solo modello ritmico<br />

ternario, inizialmente in modo confuso, tanto da far perdere, in certi punti, la<br />

percezione della versificazione. Il ritmo si assesta progressivamente durante il canto.


236 CAPITOLO IV – VERSO E MELODIA<br />

Modello 1: ternario<br />

Il tempo metronomico dell’esecuzione è all’incirca q .~120.<br />

B.B. Modello 1<br />

Dal secondo intervento cantato (vv. 7-42) il modello si stabilizza, e anche la<br />

scansione metrica diventa intelligibile.<br />

Alcune particolarità di questo modello, rispetto agli altri finora osservati, sono<br />

innanzitutto lo spostamento degli accenti forti sulla seconda e quarta misura, ovvero<br />

sulla quarta e sulla decima pulsazione, con un’enfasi maggiore su quest’ultima. Gli<br />

accenti della frase musicale risultano quindi “sfalsati” rispetto al verso poetico.<br />

Secondariamente, la linea melodica, il cui ambitus è limitato a una terza<br />

minore, ha un peculiare profilo “a onda”: dalla nota di recita – particolarmente<br />

acuta poiché tale è il timbro vocale del cantore – flette prima verso il grave e dopo<br />

verso l’acuto.<br />

B.B. v. 43<br />

CD 1 – tr. 52


Le varianti melodico ritmiche sono molteplici soprattutto nella fase iniziale<br />

quando ancora il modello non trova una vera e propria stabilità.<br />

B.B. v. 56<br />

B.B. v. 71<br />

Successivamente il cantore adotta una combinazione di segmenti melodici,<br />

ognuno in corrispondenza di un testo, che utilizza, senza apparente regolarità, fino<br />

alla fine del canto.<br />

KELAÊ DIMDIM 237<br />

CD 1 – tr. 53<br />

CD 1 – tr. 54<br />

B.B. vv. 239-240<br />

CD 1 – tr. 55


238 CAPITOLO IV – VERSO E MELODIA<br />

B.B. vv. 310-311<br />

In questa sezione più ampia, corrispondente ad una sequenza rimica, è<br />

possibile vedere la varietà di soluzioni adottate:<br />

CD 1 – tr. 56<br />

B.B. vv. 323-328


La variazione nell’intonazione, come negli altri casi, non è un fenomeno<br />

strutturale e non rappresenta un elemento significativo, ma è da addebitare alla<br />

fatica del canto e alla mancanza del riferimento a un diapason.<br />

Le variazioni ritmiche sono legate al testo e anche qui la scansione è regolare<br />

e non scende sotto la croma.<br />

DISPOSIZIONE DELLE MELODIE IN RELAZIONE AL TESTO<br />

Dalle analisi dei singoli modelli può risultare chiaro come ciò che mantiene<br />

vivo l’interesse dell’ascoltatore, e che costituisce l’elemento propulsivo di questo<br />

genere di canto, sia la compenetrazione tra testo verbale e melodia, ottenuta<br />

attraverso la micro-variazione ritmico-melodica legata alla sillabazione. Dunque la<br />

relazione tra il testo e la musica si rivela un aspetto strutturale del genere beyt.<br />

Modelli ritmico-melodici e temi<br />

Fatta eccezione per F.B. 203 , i cantori adottano i diversi modelli melodici a<br />

partire dall’inizio di una sezione di canto preceduta da una di racconto parlato.<br />

La tabella V mostra, in modo riassuntivo, la distribuzione dei modelli melodici<br />

in relazione ai temi:<br />

KELAÊ DIMDIM 239<br />

CD 1 – tr. 57<br />

203 Come notato in precedenza F.B. è l’unico cantore che collega due modelli ritmico-melodici senza<br />

un inserto di prosa.


240 CAPITOLO IV – VERSO E MELODIA<br />

Tab. V – Distribuzione dei modelli melodici<br />

Cantore Modello vv. Temi (da - a)<br />

I.A. 1 1 - 223 2.1 - Ric. (a.a)<br />

2 224 - 546 6.2 - Acc. (e.a)<br />

3 547 - 570 8<br />

2 571 - 1225 9 - Acc. (c)<br />

F.B. 1 1 - 362 1.1 - 9<br />

2 363 - 643 Acc. (e.a) - Acc. (h)<br />

H.S. 1 1 - 166 1.2.1 - 3.2<br />

2 167 - 268 6.1 - 6.4<br />

3 269 - 428 Ric. (a.a) - Acc. (e)<br />

2 428 -709 Acc. (f) - 10.5<br />

B.B. 1 instabile 1 - 70 2.2 - 3.2<br />

1 stabile 71 - 452 6.1 - 10.5<br />

H.A. 1 1 - 252 1.1 - Ric. (c)<br />

2 253 - 859 6.1 - Acc. (h)<br />

Come precedentemente detto, tutti i canti iniziano con un modello ritmico in<br />

scansione binaria realizzato con linee melodiche differenti. L’unica eccezione è<br />

quella di B.B. il quale non dispone affatto di un modello binario.<br />

Si osserva, inoltre, che, ove presente, il cambio di modello ritmico, cioè il<br />

passaggio dalla scansione binaria a quella ternaria, avviene in concomitanza del<br />

tema 6.1 (Nemici di fede).<br />

Si può azzardare che poiché la scansione bicrona del tempo organizzata<br />

secondo un metro trocaico o tribraco 204 , genera concitazione, il pathos del tema<br />

guerresco affrontato sia maggiormente e più efficacemente convogliato.<br />

204 Rispettivamente lunga-breve, q e e breve-breve-breve e e e.


Fatta eccezione per questo cambio concomitante del modello ritmico, sembra<br />

non esserci una diretta relazione tra temi e melodie. I temi si susseguono senza<br />

soluzione di continuità e non sono caratterizzati dall’uso di particolari melodie o<br />

variazioni melodiche, fatta la notevole eccezione di I.A. che con il modello melodico<br />

3 crea una sorta di finestra lirica all’interno dell’epica.<br />

Modelli melodici e metrica testuale<br />

Per quanto riguarda la relazione tra modelli ritmico-melodici e metrica poetica<br />

si può affermare che ci sia una certa libertà nell’utilizzo degli elementi a<br />

disposizione.<br />

In generale, non influiscono sull’andamento del canto, né costituiscono per<br />

esso elemento di discontinuità le cesure testuali rappresentate da versi o sequenze di<br />

versi particolari, come ad esempio i passaggi in costruzione anaforica o delle<br />

formule poetiche speciali, quali le formule di descrizione temporale (i.e: I.A. vv.<br />

381-382: çi spêde ye d’gel beyani) o le formule vocative (i.e. I.A. v. 150: heyla Xano, heyla<br />

Xano).<br />

Il cambio della rima è l’unico parametro che desta qualche interrogativo.<br />

Si è messa in luce la presenza di combinazioni melodiche definibili strofiche,<br />

nelle esecuzioni di alcuni cantori. Tali combinazioni hanno una distribuzione molto<br />

imprevedibile rispetto al testo. In effetti, i cantori che le utilizzano non lo fanno in<br />

modo sistematico, né con una cadenza regolare, né a distanza di un numero di versi<br />

fisso o ricorrente.<br />

KELAÊ DIMDIM 241


242 CAPITOLO IV – VERSO E MELODIA<br />

Non è, di fatto, da escludere che una regola sia sottesa all’uso di strofe<br />

melodiche in corrispondenza di strutture testuali specifiche, ma, con i dati per ora a<br />

disposizione, mi è difficile stabilire con ragionevole consistenza se tale regola esista e<br />

quale siano il suo funzionamento e la sua applicazione.<br />

Effetti vocali<br />

L’uso della voce nell’esecuzione dei canti è omogeneo.<br />

Il vibrato glottale compare soprattutto in corrispondenza della vocalizzazione<br />

delle consonanti.<br />

Il “grido”, cui si è precedentemente fatto cenno, è utilizzato con moderata<br />

frequenza per dare enfasi al canto anche se non con una diretta correlazione al<br />

significato del testo pronunciato. L’espediente musicale utilizzato è un salto ampio<br />

verso l’acuto con un accento sulla nota raggiunta. Questo gesto musicale genera<br />

un’enfasi repentina e distoglie momentaneamente dalla ripetitività dell’andamento<br />

litanico. La dinamica forte o sforzato aveva indotto Celîl a parlare di “grida<br />

simboliche”, eppure questa simbolicità individuata dallo studioso russo non trova,<br />

almeno nelle versioni della raccolta Bahdinan-2009, evidenti ragioni testuali, ossia<br />

non c’è una immediata corrispondenza tra il gesto musicale e il significato in quel<br />

momento espresso dalla parola o dal verso. Difatti le “grida” si trovano in<br />

corrispondenza di una notevole varietà di parole.<br />

In F.B., nei già segnalati vv. 411-414, l’espediente musicale, nella fattispecie un<br />

salto di sesta, è utilizzato in corrispondenza della prima sillaba delle parole dest<br />

(“mani”), lepkê (“volta”), sere yê (“la sua testa”), sempre sul terzo movimento della<br />

prima misura.


Qero dest havête misiriyi Qero prese la spada tra le mani<br />

Çar lepkê yî lîzandîye Quattro volte la brandì<br />

Çar lepkê dilala dabîye Quattro volte sferrò un colpo<br />

Sere yî bîne ji firîye La testa fu tagliata dal collo<br />

Nella medesima versione al v. 468 l’acuto si trova in corrispondenza della<br />

parola vexo (“bevi”, imperativo)<br />

Tu vexo çû tek fincana Bevi una tazza [di caffè]!<br />

In I.A. è utilizzato in corrispondenza della parola pez (“gregge”) al v. 10<br />

Pez bir çune çiyayê ye Presero il gregge e andarono<br />

Al v. 67, sull’avverbio interrogativo ka (“perché”):<br />

verso le montagne<br />

Ka çû kirê? Hê Xodê dizanî E perché l’ha fatto? Dio lo sa.<br />

E ancora al v. 285 in corrispondenza della particella locativa vî (“per”):<br />

Yî êl l’vî dunya yî bişandin Li spedirono per il mondo<br />

Dunque, riguardo a questo elemento, non è possibile concordare a pieno con<br />

l’interpretazione di Celîl.<br />

KELAÊ DIMDIM 243


244 CAPITOLO IV – VERSO E MELODIA<br />

GLI STRAN: VERSI E MELODIE<br />

Gli stran di Dimdim qui considerati sono piuttosto brevi. In entrambe le<br />

versioni raccolte in Bahdinan-2009 i cantori hanno lasciato intendere di aver<br />

eseguito solamente una parte del canto, le cui dimensioni complessive possono<br />

essere piuttosto ampie, mentre le versioni del Kurdish Heritage Institute di<br />

Suleymaniya, eseguite da un unico musicista professionista, Salih Heydo, constano<br />

di poche strofe dimostrative di stili locali — nella fattispecie del Bahdinan (KHI1),<br />

della comunità Yezide (KHI2) e della Siria (KHI3).<br />

Testi poetici<br />

Lo stran è un genere poetico-musicale dalla forma strofica.<br />

Dal punto di vista testuale le strofe di I.A.St, H.B.St, sono composte da una<br />

coppia di distici identici.<br />

Il secondo verso di ciascun distico è ripetuto ad ogni strofa in funzione di<br />

ritornello. In H.B.St tale funzione è “temporanea”, difatti H.B. utilizza il verso-<br />

ritornello dî binêrine du şera ç’kir (“guardate che han fatto i due leoni”) fino alla str. 20.<br />

Dalla strofa successiva il ritornello diventa: giyani babî ‘Ebdalbegê (“Abdalbeg anima<br />

di tuo padre”).<br />

Nelle esecuzioni musicali ogni distico viene ripetuto due volte di seguito.<br />

La rima è presente nel primo verso di ogni distico ed è mantenuta per tre<br />

strofe. In queste due versioni la struttura risulta, quindi: aa, aa, aa, ba, ba, ba, ca, ca,<br />

ca, e così via.


H.B.St<br />

I.A.St<br />

1. Hay Dimdime hay Dimdime Hey Dimdim hey Dimdim<br />

Dî binêrine dû şêra ç’kir Guardate che han fatto i due leoni<br />

2. Şola Xanî min salime Il lavoro di Khan è grande<br />

Dî binêrine dû şêra ç’kir Guardate che han fatto i due leoni<br />

3. Dimdim nebûm kir me Dimdim Io non ero Dimdim, mi<br />

hanno fatto Dimdim<br />

Dî binêrine dû şêra ç’kir Guardate che han fatto i due leoni<br />

1. Hay Dimdime hay Dimdime Hei Dimdim, hei Dimdim<br />

Hewarê Xano Dimdime Oh Khan di Dimdim<br />

2. T’op û tifinga gurme gurme I nostri cannoni e mortai rombano<br />

Hewarê Xano Dimdime Oh Khan di Dimdim<br />

3. Şula Xano nuê salime L’opera di Khan è grande<br />

Hewarê Xano Dimdime Oh Khan di Dimdim<br />

Nelle versioni KHI, i cui testi sono identici, le strofe sono costituite da<br />

quartine, in cui il secondo e il quarto verso hanno funzione di ritornello.<br />

KHI<br />

1. Hay Dimdime oh hay Dimdime Oh Dimdim oh Dimdim<br />

KELAÊ DIMDIM 245<br />

Hewarê Xano Dimdime Aiuto Khan di Dimdim<br />

Hay Dimdime oh hay Dimdime Oh Dimdim oh Dimdim


246 CAPITOLO IV – VERSO E MELODIA<br />

Hewarê Xano Dimdime Aiuto Khan di Dimdim<br />

2. T’op û tifinga gum’e gum’e Cannoni e mortai sparano<br />

Hay Dimdime oh hay Dimdime Oh Dimdim oh Dimdim<br />

T’op û tifnga gum’e gum’e Cannoni e mortai sparano<br />

Hewarê Xano Dimdime Aiuto Khan di Dimdim<br />

3. Êrî Şahvan‘ejêm e Ecco lo Shah lo Shah dei persiani<br />

Hay Dimdime oh hay Dimdime Oh Dimdim oh Dimdim<br />

Êrî Şahvan‘ejêm e Ecco lo Shah lo Shah dei persiani<br />

Hewarê Xano Dimdime Aiuto Khan di Dimdim<br />

In queste versioni il cambio della rima avviene ogni tre strofe, a seguito delle<br />

quali viene inserita una strofa strumentale. La struttura risulta dunque: aaaa (x3) +<br />

strofa strumentale, baba (x3) + strofa strumentale, e così via.<br />

I versi sono formati da otto, nove o dieci sillabe, nella scansione binaria,<br />

mentre si trovano alcuni versi di sole sette sillabe in quella ternaria. Ad esempio:<br />

T’ifinga gum’e gum’e (“cannoni e mortai sparano”), KHI2 str. 2.<br />

Le combinazioni sillabiche sono pertanto di vario tipo, ne segnalo alcune<br />

indicando in grassetto l’accento musicale:<br />

- per i versi di sette sillabe, che si trovano solo nel ritmo ternario, la prima<br />

sillaba è in anacrusi:<br />

- T’ifinga // gum’e gum’e (3 + 4), KHI2 str. 2;


- Êrî Şahvan // ‘ejêm e (4 + 3), KHI3 str. 3;<br />

- per i versi di otto sillabe:<br />

- Du hizar pale // lî diken şolî (5 +3), I.A.St str. 39;<br />

- Ser xelat // zêrekî zere (3 + 5), I.A.St str. 49;<br />

- Babo Xano // dî weneke (4 + 4), H.B.St str. 15;<br />

- per i versi di nove sillabe:<br />

- Çi avahiya // ava neke (5 + 4), H.B.St str. 16;<br />

- Ber ser berê // negihîştê (4 +5), I.A.St str. 9;<br />

- Ser gera // Dimdimê difelin (3 + 6), I.A.St str. 31;<br />

- per i versi di dieci sillabe:<br />

- Dî binêrine dû // şêra çêkir (5 + 5), H.B.St ritornello;<br />

- Mifireqê bike // nav berê ye (6 + 4), I.A.St str. 45;<br />

- per i versi di undici sillabe:<br />

- Du hizar tevir û // du hizar kulin (6 + 5) I.A.St str. 23;<br />

- Tu mifireqê // bike di nav ber e (5 + 6)<br />

Nello stran, dove la presenza del ritornello e la ripetizione della strofa esaltano<br />

le componenti ritmico-melodiche dei fonemi, l’aspetto del gioco linguistico-musicale<br />

si fa ancora più evidente.<br />

KELAÊ DIMDIM 247


248 CAPITOLO IV – VERSO E MELODIA<br />

In I.A. si incontrano molte anafore in Dimdim ber e o Dimdim îna (strofe 4, 7, 10,<br />

13, 17, 20, 22, 32, 35, 38, 41), in du hizar (str. 5, 8, 23, 24, 26, 27, 29, 30, 33, 36, 39,<br />

42). Si trovano allitterazioni, ad esempio, nelle strofe 34, 37, 43, tra fonemi çê (pr.<br />

“ce”), ci (pr. “gi”) e kî (pr. “chi”):<br />

34. Wan çêkir cihkî qertulî Lo hanno reso un luogo di vendetta<br />

37. Wan çêkir cihkî mirinî Lo hanno reso un luogo di morte<br />

43. Çêkir cihî Sirîçxanî Hanno ricavato il posto per Serickhan<br />

Esecuzioni musicali<br />

I.A.St e H.B.St, sono, come più volte detto, eseguite da una coppia di cantori,<br />

rispettivamente: I.A. e M.R. e H.B. e M.R. 205 Nelle esecuzioni musicali, realizzate<br />

senza accompagnamento strumentale, ogni distico viene ripetuto con la stessa<br />

melodia due volte di seguito, ognuna delle quali da uno dei due esecutori coinvolti.<br />

Come ricordano sia Ibrahim Awa che Halala Barçi, 206 quello di Dimdim è un<br />

antico canto che in Bahdinan, o per lo meno nel distretto di Duhok, si eseguiva in<br />

quello specifico modo.<br />

Tutte le versioni di KHI sono, invece, eseguite da un solo cantore con<br />

l’accompagnamento del saz o tembur, il tipico liuto a manico lungo presente in gran<br />

parte della musica popolare e della tradizione folklorica curda. Lo strumento esegue<br />

un accompagnamento eterofonico; difatti la stessa melodia del canto è utilizzata<br />

come introduzione strumentale, con stilemi tipici della tecnica strumentale (note<br />

205 Cfr. Cap I.<br />

206 Cfr. Appendice I, p.363.


ibattute, plettratura, bordone), come accompagnamento vero e proprio, come<br />

strofa in alternanza alla voce.<br />

Di seguito sono mostrati modelli melodici degli stran raccolti. Ogni accento è<br />

segnalato dalla stanghetta di battuta e la doppia stanghetta segnala il ritornello.<br />

I.A.St<br />

L’esecuzione è regolare e piuttosto veloce: q ~200-208.<br />

H.B.St<br />

Anche in questo caso il tempo di esecuzione è sostenuto q ~ 150-160<br />

I.A.St modello<br />

I seguenti modelli sono usati in corrispondenza, rispettivamente del primo e<br />

del secondo ritornello.<br />

KELAÊ DIMDIM 249<br />

H.B.St modello 1


250 CAPITOLO IV – VERSO E MELODIA<br />

H.B.St modello 2<br />

La melodia è eseguita dalla signora Barçi a una terza superiore rispetto al<br />

secondo cantore, Muhammed Rashid. Come si è accennato nel Capitolo I, già<br />

Christensen 207 aveva osservato, nei canti di cori alternati, maschili e femminili, l’uso<br />

di cantare a distanza di una quarta.<br />

Nelle versioni I.A.St e H.B.St il modello melodico, dall’identico profilo, viene<br />

utilizzato sia per il verso che per il ritornello di ciascun distico. Poiché il primo verso<br />

è differente in ogni strofa, il ritmo sillabico cambia di conseguenza al numero delle<br />

sillabe e in parte anche all’accentazione delle parole. Dunque, mentre il ritornello<br />

rimane invariato, nell’esecuzione del primo verso si percepisce una costante micro-<br />

variazione ritmica.<br />

Eccone alcuni esempi:<br />

207 Cfr. Christensen, 1961.<br />

I.A.St str. 5<br />

CD 1 – tr. 58


Alcune variazioni di H.B.St:<br />

KELAÊ DIMDIM 251<br />

I.A.St str. 23<br />

CD 1 – tr. 59<br />

I.A.St str. 58<br />

CD 1 – tr. 60<br />

H.B.St str. 1<br />

CD 1 – tr. 61<br />

H.B.St str. 3<br />

CD 1 – tr. 62


252 CAPITOLO IV – VERSO E MELODIA<br />

H.B.St str. 10<br />

In H.B.St è percepibile un ulteriore cambio del ritmo sillabico nel momento<br />

del cambiamento del verso-ritornello:<br />

H.B.St str. 21<br />

In entrambe queste versioni i cantori, succedendosi nell’esecuzione delle strofe<br />

sovrappongono le proprie voci sull’ultima pulsazione della strofa. Questa abitudine<br />

può essere intesa come un espediente per non perdere l’intensità della continuità<br />

ritmica.<br />

Ad esempio:<br />

CD 1 – tr. 63<br />

CD 1 – tr. 64


KHI1<br />

Tra le versioni di Selih Heydo (KHI), KHI1 è l’unica in ritmo binario.<br />

La pulsazione è rapida: q ~ 155-160.<br />

Le strofe successive si comportano in modo analogo:<br />

KELAÊ DIMDIM 253<br />

I.A.St str. 1<br />

CD 1 – tr. 65<br />

H.B.St str. 1<br />

KHI1 Introduzione strumentale e v.1


254 CAPITOLO IV – VERSO E MELODIA<br />

KHI2<br />

L’indicazione metronomica per questo modello melodico è: q . ~100-110.<br />

KHI1 str. 5<br />

KHI2 v. 1<br />

Il profilo melodico del canto, in questo modello, è quello di una cantillazione<br />

su una corda di recita, con un salto di terza in corrispondenza del secondo accento<br />

forte.<br />

CD 2 – tr. 8


La strofa musicale consiste di due frasi delle quali una (A) è utilizzata per i<br />

primi tre versi, l’altra (B), che chiude con un movimento discendente la strofa e apre<br />

a quella successiva, per l’ultimo.<br />

Il canto è preceduto da un’introduzione musicale in cui lo strumento esegue la<br />

melodia della strofa sostenuta da un bordone.<br />

La caratteristica principale che differenzia questa melodia dalle altre è<br />

l’anacrusi della prima sillaba. Si noti, inoltre, che l’accento musicale sulla parola<br />

Dimdim cade sulla seconda sillaba, mentre, di norma, esso si trova sulla prima sia<br />

nelle melodie del beyt che nelle altre melodie degli stran raccolti.<br />

KHI3<br />

Anche questa melodia è in ritmo ternario, ma a differenza della precedente ha<br />

un inizio tetico. Il tempo è simile: q . ~ 100-110.<br />

KELAÊ DIMDIM 255<br />

CD 2 – tr. 9<br />

KHI 3 v. 1<br />

Il modello melodico è diviso in due parti, A e B, ognuna dell’ampiezza di un<br />

verso. Nelle strofe cantate queste due parti vengono utilizzate in varie combinazioni:


256 CAPITOLO IV – VERSO E MELODIA<br />

per le strofe 1, 2 , 5, 8 si ha la combinazione A-B-A-B; per le strofe 3, 4, 7, 9, 10, 11,<br />

13 si ha A-A-B-A; per 6 e 12 A-A-A-B.<br />

KHI3 str. 1<br />

KHI3 str. 3<br />

KHI3 str. 6<br />

CD 2 – tr. 10


In conclusione a questa breve disamina dello stran di Dimdim, emergono<br />

alcune somiglianze tra il modo in cui testo e melodie sono messi in realzione anche<br />

nel beyt.<br />

I modelli melodici dello stran condividono alcune caratteristiche fondamentali<br />

con quelli del canto epico.<br />

Il ritmo è bicrono sia nelle versioni con scansione binaria (I.A.St, H.B.St e<br />

KH1), sia in quelle con scansione ternaria (KHI2 e KHI3).<br />

Gli accenti sono quattro per ogni frase melodica e raggruppano quattro<br />

pulsazioni ciascuno nella scansione binaria, e tre in quella ternaria. Sono alternati<br />

secondo lo schema forte-debole-forte-debole.<br />

Ogni frase melodica corrisponde a un verso poetico. Le melodie sono<br />

sillabiche e le variazioni ritmiche dipendono dalla sillabazione del testo, ma il<br />

penultimo movimento non è mai suddiviso. Lo sviluppo melodico avviene per gradi<br />

congiunti in un ambitus di terza.<br />

KELAÊ DIMDIM 257


258 CAPITOLO IV – VERSO E MELODIA


CONCLUSIONI<br />

La principale novità di questo lavoro sta nell’aver affrontato con un approccio<br />

musicologico l’analisi di un materiale, un’epica della tradizione orale curda,<br />

solitamente affrontato da linguisti, oralisti o folkloristi a partire dai testi trascritti,<br />

non dalla registrazione delle esecuzioni cantate.<br />

Nel campo degli studi curdi credo che un’analisi specifica di un canto epico<br />

portata avanti con questi criteri rappresenti una novità, come credo lo sia la<br />

traduzione in italiano di un simile materiale.<br />

Il lavoro si è sviluppato secondo due direttrici di analisi. Da un lato, ho preso<br />

in considerazione il testo sotto vari aspetti, in particolare la sua natura formulare;<br />

dall’altro, compatibilmente con il materiale a disposizione, ho cercato di indagare<br />

sulla relazione tra metrica poetica ed esecuzioni musicali in questo particolare<br />

genere della poesia orale curda.<br />

L’analisi musicale è stata effettuata sulle registrazioni dei materiali originali da<br />

me realizzate durante una, purtroppo, breve permanenza nel distretto di Duhok<br />

nella Regione Autonoma del Kurdistan Iracheno: la raccolta denominata<br />

Bahdinan-2009. Tale raccolta è composta da cinque canti in forma di beyt (I.A.,<br />

F.B., H.S., B.B., H.A.) e da due in forma di stran (I.A.St e H.B.St).<br />

KELAÊ DIMDIM 259<br />

Per affrontare con maggior consapevolezza l’analisi dei testi, invece, un<br />

supporto notevole è stato fornito dalle versioni dell’epica presenti nella monografia


260 CONCLUSIONI<br />

di O. Celîl 208 , le sole tuttora pubblicate a mia conoscenza, che sono servite come<br />

termine di paragone e confronto nell’analisi formulaica. Sempre al medesimo scopo<br />

è stato, inoltre, molto prezioso il lavoro di M.L. Chyet 209 le cui idee sulle versioni<br />

orali dell’epica Mem û Zin ho cercato di riportare nell’analisi dell’epopea di Dimdim.<br />

Nonostante la pratica di eseguire il canto del beyt di Dimdim stia perdendosi<br />

man mano che le nuove generazioni si allontanano dai villaggi e dai luoghi in cui le<br />

tradizioni sono ancora vive e praticate, la memoria di questa epica è ancora viva<br />

soprattutto tra quegli uomini e donne, specialmente anziani ex-combattenti, che<br />

hanno personalmente vissuto alcuni dei momenti più tragici della storia curda: dalla<br />

lotta per l’indipendenza negli anni Sessanta, alla dittatura Ba’ath e alla persecuzione<br />

violenta portata avanti da Saddam Hussein negli anni Ottanta. Difatti l’epopea di<br />

Dimdim, continua ad avere un valore rappresentativo del patriottismo e della strenua<br />

capacità dei curdi di resistenza alle oppressioni.<br />

L’epopea di Dimdim appartiene al genere del beyt, il canto epico della<br />

tradizione curda, tradizionalmente eseguito durante feste di villaggio o celebrazioni<br />

nuziali da un cantore senza accompagnamento strumentale.<br />

Nell’esecuzione, da me definita “minimale”, il cantore è seduto e si limita a<br />

illustrare il racconto con una gestualità asciutta.<br />

Alcuni dei cantori registrati conoscevano Dimdim anche in forma di stran,<br />

termine con il quale in curdo si indicano genericamente le canzoni strofiche di vario<br />

208 Celîl, 1967.<br />

209 Chyet, 1991.


argomento. Queste composizioni, più concise e brevi del beyt sono state eseguite in<br />

stile responsoriale da due cantori.<br />

Sulla storia dell’epopea non molto altro è stato aggiunto a ciò che già Celîl<br />

aveva individuato come il principale fondamento storico della leggenda nella sua<br />

forma orale, ossia il resoconto dello storico persiano Iskandar Beg Monshi, vissuto<br />

alla corte di Shah ‘Abbas tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo.<br />

Il racconto, nel poema orale, si mantiene aderente alla storia nei punti<br />

fondamentali. Gli elementi di novità sono costituiti dall’inserimento di episodi di<br />

invenzione, funzionali alla creazione della leggenda, e dai personaggi coinvolti, i<br />

quali, a parte i principali, Khan Manodoro, Khan Mukrî e lo Shah di Persia,<br />

sembrano essere frutto di una commistione tra vari personaggi storicamente esistiti.<br />

Ad esempio il personaggio del Califfo, che nell’epopea orale rappresenta il fratello e<br />

principale aiutante dello Shah, concentra in sé le figure dei vari generali che hanno<br />

combattuto contro il Khan Baradost e che sono citati da Iskandar Beg: Elias Kalifa<br />

e Hasan Khan in particolare. Infine, il poema orale, per la sua natura di leggenda,<br />

presenta elementi del magico funzionali alla riuscita di alcune imprese del<br />

protagonista.<br />

KELAÊ DIMDIM 261<br />

Dall’analisi morfologica del poema orale, effettuata basandosi sulle teorie di<br />

Propp e Thompson, è scaturita una serie di temi, che sono stati elencati e descritti.<br />

Inoltre, è risultato che alcuni di essi compaiono nei cataloghi compilati da Aarne e<br />

Thompson (Types of the Folktales, “Indice dei tipi di fiabe”) e dal solo Thompson


262 CONCLUSIONI<br />

(Motif-Index of Folktales “Indice dei motivi dominanti”). Nello specifico sono stati<br />

individuati il tema della prova (classificato come Ricerca di animali pericolosi nel Motif-<br />

Index), rappresentato nel’epopea curda dall’episodio della cattura del leone (tema<br />

1.2.1); il motivo della pelle di bue, usata abilmente per ottenere una grane quantità<br />

di terra, (K185, L’acquisto di una terra basato sull’inganno nel Motif-Index e tipo 2400, Il<br />

terreno misurato con la pelle del bue nel Type); la punizione inflitta al traditore, che viene<br />

sparato come un proiettile dalla bocca di un cannone (X913, Il ragazzo sparato dal<br />

cannone nel Motif-Index e tipo 1880 nel Types).<br />

Alcuni temi sono invece comuni alla storiografia, ad esempio: la presenza di<br />

una sorgente d’acqua vitale per la sopravvivenza all’interno della fortezza curda e<br />

che i persiani riescono a rintracciare grazie al tradimento di un curdo; l’uccisione di<br />

Khan Mukrî all’interno della tenda del Califfo.<br />

Attraverso l’analisi morfologica delle varie versioni prese in considerazione è<br />

stata messa in luce la diversa disposizione e organizzazione del materiale narrativo.<br />

Essa può essere addebitata alla trasmissione di differenti tradizioni dell’epica,<br />

oppure, in linea con le teorie di Lord 210 , al fatto che i cantori utilizzino il<br />

procedimento della composing performance, producano, cioè, il canto al momento stesso<br />

dell’esecuzione, basandosi sull’uso di un repertorio di formule precedentemente<br />

memorizzato. Questo giustificherebbe e consentirebbe la flessibilità nella<br />

disposizione e nella realizzazione dei temi. Poiché, però, non è stato possibile<br />

reperire sufficiente materiale circa le modalità di apprendimento del canto, non mi<br />

è possibile dare dimostrazione certa che ciò effettivamente avvenga.<br />

210 Lord, 2005.


L’analisi morfologica e l’ordinamento dei temi ha facilitato non solo la<br />

comparazione tra le versioni, ma anche l’individuazione di formule poetiche<br />

specifiche.<br />

L’analisi formulaica ha rivelato, infatti, con sorprendente evidenza la stretta<br />

parentela che le versioni moderne, quelle di Bahdinan-2009, hanno con le più<br />

antiche. Sono state cercate e rintracciate due tipologie di formule. La prima<br />

comprende le formule che pur comparendo un’unica volta all’interno di una<br />

versione del poema, sono rintracciabili, simili o identiche, in altre versioni. Questo è<br />

il caso di formule che si riferiscono specificamente ad un tema. L’altra tipologia di<br />

formula è invece ricorrente all’interno di una stessa versione del canto e può trovarsi<br />

anche in altre versioni. Vi sono contemplate le formule di descrizione temporale,<br />

spesso usate come incipit di sezioni cantate, e quelle locuzioni che indicano azioni<br />

frequentemente svolte, o descrizioni dei personaggi principali.<br />

In particolare, sembra trovare conferma la teoria dell’oicotipo, espressa da<br />

Chyet, secondo cui tanto più vicina è la provenienza geografica di due versioni orali<br />

di un poema tanto maggiori sono le somiglianze sia in termini di argomenti trattati<br />

(temi) sia di formule poetiche utilizzate.<br />

Difatti, le versioni “antiche” più somiglianti, in quantità e tipologia di formule,<br />

a quelle di Bahdinan-2009 erano state eseguite da cantori originari della medesima<br />

regione dialettale: il Bahdinan.<br />

KELAÊ DIMDIM 263<br />

Risultati di un certo interesse sono stati ottenuti, infine, dall’analisi musicale, la<br />

quale ha fatto emergere, in parziale contrasto con le teorie di studiosi precedenti,


264 CONCLUSIONI<br />

quali O. Mann, B. Nikitine, O. Celîl e lo stesso M.L. Chyet, qualche dubbio circa<br />

tipologia della metrica del verso epico.<br />

Mann aveva individuato i principali parametri metrici dell’epica popolare<br />

curda nel numero di sillabe che compongono il verso, nella presenza della rima e<br />

nella struttura strofica, organizzata, a suo parere in gruppi di tre o quattro versi. Su<br />

questo punto la riflessione di Chyet sembra più convincente, in quanto<br />

introducendo la locuzione “sequenza rimica” risolve l’anomalia delle strofe<br />

composte anche da decine di versi.<br />

Sul fatto che la rima sia un tratto distintivo del verso nell’epica curda, non<br />

sembra ci sia da obiettare. Di fatti qualora la rima non sia realizzabile dalla regolare<br />

terminazione di due parole in fine verso, è pratica comune aggiungere vocali o<br />

sillabe eufoniche che completino il verso e realizzino la rima.<br />

Anche sulla forma strofica delle sezioni cantate del beyt l’analisi dei canti di<br />

Dimdim sembra dare conferme. Si evidenzia in particolare l’uso frequente di brevi<br />

sequenze rimiche il cui primo verso è in anafora e la cui rima cambia a ogni<br />

ricorrenza. Tale espediente non sembra avere regolarità formale, si è pensato quindi<br />

a un uso di tipo formulaico dei versi che costituiscono l’anafora, quelli che Chyet<br />

chiama rhyme signalling device.<br />

Ciò che, invece, pone qualche interrogativo e che non è stato possibile risolvere<br />

definitivamente nel presente lavoro, anche a causa dell’insufficienza dei dati a<br />

disposizione, è la natura della metrica del verso. Infatti, i risultati dell’analisi<br />

musicale indurrebbero a non escludere in modo categorico logiche di tipo<br />

quantitativo, sebbene, in accordo con gli studiosi precedenti, i parametri più


significativi della poesia popolare curda e in particolare di quella epica, possano<br />

continuare a essere individuati nella costante presenza della rima che genera<br />

sequenze strofiche, anche se irregolari, e nel numero delle sillabe che compongono i<br />

versi.<br />

L’ambiguità della natura metrica del verso epico sorge da alcune osservazioni.<br />

Innanzitutto, gli accenti musicali non seguono, come affermato da Celîl, la naturale<br />

accentazione delle parole in modo sistematico. Osservano, piuttosto, degli schemi<br />

ritmici che sembrano attenersi a delle regole di tipo metrico quantitativo.<br />

Inoltre, l’analisi musicale dei versi cantati ha evidenziato come i modelli<br />

ritmico-melodici utilizzati, uno a scansione binaria e uno a scansione ternaria,<br />

adottino entrambi una suddivisione esclusivamente bicrona, scandita da quattro<br />

accenti che raggruppano rispettivamente quattro e tre pulsazioni, ciascuno secondo<br />

lo schema forte-debole-forte-debole. Tali scansioni sembrano, inoltre, governate da<br />

schemi precisi, ad esempio: le prime due pulsazioni raggruppate dal secondo e dal<br />

quarto accento nel ritmo a scansione binaria e dal quarto accento in quello a<br />

scansione ternaria non sostengono più di una sillaba, a differenza degli altri che<br />

possono averne anche due.<br />

Questo tipo di scansione si accorderebbe con una logica di tipo quantitativo e<br />

giustificherebbe la presenza di versi di varia lunghezza.<br />

KELAÊ DIMDIM 265<br />

Un conteggio statistico delle sillabe contenute nei versi delle versioni di<br />

Bahdinan-2009 ha però rivelato una sostanziale prevalenza di versi di otto sillabe.<br />

Inoltre si è rilevato che i versi composti da più di undici sillabe tendono a non essere


266 CONCLUSIONI<br />

più cantati secondo i modelli ritmico-melodici, ma ad essere declamati, entrando<br />

nella cosiddetta categoria del “verso lungo”.<br />

Alla presenza di versi composti da un numero molto alto di sillabe,<br />

caratteristica molto evidente di questo tipo di poesia, non si è trovata una<br />

giustificazione formale. Tuttavia i versi, spesso declamati anziché cantati, si<br />

inseriscono nella regolarità dell’andamento litanico come una momentanea<br />

sospensione ritmica e ne sono allo stesso tempo inglobati grazie alla presenza della<br />

rima e al fatto che le sillabe finali vengono di norma nuovamente cantate secondo il<br />

modello ritmico-melodico in uso.<br />

I cantori, infine, fanno uso di entrambi i modelli ritmici (utilizzando per primo<br />

quello a scansione binaria) fatta eccezione per B.B. che usa solo il modello a<br />

scansione ternaria e per I.A. che introduce anche un altro tipo di forma musicale,<br />

quella del lamento.<br />

Le realizzazioni melodiche, tuttavia, sono diverse per ciascuna versione, pur<br />

presentando caratteristiche simili. L’ambitus è molto ristretto, in genere una terza,<br />

con le sporadiche eccezioni di intervalli più ampi dovute all’inserimento dell’effetto<br />

vocale del “grido”. Il profilo è in genere quello di un canto su corda di recita con<br />

flessioni per gradi congiunti e raramente salti di terza. La variazione ritmica è<br />

l’espediente attraverso cui si genera una estrema vivacità sonora, nonostante lo<br />

stesso modello melodico sia ripetuto per un numero molto elevato di versi.<br />

Infine, in alcune realizzazioni (I.A., B.B., H.A.) si individuano costruzioni<br />

melodiche strofiche, utilizzate, però, in modo non regolare e continuativo.


In generale, non sembra ci sia un’attinenza specifica o sistematica tra l’uso dei<br />

modelli ritmico-melodici e il testo poetico, anche se una più attenta indagine su altri<br />

brani del medesimo repertorio potrebbe offrire risultati più precisi.<br />

Per quanto riguarda gli stran di Dimdim, si è riscontrata una comunanza di<br />

elementi con il beyt. Innanzitutto, l’uso comune di alcune formule e di alcune<br />

strutture poetiche come l’anafora. Secondariamente le tipologie ritmico melodiche<br />

utilizzate sono le stesse che nel beyt: ritmo a scansione binaria o ternaria bicrona,<br />

sillabicità e profilo melodico per gradi congiunti.<br />

Negli stran reperiti presso il Kurdish Heritage Institute di Suleimaniya,<br />

utilizzati come riferimento e paragone agli stran di Bahdinan-2009, è molto evidente<br />

una regolarità nell’organizzazione strofica delle melodie.<br />

Gli stran di Bahdinan-2009 sono eseguiti secondo una modalità responsoriale<br />

da due cantori che si alternano nell’esecuzione di ciascun distico.<br />

In conclusione, seppure questo lavoro possa offrire un contributo piuttosto<br />

parziale alla ricerca nel campo della poesia orale curda, dato il numero non elevato<br />

di versioni orali che sono riuscita a trovare e dal fatto che esse siano limitate a<br />

un’unica regione del Kurdistan, sono convinta, tuttavia, che possa essere un punto<br />

di partenza e un’occasione per ulteriori, più approfondite e documentate ricerche in<br />

merito, per le quali sarebbe auspicabile la collaborazione di linguisti, oralisti e<br />

etnomusicologi.<br />

KELAÊ DIMDIM 267


268 CONCLUSIONI<br />

In particolare, rimangono da indagare in modo sistematico e specifico gli<br />

aspetti legati alla trasmissione del repertorio epico: la relazione tra maestro e allievo,<br />

ad esempio, se essa sia prettamente parentale oppure ci possano essere allievi che<br />

decidano di apprendere il repertorio guidati da una personale vocazione, e dunque<br />

scelgano il proprio maestro; quali siano le modalità e le tecniche di apprendimento<br />

dei canti, se la moderna tecnologia abbia influenzato tali modalità (i.e. con<br />

l’introduzione di supporti audio) ed eventualmente quanto questo determini o<br />

condizioni il risultato finale, la forma e lo stile di esecuzione del canto.<br />

All’indagine sulle modalità di apprendimento si legano, naturalmente, gli<br />

aspetti relativi allo stile peculiare dei vari cantori. Dello stile individuale sarebbe<br />

interessante conoscere in modo approfondito come si formi, quali siano le influenze<br />

che concorrono a definirlo o eventualmente modificarlo, quali ne siano gli aspetti da<br />

considerare salienti e più distintivi, quelli cioè che permettono al pubblico di<br />

apprezzare maggiormente l’esecuzione di un particolare cantore.<br />

Sarebbe interessante portare avanti un lavoro sistematico di raccolta e analisi<br />

del repertorio epico in generale, per cui sarebbero utili comparazioni tra epiche di<br />

vario argomento, o di argomento simile raccolte in varie parti del Kurdistan. Si<br />

potrebbero rintracciare relazioni con altri repertori della tradizione orale, sia negli<br />

argomenti, sia nello stile di esecuzione musicale che di creazione dei testi poetici. Si<br />

potrebbe, infine, estendere ad altre narrazioni il tipo di analisi che è stato qui<br />

applicato, ovvero l’analisi formulaica sui testi e quella musicologica sulle melodie.<br />

L’analisi musicologica sulla relazione che intercorre tra il testo e le melodie e<br />

sulle questioni metriche necessita sicuramente di ulteriori approfondimenti,


potrebbe, inoltre, essere estesa ad altri repertori, e la riflessione essere affrontata in<br />

parallelo con gli studi sulla poesia classica curda.<br />

In generale, gli studi etnomusicologici sul repertorio tradizionale curdo, sia<br />

vocale che strumentale, meriterebbero di essere ampliati e approfonditi, anche in<br />

virtù dei rapidi cambiamenti sociali che interessano questa parte di mondo e che in<br />

certi casi potrebbero portare alla dispersione del patrimonio di canti e racconti.<br />

Tuttavia non è solamente il timore di una perdita culturale a rendere auspicabile<br />

simili ricerche, quanto la necessità far emergere le radici culturali tradizionali che<br />

profondamente influenzano la percezione identitaria di questo popolo pure nella<br />

sua frammentata realtà geopolitica. Questo tipo di studi credo possano<br />

rappresentare un contributo alla conoscenza di un popolo la cui cultura e la cui<br />

identità sono ancora fortemente basate su stili di vita, valori e pratiche legati alla<br />

cultura tradizionale.<br />

KELAÊ DIMDIM 269


270 CONCLUSIONI


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CD 1:<br />

Tr. 1 – H.A. vv. 18-41<br />

INDICE DELLE TRACCE AUDIO<br />

Tr. 2 – I.A. vv. 105-138<br />

Tr. 3 – I.A. vv. 1-4<br />

Tr. 4 – H.A. vv. 113-117<br />

Tr. 5 – H.S. vv. 1-6<br />

Tr. 6 – H.A. vv. 251-256<br />

Tr. 7 – F.B. vv. 358-361<br />

Tr. 8 – I.A. vv. 464-467<br />

Tr. 9 – H.S. vv. 101-105<br />

Tr. 10 – I.A. vv. 225-231<br />

Tr. 11 – H.S. v. 104<br />

Tr. 12 – F.B. vv. 4, 6, 9<br />

Tr. 13 – I.A. v. 334<br />

Tr. 14 – I.A. v. 18<br />

Tr. 15 – I.A. v. 36<br />

Tr. 16 – I.A. v. 95<br />

Tr. 17 – I.A. v. 137<br />

Tr. 18 – I.A. v. 227<br />

Tr. 19 – I.A. v. 228<br />

Tr. 20 – I.A. v. 447<br />

KELAÊ DIMDIM 281


282 INDICE TRACCE AUDIO<br />

Tr. 21 – I.A. v. 515<br />

Tr. 22 – I.A. vv. 301-302<br />

Tr. 23 – I.A. vv. 325-326<br />

Tr. 24 – I.A. vv. 270-271<br />

Tr. 25 – I.A. vv. 280-281<br />

Tr. 26 – I.A. tema 8 (donne)<br />

Tr. 27 – H.S. v. 25<br />

Tr. 28 – H.S. v. 57<br />

Tr. 29 – H.S. v. 214<br />

Tr. 30 – H.S. v. 263<br />

Tr. 31 – H.S. v 265<br />

Tr. 32– H.S. v. 277<br />

Tr. 33 – H.S. v. 285<br />

Tr. 34 – H.A. vv. 12-13<br />

Tr. 35 – H.A. vv. 245-246<br />

Tr. 36 – H.A. v. 270<br />

Tr. 37 – H.A. v. 260<br />

Tr. 38 – H.A. vv. 290-294<br />

Tr. 39 – H.A. vv. 550-553<br />

Tr. 40 – H.A. vv. 398-401<br />

Tr. 41 – H.A. vv. 520-530<br />

Tr. 42 – F.B. v. 5<br />

Tr. 43 – F.B. v. 40


Tr. 44 – F.B. v. 65<br />

Tr. 45 – F.B. vv. 16-17<br />

Tr. 46 – F.B. vv. 26-27<br />

Tr. 47 – F.B. v. 110<br />

Tr. 48 – F.B. v. 364<br />

Tr. 49 – F.B. v. 373<br />

Tr. 50 – F.B. v. 404<br />

Tr. 51 – F.B. vv. 411-414<br />

Tr. 52 – B.B. v. 43<br />

Tr. 53 – B.B. v. 56<br />

Tr. 54 – B.B. v. 71<br />

Tr. 55 – B.B. vv. 239-240<br />

Tr. 56 – B.B. vv. 310-311<br />

Tr. 57 – B.B. vv. 323-328<br />

Tr. 58 – I.A.St str. 5<br />

Tr. 59 – I.A.St str. 23<br />

Tr. 60 – I.A.St str. 58<br />

Tr. 61 – H.B.St str. 1<br />

Tr. 62 – H.B.St str. 3<br />

Tr. 63 – H.B.St str. 24<br />

Tr. 64 – H.B.St str. 21<br />

Tr. 65 – I.A.St str. 1<br />

KELAÊ DIMDIM 283


284 INDICE TRACCE AUDIO<br />

CD 2:<br />

Tr. 1 – I.A. versione integrale<br />

Tr. 2 – F.B. versione integrale<br />

Tr. 3 – H.S. versione integrale<br />

Tr. 4 – B.B. versione integrale<br />

Tr. 5 – H.A versione integrale<br />

Tr. 6 – I.A.St versione integrale<br />

Tr. 7 – H.B.St versione integrale<br />

Tr. 8 – KHI1<br />

Tr. 9 – KHI2<br />

Tr. 10 – KHI3

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