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Dottore! Me lo prometta! Andrà tutto bene, vero?”<br />

“Lo spero, signora. Lo spero.”<br />

Sono due mesi che sono qui a fissare il muro di fronte. Lo conosco meglio<br />

dei palmi delle mie mani. C’è quella crepa là che certe volte sembra una<br />

testa e certe altre volte una donna. Non posso fare niente. Non posso dire<br />

niente. Non posso lavorare. Non posso lavarmi da solo. Non posso farmi<br />

neanche le seghe! Sono qui e vedo di fronte a me passare mia madre,<br />

mia sorella, che vengono a vedere se va tutto bene, che mi lavano la faccia<br />

con un asciugamano bagnato, che mi rigirano, ogni tanto, credo per<br />

evitare che mi vengano delle piaghe sul corpo immobile. È stato un anno<br />

logorante. Un anno davvero inconcepibile. Ho iniziato piano piano. Prima<br />

quei crampi, poi non riuscivo più a parlare bene, poi non muovevo più<br />

bene niente. Poi non ho mosso più nulla e non ho potuto dire più niente.<br />

Certe volte mi andava via il fiato, mentre parlavo. E da che ero io a tirare<br />

avanti la famiglia, ora sono diventato un peso. Peggio di un vecchio, peggio<br />

di un bambino. Sono una pianta con occhi e cervello. Quegli stronzi<br />

dei miei compari non sono mai e dico MAI venuti a trovarmi una sola<br />

volta da quando sto così! Ma non ha più importanza, ora. Ora non sono<br />

più niente. Non vedo l’ora di morire. Uccidimi, dottore, cazzo, uccidimi…<br />

Non so perché lo faccio, forse solo per vedere com’è messo. Gli sono sempre<br />

piaciuta, lo so. Forse voglio vedere se gli piaccio ancora. O se è cambiato.<br />

Citofono e entro. Sua madre mi offre un tè, ma non me la sento<br />

di berlo davanti a lui. Lui che non può muovere nemmeno un dito. È in<br />

questa stanza, vicino alla cucina. Era un salotto, ma ora è una specie di<br />

stanza d’ospedale. La luce della sera entra soffusa ed attraversa le sacche<br />

delle flebo e la sacca del catetere diventa ancora più dorata. È lì con<br />

gli occhi a palla ed il corpo bloccato come un enorme manichino. Lo vedo<br />

che mi vede. La pupilla gli è diventata tutta nera.<br />

“Ciao, Gio”.<br />

“Mi senti? Scusa, che domande sceme che faccio…non puoi rispondermi,<br />

anche se tu lo volessi…”<br />

“Cosa ci faccio qua? Beh, sono venuta a trovarti. Ho saputo dai tuoi com-<br />

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pari che stai qui ora e che hai preso la SLA, così sono andata a vedere<br />

che malattia fosse. È una malattia davvero merdosa. E non si sa quasi<br />

nulla di sta roba. Beh, ma tu la conosci meglio di me. E poi non sono qui<br />

per ripeterti quanto tu sia malato”<br />

“Sono qui, perché mi manchi. Ti ricordi quando ti sei presentato la prima<br />

volta? Eravamo due ragazzini e tu eri così serio… Mi facesti subito<br />

ridere, mi esprimevi simpatia! E poi, va beh, lo sai. Ci siamo messi insieme,<br />

ma tu poi sei andato con quei cretini ed a me quelle robe non mi<br />

andavano giù proprio.”<br />

“Ti ho sempre amato, sai?”<br />

Non è possibile. Daniela. Daniela è qui. Proprio la mia Daniela! Vorrei<br />

piangere, vorrei morire, non voglio che mi veda così. Magari ho della<br />

bava che mi cola dagli angoli della bocca. Anch’io ti ho sempre amata,<br />

anche se non sono mai stato capace di dirtelo e poi tutto quel casino<br />

con gli altri… Non potevi chiedermi cosa scegliere! Se te o mantenere la<br />

mia famiglia. Quanto vorrei averla su di me, adesso. E non posso nemmeno<br />

dirglielo. Che testa di cazzo sono stato… Avrei potuto stare con<br />

lei, essere felice con lei, magari ci trovavamo un lavoro onesto, pulito e<br />

mamma era più contenta. E magari me la sposavo pure. Eh…ma questa<br />

merda l’avrei presa lo stesso, credo. Ma non avrei provato tutto l’odio che<br />

provo adesso per me. Perché non l’ho ascoltata?<br />

Ogni settimana lei lo andava a trovare. E gli raccontava qualche<br />

pettegolezzo di quartiere, oppure cosa aveva fatto quel giorno.<br />

Era piacevole, per Giovanni, sentirla parlare, vederla gesticolare così<br />

deliziosamente tra una frase e l’altra, per dare più enfasi al discorso. Era<br />

carina, qualsiasi cosa dicesse. Ma era anche un lento morire,<br />

vederla così viva e lui così morto. Un vegetale perso su un letto. Con tutto<br />

quell’accumularsi di pensieri nella testa, uno dopo l’altro, senza mai<br />

poterli sputare fuori. Avrebbe voluto urlare a pieni polmoni, correndo<br />

come un folle. Avrebbe voluto cambiare tutto, avere un’altra possibilità.<br />

Rifare tutto daccapo. Solo ora comprese che la sua vita, prima di ora,<br />

non aveva alcun senso. Non era più un vero essere umano.<br />

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