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Figura 1<br />

o perdita del proprio potere filtrante e protettivo;<br />

dalla conseguente fotodegradazione si ottengono<br />

frammenti molecolari, potenzialmente pericolosi,<br />

che possono indurre sensibilizzazione allergica o<br />

processi irritativi sulla cute stessa. La fotostabilità<br />

del filtro solare pertanto rappresenta, oltre<br />

che un fattore di durata della protezione solare,<br />

anche un fattore di sicurezza. La fotodegradazione<br />

può essere impedita:<br />

f utilizzando contemporaneamente più fattori<br />

protettivi (protezione sinergica);<br />

f utilizzando filtri fotostabili a determinate lunghezza<br />

d’onda;<br />

f proteggendo gli stessi filtri tramite sistemi di<br />

complessazione, incapsulazione o inclusione come<br />

per esempio ciclodestrine o liposomi (3).<br />

Sulla base di ciò è nata l’idea di impiegare anche<br />

matrici inorganiche lamellari, che sono in grado<br />

di intercalare delle molecole organiche, e progettare<br />

formulazioni in cui queste possano svolgere<br />

azione protettiva nei confronti della molecola<br />

ospitata. Sono state quindi utilizzate delle idrotalciti<br />

sintetiche, appartenenti alla famiglia delle<br />

argille anioniche, a base di ossidi di alluminio,<br />

magnesio e zinco. Considerando che le argille:<br />

f sono costituenti di prodotti cosmetici;<br />

f sono impiegate proprio in formulazioni a uso<br />

topico per proteggere la pelle;<br />

f gli ossidi di magnesio, di alluminio e soprattutto<br />

di zinco hanno proprietà schermanti.<br />

È sembrato razionale includere in esse dei filtri<br />

solari, per ottenere un prodotto di inclusione che<br />

potesse sia stabilizzare il filtro sia aumentare la<br />

protezione dai raggi UV.<br />

Argille anioniche: idrotalciti<br />

Le idrotalciti, o argille anioniche, sono miscele di<br />

idrossidi lamellari, naturali o sintetici, contenenti<br />

anioni scambiabili e sono molto meno note e<br />

diffuse in natura rispetto alle argille cationiche. Il<br />

crescente interesse verso questi solidi lamellari è<br />

giustificato dal vasto campo delle loro applicazioni.<br />

L’ idrotalcite (HTlc), infatti, è un materiale molto<br />

versatile che trova applicazione in molti settori<br />

come catalizzatore, adsorbente, nelle preparazioni<br />

cosmetiche, in preparazioni odontoiatriche e in<br />

Kosmetica • aprile 2008<br />

Figura 2<br />

particolar modo in campo farmaceutico. È largamente<br />

impiegata come antipeptinico, stabilizzante<br />

di formulazioni farmaceutiche, lubrificante, nella<br />

preparazione di formulazioni a rilascio modificato<br />

sia di principi attivi a uso umano che di fitofarmaci<br />

e nell’allestimento di formulazioni a uso<br />

topico per proteggere la pelle danneggiata (4, 5).<br />

Le lamelle di HTlc sono costituite da un piano di<br />

metalli bivalenti e trivalenti, in genere nel rapporto<br />

M(II)/M(III) pari a 2, coordinati ottaedricamente<br />

a sei gruppi ossidrili. La presenza del catione trivalente<br />

introduce una carica positiva, che deve<br />

essere controbilanciata da anioni nella regione interstrato,<br />

dove è presente anche l’acqua di cristallizzazione.<br />

Tali anioni sono liberi di muoversi, di<br />

rompere i loro legami e cedere il loro posto ad altri<br />

anioni via scambio ionico e la distanza interstrato<br />

dell’idrotalcite dipende dall’anione intercalato e<br />

dalla eventuale presenza di acqua. Per realizzare<br />

i prodotti di inclusione è necessario disporre di<br />

un’idrotalcite che contenga tra le sue lamelle ioni<br />

facilmente scambiabili, come per esempio Cl- o<br />

NO 3 -, ma la preparazione di HTlc con anioni diversi<br />

da CO 3 = è particolarmente critica ed è per<br />

questo che è necessario ricorrere a tecniche di<br />

scambio ionico per ottenere HTlc prive di carbonato.<br />

Occorre quindi preparare dapprima HTlc in<br />

loro forma carbonato (6) che non è molto idonea a<br />

intercalare, via scambio ionico, altri anioni perché<br />

il CO 3 = ha una capacità di scambio trascurabile<br />

in quanto presenta le dimensioni più opportune<br />

per essere alloggiato nelle regioni interstrato della<br />

HTlc e risulta particolarmente difficile da sostituire.<br />

In base a studi eseguiti sulla capacità di scambio<br />

anionico e sulle costanti di selettività di alcuni<br />

ioni monovalenti e bivalenti nei confronti di HTlc<br />

è stato dimostrato che cloruri e nitrati sono più<br />

scambiabili di carbonati sia in virtù delle minori<br />

dimensioni che della minore forza di legame agli<br />

strati di HTlc.<br />

Intercalazione di filtri solari<br />

in idrotalciti<br />

Ponendo a contatto queste idrotalcite con soluzioni<br />

saline (sale sodico) dei filtri solari è possibile<br />

permettere lo scambio secondo la reazione:<br />

HTlc-Cl/NO 3 + filtro-Na (HTlc-filtro + NaCl o<br />

NaNO 3 .<br />

Lo ione cloruro/nitrato abbandona gli spazi interlamellari<br />

scambiandosi con altre molecole,<br />

in forma anionica, permettendo quindi la loro<br />

intercalazione. Quando l’anione intercalato<br />

possiede dimensioni maggiori del Cl - l’intercalazione<br />

è testimoniata, all’analisi dei raggi X, da un<br />

allargamento dello spazio interlamellare (fig.1).<br />

I filtri solari, ritenuti interessanti questo studio,<br />

sono stati l’acido para-amminobenzoico (PABA)<br />

(7), l’acido fenilbenzimidazolsolfonico, o EUSO-<br />

LEX 232, (EUS) (8) il benzofenone-4 (4BHF) (9)<br />

e l’acido ferulico (FER) (10). Come tutti i filtri<br />

solari, anche questi presentano fotoinstabilità e<br />

in particolare il PABA è stato un “banco di prova”<br />

per testare la bontà della strategia proposta.<br />

Sebbene il PABA fosse conosciuto come filtro<br />

solare fin dal 1920, solo i suoi derivati, con minori<br />

problemi, sono stati più utilizzati. I dermatologi,<br />

anche se lentamente, si resero conto che il PABA<br />

era un sensibilizzante abbastanza comune e che<br />

tendeva a cross-sensibilizzare nei confronti di<br />

altre molecole (paba-mimetici) come sulfamidici,<br />

tiazidi o agenti ipoglicemizzanti e che poteva<br />

portare a risposte autoimmuni; per questi motivi<br />

c’ è stata una graduale esclusione del PABA dalle<br />

preparazioni solari e, dal 1980, molti prodotti<br />

solari sono stati pubblicizzati come “paba-free”<br />

(7). In particolare, il PABA può subire fotodegradazione<br />

e generare, sotto l’effetto radiante,<br />

reazioni cutanee avverse come orticaria da contatto<br />

e altre dermatiti allergiche e fotoallergiche<br />

(7). È stato, inoltre, studiato il suo meccanismo<br />

di fotodegradazione ed è stato dimostrato che<br />

può decomporsi generando nitrosammine potenzialmente<br />

cancerogene. Anche EUS e 4-BHF<br />

possono dare problemi di reazioni fotoallergiche.<br />

In particolare, recenti studi hanno confermato la<br />

fototossicità di tutti i filtri solari appartenenti al<br />

gruppo dei benzofenoni e hanno individuato nella<br />

formazione del radicale benzoilico la struttura<br />

chiave per la fotosensibilizzazione per la sensibilizzazione<br />

crociata nei confronti di antinfiammatori<br />

non steroidei di uso comune quali ketoprofen<br />

suprofen e acido tiaprofenico (8, 9). Considerata<br />

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