N.24 - Casablanca

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27.05.2013 Views

S t o r i e d a l l e c i t t à d i f r o n t i e r a ANNO VII NUM.24 aprile‐maggio 2012 L’ultimo partigiano / la Memoria L’inchiesta / una donna mafiosa aggressiva e violenta Giorgiana Masi / uccisa per colpire il movimento femminista? Gianni Lannes Ettore Zanca Allegra Stefania Mazzone Dora Bonifacio Santina Sconza Adriana Laudani Rino Giacalone Franco Lo Re Amalia Fulvio Vassallo Antonella Serafini Norma Ferrara Umberto Santino Alberto Rotondo Antonio Tozzi

S t o r i e d a l l e c i t t à d i f r o n t i e r a<br />

ANNO VII NUM.24<br />

aprile‐maggio 2012<br />

L’ultimo partigiano / la Memoria<br />

L’inchiesta / una donna mafiosa aggressiva e violenta<br />

Giorgiana Masi / uccisa per colpire il movimento femminista?<br />

Gianni Lannes Ettore Zanca<br />

Allegra Stefania Mazzone Dora Bonifacio Santina Sconza<br />

Adriana Laudani Rino Giacalone Franco Lo Re<br />

Amalia Fulvio Vassallo Antonella Serafini<br />

Norma Ferrara<br />

Umberto Santino<br />

Alberto Rotondo Antonio Tozzi


CASABLANCA <strong>N.24</strong>/ aprile – maggio 2012/ SOMMARIO<br />

4 – Stefania Mazzone Donne … Fotografie<br />

9 – La Passione dell’impegno Dora Bonifacio<br />

11 – Ettore Zanca Perché ti amo<br />

12 - Santina Sconza Partigiano Smit<br />

15 – Graziella Proto La Siciliana Maria Di Carlo<br />

20 - Pio La Torre Adriana Laudani<br />

23 – Umberto Santino Peppino Impastato<br />

25 - Mauro Rostagno Rino Giacalone<br />

27 – Fulvio Vassallo Respingimenti egiziani<br />

30 - Omicidio Marconi Gianni Lannes<br />

34 – Graziella Proto Margherita Passalacqua<br />

37 – Salemi… Franco Lo Re<br />

41 – Antonio Tozzi Teatro Garibaldi<br />

42 – In attesa di giudizio Antonella Serafini<br />

44 – Omicidio di Giorgiana Masi Norma Ferrara<br />

47 - Il mondo degli ultimi Alberto Rotondo<br />

49 - Le vignette Gianni Allegra<br />

52 - Nadia Furnari Telejato Abbiamo trasmesso<br />

53- Coppola Editore<br />

54 - “Cronachette” Amalia Bruno<br />

56 - Associazione Antimafie “Rita Atria”<br />

<strong>Casablanca</strong> – Direttore Graziella Proto – protograziella@gmail.com<br />

Edizione Le Siciliane di Graziella Rapisarda – versione on-line: http://www.lesiciliane.org/casablanca<br />

Registraz. Tribunale Catania n.23/06 del 12.07.2006 – dir. Responsabile Riccardo Orioles<br />

<strong>Casablanca</strong> pagina 2


Editoriale - mensile<br />

Volevamo esimerci<br />

dalle<br />

commemorazioni<br />

La realtà supera la fantasia.<br />

Pensavamo di ricordare Francesca<br />

Morvillo in modo diverso, e prima di<br />

inserire il pezzo, una sua lettera<br />

immaginaria al marito, ci siamo posti<br />

centomila domande. Abbiamo avuto<br />

un milione di dubbi. Sarà capita?<br />

Come potrebbe essere interpretata?<br />

Volevamo esimerci dalle<br />

commemorazioni tradizionali, siamo<br />

stati travolti dalla realtà. La tragedia<br />

di Brindisi alla scuola Francesca<br />

Morvillo. Impensabile! Incredibile!<br />

Nessun commento. Tanto dolore.<br />

Tanto sgomento per i nostri ragazzini<br />

a scuola. I massimi sistemi, i teoremi,<br />

li lasciamo agli altri. Terrorismo?<br />

Mafia? Terrorismo mafioso?<br />

Ognuno faccia la propria parte. Il<br />

proprio dovere. Abbandoni lo<br />

schermo e le prime pagine.<br />

Distraggono. Necessitano attenzioni,<br />

presenza, persone, strumenti. Questo<br />

paese è già molto pressato.<br />

Su questo numero abbiamo voluto<br />

affrontare i vari modi dell’esser<br />

partigiani, ma una ragazzina,<br />

Melissa, ancora non aveva avuto il<br />

tempo di deciderlo, a quell’età,<br />

l’allegria e la leggerezza dovrebbero<br />

essere l’unico obiettivo. L’unico<br />

diritto. Il diritto alla vita. La sola<br />

partigianeria.<br />

***<br />

Questi due mesi dall’altro numero<br />

sono stati densi di avvenimenti. Tutti<br />

importanti. Tutti da segnalare.<br />

Tuttavia i nostri mezzi non sono<br />

all’altezza di seguire tutto. Ce ne<br />

scusiamo. Bisogna selezionare.<br />

Scegliere. Evidenziare. Se non altro<br />

per manifestare da quale parte stare.<br />

Sicuramente stiamo dalla parte<br />

degli operai in via crucis, gli<br />

esodati, i disoccupati, i precari, le<br />

donne di Temini Imererse simbolo<br />

della lotta degli operai Fiat in difesa<br />

del posto di lavoro e contro la<br />

chiusura degli stabilimenti. Dalla<br />

parte di coloro che, di lavoro<br />

muoiono.<br />

***<br />

C’è bisogno d’informazione vera.<br />

Approfondimento sul territorio<br />

soprattutto per l’informazione<br />

antimafiosa. Tuttavia, questo<br />

settore, è quasi totalmente sulle<br />

spalle delle piccole testate e<br />

televisioni. Avete pochi mezzi?<br />

Sembra dire il governo e i grossi<br />

gruppi editoriali, bene vi togliamo<br />

anche questi. E l’informazione sul<br />

territorio? E la democrazia? Vaff….<br />

direbbe qualcuno, ma questo<br />

qualcuno come i grossi nomi del<br />

giornalismo se ne fregano. Telejato,<br />

la piccola televisione di Pino<br />

Maniaci e la sua famiglia, sta per<br />

chiudere. E’ il loro unico lavoro.<br />

Resteranno in mezzo alla strada.<br />

Telejato rappresenta tutti noi.<br />

“Siamo tutti Telejato” e non siamo<br />

d’accordo sul come vengono<br />

assegnate le frequenze. I piccoli<br />

vanno tutelati. Si chiama<br />

Democrazia. Chi di dovere,<br />

dovrebbe ricordarlo ogni tanto<br />

invece di dare solo numeri. Dietro<br />

<strong>Casablanca</strong> pagina 3<br />

ogni numero ci sono persone. La loro<br />

vita. Le loro dignità, le loro<br />

sofferenze, i loro diritti. Non si può<br />

usare solo il numero del dovere e<br />

dell’Europa vuole e dice. L’Europa<br />

dice anche che la nostra<br />

informazione è fra gli ultimi posti al<br />

mondo. Telejato assieme a tante altre<br />

piccole testate, per l’impegno e il<br />

coraggio che ci mette nel raccontare i<br />

fatti, dovrebbero essere patrimonio<br />

collettivo. Invece sono lottati.<br />

Ufficialmente e in modo sotterraneo.<br />

Santoro per fare un esempio, anziché<br />

dare visibilità ai figli dei mafiosi,<br />

dovrebbe mettere i riflettori su questo<br />

settore. Non solo lui.<br />

L’Europa dice. Dice anche che in<br />

Italia il lavoro è remunerato poco,<br />

non esiste uno stato sociale adeguato,<br />

non ci sono servizi a sufficienza, gli<br />

stipendi in generale ma operai e<br />

insegnanti in particolare sono da<br />

fame e che solo da noi esistono<br />

persone con pensioni di oltre<br />

quaranta mila euro.<br />

VERGOGNA


Palestina Genocidio Culturale<br />

Le Giovani Donne del movimento<br />

Stefania Mazzone<br />

Docente di Storia della filosofia Università di Catania<br />

Gerta Human Reports<br />

15 marzo Palestinese<br />

Restano UMANE<br />

Il potere di Hamas, Autorità Palestinese, Israele. La violazione della IV Convenzione di<br />

Ginevra. Le violazioni da parte dell’esercito israeliano. Dall’ottobre 2000 al giugno 2008,<br />

658 studenti sono stati uccisi, 4852 feriti di cui 3607 minorenni e 738 imprigionati. Tra i<br />

docenti, trentasette sono stati uccisi, cinquantacinque feriti e 190 detenuti. Durante<br />

l’operazione militare Piombo Fuso (dicembre 2008 – gennaio 2009) l’aviazione israeliana ha<br />

bombardato gravemente duecentoottanta scuole/asili e sedici edifici universitari. Sono stati<br />

uccisi 164 studenti e dodici docenti. Gli ostacoli alla libertà di spostamento per gli studenti e<br />

i docenti scoraggiano, di fatto, l’anelito all’istruzione, alla conoscenza e alla formazione. La<br />

discriminazione degli studenti arabi da parte di università israeliane, denunciati anche da<br />

organizzazioni israeliane per i diritti umani. Il ruolo delle giovani donne della primavera<br />

araba nella lotta contro l’arroganza del potere.<br />

Insieme ad un gruppo di docenti<br />

universitari e ricercatori italiani<br />

particolarmente sensibili alla situazione<br />

universitaria e scolastica del popolo<br />

palestinese, (sia nei territori occupati<br />

Gaza e Cisgiordania, sia all’interno dello<br />

Stato israeliano, in particolare in Galilea,<br />

dove vivono oltre un milione di “arabiisraeliani”),<br />

ho partecipato ad<br />

un’esperienza di insegnamento e di<br />

incontro con la forze e l’intelligenza<br />

della nuova generazione di studenti<br />

palestinesi. Insieme abbiamo denunciato<br />

le gravi violazioni del diritto<br />

all’istruzione, della libertà di<br />

insegnamento e della libertà di pensiero<br />

del popolo palestinese.<br />

Poiché l’Italia nel 2009 è diventata<br />

primo partner europeo nella ricerca<br />

scientifica e tecnologica dello Stato di<br />

Israele, responsabile delle violazioni di<br />

cui sopra, si rende necessario che la<br />

comunità accademica italiana prenda<br />

coscienza delle discriminazioni in atto.<br />

Il livello culturale e scientifico nelle 11<br />

università palestinesi è stato fortemente<br />

condizionato dall’occupazione e dalle<br />

restrizioni alla mobilità di docenti e<br />

studenti, in violazione della IV<br />

Convenzione di Ginevra. Dopo la<br />

chiusura di scuole e università<br />

palestinesi da parte del governo<br />

israeliano durante la Prima Intifada<br />

(1987-93), gli accordi di Oslo hanno<br />

consentito la creazione di un Ministero<br />

dell’Istruzione dell’Autorità Nazionale<br />

Palestinese, ampiamente finanziato allo<br />

scopo di controllare l’ordine pubblico<br />

interno, ma le violazioni da parte<br />

dell’esercito israeliano sono continuate.<br />

In termini di perdita di vite umane,<br />

dall’ottobre 2000 al giugno 2008, 658<br />

studenti sono stati uccisi, 4852 feriti (di<br />

cui 3607 minorenni) e 738 imprigionati.<br />

Tra i docenti, 37 sono stati uccisi, 55<br />

feriti e 190 detenuti.<br />

<strong>Casablanca</strong> pagina 4<br />

Nello stesso periodo il danno totale alle<br />

università (edifici, attrezzature ecc.) a<br />

causa delle invasioni israeliane ammonta<br />

a 7.888.133 USD, mentre per le scuole il<br />

danno è di 2.298.389 USD. Tutto questo<br />

comporta una bassa percentuale di<br />

studenti iscritti e una scarsa presenza di<br />

docenti. A Gaza, in particolare, la<br />

situazione è drammatica: il 50% degli<br />

studenti è assente e lo è anche il 40% dei<br />

docenti. Qui durante l’operazione<br />

militare Piombo Fuso (dicembre 2008 –<br />

gennaio 2009) l’aviazione israeliana ha<br />

bombardato, distruggendo o<br />

danneggiando gravemente, 280<br />

scuole/asili e 16 edifici universitari. In<br />

pochi giorni sono stati uccisi 164<br />

studenti e 12 docenti. La privazione della<br />

libertà di movimento di studenti e<br />

docenti palestinesi è inoltre una<br />

violazione del diritto allo studio e<br />

all’attività accademica. I check-point<br />

militari che costellano la Cisgiordania


endono difficile raggiungere scuole e<br />

università, e nei periodi in cui si<br />

svolgono esami scolastici e universitari i<br />

controlli si fanno particolarmente severi.<br />

A Gaza invece è l’assedio a impedire<br />

l’entrata e l’uscita dalla striscia di<br />

docenti palestinesi che volessero<br />

svolgere attività di ricerca presso<br />

università estere, di docenti stranieri che<br />

volessero visitare le università di Gaza, e<br />

degli oltre 1000 studenti che ogni anno<br />

fanno domanda per studiare all’estero. E<br />

non dovrebbero essere dimenticati i casi<br />

di discriminazione degli studenti arabi da<br />

parte di università israeliane,<br />

ampiamente denunciati da<br />

rappresentanze studentesche e sindacati<br />

di docenti palestinesi ma anche da<br />

organizzazioni israeliane per i diritti<br />

umani. Più generalmente, le principali<br />

istituzioni accademiche israeliane non<br />

hanno assunto una posizione critica o<br />

neutrale nel conflitto e rivendicano anzi<br />

il sostegno della ricerca scientifica alle<br />

istituzioni governative e militari<br />

israeliane, giungendo persino a tollerare<br />

il riconoscimento dello status di “centro<br />

universitario” al College di Ariel, situato<br />

in un insediamento illegale nei territori<br />

occupati.<br />

IL RUOLO DELLE DONNE<br />

In Palestina, però, la primavera araba è<br />

stata Occidentale e filo-anarchica,<br />

rappresentata dal movimento studentesco<br />

del “15 Marzo”, come i loro alleati<br />

israeliani, sempre più numerosi insieme<br />

ai disertori dell’esercito, gli attivisti di<br />

“Anarchici contro il Muro” e ai militanti<br />

Palestina Genocidio Culturale<br />

di JCall, un’organizzazione transazionale<br />

di Ebrei contro le politiche dello Stato di<br />

Israele. Un movimento, quello del 15<br />

marzo, costretto alla clandestinità e alla<br />

repressione violenta da parte di Hamas<br />

nel territorio di Gaza. Ho incontrato<br />

giovani studenti alla testa di un<br />

movimento che, da Gaza a Ramallah,<br />

mette in discussione intanto il potere<br />

politico, militare, economico, di Hamas<br />

e di Fatah, in nome della parola d’ordine<br />

di un unico stato di diritto in cui ogni<br />

individuo sia considerato libero ed<br />

eguale nei diritti e nei doveri. Citano<br />

Thoreau, mi abbracciano in quanto ebrea<br />

e anarchica, impegnati nella loro terra ad<br />

una non facile lotta all’antisemitismo, il<br />

loro leader a Ramallah, Fadi Quran, è<br />

laureato in fisica alla Stanford<br />

University e ha rinunciato ad un<br />

sicuro e brillante futuro negli<br />

States per continuare la lotta<br />

contro il triplice potere che<br />

assassina la libertà del suo<br />

popolo: Hamas, Fatah, il<br />

Governo dello Stato di<br />

Israele. Arrestato per<br />

una azione di<br />

disobbedienza civile a<br />

Hebron, città fantasma,<br />

in cui vige l’apartheid<br />

del marciapiede e della<br />

carreggiata, voluto da<br />

Israele e dall’Autorità<br />

palestinese, oggi Fadi<br />

continua la sua lotta<br />

insieme alla straordinaria<br />

forza delle militanti palestinesi.<br />

Disseminate per le Università<br />

della Cisgiordania, alle donne il<br />

<strong>Casablanca</strong> pagina 5<br />

compito di discutere, organizzare,<br />

interpretare le azioni contro l’arroganza<br />

del potere e in sostegno alla strabiliante<br />

quantità di giovani studenti arrestati,<br />

ancora una volta, da Hamas, Autorità<br />

Palestinese, Israele. Sono ragazze<br />

determinate, colte, con l’unico obiettivo<br />

di emanciparsi, insieme agli uomini,<br />

dalle insidie del potere che lì, come nel<br />

mondo, colpisce sostanzialmente il<br />

diritto allo studio, secondo un vero e<br />

proprio progetto di genocidio culturale in<br />

atto a livello globale.<br />

A queste donne il compito di liberare il<br />

Medio Oriente, a queste donne il<br />

compito di incarnare un concetto di<br />

emancipazione e liberazione femminile<br />

divenuto per le nuove generazioni di<br />

ragazze europee forse addirittura<br />

incomprensibile, arretrate come sono nel<br />

riconoscimento della eguaglianza in<br />

mascolinità e non in differenza,<br />

indifferenti al potere emancipatore dello<br />

studio e della conoscenza, dimentiche di<br />

un sapere femminile che ha generato e<br />

curato l’umanità intera dal suo nascere.<br />

Vittorio Arrigoni aveva seguito e<br />

sostenuto questo movimento sul nascere,<br />

denunciando la criminale repressione di<br />

Hamas delle manifestazioni del 15<br />

marzo a Gaza. Vittorio Arrigoni è morto<br />

esattamente un mese dopo, il 15 aprile,<br />

per mano di militanti di una frangia di<br />

Hamas. Le donne e gli uomini<br />

palestinesi restano umani.


Palestina Genocidio Culturale<br />

<strong>Casablanca</strong> pagina 6


Palestina Genocidio Culturale<br />

<strong>Casablanca</strong> pagina 7


Palestina Genocidio Culturale<br />

<strong>Casablanca</strong> pagina 8


Una giovane magistrata e la sua passione civile e professionale<br />

La Passione<br />

delle donne<br />

Dora Bonifacio<br />

Una giovane magistrata fa un resoconto sulla sua passione civile e professionale. Le date e i momenti<br />

del pugno allo stomaco e il tuffo al cuore. La momentanea angoscia che si trasforma in coraggio<br />

e determinazione. Un susseguirsi di flash per spiegare ciò che le ha fatto amare la magistratura.<br />

Il ricordo di Giuseppe Fava e della sua rivista I Siciliani,Pio La Torre,il generale Dalla<br />

Chiesa e tante altre vittime della mafia. Il concorso per la magistratura con Francesca Morvillo<br />

Falcone conclusosi proprio quel 23 maggio del 92. Poche ore dopo la notizia della strage.<br />

Chissà quante volte li hanno messi così…di<br />

fila. Una fila lunghissima. Una linea<br />

rossa. Rossa come il sangue ma anche<br />

rossa come la passione.<br />

La mia fila “personale” inizia cosi.<br />

Pio La Torre: 30.4.1982;<br />

Carlo Alberto Dalla Chiesa: 2.9.1982;<br />

Giangiacomo Ciaccio Montalto :26 gennaio<br />

1983;<br />

Rocco Chinnici 29 luglio 1983;<br />

Giuseppe Fava, 5 gennaio 1984;<br />

Strage di Pizzolungo: 2 aprile 1985 ( autobomba<br />

contro Carlo Palermo);<br />

Peppe Montana: 28 luglio 1985;<br />

Ninni Cassarà: 6 agosto 1985;<br />

Antonino Saetta e il figlio Stefano:<br />

25 settembre 1988;<br />

Mauro Rostagno: 26 settembre<br />

1988;<br />

Rosario Livatino: 21 settembre<br />

1990;<br />

Antonino Scopelliti : 9 agosto<br />

1991;.<br />

Libero Grassi : 29 agosto 1991:<br />

Giovanni Falcone e Francesca<br />

Morvillo: 23 maggio 1992;<br />

Paolo Borsellino: 19 luglio 1992<br />

…<br />

Flash<br />

La mia vita di liceale, già segnata dalla<br />

violenza delle stragi fasciste impunite e da<br />

quella delle Brigate Rosse, si apriva<br />

all’università. Primo anno di Giurisprudenza:<br />

1982.<br />

Era gennaio. Ricordo quel teatro gremito.<br />

Un teatro sulla via Roma a Palermo (dove<br />

anni dopo Santoro avrebbe trasmesso una<br />

famosa puntata di Samarcanda).<br />

Un teatro gremito. Anche di tanti giovani.<br />

Le parole che rimbombano. Tuonano, per<br />

quanta passione hanno dentro.<br />

<strong>Casablanca</strong> pagina 9<br />

“Quattro punti” (“quatttrro” alla palermitana)…<br />

“La Mafia. La Pace. Lo Sviluppo.<br />

La Sicilia…. Per liberare la Sicilia dal potere<br />

mafioso. Per la pace e il disarmo. Per<br />

lo sviluppo economico e sociale del Mezzogiorno.<br />

Per il rinnovamento democratico<br />

della Sicilia…”. Era la voce di Pio La<br />

Torre, ritornato in una Sicilia, infuocata<br />

contro i missili della Nato a Comiso.<br />

E poi quella mattina. La notizia si sparse<br />

veloce da Palermo a Catania. Vidi la macchina<br />

crivellata di colpi. Una “festa del 1°<br />

Maggio” tristissima.<br />

Le elezioni regionali vicine e la certezza<br />

che neanche quel brutale assassinio ne<br />

avrebbe cambiato l’esito.


Una giovane magistrata e la sua passione civile e professionale<br />

Poi di nuovo la speranza. La speranza in<br />

un Carabiniere. Il Generale Carlo Alberto<br />

Dalla Chiesa. Un uomo dello Stato. Ma<br />

anche un uomo libero, uno che parlava<br />

chiaro e sapeva dove: “Oggi mi colpisce il<br />

policentrismo della Mafia, anche in Sicilia,<br />

è questa davvero una svolta storica. È<br />

finita la Mafia geograficamente definita<br />

della Sicilia Occidentale. Oggi la Mafia è<br />

forte anche a Catania, anzi da Catania viene<br />

alla conquista di Palermo. Con il consenso<br />

della Mafia palermitana, le quattro<br />

maggiori imprese edili catanesi oggi lavorano<br />

a Palermo”<br />

E poi di nuovo colpi che crivellano. Crivellano<br />

la passione…<br />

Il buio che ritorna.<br />

Mi rivedo vicino a Parigi, giovane ragazza<br />

“alla pari” che non voleva dimenticare il<br />

“francese” studiato per anni. Una bellissima<br />

pineta ai margini di una cittadina,<br />

dove portavo il “mio” Germain a giocare e<br />

mangiare il “giacciolo” (lui la “ghi” proprio<br />

non riusciva a pronunciarla).<br />

E quella voce che esce dalla radio del<br />

chiosco “Palerme comme Beyrouth. Une<br />

bombe placée à l'intérieur d'une voiture a<br />

explosé devant la maison du juge Rocco<br />

Chinnici, le tuant, avec ses gardes du<br />

corps et le portier de l'immeuble ".<br />

Quell’esplosione che rimbomba nella mia<br />

testa.<br />

Voglio fare il magistrato.<br />

E ancora speranza.<br />

Un giornale sconosciuto,<br />

“I Siciliani”<br />

diretto da un uomo orgoglioso e caparbio.<br />

Che parla in bianco e nero in una città grigia.<br />

Vidi il suo volto durante un’intervista<br />

a Giorgio Bocca: Giuseppe Fava. Parlava<br />

dei “Cavalieri del Lavoro”, degli intrecci<br />

tra mafia/politica/appalti.<br />

E poi un’altra notte. Una mattina che<br />

vuole risvegliarsi nell’ultimo giorno di<br />

festa e invece arriva una telefonata. Ieri<br />

sera hanno ucciso Giuseppe Fava il direttore<br />

de “I Siciliani”.<br />

E Catania si scopre mafiosa. Non tutta<br />

Catania.<br />

I mafiosi, i conniventi, i ciechi si svegliano<br />

con un “Pecorelli” di casa nostra, uno<br />

che ricattava la gente per bene. Come<br />

hanno potuto? Come glielo hanno permesso?<br />

E la rabbia sale. Sale ancora.<br />

Rileggere avidamente quel giornale pieno<br />

di squarci di verità su una città che non<br />

vuole capire, non vuole vedere, non vuole<br />

denunciare e, da troppo tempo, non<br />

vuole combattere, è balsamico.<br />

E la scia continua.<br />

L’autobomba contro Carlo Palermo,<br />

l’uccisione di Peppe Montana (un figlio di<br />

questa città), di Ninni Cassarà.<br />

Altri giudici: Antonino Saetta, Rosario<br />

Livatino, Antonino Scopelliti.<br />

Altri giornalisti: Mauro Rostagno.<br />

Un imprenditore: Libero Grassi.<br />

Falcone al Ministero.<br />

Il dubbio della resa. Come si può combattere<br />

la Mafia dai palazzi del potere. Il potere<br />

di uno Stato lontano, incapace e…<br />

spesso colluso.<br />

Lui tentava di spiegarlo. Ma<br />

molti di noi non capivano.<br />

Un altro barlume di speranza arriva<br />

dalla conferma da parte della<br />

Cassazione delle condanne al<br />

primo maxiprocesso alla Mafia.<br />

E poi l’uccisione di Salvo Lima.<br />

Il 20 maggio del 1992 parto per<br />

il concorso di magistratura, che<br />

supererò.<br />

Lei, Francesca Morvillo, è in<br />

commissione. La prima mattina<br />

mi avvicino: “mi scusi dottoressa,<br />

io dovrei solo fumare e non<br />

voglio intasare la fila per i bagni, dove<br />

magari qualcuno aspetta di andare davvero”.<br />

Il suo sguardo dolce: “vedremo che si<br />

può fare”. L’indomani una saletta viene<br />

riservata ai fumatori sempre sotto la stretta<br />

vigilanza dei carabinieri che controllano<br />

che non parliamo tra noi candidati. Chissà,<br />

forse le tante sigarette di Falcone mentre<br />

lavorava l’aiutano a capire.<br />

<strong>Casablanca</strong> pagina 10<br />

Finisco l’esame e il 23 maggio parto per<br />

Bologna per andare a trovare un pezzo<br />

della mia famiglia.<br />

Il telegiornale dell’una è uno shock per<br />

tutti. Capaci.<br />

La scia continua…e anche la passione.<br />

Il volto di Paolo Borsellino. Il suo saluto<br />

all’amico è anche il suo saluto a noi.<br />

L’uomo che dovrebbe essere il più protetto<br />

dell’Universo è lasciato solo, con la sua<br />

misera scorta.<br />

Quante volte ho pensato che avremmo<br />

dovuto scortarlo noi tutti. Proteggerlo come<br />

l’ultimo baluardo, stringerci intorno a<br />

lui a migliaia, seguendolo passo passo.<br />

Non potevamo sapere che invece lo Stato<br />

“trattava”…. Eppure dovevamo essere più<br />

saggi.<br />

Il male di questa nostra Sicilia, orgogliosa<br />

ma impotente, è la delega.<br />

I puri delegano i puri, i corrotti delegano i<br />

corrotti. Ma nessuno che prende in mano<br />

“l’ascia di guerra”. Nessuno che alza la te-<br />

sta e dice: “IO”.<br />

IO devo combattere la mafia.<br />

IO devo proteggere chi la combatte.<br />

IO devo accusare chi non lo fa.<br />

IO devo essere libero, sempre.<br />

IO devo votare gli onesti.<br />

IO devo urlare: BASTA!


Solo il desiderio di immaginare una donna innamorata…<br />

Perché ti amo<br />

Lettera Immaginaria di<br />

Francesca Morvillo<br />

Ettore Zanca<br />

Lettera immaginaria di Francesca a Giovanni . Nessuna presunzione, solo il desiderio di<br />

immaginare una donna innamorata che pensa al suo innamorato. Una fantasia per<br />

ricordarla come una donna e non solo come un magistrato. Un ventitré maggio diverso,<br />

dolce, gentile, umano. Femminile. Solo un’immaginazione. Timida. Rispettosa. Riguardosa.<br />

Una cosa fatta in punta di piedi, solo per ricordare e sentirli vicini come persone a noi care.<br />

Non me lo hai mai chiesto, non me lo<br />

chiederai mai. Non a parole. I tuoi gesti<br />

e quell’aria protettiva rivelano un amore<br />

che non ti appartiene in dolcezze inutili,<br />

ma in comportamenti quotidiani. Io lo so<br />

che mi ami e tu lo sai che ti amo. E non<br />

me lo chiedi.<br />

Lo sai che ti amo perché hai un profondo<br />

senso del dovere, saldo come una<br />

scogliera, ma hai anche un sorriso che<br />

diventa il mare ondivago e malinconico<br />

che quella scogliera la lambisce. Ti amo<br />

perché so quanto ti costa il sacrificio che<br />

credi di imporre pure a me. Ti amo<br />

perché a volte anche nel momento più<br />

difficile della tua vita e del tuo mestiere,<br />

non mi hai mai negato un sorriso.<br />

Ti amo perché so quanto costa far<br />

valere legalità e diritto, forse perché<br />

faccio il tuo stesso mestiere. Ti amo<br />

perché so quanto tieni alle poche persone<br />

che ami davvero, la tua<br />

scorta, i tuoi amici, tanto<br />

che quando ti allontani e io<br />

resto sola con loro, a volte<br />

gli vorrei dire di non<br />

combattere la mafia con lo<br />

stesso accanimento con cui<br />

la combatti tu.<br />

Ti amo perché da quando<br />

sto con te non vedo il<br />

confine tra pericolo e vita<br />

quotidiana, lo stesso che<br />

forse c’è tra sogni e incubi.<br />

Ti amo perché con me<br />

diventi un bambino, tanto<br />

che ti sei dichiarato a mio fratello come<br />

un ragazzino, o quando davanti ai tuoi<br />

amici più cari hai fatto vedere che mi<br />

davi un bacio perché non ci credevano<br />

che stavamo<br />

insieme.<br />

Ti amo perché<br />

mi fanno ridere<br />

quelli che nella<br />

quotidianità<br />

più grigia<br />

vedono<br />

l’amore come<br />

una fatica, e<br />

noi allora?<br />

Ti amo perché devo dividerti con il tuo<br />

senso del dovere e dello stato. E perché<br />

noi due siamo una cosa simbiotica,<br />

infatti da quando non ci siamo più è<br />

difficile trovare foto pubbliche con me<br />

da sola.<br />

<strong>Casablanca</strong> pagina 11<br />

Ti amo perché nessun’altra donna<br />

avrebbe preso quello che mi hai detto tu<br />

come il più grande gesto d’amore verso<br />

una nuova vita. E per questo ti ringrazio<br />

Giovanni.<br />

Quando parlammo di bambini, mi dicesti<br />

di no. Ricordo ancora le parole: "Non<br />

generiamo orfani". Ti amo perché forse,<br />

grazie a te adesso ci piange una persona<br />

di meno, ma se ci fosse stato, nostro<br />

figlio avrebbe pianto più forte di tutti gli<br />

altri e io, anche dove siamo adesso non<br />

avrei sopportato il suo dolore, come<br />

qualsiasi madre che ha un cuore.<br />

Sempre tua. Francesca<br />

La mafia non è affatto invincibile; è un<br />

fatto umano e come tutti i fatti umani ha<br />

un inizio e avrà anche una fine. Piuttosto,<br />

bisogna rendersi conto che si può vincere<br />

non pretendendo l'eroismo da inermi<br />

cittadini, ma impegnando in questa<br />

battaglia tutte le forze migliori delle<br />

istituzioni


Smit<br />

il Partigiano Siculo<br />

Santina Sconza<br />

Smit, il Partigiano siculo<br />

Le scarpe con le suole di sughero per attraversare le montagne piene di neve … freddo, fame,<br />

disagi, paure. Torture. I racconti dei nostri partigiani “morti per la libertà”; storia, poesia,<br />

epica, epopea.<br />

I siciliani che decisero di prendere la strada della clandestinità per lottare contro il fascismo<br />

furono moltissimi. Per lo più si trasferirono al nord. Alla fine della guerra alcuni riuscirono a<br />

ritornare nei loro paesi d’origine, altri no.<br />

Fra coloro che persero la vita nella guerra di liberazione: Graziella Giuffrida e Salvatrice<br />

Benincasa. torturate e uccise una a Genova l’altra a Monza.<br />

Fra i fortunati che riuscirono a ritornare Salvatore Militti, il partigiano Smit. Un arzillo<br />

anziano classe 1922 con tanta voglia di raccontarsi.<br />

Sembra uno scugnizzo<br />

napoletano. Piccolo e sottile di<br />

statura, agile e svelto come un<br />

gatto, gli occhi vivaci e<br />

trasparenti, sempre sorridente.<br />

Salvatore Militti non sembra un<br />

novantenne. Come se avesse<br />

trascorso una vita agevole, senza<br />

problemi. In realtà non è così,<br />

Salvatore inizia ad avere<br />

problemi fin dalla nascita.<br />

A tre mesi dalla nascita, nel<br />

1922 a Lentini in provincia di<br />

Siracusa viene abbandonato dal<br />

padre e vive nella casa dei<br />

nonni materni, famiglia<br />

numerosissima e patriarcale. A<br />

undici anni fa l’apprendista<br />

fabbro, l’anno dopo fa il<br />

meccanico e ripara i motori per<br />

il sollevamento dell’acqua dai<br />

pozzi artesiani. La passione per<br />

la meccanica lo accompagnerà<br />

fino ai nostri giorni, nella<br />

cantina della sua casa c’è ancora<br />

una officina da fabbro dove si<br />

dedica a piccoli lavori.<br />

Nel ‘40 prende il diploma scuola<br />

di avviamento professionale,<br />

l’anno successivo vince il<br />

<strong>Casablanca</strong> pagina 12<br />

concorso nelle Ferrovie dello Stato e il<br />

12 luglio del ‘41 inizia il suo servizio a<br />

Catania.<br />

Il 22 aprile del ‘42 riceve la cartolina<br />

militare per prestare servizio militare in<br />

marina, alla visita militare a Siracusa, a<br />

causa di una punta di ernia inquinale,<br />

viene trasferito nei ruoli di terra e prende<br />

servizio a Cuneo nel 33° Reggimento di<br />

Fanteria. Assegnato all’ufficio matricola,<br />

batte a macchina il modulo M.43 per i<br />

militari che vanno a visita di controllo<br />

all’ospedale militare di Alessandria.<br />

“L’otto settembre 1943 ero andato al<br />

cinema, durante l’intervallo alcuni<br />

commilitoni annunciavano a tutti i<br />

presenti la fine della guerra. Nessuno ci<br />

crede la proiezione continua, dopo alcuni<br />

minuti suona l’allarme e più voci ci<br />

invitano a correre in caserma. Rientrati,<br />

ascoltiamo il messaggio del Maresciallo<br />

Badoglio alla nazione che annuncia<br />

l’armistizio.<br />

Per alcuni giorni aspettiamo degli ordini<br />

che non arrivarono, così tutti decidemmo<br />

di lasciare Cuneo per poter tornare<br />

ognuno alla propria casa, ma l’Italia era<br />

spezzata e per me era impossibile


aggiungere la Sicilia. Mi ritrovai con tre<br />

emiliani tra cui Sergio Camparini e un<br />

romano, che essendo munito di patente,<br />

si reca in un deposito di auto e riesce a<br />

portar via una Millecento nuova di<br />

zecca. Con quell’auto ci avviammo<br />

verso Roma passando per l’Emilia,<br />

durante il percorso attraversammo il<br />

greto di ben cinque fiumi e nell’ultimo il<br />

Taro, essendo più ricco di acqua<br />

rimanemmo in panne, fummo costretti a<br />

spingere la macchina fuori dal fiume con<br />

tutte le nostre forze.<br />

Sulla via Emilia ci imbattemmo in posto<br />

di blocco tedesco, i militari armati di<br />

palette e mitra fermavano i mezzi<br />

pesanti, impauriti svoltammo su una<br />

strada laterale ma ci trovammo ad<br />

attraversare un campo pieno di tedeschi<br />

che sui prati si godevano un tranquillo<br />

riposo. Superato questo pericolo, ed<br />

essendo nelle vicinanze di Campagnola<br />

Emilia paese di Sergio, decidemmo di<br />

abbandonare l’auto e proseguire a piedi,<br />

durante il tragitto giungemmo presso una<br />

famiglia che conosceva il padre di<br />

Sergio, qui ci offrirono una cena calda e<br />

un posto dove dormire. Il giorno dopo ci<br />

prestarono una bicicletta per raggiungere<br />

a Campagnola Emilia la cascina di<br />

Sergio, dove fui accolto come un figlio<br />

ed avendo il padre un podere a<br />

mezzadria, mi fermai con loro a lavorare<br />

i campi”.<br />

Poco dopo la nuova Repubblica Sociale<br />

di Salò pubblicò un bando con il quale<br />

ordinava che tutti gli sbandati dovevano<br />

registrarsi nei comuni dove risiedevano,<br />

perché non sarebbero più stati richiamati<br />

alle armi.<br />

“ I primi di marzo del ‘44, invece i<br />

repubblichini richiamano alle armi le<br />

classi del ’22 e del ’23, a seguito dei<br />

nuovi ordini dovevamo recarci<br />

giornalmente in caserma per l’appello;<br />

ogni giorno qualcuno mancava e<br />

l’addetto alla chiamata alla fine diceva:<br />

quelli che non hanno risposto andranno<br />

subito sotto processo. In quei giorni,<br />

valutando che il regime fascista stava per<br />

essere sconfitto e la Sicilia era stata<br />

liberata, avevo contattato il Comitato<br />

Nazionale di Liberazione per poter<br />

disertare e recarmi in montagna per far<br />

parte delle formazioni partigiane”.<br />

Da quel giorno comincia la tua<br />

avventura da partigiano?<br />

“Si! Abbiamo atteso l’ordine del CNL, il<br />

17 marzo ci viene comunicato di non<br />

presentarci all’appello e di aspettare alla<br />

periferia di Reggio Emilia. Quella sera ci<br />

ritrovammo in sette. Calata la notte, si<br />

Smit, il Partigiano siculo<br />

presentò la nostra prima staffetta che ci<br />

accompagnò per la pianura fino alle<br />

prime colline, sfuggendo ai posti di<br />

blocco. Qui ci prese sotto la sua<br />

protezione Brenno, antifascista da lunga<br />

data.<br />

La marcia fu faticosa, i monti che<br />

sembravano vicini e coperti di neve in<br />

realtà erano sempre più lontani, le nostre<br />

scarpe con le suole di sughero non erano<br />

adatte ai percorsi di montagna, presto si<br />

sfondarono furono momenti di<br />

scoraggiamento, qualcuno pensava che<br />

forse sarebbe stato meglio tornare<br />

indietro. Nel posto convenuto non<br />

trovammo la nostra terza staffetta, allora<br />

Brenno ci lasciò in un bosco, e dovette<br />

tornare indietro per chiedere spiegazioni.<br />

Improvvisamente ecco che incontriamo<br />

la 7° Brigata Garibaldi comandata da<br />

Eros (Didimo Ferrari) reduce da uno<br />

scontro a fuoco con i fascisti.<br />

Eros aveva una lunga militanza<br />

antifascista, aveva già fatto dodici anni<br />

tra galera e confino. Eros era un vero<br />

comandante, quando si accorse che<br />

avevo le scarpe rotte mi disse: Ti do le<br />

mie”.<br />

Cosa successe dopo?<br />

“La nostra postazione fu una chiesa sul<br />

monte Ventasso. Al comando di Eros<br />

attaccammo una caserma di fascisti per<br />

procurarci armi,<br />

munizioni,<br />

vettovaglie e divise,<br />

dopo una breve<br />

sparatoria, i fascisti<br />

si arresero.<br />

Poi il distaccamento<br />

cui appartenevo si<br />

divise ed io passai al<br />

gruppo partigiano<br />

“Don Pasquino” al<br />

comando di William<br />

(Villa Massimiliano).<br />

Si dormiva di giorno<br />

e di notte si entrava<br />

in azione.<br />

Attaccavamo le<br />

caserme dei<br />

Carabinieri e dei<br />

fascisti presenti sul territorio. Una notte<br />

abbiamo anche attaccato e messo fuori<br />

uso una fabbrica di tannino, dove si<br />

produceva una vernice che esportata in<br />

Germania era utilizzata per gli aerei e<br />

carri armati”.<br />

Attaccavate le caserme dei carabinieri,<br />

qual era la loro reazione?<br />

“Ora ti racconto un episodio particolare<br />

<strong>Casablanca</strong> pagina 13<br />

– dice dopo aver riflettuto per un attimo<br />

- Una sera attaccammo una caserma di<br />

Carabinieri comandata da un sergente<br />

calabrese. L’ufficiale, accetta di<br />

dialogare con William, e gli consiglia di<br />

non tentare di espugnare la caserma,<br />

perché è ben difesa e minata, poi, con<br />

fare enigmatico dice: preferisci dieci<br />

oggi o venti domani. William capisce al<br />

volo e decide di ritirarsi. Il sergente si<br />

vantò con i suoi superiori della brillante<br />

vittoria contro i partigiani e la caserma<br />

fu rafforzata con una mitragliatrice.<br />

Alcune<br />

settimane<br />

dopo<br />

tornamm<br />

o e la<br />

mitragliat<br />

rice fu<br />

nostra. In<br />

altre<br />

incursion<br />

i<br />

incontra<br />

mmo dei<br />

carabinie<br />

ri amici<br />

di alcuni<br />

partigiani<br />

e<br />

facilment<br />

e li persuademmo a passare con noi”.<br />

Avete avuto scontri solo con i fascisti o<br />

anche con i tedeschi?<br />

“Una volta catturammo anche un<br />

capitano medico tedesco, Buck. Era il 17<br />

giugno 1944. Vi racconto com’è andata,<br />

il nostro comandante William, il<br />

commissario Gallo e altri due compagni,<br />

si recarono a Traversetolo per procurarsi


del cibo e riuscirono a farsi dare un<br />

grosso carico di grano. Nel frattempo si<br />

accorsero della presenza di un’auto<br />

tedesca, do ve alla guida c’era un<br />

capitano medico delle SS, la prontezza<br />

dei partigiani non diede tempo al<br />

capitano di difendersi, né di fuggire e fu<br />

catturato. Il nostro comandante felice per<br />

gli obiettivi raggiunti, ordinò di ritornare<br />

con le due macchine al rifugio. La<br />

presenza delle macchine ci fece<br />

sospettare un attacco tedesco, per cui<br />

velocemente ci appostammo per un<br />

agguato. Il tedesco fu sorpreso dalla<br />

nostra preparazione militare e ci fece i<br />

suoi complimenti. Buck fu tenuto<br />

prigioniero e si pensò di scambiarlo con<br />

dei partigiani detenuti a Reggio. Parlava<br />

bene l’italiano e per passare il tempo gli<br />

procurammo alcune riviste, lui ci diceva:<br />

Voi italiani avete troppe chiese e poche<br />

scuole”.<br />

Come avete proceduto per lo scambio?<br />

“La mediazione fu affidata a un prete.<br />

L’accordo prevedeva il rilascio, in zona<br />

partigiana, di ventitré prigionieri italiani,<br />

muniti di lasciapassare tedesco.<br />

Smit, il Partigiano siculo<br />

L’accordo fu accettato, e lo scambio<br />

ebbe luogo, i prigionieri erano tutti in<br />

cattive condizioni di salute e molti<br />

avevano subito torture.<br />

Il capitano medico, fu trattato così bene,<br />

che dopo il rilascio ci avvertiva dei<br />

rastrellamenti, facendoci pervenire delle<br />

lettere con gli itinerari che i<br />

nazifascisti avrebbero percorso. A<br />

novembre<br />

Una di queste lettere, fu consegnata a<br />

un capo distaccamento sassarese, lui<br />

la conservò in una tasca<br />

dimenticandola. Quando la<br />

consegnò al comando, ormai era<br />

troppo tardi, nel rastrellamento<br />

tedesco, dodici nostri compagni<br />

avevano trovato la morte”.<br />

Gli episodi di scambio fra<br />

partigiani e soldati tedeschi in<br />

quel periodo furono moltissimi, a volte<br />

con successo, altre no.<br />

“A volte le cose non andavano come<br />

speravamo. Con grande dolore non<br />

riuscimmo nonostante i nostri tentativi a<br />

liberare i sette fratelli Cervi che furono<br />

fucilati”. Un attimo di commozione poi<br />

riprende.<br />

“In autunno, come<br />

capo squadra, fui<br />

trasferito a<br />

Corniglio, un<br />

tranquillo paese, in<br />

cui era stato<br />

attrezzato un campo<br />

di lancio dove gli<br />

inglesi<br />

paracadutavano<br />

armi, munizioni e<br />

altra merce.<br />

Quando Radio<br />

Londra con<br />

messaggi in codice<br />

ci avvisava dei lanci<br />

di rifornimento,<br />

preparavamo delle<br />

fascine di legna<br />

disposte a forma di<br />

V, in attesa di essere<br />

accese appena si<br />

sentiva il rombo del<br />

motore dell’aereo.<br />

Un giorno ci<br />

lanciarono mille<br />

paia di scarpe di<br />

pura pelle e mille<br />

paia di suole di<br />

ricambio.<br />

Tra il novembre ‘44<br />

e gennaio ‘45 i<br />

tedeschi che<br />

avevano sentore<br />

della sconfitta,<br />

<strong>Casablanca</strong> pagina 14<br />

scatenarono due grossi rastrellamenti nel<br />

parmense, impiegando notevoli forze,<br />

nel primo ci furono più di cento morti tra<br />

i partigiani, il secondo fu meno<br />

drammatico perché i partigiani<br />

riuscirono a sganciarsi<br />

dall’accerchiamento. Finita questa fase,<br />

si fece<br />

molto<br />

forte la<br />

nostra pressione<br />

militare, andavamo a sottrarre i beni<br />

nascosti dalle famiglie che si erano<br />

arricchite con favori politici. Il 26 aprile<br />

del ‘45 ero al comando di un gruppo di<br />

venticinque partigiani e ci preparavamo<br />

alla conquista di Parma. Giunti alla<br />

periferia fummo bersaglio di franchi<br />

tiratori. Era una donna che facendo finta<br />

di stendere la biancheria, sul balcone di<br />

casa tra un capo e l’altro con un fucile ci<br />

sparava. La catturammo e la portammo<br />

al campo sportivo. Dopo alcuni giorni,<br />

liberata la città, in segno di<br />

riconoscimento a Parma che ci aveva<br />

ospitato ci fu una grande parata cui<br />

parteciparono tutti gruppi partigiani”.<br />

La guerra era finita, l’Italia era stata<br />

liberata “ mi fermai a lavorare nella<br />

cascina del mio comandante Lupo<br />

(Cesare Cepelli) fino al settembre del<br />

‘46, poi, pressato dalle continue lettere<br />

di mia madre, mi lasciai convincere a<br />

tornare in Sicilia.Arrivato a Lentini, feci<br />

domanda per rientrare in ferrovia, dopo<br />

il corso di aiuto macchinista fui<br />

assegnato alla guida di una locomotiva.<br />

Ho conosciuto Anna Giovanna e il<br />

dodici ottobre del ‘49 la sposai”.<br />

Grazie capitano Smit<br />

*Presidente Provinciale ANPI Catania


Maria Di Carlo: “non accettavo il divieto, la proibizione”<br />

Il maggio fu francese<br />

Rivoluzione culturale<br />

a Corleone<br />

Graziella Proto<br />

Maria aveva appena quindici anni e non accettava divieti e<br />

proibizioni: il padre la picchia e la chiude in casa, i frati<br />

francescani dicono che è indemoniata. Ama il “frocio “ del paese,<br />

Nino Gennaro, un appestato da evitare che metteva strane idee in<br />

testa ai ragazzi: la libertà, l’uguaglianza, la differenza, la mafia. Uno<br />

strano intellettuale. Maria Di Carlo ha capito che è affine a lui. Si<br />

batterà per essere se stessa, senza ipocrisie. L’amore per Nino sarà solo uno<br />

strumento, uno stimolo in più per realizzare la sua libertà. Una vita costellata da lotte, teatro,<br />

impegno sociale e tanto amore.<br />

Una vecchia stradina quasi angusta,<br />

caratteristica. A un estremo un archetto<br />

che unisce i due lati della strada,<br />

alla’altro delle vecchie e antiche mura.<br />

Fra le case che sembra debbano cadere<br />

da un momento all’altro, un palazzotto<br />

tardo ottocento apparentemente<br />

insignificante, fatiscente appoggiato alle<br />

vecchie mura. In questo palazzotto,<br />

trenta anni fa circa, è nata una specie<br />

di comune formata da dieci giovani che<br />

facevano i conti con la precarietà e la<br />

sopravvivenza quotidiana. Erano<br />

marziani? Erano libertini? Intellettuali<br />

strani? Erano persone provenienti da<br />

realtà, culture, mestieri differenti. I<br />

protagonisti del Teatro Madre, ideato e<br />

pensato da Nino Gennaro, un<br />

intellettuale siciliano eclettico. Un poeta<br />

non allineato, dalla coscienza civile<br />

scomoda. Un politico di strada. Attore,<br />

regista. Un omosessuale o bisessuale.<br />

Qui vive ancora la donna che fu sua<br />

compagna di vita e di lotta. La sua<br />

discepola prediletta. La sua ispiratrice.<br />

Una scala stretta e ripida. Interminabile.<br />

Alla sommità della scala s’intravvede un<br />

aggrovigliamento immenso e scuro. Si<br />

presuppone di capelli. Visto da vicino un<br />

cespuglio nero è fatto di riccioli<br />

dispettosi, disordinati, ribelli. Ognuno<br />

deciso a non seguire l’altro. Ognuno per<br />

la sua strada. Lo strano cespuglio ci<br />

attende gioiosamente in cima,<br />

all’ingresso dell’ultimo piano. Non<br />

ricordo bene l’ingresso, perché subito si<br />

passò in uno spazio che non saprei<br />

definire. Un piccolo salone? Un vasto<br />

corridoio? Poco importa. La luminosità,<br />

una luce che arriva dalle vetrate di un<br />

terrazzo non particolarmente curato, non<br />

pieno di piante esotiche straordinarie o<br />

particolari, subito ti colpisce. Il<br />

pavimento non è ricoperto dalle solite<br />

mattonelle, forse vetro o forse no, ma i<br />

raggi che vi arrivano sopra ne riflettono<br />

il colore, si mischiano. Quella luce<br />

intanto ti avvolge. Ti distrae. Un<br />

ambiente bizzarro e accogliente.<br />

Affascinante. Anche le altre stanze<br />

emanano lo stesso sentire. Spazi<br />

suggestivi senza che ci sia qualcosa di<br />

particolare. Di costoso. Di pregiato. Anzi<br />

la nostra ospite si prodigherà a spiegarci<br />

che in quella casa tutto è riciclato. Ogni<br />

oggetto, trovato o donato ha una sua<br />

storia precisa. Tutto, sembra essersi<br />

fermato agli anni settanta. Quella è<br />

<strong>Casablanca</strong> pagina 15<br />

l’atmosfera che si respira. Le librerie<br />

metalliche rosse, i poster dei<br />

rivoluzionari, le vecchie poltrone<br />

trafugate nelle case delle nonne. Ci si<br />

trova immersi in un’atmosfera intrigante<br />

e coinvolgente. Ci mettiamo nello studio.<br />

Una specie di santuario. La poltrona di<br />

Nino vicino ai vetri che danno sul<br />

terrazzo, l’unica parete non coperta dalle<br />

librerie è piena di locandine dei suoi<br />

spettacoli, i suoi lavori, sue foto.<br />

Quel cespuglio irto, ribelle e selvaggio<br />

ha una faccia deliziosa e un nome Maria.<br />

Maria Di Carlo è un fiume straripante.<br />

Ascoltarla è bello, perché mentre parla,<br />

si muove, cammina, ride, gesticola, a<br />

volte recita, non per mistificare, ma per<br />

passione, partecipazione al ricordo. A<br />

diciassette anni divenne famosa perché a<br />

Corleone, denunciò il padre che la<br />

privava della libertà di frequentare il<br />

ragazzo che le piaceva e i frati<br />

francescani del rinnovamento per averla<br />

sottoposta all’esorcismo. Mentre<br />

osserviamo per capirne di più inizia a<br />

parlare. “Qui con Nino siamo stati<br />

diciotto anni. Abbiamo vissuto nella<br />

stessa casa fino alla fine. Non in senso<br />

coppia. Negli ultimi anni avevo già


Maria Di Carlo: “non accettavo il divieto, la proibizione”<br />

l’attuale compagno, anche lui Nino. La<br />

vita di coppia era già finita ma, in realtà<br />

non finisce, si trasforma, sfuma in<br />

qualcosa di più, di meglio. Lo reputo il<br />

mio partner per antonomasia. E’ stata la<br />

persona con cui ho condiviso<br />

maggiormente il senso di complicità.<br />

Quando è morto, avevo trentasei anni.<br />

Nel 1980, in questa casa, Nino Gennaro<br />

creò il gruppo “Teatro Madre”, dal nome<br />

di una sua opera: Una compagnia di non<br />

attori, un teatro insolito, povero e senza<br />

mezzi. La scena? Piazze, università,<br />

case. Tutti luoghi in cui si potevano<br />

svolgere dibattiti e momenti di<br />

comunicazione. Maria ne è l’interprete.<br />

Anche lui recita.<br />

COMPAGNA DI VITA<br />

E DI LOTTA<br />

Nino Gennaro è stato un attivista<br />

nella lotta alla mafia per i diritti<br />

sociali, per la libertà, per la<br />

diversità. Poeta e drammaturgo. Era<br />

un bisessuale ed ha vissuto in tempi<br />

di forte arretratezza culturale<br />

soprattutto nell’entroterra<br />

siciliano, a Corleone, feudo di<br />

Luciano Liggio. La sua<br />

personalità dirompente,<br />

poliedrica e pirotecnica<br />

affascinava i giovani di<br />

Corleone, ne faceva un<br />

educatore di strada, ma, agli occhi<br />

dei genitori era un frocio pericoloso<br />

che plagiava i loro figli.<br />

“ L’aspetto eterosessuale era quello<br />

predominante. Più profondo. In lui<br />

c’era anche l’altra dimensione.<br />

Nino non sottaceva, la viveva e basta.<br />

Per me era come un punto a suo favore.<br />

Nino rispetto agli altri aveva una marcia<br />

in più”.<br />

Fra il 1974 e il 1975, a Corleone, per i<br />

ragazzi la vita è dura. Maria, figlia di<br />

medico e studente ginnasiale fa parte<br />

dell’azione cattolica, frequenta corsi di<br />

teologia, fa catechismo ai piccoli,<br />

insomma una signorina di buona<br />

famiglia. Partecipa a una specie di<br />

rinnovamento religioso gestito dai frati<br />

francescani che avevano occupato il<br />

vecchio carcere borbonico e lo avevano<br />

riadattato. Erano diversi dai nostri preti,<br />

vestivano sempre con la stessa tonaca,<br />

camminavano estate e inverno con i<br />

sandali o a piedi nudi, predicavano la<br />

povertà, vivevano della carità della<br />

gente. Per i ragazzi erano molto<br />

affascinanti. I frati, in quel tempo<br />

organizzavano anche il cosiddetto<br />

Cursiglio d’importazione spagnola. Era<br />

una tre giorni di liturgie, preghiere e<br />

giaculatorie per sposi, per fidanzati, per<br />

ragazzi. La ragazza partecipa anche al<br />

Cursiglio, ma alla fine, a differenze di<br />

tutti gli altri, ne esce diffidente. Tuttavia,<br />

ha un bellissimo rapporto con Fra<br />

Cristoforo, molto amato dai giovani<br />

attratti oltre che dalla sua retorica, dalla<br />

sua tonaca piena di pezze. Toppe<br />

coloratissime.<br />

Nella Corleone di allora Maria teorizza<br />

la libertà di costumi, libertà sessuale,<br />

sesso prima del matrimonio. Solo teoria,<br />

la pratica era diversa. Aveva circa<br />

quindici anni, nelle scuole di Corleone le<br />

classi miste erano appena nate, in aula<br />

prima entravano le femmine e poi i<br />

maschi. Rispetto alle altre era un poco<br />

più libera. La domenica andava alle<br />

baracche, teneva i bimbi dei<br />

baraccati per farli<br />

partecipare<br />

alla messa.<br />

“Non avevo alternative. Pensavo che a<br />

Corleone non esistesse altro. Ero<br />

ignorante perché non passava nulla”.<br />

Una situazione intellettuale e culturale<br />

soffocante.<br />

Anche a scuola una serie di episodi<br />

rende il clima pesante. I ragazzi<br />

protestano e trasgrediscono?. I genitori si<br />

mettono d’accordo per tenerli più<br />

repressi. I ragazzi si ribellano Una specie<br />

di corpo a corpo per i ragazzi, da un lato<br />

con genitori e dall’altro con professori.<br />

Succede che a un cineforum proiettano<br />

“Romanzo popolare”, alla fine una<br />

professoressa attacca il film come<br />

scandaloso e pornografico. ” Per la<br />

prima volta in vita mia prendo la parola<br />

in pubblico. Con la gola strozzata e la<br />

voce tremolante faccio un intervento<br />

nevrotico in cui sostengo che per me non<br />

lo era per niente anzi lo trovavo<br />

<strong>Casablanca</strong> pagina 16<br />

interessante. Aggiungo, che a Corleone i<br />

ragazzi eravamo sotto una cappa<br />

mortifera insopportabile e che noi<br />

volevamo contaminarci. Alla fine, in un<br />

crescendo isterico ci infilai il mio<br />

discorso tipico dell’epoca, cioè i rapporti<br />

prematrimoniali sono una cosa sacro<br />

santa e se questo significava essere<br />

puttane ebbene sì, io ero felice di essere<br />

una puttana. Un putiferio. Questa cosa in<br />

pochi minuti fa il giro del paese e<br />

all’uscita del cinema mi viene incontro<br />

Nino Gennaro cui hanno già raccontato e<br />

mi dice che mi vuole conoscere e che mi<br />

manderà un suo libro di poesie. Me lo<br />

porterà Giovanna una sua amica che<br />

diventerà anche mia e che sarà la prima<br />

abitante di questa casa. Il titolo del libro<br />

è strano e lunghissimo. Folle. “Il Maggio<br />

fu francese, rivoluzione culturale<br />

meridionale, A ognuno il suo Vietnam,<br />

super show per persone intelligentissime,<br />

a Luciano Liggio che ha ammazzato<br />

Michele Navarra … “ Lo lessi<br />

immediatamente. Capivo, non capivo,<br />

non so cosa capivo, ma, era una sferzata.<br />

Scopro che a Corleone esisteva<br />

dell’altro, che c’erano persone molto<br />

interessanti che potevo conoscere”.<br />

Un’onda oceanica.<br />

Non tutti la pensano come Nino.<br />

Il padre di Maria va su tutte le<br />

furie. Ha una figlia perversa? E poi<br />

che figura ci fa con gli altri? Iniziano<br />

le repressioni e le punizioni.<br />

L’ESORCISMO<br />

La ragazza è una cattolica praticante,<br />

eccentrica, come l’idea che ha della<br />

confessione, non pentimento ma<br />

confronto. Succede così che durante un<br />

confronto-confessione con fra Cristoforo<br />

suo padre spirituale, gli dice<br />

dell’assemblea e delle sue idee di<br />

libertà. “Tu sei fuori strada, mi dice Fra<br />

Cristoro, tu non lo puoi fare, è<br />

assolutamente sbagliato – per poi<br />

aggiungere - Io questa notte ho avuto un<br />

incontro col demonio che mi ha buttato<br />

giù dal letto tanto che ho dovuto dormire<br />

ai piedi del tabernacolo. Adesso in te<br />

vedo la personificazione del maligno …<br />

ti vuoi sottoporre all’esorcismo. Sei<br />

troppo sbagliata figliola”<br />

Maria ha visto il film, l’esorcista, cosa le<br />

potrebbe accadere? Pensa, al massimo<br />

vomito, quindi la curiosità, i quindici<br />

anni, il dubbio che forse è sbagliata<br />

veramente, anzi indemoniata, la<br />

consegna di non parlarne con nessuno,<br />

accetta.<br />

***<br />

“Cristoforo raduna tutti gli altri ragazzi


Maria Di Carlo: “non accettavo il divieto, la proibizione”<br />

in una stanza a pregare, loro non sanno<br />

cosa sta succedendo, sanno che c’è<br />

bisogno delle loro preghiere. Nell’altra<br />

stanza inizia il rito. Il frate mi dice di<br />

inginocchiarmi, io mi rifiuto. Comincia a<br />

leggere preghiere di San Lorenzo,<br />

mostra le ginocchia callose per tutto il<br />

tempo in cui sta inginocchiato in<br />

preghiere, mi chiede di baciargli forse il<br />

cordone o la mano non ricordo perché<br />

ridacchiavo, insomma manifestavo tanti<br />

segni di non pentimento e disturbanti.<br />

Non mi dà l’assoluzione. Alla fine mi<br />

vieta categoricamente di parlarne con gli<br />

altri. Non ne parlerò. Per circa un anno e<br />

mezzo, continuerò a frequentare il<br />

gruppo, mi confesserò con altri frati.<br />

Non mi daranno l’assoluzione. Mancava<br />

il pentimento”. Pentirsi di che?<br />

L’INCONTRO CON<br />

NINO GENNARO<br />

Non c’è dubbio, Nino Gennaro è stato un<br />

portatore di innovazione a Corleone.<br />

Con un finanziamento dell’allora Psi,<br />

aveva creato la sede della Federazione<br />

Giovanile Socialista, un posto, dove i<br />

ragazzi trovavano di tutto, Bibbia, Reich,<br />

Famiglia Cristiana, Manifesto, L’Ora,<br />

fumetti, contro l’aborto di classe e tanto<br />

altro. A Corleone esisteva una sola<br />

libreria, lui metteva a disposizione di chi<br />

volesse leggere, tutto quel materiale, per<br />

far vedere che non esiste un modo solo<br />

di pensare e di vedere le cose. Il suo<br />

obiettivo era quello di combattere l’idea<br />

di un pensiero unico, di far aprire il<br />

paese che era chiuso in se stesso.<br />

Un’oasi incontaminabile come sosteneva<br />

il preside.<br />

La sede della FSG, era un posto in cui si<br />

ritrovavano persone che mai si sarebbero<br />

potute incontrare; muratori, elettricisti,<br />

studenti. Tutti convogliati da Nino, dal<br />

suo modo di fare pirotecnico. Era<br />

brillante, buffo, divertente. Uno che<br />

passava notti intere con giovani operai a<br />

parlare di sindacato e diritti. Vivace e<br />

affascinante. Non era un grigio e serioso<br />

funzionario di partito. Quasi tutti i<br />

ragazzi frequentavano la sede FGS di<br />

nascosto alle loro famiglie, entravano e<br />

uscivano dalla sede come fosse una<br />

catacomba. Un periodo di grandi<br />

apprendimenti per loro. Riunioni,<br />

dibattiti, riflessioni. Non esiste il<br />

monopolio del pensiero, tu fatti il tuo.<br />

Ed ancora, A Corleone non siamo tutti<br />

gregari di Liggio. Maria ne era molto<br />

affascinata.<br />

Quando il psi gli tolse il finanziamento<br />

perché non gli interessava quel tipo di<br />

lavoro che non gli portava voti, crearono<br />

il centro di aggregazione popolare<br />

Placido Rizzotto. Dove Maria non andò<br />

mai perché nel frattempo a casa sua, con<br />

suo padre succedeva il cataclisma.<br />

“Su suggerimento di Nino nel 1975<br />

abbiamo festeggiato l’8 marzo.<br />

Partecipammo in quattro. Io e una mia<br />

compagna avevamo scritto un libriccino<br />

ciclostilato – Alternativa -in cui<br />

raccontavamo della nostra situazione a<br />

Corleone, fatta di repressioni e<br />

restrizioni. Naturalmente non abbiamo<br />

firmato gli articoli con nostri nomi, ma<br />

con pseudonimi. I miei mi scoprirono e a<br />

casa mi fecero un cazziatone.<br />

Cominciarono le botte. Mio fratello che<br />

assieme a me frequentava il gruppo,<br />

batté subito in ritirata. Mia madre non<br />

condivideva mio padre ma, non aveva il<br />

coraggio di opporvisi”. Lei non si<br />

arrende.<br />

“Nino per il paese era il frocio. Era un<br />

pervertito, una persona da non<br />

frequentare. Da isolare. Una persona<br />

proibita. A distanza di tanti anni quando<br />

parliamo di quest’argomento con gli<br />

amici di allora, concordiamo sul fatto<br />

che l’omosessualità di Nino, fra noi non<br />

veniva fuori perché non era smaccata,<br />

non era esibita. Lo sapevamo perché lo<br />

dicevano gli altri. In paese sicuramente<br />

non era una sua pratica, in ogni modo era<br />

una persona molto proibita. Ci si<br />

frequentava di nascosto. In un crescendo<br />

di repressione i vari padri si coalizzano<br />

per non farci vedere più .Insomma ci<br />

separano. Non solo. Mio padre per<br />

piegarmi mi ritira dalla scuola. Subito i<br />

professori intervengono perché ero<br />

brava. Ritorno a scuola ma, a ogni<br />

piccola cosa mi ritira nuovamente. Ogni<br />

occasione era un pretesto per ribadire chi<br />

comandava e chi doveva ubbidire. Una<br />

<strong>Casablanca</strong> pagina 17<br />

volta partecipai assieme a due mie<br />

compagne allo sciopero dei braccianti.<br />

Non so il perché o le ragioni, percepivo<br />

solo che volevo stare dalla parte dei più<br />

deboli e per me in quel momento loro lo<br />

erano. Tranne noi tre ragazzine, era una<br />

folla di soli uomini. Cosa ricordo? Tante<br />

cacche di vacca. Conseguenze? Legnate.<br />

Ritiro dalla scuola. Chiuse, isolate a<br />

casa. Niente telefono. Per mesi con<br />

Nino non ci si vede. Io in pratica sono<br />

segregata. Inoltre, mio padre aveva<br />

chiesto al preside di non farmi uscire<br />

durante l’intervallo. Pianti e disperazione<br />

da parte mia che accusai anche il preside<br />

di rendersi complice di questa mia<br />

situazione famigliare. Ero disperata, ma<br />

non mollavo. Buscavo legnate e<br />

meditavo vendetta”<br />

Per tentare di ammorbidire il padre, la<br />

ragazza tenta di parlare con padre Umile,<br />

uno dei francescani, ma con il monaco,<br />

non si capiscono proprio. La pensa come<br />

il genitore, le dice che è sbagliata, che la<br />

deve smettere. A questo punto la giovane<br />

arrabbiata gli racconta dell’esorcismo<br />

minacciando di svergognarli con tutto il<br />

mondo. Maria è esasperata. Ha già<br />

compiuto diciassette anni.<br />

IL VOLANTINO<br />

“Un giorno mentre stavo per andare a<br />

scuola, arriva mio padre con un<br />

volantino in mano in cui c’era una<br />

vignetta che raffigurava lui a braccetto<br />

col preside ed io racchiusa in una gabbia.<br />

“Lo sa i che a scuola fanno queste<br />

cose?” “ Sì e me ne compiaccio”.<br />

Reazione immaginabile. Mi dà una<br />

scarica di legnatone e dopo esce da casa.<br />

Io eludo la sorveglianza di mia madre.<br />

Ed esco a ruota. Vado da una mia vicina<br />

e le chiedo di accompagnarmi al<br />

commissariato perché voglio denunciare<br />

mio padre. La signora si limita a fare giri<br />

a vuoto in macchina pensando che io mi<br />

distraessi e ci ripensassi. Mi accorgo di<br />

ciò e ancora più arrabbiata scendo dalla<br />

macchina.<br />

Per strada incontro due miei amici, con<br />

loro vado al centro Placido Rizzotto e lì,<br />

incontro Nino che non vedevo da mesi.<br />

Cerca di farmi ragionare, riflettere sulle<br />

conseguenze e nel frattempo scrive e<br />

disegna qualcosa. Ma io sono su tutte le<br />

furie, non voglio sentire ragioni, con i<br />

due amici vado al commissariato. Loro<br />

sono figli di due marescialli, mi<br />

accompagnano e se ne vanno. I loro<br />

padri sono sulla stessa lunghezza d’onda<br />

del mio e quindi non fanno altro che<br />

telefonare a casa mia per rassicurare lui e<br />

mia madre, - dottore, non è successo


Maria Di Carlo: “non accettavo il divieto, la proibizione”<br />

niente … fra poco la condurranno a casa<br />

…<br />

- ma dovete verbalizzare - urlo<br />

indispettita! Loro non mi davano conto.<br />

Arriva la telefonata di un giornalista de<br />

L’ORA, Giuseppe Cerasa che dice<br />

maresciallo, so che da voi c’è Maria Di<br />

Carlo che sta denunciando suo padre<br />

cosa sta succedendo? E a questo punto<br />

hanno dovuto verbalizzare. Nel<br />

frattempo Nino arriva alla scuola, i<br />

ragazzi non sono ancora entrati e li<br />

avvisa che io ero al commissariato. La<br />

lasciamo sola? Volete fare scuola?<br />

Bisogna fare un’assemblea. Una<br />

professoressa con la sua scolaresca<br />

arriva al commissariato per testimoniare<br />

a mio favore”.<br />

Esce sul giornale. Notizia per<br />

telegiornali. L’insegnante avrà problemi<br />

penali perché aveva portato i ragazzi in<br />

commissariato senza autorizzazione.<br />

Maria e Nino diventano protagonisti di<br />

trasmissioni radiofoniche e televisive.<br />

Roba da prima pagina. Esperti che si<br />

confrontavano sul tema. Il paese pieno di<br />

giornalisti.<br />

“Quando pensai di denunciare mio padre<br />

non pensavo ad una vera e propria<br />

denuncia, con le conseguenze che ci<br />

sono state, pensavo ad una tiratina di<br />

orecchie. Invece la situazione mi sfuggì<br />

di mano”. Per mesi vive in isolamento<br />

fuori paese. Era la plagiata della<br />

situazione. “Mi trattavano bene, ma,<br />

m’impedivano di campare”.<br />

IL PROCESSO<br />

Tuttavia l’atmosfera era pesante, la<br />

situazione grave, specialmente per il<br />

dott. Di Carlo. Durante l’istruttoria erano<br />

venuti fuori i lividi dell’ultima legnata.<br />

Alle perizie seguono le controperizie.<br />

Un balletto di perizie. La situazione è<br />

incontrollabile.<br />

Era ancora una ragazzina minorenne. Al<br />

processo la parte civile dovrebbero<br />

Il dott. Di Carlo invece aveva due avvocati.<br />

Due principi del foro. L’avvocato Triolo che<br />

morirà ammazzato a Corleone, l’avv. Campo<br />

che difendeva i mafiosi.<br />

essere i genitori, ma il padre era<br />

l’accusato e la mamma non lo volle fare.<br />

Quindi non c’era avvocato accusatore. Il<br />

dott. Di Carlo invece aveva due<br />

avvocati. Due principi del foro.<br />

L’avvocato Triolo che morirà ammazzato<br />

a Corleone, l’avv. Campo che difendeva<br />

i mafiosi. Il processo è fissato per la<br />

settimana successiva alla chiusura della<br />

scuola. Al processo uno dei due legali<br />

impronta la difesa sul fatto che Nino<br />

Gennaro è omosessuale, quindi un<br />

malato, come tale da curare. Anzi,<br />

aggiunge l’altro, è bisessuale, quindi un<br />

vizioso. Usava droghe. Organizzava orge<br />

e festini, ha plagiato una ragazzina<br />

diciassettenne, deve essere punito. Il<br />

procuratore del Tribunale dei Minori è<br />

Giacomo Conte socio fondatore di quello<br />

che poi diventerà il Centro Impastato,<br />

deciderà che c’è stato abuso di metodi<br />

educativi e lesioni. Pertanto sarà il<br />

genitore a essere condannato: un mese di<br />

reclusione con la conseguente perdita<br />

della patria potestà. Un fatto solo<br />

simbolico perché dopo una settimana<br />

Maria avrebbe compiuto diciotto anni e<br />

sarebbe diventata maggiorenne.<br />

A casa c’era il lutto. Centinaia di visite<br />

in omaggio al capo famiglia. Una specie<br />

di cordoglio al padre. Alla<br />

ragazza sarà proibito pranzare a<br />

tavola con il resto della famiglia.<br />

Comunque la giovane Maria si<br />

incontra il suo Nino, senza che il<br />

padre le dicesse nulla. Non<br />

poteva. Tuttavia alla presenza di<br />

ospiti, tenterà di lanciarle una<br />

bottiglia.<br />

Un giorno in pieno centro di<br />

Corleone Nino è circondato da<br />

un gruppo di giovinastri che<br />

tentano di caricarlo in macchina.<br />

Comincia ad avere telefonate<br />

minatorie. Si trasferisce<br />

definitivamente a Palermo, dove<br />

stava durante i mesi del processo.<br />

Dopo una settimana che ha compiuto<br />

diciotto anni anche Maria, si trasferisce a<br />

Palermo.<br />

“Non c’è nessuna certezza. Cosa farò,<br />

dove vivrò, con chi vivrò. Con Nino non<br />

avevamo deciso nulla. Insomma una<br />

cosa molto anomala”. Erano diventati<br />

un caso famoso, tutti li cercavano. “Non<br />

abbiamo avuto<br />

difficoltà che ci<br />

ospitassero. Per molto<br />

tempo abitammo alla<br />

Vucceria. All’inizio,<br />

anche in questa casa<br />

fummo ospitati, poi, si<br />

liberò una stanza e la<br />

prendemmo noi. Ci<br />

abitava già Giusi<br />

Gennaro, Giovanna ed altri amici ,<br />

finimmo col restare. Ed è diventata la<br />

nostra casa. Scherzosamente chiamavo<br />

Nino fufo, dal 79 questa fu la casa dei<br />

fufi”.<br />

Abbandonò gli studi e lavorò da subito.<br />

<strong>Casablanca</strong> pagina 18<br />

La giornata tipo di Maria ragazza bene di<br />

Corleone, figlia di medico, che era<br />

cresciuta con la cameriera prevedeva<br />

tanto lavoro. Cameriera, bambinaia,<br />

insomma quello che capitava. “I miei mi<br />

avrebbero mantenuto anche all’estero, se<br />

avessi rinunciato a quel rovina famiglie<br />

di Nino. Cosa improponibile e<br />

inaccettabile. La rottura con mio padre<br />

comunque era iniziata prima che nella<br />

mia vita arrivasse Nino. Non sopportavo<br />

divieti e proibizioni”<br />

Hanno rapporti e contatti con gruppi,<br />

centri sociali, associazioni, ovunque<br />

c’era materiale umano con cui innestarsi.<br />

Erano sempre in giro, ma c’erano anche i<br />

momenti di casa scuola, teatro, letture,<br />

riflessioni. Senza tv. Si cucinava e si<br />

stava assieme.<br />

Rimpianti? No. Sono state cose molto<br />

sofferte. C’è stato tanto dolore Mia<br />

madre per vedermi veniva nel posto,<br />

dove io lavoravo di nascosto a mio<br />

padre. Cinque minuti e via. Morirà per<br />

questo, e con questo dolore. Per la<br />

situazione dell’epoca, non potevo fare<br />

che le cose che ho fatto. O ti adagiavi o<br />

ti ribellavi. Ne è valsa la pena, ho avuto<br />

la possibilità di vivere con Nino, una vita<br />

intensa, particolare. Non è stata solo una<br />

storia di amore, ho vissuto con Nino a<br />

360 gradi”.<br />

LA MALATTIA DI NINO<br />

“L’ AIDS è una malattia infamante. Una<br />

malattia il cui immaginario è legato a<br />

sesso diffuso e uso di droga. Nino non ha<br />

mai fatto uso di droghe. All’inizio,<br />

quando seppe della sua malattia, andò<br />

via da questa casa, non voleva vedere<br />

nessuno, non voleva parlare con<br />

nessuno. Erano anni in cui di ADS si<br />

moriva. Non ci si curava bene o male<br />

come ci si cura oggi. Anche noi, tutti<br />

quelli che gli stavamo vicino al principio<br />

ci lasciammo sopraffare dalla notizia.<br />

Poi ci fu un periodo di organizzazione.


Maria Di Carlo: “non accettavo il divieto, la proibizione”<br />

Nino avrà un recupero meraviglioso e<br />

vivrà questa sua malattia preparandosi<br />

tante cose come sempre”. Ha vissuto la<br />

malattia e l’attesa della morte in modo<br />

collettivo.<br />

Nella casa aperta quindi, l’attività e il<br />

fermento continua. Attorno a Nino<br />

arrivano amici da ogni parte. Chi lavava,<br />

chi cucinava, chi gli faceva la rassegna<br />

stampa.<br />

Nella loro storia d’amore e di<br />

politica era prevista una<br />

alla morte, vivendo in modo più intenso<br />

possibile. Non chiudendosi. Facendo<br />

trasformazione, una evoluzione, ma, non<br />

ci poteva essere alcuna rottura. Infatti,<br />

continueranno a vivere nella stessa casa,<br />

faranno le cose di sempre da soli o<br />

assieme agli altri dieci. Teatro, politica,<br />

volontariato. Avevano creato<br />

associazioni, gruppi culturali, il centro<br />

sociale San Saverio, Comitato Cittadino<br />

di Informazione e<br />

Partecipazione, per<br />

dirne solo alcuni. Il<br />

Quando ci siamo conosciuti già eravamo<br />

due persone affini. In lui ho riconosciuto<br />

l’anima gemella. Non sono una sua<br />

creazione<br />

<strong>Casablanca</strong> pagina 19<br />

loro rapporto complesso e complicato<br />

ora, era una grande, intensa sintonia e<br />

complicità. Fino all’ultimo momento.<br />

Era il settembre del 1995.<br />

Se la giovane Maria non avesse<br />

incontrato Nino?<br />

“Quando ci siamo conosciuti già<br />

eravamo due persone affini. In lui ho<br />

riconosciuto l’anima gemella. Non sono<br />

una sua creazione”. Brava Maria.


Pio La Torre: un popolo in marcia<br />

Pio La Torre<br />

Un popolo in marcia<br />

Adriana Laudani<br />

Era un uomo forte e ostinato, mosso da passioni e convinzioni profonde. Un miscuglio di<br />

dinamismo, entusiasmo ed energia inesauribile. Infaticabile. Aveva chiesto al partito<br />

nazionale di ritornare in Sicilia con un ruolo di massima responsabilità. Creò un movimento<br />

di massa capace di fare “marciare” insieme cattolici e comunisti, giovani e vecchi. Un popolo<br />

in marcia e finalmente protagonista del suo destino. Un milione di firme contro la base<br />

missilistica e la militarizzazione della Sicilia. La campagna contro l’agio e i privilegi degli<br />

esattori Salvo e Cambria, i cavalieri del lavoro Costanzo, Rendo e Graci e dei capi mafia<br />

Greco. Il sistema di potere politico-affaristico-mafioso. L’impegno per una legge che<br />

configurasse il reato di associazione mafiosa e nello stesso tempo colpisse gli immensi<br />

patrimoni illegalmente accumulati: La Legge La Torre che sarà convalidata dopo la sua<br />

morte.<br />

In questi giorni si sono moltiplicate le<br />

iniziative di “commemorazione” di Pio<br />

La Torre, segretario del P.C.I. siciliano,<br />

ucciso il 30 aprile del 1982, solo ventisei<br />

giorni dopo la straordinaria<br />

manifestazione di Comiso<br />

contro l’installazione dei missili<br />

Cruise, per la cui riuscita aveva<br />

lavorato giorno e notte, senza<br />

tregua. Una manifestazione di<br />

popolo, pacifica e al tempo<br />

stesso combattiva, animata da<br />

migliaia di donne e giovani,<br />

operai e intellettuali, venuti da<br />

ogni parte della Sicilia e<br />

dell’Italia per contrastare una<br />

scelta che avrebbe trasformato<br />

l’Isola, come Lui ripeteva<br />

“ossessivamente”, in un’aria<br />

militarizzata, sottratta allo<br />

sviluppo, aperta ai traffici di<br />

armi e droga, porto franco per la<br />

mafia e i suoi affari.<br />

Aveva chiesto al partito<br />

nazionale di ritornare in Sicilia con un<br />

ruolo di massima responsabilità. Urgeva<br />

dentro di lui il senso di una personale<br />

“missione” da compiere: mettere a<br />

servizio della sua terra l’esperienza e le<br />

conoscenze accumulate in tanti anni di<br />

lavoro nel sindacato, nel partito e nel<br />

Parlamento; promuovere e dirigere un<br />

processo politico e un movimento di<br />

massa in grado di liberare la Sicilia dalle<br />

ipoteche mortali rappresentate dalla<br />

mafia e dalla presenza della base<br />

missilistica di Comiso. Enrico<br />

Berlinguer, stravolto davanti al corpo<br />

<strong>Casablanca</strong> pagina 20<br />

inerme e martoriato di Pio, volle<br />

ricordarlo così, non tacendo le<br />

incomprensioni e i “sospetti” che pure<br />

qualcuno aveva avanzato di fronte alla<br />

sua ostinata richiesta di dirigere il partito<br />

siciliano in una fase che egli<br />

riteneva decisiva per il<br />

futuro dei siciliani.<br />

Sì, perché era un uomo forte<br />

e ostinato, mosso da<br />

passioni e convinzioni<br />

profonde, dalle quali traeva<br />

una energia inesauribile e<br />

davvero non comune; che<br />

gli consentivano di porre a<br />

sé e a tutto il movimento<br />

obiettivi politici che altri<br />

avrebbero considerato<br />

impossibili o addirittura<br />

improponibili. Così l’ho<br />

conosciuto, appena<br />

designato Segretario del<br />

Partito siciliano, quando mi<br />

chiese di fare parte della sua<br />

segreteria, nell’autunno del 1981, ancor<br />

prima del Congresso regionale che lo<br />

avrebbe formalmente eletto nel gennaio<br />

dell’ottantadue.


UN POPOLO IN MARCIA<br />

Bisognava partire subito, diceva, non si<br />

poteva perdere un giorno. Le scelte<br />

adottate (“cinicamente”) dal Governo<br />

nazionale e dal Ministro alla Difesa ai<br />

danni della Sicilia erano già operative.<br />

La posta in gioco era tale da non<br />

consentire a nessuno di ritenere che<br />

bastasse una forte opposizione<br />

parlamentare per mutare gli orientamenti<br />

definiti e gli equilibri politici raggiunti a<br />

livello nazionale ed internazionale. Era<br />

necessario organizzare un movimento di<br />

massa capace di fare “marciare” insieme<br />

cattolici e comunisti, giovani e vecchi e<br />

di dare voce a un popolo finalmente<br />

protagonista del suo destino. La raccolta<br />

di un milione di firme sulla petizione<br />

contro la base missilistica e la<br />

militarizzazione della Sicilia, la<br />

formazione dei comitati unitari che in<br />

ogni Comune e in ogni Provincia<br />

mettessero in piedi iniziative tese a<br />

coinvolgere tutte le componenti sane<br />

della società civile avevano questo<br />

significato. Ogni mattina di buon’ora,<br />

dalla sua stanza in Corso Calatafimi,<br />

suonava la sveglia telefonica ai segretari<br />

di federazione, delle camere del lavoro,<br />

delle organizzazioni di massa vicine al<br />

partito, chiedendo del numero delle<br />

firme raccolte sulla petizione, delle<br />

assemblee di quartiere organizzate, dei<br />

consigli comunali chiamati a<br />

pronunziarsi, delle iniziative avviate.<br />

Lotta per la pace e contro la mafia<br />

divennero un binomio inscindibile,<br />

destinato a segnare quel passaggio della<br />

vita regionale che vide Pio La Torre<br />

protagonista.<br />

Così, mentre si raccoglievano le firme in<br />

calce alla petizione contro i missili,<br />

attraverso centinaia di assemblee e<br />

riunioni, si preparava la manifestazione<br />

di Comiso. S’interveniva in modo assai<br />

deciso sulla politica regionale, bloccando<br />

la legge che avrebbe aumentato a<br />

dismisura l’agio degli esattori (i Salvo, i<br />

Cambria), contrastando i metodi di<br />

assegnazione dei contributi regionali in<br />

agricoltura a favore di alcuni Cavalieri<br />

del Lavoro (Costanzo, Rendo e Graci) e<br />

di alcuni capi mafia (i Greco),<br />

denunziando il sistema di aggiudicazione<br />

degli appalti (l’affare delle dighe, ecc.).<br />

Ma neanche questo era sufficiente per<br />

fronteggiare gli attacchi che la mafia e il<br />

suo sistema di potere portavano ogni<br />

giorno al cuore della convivenza civile.<br />

Da qui l’impegno spasmodico del<br />

parlamentare Pio La Torre per giungere<br />

in tempi brevi all’approvazione di una<br />

legge che configurasse il reato di<br />

Pio La Torre: un popolo in marcia<br />

associazione mafiosa e nello stesso<br />

tempo colpisse gli immensi patrimoni<br />

illegalmente accumulati e li restituisse<br />

alla comunità; dotasse lo Stato di<br />

strutture investigative e giudiziarie in<br />

grado di contrastare un fenomeno<br />

criminale per troppo tempo tacitamente<br />

accettato e/o tollerato. Una legge a lungo<br />

osteggiata e ritardata, che il Parlamento<br />

avrebbe approvato solo dopo l’assassinio<br />

del Generale Dalla Chiesa nel settembre<br />

di quel terribile 1982 e che tutti noi<br />

ricordiamo come “la legge La Torre”.<br />

Ebbe in mente ed attuò una strategia<br />

complessa, in grado di unire inediti<br />

protagonismi individuali e collettivi, di<br />

mobilitare forze sociali e politiche di<br />

appartenenze diverse, di investire<br />

contemporaneamente le principali sedi<br />

istituzionali e il corpo della società<br />

civile. Anche gli obiettivi che una simile<br />

strategia poneva al centro erano<br />

molteplici e tali da coinvolgere, allo<br />

stesso tempo, ragioni ideali e<br />

concreti interessi: la pace, la<br />

liberazione dall’oppressione<br />

e dalla violenza mafiosa,<br />

quali condizioni essenziali<br />

per aprire alla Sicilia nuove<br />

prospettive di sviluppo e di<br />

lavoro, in una terra già<br />

allora afflitta da un tasso di<br />

disoccupazione assai<br />

preoccupante. Un<br />

orizzonte di progresso e di<br />

benessere attorno al quale<br />

motivare e mobilitare<br />

tanto le forze del mondo<br />

del lavoro che gli<br />

imprenditori sani.<br />

POLITICA-AFFARI-MAFIA:<br />

il suo pallino<br />

Alla base della sua visone della lotta<br />

sociale e politica, che quel tempo storico<br />

richiedeva, vi era una idea molto precisa<br />

delle forze e degli interessi da<br />

contrastare e da battere. Basti ricordare<br />

che Pio La Torre non parlò mai di lotta<br />

alla mafia, ma di lotta al sistema di<br />

potere politico-affaristico-mafioso;<br />

definendo i “delitti eccellenti”, che in<br />

quegli anni segnavano di sangue la<br />

Sicilia, quali delitti di terrorismo<br />

politico-mafioso. E’ utile, per meglio<br />

comprendere questo decisivo aspetto<br />

della sua personalità politica, rileggere<br />

l’intervento che svolse alla Camera dei<br />

Deputati subito dopo l’omicidio del<br />

Presidente della Regione siciliana<br />

Piersanti Mattarella: “Noi non dobbiamo<br />

dimenticare la storia della Sicilia e dei<br />

legami internazionali della mafia<br />

<strong>Casablanca</strong> pagina 21<br />

siciliana che la vicenda Sindona ha<br />

riproposto in maniera drammatica.<br />

Siamo di fronte ad imperi finanziari,<br />

anche fuori della Sicilia, controllati da<br />

gruppi mafiosi che operano in Sicilia o<br />

da famiglie siculo-americane, non solo<br />

nel traffico di stupefacenti o in altri<br />

traffici illeciti. E’ noto che il gruppo che<br />

fa capo all’ex sindaco di Palermo, Vito<br />

Ciancimino …. Siamo in presenza di<br />

nessi che bisogna saper cogliere.” Ma<br />

ancora prima, in occasione dell’omicidio<br />

del giudice Cesare Terranova, aveva<br />

introdotto una precisa distinzione tra<br />

“mafia e sistema di potere mafioso” che<br />

è quello composto da “uomini politici e<br />

uomini che sono in posizione chiave nel<br />

potere in Sicilia”.<br />

Era dotato di uno sguardo profondo e<br />

impegnato che gli consentiva di cogliere<br />

le ragioni non solo dei singoli delitti<br />

eccellenti, ma delle comuni ragioni e dei<br />

terribili interessi che li avevano<br />

provocati. Una<br />

visione che ieri come oggi sembra<br />

sfuggire ai più, dedicati a coltivare<br />

analisi del fenomeno mafioso assai più<br />

comode e riduttive, ma fallimentari nella<br />

prospettiva di una seria azione di<br />

contrasto.<br />

In questa direzione è inevitabile<br />

ricordare la propaganda che anche gli<br />

ultimi Ministri dell’Interno ci hanno<br />

propinato, definendo gli arresti di noti<br />

latitanti quali azioni decisive per la<br />

vittoria dello Stato sull’organizzazione<br />

mafiosa, nel mentre si consentiva che la<br />

mafia si aggiudicasse le concessioni<br />

nazionali dei giochi e delle scommesse,<br />

ovvero che partecipasse attraverso<br />

proprie imprese a numerosi lavori per la<br />

realizzazione di opere e servizi pubblici.<br />

Pio La Torre la pensava diversamente e<br />

coerentemente agiva: connettere in modo<br />

indissolubile la lotta contro la mafia e<br />

ogni forma di illegalità a quella contro<br />

l’installazione dei missili a Comiso era


indispensabile per aggredire il cuore di<br />

quel grumo di interessi politici,<br />

affaristici e mafiosi che ieri come oggi<br />

condizionano la vita economica, sociale<br />

e democratica della Sicilia e del Paese.<br />

Un sistema illegale e criminale, diceva,<br />

può essere contrastato solo da un sistema<br />

legale che sa mettere insieme e<br />

coordinare le azioni di contrasto mosse<br />

dalle istituzioni e dalla società.<br />

A noi resta il doveroso riconoscimento<br />

della sua straordinaria intelligenza<br />

politica che gli consentì, sin dal tempo<br />

della prima Commissione parlamentare<br />

antimafia, - della quale fu insieme al<br />

giudice Terranova protagonista e relatore<br />

di minoranza - di analizzare e<br />

comprendere il sistema politico-mafioso<br />

e le sue azioni terroristiche e criminali; e<br />

naturalmente, il riconoscimento di una<br />

coerenza e di un coraggio davvero rari in<br />

una terra da sempre dedita al<br />

trasformismo.<br />

Ma anche questo non può e non deve<br />

bastarci. Rileggere le parole e le azioni<br />

di Pio serve, infatti, non solo ad<br />

illuminare e a rendere comprensibile il<br />

Pio La Torre: un popolo in marcia<br />

decennio delle stragi di mafia che sta alle<br />

nostre spalle, ma a meglio leggere il<br />

presente e ad orientare le scelte che ci<br />

attendono. Forse anche questa nuova<br />

consapevolezza ha motivato le<br />

straordinarie attenzioni che si sono<br />

concentrate in occasione del recente<br />

trentesimo anniversario della sua morte<br />

violenta. I numerosi libri pubblicati, le<br />

interessanti trasmissioni televisive<br />

realizzate, i dibattiti e le iniziative da più<br />

parti promosse, la presenza a Portella<br />

delle Ginestre del Segretario Bersani,<br />

sembrano avere questo segno positivo. A<br />

ciò hanno forse contribuito le recenti<br />

“rivelazioni” riguardanti le trattative tra<br />

Stato e mafia intervenute attorno agli<br />

anni ’90, prima e dopo le stragi che<br />

hanno visto l’uccisione dei giudici<br />

Falcone e Borsellino, che tanto scalpore<br />

hanno suscitato nell’opinione pubblica<br />

nazionale.<br />

PATTI E TRATTATIVE? NO<br />

GRAZIE<br />

Chi nel corso di questi trenta anni ha<br />

preso parte alla battaglia contro la mafia<br />

sa da sempre, come Pio ci ricordava a<br />

volte gridandolo, che la mafia vive di tali<br />

accordi, patti e trattative, attraverso cui<br />

costruisce e alimenta quel sistema di<br />

potere che gli consente di associare a sé<br />

e ai suoi interessi pezzi di Stato, di<br />

imprenditoria, di politica, di<br />

amministrazione e di informazione.<br />

Chi come me ha vissuto e vive a Catania<br />

non può non ricordare che in quegli<br />

stessi anni di tutto questo e non di altro<br />

scriveva Pippo Fava su “I Siciliani”,<br />

operando una azione di autentico<br />

<strong>Casablanca</strong> pagina 22<br />

disvelamento e di coraggiosa rottura di<br />

quel “silenzio stampa” da sempre<br />

imposto e praticato in Sicilia. Oggi<br />

sappiamo con certezza, anche<br />

giudiziaria, che il 5 gennaio del 1984<br />

Pippo Fava fu ucciso dal medesimo<br />

sistema di potere politico-mafioso, e che<br />

il movente di quel delitto è iscritto nelle<br />

stesse ragioni che hanno condotto alla<br />

morte Mattarella, Chinnici, Dalla Chiesa<br />

e La Torre.<br />

Vale, infine, porsi e porre alcune<br />

domande: può l’Italia tollerare che i veri<br />

mandanti delle stragi e dei delitti<br />

eccellenti restino per sempre innominati<br />

e impuniti? E il sistema economico<br />

accettare, oltre l’imposizione del pizzo,<br />

la compenetrazione delle imprese e dei<br />

capitali mafiosi nel sistema<br />

imprenditoriale del Nord, del Centro e<br />

del Sud? Può la Sicilia sperare in un<br />

futuro diverso e intraprendere il<br />

cammino del cambiamento senza fare i<br />

conti con l’attuale sistema di potere<br />

politico-mafioso e con i suoi<br />

protagonisti? L’alternativa politica e<br />

amministrativa a tale sistema quali<br />

azioni di rottura e di discontinuità<br />

richiede?<br />

Per dirla con Pio, dalla capacità di<br />

risposta a queste domande dipende la<br />

qualità della stessa democrazia per il<br />

presente e per il futuro. Del passato<br />

conosciamo i prezzi pagati, in termini di<br />

arretratezza civile ed economica delle<br />

nostre comunità, di opportunità bruciate<br />

per le giovani generazioni.<br />

Per queste ragioni il suo ricordo alimenta<br />

in noi, insieme al rimpianto per averlo<br />

perduto, la ferma volontà di non<br />

rassegnarci e tantomeno di arrenderci.


Umberto Santino: Peppino Impastato anatomia di un depistaggio<br />

Peppino Impastato<br />

l’icona e la realtà<br />

Introduzione alla nuova edizione del libro “Peppino Impastato<br />

anatomia di un depistaggio”.<br />

La relazione della Commissione antimafia del 2000 e altri nuovi contributi.<br />

Umberto Santino<br />

A 34 anni dall’assassinio di Peppino<br />

Impastato possiamo dire che l’impegno<br />

dei familiari, di alcuni compagni di<br />

militanza, del Centro a lui intitolato, sia<br />

riuscito a ottenere una vittoria completa,<br />

definitiva. I mandanti del delitto sono<br />

stati condannati, la relazione della<br />

Commissione parlamentare antimafia,<br />

che ripubblichiamo in questa nuova<br />

edizione, ha indicato con nomi e<br />

cognomi i responsabili del depistaggio, il<br />

film a lui ispirato ha fatto conoscere al<br />

grande pubblico la sua figura,<br />

proliferano centri, associazioni, comitati<br />

che portano il suo nome, eppure ci<br />

troviamo dentro una storia tutt’altro che<br />

conclusa.<br />

Nei primi mesi dell’anno scorso la<br />

Procura di Palermo ha riaperto le<br />

indagini e dalle notizie che sono<br />

circolate sembra che si parta da zero. Si<br />

dice spesso che l’Italia è un paese senza<br />

memoria ma forse sarebbe più<br />

rispondente al vero dire che c’è una<br />

memoria selettiva, fatta di cancellazione<br />

della realtà e devozione per l’icona. E<br />

anche per Peppino Impastato si può fare<br />

la stessa considerazione. Si è formata<br />

un’icona, soprattutto in seguito al<br />

successo del film e ormai i «cento passi»<br />

sono diventati la metafora che ha<br />

eclissato o emarginato la realtà e la<br />

colonna sonora che ha piallato altre voci.<br />

Così, nelle iniziative che si susseguono<br />

con ritmo incalzante, Peppino è<br />

diventato un chierichetto della legalità,<br />

un giullare dell’antimafia, il protagonista<br />

di piazzate notturne che mai si sarebbe<br />

sognato di fare, il fiore nel fango, il Che<br />

Guevara della provincia siciliana,<br />

altrettanto improbabile come il Che delle<br />

magliette. E qualcuno ha ritenuto bene di<br />

cavalcare questa icona e decretare che<br />

tutto, o quasi, è dipeso da un film.<br />

La recente disavventura con la casa<br />

editrice Einaudi e con l’autore del<br />

bestseller Gomorra non è frutto del caso.<br />

Abbiamo chiesto la rettifica di<br />

un’affermazione assolutamente infondata<br />

(«Un film riapre un processo») e la<br />

risposta è stata una lettera intimidatoria<br />

della casa editrice e la querela di Saviano<br />

a un giornalista di «Liberazione» che<br />

aveva ripreso la nostra richiesta. Il libro,<br />

Don Vito a Gomorra, in cui ho<br />

raccontato questa e altre vicende<br />

esemplari del nostro tempo, ha trovato<br />

un cordone sanitario.<br />

Riproponiamo questo testo, che<br />

rappresenta un unicum nella storia<br />

dell’Italia repubblicana (non ci sono altri<br />

casi di relazioni di una Commissione<br />

parlamentare in cui si dica che<br />

rappresentanti delle istituzioni hanno<br />

depistato le indagini su un delitto<br />

politico-mafioso e coperto i<br />

responsabili), perché vogliamo<br />

continuare la nostra battaglia per la<br />

verità. La proposta di chi scrive che<br />

quello che è stato fatto per il delitto<br />

Impastato venisse fatto per altri eventi,<br />

delitti, stragi, su cui non c’è una verità<br />

giudiziaria, o è molto parziale, non è<br />

stata accolta. Questo testo è stato, e<br />

continua ad essere, un fatto eccezionale.<br />

Non si è avuto, e tutto lascia prevedere<br />

che non si avrà, qualcosa di simile per<br />

Portella della Ginestra, per piazza<br />

Fontana, per piazza della Loggia a<br />

Brescia, per la stazione di Bologna, i<br />

grandi buchi neri della storia d’Italia. La<br />

domanda con cui concludevo la<br />

prefazione alla seconda edizione di<br />

questo libro ha avuto risposta negativa. E<br />

<strong>Casablanca</strong> pagina 23<br />

il processo riaperto per la strage di via<br />

d’Amelio, dopo le rivelazioni di<br />

Spatuzza, pare che debba riscrivere solo<br />

parzialmente una sentenza fondata su<br />

dichiarazioni che troppo tardivamente<br />

sono state ritenute false e depistanti. Con<br />

ogni probabilità rimarrà ancora oscuro il<br />

ruolo dei «mandanti esterni». Anche le<br />

inchieste e i processi in corso sulla<br />

«trattativa» fra mafiosi e uomini delle<br />

istituzioni sembrano seguire un vecchio<br />

copione. Per un verso se ne parla come<br />

se fossero fatti nuovi, mentre<br />

l’interazione tra mafia e settori delle<br />

istituzioni fa parte della storia della<br />

mafia e dello Stato italiano e affonda le<br />

sue radici in periodi storici precedenti;<br />

per un altro sembra che le esigenze dello<br />

spettacolo prevalgano su quelle<br />

dell’accertamento della verità. La<br />

vicenda legata alle dichiarazioni di<br />

Massimo Ciancimino, centellinate con<br />

un accorto dosaggio mirante a calibrare<br />

l’istogramma dell’attenzione mediatica,<br />

è esemplare: poche persone, con al<br />

centro il padre Vito e un fantomatico<br />

uomo dei servizi, avrebbero deciso le<br />

sorti del Paese e il rampollo di un uomo<br />

di mafia è stato accreditato come il<br />

rivelatore della «vera» storia d’Italia.<br />

Finché il gioco è diventato troppo<br />

evidente e si è cercato di rimediare<br />

facendo scattare, almeno per qualche<br />

tempo, l’arresto. L’azione dei magistrati,<br />

alcuni dei quali hanno sacrificato la vita,<br />

è stata e rimane benemerita, l’attacco<br />

continuo che hanno subito, negli ultimi,<br />

lunghissimi, anni, da Berlusconi è<br />

semplicemente vergognoso, ma sulla<br />

loro strada possono presentarsi<br />

personaggi che più che ad aiutare a<br />

ricostruire la verità contribuiscono ad


Umberto Santino: Peppino Impastato anatomia di un depistaggio<br />

allontanarla. E questo avviene in un<br />

paese in cui depistaggi e complicità si<br />

consumano all’interno dei corpi<br />

istituzionali. Scarantino, il falso pentito<br />

per la strage di via d’Amelio, in buona<br />

parte seguiva un canovaccio scritto o<br />

dettato da altri. Ed è fin troppo facile<br />

addossare tutto sulle spalle di chi non c’è<br />

più.<br />

La battaglia per la verità riguarda ancora<br />

oggi la vicenda di Peppino. Si sono<br />

riaperte le indagini sul depistaggio, è<br />

stato ascoltato il fratello di Peppino, è<br />

stato ascoltato chi scrive, è stata<br />

interrogata la casellante del passaggio a<br />

livello in servizio la notte del delitto,<br />

data per irreperibile per decenni.<br />

Nella mia lettera alla Procura, che<br />

pubblico assieme a questo scritto, tengo<br />

a precisare alcune cose che<br />

sembrerebbero ovvie ma evidentemente<br />

non lo sono. Bisogna partire da alcuni<br />

punti fermi: le condanne dei mandanti<br />

(delle persone individuate come<br />

esecutori due sono morte, vittime della<br />

guerra di mafia, un’altra è viva, e non ho<br />

mai capito bene perché non è stata<br />

incriminata), questa relazione sul<br />

depistaggio.<br />

Si parla, si torna a parlare, di neofascisti,<br />

di servizi, delle amicizie di Badalamenti<br />

con i carabinieri, si rispolvera il vecchio<br />

fascicolo dell’assassinio di due<br />

carabinieri nella casermetta di Alcamo<br />

Marina nel gennaio del 1976, e ora, dopo<br />

l’assoluzione di Giuseppe Gulotta, che<br />

era stato condannato all’ergastolo in<br />

seguito a confessioni strappate con<br />

torture, si cerca di far luce su<br />

quell’evento, collegandolo con altri<br />

delitti, tra cui quello di Peppino. Bene, si<br />

indaghi, per quanto è possibile indagare<br />

dopo tanti anni, ma la traccia<br />

fondamentale è quella già segnata, con<br />

risultati che vanno considerati definitivi,<br />

anche se sono possibili integrazioni e<br />

approfondimenti.<br />

La riproposizione di questo testo mi<br />

auguro che possa servire a ripercorrere<br />

un cammino, con i risultati che si sono<br />

ottenuti e i prezzi che sono stati pagati,<br />

gli ostacoli che sono stati superati, la<br />

protervia di chi non ha mai cessato di<br />

pianificare e avallare depistaggi, ma pure<br />

l’impegno di chi ha saputo sostenere un<br />

difficile sfida, anche quando sembrava<br />

che il muro dell’impunità e delle<br />

complicità non si sarebbe mai sgretolato.<br />

Tutt’altro che un episodio marginale,<br />

periferico, ma un esempio di forte<br />

significato nel quadro della storia<br />

d’Italia. Un ausilio decisivo per chi<br />

questa storia vuole continuare,<br />

sottraendola alle tentazioni, sempre<br />

robuste, di replicare menzogne e<br />

oscurare verità.<br />

Umberto Santino<br />

Non si è avuto, e tutto lascia prevedere che non<br />

si avrà, qualcosa di simile per Portella della<br />

Ginestra, per piazza Fontana, per piazza della<br />

Loggia a Brescia, per la stazione di Bologna, i<br />

grandi buchi neri della storia d’Italia. La<br />

domanda con cui concludevo la prefazione alla<br />

seconda edizione di questo libro ha avuto<br />

risposta negativa.<br />

<strong>Casablanca</strong> pagina 24


Tutti sapevano che “la mafia a Trapani non c’era”<br />

Profumo di Zagara<br />

e tanfo di morte<br />

Rino Giacalone<br />

Tutti sapevano che “la mafia a Trapani non c’era” e Rostagno invece ne parlava, sempre,<br />

sempre, sempre. Una grande camurria. Don Francesco Messina Denaro, allora a capo della<br />

cupola, non lo sopportava proprio. Lo disse pure a Provenzano, da cui riceveva visite nella<br />

propria casa. Anche Siino – come Brusca e Milazzo, racconta ai giudici che a volere la morte<br />

di Rostagno è stato don Ciccio Messina Denaro. I poliziotti volevano mettere sotto indagine<br />

la mafia, ma, presto si trovarono fuori. Le testimonianze in Corte di Assise del generale<br />

Montanti e il luogotenente Cannas, alquanto sconcertanti, inverosimili … surreali …<br />

disonorevoli. Bisognava dimostrare che a Trapani la mafia non c’era?<br />

L’odore degli aranci e un ordine di<br />

morte. La terra di Sicilia sporcata dalla<br />

violenza mafiosa. Era il 1988 e<br />

quell’odore che solo i nostri agrumi<br />

sanno dare era quello che inondava il<br />

terreno di un mafioso, fratello di<br />

mafioso, genero di un patriarca della<br />

mafia, cognato di un sanguinario<br />

assassino.<br />

Il terreno in questione era quello di<br />

Castelvetrano di proprietà di Filippo<br />

Guttadauro, fratello del medico<br />

Giuseppe, il colletto bianco che era a<br />

capo del mandamento mafioso di<br />

Brancaccio a Palermo, il medico<br />

intercettato a fare da ponte tra Cosa<br />

nostra e la politica. Filippo Guttadauro è<br />

anche qualcosa di più, ha sposato<br />

Rosalia una delle figlie del patriarca<br />

della mafia belicina, Rosalia è figlia di<br />

Francesco Messina Denaro, il “campiere<br />

con il bisturi”, si occupava di terreni e<br />

latifondi don Ciccio Messina Denaro e lo<br />

faceva così con tanta precisione e<br />

scrupolo da meritare il riconoscimento di<br />

sapere bene usare il “bisturi”, perché lui<br />

sapeva come “incidere” il territorio,<br />

marcandolo con l’impronta mafiosa.<br />

Filippo Guttadauro perciò è il cognato di<br />

Matteo Messina Denaro il boss che è<br />

oggi certamente il capo della mafia<br />

trapanese, il mafioso che poco più che<br />

ventenne si vantava già che da solo con i<br />

suoi delitti poteva riempire un cimitero,<br />

oggi con le stesse mani, rimaste sporche<br />

di tanto sangue, gestisce dalla latitanza<br />

che dura da diciannove anni vere e<br />

proprie holding, imprese e casseforti.<br />

ROSTAGNO? UNA CAMURRIA<br />

In quel terreno di Castelvetrano in<br />

mezzo al profumo degli aranci nel 1988<br />

ad Angelo Siino - che non era solo il<br />

titolare di una concessionaria d’auto a<br />

Palermo o il pilota di rally amico dei<br />

migliori rampolli della borghesia di<br />

mezza Sicilia, ma era, soprattutto, il<br />

ministro dei lavori pubblici di Totò Riina<br />

- don Ciccio Messina Denaro comunicò<br />

che Mauro Rostagno era arrivato al<br />

capolinea, doveva cioè morire.<br />

Siino ha raccontato di quell’odore degli<br />

aranci e del tanfo della morte nell’aula<br />

bunker del carcere di San Giuliano a<br />

Trapani dove per alcune udienze si è<br />

trasferita la Corte di Assise che sta<br />

processando i presunti mandante ed<br />

esecutore del delitto di Mauro Rostagno,<br />

Vincenzo Virga e Vito Mazzara. Se<br />

Francesco Messina Denaro fosse ancora<br />

vivo, è morto nel 1998, ci sarebbe stato<br />

anche lui imputato in questo<br />

dibattimento, perché, le dichiarazioni di<br />

<strong>Casablanca</strong> pagina 25<br />

Siino, come altri collaboratori di<br />

giustizia, come Giovanni Brusca e<br />

Francesco Milazzo, riconducono la<br />

morte di Rostagno al volere di don<br />

Ciccio Messina Denaro: era una<br />

“camurria” Rostagno, così dicevano di<br />

lui i boss.<br />

Ogni giorno dalla tv, Rtc, dove si è<br />

ritrovato a lavorare dopo che da qualche<br />

anno era arrivato a Trapani, parlava<br />

sempre di una cosa, mafia, mafia e<br />

mafia, e questa cosa i boss non potevano<br />

permetterla, loro che dai politici, da altri<br />

giornalisti, dai professionisti avevano<br />

ottenuto ben altra attenzione. In quel<br />

1988 “la mafia a Trapani non c’era” e<br />

Rostagno invece ne parlava, sempre. E<br />

don Ciccio Messina Denaro non ne<br />

poteva più, lui era il capo della cupola<br />

provinciale, ed era il mafioso che<br />

periodicamente riceveva visite<br />

importanti nella sua casa di<br />

Castelvetrano. Chi era davvero don<br />

Ciccio lo svela un racconto, quello fatto<br />

da alcuni pentiti che hanno dimostrato di<br />

conoscere diversi segreti, come quello<br />

che riguarda la frequentazione tra Binnu<br />

Provenzano e don Ciccio Messina<br />

Denaro. Non era circostanza rara che i<br />

due si incontravano, ma non era don<br />

Ciccio Messina Denaro ad andare da<br />

Binnu a Corleone, ma era semmai questi


a raggiungere Castelvetrano, era già un<br />

latitante Provenzano, ma non aveva<br />

timore di mettersi alla guida di una Fiat<br />

500 per arrivare nel cuore del Belice e<br />

bussare alla porta di casa di don Ciccio<br />

Messina Denaro che lo attendeva.<br />

Qualche volta seduto sulle ginocchia del<br />

padre c’era Matteo, anni dopo oramai<br />

cresciuto e diventato anche lui boss,<br />

Matteo Messina Denaro nei pizzini<br />

inviati a Binnu, e firmati come Alessio,<br />

scriveva del suo enorme rispetto, del<br />

fatto di avere imparato a comportarsi da<br />

Tutti sapevano che “la mafia a Trapani non c’era”<br />

Oggi la mafia siciliana non ha più una cupola ma si è quasi<br />

“ndraghetizzata”, ci sono le diverse famiglie che distinte<br />

“governano” i territori.<br />

capo mafia grazie proprio a lui, di<br />

immedesimarsi in lui in modo totale,<br />

Binnu Provenzano per Matteo Messina<br />

Denaro aveva preso il posto del padre<br />

morto di crepacuore, da latitante, nel<br />

novembre del 1998, a poche ore da un<br />

blitz di Polizia che per la prima volta<br />

portava in carcere l’altro maschio di casa<br />

Messina Denaro, Salvatore, preposto di<br />

una agenzia della Banca Sicula, la Banca<br />

della famiglia D’Alì. Anni dopo quel<br />

rispetto finirà calpestato: quando<br />

nell’aprile del 2006 Provenzano venne<br />

scovato dalla Polizia nel covo di<br />

Corleone, saltò fuori l’archivio di<br />

“pizzini” che custodiva, documenti che<br />

“tradotti” disvelarono uomini e affari, e a<br />

quel punto Matteo non esitò a bollare<br />

come uno scimunito Provenzano in un<br />

altro “pizzino”, uno di quelli che<br />

“Alessio” scriveva a “Svetonio”, ex<br />

sindaco del suo paese, Tonino Vaccarino,<br />

non sapendo che questi faceva<br />

l’informatore dei servizi segreti.<br />

“Quel vecchio ci ha rovinati tutti”<br />

scriveva Alessio sfogandosi con<br />

Svetonio, non sapendo che anche lui<br />

stava facendo altrettanto e se il<br />

comportamento del Sisde del generale<br />

Mori, che aveva assolto Vaccarino-<br />

Svetonio fosse stato più accorto,<br />

informando la Procura di Palermo invece<br />

di tenere i pm all’oscuro del loro<br />

contatto per quasi cinque anni, poteva<br />

anche accadere che quella<br />

corrispondenza tanto spavalda poteva<br />

portare alla sua completa rovina e<br />

all’arresto, ma questo non è purtroppo<br />

accaduto. E il boss resta latitante.<br />

CUPOLA E PARTITI<br />

Il capo della Procura Nazionale<br />

Antimafia, procuratore Pietro Grasso,<br />

giorni addietro ha spiegato che Matteo<br />

Messina Denaro non è il capo della<br />

mafia siciliana. Ma non è un capo perché<br />

non ne ha stoffa e capacità, non è il capo<br />

“perché non esiste più la cupola<br />

mafiosa”, quella che quando esisteva<br />

veniva governata da Michele Greco, o<br />

Totò Riina e poi Bernardo Provenzano.<br />

Oggi la mafia siciliana non ha più una<br />

cupola ma si è quasi “ndraghetizzata”, ci<br />

sono le diverse famiglie che distinte<br />

“governano” i territori. E Matteo<br />

Messina Denaro “governa” la mafia<br />

trapanese, che non è cosa di poco<br />

conto o meno importante rispetto<br />

alla stessa cupola regionale.<br />

Perché a Trapani, riconosce lo<br />

stesso Grasso, resiste lo<br />

zoccolo duro della mafia,<br />

quella che senza coppole e<br />

lupare, ha saputo infiltrarsi,<br />

per decenni, senza nemmeno<br />

la necessità di tanti<br />

camuffamenti, nelle istituzioni,<br />

nella economia, nelle imprese,<br />

la mafia qui a Trapani aveva una<br />

garanzia precisa come ha<br />

raccontato il pentito Nino Giuffrè, “a<br />

Trapani c’erano i cani attaccati”, non si<br />

facevano le indagini, e chi pensava di<br />

poterle fare si trovava messo fuori gioco,<br />

trasferito o sparato, oppure trasferito e<br />

sparato come accadde a Ninni Cassarà,<br />

capo della Mobile a Trapani prima e a<br />

Palermo dopo. A Trapani la mafia ha<br />

pensato di creare un partito per mandare<br />

suoi politici in Parlamento, e qui da<br />

Trapani è partito l’ordine di non fare più<br />

quando si cominciò a riscrivere<br />

quel “patto” con lo Stato che pochi<br />

anni dopo avrebbe portato al<br />

famoso “papello”. Su questa<br />

strada uno come Rostagno non<br />

poteva proprio starci<br />

nulla e semmai di votare Forza Italia<br />

come ha raccontato il pentito di Mazara<br />

Vincenzo Sinacori che udì dare<br />

quell’ordine proprio a Matteo Messina<br />

Denaro.<br />

Il processo per l’omicidio di Mauro<br />

Rostagno prova proprio come le parole<br />

<strong>Casablanca</strong> pagina 26<br />

di Nino Giuffrè siano fondate. I poliziotti<br />

che volevano mettere sotto indagine la<br />

mafia presto si trovarono fuori da quelle<br />

indagini, ad occuparsene restarono solo i<br />

carabinieri. Le testimonianze in Corte di<br />

Assise di due tra quelli ritenuti gli<br />

investigatori più capaci del tempo, il<br />

generale Montanti e il luogotenente<br />

Cannas, sono state incredibili. Montanti<br />

ha raccontato che abitudine a<br />

sovracaricare le cartucce, come quelle<br />

trovate sul luogo del delitto, era tipica<br />

dei cacciatori, Cannas ha ammesso senza<br />

tante vergogne che il verbale di<br />

sopralluogo sul luogo dell’omicidio<br />

venne trascritto “in bella copia” quando<br />

oramai erano trascorsi diversi mesi dal<br />

delitto e che per quei mesi aveva<br />

lavorato “solo con gli appunti”. Queste<br />

per dire delle<br />

cose che<br />

sono<br />

apparse<br />

le più<br />

inverosimili.<br />

In un contesto<br />

dove doveva apparire inverosimile che<br />

fosse stata la mafia ad uccidere. Era il<br />

1988 quando la mafia si cominciava a<br />

trasformare, quando si cominciò a<br />

riscrivere quel “patto” con lo Stato che<br />

pochi anni dopo avrebbe portato al<br />

famoso “papello”. Su questa strada uno<br />

come Rostagno non poteva proprio<br />

starci.


Segregazione e respingimenti collettivi verso l’Egitto<br />

Respingimenti<br />

Una rassicurante Normalità<br />

Fulvio Vassallo<br />

La Corte Europea dei diritti dell’Uomo il 23 febbraio del 2012 ha condannato l’Italia per i<br />

respingimenti collettivi in Libia. Non sarebbe l’unico caso e l’unica volta. I respingimenti<br />

singoli o collettivi continuano ad oltranza. I migranti arrivati alle frontiere italiane dall’Egitto<br />

in particolare, sembra non sono quasi mai esistiti. Forse non sono considerate nemmeno<br />

persone. Solo numeri per fare statistiche. Tra i migranti egiziani in fuga dal loro paese,<br />

esponenti della minoranza cristiana copta, sempre più esposti al rischio di attentati e di<br />

persecuzione religiosa. Già l’ACNUR, l’ASGI e la Caritas di Catania, avevano denunciato<br />

per esempio che dopo lo sbarco sulle coste della Sicilia orientale del 26 ottobre 2010, sono<br />

stati rimpatriati 68 migranti (con un volo diretto a Il Cairo). All’aeroporto di Catania, mentre<br />

un agente consolare egiziano effettuava i riconoscimenti, alcuni avvocati attendevano invano<br />

che qualcuno presentasse richiesta di protezione internazionale. Nessuno. Una richiesta<br />

troppo pericolosa per chi, era stato già identificato dal proprio ufficio consolare?<br />

Sì, si può parlare proprio di<br />

segregazione, perché agli ultimi egiziani<br />

bloccati il due maggio scorso a bordo di<br />

un peschereccio, o intercettati mentre su<br />

un gommone, condotto da uno scafista,<br />

stavano sbarcando nei pressi di Mazara<br />

del Vallo, è toccata la reclusione in un<br />

campo di calcio, dove era stata allestita<br />

una tendopoli-carcere. Quindi<br />

dopo ventiquattro ore<br />

dall’ingresso nel territorio<br />

nazionale, salvo un gruppo di<br />

minori condotti in centri di<br />

accoglienza, sono stati<br />

deportati in Egitto con un volo<br />

partito da Palermo alle 5 del<br />

mattino del 3 maggio, dopo un<br />

riconoscimento sommario da<br />

parte di qualche esponente del<br />

consolato egiziano, senza<br />

alcuna possibilità di essere<br />

messi in contatto dalle<br />

organizzazioni (OIM,<br />

ACNUR) che fanno parte del progetto<br />

Praesidum finanziato dal ministero<br />

dell’interno proprio per intervenire in<br />

questi casi.<br />

Si è appreso dalla radio, dal TG Regione<br />

Sicilia delle 7,20 di giovedì 3 maggio,<br />

che diverse decine di egiziani, sorpresi il<br />

giorno precedente, a bordo di un<br />

peschereccio e di un gommone, nelle<br />

acque antistanti Mazara del Vallo, erano<br />

stati riportati in Egitto.Una operazione di<br />

polizia così rapida, tanto da precludere<br />

persino l’intervento dell’OIM e<br />

dell’ACNUR, oltre che degli avvocati e<br />

dei giudici necessari per la convalida dei<br />

provvedimenti, perché, secondo quanto<br />

<strong>Casablanca</strong> pagina 27<br />

riferito dai giornalisti, sulla base di<br />

comunicati provenienti evidentemente<br />

dal ministero dell’interno, si sarebbe<br />

trattato, per tutti, di persone già entrate<br />

irregolarmente in Italia, e dunque che<br />

avevano subito il riscontro delle<br />

impronte digitali ed una identificazione<br />

prima di essere espulse. Una<br />

giustificazione che sa di menzogna,<br />

perché appare ben strano che<br />

TUTTI coloro che sono stati ritenuti<br />

di maggiore età ( in base ad<br />

accertamenti fortemente opinabili),<br />

fermati sul peschereccio egiziano<br />

che li aveva condotti davanti alla<br />

costa di Mazara del Vallo, oppure<br />

sul gommone che li stava<br />

trasbordando a terra, oltre a non<br />

chiedere, neppure uno asilo o<br />

protezione umanitaria, fossero<br />

persone già identificate ed espulse<br />

dall’Italia. Come se in Egitto si<br />

fossero dati tutti appuntamento per<br />

ritentare il viaggio verso l’Italia, e come<br />

se su quel peschereccio si fosse saliti<br />

soltanto mostrando il precedente<br />

provvedimento di espulsione dall’Italia.


Una versione dei fatti che può<br />

abbindolare soltanto gli assonnati<br />

ascoltatori di un giornale radio del primo<br />

mattino, ma che non regge alla prova di<br />

fatti, come una serie di episodi<br />

precedenti dimostra ampiamente.<br />

L’ultimo, un respingimento, verificatosi<br />

dopo un altro sbarco di egiziani pochi<br />

giorni fa, nei pressi di Licata, poco<br />

distante da Agrigento. Anche in quella<br />

occasione i migranti erano stati respinti<br />

senza rispettare le formalità e le<br />

garanzie di difesa previste dalle<br />

Convenzioni internazionali e dalla<br />

normativa interna, ribadite in<br />

diverse occasioni dalle sentenze<br />

della Corte di Giustizia<br />

dell’Unione Europea e della Corte<br />

Europea dei diritti dell’Uomo che<br />

il 23 febbraio del 2012 ha<br />

condannato l’Italia per i<br />

respingimenti collettivi in Libia,<br />

per la violazione dell’art. 3<br />

(divieto di trattamenti inumani o<br />

degradati) dell’art.13 ( diritto di<br />

difesa) e dell’art. 4 del Protocollo<br />

IV allegato alla CEDU ( divieto di<br />

respingimenti ed espulsioni collettivi).<br />

MENZOGNE SISTEMATICHE E<br />

PRATICHE ARBITRARIE<br />

Adesso, dopo queste condanne, le<br />

pratiche di respingimento collettivo<br />

verso l’Egitto proseguono, ammantate<br />

dall’esaltazione delle operazioni di<br />

contrasto dell’immigrazione clandestina,<br />

e si registra già, a margine di<br />

quest’ultimo episodio, l’arresto di ben<br />

quattordici “scafisti egiziani”. Vedremo<br />

quanti saranno veramente ritenuti tali<br />

alla prova del giudizio in tribunale, e<br />

quanti altri invece saranno espulsi perché<br />

ritenuti estranei al reato di agevolazione<br />

dell’ingresso di clandestini, rigidamente<br />

fissato dall’art. 12 del testo Unico<br />

sull’immigrazione. C’è dell’altro, il<br />

ricorso da parte degli estensori dei<br />

comunicati di polizia, a menzogne<br />

sistematiche come l’affermazione in base<br />

alla quale nessuna delle persone fermate<br />

avrebbe richiesto asilo, o addirittura che<br />

tutti, si dice tutti, sarebbero stati espulsi<br />

con procedure lampo perché già schedati<br />

in precedenza dalle autorità di polizia<br />

italiane. Tralasciando il piccolo dettaglio<br />

che per eseguire un rimpatrio forzato<br />

non basta l’identificazione da parte delle<br />

autorità italiane, ma occorre una<br />

identificazione individuale, e non solo<br />

l’assegnazione della nazionalità, da parte<br />

delle autorità del paese di provenienza. E<br />

queste pratiche arbitrarie di polizia ormai<br />

si ripetono sistematicamente, al punto da<br />

Segregazione e respingimenti collettivi verso l’Egitto<br />

ingenerare nell’opinione pubblica il<br />

senso comune di una rassicurante<br />

normalità, anche se di mezzo ci va il<br />

destino di tante persone private di diritti<br />

fondamentali, come il diritto di accedere<br />

in un territorio per chiedere asilo, o il<br />

diritto ad una difesa effettiva ed alla<br />

convalida giurisdizionale dei<br />

provvedimenti di allontanamento forzato<br />

adottati dalla polizia.<br />

Dal 2007, proprio mentre il regime di<br />

Moubarak assestava colpi micidiali<br />

all’opposizione democratica, centinaia<br />

di cittadini egiziani irregolarmente giunti<br />

a Lampedusa, o sulle coste della Sicilia<br />

sud-orientale, o salvati da mezzi della<br />

nostra marina militare e poi condotti a<br />

terra, sono stati rimpatriati in Egitto,<br />

dopo essere stati trasferiti all’aeroporto<br />

di Catania, definito come “scalo<br />

tecnico”. Altri rimpatri sommari, che<br />

hanno assunto il carattere di veri e propri<br />

respingimenti collettivi ai danni di<br />

migranti egiziani appena sbarcati, sono<br />

stati compiuti dalla Puglia e dalla<br />

Calabria. Per anni si è lodato, anche da<br />

parte di esponenti del centrosinistra, il<br />

“salto di qualità” nella collaborazione tra<br />

Italia ed Egitto dopo la chiusura nel 2004<br />

della “rotta di Suez”. Grazie<br />

all’intervento diretto in quel paese di<br />

unità della guardia di finanza, in<br />

operazioni congiunte con le forze<br />

militari egiziane che fino al 2009 hanno<br />

prodotto come risultato l’arresto e la<br />

riconsegna (rendition) alle peggiori<br />

polizie di tutto il mondo di migliaia di<br />

migranti in fuga dalle guerre e dalle<br />

persecuzioni etniche o religiose.<br />

RICONSEGNATI AI LORO<br />

CARNEFICI<br />

Le operazioni di rimpatrio tra Italia ed<br />

Egitto, con voli diretti da Catania e<br />

adesso anche da Roma e da Palermo<br />

verso il Cairo sono state rese possibili,<br />

dopo l’intesa sottoscritta nel 2001,una<br />

intesa basata sullo scambio tra<br />

<strong>Casablanca</strong> pagina 28<br />

repressione dell’immigrazione irregolare<br />

e quote di ingressi legali nei decreti<br />

flussi annuali, un accordo che in quel<br />

periodo ha funzionato solo sul versante<br />

dei rimpatri forzati. Anche in questo caso<br />

la politica estera italiana non ha avuto<br />

soluzione di continuità con<br />

l’avvicendarsi dei diversi governi e<br />

ancora oggi i rimpatri sommari verso<br />

l’Egitto sono resi praticabili grazie<br />

all’Accordo di collaborazione firmato<br />

nel gennaio del 2007 dal governo<br />

italiano guidato da Prodi, in persona<br />

del sottosegretario agli esteri protempore<br />

Ugo Intini. Un accordo che,<br />

in cambio di qualche migliaio di<br />

posti riservati ai lavoratori egiziani<br />

nelle quote annuali previste dai<br />

decreti flussi, consentiva alle<br />

autorità consolari egiziane forme di<br />

attribuzione della nazionalità, se non<br />

dell’identità personale e dell’età,<br />

assai celeri, grazie anche alla<br />

collaborazione di funzionari e<br />

interpreti egiziani presenti in Italia.<br />

Dal 2005, peraltro, tra il governo italiano<br />

e quello egiziano esisteva un "Accordo<br />

di cooperazione in materia di flussi<br />

migratori bilaterali per motivi di lavoro",<br />

siglato al Cairo il 28 novembre 2005<br />

dall’allora ministro del lavoro Roberto<br />

Maroni. Nel testo dell’accordo si<br />

prevedeva che i due governi, al fine di<br />

"gestire in modo efficiente i flussi<br />

migratori e prevenire la migrazione<br />

illegale", s’impegnano a facilitare<br />

l’incontro tra la domanda e l’offerta di<br />

lavoratori migranti da e per l’Egitto. Il<br />

governo italiano, dal canto suo,<br />

s’impegnava a valutare l’attribuzione di<br />

una speciale quota annuale per lavoratori<br />

migranti egiziani. Nel protocollo<br />

esecutivo allegato all’accordo si leggeva<br />

anche che il ministero del Lavoro e<br />

delle politiche sociali italiano avrebbero<br />

dovuto comunicare all’omologo


ministero egiziano i criteri, ai sensi della<br />

normativa italiana, per redigere una lista<br />

(da pubblicare) di lavoratori egiziani<br />

disponibili a svolgere un’attività<br />

lavorativa subordinata anche stagionale<br />

in Italia.<br />

Basta verificare l’andamento dei decreti<br />

flussi adottati in questi ultimi anni e i<br />

ritardi accumulati, e poi controllare il<br />

numero di lavoratori egiziani<br />

effettivamente entrati in Italia con un<br />

visto di ingresso per ragioni di lavoro,<br />

per scoprire quanto questo accordo possa<br />

avere “giovato” ai giovani lavoratori<br />

egiziani, ancora costretti in gran parte a<br />

tentare la via dell’ingresso irregolare,<br />

magari evitando la traversata del<br />

Mediterraneo, ma spostandosi verso le<br />

frontiere orientali dell’Unione Europea.<br />

Oggi poi, l’Italia ha bloccato del tutto i<br />

decreti flussi annuali e, sia ai migranti<br />

economici che ai potenziali richiedenti<br />

Segregazione e respingimenti collettivi verso l’Egitto<br />

asilo, non è rimasta altra possibilità che<br />

tentare l’ingresso clandestino. Il<br />

proibizionismo dilagante nei confronti<br />

delle migrazioni, facile arma ad uso<br />

elettorale, ha arricchito quelle<br />

organizzazioni di trafficanti che gli stati<br />

a parole sostengono di contrastare,<br />

mentre è aumentato a dismisura il<br />

numero delle vittime dell’immigrazione<br />

clandestina. E nessuno ricorda che tra i<br />

migranti egiziani in fuga dal loro paese<br />

si sono già trovati parecchi esponenti<br />

nonostante i numerosi esposti presentati<br />

lo scorso anno a seguito degli abusi<br />

commessi ai danni dei migranti, ( tra<br />

questi di molti minori non<br />

accompagnati), a Lampedusa ed in altri<br />

luoghi di detenzione informale. Luoghi<br />

dai quali le persone, se non sono fuggite,<br />

sono state respinte o espulse senza<br />

rispettare le garanzie procedurali e<br />

sostanziali accordate dalla Costituzione<br />

<strong>Casablanca</strong> pagina 29<br />

italiana, dalle normative comunitarie,<br />

direttamente vincolanti nel nostro paese.<br />

Uno Stato che nasconde persino i<br />

migranti negli stadi, come è successo a<br />

Mazara del Vallo, pur di procedere a<br />

respingimenti lampo a carattere<br />

collettivo. Cadono i dittatori, cambiano i<br />

governi, continuano gli abusi ai danni<br />

dei migranti irregolari, ormai privati<br />

della dignità e dei diritti che andrebbero<br />

riconosciuti, comunque e ovunque, a<br />

qualsiasi essere umano, come recita<br />

l’art.2 del Testo Unico<br />

sull’immigrazione n.286 del 1998. Una<br />

norma ormai svuotata dalla<br />

discrezionalità delle autorità di polizia.


Mafia<br />

uno scavo giornalistico di chi non si arrende mai…<br />

Aveva scoperto<br />

un giro di truffe<br />

Gianni Lannes<br />

Francesco Marcone, direttore dell’Ufficio del Registro di Foggia, aveva scoperto un giro di<br />

truffe. E’ stato assassinato diciassette anni fa con due proiettili sparati alla nuca e alle spalle<br />

da un killer ignoto ( <strong>Casablanca</strong> maggio 2007). Per la giustizia italiana è solo un caso<br />

archiviato il 10 febbraio 2005. Per la Repubblica Italiana è una medaglia d’oro<br />

insignita dal Capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi, il 31maggio 2005, al Merito Civile e<br />

alla memoria: «Funzionario dello Stato, sempre distintosi per la salda preparazione<br />

professionale e l’alto rigore morale, costantemente impegnato a garantire il rispetto delle<br />

leggi e a contrastare ogni possibile tentativo d’illegalità, veniva barbaramente assassinato<br />

nell’androne della propria abitazione in un vile agguato». Nulla più: niente giustizia.<br />

Insomma, un caso dimenticato in tutta fretta, anzi volutamente accantonato.<br />

Insieme all’avvocato Giorgio<br />

Ambrosoli - ammazzato l’11 luglio 1979<br />

con quattro colpi di 357<br />

magnum, ha condiviso la<br />

difesa della legalità in<br />

cambio della vita.<br />

Francesco<br />

Marcone, un<br />

funzionario dello<br />

Stato assassinato<br />

diciassette anni fa<br />

con due proiettili<br />

sparati alla nuca e<br />

alle spalle da un<br />

killer ignoto che<br />

impugnava un<br />

revolver, per la<br />

giustizia italiana è solo un<br />

caso archiviato il 10 febbraio<br />

2005. Per la Repubblica Italiana è una<br />

medaglia d’oro insignita dal Capo dello<br />

Stato, Carlo Azeglio Ciampi, il<br />

31maggio 2005, al Merito Civile e alla<br />

memoria: «Funzionario dello Stato,<br />

sempre distintosi per la salda<br />

preparazione professionale e<br />

l’alto rigore morale,<br />

costantemente<br />

impegnato a<br />

garantire il rispetto<br />

delle leggi e a<br />

contrastare ogni<br />

possibile<br />

tentativo<br />

d’illegalità,<br />

veniva<br />

barbaramente<br />

assassinato<br />

nell’androne della<br />

propria abitazione in<br />

un vile agguato». Nulla<br />

più: niente giustizia. Insomma,<br />

un caso dimenticato in tutta fretta, anzi<br />

volutamente accantonato. Ora, grazie<br />

alla tenacia di uno scavo giornalistico<br />

di chi non si arrende mai, si apre uno<br />

<strong>Casablanca</strong> pagina 30<br />

spiraglio di verità inspiegabilmente<br />

elusa dagli inquirenti.<br />

Marcone aveva denunciato alla<br />

magistratura speculazioni finanziarie ed<br />

edilizie, nonché evasioni fiscali<br />

miliardarie, impattando in pratiche<br />

maledette: Foar e Sicilsud (su<br />

quest’ultima aveva indagato Giovanni<br />

Falcone prima di essere massacrato con<br />

sua moglie e la sua scorta dall’esplosivo<br />

fornito a Cosa Nostra dalla Sacra<br />

Corona Unita come hanno stabilito<br />

recentissime indagini scientifiche della<br />

Polizia di Stato). I responsabili<br />

(mandanti ed esecutori materiali) del<br />

delitto Marcone, anche a causa di<br />

ritardate e anomale indagine giudiziarie -<br />

insabbiate in un porto delle nebbie - non<br />

sono ancora stati individuati.<br />

ESECUZIONE MAFIOSA<br />

Foggia: 31 marzo 1995. Due spari netti


con proiettili calibro 38: il primo alla<br />

nuca a due metri di distanza. Il colpo di<br />

grazia alla schiena, con la vittima già<br />

stramazzata. Così, in una traversa di<br />

Corso Roma, di una città perennemente<br />

distratta e sorda. «Alle ore 19.15 circa, ci<br />

siamo portati in questa Via F. Figliolia al<br />

civico diciassette, ove erano stati<br />

segnalati esplosioni di colpi d’arma da<br />

fuoco. In loco, una volta all’interno dello<br />

stabile, si rinveniva nell’androne<br />

d’ingresso, un uomo accasciato ed in<br />

posizione bocconi, privo di vita» si legge<br />

nell’annotazione di servizio dei<br />

sovrintendenti della Polizia di Stato,<br />

Angelo Martino e Claudio Rinaldi.<br />

«Infatti, il cadavere si presentava disteso<br />

posizione bocconi sulle scale, con la<br />

parte dx del volto adagiata su di uno<br />

scalino e con un evidente foro di entrata<br />

di un proiettile alla nuca». E non un<br />

colpo qualsiasi: quello di un revolver<br />

calibro 38, inciso a croce sulla punta, ed<br />

una volta andato a bersaglio, si scamicia<br />

e si frantuma, con effetti devastanti. Il<br />

Rapporto della polizia scientifica,<br />

firmato dal vice ispettore Antonio De<br />

Flumeri su incarico del capo della<br />

Squadra Mobile Agostino De Paolis,<br />

rivela «che il cadavere era stato attinto<br />

da due colpi di arma da fuoco: uno,<br />

penetrato nella regione occipitale sinistra<br />

e fuoriuscito nella regione parietale<br />

destra; l’altro penetrato nella regione<br />

toracica sinistra (fianco) e fuoriuscito<br />

dalla regione destra del collo». La<br />

relazione del medico legale, Michele<br />

Castriota conferma «Causa di morte:<br />

emorragia endocranica per lacerazioni<br />

encefaliche ed emopericardio per<br />

lacerazioni miocardiche (…) Un<br />

proiettile è stato sparato a livello cranico<br />

a sinistra in sede occipitale con<br />

traiettoria, rispetto al soma della vittima,<br />

da dietro in avanti (…) Un proiettile è<br />

stato sparato a livello del torace, a<br />

sinistra (…)».<br />

COSA NOSTRA<br />

Adesso un solido indizio,<br />

incredibilmente trascurato, a carico del<br />

maggior sospettato, ossia Stefano<br />

Caruso, potrebbe far riaprire l’inchiesta<br />

giudiziaria mai decollata nonostante le<br />

schiaccianti evidenze (tra l’altro il<br />

sequestro di un<br />

revolver<br />

calibro 38),<br />

magari su<br />

diretto<br />

interessamento<br />

della Procura<br />

Nazionale<br />

uno scavo giornalistico di chi non si arrende mai…<br />

Antimafia. Constatazione critica: gli<br />

inquirenti non avrebbero verificato gli<br />

spostamenti, i contatti e la consistenza<br />

patrimoniale del maggior indiziato. Non<br />

ci avrebbe pensato neanche il magistrato<br />

Antonio Buccaro e neppure il collega<br />

Alfredo Viola. Il nuovo tassello è fornito<br />

dall’inspiegabile presenza allo Zabara<br />

Hotel di Bagheria (Palermo) dal 13 al 21<br />

aprile ‘95 - certificata da una scheda di<br />

soggiorno alla questura palermitana -<br />

appunto del Caruso, all’epoca direttore<br />

regionale pugliese delle Entrate,<br />

indagato e frettolosamente prosciolto.<br />

L’albergo, sede di alcuni summit<br />

mafiosi, come documentato dai<br />

carabinieri del Ros, era di proprietà della<br />

Cogeas srl, ovvero di Michele Aiello,<br />

noto imprenditore edile diventato<br />

manager della sanità, e prestanome del<br />

boss Bernardo Provenzano. Aiello, l’ex<br />

re Mida siculo, è stato condannato in via<br />

definitiva a 15 anni e sei mesi di<br />

reclusione per associazione mafiosa. Il<br />

manager della mafia, tuttavia, è stato<br />

recentemente scarcerato dalla prigione di<br />

Sulmona perché intollerante al menù<br />

carcerario, con un provvedimento del<br />

tribunale dell’Aquila. ‘Binnu u’ tratturi’,<br />

a quel tempo, fu curato nella limitrofa<br />

clinica Santa Teresa. Stefano Caruso -<br />

promosso dallo Stato dopo l’omicidio di<br />

Marcone a consigliere ministeriale - era<br />

già stato arrestato il tredici luglio 1996<br />

con l’accusa di abusi in atti d’ufficio,<br />

rivelazioni di segreti d’ufficio e concorso<br />

in evasione fiscale per circa un miliardo<br />

di lire, nonché per concorso<br />

nell’omicidio Marcone. Ma, se la cavò<br />

liscia.<br />

Chi aveva incontrato diciassette anni fa<br />

il Caruso nell’albergo di Cosa Nostra a<br />

Bagheria? Ma soprattutto che ci faceva<br />

in loco? Abbiamo provato a chiederlo<br />

direttamente all’interessato, senza<br />

ottenere risposta.<br />

PRATICA MALEDETTA<br />

Francesco Marcone, direttore<br />

dell’ufficio del Registro di Foggia, il<br />

ventinove marzo ’95, due giorni prima di<br />

essere assassinato, elaborò le deduzioni<br />

per la causa tributaria - con elusione<br />

fiscale di oneri miliardari - che opponeva<br />

l’ufficio del Registro a Foar (azienda con<br />

sede legale a Salerno e<br />

stabilimento a Foggia per<br />

la produzione di ghisa<br />

sferoidale). In<br />

un’intercettazione<br />

ambientale della Polizia,<br />

Caruso dice che “Foar<br />

vuol dire il notaio<br />

<strong>Casablanca</strong> pagina 31<br />

Francesco Paolo Pepe e Casillo”. In<br />

questo atto appare l’atto di cessione di<br />

immobile strumentale tra la FOAR Srl e<br />

la SICILSUD LEASING SPA, con il<br />

quale è stata realizzata la cessione di un<br />

compendio immobiliare. Questo tipo di<br />

operazione è assoggettato all’IVA, alle<br />

tasse fisse di Registro, trascrizione e<br />

catasto. Da un’attenta analisi sul reale<br />

contenuto dell’atto, il direttore Marcone<br />

era giunto alla conclusione che l’oggetto<br />

del trasferimento era costituito da uno<br />

stabilimento per la lavorazione della<br />

ghisa. La lavorazione e produzione<br />

necessita di una struttura, ovvero<br />

l’immobile, ma anche dei relativi<br />

macchinari, opportunamente diretti<br />

all’attività specifica. Inoltre, dall’atto in<br />

questione risulta che il trasferimento<br />

comprendeva tutte le accessioni,<br />

dipendenze e pertinenze inerenti. A<br />

seguito di questa lettura il Marcone<br />

chiedeva un supplemento d’imposta,<br />

considerando così la cessione non riferita<br />

ad una semplice pluralità di beni, ma ad<br />

un’azienda tecnicamente organizzata,<br />

perciò assoggettabile ad imposta di<br />

registro poiché fuori dal campo di<br />

approvazione iva. In tale senso andrebbe<br />

letto il relativo avviso di liquidazione<br />

notificato dall’Ufficio alla FOAR e alla<br />

SICILSUD. Oltre a ciò, tenuto conto che<br />

andava assoggettato ad imposta di<br />

registro il prezzo complessivo<br />

dell’operazione, riguardante oltre alla<br />

cessione dei beni immobili anche quella<br />

dei macchinari ed attrezzature, l’Ufficio<br />

estendeva la pretesa d’imposta al<br />

corrispettivo derivante dalla fattura di<br />

vendita dei macchinari e attrezzature<br />

emessa dalla FOAR nei confronti della<br />

SICILSUD, notificando ulteriore avviso<br />

di liquidazione alla FOAR. Il direttore<br />

Marcone aveva prospettato ai suoi diretti<br />

superiori una sorta di strategia illegale<br />

adottata dalle parti, costituita da alcune<br />

operazioni intermedie attraverso le quali<br />

si era reso concreto il trasferimento<br />

dell’intera azienda di proprietà FOAR<br />

alla NUOVA FOAR. Quest’ultima<br />

società era stata costituita come un altro<br />

contenitore nel quale riversare gli stessi<br />

soggetti della FOAR. In altri termini,<br />

tale escamotage aveva consentito agli<br />

stessi soggetti di realizzare un’azienda<br />

avente la medesima consistenza della<br />

precedente con un esborso fiscale<br />

minimo. Inoltre, la venditrice FOAR<br />

aveva reso una dichiarazione Invim nella<br />

quale prezzo e valore coincidevano. A<br />

tale scopo era stata utilizzata una<br />

certificazione del Comune di Foggia,<br />

dalla quale risultava che l’intero<br />

stabilimento era stato ultimato a ridosso


della vendita: ciò consentiva di indicare<br />

come valore iniziale al 2 novembre<br />

1990, data di presunta ultimazione dei<br />

lavori, la stessa cifra indicata come<br />

prezzo. In tal modo, coincidendo epoca e<br />

valori, non risultava alcun incremento e,<br />

quindi, nessuna imposta. In realtà, lo<br />

stabilimento - unico nel suo genere in<br />

Italia - “una sorta di gallina dalle uova<br />

d’oro” commenta un noto avvocato - era<br />

perfettamente visibile ed operativo da<br />

decenni e Marcone aveva accertato<br />

presso Ute e Conservatoria dei Registri<br />

Immobiliari, che la data di ultimazione<br />

dei lavori risaliva al 15 novembre 1973,<br />

perciò la data indicata come 2 novembre<br />

’90 si riferiva ad aspetti marginali del<br />

complesso industriale e non all’intero<br />

corpus. Da ciò scaturì l’accertamento in<br />

rettifica del valore iniziale. In più: la<br />

pratica edilizia risale al 1972. Un anno<br />

cruciale: infatti, un biglietto anonimo<br />

recapitato alla famiglia Marcone il<br />

ventinove novembre 1998 c’è scritto:<br />

“1972 è un foglio di carta da bollo da<br />

2000 quello con la bilancia è una<br />

collezionista (rivolgetevi a qualche<br />

collezionista)”.<br />

L’ultimo atto compiuto da Francesco<br />

Marcone in riferimento alla pratica<br />

FOAR è la redazione delle corpose<br />

controdeduzioni dell’Ufficio ai ricorsi<br />

proposti dalle parti, datate 29 marzo<br />

1995, vale a dire due giorni prima della<br />

sua morte.<br />

Nel primo decreto di archiviazione<br />

firmato dal giudice per le indagini<br />

preliminari Simonetta D’Alessandro la<br />

questione Foar è definita di «eccezionale<br />

delicatezza». Come ha sottolineato il<br />

provvedimento reso dal gip il sette aprile<br />

’96. L’ultimo atto di Marcone sulla Foar<br />

è inequivocabile: «La strategia posta in<br />

essere, frutto di menti raffinate ed<br />

esperte in giochi di alta finanza ha<br />

consentito agli stessi soggetti di trovarsi<br />

alla fine con un’azienda che ha la stessa<br />

consistenza patrimoniale della<br />

precedente, e tutto ciò con un sacrificio<br />

fiscale assai contenuto, usufruendo del<br />

regime IVA». Il dieci marzo 2001, il Gip<br />

Lucia Navazio aveva disposto «che il<br />

PM proceda ad ulteriori indagini sui temi<br />

innanzi indicati: - tra l’altro -<br />

«Identificare tutti i componenti degli<br />

organi collegiali della FOAR Srl, della<br />

NUOVA FOAR srl e della SICIL SUD<br />

spa (…) Individuare con precisione la<br />

natura dell’atto intercorso tra FOAR e<br />

SICILSUD, nonché ruolo svolto in<br />

concreto dal notaio. Acquisire notizie<br />

della vita societaria della Sicil Sud, come<br />

nasce (se proviene da trasformazione di<br />

altre società) e dati su tutti i soggetti<br />

uno scavo giornalistico di chi non si arrende mai…<br />

coinvolti nella vita di questa. Acquisire<br />

esito indagini del procedimento n.<br />

612798 RG mod. 21 per il reato di cui<br />

all’art. 479 c.p., nella compravendita<br />

della FOAR».<br />

LA PIOVRA<br />

Il meccanismo truffaldino era ingegnoso:<br />

i dirigenti dell’azienda con sede a<br />

Palermo, stipulavano contratti con clienti<br />

che utilizzavano il denaro erogato per<br />

scopi diversi, in altre parole senza<br />

acquistare i beni per i quali erano stati<br />

richiesti i finanziamenti. E intascavano<br />

le tangenti sui prestiti corrisposti. Il<br />

raggiro è stato scoperto nel giugno del<br />

1988. E ha portato in galera i dirigenti<br />

della finanziaria, con l’accusa di<br />

associazione a delinquere, truffa, falso in<br />

bilancio e frode fiscale. Il giro di<br />

fatturazioni false di aggirava sui<br />

cinquanta miliardi di lire. Presidente<br />

della società, controllata per il 60 per<br />

cento dalla banca San Paolo di Torino e<br />

per il 40 per cento dal Banco di Sicilia, è<br />

stato dal 1985 sino al trentuno dicembre<br />

1988, Pietro Verzeletti, componente in<br />

quel periodo del consiglio<br />

d’amministrazione dell’Itituto di credito<br />

torinese e soggetto cruciale della finanza<br />

rossa. Vicepresidente era Alfredo<br />

Spatafora, consigliere di<br />

amministrazione del banco di Sicilia. La<br />

Sicilsud venne fondata nel 1980. Dietro<br />

la Sicilsud Leasing, scoprirono gli<br />

inquirenti, si allungava l’ombra di Cosa<br />

Nostra. In un rapporto presentato dalla<br />

Guardia di Finanza il nove marzo del<br />

1989, emerge, infatti, come a gestire la<br />

truffa vi fossero personaggi legati alla<br />

mafia. A capo della banda di truffatori<br />

c’era il boss Tommaso Marsala,<br />

individuo di fiducia della cosca Spatola-<br />

Inzerillo, ucciso davanti al portone di<br />

casa in viale Strasburgo a Palermo, il 4<br />

agosto 1987. Un omicidio sul quale<br />

indagò Giovanni Falcone, allora giudice<br />

istruttore. Tommaso Marsala era<br />

coinvolto nell’inchiesta sulla strage di<br />

via Croce Rossa, avvenuta il sei agosto<br />

1985, dove vennero uccisi il<br />

vicequestore di Palermo, Ninni Cassarà<br />

e l’agente di scorta Roberto Antiochia.<br />

La Sicilsud Leasing - proprietaria<br />

<strong>Casablanca</strong> pagina 32<br />

l’Equiter Spa (Fin. Opi Spa), in altre<br />

parole il San Paolo Imi, risulta cancellata<br />

dal registro delle imprese a far data dal<br />

26 gennaio 2006. Il capitale sociale<br />

ammonta a 2.935.008,00 euro.<br />

ECOMAFIE<br />

Se digitate sul motore di ricerca Google,<br />

il termine “km 682,700”, internet vi<br />

mostra una pagina, dove appaiono due<br />

società: Fonderie di Foggia Srl e Blue<br />

service Srl (specializzata in “rifiuti<br />

industriali e speciali, nonché<br />

smaltimento e trattamento”, così recita la<br />

pubblicità). Strano caso: le due ditte a<br />

responsabilità limitata, ma con ragioni<br />

sociali diverse almeno sulla carta, hanno<br />

sede operativa nello stesso sito della<br />

FOAR Srl. La seconda ditta menzionata<br />

(Blue Service Srl) non è iscritta ad<br />

alcuna camera di Commercio. Da una<br />

ricerca nel ramo rifiuti emerge soltanto<br />

la Blu Service Srl con sede a Brendola<br />

in provincia di Vicenza, di cui è<br />

amministratore unico, tale Gobbo Rigo.<br />

Inoltre, dal terminale presso la Camera<br />

di Commercio non è autorizzato<br />

l’accesso all’assetto societario della<br />

Fonderie di Foggia con sede legale a<br />

Salerno. Infine, la F.O.A.R. (Fonderie<br />

Officine Antonio Romeo) S.R.L., risulta<br />

iscritta nella sezione ordinaria il 19<br />

febbraio 1996, ma la data di costituzione<br />

risale all’undici gennaio 1971.<br />

Presidente del consiglio<br />

d’amministrazione è Busachi Tomaso<br />

Antonio (nato a Cremona il 30 agosto<br />

1942), nominato il 2 luglio 1992, mentre<br />

i consiglieri sono Castagnazzo Matteo<br />

Ferruccio (nato a Bovino l’11 febbraio<br />

1945) ed Antonio Viotto (nato a Varazze<br />

il 2 agosto 1943). Oggetto sociale:<br />

“fusione di ghisa”. In ogni caso nel sito<br />

(località Santa Chiara) sono stati sepolti,<br />

o meglio maldestramente occultati<br />

ingenti quantitativi di rifiuti industriali<br />

che affiorano dal suolo. Il caso è stato<br />

sottoposto ai carabinieri della compagnia<br />

di Foggia, ma a tutt’oggi senza alcun<br />

esito.<br />

MANI SULLA CITTA’<br />

Non è tutto: ecco altri probabili moventi<br />

assassini in cui è invischiato Stefano<br />

Caruso. In un rapporto della Digos<br />

datato sette marzo 1997 è specificato:<br />

«Punto di snodo di entrambe le<br />

vicende sembra, allo stato dei fatti, il<br />

Caruso. Questi oltre ad essere<br />

interessato alla formazione dell’atto<br />

costitutivo dell’Immobiliare<br />

Mediterranea, cioè, la cessione a fini


edificatori di un’area di proprietà dei<br />

germani Marinari al costruttore<br />

Spezzati per sua stessa ammissione, è<br />

altresì intervenuto anche nella vicenda<br />

della piccola proprietà contadina<br />

incontrando i Sarni, che intendevano<br />

scavalcare Francesco Marcone.<br />

Annotano i pm Buccaro e Viola: «Il<br />

Caruso, nella qualità di Direttore<br />

regionale delle Entrate per la Regione<br />

Puglia, in palese violazione dei principi<br />

della legalità, imparzialità e buon<br />

andamento della Pubblica<br />

Amministrazione, ha assunto il ruolo di<br />

super consulente dei fratelli Marinari,<br />

dando precise direttive - in palese<br />

violazione di legge - sul tipo di atto da<br />

redigere per evitare una tassazione<br />

rilevante».<br />

A Caruso i poliziotti sequestrarono, il 13<br />

luglio ’96, un arsenale di armi e<br />

munizioni: «i1 revolver calibro 38, 1<br />

fucile automatico Breda, un fucile<br />

automatico calibro 12 Breda, 1 fucile<br />

automatico a canne affiancate calibro<br />

12 Bernarelli, 1 pistola automatica<br />

calibro 7,65, 1 pistola automatica<br />

calibro 6,35 Beretta, 1 fucile<br />

monocanna calibro 12 Merlin». Questa<br />

armi non sono mai state analizzate.<br />

Nel verbale di sommarie informazioni<br />

redatto in Questura il primo aprile ’95<br />

alle ore 00.40 si<br />

apprende dallo stesso<br />

uno scavo giornalistico di chi non si arrende mai…<br />

Caruso<br />

che «L’ultima volta che ho visto il<br />

Marcone è stata la sera del giorno 29<br />

marzo. Lo andai a trovare presso il suo<br />

ufficio senza alcun motivo, solo per<br />

chiacchierare e fare una piccola<br />

passeggiata in centro». L’impiegata Di<br />

Ciommo ha raccontato agli inquirenti:<br />

«un altro episodio che ricordo anche è<br />

quello occorso il giovedì 30 marzo 1995,<br />

verso le 17.20-17,30. Quel giorno mi<br />

recai dal direttore Marcone sempre per<br />

esaminare alcune pratiche. Ad un certo<br />

punto giunse una telefonata. Disse. “Qui<br />

ti fanno tremare, devi aver paura anche<br />

di firmare. Io ho sempre detto che<br />

Caruso era un tipo sanguigno ma non<br />

cattivo, ora le dico che è anche cattivo».<br />

Nell’interpellanza parlamentare<br />

urgente presentata il ventisei febbraio<br />

1998 (numero 2-00917) da Elio Veltri, è<br />

scritto: «Francesco Marcone è l’unico<br />

funzionario dello Stato<br />

dell’amministrazione finanziaria<br />

assassinato dal dopoguerra in poi,<br />

perché era rigoroso». E ancora:<br />

«L’aspetto più inquietante di tutta la<br />

faccenda è il coinvolgimento di<br />

dipendenti dell’amministrazione<br />

finanziaria, in particolar modo quello<br />

dell’ex direttore regionale delle<br />

entrate per la Puglia, Stefano<br />

Caruso». L’allora sottosegretario di<br />

Stato per le Finanze, Fausto Vigevani,<br />

aveva contestualmente risposto: «come<br />

confermato dalle indagini condotte dalla<br />

magistratura che hanno portato<br />

all’individuazione di gravi illeciti<br />

determinanti evasioni fiscali per circa tre<br />

miliardi di lire, in cui sono risultati<br />

coinvolti il direttore regionale delle<br />

entrate per la Puglia, dottor Caruso, ed<br />

imprenditori e professionisti locali».<br />

TRUFFA ALLO STATO<br />

Con atto registrato il nove luglio 1990, i<br />

fratelli Sarni Carmine e<br />

Alessandro acquistano a<br />

Montenero di Bisaccia in<br />

provincia di Campobasso,<br />

un appezzamento di<br />

terreno di circa 188 ettari,<br />

in prossimità<br />

dell’autostrada adriatica.<br />

I germani invocano i<br />

benefici della legge 604<br />

del 1956 per la piccola<br />

proprietà contadina e<br />

presentano un<br />

certificato<br />

manomesso<br />

dell’Ispettorato provinciale<br />

dell’Agricoltura di Foggia, al fine di<br />

eludere il pagamento delle tasse pari a un<br />

<strong>Casablanca</strong> pagina 33<br />

miliardo e mezzo di vecchie lire. In un<br />

rapporto risalente al diciotto febbraio<br />

1995, siglato dall’allora capitano della<br />

Guardia di Finanza, Giacomo Ricchitelli<br />

si puntualizza che «Dalle indagini svolte<br />

è emerso che sia il certificato<br />

provvisorio che quello definitivo sono<br />

risultati falsi». La legge dispone che<br />

beneficiano delle agevolazioni gli<br />

acquirenti che si dedicano abitualmente<br />

alla coltivazione della terra. I Sarni -<br />

nativi di Ascoli Satriano - partendo dalle<br />

truffe sulla piccola proprietà contadina<br />

hanno costruito in impero economico<br />

che sta fagocitando le autostrade italiane<br />

con punti vendita e autogrill e<br />

supermercati (ad esempio a Sulmona<br />

dov’era recluso Aiello, socio di<br />

Provenzano). Chi ha fornito i capitali di<br />

partenza ai fratelli di Ascoli Satriano?<br />

Da una visura camerale risulta che<br />

Stefano Caruso è consigliere in affari dei<br />

fratelli Sarni. Dove? A Sulmona,<br />

precisamente nella società, o meglio nel<br />

centro commerciale Il Borgo. Il core<br />

business sarniano è legato alle aree di<br />

servizio (il secondo gruppo italiano del<br />

settore, dopo Autogrill). Ma ad esso si<br />

sono affiancate - con la società Finsud<br />

Srl - con prepotenza anche l’attività di<br />

ristorazione dei centri commerciali e la<br />

gestione e lo sviluppo della rete di<br />

vendita del comparto oreficeria e<br />

gioielleria Follie d’Oro. E infine<br />

l’attività immobiliare.


Una svolta? Una evoluzione? Un prodotto del nostro tempo…<br />

Mafia: inchiesta<br />

Margherita Passalacqua…<br />

genere - mafiosa<br />

Graziella Proto<br />

Margherita Passalacqua - indole delinquenziale e spiccato senso dell’appartenenza è la figlia<br />

di Calogero Battista Passalacqua - il reggente mafioso di Carini. In base alle intercettazioni<br />

ambientali e alle investigazioni giudiziarie, pare sia stata, sin dalla giovane età, compartecipe<br />

del percorso delinquenziale familiare, iniziato dal padre decenni addietro e proseguito dal<br />

fratello Giuseppe. Assieme al padre Calogero Battista detto “I santi”è stata arrestata per reati<br />

di mafia a novembre dell’anno scorso per essere rilasciata poco tempo dopo perché mamma<br />

di una neonata di quattro mesi da accudire.<br />

Assieme ai genitori, al marito Salvatore<br />

Sgroi, Failla Vito, Lo Duca Giacomo e<br />

al cugino Frisella Croce, Margherita costituisce<br />

il vertice operativo della famiglia<br />

mafiosa di Carini, all’interno della<br />

quale viene tenuta in grande considerazione<br />

non solo perche figlia del “boss”<br />

ma soprattutto perché dimostra di avere<br />

le qualità per interagire all’interno del<br />

sodalizio criminale. Una protagonista<br />

assoluta.<br />

Un personaggio quindi, che vive di luce<br />

propria, la cui durezza e solidità è manifestata<br />

soprattutto quando esegue gli ordini<br />

impartiti dal padre. Spesso “ordini”<br />

decisi insieme. Una durezza che manife-<br />

sta e che impresta al padre quando le<br />

sembra che egli tenda verso la pietà e la<br />

comprensione.<br />

Spesso però (così come si evince da alcune<br />

intercettazioni), in apparenza, preferisce<br />

fare un passo indietro, ma è solo<br />

un espediente per tutelare l’immagine<br />

del genitore - padrino. ”…ma io infatti<br />

glielo volevo dire subito sì - racconta al<br />

padre e alla madre - però dissi aspetta<br />

un minuto, prima parlo con mio padre<br />

…” . Oppure, “ se io devo decidere sì …<br />

le persone non devono capire …” . Potrebbero<br />

pensare “arriva e comanda lei,<br />

suo padre non passa e non conta più”.<br />

PER CAPIRNE DI PIU’ ( pubblicato su CASABLANCA marzo 2012)<br />

<strong>Casablanca</strong> pagina 34<br />

MAFIOSA E COCCA DI PAPÀ!<br />

Sfruttando l’esser donna, nella convinzione<br />

che le donne in qualche modo siano<br />

più tutelate legalmente ed al riparo<br />

da coinvolgimenti in fatti delittuosi,<br />

Margherita pare essere responsabile della<br />

raccolta del pizzo, anzi,qualcuno sostiene<br />

che a volte, lei stessa non si esime<br />

dal farlo personalmente. Un esempio<br />

concreto di mafiosa. “ Donna con i pantaloni”,<br />

che siede con merito tra gli uomini<br />

che costituiscono il vertice operativo<br />

della consorteria mafiosa.<br />

Da sempre vicino ai “Corleonesi”, Calogero Passalacqua detto “Battista i Santi” sin dai tempi del Maxiprocesso è<br />

considerato elemento di spicco nell’organizzazione di Cosa Nostra palermitana. I primi rapporti giudiziari redatti sul suo<br />

conto risalgono agli anni 70 e lo fotografano come storico reggente della famiglia mafiosa di Carini.<br />

A novembre scorso, Calogero Battista Passalacqua storico uomo d'onore di “Cosa Nostra” è stato arrestato assieme alla<br />

figlia Margherita, elemento di spicco del clan. Si trovava agli arrest i domiciliari nella sua casa di Carini dal 2007.<br />

Recluso nella sua casa, Battista i Santi è circondato da affetto e rispetto. Conosce tutti e sa tutto di tutti. Mantiene rapporti.<br />

Riceve visite. L’anzianità, la lunga militanza nelle fila di “Cosa nostra”, la sua storia personale, il carisma da padrino,<br />

gli crea fedeltà e stima. Gode della protezione di una cortina quasi impenetrabile. Dalla sua casa situata nel cuore<br />

di Carini ha il totale controllo di quanto avviene all’esterno delle mura domestiche, grazie alla complicità del vicinato,


Una svolta? Una evoluzione? Un prodotto del nostro tempo…<br />

soggetti che pur non potendo definire mafiosi o criminali di sicuro gli permettono di controllare meticolosamente il<br />

quartiere dove vive. Avvicinarsi a quell’abitazione senza essere notati, era quasi impossibile, persino i bambini, sembra<br />

siano stati addestrati a guardarsi dagli “sbirri” mentre giocano in strada. Rendendo così le indagini a suo carico molto<br />

difficoltose. Fra i più fedeli, Grigoli Gianfranco arrestato a Montepulciano perché favoriva la sua latitanza e che è rientrato<br />

in Sicilia per ubbidire al capo. C’è dell’altro, l’abitazione di Grigoli ha un ingresso che comunica con l’abitazione<br />

dei Passalacqua . Una bella situazione per non dare nell’occhio. Il fedele Grigoli, spesse volte è stato notato mentre accoglieva<br />

all’esterno dell’edificio, o a volte addirittura accompagnare con la sua macchina, soggetti che secondo gli inquirenti<br />

sono molto vicini al reggente che da lui si recavano per le” riunioni” nella casa-prigione. Da lì, secondo gli investigatori,<br />

il reggente, decide gli indirizzi che l’organizzazione criminale deve perseguire e risolve personalmente, la<br />

gestione del potere economico, cioè l’economia dell’intero paese. Inoltre, come un vero padrino, interviene per risolvere<br />

controversie, offrire raccomandazioni, ascoltare tutti quelli che lo richiedano. Invia messaggi che scrive e spesso consegna<br />

la figlia Margherita.<br />

In alcuni casi è stato visto che i messaggi sarebbero brevi scambi di battute fra Passalacqua affacciato al balcone della<br />

propria abitazione, e soggetti che si fermavano lungo la strada a breve distanza. Poche parole appena sillabate. Oppure<br />

un bigliettino appallottolato.<br />

Violenta, aggressiva … persuasiva. Non<br />

lo è solo con i nemici, sfrutta queste sue<br />

caratteristiche e il suo ruolo anche con il<br />

suo avvocato, minacciandolo di fargliela<br />

pagare a lui e tutti quelli che ci sono sulla<br />

strada per arrivare ai giudici se non<br />

concedono il permesso a suo padre -<br />

agli arresti domiciliare – per partecipare<br />

al battesimo della nipotina a cui deve fare<br />

da padrino.<br />

( intercettazione ambientale, mentre lo<br />

racconta al padre e alla madre)<br />

“ … Non ci siamo capiti - dice<br />

all’avvocato – allora, tu vai a presentare<br />

il permesso e ci metti per iscritto<br />

che te ne assumi la responsabilità, tu,<br />

con la scorta di altri quarantacinquemila<br />

sbirri … cornuti e sbirri …<br />

mio padre deve battezzare a mia figlia<br />

gli ho detto, mi è bastato che non è<br />

venuto al matrimonio mio …” e giù<br />

minacce per tutti, giudici compresi.<br />

Il battesimo della bimba di Margherita,<br />

per la “famiglia”, Passalacqua rappresentava<br />

l’occasione di mostrare a tutti<br />

che, il clan, capeggiato dal vecchio patriarca<br />

era ritornato più forte e compatto<br />

di prima. Erano nuovamente in ascesa.<br />

Un modo per lanciare messaggi e segnali<br />

che facilitassero la gestione del potere.<br />

Dunque, l’avvocato con le buone o con<br />

le cattive doveva intervenire con i giudici.<br />

UNA SVOLTA?<br />

UNA EVOLUZIONE?<br />

Il boss di Carini è contento di questa fi-<br />

glia, anche perché il figlio Giuseppe è in<br />

carcere. E poi diciamolo, Margherita dà<br />

più soddisfazioni. E’ più attenta. Non<br />

combina cazzate. E’ irruenta quanto basta<br />

per intimidire. E’decisa. E’ Presente,<br />

adora il padre. Lui, la tiene molto in<br />

considerazione e nei casi importanti o<br />

urgenti utilizzi la figlia per scrivere e<br />

consegnare i “pizzini”. Da donna dà<br />

meno nell’occhio ed è considerata più<br />

libera nei movimenti. Inoltre, il marito,<br />

altro soggetto inserito nella consorteria<br />

criminale, all’epoca era sottoposto alla<br />

sorveglianza speciale di P.S. Sembrerebbe<br />

che il marito di Margherita, Salvatore<br />

Sgroi, con precedenti per associazione<br />

mafiosa, spaccio e traffico di droga,<br />

sia stato ufficialmente affiliato anche<br />

per volere della consorte. Dalle risultanze<br />

investigative, infatti, emerge che Salvatore<br />

Sgroia è una figura che vive<br />

all’ombra della moglie, donna dalla forte<br />

personalità autoritaria.<br />

Passalacqua gestiva i rapporti con<br />

l’esterno tramite “suoi ambasciatori”.<br />

La figlia e il genero, ovviamente i più<br />

fedeli ed affidabili, non si sottraggono ai<br />

doveri implicanti la partecipazione attiva<br />

alla vita della “famiglia”. E così anche<br />

il genero, dalla “sua seconda posizione”<br />

convoca incontri, riferisce gli<br />

esiti.<br />

Margherita invece porta fuori le direttive<br />

e i “pizzini” ricevuti dal padre. Parla<br />

con i destinatari. Consegna al padre i<br />

messaggi ricevuti. Negli ultimi tempi,<br />

diffidente e sospettosa di essere spiata<br />

all’interno del suo esercizio commercia-<br />

<strong>Casablanca</strong> pagina 35<br />

le, suggerisce di non svolgere incontri<br />

nel negozio in quanto dice “pieno pieno”,<br />

facendo riferimento ad eventuali<br />

microspie. Si affaccia fuori dal negozio<br />

per parlare con certe persone. Donna<br />

furbissima.<br />

Nella famiglia di Carini, le donne. Anche<br />

se non affiliate con il rito, partecipano<br />

alle attività dei loro uomini come<br />

se fosse una cosa normale. E’ una normalità<br />

spacciare, contattare, sostituire,<br />

intestarsi attività commerciali quando il<br />

capo famiglia è in galera. Nascondere e<br />

custodire la droga. Scambiarsi gentilezze<br />

e cortesie quando vanno a trovare i<br />

loro detenuti. Una volta, la moglie del<br />

mafioso, detenuto o no, si cercava di occultarsi,<br />

per vergogna o riservatezza.<br />

Non sbandierava ai quattro venti la situazione.<br />

A Carini, le mogli, madri, figlie,<br />

affrontano le galere e i reati dei loro<br />

congiunti alla luce del sole. Come se<br />

fossero stellette da appendere al petto.<br />

Come se il carcere fosse un albergo a<br />

cinque stelle e il reato, un normale mestiere.<br />

Giuseppe Passalacqua, figlio del<br />

boss e fratello di Margherita è in galera,<br />

un fatto che ha sempre irritato la sorella,<br />

secondo la quale non ha saputo gestire<br />

la situazione.<br />

Se fosse stata informata dice al padre “..<br />

Gli avrei detto, guarda, lasciamo i telefoni<br />

qua dentro l’ufficio, andiamocene,<br />

chi vuole … (incomprensibile)<br />

… Anzi passiamoci, gli diciamo noi,<br />

mettimi i vestiti in un sacchetto due<br />

tre cambi in un sacchetto”….mettici<br />

una coperta”


Una svolta? Una evoluzione? Un prodotto del nostro tempo…<br />

Da questa intercettazione, è evidente,<br />

che la figlia del capo sa di luoghi ove<br />

trovare riparo ed assistenza in caso di latitanza.<br />

Conosce i covi utilizzati dalla<br />

famiglia. Conosce le persone delegate a<br />

Intercettazione telefonica<br />

supportare. Mantenere. Nascondere. Vigilare.<br />

Una conoscenza che di per se<br />

conferma ancora una volta il ruolo attivo<br />

di Margherita Passalacqua all’interno<br />

della famiglia mafiosa di Carini.<br />

Margherita racconta al padre le modalità con cui ha richiesto i soldi a tale Angelo.<br />

(Decr. nr. 1924/09 NRG NC DDA -877/09 NRI datato 20/04/2009 prog. nr.934)<br />

P: Passalacqua Calogero<br />

M: Passalacqua Margerita<br />

M:….(omissis)….Angeluzzo, avanti ieri sera è passato davanti al negozio, siccome lui mi aveva detto avanti ieri a fine mese,<br />

passò con la macchina, gli ho detto Angelù, il mese è finito ed è iniziato l’altro, dice, ora vediamo, la<br />

settimana prossima eh…, mentre camminava, gli ho detto Angelù, questa settimana, nel mentre<br />

c’erano persone e se ne andato, macchine e se ne andato, siamo andati a prendere il pane da..da Enzo,<br />

e lo trovo fermo là che parlava con quello,Angelù, vieni qua…(incomprensibile)…se tu pensi di<br />

prendere per il culo gli ho detto, un cristiano che ha due anni che agli arresti domiciliari, gli ho<br />

detto, tu hai sbagliato numero di casa,mi devi portare i soldi di mio padre, ah ma lo sai, i 150 te<br />

li posso dare questo mese, 150 il prossimo mese, gli ho detto Angelù, per me te ne puoi andare<br />

ad impiccarti, ti fai campare da quel cornuto di tuo suocero, tu questa settimana mi devi portare<br />

300 euro, ti è finita gli ho detto, tu vai a prendere in giro a mio padre…<br />

P:…(Incomprensibile)…<br />

M:…Gli ho detto, gli dici ad un mese, gli ho detto…<br />

P:..No una settimana mi ha detto…<br />

M:..Ed io gli ho detto, gli hai detto…(incomprensibile)…ma io ho avuto problemi…, se io ho mio padre abbiamo problemi a te<br />

non te lo veniamo a dire, tu non sei figlio di mio padre e se nessuno immischiato con niente, non ti permettere più a prendere in<br />

giro a mio padre e mi devi portare i soldi subito, ah…ma sai, 150 questa settimana, ti vai ad impiccare gli ho detto, voglio tutti<br />

i soldi questa settimana, perché ti finisco, da femmina e buona ti alzo uno schiaffo ti sconzo …(testuale)…qua…<br />

M:…No, gli ho detto, ti finisco,completamente ti smonto,gli ho detto, vai da tuo suocero visto che è tanto persona per bene<br />

e te li fai dare da lui e glielo dici che sei un farabutto, a tuo suocero…<br />

P:..(incomprensibile)…<br />

M:..Diglielo che sei un farabutto…voglio i soldi questa settimana ed appena tu sgarri, gli ho detto ti infilo…(incomprensibile)…da<br />

femmina e buona c’è la so a smontarti, gli ho detto, vedi quello che devi fare e me ne sono venuta<br />

da te, gli ho dato l’invito a …(incomprensibile)…lui ha preso e se ne andato da Salvo( marito di Margherita) che stava<br />

uscendo dal panificio, gli dice c’è ne posso dare 150 la settimana, 150 la prossima…gli dice Angelù,se mia moglie ti ha<br />

detto che li vuole questa settimana, perche dice, glieli lascio io a tuo padre, no me li devi venire a lasciare a me, da mio<br />

padre tu non ci devi mettere più piede, ci fa…(incomprensibile)…con mio padre non hai più niente da parlarci…<br />

P:…(incomprensibile)….<br />

M:…Ti sembra che ti và a finire meglio di qua gli ho detto, non ti va a finire meglio di me…<br />

P:…(incomprensibile)…questi per una settimana…<br />

M:…E ieri ha portato 200 euro…<br />

P:…gli dici questi per una settimana…<br />

“ti vai ad impiccare gli ho detto,<br />

voglio tutti i soldi questa settimana,<br />

perché ti finisco, da femmina e buona<br />

ti alzo uno schiaffo ti sconzo”<br />

<strong>Casablanca</strong> pagina 36


Mafioso? No, un Pirla incandidabile<br />

Mafioso?<br />

No, un pirla incandidabile<br />

Franco Lo Re<br />

Un fondo di settanta ettari confiscati al narcotrafficante mafioso Totò Miceli, uomo fidato del<br />

latitante Matteo Messina Denaro, stava per essere assegnato ad un amico dell’onorevole<br />

Gianmmarinaro. Ritardi ed altalene. Condizionamenti? Una altra goccia che ha fatto<br />

traboccare il vaso. Vittorio Sgarbi è uscito proprio malamente dalla vicenda di Salemi.<br />

Secondo il tribunale di Marsala, non è candidabile, ma lui si candida lo stesso a Cefalù. Con<br />

l’arroganza e la tracotanza che lo contraddistingue. “Partito della Rivoluzione”. Rivoluzione<br />

di che? L’altra lista “Concorso esterno” pare non sia andata in porto per vizi di forma. tutto<br />

ciò non è ironico. Non è un gioco. Nessun problema linguistico. Per di più, la mafia è mafia e<br />

non si fanno accordi o inciuci con i mafiosi. In sicilia non abbiamo bisogno di personaggi<br />

spregiudicati, sempre pronti a fare provocazioni. Vogliamo essere razzisti, perciò,<br />

pretendiamo politici seri, competenti, presenti, interessati ai problemi territoriali.<br />

“Sgarbi? Non è un mafioso. Come si<br />

dice a Milano è un pirla”. Ad esprimersi<br />

così, all'indomani delle dimissioni di<br />

Vittorio Sgarbi da sindaco di Salemi, fu<br />

il fotografo Oliviero Toscani in una<br />

intervista ad un quotidiano nazionale. Per<br />

circa un anno era stato assessore alla<br />

Creatività della giunta del critico ferrarese.<br />

Aveva convissuto politicamente, e non<br />

solo, senza battere ciglio con l’intero<br />

entourage della potente macchina di potere<br />

dell’ex deputato democristiano Pino<br />

Giammarinaro. Collaborando in giunta<br />

con i suoi fedelissimi: a cominciare dal<br />

vicesindaco Nino Scalisi, da sempre e<br />

notoriamente l’alter ego di Giammarinaro<br />

e per finire col di lui cognato Angelo<br />

Calistro. Tutto alla luce del sole,<br />

intendiamoci. Con atti, documenti e<br />

filmati. Sarebbe stato questo, infatti, il<br />

leitmotive ripetuto da Sgarbi in ogni<br />

occasione per replicare alle accuse<br />

mossegli. Argomentazioni, per certi<br />

versi, condivisibili. Ove si pensi che i<br />

personaggi indicati sempre stati presenti<br />

sulla scena politica cittadina da un<br />

trentennio e sempre rimasti indisturbati.<br />

A cominciare appunto dallo stesso Pino<br />

Giammarinaro. Dominus incontrastato<br />

per oltre un trentennio nella sanità<br />

pubblica trapanese . Di riflesso in quella<br />

politica perché detentore di un cospicuo<br />

pacchetto di voti in grado di fare<br />

eleggere deputati regionali e nazionali e<br />

consiglieri comunali e provinciali. E<br />

quindi, ha buon gioco lo showman<br />

Sgarbi quando sostiene, certamente<br />

strumentalmente, che non di mafia si<br />

tratta, ma di politica. Altro che<br />

infiltrazioni mafiose, aveva subito<br />

rinfacciato al suo ex amico tacciandolo<br />

addirittura anche di razzismo!<br />

<strong>Casablanca</strong> pagina 37<br />

Insinuando “non avendo ottenuto<br />

quello che voleva a Salemi, con le sue<br />

richieste di finanziamento, ha chiamato<br />

mafia quello che a Lucca avrebbe<br />

chiamato patto di stabilità. Il suo è un<br />

problema linguistico, che rivela un<br />

sostanziale razzismo”. Ma per il<br />

fotografo milanese le infiltrazioni<br />

c'erano e “non si poteva fare nulla<br />

senza parlare con questo e con quello,<br />

senza chiedere permesso, senza<br />

passare da un'infernale macchina<br />

burocratica che è mafia”.<br />

SARO’ IL SINDACO<br />

DI CEFALU’<br />

Come sono andate le cose, ormai è noto a<br />

tutti. Dopo le dimissioni di Sgarbi, c’è<br />

stato lo scioglimento del Comune di<br />

Salemi per infiltrazioni mafiose. Fino<br />

alla sentenza di alcuni giorni emessa dal<br />

Tribunale di Marsala che ha dichiarato


Vittorio Sgarbi "incandidabile" in vista delle<br />

prossime elezioni amministrative.<br />

Suscitando l’immediata e indispettita<br />

reazione da parte del critico d'arte. Lui non<br />

ci sta. E si è candidato ugualmente<br />

affermando che “questa è solo la sentenza di<br />

primo grado e ce ne sono altre tre, l'appello,<br />

la cassazione e la Corte di Strasburgo". E<br />

così dopo l’avventura consumata sulle<br />

amene colline salemitane, il ferrarese,<br />

invece di risalire lo stivale per ritornare<br />

nelle brumose pianure natie, ha scelto di<br />

restare nell’ospitale terra siciliana in una<br />

altrettanto ospitale e ridente cittadina.<br />

Stavolta marina. Approdando sul litorale<br />

della cittadina della Mandralisca, ha scelto<br />

di candidarsi a sindaco di Cefalù.<br />

Affascinato forse dal “Sorriso di un ignoto<br />

marinaio”, si è presentato capeggiando una<br />

formazione politica di sua invenzione,<br />

goliardicamente battezzata “Partito della<br />

Rivoluzione”, promettendo di innalzare ai<br />

vertici del turismo isolano la cittadina<br />

normanna. Avrebbe dovuto essere<br />

fiancheggiata da una terza lista<br />

allusivamente denominata ''Concorso<br />

esterno'”. Ma non se n’è fatto più nulla.<br />

Sembra per vizi di forma. E la sentenza di<br />

Marsala? "Intanto mi candido e se sarò<br />

eletto, farò il sindaco, poi quando verrà<br />

emessa la sentenza definitiva, ne<br />

riparleremo". Ha chiosato. E poco importa<br />

se nei giorni precedenti ci siano state<br />

polemiche sulla presenza inquietante di tale<br />

Giuseppe Farinella, cugino di un<br />

pregiudicato per mafia, detto “Oro colato”,<br />

famoso imprenditore della zona madonita,<br />

originario di San Mauro Castelverde. E<br />

poco conta se sulla vicenda sia intervenuta<br />

anche Sonia Alfano, eletta recentemente<br />

Mafioso? No, un Pirla incandidabile<br />

Presidente della Commissione CRIM (sul<br />

crimine organizzato, la corruzione e il<br />

riciclaggio di denaro) del Parlamento<br />

Europeo. Fra i due, fin dai tempi della<br />

campagna elettorale del 2008, ogni<br />

occasione è stata buona per innescare una<br />

polemica al calor bianco. “Era ovvio”- ha<br />

sottolineato l’Alfano- “ che Vittorio<br />

Sgarbi non potesse candidarsi a sindaco<br />

di Cefalù dopo quanto accaduto a Salemi,<br />

cittadina abbandonata nelle mani della<br />

mafia da un sindaco assente e con<br />

frequentazioni a dir poco ambigue.<br />

Ricordo anche che Sgarbi ha spesso<br />

lanciato assurde invettive sull’inesistenza<br />

della mafia, affermando che i familiari<br />

delle vittime innocenti la stessero<br />

utilizzando come pretesto per i propri<br />

interessi”. A cui l’ex sindaco di Salemi ha<br />

subito controbattuto dicendo che “la<br />

Alfano dimentica che l’unico elemento su<br />

cui poggia lo scioglimento di Salemi non è<br />

in fatti criminosi ma nelle dichiarazioni di<br />

un pubblicitario come Oliviero Toscani<br />

che ha mentito nella sua ignoranza<br />

confondendo la giunta con la sala<br />

d’aspetto.”<br />

RITARDI,INERZIE, ILLEGALITA’,<br />

CONDIZIONAMENTI<br />

Ritornando alle vecchie accuse nei<br />

confronti del fotografo milanese.<br />

Ignoranti tutti, per Sgarbi. Anche il<br />

Tribunale di Marsala. Perché “la<br />

sentenza è un insieme di menzogne<br />

fondate sull’ignoranza, a partire della<br />

richiesta inesistente del ministro<br />

Cancellieri a cui è stato arbitrariamente<br />

attribuito di aver chiesto la mia<br />

incandidabilità con una sentenza ad<br />

personam, mentre la richiesta del<br />

ministro riguardava, per sua stessa<br />

ammissione, il solo consiglio comunale,<br />

senza nessun riferimento personale.” Si<br />

tratta di una sentenza emessa ai sensi<br />

<strong>Casablanca</strong> pagina 38<br />

dell’art. 143 della legge 267 del 2000,<br />

testo unico sugli enti locali siciliani.<br />

Quisquiglie e pinzillacchere, direbbe, il<br />

principe De Curtis. Così come poco<br />

conta se il ministero dell’Interno abbia<br />

scritto che “il sindaco ha precise<br />

responsabilità per ritardi e inerzie<br />

nell’assegnazione e gestione dei beni<br />

confiscati, formazione degli atti fuori<br />

dalle sedi istituzionali, libera<br />

determinazione fortemente ostacolata,<br />

applicazione di facciata dei protocolli<br />

di legalità”. Si tratta di un duro atto<br />

d’accusa in cui si descrive<br />

un’amministrazione controllata da un<br />

ex sorvegliato speciale. Dall’ex<br />

deputato regionale della Dc, lo<br />

andreottiano Pino Giammarinaro, come<br />

dicevamo prima. E che il famoso<br />

rapporto investigativo del mese di<br />

maggio dello scorso anno definiva<br />

“puparo e regista nemmeno tanto<br />

occulto” tanto da far chiedere al<br />

questore Carmine Esposito, al<br />

Tribunale di Trapani l’applicazione di 5<br />

anni di sorveglianza speciale, e il<br />

sequestro di beni per un ammontare di<br />

ben 30 milioni di euro. Stiamo<br />

parlando della ormai citatissima<br />

indagine “Salus Iniqua”. Seguì<br />

l’ispezione al Comune di Salemi,<br />

durata molti mesi: nel corso della quale<br />

tutta l’attività amministrativa degli<br />

ultimi tre anni fu passata al setaccio. Al<br />

termine della quale fu prodotta una<br />

relazione presentata al Ministro<br />

Cancellieri e da questa infine fatta<br />

propria. Un corposo documento in cui<br />

si sostiene che “l’amministrazione, col<br />

sindaco e vicesindaco, non ha posto<br />

alcun argine al condizionamento<br />

esercitato dall’on. Giammarinaro”. E<br />

paradossalmente il Ministro sottolinea<br />

che “è il sindaco ad affermare la<br />

centralità della figura di<br />

Giammarinaro, anche a proposito della


attribuzione di incarichi e nomine”.<br />

Citando un incontro pubblico, presenti il<br />

presidente del Consiglio di Salemi Giusy<br />

Asaro e diversi consiglieri comunali. Nel<br />

corso del quale Vittorio Sgarbi precisò che<br />

qualsiasi rivendicazione politica, anche<br />

relativa a nuove nomine o concernente la<br />

gestione del quotidiano e delle dinamiche<br />

comunali, doveva essere discussa con Pino<br />

Giammarinaro. Una fonte oltre che<br />

attendibile, anche autorevole circa il<br />

“condizionamento” su l’attività<br />

amministrativa della giunta. Le ripetute<br />

assenze di Sgarbi dal territorio del comune<br />

di Salemi del resto resero possibile, se non<br />

addirittura agevolato, lo sviamento<br />

dell’attività amministrativa. Nel periodo<br />

preso in esame che va dal 2008 al maggio<br />

del 2011, è emerso inoltre che “molti<br />

elementi della compagine elettiva e dei<br />

dipendenti comunali abbiano precedenti<br />

penali e di polizia, tra l’altro per reati<br />

concernenti la truffa per il conseguimento<br />

di erogazioni pubbliche, la turbativa<br />

d’asta in appalti nonché per reati<br />

associativi di tipo mafioso” .<br />

Sarebbero emersi elementi sintomatici che<br />

evidenziano una serie di cointeressenze,<br />

anche contrapposte (!), tra amministratori<br />

locali, apparato burocratico ed esponenti<br />

della criminalità organizzata. In modo<br />

particolare per quanto attiene al vicesindaco<br />

Antonella Favuzza “legata da stretti vincoli<br />

con noti e storici esponenti delle locali<br />

famiglie criminali..” che, come si legge in<br />

una nota dell’Arma dei Carabinieri,<br />

nell’esercizio del proprio mandato, “non ha<br />

posto in essere alcun serio effettivo<br />

contrasto ai condizionamenti di<br />

Giammarinaro, ma ha invece perseguito,<br />

nel corso del proprio mandato, finalità volte<br />

ad incrementare i propri interessi<br />

economici, in ciò coadiuvata da soggetti<br />

con precedenti reati associativi e contigui<br />

alle cosche malavitose”. Ma anche il<br />

sindaco Sgarbi avrebbe permesso a Pino<br />

Mafioso? No, un Pirla incandidabile<br />

Giammarinaro di partecipare a riunioni di<br />

giunta (quelle che lui invece definisce<br />

“sala d’attesa”), senza che la di lui<br />

presenza venisse registrata. Ma registrata<br />

forse da qualche telecamera, diciamo noi.<br />

Risulterebbe inoltre che a casa dell’ex<br />

deputato qualche bilancio di previsione del<br />

Comune fosse stato portato da un<br />

consigliere comunale fidato.<br />

QUI COMANDA<br />

GIAMMARINARO<br />

Ma, a conferma di quanto noi<br />

facilmente avevamo previsto in nostro<br />

precedente articolo, una delle cause<br />

scatenanti che ha prodotto il crollo del<br />

circo mediatico-amministrativo<br />

sgarbiano sarebbe stata la mancata<br />

assegnazione di quel famigerato fondo di<br />

70 ettari confiscato al narcotrafficante<br />

mafioso Totò Miceli, uomo fidato del<br />

latitante Matteo Messina Denaro. “Una<br />

anomala gestione”, viene bollata nella<br />

relazione. Caratterizzata, si dice, da una<br />

protratta inerzia dell’amministrazione,<br />

oltre che dalle pressioni esercitate<br />

dall’onnipresente Giammarinaro. Il<br />

rapporto mette in risalto come quel<br />

fondo stesse per essere assegnato<br />

all’associazione di assistenza sanitaria<br />

Aias, dopo che Sgarbi aveva chiesto a un<br />

assessore: “Pino che ne pensa?”. L’ex<br />

onorevole non poteva che essere<br />

d’accordo per questa assegnazione. Il<br />

presidente dell’Aias, infatti,<br />

l’ingegnere Francesco Lo Trovato,<br />

<strong>Casablanca</strong> pagina 39<br />

risulta “ anche lui con interessi nella<br />

sanità e intrattenere rapporti di lavoro<br />

con Giammarinaro”. Ma gli aspetti di<br />

condizionamento e di illegalità<br />

dell’attività amministrativa sono molto<br />

più ampi e “risultano evidenti in una<br />

serie di condotte o procedimenti che<br />

hanno caratterizzato l’attività dell’ente<br />

locale quali la mancanza di controlli in<br />

materia di contributi statali, il mancato<br />

rispetto del protocollo di legalità nelle<br />

procedure d’appalto, dalla diffusa<br />

illegittimità delle procedure<br />

amministrative”. Non solo. Dall’atto<br />

ispettivo si evince che anche penetranti<br />

condizionamenti ci sono stati nella<br />

complessiva vicenda concernente<br />

l’erogazione di contributi economici in<br />

favore di persone giuridiche e<br />

associazioni. Le elargizioni sarebbero<br />

state concesse con procedure arbitrarie<br />

in assenza di una qualsiasi<br />

regolamentazione e di conseguenza<br />

non in linea di trasparenza e<br />

equanimità. Addirittura viene scritto<br />

che di “tali contributi e per un<br />

rilevante importo hanno anche<br />

beneficiato associazioni o persone<br />

riconducibili a soggetti<br />

contigui ad organizzazioni<br />

criminali”(sic). Mentre per<br />

quanto riguarda il sistema di<br />

aggiudicazioni degli appalti<br />

di lavori e di servizi,<br />

sebbene il Comune di<br />

Salemi avesse aderito al<br />

protocollo di legalità<br />

denominato “Carlo Alberto<br />

Dalla Chiesa”, i contenuti dello stesso<br />

non sono stati rispettati dalla giunta<br />

comunale. Per gli appalti, ad esempio,<br />

d’importo superiore a 250.000 euro<br />

non sono state richieste le informazioni<br />

antimafia alla competente prefettura.<br />

Stessa lacuna per i lavori di restauro<br />

del palazzo municipale.


LE DELEGHE SINDACALI<br />

Diffusa illegalità anche nelle procedure<br />

dell’erogazione dei contributi da parte<br />

dell’apposita commissione del terremoto.<br />

Questo organismo che nel periodo di<br />

Sgarbi ha concesso, un ammontare di<br />

3.700.000 euro,deve essere presieduto per<br />

legge dal sindaco pro-tempore o da un suo<br />

delegato. E’ su questa figura che gli<br />

ispettori hanno rivolto la loro attenzione.<br />

In questi tre anni la delega sindacale è<br />

stata conferita a diversi soggetti, spesso<br />

estranei all’amministrazione. Il giudizio<br />

dei commissari è impietoso. Essi sono<br />

stati scelti “senza una verifica di un<br />

seppur minimo possesso di requisiti di<br />

professionalità, nei confronti dei quali<br />

sono state riscontrate frequentazioni con<br />

soggetti contigui ad ambienti mafiosi” Ma<br />

il giudizio negativo investe anche alcuni<br />

componenti della Commissione rispetto ai<br />

quali sarebbero emerse “ripetute situazioni<br />

di conflitto d’interesse e cointeressenza”.<br />

Sui debiti fuori bilancio infine, dal mese di<br />

luglio 2008, i commissari hanno accertato<br />

“una ripetuta serie d’impegni di spesa per<br />

forniture di beni e servizi in violazione<br />

delle norme contabili”. Intanto la lunga<br />

marcia siciliana di Vittorio Sgarbi<br />

(avrebbe dovuto essere anche Assessore ad<br />

Agrigento) è continuata per attraccare a<br />

Cefalù. Per oltre due settimane, nella città<br />

tirrenica si è parlato di una campagna<br />

elettorale inquinata e si temuta una<br />

consultazione che alla fine sarebbe potuta<br />

risultare inficiata. Il riferimento era alla<br />

sua incandidabilità. E a chi gli rinfacciava<br />

tale pericolo non ha esitato ad annunciare<br />

un ricorso, all’indomani delle elezioni, nel<br />

caso non fosse eletto, proprio “per<br />

inquinamento del voto”. Chiudendo un<br />

suo comizio ha gridato in Piazza Duomo,<br />

ai piedi del Santuario di Gibilmanna, di<br />

essere “assolutamente immacolato”. Ma,<br />

Mafioso? No, un Pirla incandidabile<br />

come facilmente prevedibile Vittorio<br />

Sgarbi resta “incandidabile”. Lo hanno<br />

deciso, alla vigilia della chiusura della<br />

campagna elettorale i giudici della prima<br />

sezione civile della Corte d'Appello,<br />

presieduti da Rocco Camerata Scovazzo,<br />

al termine della Camera di consiglio”.<br />

L'avvocato Girolamo Rubino, legale di<br />

Sgarbi, prontamente ha annunciato:<br />

"Ricorreremo in Cassazione!" . La<br />

polemica è subito divampata. Si dà il<br />

caso, infatti, che, a dispetto di tutti, il<br />

nome di Sgarbi comparirà nella scheda<br />

con le due liste collegate: “Partito della<br />

rivoluzione” e “Cefalù cambia” per le<br />

elezioni di Cefalù. Cosa che ha fatto<br />

andare su tutte le furie persino il<br />

segretario del Pdl, Angelino Alfano: “Il<br />

grave paradosso che rischia di colpire i<br />

cittadini di Cefalù è che essi vedranno<br />

sulla scheda elettorale il nome di un<br />

soggetto dichiarato “incandidabile”<br />

dall’autorità giudiziaria e che, per<br />

effetto di questa presenza, avranno<br />

vanificato del tutto il loro voto.”<br />

Scatenando la replica dell’assessore<br />

regionale Caterina Chinnici secondo<br />

cui,“La normativa in materia elettorale<br />

prevede il rinvio delle elezioni solamente<br />

per cause di forza maggiore, ossia per<br />

impedimenti oggettivi che non<br />

consentono il regolare svolgimento delle<br />

operazioni di voto, quali, per esempio, le<br />

calamità naturali. Nulla, invece, è<br />

previsto nell'ipotesi di incandidabilità<br />

dei singoli soggetti''. Una situazione<br />

paradossale e tutta siciliana, che tanto<br />

piacerebbe allo scrittore Camilleri.<br />

Consentendo a Sgarbi di candidarsi, la<br />

conseguenza più probabile sarà, infatti,<br />

la nullità dell’intera consultazione<br />

elettorale. Lo aveva chiesto il rinvio<br />

anche il prefetto di Palermo per evitare<br />

lo sperpero di pubblico denaro che<br />

deriverà dall’inevitabile ripetersi delle<br />

elezioni. Tutto inutile.<br />

<strong>Casablanca</strong> pagina 40<br />

QUI FINISCE L’AVVENTURA!!!<br />

Per il governo regionale “qualsiasi<br />

intervento della Regione<br />

rappresenterebbe l'esercizio di un potere<br />

non attribuito dalla legge e quindi in<br />

contrasto con i principi<br />

costituzionalmente garantiti connessi<br />

all'esercizio del diritto di voto . Non è<br />

consentito il rinvio per l’incandidabilità<br />

di un candidato a sindaco, ne è<br />

consentita l’esclusione di questo<br />

candidato rispetto alla competizione<br />

elettorale”. Per Giampaolo Cicconi,<br />

l’avvocato che difende Sgarbi, non ci<br />

sono dubbi. «Il “mostro giuridico” è<br />

stato creato dal legislatore con l’ingresso<br />

della legge, palesemente incostituzionale,<br />

che, allo stato, consente a Sgarbi di<br />

essere ritenuto candidabile in pendenza<br />

del termine per proporre ricorso in<br />

Cassazione alle decisioni dei giudici di<br />

Marsala e di Palermo.” Una cosa a<br />

questo punto ci sembra certa.<br />

L’avventura politica siciliana di Vittorio<br />

Sgarbi sembra ormai destinata a<br />

concludersi qui. A pensarci bene il<br />

patetico epilogo gli era stato vaticinato<br />

già fin dal giorno in cui mise per la prima<br />

volta piedi a Salemi. Quando si aggirava,<br />

chiome al vento, in una domenica<br />

sciroccosa dell’aprile del 2008, per le<br />

viuzze tortuose della cittadina medievale,<br />

in compagnia di una signora che, rapita<br />

gli declamava i profetici versi<br />

popolareschi: "Unni viditi muntagni di<br />

issu/ chissa è Salemi, passatici arrassu/<br />

sunnu nimici di lu crucifissu / e amici<br />

di lu Satanassu". (Dove vedete<br />

montagne di gesso stateci lontano, non<br />

sono amici del Crocifisso ma amici di<br />

Satanasso).


Palermo: teatro Garibaldi occupato…<br />

Teatro Garibaldi<br />

Aperto<br />

Antonio Tozzi<br />

Roma, Catania, Palermo, teatri occupati. Spettacoli e concerti<br />

per strada per protesta. La cultura è in ginocchio. Tolgono<br />

soldi al settore. Operatori, musicisti, attori, registi, incazzati. A Palermo hanno occupato il<br />

teatro Garibaldi, "ristrutturato" ma chiuso. Uno spazio culturale sprecato, privo della funzione<br />

e dignità che gli spettano.<br />

"Camminiamo nello spazio!" a parlare, o<br />

meglio a urlare è Italia, una donna sulla<br />

quarantina d'anni. Siamo al Teatro Garibaldi<br />

Aperto e questo è il settimo giorno<br />

di apertura/occupazione. Sono le tre e<br />

mezzo del pomeriggio e con lei c’è una<br />

variegata moltitudine di bambini, i bambini<br />

della Magione, una delle piazze più<br />

belle di Palermo. Tutto intorno c'è chi sta<br />

pulendo la platea, chi sistema il tavolo<br />

all'ingresso, chi è davanti al computer su<br />

internet per scrivere quanto sta accadendo,<br />

chi è alle prese con la programmazione<br />

delle serate e chi sta cercando con<br />

i pochi mezzi a disposizione di mettere<br />

in sicurezza una porta dalla serratura malandata.<br />

Il teatro è vivo, pulsa, si agita.<br />

Dario è emozionato, mi dice che i primi<br />

giorni sapeva esattamente chi stava<br />

facendo cosa, adesso invece<br />

non lo sa ed è felice perché le<br />

persone cominciano ad attrezzarsi<br />

ed ingegnarsi in proprio per migliorare<br />

l'habitat comune, un habitat<br />

che si estende oltre le mura<br />

del teatro ma che nel teatro trova<br />

il suo fulcro, il suo apice, il suo<br />

simbolo. La mattina ci si confronta<br />

in assemblea, il pomeriggio<br />

passa tra laboratori teatrali,<br />

attività per bambini e tavoli di<br />

approfondimento. La sera centinaia<br />

di persone si riversano davanti<br />

ai cancelli di questo teatro,<br />

come dire ci siamo pure noi.<br />

Sebbene nessuno sappia quale e<br />

quanto lungo sarà il percorso di<br />

questa iniziativa la regola è chiara<br />

e condivisa da tutti: occupare un<br />

teatro, "ristrutturato" e chiuso significa<br />

riaprirlo alla cittadinanza<br />

ridandogli la funzione e la dignità<br />

che gli spettano.<br />

Così dentro il teatro non si fuma,<br />

non si mangia ed è vietato introdurre alcolici,<br />

il palco per esibirsi non lo si guadagna<br />

perché si è occupanti o amici degli<br />

occupanti ma perché ci si è dedicati ad<br />

un'arte e la si può mettere in scena consapevoli<br />

di cosa questo significhi. La<br />

somma dei singoli non basta a spiegare<br />

l'energia che si respira in questo posto,<br />

un'energia che nasce da un gruppo varie-<br />

<strong>Casablanca</strong> pagina 41<br />

gato composto da artisti ed attivisti, operatori<br />

del sociale e semplici cittadini,<br />

studenti e professionisti, gente autoctona<br />

e fuorisede, un gruppo che sta prendendo<br />

una forma ancora difficile da definire ma<br />

chiara in alcuni suoi punti cardine: condivisione<br />

e trasparenza. Non a caso il<br />

manifesto scritto dal gruppo di ragazzi<br />

che ha dato il via all'occupazione, e sottoscritto<br />

ad oggi da centinaia e centinaia<br />

di persone, chiede ed esige che gli spazi<br />

e i soldi pubblici della città siano gestiti<br />

in maniera trasparente secondo regole<br />

chiare, condivise e condivisibili. Per<br />

qualcuno si tratta di un'utopia ma qui al<br />

Teatro Garibaldi, nonostante la pressione<br />

della gente che vuole di più e delle istituzioni<br />

che minacciano denunce e sgombero,<br />

si sta cercando di metterla in atto, e<br />

non solo in scena.<br />

● ● ●<br />

Nel frattempo a Palermo è<br />

stato eletto il sindaco<br />

Orlando …<br />

Il Teatro Garibaldi<br />

può sperare<br />

● ● ●


Ex Carcerato in attesa di giudizio<br />

In attesa di<br />

Giudizio<br />

Antonella Serafini<br />

Come vive un detenuto? Per capirlo bisogna vivere quella condizione, non la si può<br />

immaginare. Solo parlarne non rende l’idea. Francesco è finito in carcere perché un<br />

camorrista ha fatto il suo nome, “detenuto in attesa di giudizio”, scarcerato per essere<br />

risultato estraneo ai fatti. Non è più la stessa persona, ha voluto raccontarci la sua esperienza<br />

infelice attraverso la quotidianità carceraria. Non massimi sistemi, ma il fare le cose più<br />

semplici per continuare a vivere. Il lento scorrere delle ore di una interminabile giornata. Il<br />

rischio concreto di essere catturati dal vortice dall’inutilità definitivamente.<br />

“L’ambiente è di circa 10/12 mq<br />

compreso l’angolo bagno senza sfiato<br />

verso l'esterno. E’posto di fronte alla<br />

finestra – racconta Francesco – un<br />

piccolo tavolo, due mini comodini, due<br />

mini armadietti, un televisore.”<br />

Francesco fa una pausa. Poi toccandosi<br />

la fronte con un dito aggiunge”- anche<br />

questo mini, due brande a mo di letto a<br />

castello” . Ma ci vivono i puffi?<br />

“No, due persone di corporatura media -<br />

quando si è fortunati – ci spiega ed<br />

aggiunge - “Il bagno è dotato di un<br />

lavandino al di sopra del quale,<br />

cementato nel muro, c'è il tubo dal quale<br />

fuoriesce solo acqua fredda pigiando un<br />

bottone temporizzato per dieci secondi.<br />

C'è il water ma non c'è la doccia e il<br />

bidet, anzi, è disattivato”.<br />

Questa pressappoco la pianta strutturale<br />

di una cella. Una stanza-tipo dei tanti<br />

super condomini in Italia. Ci possono<br />

essere delle differenze e attengono, in<br />

genere, alle dimensioni delle stanze, al<br />

conseguente numero di occupanti, allo<br />

stato di conservazione.<br />

Case Circondariali o Case di Reclusione.<br />

Come fossero grandi condomini, e il<br />

parlarne quasi un argomento ameno.<br />

Carcere, ti porta già in una altra<br />

dimensione “Quando si entra in uno di<br />

questi luoghi, avviene uno<br />

stravolgimento della propria esistenza.<br />

Bisogna imparare ad “imparare” un altro<br />

stile di vita. In carcere s’impara la<br />

sobrietà: il vivere delle poche cose di cui<br />

si può disporre. Si scopre il valore delle<br />

poche cose di cui si può disporre e delle<br />

piccole cose alle quali, fuori, tante volte<br />

non si da il loro giusto peso”. Una banale<br />

tazzina di caffè dentro le anguste celle di<br />

un carcere diventa un sogno ripetuto,<br />

infinito. “In carcere si possono usare<br />

solo bicchieri di plastica.. Si può<br />

disporre solo di pochi abiti, quelli che<br />

servono. Non si può accumulare troppo<br />

cibo; è possibile indossare orologi di<br />

plastica trasparente; le penne devono<br />

essere trasparenti, tipo “Bic”; non è<br />

possibile affiggere poster sul muro; si<br />

può fare la spesa ma solo attraverso un<br />

catalogo di<br />

prodotti<br />

fissi a<br />

prezzo<br />

imposto”.<br />

Ma non<br />

solo questo,<br />

ci sono ben<br />

altre cose importanti a cui bisogna<br />

abituarsi.<br />

“Si, certo. La prima è il dover rinunciare<br />

<strong>Casablanca</strong> pagina 42<br />

anche alla propria libertà di potersi<br />

autogestire all'interno di questo super<br />

condominio. La propria vita è<br />

completamente affidata a chi ti<br />

amministra, a chi ti gestisce, ai<br />

regolamenti, che non sono sempre uguali<br />

tra un carcere e l'altro. Devi abituarti al<br />

fatto che esistono orari prestabiliti per<br />

andare in doccia, per lavare gli abiti, per<br />

telefonare ai propri cari e per qualunque<br />

altra attività esterna alla propria<br />

cella/stanza. E per fare una qualunque di<br />

queste operazioni occorre chiedere il<br />

permesso all'agente penitenziario di<br />

turno”<br />

Se poi nasce una necessità che può<br />

essere soddisfatta solo esternamente alla<br />

struttura come farsi riparare gli occhiali,<br />

Ho trentasette anni, da sette mesi sono recluso, in attesa di<br />

giudizio. Fuori, la mia vita era frenetica, molto impegnata.<br />

Iniziava alle sette del mattino, e terminava alle 21.00, o<br />

anche dopo. Laureato, libero professionista. Ora, qui,<br />

frequento la scuola di Agraria, l'unico corso che c'è, e meno<br />

male che c'è.<br />

bisogna sperare che ci siano dei<br />

volontari. In molte carceri non ci sono, o<br />

sono insufficienti. I più fortunati,<br />

possono contare sull'aiuto dei familiari.<br />

Ogni operazione di vita quotidiana


all'interno di questi luoghi si muove<br />

entro questi ferrei e rigidi paletti. E' la<br />

restrizione della restrizione. All’interno<br />

del carcere, nulla è certo, neanche il<br />

compagno di cella, inoltre, bisogna<br />

convivere con il risucchio dell’inutilità.<br />

Questo perché in quasi tutte le carceri si<br />

trascorrono, normalmente, venti ore<br />

giornaliere in cella. Le eccezioni sono<br />

limitate. Purtroppo le possibilità di<br />

lavoro sono risicate ma, soprattutto, in<br />

quasi tutti questi luoghi non esistono<br />

corsi pratico-professionali o corsi di<br />

studio completi che, non solo aiutino a<br />

non sentirsi inutili “dentro”, ma,<br />

soprattutto, diano la possibilità a tutti di<br />

essere utili alla società una volta “fuori.<br />

Occorre, quindi, trovare dentro se stessi<br />

la forza mentale per non farsi ingoiare<br />

dal magma dell’insensibilità, l’ apatia, la<br />

pigrizia e l’ indolenza.” Il non vivere.<br />

DIARIO DI UN CARCERATO<br />

Francesco in carcere scriveva un diario,<br />

Grazie alla scuola Francesco trascorre<br />

diciassette ore in cella (anziché venti).<br />

ricco di annotazioni. Di notizie, di<br />

riflessioni.<br />

“ Ho trentasette anni, da sette mesi sono<br />

recluso, in attesa di giudizio. Fuori, la<br />

mia vita era frenetica, molto impegnata.<br />

Iniziava alle sette del mattino, e<br />

terminava alle 21.00, o anche dopo.<br />

Laureato, libero professionista. Ora, qui,<br />

frequento la scuola di Agraria, l'unico<br />

corso che c'è, e meno male che c'è. Ogni<br />

giorno, per tre ore,<br />

ritorno indietro nel<br />

tempo a quando avevo<br />

tredici anni, e mi<br />

ritrovo a studiare<br />

(nuovamente) i<br />

polinomi, la<br />

grammatica, le foglie e i<br />

fiori. Sorrido a me stesso:<br />

scopro in questo luogo, a<br />

questa età, quanto sia bello<br />

studiare per il piacere di<br />

farlo, il desiderio di<br />

apprendere e conoscere. Non<br />

abbandonate mai gli studi;<br />

abbandonatevi alla cascata<br />

del sapere, vi sentirete molto<br />

ricchi”.<br />

Grazie alla scuola Francesco<br />

trascorre diciassette ore in cella<br />

(anziché venti). Ha capito che se<br />

vuole sopravvivere deve darsi<br />

delle regole. Perciò, ha deciso di<br />

Ex Carcerato in attesa di giudizio<br />

aggrapparsi per tutto il tempo che gli<br />

rimane da passare dentro, a tanti microobiettivi:<br />

la scuola, sistemare la branda,<br />

lasciata appositamente disfatta prima di<br />

andare a scuola, ordinare e pulire la<br />

cella, e poi, intorno alle 12,30, mangiare<br />

la frutta. “Preparare la frutta, è<br />

un'operazione che va fatta lentamente,<br />

con pazienza, con calma, utilizzando il<br />

coltello di plastica (non è ammesso l'uso<br />

di coltelli con lama) sbucciarla e<br />

sezionando, delicatamente, il frutto in<br />

tante parti”.<br />

RUBARE IL TEMPO<br />

Anche il semplice recarsi dalla cella alla<br />

sala doccia avviene adagio. I due metri<br />

di distanza si trasformano in duecento<br />

metri. Perché occorre rubare quanti più<br />

minuti possibili al lento scorrere della<br />

clessidra. “Fuori, il tempo non basta mai,<br />

dentro un carcere ce n'è troppo. Ed è<br />

come se il tempo di “dentro” si<br />

appropriasse del tempo di “fuori”.<br />

Occorre, ogni giorno,<br />

sconfiggere il senso d’inutilità<br />

scandito dall'immobilismo del<br />

tempo di “dentro”. Allora tutto<br />

viene spalmato, distribuito<br />

sull’intera giornata, anzi<br />

sull'intera settimana. Quindi spiega<br />

Francesco,se hai la fortuna di aver<br />

ricevuto due lettere, rispondi solo ad<br />

una. L'altra la conservi per l'indomani.<br />

Un libro, anche se vorresti leggerlo tutto<br />

d'un fiato, impari a leggerlo a tappe.<br />

T’inventi un disegno,<br />

assisti il tuo compagno<br />

di<br />

cella nella<br />

preparazione di un cibo, purché si abbia<br />

<strong>Casablanca</strong> pagina 43<br />

la fortuna di andarci d'accordo. Il tutto<br />

sempre all'interno di quei pochi, ristretti,<br />

metri quadrati.<br />

“Il carcere è il luogo in cui devi imparare<br />

la pazienza, la calma, la sopportazione, il<br />

saper aspettare (ma cosa?). E' anche il<br />

luogo della riflessione, dell'analisi<br />

introspettiva, dell'interrogarsi, forse<br />

anche dell'iniziare a conoscersi. Però<br />

attenzione, in prigione tutto è<br />

amplificato. E allora sarebbe opportuno<br />

potersi confrontare, costantemente, con<br />

persone competenti per parlare di se<br />

stessi, per scoprirsi, o semplicemente per<br />

avere un conforto. Tutti ne abbiamo<br />

bisogno, anche fuori, figuriamoci in un<br />

posto in cui ci sei tu e la tua mente.<br />

Personalmente le mie riflessioni mi<br />

hanno portato a pensare questo: non c'è<br />

nulla di più triste e pesante del rischiare<br />

di non poter recuperare, riavere la<br />

possibilità di abbattere inutili barriere<br />

che hai creato, anche inconsciamente,<br />

pure con persone alle quali sei legato.<br />

Barriere apparentemente invisibili che ti<br />

hanno inaridito, che non ti hanno fanno<br />

manifestare i sentimenti”.<br />

Francesco per non impigrirsi in prigione<br />

scriveva anche un diario, si abbandonava<br />

alle sue malinconie e ai suoi rimpianti<br />

“… è triste anche accorgersi di non<br />

essere stato veramente vicino a chi ti<br />

voleva bene quando ne aveva bisogno, o<br />

il non aver avuto il coraggio di chiedere<br />

scusa a chi hai fatto del male. Non<br />

sprecate anche voi il tempo che vi viene<br />

regalato. Non fate come me, non<br />

aspettate il<br />

tempo che verrà. Potrebbe<br />

non essere più come prima”.


Il movimento femminista faceva paura<br />

Il delitto di Giorgiana<br />

Coincidenza o Strategia?<br />

Norma Ferrara<br />

Roma: Il 12 maggio del 1977 un proiettile uccide Giorgiana Masi una giovane studentessa<br />

durante una manifestazione “non violenta” per gli organizzatori, non per lo Stato che mette in<br />

piazza 5000 agenti e tanti infiltrati. In assetto antisommossa. Insomma, tutti ben armati.<br />

Dopo 35 anni per quel delitto nessun colpevole. Mentì tutto il parlamento per voce dell'allora<br />

ministro dell'Interno, Francesco Cossiga, costretto poi ad ammettere la presenza di agenti in<br />

borghese armati, grazie alle foto dei reporter che quel giorno documentarono una battaglia<br />

preparata dallo Stato per riaffermare le sue regole. A pagare fu una giovane donna.<br />

Coincidenza? Strategia?<br />

Giorgiana Masi, studentessa diciottenne<br />

del liceo Pasteur quel pomeriggio del 12<br />

maggio 1977 saluta i genitori dicendo<br />

loro “state tranquilli se le cose si<br />

mettono male, vado via" e dal quartiere<br />

monte Mario dove abita si dirige al sit -<br />

in indetto a piazza Navona dai radicali,<br />

nonostante il divieto avvallato dal<br />

ministro dell'Interno, Francesco Cossiga,<br />

abile uomo politico della Democrazia<br />

cristiana. Il “no” a manifestazioni in<br />

piazza era arrivato dopo la sparatoria del<br />

21 aprile 1977 tra agenti di polizia e<br />

manifestanti dell'area di Autonomia<br />

Operaia che finì<br />

con l'uccisione<br />

dell'agente<br />

Settimio<br />

Passamonti e il<br />

ferimento di<br />

quattro suoi<br />

commilitoni. Dopo<br />

questo tragico<br />

epilogo Cossiga<br />

aveva deciso di<br />

usare “il pugno di<br />

ferro” contro il<br />

movimento. I<br />

radicali però<br />

ritenevano, a<br />

ragione,<br />

incostituzionale<br />

quel decreto che vietava il diritto di<br />

manifestare e per dimostrarlo lo<br />

violarono, convocando un sit- in<br />

motivato dalla raccolta di firme alla<br />

proposta dei referendum abrogativi. In<br />

realtà, per ricordare la vittoria del<br />

<strong>Casablanca</strong> pagina 44<br />

referendum sul divorzio, avvenuta tre<br />

anni prima. Le donne «… erano la parte<br />

più temuta del movimento, avevano<br />

raccolto il grido di dolore dei figli, dei<br />

mariti, delle madri, dei fratelli.<br />

L’avevano fatto loro ed erano pericolose<br />

perché erano contro tutti i ruoli, contro il<br />

potere, che non era solo quello che era al<br />

governo» racconta l’inviato fra “gli<br />

ultimi” Tano D’Amico. Lui quel<br />

pomeriggio c’era. Ha visto. Fotografato.<br />

Registrato. Ricorda. Racconta E’ un<br />

pomeriggio primaverile a Roma, lontano<br />

dagli spari e dal dolore di quel giorno, il<br />

fotoreporter è come un fiume in piena.<br />

Inarrestabile e minaccioso perché a<br />

differenza di altre frange del movimento<br />

non chiede il potere e non rivendica<br />

diritti. Uomo libero.<br />

LA BATTAGLIA DI PONTE<br />

GARIBALDI<br />

Giorgiana è una ragazza esile di<br />

corporatura e con un bel viso. Di lei i<br />

giornali racconteranno che simpatizzava<br />

per Lotta Continua, distribuiva il<br />

quotidiano a scuola e aveva idee di


sinistra. Quel giorno scese in piazza con<br />

alcune amiche e con il fidanzato,<br />

Gianfranco Papino. Ricorda Emma<br />

Bonino, leader radicale, due anni dopo<br />

durante la presentazione del libro bianco<br />

sulla morte di Giorgiana: «Ero chiusa in<br />

piazza Navona dalle 13 e non arrivava<br />

nessuno. Noi eravamo lì da soli quando<br />

ad un certo punto sento sparare da<br />

piazza della Cancelleria, faccio per<br />

muovermi in quella direzione ma non<br />

riesco a passare. Vado allora da piazza<br />

Pasquino ed è lì che vedo per la prima<br />

volta quel pomeriggio un ragazzo che<br />

esce da un bar, con un look che<br />

sembrava uno dei movimenti, ho<br />

pensato che fosse un autonomo<br />

infiltrato, vado per dirgli di<br />

abbandonare il bastone che aveva in<br />

mano, ma lo vedo fermarsi a parlare<br />

con un poliziotto. Così mi guardo<br />

intorno e trovo una serie di persone,<br />

con pistole, spranghe che non venivano<br />

fermati da nessuno; solo allora ho<br />

realizzato che erano poliziotti<br />

“travestiti” /”infiltrati”».<br />

Nonostante gli annunci di un sit-in<br />

pacifico, lo Stato schierò forze<br />

dell'ordine come stesse andando in<br />

guerra. E guerra fu: cinquemila<br />

agenti presenti nelle strade del<br />

centro storico in assetto<br />

antisommossa, in seguito si saprà<br />

“rafforzati” da molti altri<br />

“infiltrati”. Parlamentari come<br />

Mimmo Pinto furono<br />

malmenati dalle forze di<br />

polizia davanti al Senato.<br />

Mentre tutto questo accadeva, più<br />

di trecento persone erano “bloccate” a<br />

Campo dei Fiori da ore. Rimasero lì sino<br />

alle 19.00 circa di sera. In quelle ore<br />

Tano D'Amico, fotoreporter “freelance”,<br />

segue i ragazzi, scatta ritratti che<br />

rimarranno nella storia del movimento.<br />

Prova a farsi largo per capire cosa<br />

accade, vede la strada verso villa Giulia<br />

bloccata. Poi il lungo Tevere. A Largo<br />

Argentina è in corso una guerriglia, da<br />

ore il lancio di candelotti ha reso<br />

irrespirabile l'aria ed è complicato vedere<br />

chi hai accanto, in che direzione stai<br />

correndo. A Piazza Navona verso le<br />

18.00 del pomeriggio le prime Molotov.<br />

Ma, è davanti ponte Garibaldi, nei pressi<br />

di Piazza Belli, che due ore dopo si<br />

consuma la tragedia, mentre già in<br />

Parlamento Pannella (PR), Corvisieri<br />

(DP), Ligheri (DC) Pinto (DP), Costa,<br />

Giovanardi, Magnani Noya Maria,<br />

intervengono a denunciare gli scontri del<br />

pomeriggio e l'inadeguatezza del<br />

governo.<br />

Il movimento femminista faceva paura<br />

Mentre parlano i politici, Giorgiana Masi<br />

corre da una parte all'altra del ponte. Si<br />

trova nei pressi di piazza Belli, quando<br />

improvvisa parte una carica di polizia e<br />

carabinieri, preceduta da un lancio di<br />

lacrimogeni, da via Arenula. Pochi<br />

minuti prima tre grosse moto, secondo le<br />

testimonianze dell'epoca, arrivarono sul<br />

lungotevere degli Anguillara, all'angolo<br />

con la piazza verso la quale si sta<br />

dirigendo Giorgiana. Sopra ci sono tre<br />

vigili in divisa e uno in borghese,<br />

quest'ultimo – secondo le testimonianze<br />

– scende dalla motocicletta, impugna la<br />

pistola e spara ad altezza d'uomo. Poco<br />

dopo, vicino a Piazza Sonnino, quasi<br />

simultaneamente, cadono a terra:<br />

Giorgiana Masi, colpita da un proiettile<br />

calibro 22 all'addome e una sua<br />

compagna, Elena Ascione, ferita a una<br />

gamba. Poco prima era stato ferito alla<br />

mano anche un carabiniere, Francesco<br />

Ruggero. In un primo<br />

tempo gli amici di<br />

Giorgiana che la vedono accasciarsi a<br />

terra, pensano che sia caduta correndo,<br />

nella folla. Poi si accorgono del sangue,<br />

arriva l'ambulanza, ma per la giovane<br />

studentessa non c'è più nulla da fare. Al<br />

Tg della Rai il ministro dell'Interno,<br />

Cossiga, giurerà che in piazza non vi<br />

fossero agenti in borghese armati.<br />

Passano solo poche ore e sarà smentito<br />

dalle foto, caparbiamente scattate, da<br />

fotocronisti presenti quel giorno.<br />

Quella è una giornata particolare per<br />

molti di loro, riuscirono a documentare<br />

che lo Stato stava mentendo, sotto gli<br />

occhi di tutti, mentre una ragazza moriva<br />

a soli diciannove anni per un proiettile<br />

sparato, non si sa ancora da chi, dopo<br />

trentacinque anni. Cossiga dovette poi<br />

<strong>Casablanca</strong> pagina 45<br />

rettificare e ammettere che c'erano<br />

poliziotti in borghese in tutto il centro<br />

storico e che erano armati. Tuttavia,<br />

l'indagine che scaturì grazie anche a<br />

quelle foto culminò in una richiesta di<br />

archiviazione, un non luogo a procedere,<br />

“perché ignoti i responsabili”. Il delitto<br />

di Giorgiana Masi è ancora senza verità<br />

e giustizia.<br />

UNA RAGIONE DI STATO<br />

«Il punto non è come andarono le cose<br />

quel pomeriggio – commenta oggi Tano<br />

D'Amico – ma cosa accadde dopo. Quel<br />

delitto non fu ben visto nemmeno da una<br />

parte delle forze dell'ordine. Ebbi modo<br />

di capirlo quando alcuni appartenenti a<br />

corpi armati, con i quali spesso avevo<br />

avuto modo di trovarmi in piazza in altre<br />

manifestazioni, mi fermarono per dirmi<br />

frasi che alludevano alla scelta di colpire<br />

una donna (noi siamo uuuomini –<br />

dicevano – è stata uccisa una dddoona).<br />

Volevano dirmi, senza farlo<br />

esplicitamente qualcosa». Per giorni<br />

D'Amico si chiede perché? Cosa<br />

significavano quelle parole<br />

trascinate, suggerite e ripetute con<br />

effetto martellante? Poi una notte<br />

capisce. «Chi sparò quel giorno –<br />

continua D'Amico – uccise una donna<br />

per colpire il movimento femminista,<br />

molto pericoloso all'epoca. Mirò con<br />

precisione sulle giovani<br />

studentesse perché era l'unico<br />

modo per essere certi di non<br />

colpire un “potenziale”<br />

collega». Gli scatti di D'Amico ma<br />

anche di altri fotoreporter, uno dei quali<br />

lavorava per il Messaggero, avevano<br />

documentato in maniera<br />

incontrovertibile la presenza di uomini<br />

dello Stato “travestiti” da autonomi.<br />

Colpire una donna dunque, era l'unico<br />

modo per essere certi di non fare una<br />

vittima fra i corpi speciali schierati in<br />

piazza. Le indagini però stabilirono che<br />

il calibro di proiettile che uccise la<br />

ragazza non fosse fra quelli in dotazione<br />

alle forze dell'ordine. Questo spinse a<br />

cercare nel cosiddetto “fuoco amico” i<br />

responsabili di quell'assassinio. Ma<br />

anche su questo aspetto, D'Amico,<br />

racconta un aneddoto significativo e che<br />

le successive inchieste non riuscirono ad<br />

approfondire. « Tempo dopo la morte di<br />

Giogiana un appartenente alle forze<br />

dell'ordine, uno molto alto in gradi, mi<br />

chiese di incontrarlo. Gli diedi<br />

appuntamento nel posto più centrale di<br />

Roma, in piazza Santa Maria in<br />

Trastevere. Mentre lo attendevo, pensai:


arriverà in borghese! E invece si<br />

presentò nella migliore delle sue<br />

uniformi, quasi ad ostentare proprio la<br />

sua presenza in quel luogo con me. Non<br />

passò inosservato, chiaramente». Il<br />

colonnello chiese al fotoreporter se<br />

avesse avuto altre notizie sul caso “che<br />

tanto gli stava a cuore” (si riferiva al<br />

delitto Masi, ndr). «Quando io dissi –<br />

riprende D'Amico – che tutto si era<br />

fermato sull'origine del proiettile, lui mi<br />

rispose: non è compatibile con quelli in<br />

dotazione ai reparti ma lo è con quelli<br />

utilizzati nei poligoni in cui vengono<br />

formati i tiratori scelti». Tano D'Amico,<br />

dopo molti anni, sembra rassegnato<br />

all'impossibilità di sapere come<br />

andarono le cose quel giorno. O meglio<br />

ancora, una risposta lui se l'è data. Anche<br />

se non è quella della giustizia. «Tutti in<br />

questi anni hanno puntato il dito contro<br />

Francesco Cossiga, all'epoca ministro<br />

dell'Interno. Certo. Ma quel delitto a mio<br />

avviso fu un “sacrificio umano” chiesto<br />

da qualcuno o da tutti per ribadire la<br />

centralità dello Stato e delle sue leggi. Se<br />

violando il divieto di manifestare ne<br />

Così mi guardo intorno e<br />

trovo una serie di persone,<br />

con pistole, spranghe che non<br />

venivano fermati da nessuno;<br />

solo allora ho realizzato che<br />

erano poliziotti “travestiti”<br />

/”infiltrati”.<br />

Il movimento femminista faceva paura<br />

fossero usciti indenni, quelli del<br />

movimento, sarebbe stata la prova che<br />

era possibile “disobbedire” alle regole<br />

dello Stato e questo non faceva comodo<br />

a nessuno, dal Pci alla Dc». D'Amico ci<br />

racconta un ultimo capitolo di questa<br />

storia che riguarda l'ultimo confronto<br />

con l'allora ex presidente Cossiga<br />

proprio sul caso Masi. Tutto si svolge in<br />

Rai, durante la trasmissione “Chi l'ha<br />

visto” di Raitre a cura di Federica<br />

Sciarelli (compagna di classe di<br />

Giorgiana Masi) il 23 maggio del 2005.<br />

Quel giorno il fotoreporter venne<br />

invitato, insieme ad altri, a parlare di<br />

questo delitto. «Fu una puntata<br />

complicata, anche perché all'improvviso<br />

mi fecero sapere di non aver ritrovato<br />

nelle Teche della Rai l'edizione di quel<br />

Tg in cui Cossiga mentiva circa la<br />

presenza di poliziotti in borghese armati.<br />

Io ricordai comunque l'episodio e<br />

Cossiga, impossibilitato a partecipare per<br />

problemi di salute, telefonò in<br />

trasmissione. Lo fece ammettendo di<br />

aver mentito – continua D'Amico - ma di<br />

averlo fatto con l'appoggio di tutto l'arco<br />

<strong>Casablanca</strong> pagina 46<br />

parlamentare, da sinistra a destra. Fece<br />

anche nomi molti importanti. Io chiosai,<br />

nell'imbarazzo generale: ecco chi sono i<br />

responsabili dell'omicidio di Giorgiana<br />

Masi». Il movimento femminista, la<br />

strategia della tensione, il metodo degli<br />

infiltrati nei cortei, un'indagine che<br />

nessuno è riuscito a portare avanti. Un<br />

misterioso colonnello o comandante, non<br />

sappiamo con certezza, che suggerisce<br />

elementi a favore della pista interna al<br />

corpo armato. Ci sono tutti gli elementi<br />

in questa storia per farla rimanere<br />

sospesa, senza verità. Lo stesso Cossiga<br />

nel 2007 dal Corsera dichiarò di essere<br />

una delle cinque persone a conoscenza<br />

dei responsabili del delitto della Masi ma<br />

di non avere intenzione di rivelarli.<br />

Raccontata così, con queste ultime<br />

parole, la verità su questo delitto sembra<br />

destinato a morire con le persone che la<br />

custodiscono. Ma poi prima di<br />

congedarsi Tano D'Amico commenta:<br />

«Negli anni mi sono convinto che<br />

quando una verità rimane a lungo negata<br />

non è perché la sanno in pochi ma<br />

perché la conoscono in molti».<br />

Lo stesso Cossiga nel 2007 dal Corsera<br />

dichiarò di essere una delle cinque persone<br />

a conoscenza dei responsabili del delitto<br />

della Masi ma di non avere intenzione di<br />

rivelarli. Raccontata così, con queste ultime<br />

parole, la verità su questo delitto sembra<br />

destinato a morire con le persone che la<br />

custodiscono.


Un affresco epico, un linguaggio innovativo, una bella avventura intellettuale<br />

Alberto Rotondo<br />

<strong>Casablanca</strong> pagina 47<br />

Il mondo<br />

degli ultimi<br />

Il primo ciak grazie alla generosità dei contadini della bassa bresciana e cremonese che<br />

hanno voluto recuperare la memoria collettiva che rischiava di perdersi.<br />

Un esempio di come fare cultura e politica in una sezione di Rifondazione Comunista senza<br />

risorse. Il 1° maggio solo una occasione politica. La proiezione del mondo degli<br />

ultimi? Una possibilità per riflettere su un periodo storico abbastanza recente. Un film che<br />

ha subito una serie di denunce assurde e pertanto non ha potuto circolare.<br />

Festeggiare il Primo maggio<br />

proponendo, in collaborazione con il<br />

Cinestudio, la proiezione di una rara<br />

pellicola, il Mondo degli ultimi di Gian<br />

Butturini, non è, per il Circolo Città<br />

Futura, soltanto un doveroso tributo alla<br />

storia delle lotte contadine in Italia,<br />

attraverso la visione di un documento<br />

significativo della produzione<br />

cinematografica “impegnata” del nostro<br />

Paese.<br />

Non si tratta di fornire un’oleografica<br />

rappresentazione di un mondo<br />

scomparso, quella civiltà contadina<br />

uccisa nei suoi valori e nelle sue<br />

aspirazioni di liberazione, dall’avvento<br />

della civiltà industriale prima e dal<br />

trionfo del consumismo disumanizzante<br />

poi, ma di testimoniare cosa può e deve<br />

significare fare cultura e ricostruire una<br />

memoria storica collettiva nel mondo<br />

atomizzato e diviso di oggi.<br />

Il film narra dell’occupazione, nel<br />

secondo dopoguerra, della Cascina di<br />

Gussola, un grande latifondo del<br />

cremonese, e dell’asprezza della lotta<br />

che ne scaturì, con la conseguente<br />

repressione delle forze dell’ordine al<br />

servizio degli agrari e dei loro interessi.<br />

Si tratta di una vera opera collettiva "in<br />

quanto ha dietro ogni scena non solo<br />

l'occhio allevato e la cultura<br />

cinematografica e figurativa dell'autore,<br />

ma anche un corredo di annotazioni,<br />

puntualizzazioni, focalizzazioni<br />

provenienti da decine e decine di<br />

collaboratori inclini a suggerire<br />

particolari, correggere battute di dialogo,<br />

mettere a fuoco gli accadimenti. E’ un<br />

procedimento che deriva dai postulati del<br />

neorealismo, ma che anche nei ranghi<br />

del cinema neorealista è stato adottato<br />

con molta, troppa, circospezione e<br />

prudenza”, come nota il critico Mino<br />

Argentieri in un saggio dedicato, pochi<br />

anni dopo la sua realizzazione, alla<br />

straordinaria opera di Butturini.<br />

Ciò che rende il film particolarmente<br />

interessante, a parte l’esemplarità della<br />

storia narrata, non dissimile dalle tante<br />

storie di occupazione dei latifondi incolti<br />

che hanno avuto come teatro anche la<br />

nostra terra di Sicilia nell’immediato<br />

dopoguerra, è la straordinarietà delle<br />

vicende che ne accompagnarono la<br />

produzione e che ne segnarono la<br />

ristrettezza della diffusione nei circuiti<br />

ufficiali e nelle sale cinematografiche;<br />

fu necessario abbattere numerosi ostacoli<br />

perché essa finalmente venisse alla luce,<br />

le difficoltà iniziarono già al momento<br />

della pre-produzione, per l’impossibilità<br />

di reperire finanziamenti adeguati, e fu<br />

solo grazie allo straordinario slancio di<br />

generosità dei contadini della Bassa<br />

bresciana e cremonese, orgogliosi di<br />

partecipare al recupero di una memoria<br />

collettiva che rischiava di perdersi<br />

nell’oblio, che si riuscì a realizzare il<br />

primo ciak.<br />

Le difficoltà continuarono durante le<br />

riprese, il regista le definì un’esperienza<br />

talmente totalizzante da fargli diventare i<br />

capelli bianchi; il progetto, in totale


Un affresco epico, un linguaggio innovativo, una bella avventura intellettuale<br />

coerenza con l’intento dichiarato di dar<br />

vita a un processo di creazione collettiva<br />

e di riassunzione di identità da parte di<br />

un “universo sociale” che fu protagonista<br />

e soggetto di trasformazione nella<br />

società italiana degli anni Cinquanta,<br />

non poteva essere realizzato<br />

semplicemente facendo ricorso alla<br />

maestria tecnica degli operatori o alla<br />

parzialità ideologica del regista:<br />

bisognava infatti che risuonasse nella<br />

narrazione l’eco della pluralità dei<br />

soggetti che ne prendevano parte.<br />

Nota ancora Mino Argentieri:<br />

"diversamente da parecchi registi, tenuti<br />

nel giusto conto come figli e pardi del<br />

neorealismo, Butturini tenta l'inesplorata<br />

strada della storiografia capillare e di<br />

"base", non contrapponendola<br />

polemicamente né a quella accademica,<br />

né a quella giornalistica, né a quella<br />

connessa in modo organico con le<br />

organizzazioni sindacali e politiche della<br />

sinistra, ma, traducendola dalla<br />

originaria forma orale in<br />

linguaggio cinematografico, ne<br />

conserva i tratti, la tonalità<br />

inconfondibile". Il risultato è<br />

unico nel suo genere,<br />

distinguendosi non soltanto dai<br />

prodotti destinati al più basso<br />

consumo commerciale ma<br />

anche dai grandi capolavori<br />

della cinematografia<br />

neorealista italiana, in cui,<br />

paradossalmente, l’intento<br />

ideologico degli autori di<br />

rappresentare la realtà nella<br />

sua cruda intensità e contro gli<br />

stilemi accademici, finisce<br />

spesso per diventare nuovo<br />

paradigma per porsi a fondamento<br />

ideologico di una nuova cinematografia<br />

e di una nuova accademia.<br />

L’asprezza del dialetto padano, così<br />

inaspettatamente vicino ai suoni gutturali<br />

dei contadini delle nostre terre di Sicilia,<br />

ci restituisce in forma non mediata il<br />

senso di una comunità in cui la<br />

solidarietà nella lotta e la speranza di<br />

contribuire, dopo la Liberazione dal<br />

nazifascismo, all’edificazione di una<br />

nuova e diversa società, appare in<br />

stridente contrasto con l’incertezza<br />

paralizzante che sembra<br />

contraddistinguere la contemporaneità.<br />

Colpisce il racconto dell’inizio della<br />

mobilitazione, dopo che i contadini<br />

avevano chiesto al padrone di abbattere i<br />

pioppi maturi per ampliare le superfici<br />

da destinare alle colture produttive. C’è<br />

un senso dell’utilità sociale del proprio<br />

lavoro, in grado di essere messo a frutto,<br />

a comune beneficio di tutti e in maniera<br />

più efficiente, con una diversa e<br />

collettiva organizzazione che<br />

evidenziasse il carattere parassitario<br />

della rendita e desse corpo a un’autentica<br />

innovazione nelle strutture sociali e di<br />

governo della produzione.<br />

Tornano in mente la mobilitazione dei<br />

contadini di Partinico che, sotto la guida<br />

saggia e illuminata di Danilo Dolci,<br />

all’inerzia delle pubbliche<br />

amministrazioni che non stanziavano i<br />

fondi per la sistemazione della viabilità<br />

rurale, rispondevano imbracciando<br />

vanghe e picconi e realizzando da sé<br />

quanto veniva negato da un potere cieco<br />

e asservito agli interessi delle classi<br />

dominanti.<br />

Un altro esempio che torna alla memoria<br />

è quello dell’orgoglio operaio dei<br />

lavoratori comunisti della Fiat, i quali<br />

alla fine dell’occupazione della fabbrica<br />

nel cosiddetto “biennio rosso“, a<br />

testimonianza del fatto che i lavoratori<br />

della Fiat erano quelli che producevano<br />

anche senza il padrone, avevano fatto<br />

firmare dalla direzione un documento da<br />

cui risultava come non un pezzo, non un<br />

utensile, non un chilo di materiale fosse<br />

venuto a mancare durante l’occupazione.<br />

Certo, più di un secolo è passato dal<br />

biennio rosso e dalle speranze<br />

rivoluzionarie dell’inizio del Novecento,<br />

la grande crisi del capitalismo in crisi sta<br />

determinando ovunque nel mondo una<br />

forte ripresa della conflittualità sociale,<br />

tuttavia a volte sembrano prevalere negli<br />

<strong>Casablanca</strong> pagina 48<br />

atteggiamenti e nelle pratiche di chi si<br />

vuole attore dell’antagonismo politico e<br />

sociale un ribellismo distruttivo e neoluddista<br />

che stride enormemente con le<br />

vicende esemplari delle lotte contadine e<br />

operaie del novecento.<br />

Viviamo tempi messianici, per utilizzare<br />

la notissima espressione di Walter<br />

Benjamin: un’autentica catastrofe sociale<br />

si sta abbattendo sulle nostre ex società<br />

dell’opulenza, in una misura tale da<br />

sfuggire alle capacità di comprensione di<br />

chi è vissuto in un mondo che sta<br />

mutando velocemente, segnando un<br />

peggioramento complessivo delle<br />

condizioni materiali di esistenza di<br />

milioni di donne e uomini del cosiddetto<br />

occidente industrializzato.<br />

Sbaglieremmo, tuttavia, se<br />

interpretassimo questa fase assumendo<br />

una prospettiva rozzamente<br />

economicistica, negandoci la possibilità<br />

di costruire una risposta collettiva<br />

adeguata alla gravità dei processi in<br />

corso : una catastrofe sociale è un<br />

fatto culturale prima che<br />

economico, influenzata<br />

naturalmente dalla profondità dei<br />

processi di sfruttamento economico,<br />

ma determinata nella sua<br />

complessità da una miriade di altri<br />

fattori che ne costituiscono i<br />

caratteri. Allo stesso modo<br />

sbaglieremmo se pensassimo che<br />

sulla base della sola presenza di<br />

interessi economici comuni, come<br />

la condivisione del disagio sociale<br />

che la crisi è destinata ad<br />

aumentare, si possano innescare<br />

deterministicamente i detonatori<br />

della trasformazione sociale e della<br />

rivoluzione.<br />

Quello che costituisce una classe, una<br />

comunità o un popolo sono i vincoli di<br />

solidarietà collettiva che disegnano<br />

appartenenze, fondano orgogliose<br />

sicurezze e fanno sì che in un dato<br />

momento storico ci si ponga come<br />

soggetti della trasformazione e del<br />

progresso.<br />

Ce lo insegna la storia del movimento<br />

operaio e i contadini in lotta che Gian<br />

Butturini ci presenta, nel Mondo degli<br />

ultimi, con i toni di un affresco epico e il<br />

linguaggio innovativo di una bella<br />

avventura intellettuale.


Le vignette di Gianni Allegra ©<br />

<strong>Casablanca</strong> pagina 49


Le vignette di Gianni Allegra ©<br />

<strong>Casablanca</strong> pagina 50


Le vignette di Gianni Allegra ©<br />

<strong>Casablanca</strong> pagina 51


Nadia Furnari<br />

Telejato… abbiamo trasmesso<br />

<strong>Casablanca</strong> pagina 52<br />

Telejato<br />

Chiuso per legge<br />

Chiediamo…<br />

Il riconoscimento del ruolo sociale delle TV comunitarie (che adesso vengono escluse dalla possibilità di<br />

diventare “operatore di rete”), riservando loro una quota nei piani di assegnazione delle frequenze<br />

Revisioni dei criteri per l’assegnazione dell’LCN (Logical Number Channel), che relega le televisioni locali<br />

ad un posizionamento fortemente penalizzante.<br />

… abbiamo chiesto<br />

Pino, quale è la situazione ad oggi?<br />

Aspettiamo che il ministero, entro il 20<br />

maggio, ci dia una risposta sulla domanda<br />

presentata come operatore di rete e<br />

come parte di un consorzio di cinque<br />

TV. La presenza di Telejato dentro al<br />

consorzio però è una cosa anomala perché<br />

non siamo una televisione comunitaria.<br />

Al forum di Cinisi hai comunicato che<br />

sei diventato fornitore di contenuti…<br />

che significa?<br />

E’ una cosa tutta per ridere perché Telejato<br />

potrebbe fornire contenuti ad altre<br />

emittenti. In sostanza potremmo realizzare<br />

dei servizi e poi chiedere alle altre<br />

emittenti di metterli in onda…<br />

E secondo te un’altra emittente metterebbe<br />

mai in onda i tuoi servizi?<br />

Sicuramente no. Telejato ha 310 querele<br />

e sicuramente nessuna emittente rischierebbe<br />

cause penali o civili…<br />

Si può dire che il riconoscimento di<br />

fornitore di contenuti è una grande<br />

presa in giro?<br />

Certo che si può dire. Tutta le legge, così<br />

come concepita, è incostituzionale e iniqua<br />

pensata per bloccare le voci scomo-<br />

de delle TV comunitarie. Non ci sono<br />

riusciti con la legge bavaglio… ci riusciranno<br />

con il passaggio al digitale terrestre.<br />

Se entro il 20 maggio non arriva nessuna<br />

risposta?<br />

Telejato chiude.<br />

Così come tutte le televisioni comunitarie<br />

(sono circa 250 in tutta Italia).<br />

Ma il 20 maggio cosa dovrebbe accadere?<br />

Telejato, anche se non ha i requisiti per<br />

diventare operatore di rete, ha presentato<br />

ugualmente la domanda. Siccome la legge<br />

parla anche di eventuali “recuperi” in<br />

caso di eventuali frequenze libere… allora<br />

diciamo che ci siamo messi in lista di<br />

attesa.<br />

Ma la lista di attesa vale solo per Telejato<br />

o per tutti?<br />

No. Vale per tutti.<br />

Ricordiamo quale era la proposta del<br />

30% ?<br />

Su 10 autorizzazioni che venivano date<br />

alle televisioni commerciali il 30% delle<br />

televisioni locali commerciali dovrebbe<br />

andare alle comunitarie.<br />

Questa proposta non è passata. Perché?<br />

Questa cosa non è neanche approdata alla<br />

discussione in parlamento. E’ stata<br />

l’ennesima presa per i fondelli da parte<br />

della politica (in questo caso del centro<br />

sinistra) per cercare di tenere a freno le<br />

fibrillazioni delle televisioni comunitarie.<br />

Ufficialmente quando si spegnerà Telejato?<br />

Lo Switch Off inizierà il 1 giugno. Dal<br />

1 luglio Telejato potrebbe non esserci<br />

più.<br />

Hai detto più volte che andrai in onda<br />

lo stesso. Cosa significa?<br />

Significa che il primo numero libero nel<br />

telecomando noi accendiamo e poi dovranno<br />

essere le forze dell’ordine a spegnerci.<br />

Il 20 maggio è passato. Tutto tace. Ad<br />

oggi Telejato… HA TRASMESSO.


Coppola editore<br />

pag. 128 - 12,00 €<br />

collana Linea emozioni.<br />

www.coppolaeditore.com<br />

<br />

E’ uscito il 18 maggio per l’editore Coppola,<br />

VENT’ANNI<br />

a cura di Daniela Gambino ed Ettore Zanca.<br />

In memoria delle stragi del ’92.<br />

<strong>Casablanca</strong> pagina 53<br />

Racconti, interviste, testimonianze, impressioni,<br />

monologhi teatrali e testi di canzone, per non<br />

dimenticare le stragi del ’92 in cui persero la vita<br />

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e i<br />

componenti – uomini e donne – delle scorte.<br />

Il diario di una partecipazione emotiva, un ritratto di<br />

Palermo e del Paese. Emozioni intime che diventano<br />

condivise.<br />

“(…) Abbiamo provato a riportare e riportarci alla<br />

memoria due stragi del 1992 nel modo più dolce<br />

possibile. Come riaprire una ferita per curarla meglio,<br />

con più amore. (…) Sono venuti fuori ricordi con la<br />

sete di giustizia, la voglia di consegnare un mondo<br />

più onesto, l’eredità morale (…) la consapevolezza<br />

che non c’è ancora un colpevole certo e non ha<br />

pagato del tutto chi dovrebbe pagare…”<br />

Dalla quarta di copertina firmata da Ettore Zanca<br />

Hanno partecipato alla stesura del libro: Salvatore<br />

Coppola, Maria Falcone, Rita Borsellino, Ignazio<br />

Arcoleo e Roberto Gueli, Letizia Battaglia, Rachid<br />

Berradi, Augusto Cavadi, Luigi Ciotti e Raffaele<br />

Sardo, Amelia Crisantino, Gaetano Curreri,<br />

Giuseppe Di Piazza, Daniela Gambino, Alfonso<br />

Giordano, Maurilio Grasso, Stefano Grasso e<br />

Corrado Fortuna, Enzo Guidotto, Sebastiano<br />

Gulisano, Ferdinando Imposimato, Pina Maisano<br />

Grassi e Chiara Caprì, Antonio Mazzeo, Natya<br />

Migliori, Marilena Monti, Carlo Palermo e Denise<br />

Fasanelli, Aldo Penna, Pippo Pollina, Enrico<br />

Ruggeri, Luca Tescaroli, Ettore Zanca.<br />

VENT’ANNI a cura di Daniela Gambino ed Ettore<br />

Zanca, immagine di copertina di Gaetano Porcasi,


Le “Cronachette” di Amalia Bruno ©<br />

<strong>Casablanca</strong> pagina 54


Le “Cronachette” di Amalia Bruno ©<br />

<strong>Casablanca</strong> pagina 55


In Nome del<br />

In nome del pareggio di bilancio…<br />

pareggio di bilancio<br />

Associazione Antimafie “Rita Atria”<br />

L'Italia è oggi colpita da una gravissima<br />

crisi sociale e politica. Dalle macerie di<br />

(quasi) vent'anni di berlusconismo e di<br />

una classe politica in larga parte asservita<br />

fin dalla fine della seconda Guerra Mondiale<br />

ai poteri forti, dalla NATO a Confindustria,<br />

è emerso un governo antisociale,<br />

antioperaio e padronale come il<br />

governo del "tecnico" Monti. Un governo<br />

che sta realizzando la totale cancellazione<br />

dei diritti sociali e civili, a partire dai diritti<br />

dei lavoratori con lo smantellamento<br />

dello Statuto dei Lavoratori.<br />

Non dovrebbe sorprenderci una simile deriva<br />

dopo che per la diffusa complicità di<br />

tutti noi, persi a goderci i frutti dello "sviluppo<br />

economico occidentale", abbiamo<br />

lasciato che il nostro arricchimento si allietasse<br />

dell'impoverimento sociale ed<br />

economico della maggior parte della popolazione<br />

umana. Abbiamo lasciato che<br />

la logica della globalizzazione del liberismo<br />

selvaggio e senza regole sottraesse<br />

diritti e dignità ad altri popoli, abbiamo<br />

consentito che la depredazione delle risorse<br />

naturali di altri Paesi venisse consentita<br />

dal nostro silenzioso consenso a<br />

regimi di feroce tirannia e di violenze antipopolari.<br />

Avremmo forse inconsciamente pensato e<br />

sperato che tutto ciò non avrebbe influito<br />

sulle nostre condizioni sociali ed economiche,<br />

ma era un triste inganno. Il liberismo<br />

selvaggio con la detenzione del potere<br />

e delle risorse in mano di pochi centri<br />

elitari ha infatti necessità assoluta di fondarsi<br />

sulla corruzione, sulla clientela e<br />

sulla negazione e repressione della sovranità<br />

popolare.<br />

Ecco perché oggi vengono al pettine i nodi<br />

della corruzione e del controllo della<br />

nostra sovranità, anzi, una grave limitazione<br />

della nostra sovranità in favore degli<br />

“amici” americani che non hanno mai<br />

rinunciato ad avvalersi anche della mafia<br />

e di ambienti contigui e conniventi ad essa:<br />

nel 1943 per “liberarci”; negli anni<br />

della “guerra fredda” per installare i missili;<br />

negli “anni di piombo” per far arre-<br />

trare le conquiste sociali e oggi<br />

per costruire strumenti di<br />

guerra e, quindi, di morte nella<br />

nostra Sicilia, con<br />

l’installazione, ad esempio, del MUOS<br />

nel bel mezzo della riserva naturale di<br />

Niscemi (CL). E inoltre, con l'incalzare di<br />

una crisi finanziaria che è frutto esclusivo<br />

dell'ideologia capitalista, non potevamo<br />

non aspettarci la depredazione dei diritti<br />

invocati dalla nostra Costituzione come<br />

base della convivenza sociale. Il Governo<br />

Monti sta dunque svolgendo egregiamente<br />

il proprio compito di servire fedelmente<br />

l'ideologia liberista.<br />

Possiamo solo chiederci se esistano forme<br />

di antagonismo concreto ed efficace, se<br />

saremo in grado di riappropriarci di quanto<br />

oggi si cerca di rinnegare della nostra<br />

Costituzione e di scipparci. Perché di<br />

fronte ai tanti usurpatori della sovranità<br />

non esistono poi molte scelte possibili. O<br />

si ha volontà e si è in grado di contrastarlo<br />

o dovremo arrenderci all'impudenza<br />

della sua politica antipopolare ed anticostituzionale.<br />

Il culmine di questo processo è stato realizzato<br />

in queste settimane con l'introduzione<br />

nella Costituzione del principio del<br />

"pareggio di bilancio" (riforma art. 81).<br />

Il pareggio di bilancio è un vulnus e un<br />

corpo estraneo nella Costituzione. I suoi<br />

principi fondamentali sono enunciati nei<br />

primi 12 articoli e poi sviluppati nei successivi.<br />

Tali principi sono gli stessi che<br />

ispirarono la Dichiarazione Universale<br />

dei Diritti Umani e la Carta di San Francisco<br />

(dalla quale nacque l'ONU). Sono i<br />

diritti umani inviolabili, i diritti civili e<br />

personali, il rispetto umano, l'uguaglianza,<br />

la cancellazione delle discriminazioni<br />

di ogni tipo. Sono diritti e principi<br />

che tra loro si armonizzano e, insieme,<br />

disegnano un'unica costruzione giuridica.<br />

Il pareggio di bilancio è tutt'altro, è un<br />

principio contabile, economico, ragionieristico.<br />

Ha tutt'altra natura. E, soprattutto,<br />

può confliggere e contrastare con gli altri.<br />

La ricerca dell'uguaglianza sociale non<br />

<strong>Casablanca</strong> pagina 56<br />

potrà mai confliggere con il rispetto del<br />

territorio (anzi, addirittura, già nel 1947, i<br />

padri costituenti scrissero paesaggio...).<br />

Ma le politiche di uguaglianza possono,<br />

eccome, confliggere con politiche di perseguimento<br />

del pareggio di bilancio.<br />

Davanti alla necessità di scegliere tra le<br />

due, in caso di bilancio già in pareggio e<br />

la necessità di ulteriori politiche sociali,<br />

cosa verrà sacrificato? Già il solo porsi<br />

la domanda è un vulnus, è lacerare il<br />

tessuto costituzionale.<br />

Va sottolineato che è un pareggio truccato:<br />

per poter redigere in pareggio il bilancio<br />

non vengono conteggiate alcune spese,<br />

come i contributi al fondo salva-stati.<br />

Secondo vulnus, la partecipazione ad un<br />

fondo finanziario viene considerata immensamente<br />

più importante dell'uguaglianza<br />

sociale e delle politiche di lotta<br />

alla discriminazione (tanto per fare due<br />

esempi)...<br />

Il pareggio di bilancio realizza compiutamente<br />

il disegno dei poteri forti che, già<br />

prima della promulgazione della Carta<br />

Costituzionale il 1° gennaio 1948, tentarono<br />

di distruggere l'anelito all'uguaglianza<br />

sociale, alla libertà e al rispetto di tutti<br />

i cittadini del popolo italiano liberato dal<br />

NaziFascismo. Un disegno che, prima di<br />

ogni altro, colpisce i lavoratori, gli operai<br />

e i più deboli. Non è certamente un caso<br />

che tutto sia iniziato a Portella della Ginestra,<br />

lì dove il 1° maggio 1947 furono<br />

massacrati uomini, donne e bambini che<br />

stavano celebrando la Festa dei Lavoratori.<br />

A Portella della Ginestra oltre che le<br />

vittime umane della strage fu tra le vittime<br />

il comma primo dell'articolo 3 della<br />

Costituzione: "Tutti i cittadini hanno pari<br />

dignità sociale e sono eguali davanti<br />

alla legge, senza distinzione di sesso, di<br />

razza, di lingua, di religione, di opinioni<br />

politiche, di condizioni personali e sociali".<br />

L'anticomunismo fu il paravento die-


tro il quale i poteri forti giustificarono la<br />

ragione e il segreto di Stato. E in nome<br />

dell'anticomunismo hanno commesso i<br />

peggiori crimini, che vanno dalla non tutela<br />

dei diritti fondamentali della Persona<br />

Umana alla corruzione, ai rapporti tra potere<br />

e mafie fino allo stragismo contro il<br />

popolo italiano e i migranti. Chi detiene il<br />

potere si è messo al di sopra della legge e<br />

si è garantito ogni impunità, svendendo la<br />

sovranità popolare al governo americano,<br />

superpotenza che poteva garantire ai fedeli<br />

servitori carriere fulminee, potere e<br />

denaro.<br />

Da Portella nacque però anche il fiore di<br />

una nuova Resistenza per raggiungere<br />

l'obiettivo di vivere in un'Italia dove dare<br />

completa attuazione alla Costituzione del<br />

1948, affinché vi siano governi che ispirino<br />

la politica interna ed estera alla fedeltà<br />

costituzionale.<br />

Chi si è messo sopra la legge, chi fa affari<br />

con le mafie, chi pensa prima di tutto a<br />

carriere fulminee e denaro ha sempre<br />

avuto come obiettivo di spazzare via la<br />

nuova Resistenza nata a Portella.<br />

Hanno ammazzato giornalisti, politici,<br />

operai, contadini, studenti, sindacalisti,<br />

magistrati, avvocati e tutte le vittime cancellate<br />

dall'oblio imposto dal potere, protagonisti<br />

della nuova Resistenza nata a<br />

Portella. Peppino Impastato è uno di<br />

questi nuovi partigiani.<br />

La crisi dell'impero americano e del<br />

capitalismo ha dato l'avvio all'intensificazione<br />

della repressione della nuova<br />

Resistenza nata a Portella da parte di chi<br />

non vuole rinunciare a potere, poltrona e<br />

denaro, al proprio tornaconto personale,<br />

che comprende anche - se ha eventualmente<br />

commesso crimini - di non avere<br />

un qualche fastidioso controllo o indagine,<br />

perché si sente sopra la legge e pretende<br />

l'impunità. Il Governo Monti è oggi<br />

l'esecutore di questa repressione, voluta<br />

In nome del pareggio di bilancio…<br />

dai poteri forti ed economici italiani ed<br />

internazionali.<br />

In nome delle vittime delle mafie, della<br />

corruzione, delle stragi a noi spetta di<br />

prendere il testimone e proseguire quotidianamente<br />

la Resistenza nata a Portella<br />

della Ginestra. In memoria dei nuovi partigiani<br />

che ci hanno preceduto e sono stati<br />

barbaramente uccisi, lasciandoci il testimone<br />

di un impegno che oggi deve camminare<br />

sulle nostre gambe. Si resiste e si<br />

lotta con determinazione quotidiana anche<br />

con proposte di leggi che impegnino<br />

la Repubblica ad assolvere il compito assegnato<br />

dai Padri costituenti, tra cui rimuovere<br />

gli ostacoli di ordine economico<br />

e sociale, che, limitando di fatto la libertà<br />

e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono<br />

il pieno sviluppo della persona umana e<br />

l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori<br />

all'organizzazione politica, economica<br />

e sociale del Paese così come sancito<br />

dall'articolo 3 della Costituzione del<br />

1948.<br />

C'è un'ultima non meno triste questione<br />

che non possiamo esimerci dal sottolineare:<br />

i suicidi dei tanti e troppi piccoli imprenditori<br />

che si sono trovati nell'angoscia<br />

insostenibile di una vita senza prospettive<br />

e senza futuro.<br />

Essi sono purtroppo<br />

le specchio dell'infame<br />

destino che il<br />

capitalismo selvaggio<br />

riserva ai Cittadini,<br />

anche a coloro<br />

che ha reso più simili<br />

a sé per poter ottenere<br />

una egemonia<br />

assoluta e senza<br />

contrasto: la perdita<br />

di senso e di futuro.<br />

<strong>Casablanca</strong> pagina 57<br />

Ma non è un caso che la maggior parte di<br />

questi suicidi si registrino tra piccoli imprenditori<br />

piuttosto che tra gli operai e gli<br />

ultimi, i poveri, delle nostre società. Perché<br />

sono i poveri coloro che hanno sempre<br />

portato il peso della storia ed hanno<br />

saputo convivere con l'impoverimento fino<br />

alla miseria e sopravvivere, nonostante<br />

tutto, alla espropriazione della loro dignità<br />

e del loro futuro. Ed è da loro, dalla loro<br />

coscienza di essere portatori di una<br />

prole a cui è necessario consegnare un futuro<br />

più carico di possibilità e di speranze<br />

che si sono viste nascere rivoluzioni di<br />

dignità e identità, di Cittadinanza e di Diritti<br />

Fondamentali. Se i poveri dell'Africa<br />

o dell'Asia avessero tutti scelto di suicidarsi<br />

oggi forse il capitalismo avrebbe<br />

trionfato senza dover temere rivalse della<br />

storia. Ma i poveri che riescono a sopravvivere,<br />

nonostante tutto, sono la più feroce<br />

testimonianza del vero volto del capitalismo<br />

e sono la denuncia vivente delle<br />

sue false ed idolatriche ideologie. A tutti<br />

diciamo dunque: Resistete, non sopprimete<br />

la vostra vita ma fatene strumento di<br />

denuncia e luogo di cambiamento.<br />

Bisogna assumere dunque la dignità dei<br />

poveri perché i potenti non possano cullarsi<br />

nella presunzione di poter prevaricare<br />

impunemente la dignità delle Persone<br />

Umane. Non dobbiamo permettere a noi<br />

stessi di essere ancora complici della<br />

schiavitù con cui si vorrebbe dominarci e<br />

mentre siamo umanamente accanto alle<br />

famiglie dei tanti suicidi dobbiamo urlare<br />

a tutti ed a noi per primi che resistere è un<br />

dovere, per dare un senso alle nostre esistenze.<br />

E dobbiamo farlo elaborando<br />

strumenti e disegnando percorsi alternativi<br />

che non si fermino alla sola denuncia<br />

del capitalismo ma facciano intravedere<br />

anche le possibilità di sfuggire alla sua<br />

violenta protervia ed alla sua fiaba affabulatoria<br />

di un benessere diffuso ed alla<br />

portata di tutti che, se svanisce, ci lascia<br />

sperduti e ci induce ad autoeliminarci.<br />

Chi ha idee e competenze è ora che le<br />

metta in gioco, perché la Resistenza dal<br />

NaziFascismo non è nata con la fine di<br />

quei regimi ma quando essi erano in auge,<br />

ed ha contribuito enormemente alla<br />

loro sconfitta fin dal tempo del loro apparente<br />

trionfo.<br />

Documento Condiviso da<br />

Le Siciliane - <strong>Casablanca</strong>


www.lesiciliane.org

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