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Vicariato di <strong>Favaro</strong>-Altino<br />

Incontro del 17 marzo 2010<br />

<strong>Favaro</strong> <strong>Veneto</strong>, parrocchia di <strong>San</strong> <strong>Pietro</strong><br />

IL PRETE IN UNA CHIESA SINODALE<br />

Relatori i teologi:<br />

Serena Noceti e Daniele Garota<br />

Agenda<br />

20.45 saluto<br />

21.00 intervento di Serena Noceti<br />

21.30 intervento di Daniele Garota<br />

22.00 lavoro in gruppi<br />

22.15 risposte dei relatori<br />

RIPENSIAMO LA FIGURA DEL PRETE IN UNA CHIESA CHE DOVREBBE RITROVARE LA SUA<br />

IDENTITÀ SINODALE. LA SINODALITÀ VALORIZZA ANCHE IL MINISTERO BATTESIMALE: UNA CHIESA<br />

NON PIÙ PENSATA PIRAMIDALMENTE MA SINODALMENTE METTE IN GIOCO TUTTI GLI ATTORI.<br />

L’INCONTRO SARÀ L’INIZIO DI UN LAVORO CHE COINVOLGERÀ L’INTERO VICARIATO: OGNI<br />

COMUNITÀ DOVRÀ IMPEGNARSI SUI CONTENUTI EMERSI IN QUESTA SERATA. VERSO MAGGIO O<br />

GIUGNO È PREVISTA UN’ALTRA ASSEMBLEA PER PRESENTARE E CONDIVIDERE IL FRUTTO DELLE<br />

RIFLESSIONI DI OGNI PARROCCHIA.


Sommario<br />

introduzione....................................................................................................3<br />

intervento di Serena Noceti ..............................................................................4<br />

intervento di Daniele Garota ..........................................................................11<br />

domande dai gruppi .......................................................................................16<br />

risposte di Serena Noceti ................................................................................18<br />

risposte di Daniele Garota..............................................................................20<br />

articolo su Gente Veneta ................................................................................21


introduzione<br />

Procedendo sul solco fecondo tracciato dalla Visita pastorale, le parrocchie del nostro<br />

vicariato hanno deciso di continuare ad incontrarsi per crescere nella conoscenza reciproca e<br />

ricercare quel rapporto di comunione al quale la nostra fede ci chiama.<br />

Dopo la consolidata esperienza di incontri in preparazione alla Sosta pastorale, il compito<br />

di guidare le assemblee ed elaborarne i risultati è ancora affidato a un gruppo di<br />

coordinamento vicariale che rappresenta tutte le parrocchie.<br />

Con qualche piccolo cambiamento, questo gruppo è tornato ad incontrarsi all’inizio di<br />

gennaio. In quella occasione, pressoché tutti i consiglieri sono stati concordi sul tema della<br />

prossima assemblea, prevista per l’inizio di giugno: la figura del prete.<br />

Questa scelta, inizialmente ispirata all’Anno sacerdotale che stiamo vivendo nella Chiesa e<br />

alla necessità di capire meglio la figura del ministro ordinato, è anche dovuta al desiderio di<br />

riprendere le tematiche già toccate nelle assemblee precedenti, la sinodalità nella Chiesa, la<br />

corresponsabilità dei laici, il rapporto presbiteri/laici…, accostando così il ministero<br />

battesimale dei laici e il ministero ordinato dei preti.<br />

Abbiamo pensato perciò di affidarci e farci guidare dalle parole di due personalità<br />

autorevoli nel campo della teologia, che fossero laici, un uomo e una donna, certi che quanto<br />

avremmo sentito da loro ci avrebbe potuto stimolare e far progredire nel nostro cammino di<br />

singole comunità, di vicariato e di Chiesa tutta.<br />

deluse.<br />

Oggi, a un mese esatto dall’incontro, possiamo dire che le nostre aspettative non sono state<br />

<strong>Favaro</strong> <strong>Veneto</strong>, 17 aprile 2010


Incontro vicariale, <strong>Favaro</strong> 17 marzo 2010 intervento di Serena Noceti<br />

Premessa<br />

intervento di Serena Noceti<br />

Vorrei dire fin dall’inizio che mi sento e vivo come figlia del Concilio. Vorrei collocare la riflessione di<br />

questa sera “Il prete in una chiesa sinodale” nell’ottica della visione ecclesiologica di riflessione sulla chiesa<br />

che il Concilio ci ha consegnato. Vorrei ancora più profondamente radicarmi nella chiesa del Concilio, quella<br />

che dal Concilio é maturata, scaturita, si é sviluppata. E’ quasi ovvio, quando si parla di teologia oggi, fare<br />

riferimento al Concilio come punto di riferimento importante, e direi che per il nostro tema di questa sera, per<br />

l’oggetto della nostra riflessione, questo é ancora più necessario perché abbiamo una ri-acquisizione della<br />

coscienza e della forma sinodale di chiesa che il Concilio Vaticano II ci consegna, in particolare nella Lumen<br />

Gentium.<br />

Poi una riflessione, un’impostazione nuova del ministero ordinato, quindi della riflessione sulla figura del<br />

prete che il Concilio ci offre.<br />

Il terminus a quo: il Concilio Vaticano II<br />

Il Concilio é stato un evento sinodale, é stata un’esperienza forte di chiesa e di processo di sinodalità<br />

che i vescovi hanno vissuto e da cui é scaturita una forma nuova chiaramente propulsiva e innovativa. E<br />

così dai documenti, ma direi ancora più profondamente dall’evento conciliare, scaturisce una dimensione di<br />

chiesa che vive in comunione. Una comunione che si radica in processi di comunicazione, da cui vorrei<br />

appunto partire.<br />

Il Concilio Vaticano II non ha utilizzato direttamente la parola “sinodalità” per la vita ecclesiale, quindi,<br />

faccio riferimento al concilio sapendo, però, che nei documenti conciliari la parola “chiesa sinodale –<br />

sinodalità di chiesa” non é presente in questa forma così come oggi noi la pensiamo. Ma sono presenti i<br />

presupposti radicali, che vorrei raccogliere attorno a cinque parole, intorno alle quali “ri-pensare” una chiesa<br />

sinodale.<br />

La prima parola é “soggetti” che fanno chiesa . Quello che il Concilio ci consegna in forma nuova é<br />

una nuova considerazione della soggettualità, dell’essere soggetti, di tutti i battezzati. Il secondo capitolo di<br />

Lumen Gentium, la costituzione dedicata alla chiesa, é proprio incentrata sul tema del popolo di Dio e sulla<br />

identità, sugli elementi di identità comune – che si radicano sul battesimo – che sono propri di tutti i cristiani.<br />

In particolare, tra i paragrafi presenti ce n’é uno, a mio parere fondamentale, si trova al numero 12 della<br />

Lumen Gentium "Ogni cristiano é segnato da un senso della fede e partecipa della missione profetica di<br />

Cristo" cioé, ogni cristiano e ogni cristiana, ha una parola necessaria per la vita, la crescita, l'evoluzione di<br />

Chiesa.<br />

Allora il primo elemento che suffraga e sostiene una chiesa sinodale é il fatto che tutti noi che cocostituiamo,<br />

cioé costituiamo insieme il soggetto ecclesiale, siamo portatori, portatrici di una parola<br />

necessaria nell'annuncio del vangelo, nell'interpretazione del vangelo nella vita di chiesa.<br />

Questo ha aperto degli scenari nuovi rispetto alla fase preconciliare. C'é una discontinuità evidente in<br />

questo dal momento che siamo passati da una figura di chiesa incentrata su processi di comunicazione della<br />

fede "da chi sa a chi non sa" – quale era quella precedente al concilio, dal clero ai laici, dagli adulti il bambini<br />

– ad una comprensione della vita di chiesa che si gioca in una soggettualità di tutti i soggetti battezzati,<br />

uomini e donne, pur nella differenza di ministeri, tra ministri ordinati e appunto laici e laiche. Ma il recupero di<br />

un essere soggetto per tutti i laici e laiche che si fonda sul dono e fonte battesimale, e questo é un punto di<br />

riferimento chiave.<br />

La seconda parola é la parola "comunione". Quindi relazione di comunione con Dio e tra coloro che<br />

fanno chiesa e una comunione che sa di vivere di dinamiche comunicative non più unidirezionali (dall'alto<br />

verso il basso, dal centro verso la periferia), ma pensata come forma di comunicazione multidirezionale.<br />

Ogni soggetto cristiano é ascoltatore della parola ma anche locutore necessario di una parola di<br />

interpretazione evangelica per la chiesa.<br />

La terza parola chiave é “chiesa comunità ermeneutica” cioè capace di interpretare e annunciare il<br />

vangelo nelle parole e con le parole dell'oggi nella storia. Quindi una chiesa che vive radicata nell'ascolto<br />

della Parola di Dio e in un annuncio del Vangelo che sa parlare, dovrebbe saper parlare con profondità il<br />

linguaggio del nostro tempo. Lo riassumerei con l'espressione "Chiesa comunità ermeneutica", capace di<br />

interpretare il vangelo nell'oggi della storia.<br />

La quarta parola é “chiesa popolo sacerdotale". Anche qui abbiamo una radicale differenza rispetto<br />

alla fase preconciliare. Il Concilio Vaticano II recupera in Lumen Gentium (N. 10 e n. 11 del II capitolo<br />

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Incontro vicariale, <strong>Favaro</strong> 17 marzo 2010 intervento di Serena Noceti<br />

dedicato al popolo di Dio) il fatto che, per il battesimo, ciascuno e ciascuna di noi é sacerdote. Ciascuno di<br />

noi esercita e vive il sacerdozio nella vita quotidiana, ciascuno di noi offre il suo corpo, cioè tutta la sua<br />

esistenza, per amore agli altri e come culto a Dio nella storia. Prima di qualsiasi sacerdozio di riti, di culto, di<br />

liturgia quello che é in gioco é un sacerdozio della vita e dell'esistenza, nel dono di noi stessi. Ciascuno di<br />

noi é sacerdote, rende culto a Dio nella sua vita quotidiana, quando per amore dona tutto se stesso (Lettera<br />

ai Romani cap.12).<br />

Questo apre uno scenario nuovo e recupera un elemento di coscienza, autocoscienza, presente nel<br />

nuovo testamento ma che era stato dimenticato e marginalizzato per secoli. Faccio una breve parentesi che<br />

possa aiutarci ad entrare in questa prospettiva. Quando noi guardiamo ai testi neotestamentari ci<br />

accorgiamo che il termine "sacerdote" viene utilizzato unicamente per il Cristo: Sommo sacerdote,<br />

misericordioso, santo, vicino agli uomini, fedele. E viene usato il termine "sacerdoti" per i cristiani, oppure<br />

popolo sacerdotale, l'insieme di tutti i cristiani.<br />

Mai su tutto il nuovo testamento la parola sacerdote o sacerdoti é utilizzata per coloro che sono ministri<br />

ordinati, noi diremmo, cioé i responsabili nella comunità cristiana.<br />

Il sacerdozio che ci viene presentato, é come il sacerdozio di Cristo, quello che si vive nel dono di noi<br />

stessi per amore degli altri come culto a Dio. Questa é l'idea di sacerdozio che é presente nel nuovo<br />

testamento. Questa idea rimane diffusa fino al quarto secolo nella autocoscienza di chiesa.<br />

A partire dal quarto secolo si comincia ad utilizzare il termine sacerdote/sacerdoti unicamente per i<br />

ministri ordinati.<br />

I laici e le laiche perdono la consapevolezza di questo sacerdozio dell'esistenza.<br />

Questa situazione, questa prospettiva, rimane più o meno stabile fino al Concilio Vaticano II quando<br />

(finalmente!) arriviamo a recuperare questo elemento di coscienza presente nel nuovo testamento e<br />

cominciano a recuperare il termine Sacerdote per il Cristo e sacerdoti per i cristiani. Allora il capitolo 2° ci<br />

consegna un'autocoscienza di chiesa dove il sacerdozio é prima di tutto quello della vita, dove si supera la<br />

contrapposizione sacro-profano, tempi sacri-tempi profani, spazi sacri-spazi profani, persone sacre (che<br />

sarebbero i preti e le suore) e persone profane (che saremmo noi laici e laiche), come elementi contrapposti.<br />

Con il Concilio Vaticano II questa contrapposizione divisiva tra sacro e profano é finalmente di nuovo<br />

superata e attorno all'autocoscienza dell'essere popolo sacerdotale si giocano scenari nuovi. E' interessante<br />

che in tutti i documenti del Vaticano II, con un paio di eccezioni sole, il termine sacerdote non é più utilizzato<br />

solo per i presbiteri. Allora, questo elemento é l'elemento da cui io vorrei radicalmente ripartire. Non abbiamo<br />

più una classe sacerdotale cui é deputata la gestione di un sacro, di cui i laici sono fruitori passivi, non<br />

abbiamo più un' orda sacerdotale pensato come intermediario tra Dio e il popolo. Ma tutti noi siamo un<br />

popolo sacerdotale all'interno del quale alcuni esercitano un ministero particolare, per imposizione delle mani<br />

in favore della comunità cristiana.<br />

L'ultimo passaggio, l'ultima parola chiave é "Chiesa tutta ministeriale". Come dice Apostolicam<br />

Actuositatem, che é il documento sull'apostolato dei laici "Unica é la missione della chiesa, tutti ne sono<br />

partecipi, secondo una diversità di vie e di ministeri". Altro é la vita e l'azione laicale, altro é le molte vie in cui<br />

siamo laici, altro é il ministero ordinato ma unica é la missione.<br />

In questa nuova prospettiva, in questo nuovo scenario di chiesa e di interpretazione dell' evento<br />

ecclesiale, che la Lumen Gentium ci consegna con delle prospettive e dei tratti di novità, anche il ministero<br />

ordinato (cioé dei vescovi, dei preti e dei diaconi) viene ripensato in una forma nuova. E abbiamo anche qui<br />

un passaggio forte. Il primo elemento indirettamente l'ho già detto, il ministero ordinato, il ministero del prete,<br />

di cui questa sera stiamo parlando, non viene più interpretato primariamente nella linea sacrale, di un<br />

sacerdozio e di un culto che viene deputato ai soli presbiteri rispetto a dei laici meri fruitori. Anzi la<br />

prospettiva é ancora più profondamente e radicalmente nuova perché si comincia a parlare del ministero del<br />

vescovo, del prete e del diacono nel terzo capitolo della Lumen Gentium.<br />

Il primo capitolo é dedicato alla Chiesa del mistero di Dio, del progetto di Dio, il suo ruolo e la sua<br />

missione salvifica.<br />

Il secondo capitolo é dedicato a tutto ciò che c'é di comune a tutti i cristiani.<br />

Il terzo capitolo al ministero ordinato e il quarto capitolo ai laici.<br />

Già questa collocazione ci dice che non possiamo parlare di preti, di ministri ordinati, se non all'interno di<br />

una visione che é quella dell'insieme del popolo di Dio. Popolo tutto sacerdotale, popolo tutto ministeriale,<br />

popolo a cui é affidato una missione nella storia da vivere nella comunione, grazie al fatto che tutti sono<br />

effettivamente e realmente soggetti.<br />

Il ministero ordinato viene letto in questa prospettiva. Il legame portante nell'interpretare la vita del prete<br />

non é più esclusivamente il legame tra il singolo prete e il Cristo, come é avvenuto nella storia della teologia<br />

per tutto il secondo millennio. Il legame portante per poter comprendere lo specifico del presbitero, del prete,<br />

del vescovo e del diacono, é il legame con la chiesa e l'inserimento all'interno di questa missione<br />

diversificata che é propria di tutto il corpo ecclesiale. In particolare il legame portante con la chiesa locale,<br />

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Incontro vicariale, <strong>Favaro</strong> 17 marzo 2010 intervento di Serena Noceti<br />

con il vescovo. C'é una visione collegiale del ministero, comunionale nel senso ultimo, e soprattutto si<br />

collega il ministero del vescovo, del prete, del diacono non più immediatamente, direttamente,<br />

esclusivamente, alle funzioni sacerdotali e sacramentali ma all'annuncio della parola di Dio, come elemento<br />

di fondo. Allora l'elemento interpretativo determinante per pensare il ministero, non é più il rapporto tra il<br />

singolo prete e Cristo ma l'insieme di tutti i ministri ordinati in relazione alla chiesa. E si recuperano,<br />

finalmente, alcuni elementi d'interpretazione del ministero ordinato che erano presenti nel nuovo testamento.<br />

In particolare la ragione ultima del perché esistono i preti.<br />

2. Il ministero presbiterale nella prospettiva del Concilio<br />

Da qui vorrei partire per affrontare l'idea e la forma, la configurazione di un prete che vive in una chiesa<br />

sinodale, cogliendo lo specifico che egli porta.<br />

Noi diamo per scontato che esistano i ministri ordinati. Ma dobbiamo porci la domanda sul perché<br />

esistano i vescovi, i diaconi, in particolare i preti, qual é la ragione storica ma anche la ragione teologica<br />

ultima dell'esistenza dei preti nella comunità cristiana e per la comunità cristiana.<br />

Il Nuovo Testamento ci dà una risposta, ce la dà nel capitolo 20 degli atti degli apostoli, e ce la dà nelle<br />

lettere pastorali, in particolare nella prima e nella seconda lettera a Timoteo e a Tito. E quando noi andiamo<br />

a sfogliare questi testi ci accorgiamo che ci indicano che c'é un compito specifico, una ragione specifica<br />

perché esistano alcune persone che chiamiamo oggi ministri ordinati, che sono tali per l'imposizione delle<br />

mani e per un sacramento per noi particolare.<br />

Questo specifico é dato dal fatto che i ministri ordinati, responsabili nella comunità, devono garantire alla<br />

comunità cristiana una realtà che le é essenziale: la radicazione nella fede apostolica. I ministri ordinati<br />

devono custodire il "deposito della chiesa".<br />

Dunque, per il Nuovo testamento, per il Vaticano II, tutti noi (uomini e donne, laici, laiche e ministri<br />

ordinati) dobbiamo annunciare la parola di Dio – perché la chiesa vive di questo principio dell'annuncio – ma<br />

il modo in cui lo fanno i ministri ordinati ed i laici é differente. I preti, i vescovi devono garantire che<br />

l'annuncio della fede sia effettivamente l'annuncio della fede apostolica, quella che si radica nell'esperienza<br />

degli apostoli, che si radica nell'annuncio che Gesù ha dato del Regno di Dio, che si radica nell'esperienza<br />

propria appunto fondativa della fede apostolica. Mentre noi laici e laiche, ci dice il Concilio, siamo chiamati a<br />

dare in questo annuncio un altro elemento, un altro tratto che é quello dell'inculturazione della fede,<br />

dell'annuncio della fede, della parola di Dio con categorie, linguaggi, dinamiche che sono quelle proprie della<br />

cultura e della storia, del contesto nel quale ciascuno di noi si trova a vivere.<br />

Tutti siamo soggetti di annuncio ma, i ministri ordinati , secondo il Nuovo Testamento, devono garantirci<br />

qualche cosa di essenziale: che l'annuncio della fede che noi diamo sia effettivamente quello degli apostoli,<br />

sia radicato nella fede apostolica. Devono custodire il deposito della fede vuol dire esattamente questo. Ciò<br />

non vuol dire ripeterlo in maniera identica ma radicarlo in questo elemento essenziale, affinché la chiesa sia<br />

effettivamente la chiesa di Gesù. Se la chiesa vive dell'annuncio, per essere chiesa di Gesù deve<br />

effettivamente l'annuncio della fede apostolica essere mantenuta attraverso il tempo.<br />

Allora, non troviamo mai nel Nuovo Testamento che lo specifico, la ragione ultima dell'esistenza dei preti<br />

sia la presidenza dei momenti celebrativi, dell'eucaristia, della frazione del pane. Non lo troviamo indicato<br />

neanche una volta.<br />

Allora come e perché i preti, i vescovi, i presbiteri presiedono l'eucaristia? La presiedono perché<br />

presiedono la comunità cristiana, presiedono la comunità cristiana perché le garantiscono l'essenziale (la<br />

radicazione della fede nella fede apostolica). Nella chiesa antica é stato sempre così, può presiedere<br />

l'eucaristia chi presiede una comunità, presiede una comunità chi le garantisce l'essenziale, l'apostolicità<br />

dell'annuncio, la radicazione apostolica dell'annuncio.<br />

Tutti siamo soggetti che costituiscono, costruiscono, co-istituiscono insieme la realtà ecclesiale ma<br />

abbiamo bisogno, perché la chiesa sia veramente la chiesa di Gesù, che alcuni, per dono dello Spirito<br />

<strong>San</strong>to, ci garantiscano l'apostolicità del nostro annuncio, che ci riportino a questo essenziale<br />

permanentemente. Chi fa questo, presiede una comunità cristiana perché le garantisce la sua identità, il suo<br />

volto, la sua realtà intorno all'essenziale: la professione della fede. Chi fà questo presiede il momento<br />

celebrativo, in particolare l'eucaristia, la vita sacramentale.<br />

Normalmente noi, invece, pensiamo il presbitero immediatamente in relazione alla presidenza<br />

sacramentale, liturgica, eucaristica, anzi per secoli abbiamo utilizzato il linguaggio assolutamente<br />

sacerdotale, per il quale abbiamo detto che "celebra la messa il sacerdote" e i fedeli assistono. Bene, questo<br />

linguaggio non é un linguaggio né neotestamentario, né sostenibile dopo il Vaticano II perché tutti noi siamo<br />

popolo sacerdotale, per il battesimo, la cresima, la prima celebrazione dell'eucaristia. Tutti noi siamo parte di<br />

un'assemblea celebrante, siamo un'assemblea celebrante con la presidenza, sotto la presidenza di un<br />

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Incontro vicariale, <strong>Favaro</strong> 17 marzo 2010 intervento di Serena Noceti<br />

ministro ordinato. Tutti celebriamo, c'é uno che presiede. Ci presiede, presiede la nostra eucaristia, perché<br />

presiede la nostra comunità, presiede la nostra comunità perché la radica sull'essenziale.<br />

Allora, questo modo di guardare il ministero ordinato mi sembra essenziale per poter pensare quale<br />

prete è al servizio di una comunità, di una chiesa tutta sinodale. Il ministero ordinato, il ministero del prete, il<br />

suo servizio, deve essere pensato all’interno di questa rete di relazioni comunionali, che è quella della<br />

chiesa sinodale. Ha un ministero specifico che è legato al fatto, ed è garanzia del fatto, che tutte le nostre<br />

relazioni di comunione e di unità siano regali e significative perché fondate sull’essenziale: la professione di<br />

fede in Gesù, quella che gli apostoli, la fede apostolica, ci ha prestato.<br />

Il ministro ordinato, il prete, quindi non sta davanti alla chiesa sinodale, sta in una chiesa sinodale. La<br />

aiuta, la favorisce, favorisce le relazioni di comunione e quindi non esercita primariamente un compito<br />

sacerdotale. Esercita la funzione sacerdotale, ma la esercita perché presiede la comunità, presiede la<br />

comunità perché appunto le garantisce questa eredità.<br />

Questo ci aiuta per comprendere quale sia un secondo elemento di specificità del suo servizio: il prete –<br />

chiamato presbitero – deve garantire alla comunità cristiana la sua identità di soggetto collettivo, è a<br />

servizio dell’unità della comunità cristiana. Un punto intorno all’essenziale. Il suo ministero si dà in funzione<br />

della crescita del corpo ecclesiale, sapendo però che tutti i soggetti che fanno chiesa, tutti i battezzati/tutte le<br />

battezzate hanno un compito particolare e necessario per la costruzione di questo corpo ecclesiale.<br />

Questo già ci dice che il prete, il presbitero, non può pensare di sostituire e sostituirsi ai carismi ed ai<br />

ministeri degli altri componenti della comunità cristiana. Il suo ministero è un ministero di servizio all’unità, un<br />

ministero che tende alla sintesi dei diversi ministeri, ma non può pensarsi come sintesi di tutto né sostituire i<br />

soggetti che fanno chiesa, ognuno per la propria identità e particolarità. Se questa è la grande novità che il<br />

Concilio ci consegna, quindi, superare la logica sacerdotale, superare la logica sacrale, ritornare a pensare<br />

le dinamiche della chiesa sinodale nell’ascolto della Parola, nell’annuncio del Vangelo – che ci vede tutti<br />

protagonisti – e individuare lo specifico del prete in questo servizio all’apostolicità del Vangelo, all’unità della<br />

comunità e alla sua crescita e quindi alla Eucaristia, alla dimensione sacramentale.<br />

3. Una difficile recezione…<br />

E’ vero anche che il post-concilio, questi 45 anni dalla conclusione del Concilio, sono segnati da alcune<br />

fatiche in questo senso. Da un lato sono segnati da un grande sviluppo di ministeri, di ministerialità di laici e<br />

laiche, che ci riconosciamo (anche qui questa sera) come soggetti attivi e significativi per la vita della<br />

comunità cristiana, per la sua missione nella storia del mondo dall’altra, però, anche dalla fatica che – i<br />

presbiteri da un lato e anche di noi laici – abbiamo sperimentato intorno alla figura dell’essere prete.<br />

Segnalo alcune difficoltà e alcune resistenze, perché su queste, se vogliamo vivere come chiesa<br />

sinodale, molto si gioca e quindi la nostra vigilanza deve esercitarsi.<br />

Primo elemento è che si è tornati, in maniera molto forte, a una fondazione cristologia e ontologica del<br />

singolo prete in rapporto a Cristo. Una forte sottolineatura di una spiritualità che lega il singolo prete, nella<br />

sua vicenda interiore, a Cristo e solo come atto secondo alla comunità cristiana. E’ sempre più diffusa l’idea<br />

che i presbiteri sono posti di fronte alla chiesa, come prolungamento visibile di Cristo nel suo stare davanti<br />

alla chiesa e al mondo. In questo senso, si sta accentuando, si sta ritornando, a mio parere, dopo il Concilio<br />

Vaticano II, sempre di più a pensare il prete davanti alla comunità e molto meno inserito in questa rete<br />

relazionale così forte. Così pure, lo dico in maniera molto critica, ma penso sia necessario parlare molto<br />

chiaramente di questo, si sta ritornando ad un linguaggio sacerdotale. Quest’anno è stato convocato l’anno<br />

sacerdotale, benemerito perché c’è bisogno di parlare del ministero del prete, si è utilizzata la parola<br />

sacerdote. Ma non nel senso né del Nuovo Testamento e neanche del Vaticano II. Si è ritornati ad usare un<br />

linguaggio datato pre-concilio.<br />

Dobbiamo essere consapevoli di questo: noi abbiamo innanzitutto un sacerdozio battesimale e qualsiasi<br />

sacerdozio ministeriale è un ministero per la vita della comunità cristiana nella rete delle relazioni di<br />

comunione che fanno la comunità.<br />

Sempre di più si sta insistendo sulla differenza che sussiste tra ministro ordinato e laici/laiche ma il punto<br />

di partenza deve essere la differenza, la distinzione, la sacralità degli uni a fronte degli altri? O il Vaticano II<br />

e soprattutto il Nuovo Testamento ci chiede di pensare diversamente? Su questo penso che dobbiamo<br />

esercitare la nostra vigilanza. Già a livello di linguaggio, quando noi parliamo dei ministri ordinati del<br />

secondo grado, dovremmo evitare di chiamarli sacerdoti, perché non li aiutiamo a comprendere il loro<br />

specifico, che è quello di essere presbiteri, “anziani” come dice appunto il capitolo 20 degli atti degli apostoli,<br />

che esercitano anche una funzione sacerdotale, insieme a quella profetica e quella regale. Usare il termine<br />

prete, presbitero, è più corretto dal punto di vista dell’affermazione dell’identità e della vita insieme.<br />

Secondo elemento, è importante aiutare i presbiteri a pensare se stessi, non nella logica del ritorno al<br />

sacro, ma in questa dimensione per la quale chiediamo loro di aiutarci a radicare il nostro annuncio – che ci<br />

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Incontro vicariale, <strong>Favaro</strong> 17 marzo 2010 intervento di Serena Noceti<br />

vede tutti protagonisti e responsabili – in quello che è il fondamento della fede apostolica. Perché solo loro<br />

possono aiutarci e garantirci questo evento.<br />

Se dovessi dare una definizione io direi che il prete è l’uomo del consenso, in senso letterale. I preti, i<br />

presbiteri non sono in una chiesa sinodale gli uomini dell’assenso, quelli a cui dobbiamo sempre assentire o<br />

quelli che chiedono a noi, laici e laiche, sempre l’assenso a ciò che affermano, perché le dinamiche<br />

comunicative sono multidirezionali. Sono gli uomini del consenso, cioè quelli che ci aiutano a pervenire tutti<br />

insieme ad un consenso nella fede. Tutti siamo dotati del sensus fidei (senso della fede – attività di tutti i<br />

fedeli duplice nel compito di meditare e trasmettere la Parola di Dio), di una parola necessaria per<br />

l’edificazione di chiesa. Il loro specifico servizio è aiutare e far sì chè le molteplici voci presenti nella<br />

comunità cristiana, sulla base dell’unica fede apostolica, possano raggiungere un consenso cioè la capacità<br />

di dire insieme l’esperienza della fede, come “noi” ecclesiale, come “corpo ecclesiale”. Una delle funzioni che<br />

dobbiamo chiedere ai nostri preti, ai nostri presbiteri, è che favoriscano il più possibile dinamiche<br />

comunicative multidirezionali e che orientino il cammino della nostra comunità alla comunione attraverso<br />

dinamiche di comunicazione della fede e di discernimento della nostra fede, della fede comune, intorno<br />

all’essenziale.<br />

4. La sfida della corresponsabilità preti - laici/laiche<br />

L’altra parola necessaria per parlare di una chiesa sinodale, è quella della corresponsabilità di laici e<br />

preti, uso questa parola in senso etimologico. Corresponsabilità vuol dire capacità di rispondere insieme ai<br />

bisogni della storia, del territorio, dell’annuncio della fede. Siamo corresponsabili insieme con i presbiteri.<br />

Non siamo collaboratori. Siamo corresponsabili in nome dell’unica radicazione battesimale, unica<br />

responsabilità di chiesa che tutti ci lega. Non siamo collaboratori perché, come laici e laiche, non abbiamo<br />

bisogno di delega per annunciare il vangelo nella nostra vita quotidiana, non abbiamo bisogno di delega per<br />

essere parte del popolo sacerdotale, lo siamo già per il dono di Cristo nel battesimo e lo siamo per la<br />

responsabilità che con il battesimo abbiamo assunto. Siamo corresponsabili della crescita della realtà<br />

ecclesiale, ripeto, seppure in forma differenziata.<br />

Noi abbiamo un compito di annuncio nella storia e di interpretazione del Vangelo nella storia, a partire<br />

dai linguaggi del quotidiano che sono i nostri propri di laici e laiche.<br />

I ministri ordinati, in particolare i preti, hanno la responsabilità di garantire a questo annuncio il suo<br />

carattere di apostolicità.<br />

Perché ci sia corresponsabilità oggi, concretamente nella realtà di chiesa, perché la chiesa sia sinodale,<br />

non solo come coscienza, ma come esperienza di sinodalità concreta, ci sono alcune pre-condizioni che<br />

metterei sul piano della coscienza di laici e preti e sul piano della realizzazione concreta. Faccio un esempio,<br />

perché su questo la nostra sfida si gioca.<br />

La prima pre-condizione sul piano dell’autocoscienza è che i preti, ma anche i laici e le laiche, devono<br />

sapere di essere relativi. Dobbiamo ritornare a considerare la relatività della nostra identità. Il prete non è il<br />

tutto della comunità. I laici e le laiche non sono il tutto della comunità. L’annuncio della fede oggi, ha bisogno<br />

di entrambe le sottolineature, la capacità di “dire” il vangelo nei linguaggi dell’oggi, attraverso processi di<br />

divenire, e la necessità assoluta di radicarci sull’apostolicità della chiesa. Dire che siamo relativi vuol dire<br />

scoprire che siamo correlativi gli uni agli altri nell’esercizio della nostra missione e quindi riconoscere la<br />

soggettualità propria e specifica di tutti. Vogliamo chiedere ai nostri presbiteri di riconoscere e di promuovere<br />

la nostra specificità di laici, soggetti di annuncio della Parola e di costruzione di chiesa, una chiesa sinodale.<br />

La seconda pre-condizione è quella del partecipare. Dietro la parola partecipare ci sono in realtà due<br />

significati. Partecipare vuol dire “essere parte” e “prendere parte”. Si può prendere parte intanto in quanto si<br />

è parte di un corpo sociale, ma viceversa più prendi parte più avverti che costruisci il tuo essere parte di una<br />

comunità. Nella chiesa oggi laici e laiche vengono riconosciuti come soggetti che sono parte della realtà<br />

ecclesiale, i documenti ce lo dicono continuamente, quello che manca è il passaggio reale, forte e avvertito<br />

al prendere parte attivamente. Perché? Perché a livello strutturale non sempre abbiamo spazi, possibilità,<br />

occasioni, che ci permettono di prendere parte ai processi di interpretazione della fede, di discernimento<br />

della comunità, di attuazione responsabile di quello che insieme si è deciso, e così via.<br />

Il passaggio dall’essere parte al prendere parte, attualmente è un passaggio debole.<br />

Da un lato è debole perché noi laici non abbiamo la coscienza sufficiente della nostra responsabilità,<br />

dall’altra è debole perché a volte i presbiteri, i vescovi, assolvono in essi stessi tutte le funzioni di vita, tutte le<br />

parole, tutti i processi comunicativi, della comunità cristiana o buona parte di essi. Essere partecipi, nel<br />

senso di essere e di prendere parte, ci chiede di modificare il nostro stile di chiesa. Ci chiede delle nuove<br />

pre-condizioni strutturali, ci chiede di cambiare le forme di comunicazione. Non ci può essere forma sinodale<br />

di chiesa, cioè camminare insieme, se non cambiano le forme, le dinamiche di comunicazione nella vita di<br />

chiesa. Attualmente abbiamo ancora la configurazione della comunicazione della chiesa che va sempre dal<br />

prete verso i laici, dall’adulto verso il bambino. Sono pochi i momenti e le occasioni nei quali la dinamica<br />

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Incontro vicariale, <strong>Favaro</strong> 17 marzo 2010 intervento di Serena Noceti<br />

comunicativa è effettivamente sinodale, cioè multidirezionale, in cui ciascun polo della rete – riconosciuto<br />

come parte costitutiva della realtà ecclesiale per il battesimo – è posto nella condizione di poter offrire la<br />

propria parola, in questa dinamica multidirezionale, per la crescita di vita di chiesa. Non potremo pensare ai<br />

preti, in una chiesa sinodale, se non attiviamo dinamiche sinodali, a partire da un rinnovamento delle<br />

dinamiche comunicative che siano efficaci e partecipative.<br />

Perché questo avvenga penso che siano tre le parole chiave, che ci vengono dall’esperienza delle<br />

donne. Il pensiero delle donne ha riflettuto in particolare su tre fattori che permettono una partecipazione<br />

rinnovata. Viene pensato per le donne, ma io direi lo possiamo dire per i laici e le laiche nella chiesa in<br />

relazione ai presbiteri. Le parole sono empowerment, entitlement e mainstreaming. Spiego che cosa<br />

vogliono dire, sono parole chiave nel pensiero femminista, ma le recuperiamo nel nostro contesto.<br />

L’ entitlement vuol dire riconoscere che si ha diritto di parola, in questo caso, nella chiesa. Per<br />

riconoscere di aver diritto non è sufficiente che io sappia di avere questo diritto e desideri esercitarlo, è<br />

necessario che i soggetti che sono in gioco nella dinamica comunicativa si riconoscano reciprocamente il<br />

diritto e, direi, il dovere di parola. Nella chiesa se vogliamo modificare ed essere una chiesa sinodale, preti e<br />

laici insieme con una reale corresponsabilità possiamo lavorare di più sui processi di riconoscimento della<br />

soggettualità reciproca, gli uni agli altri.<br />

Secondo passaggio (empowerment), è quello di riconoscere che abbiamo un potere di parola ed una<br />

possibilità di parola che possiamo giocare e spendere nella libertà e nella responsabilità per il bene di<br />

chiesa.<br />

Il terzo passaggio (mainstreaming) è quello di un’acquisizione di una nuova mentalità comune che ci<br />

aiuti in questo processo trasformativo. Che si discuta, come questa sera, di questi temi! E’ importante per i<br />

presbiteri stessi che siano i laici e le laiche a dire che preti devono essere, che preti possono essere, per il<br />

bene della comunità cristiana, perché veniamo da 1500 anni in cui la teologia è stata fatta unicamente dal<br />

clero ed il pensiero su “chi” debba essere il ministro ordinato nella comunità e per la comunità è stato<br />

formulato solo all’interno del corpo ministeriale, presbiterale, dei sacerdoti. E’ una chiesa sinodale, una<br />

chiesa nella quale preti accettano e accolgono, stimolano le loro comunità cristiane ponendo la domanda:<br />

”Ma che prete desiderate? Che prete volete che io sia?” In modo tale che questo sia poi confrontato con la<br />

radicazione apostolica della chiesa e si discuta e ci si confronti su questo punto.<br />

UNA IPOTESI DI LAVORO<br />

Per concludere, vi formulo un’ipotesi di lavoro.<br />

Mi sembra che sia giunto il tempo di formarci insieme, laici e ministri ordinati, per il bene di chiesa, e<br />

che si abbia tutto il tempo di sperimentare delle forme nuove di corresponsabilità in una chiesa sinodale,<br />

in particolare quelli che si chiamano team pastorali , cioè gruppi ministeriali di lavoro, composti dai ministri<br />

ordinati, diaconi, preti e laici e laiche che, alcuni a tempo pieno altri a tempo parziale possano più<br />

direttamente condividere la responsabilità pastorale. Questo, a mio parere può creare degli scenari nuovi,<br />

perché permette di superare quella impostazione, che noi oggi abbiamo, che riduce l’autorità al solo prete,<br />

che porta un’identificazione della parrocchia con il parroco, con il singolo ministro ordinato.<br />

Soprattutto mostrerebbe, sul piano simbolico di un gruppo che condivide la responsabilità della<br />

parrocchia, il valore delle diverse vocazioni, dei diversi ministeri e delle diverse sensibilità, di uomini e<br />

donne, anche nella vita di chiesa, e anche una valorizzazione maggiore del grande ministero dimenticato,<br />

che è quello della coppia. La coppia sposata nel Signore, col sacramento del matrimonio ha una<br />

ministerialità costitutiva quanto quella dei ministri ordinati nella comunità cristiana, perché entrambi si<br />

fondano sul sacramento.<br />

Allora dei team di lavoro, di equipe, in cui le diverse ministerialità di laici e laiche, sposati e celibi, preti,<br />

diaconi possano essere giocate fino in fondo. Perché questo possa avvenire, sono necessari dei<br />

cambiamenti di mentalità, ma è necessario anche che riconosciamo che ci sono due aspetti in gioco. Non è<br />

in gioco solo l’operare insieme, laici e ministri ordinati in una chiesa sinodale, ma quello che è in gioco è il<br />

“convivere la fede insieme”. Noi siamo chiamati a viverla e viverla insieme, con-vivere la fede tra ministri<br />

ordinati e laici. Questa è la radice della nostra realtà, siamo chiamati a dirla, esprimerla, con-viverla gli uni<br />

con gli altri e non separatamente. Perché questo possa avvenire è necessario però un coraggio radicale,<br />

perché c’è un cambiamento nella realtà di chiesa che il concilio a livello teorico e di orientamento di fondo ci<br />

ha consegnato ma che ancora non fa parte, se non raramente, della nostra vita ecclesiale.<br />

Vorrei concludere con le parole di un teologo francese Sesbolié che quattro anni fa, nel suo testo sulle<br />

nuove forme ministeriali nella chiesa, scriveva così:<br />

”Che lo si voglia o no la Chiesa Cattolica si trova di fronte a delle decisioni importanti (in particolare<br />

legate ad un numero più ridotto di presbiteri che sono presenti nelle nostre comunità). Queste decisioni<br />

risultano oggi come imbrigliate nel dilemma tra la pazienza e l’urgenza. La pazienza e la serenità sono<br />

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Incontro vicariale, <strong>Favaro</strong> 17 marzo 2010 intervento di Serena Noceti<br />

necessarie: sarebbe annoso assumerle sotto la spinta dell’emozione in un clima di pressione, senza aver<br />

ponderato attentamente la posta in gioco riguardo all’avvenire della chiesa. Si tratta di pensare ai tempi<br />

richiesti per la transizione e per sperimentazioni … ma un eccesso di prudenza rischia di essere la peggiore<br />

delle imprudenze. Un’assenza di decisioni rischia di essere la peggiore delle decisioni”.<br />

Intorno alla recezione del ministero ordinato, secondo la visione del Vaticano II in una chiesa sinodale, si<br />

gioca, a mio parere, molto del futuro della realtà di chiesa, tanto è vero che sull’interpretazione del ministero<br />

tra prete e sacerdote, si gioca molto del dibattito che oggi segna la teologia e segna anche la nostra vita<br />

pastorale.<br />

SERENA Noceti<br />

È nata nel 1966 a Firenze, dove vive e lavora. Ha<br />

conseguito il dottorato in teologia con una tesi sulla<br />

teologia della chiesa locale nel post-concilio.<br />

E’ docente di teologia presso diverse Facoltà e<br />

Istituti teologici dell'Italia centrale. Lavora, come<br />

responsabile della catechesi degli adulti, presso<br />

l’Ufficio Catechistico della diocesi di Firenze. Fa<br />

parte dal 2003 del Consiglio di Presidenza<br />

dell’Associazione Teologica Italiana ed ha<br />

partecipato ad incarichi internazionali.<br />

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testo non rivisto dall’autore


Incontro vicariale, <strong>Favaro</strong> 17 marzo 2010 intervento di Daniele Garota<br />

intervento di Daniele Garota<br />

Intendo partire da un auspicio presente nella lettera d'invito che mi ha mandato Gianni, quello di "una<br />

Chiesa che dovrebbe ritrovare la sua identità sinodale".<br />

Non è facile dire in mezzora qualcosa al riguardo, ma credo sia sufficiente per formulare delle<br />

provocazioni e porre delle domande che possano essere accolte per una discussione comune, diciamo pure<br />

"sinodale", tra noi e tra voi incontrandovi più avanti.<br />

Alcuni fattori, esplosi negli ultimi anni, hanno determinato una crisi non da poco nella cristianità che<br />

(Kierkegaard mi pare) chiamava "stabilita", una cristianità cioè, in cui non c'era bisogno di partecipazione e<br />

di scelta poiché di essa tutti si faceva naturalmente parte nascendo in territori e nazioni modellate da una<br />

istituzione cristiana: difficile non battezzare figli e non fare funerali in chiesa in un paese permeato dal<br />

cattolicesimo in tutte le sue strutture. Tutti si andava a messa, gli oratori erano pieni, il prete era come un<br />

faro per l'orientamento di tutti, e c'era persino un partito cattolico che rassicurava i cittadini di fronte ai nemici<br />

della fede.<br />

Poi le cose sono cambiate, la società si è secolarizzata, il progresso ha radicalmente trasformato i nostri<br />

stili di vita, i giovani non vanno più in chiesa, i preti diventano sempre più rari e nei mezzi di comunicazione<br />

Dio non c'entra più nulla. Insomma, la gente comincia a vivere bene anche senza Dio, senza prete e senza<br />

Chiesa. E allora i credenti si allarmano e dicono: dove andremo di questo passo?<br />

La crisi è evidente, inutile nasconderla, ma è forse salutare per farci aprire gli occhi su un cristianesimo<br />

che, vivendo di rendita per troppo tempo, era diventato soltanto una religione civile, ben organizzata e<br />

potente certo, molto radicata nella filosofia greca e nel diritto romano, ma lontanissimo da quella fede<br />

testimoniata dal Cristo, che era invece del tutto radicata nella tradizione ebraica da cui proveniva.<br />

Può dunque essere davvero salutare per la vita di fede, una Chiesa che torni a essere di minoranza,<br />

piccolo gregge, lievito nella pasta del mondo, abbandonando quelle vesti di potenza e ricchezza che la<br />

rendono troppo lontana dal suo Signore.<br />

E bisogna anche dire che nella modernità secolarizzata con tutti i suoi nodi, sono ravvisabili più di<br />

quanto immaginiamo istanze e aspirazioni provenienti dalla speranza ebraico cristiana. La potenza tecnico<br />

scientifica e le domande più radicali del nostro mondo secolarizzato, conseguono in qualche modo dalla<br />

domanda di redenzione che ci proviene dal messaggio biblico.<br />

Il Concilio Vaticano II, da ormai mezzo secolo, ci aveva messo in guardia rispetto a certe derive,<br />

richiamandoci all'essenzialità del messaggio cristiano, al rispetto dei fratelli ebrei, all'apertura al mondo<br />

moderno con le sue inquietudini e angosce, alla partecipazione diretta di tutti alla vita della Chiesa, alla<br />

liturgia, alla lettura e alla conoscenza della parola di Dio. Dal Concilio si affacciava una Chiesa bisognosa di<br />

un popolo credente adulto e responsabile.<br />

Dopo 50 anni i risultati che vediamo sono poveri, deludenti, lo sappiamo, e tuttavia qualche seme è stato<br />

sparso e i suoi frutti li ha pure dati. È su questo che dobbiamo fare affidamento, senza vittimismi, senza<br />

pessimismi. Siamo chiamati a guardare il futuro, a guardare negli occhi i nostri bambini che ci chiedono chi è<br />

il Dio in cui crediamo, cosa ci ha promesso, in che cosa crede chi crede, il senso della vita e della fede.<br />

Senza illusioni né facili ottimismi, ma senza nemmeno arrenderci allo sconforto. Del resto, se qui a parlare di<br />

queste cose sono stati chiamati una giovane teologa donna come Serena e un cristiano comune come me,<br />

sposo e padre di famiglia che vive del lavoro delle sue mani, significa che qualcosa l'aria del Concilio ha fatto<br />

spuntare.<br />

Qui si tratta di riscoprire ciò che è indispensabile e prezioso e che da troppo tempo sembra scomparso<br />

dalle nostre comunità cristiane. La grande scossa data dal Concilio aveva di mira la riscoperta di ciò che è<br />

indispensabile alla fede fin dalle proprie origini, e quello stile di servizio che il Cristo stesso manifestò agli<br />

apostoli lavando loro i piedi, invitandoli a fare altrettanto nei confronti degli altri membri della Chiesa.<br />

Dunque la Chiesa perseguitata e pellegrina della prima ora, ritorna a essere per noi il modello di<br />

riferimento, non quella che, dopo Costantino, diventò Chiesa di stato potente e gerarchica nella quale i<br />

chierici diventarono dominatori anziché servitori delle loro comunità, al pari di tutti i dominatori di questo<br />

mondo, creando attorno al pontefice una corte analoga a tutte le altre con segreteria di stato e via dicendo.<br />

Chiesa sinodale è Chiesa che subordina i ruoli gerarchici al servizio del popolo di Dio e non viceversa, in<br />

modo che ogni laico venga chiamato non soltanto in situazioni di emergenza ma riservandogli uno spazio<br />

proporzionato alla preziosità del suo battesimo e alla dignità di figlio di Dio unico e irripetibile. Tutto ciò,<br />

naturalmente, senza nulla togliere al ruolo insostituibile che attiene al ministero di consacrati.<br />

In una recente indagine appare diffuso il desiderio dei preti di essere più ascoltati da una gerarchia che<br />

appare troppo spesso lontana e rinchiusa nei suoi palazzi, il desiderio di stare più a contatto con la gente nei<br />

luoghi della normalità e del quotidiano, di avere più tempo per pregare e per il loro specifico ruolo di<br />

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Incontro vicariale, <strong>Favaro</strong> 17 marzo 2010 intervento di Daniele Garota<br />

sacerdoti. Il grande spettro è l'aridità, la solitudine, il non sapere più bene chi si è e qual è il proprio specifico<br />

ruolo in mezzo alla comunità.<br />

La Lumen Gentium dice così: "Dio volle santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza<br />

alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo", un "popolo messianico" che "ha per<br />

capo Cristo", e come fine quel regno di Dio che egli stesso porterà a compimento "alla fine dei secoli", È<br />

all'interno di questa attesa, e proprio nel suo apparire "talora come un piccolo gregge", che questo popolo<br />

messianico costituisce "per tutta l'umanità il germe più forte di unità, di speranza e di salvezza", lo<br />

"strumento della redenzione di tutti", inviato a tutto il mondo "quale luce del mondo e sale della terra".<br />

"I battezzati vengono consacrati per formare un tempio spirituale e un sacerdozio santo, per<br />

offrire, mediante tutte le attività del cristiano, spirituali sacrifici, e far conoscere i prodigi di colui che<br />

dalle tenebre li chiamò all'ammirabile sua luce (cfr IPt 2,4-10). Tutti quindi i discepoli di Cristo,<br />

perseverando nella preghiera e lodando insieme Dio, offrano se stessi come vittima viva, santa,<br />

gradevole a Dio (cfr Rm 12,1), rendano dovunque testimonianza di Cristo e, a chi la richieda, rendano<br />

ragione della speranza che è in essi di una vita eterna (cfr IPt 3,15). Il sacerdozio comune dei fedeli e<br />

il sacerdozio ministeriale o gerarchico, quantunque differiscano essenzialmente e non solo di grado,<br />

sono tuttavia ordinati l'uno all'altro, poiché l'uno e l'altro, ognuno a suo proprio modo, partecipano<br />

dell'unico sacerdozio di Cristo... I fedeli, in virtù del loro regale sacerdozio, concorrono all'offerta<br />

dell'Eucaristia, ed esercitano il loro sacerdozio col ricevere i sacramenti, con la preghiera e il<br />

ringraziamento, con la testimonianza di una vita santa, con l'abnegazione e la carità operosa".<br />

E si fa pure cenno alla famiglia, nella quale nascono "i nuovi cittadini della società umana, i quali per<br />

la grazia dello Spirito <strong>San</strong>to, diventano col battesimo figli di Dio e perpetuano attraverso i secoli il<br />

suo popolo. In questa che si potrebbe chiamare Chiesa domestica, i genitori devono essere per i loro<br />

figli i primi maestri della fede e secondare la vocazione propria di ognuno... Tutti i fedeli d'ogni stato<br />

e condizione sono chiamati dal Signore, ognuno per la sua via, a una santità, la cui perfezione è<br />

quella stessa del Padre celeste" (II, 9-11).<br />

Documento che ci appare modernissimo, eppure si era nel 1964.<br />

Ma già Paolo su questo punto era molto attento, egli aveva profondamente a cuore la vita di ognuno e<br />

della comunità. Cristianesimo è attenzione all'uomo e alla sua salvezza, se c'è un compito è quello di servire<br />

Dio e la sua comunità, servire l'umanità tutta.<br />

Perciò diceva: "Desiderate intensamente i doni dello Spirito, soprattutto la profezia". Perché<br />

soprattutto la profezia? Perché chi profetizza "parla agli uomini per loro edificazione, esortazione e<br />

conforto", perché "chi profetizza edifica l'assemblea". E se vanno desiderati in abbondanza i doni dello<br />

Spirito è soprattutto "per l'edificazione della comunità" (ICor 14,1-4.12).<br />

"Ed egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere<br />

evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo<br />

scopo di edificare il corpo di Cristo... Che è il capo... Da lui tutto il corpo, ben compaginato e<br />

connesso, con la collaborazione di ogni giuntura, secondo l'energia propria di ogni membro, cresce<br />

in modo da edificare se stesso nella carità" (Ef 4,11-12.15-16).<br />

"Per la grazia che mi è stata data, io dico a ciascuno di voi: non valutatevi più di quanto<br />

conviene, ma valutatevi in modo saggio e giusto, ciascuno secondo la misura di fede che Dio gli ha<br />

dato. Poiché, come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la<br />

medesima funzione, così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e, ciascuno per<br />

la sua parte, siamo membra gli uni degli altri. Abbiamo doni diversi secondo la grazia data a<br />

ciascuno di noi: chi ha il dono della profezia la eserciti secondo ciò che detta la fede" (Rm 12,3-6).<br />

Negli Atti è detto che i credenti in Cristo si chiamarono "cristiani", cioè "messianici" (come sarebbe<br />

importante riscoprire questo carattere messianico del popolo di Dio e che la Lumen Gentium ha evidenziato<br />

come abbiamo visto) ad Antiochia e già diversi anni dopo la morte di Cristo. Prima, durante i giorni in cui<br />

Paolo era ancora un persecutore, essi si chiamavano piuttosto "Gli appartenenti a questa odòs, a questa<br />

Via" (At 9,2). È interessante notare come nella traduzione precedente si dicesse "seguaci della dottrina di<br />

Cristo", mentre ora si traduce "appartenenti alla Via", appartenenti cioè a Cristo che disse di essere anche<br />

Via oltre che verità e vita, cioè appartenenti a tutto ciò che Cristo ha vissuto, detto e testimoniato. Dottrina<br />

cristiana non è catechismo teorico, astratto o dogmatico, ma stile di vita, cammino sulla via che Cristo ha<br />

non solo indicato ma vi ha camminato per primo.<br />

Cristo non è sacerdote perché esperto in sacrifici e riti sacri, ma perché rende presente il Padre con la<br />

sua parola, col suo farsi prossimo di tutti avendo compassione di tutti, mettendosi al servizio dell'umanità<br />

intera fino a dare la vita.<br />

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Incontro vicariale, <strong>Favaro</strong> 17 marzo 2010 intervento di Daniele Garota<br />

Egli non è sacerdote che sacrifica agnelli, ma Agnello che viene sacrificato per la nostra vita. È "nella<br />

sua morte" che siamo stati battezzati (Rm 6,3), ed è cosi che ci ha resi tutti sacerdoti a sua immagine<br />

attraverso il battesimo e nel momento in cui dedichiamo a lui la vita.<br />

Tutti siamo chiamati a essere luce del mondo e sale della terra. Tutti siamo chiamati a essere profeti per<br />

annunciare al mondo, con le parole e con la vita, la verità che viene da Dio e non dal mondo. Essere profeti<br />

è prima di tutto essere credenti credibili, seri non seriosi, fermi non rigidi e severi. Persone che testimoniano<br />

con le parole e con l'esempio che il mondo non è tutto e che le logiche del mondo non sono quelle di Dio.<br />

Se odòs significa via e sin significa insieme, Chiesa sinodale altro non è che comunità di credenti che<br />

insieme camminano sulle orme del Cristo annunciando il suo vangelo, la sua buona notizia. Non si è<br />

cristiani, non si è messianici, senza avere a cuore le promesse messianiche fatte dal Cristo, senza attendere<br />

tali promesse, senza raccontarle, annunciarle al mondo intero. E qui ci sta tutto il carattere profetico<br />

dell'identità cristiana, un carattere certamente distinto da quello regale e sacerdotale. Nella profezia possono<br />

entrare tutti. Se solo il sacerdote può consacrare e amministrare il corpo e il sangue del Signore – come ha<br />

mirabilmente e autenticamente testimoniato uno come Francesco d'Assisi, che mai si è sentito degno di<br />

essere sacerdote, tanto ne aveva venerazione – l'annuncio e la testimonianza appartengono a tutti coloro<br />

che ne ricevono il dono.<br />

Noi sappiamo come nella Chiesa primitiva fosse forte il dono della profezia, vorrei qui riassumervi uno<br />

spaccato della vita di quei giorni in cui lo Spirito soffiava forte e i testimoni erano in grado di convertire<br />

ovunque con la potenza della parola e della testimonianza.<br />

Nel suo incessante cammino di evangelizzatore, Paolo si trovava a Troade da una settimana e prima di<br />

ripartire riunisce la comunità per "spezzare il pane". Non c'erano ancora chiese e basiliche, ci si riuniva<br />

nelle case così, semplicemente, e spesso perseguitati. Dovendo partire il giorno dopo, Paolo prolungò il<br />

discorso fino a mezzanotte, e un ragazzo che ascoltava seduto alla finestra, mentre Paolo "continuava a<br />

conversare senza sosta, fu preso da un sonno profondo; sopraffatto dal sonno, cadde giù dal terzo<br />

piano e venne raccolto morto". Possiamo immaginare il dramma, ma ecco che Paolo scende giù si getta<br />

sul ragazzo lo abbraccia e dice: "Non vi turbate, è vivo". E il ragazzo riprende a vivere. Poi risale, spezza il<br />

pane, e dopo avere parlato ancora molto fino all'alba, riparte.<br />

Ecco, si comprendono qui almeno due cose: quando Paolo parlava c'era anche chi si addormentava,<br />

Paolo era come ognuno di noi e così i membri della comunità erano come tutti noi. Ma non erano solo<br />

quello, in quelle persone c'era un fuoco che appassionava e la fede era a tal punto presa sul serio che<br />

nemmeno un dramma mortale improvviso o un miracolo, riuscivano a distoglierli dalla partecipazione<br />

liturgica. Per tutta la notte Paolo continuò a celebrare e a parlare con quella comunità.<br />

Poi Paolo sale su una nave diretto a Gerusalemme, ha una certa fretta, vuole essere lì per il giorno di<br />

Pentecoste. Giunti però a Mileto, manda a chiamare gli "anziani" della Chiesa di Efeso. Vuole incontrarli<br />

perché teme di fare una brutta fine a Gerusalemme e di non rivederli più. Egli non teme tribolazione e morte,<br />

a stargli a cuore è il condurre a termine la sua corsa e il servizio che gli è stato affidato dal Signore Gesù, "di<br />

dare testimonianza al vangelo della grazia di Dio". Poi si rivolge a loro in maniera del tutto commovente e<br />

umana. Sarebbe importante recuperare questa umanità oggi, questa preziosità del volto di cui ha parlato<br />

intensamente uno come Lèvinas, in una Chiesa in cui i rapporti sono spesso freddi e compassati, ufficiali,<br />

istituzionalizzati, privi d'ogni spontaneità e immediatezza. "E ora, ecco, io so che non vedrete più il mio<br />

volto, voi tutti tra i quali sono passato annunciando il Regno". Poi altra espressione preziosissima: "Voi<br />

sapete che alle necessità mie e di quelli che erano con me hanno provveduto queste mie mani. In<br />

tutte le maniere vi ho mostrato che i deboli si devono soccorrere lavorando così, ricordando le<br />

parole del Signore Gesù, che disse: 'Si è più beati nel dare che nel ricevere!'". Nei vangeli non<br />

appaiono queste parole di Gesù, Paolo le ha udite e memorizzate per vie tutte sue, e noi le conosciamo solo<br />

attraverso di lui. In quelle parole c'è il valore del servizio, della gratuità, del guadagnarsi il pane con le<br />

proprie mani, e su questo molti padri e madri di famiglia hanno molto da insegnare a certi prelati con mani<br />

troppo lisce e vita piuttosto protetta.<br />

Paolo lavorava invece non solo per le proprie necessità ma anche per quella dei suoi compagni più<br />

deboli e bisognosi. Ricevo ogni tanto una rivistina dei Piccoli Fratelli di Gesù, testimoni sparsi tra la gente in<br />

tutto il mondo, nascosti nelle attività più umili e dure, poveramente, come nascosto e umile era Gesù per la<br />

gran parte della sua vita a Nazaret. Sono esempi che possono aiutarci a riflettere.<br />

Ma c'è la scena di commiato che va letta per intero: "Dopo aver detto questo, si inginocchiò con tutti<br />

loro e pregò. Tutti scoppiarono in pianto e, gettandosi al collo di Paolo, Io baciavano, addolorati<br />

soprattutto perché aveva detto che non avrebbero più rivisto il suo volto. E lo accompagnarono fino<br />

alla nave". Certe volte le lacrime hanno una potenza di testimonianza di cui le parole, soprattutto quando<br />

suonano accademiche e astratte non hanno nemmeno l'idea. Gesù si esprimeva spesso con le lacrime, gli<br />

uomini di Chiesa oggi un po' meno.<br />

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Incontro vicariale, <strong>Favaro</strong> 17 marzo 2010 intervento di Daniele Garota<br />

Ma continuiamo questo viaggio insieme a Paolo per riuscire a capire ancora le dinamiche della Chiesa,<br />

quando non c'erano ancora dogmi, cattedrali, paramenti sacri e dottrine, ma l'umile vita di testimoni<br />

infiammati dalla parola del Signore, e il dono della profezia poteva sorgere là dove meno ci si aspettava, a<br />

dare spinta efficace all'evangelizzazione del mondo. Nulla era scontato e tutto era semplice e immediato,<br />

aperto alla novità del momento.<br />

Giungono ad un certo punto "a Tiro, dove la nave doveva <strong>scarica</strong>re. Avendo trovato i discepoli,<br />

rimanemmo là una settimana, ed essi, per impulso dello Spirito, dicevano a Paolo di non salire a<br />

Gerusalemme. Ma, quando furono passati quei giorni, uscimmo e ci mettemmo in viaggio,<br />

accompagnati da tutti loro, con mogli e figli, fino all'uscita della città. Inginocchiati sulla spiaggia,<br />

pregammo, poi ci salutammo a vicenda; noi salimmo sulla nave ed essi tornarono alle loro case". Ci<br />

fanno molto bene queste scene di vita vissuta in cui ci sono anche mogli e figli insieme ai discepoli, di ritorno<br />

alle proprie case. Un sogno sarebbe poter vivere la fede in casa come in chiesa e in chiesa come in casa,<br />

percepire la mensa eucaristica non troppo lontana dalla tavola che vede riunite le famiglie a pranzo e cena e<br />

dal banchetto messianico promesso in cui tutti attendiamo di bere il vino nuovo del Regno col Signore.<br />

Poi ripartono ed eccoli giungere a Cesarea "Entrati nella casa di Filippo l'evangelista, che era uno<br />

dei Sette, restammo presso di lui. Egli aveva quattro figlie nubili, che avevano il dono della profezia.<br />

Eravamo qui da alcuni giorni, quando scese dalla Giudea un profeta di nome Àgabo. Egli venne da<br />

noi e, presa la cintura di Paolo, si legò i piedi e le mani e disse: 'Questo dice lo Spirito <strong>San</strong>to: l'uomo<br />

al quale appartiene questa cintura, i Giudei a Gerusalemme lo legheranno così e lo consegneranno<br />

nelle mani dei pagani'. All'udire queste cose, noi e quelli del luogo pregavamo Paolo di non salire a<br />

Gerusalemme. Allora Paolo rispose: 'Perché fate così, continuando a piangere e a spezzarmi il<br />

cuore? Io sono pronto non soltanto a essere legato, ma anche a morire a Gerusalemme per il nome<br />

del Signore Gesù'. E poiché non si lasciava persuadere, smettemmo di insistere dicendo: 'Sia fatta la<br />

volontà del Signore!'" (At 20,17-21,14).<br />

Qui il dono della profezia scaturisce da gente sconosciuta, da figure femminili cresciute respirando in<br />

casa lo Spirito di Dio.<br />

Noi sappiamo che il dono della profezia, che pure Paolo considerava il più prezioso, è presto scomparso<br />

dalle comunità cristiane: troppo libero, troppo pericoloso per la tenuta dell'ordine e del controllo. Ma cosa<br />

non daremmo oggi per udire qualcosa di immediato e profetico. Come non percepire una qualche nostalgia<br />

leggendo l'episodio raccontato nel Libro dei Numeri, in cui Giosuè scandalizzato dice a Mosè, riguardo ad<br />

alcuni che profetizzavano nell'accampamento senza permesso: "Mosè, mio Signore, impediscili!", come<br />

osano. "Ma Mosè gli disse: 'Sei tu geloso per me? Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e<br />

volesse il Signore porre su di loro il suo spirito!'" (Nm 11, 27-29).<br />

Dal Nuovo Testamento noi veniamo a sapere che ogni battezzato, in virtù della fede, viene reso<br />

partecipe del sacerdozio del Cristo, il quale, in confronto a Mosè "è stato giudicato degno di una gloria<br />

tanto maggiore quanto l'onore del costruttore della casa supera quello della casa stessa. Ogni casa<br />

infatti viene costruita da qualcuno; ma colui che ha costruito tutto è Dio". E se Mosè fu servitore umile<br />

e grande della casa di Dio "per dare testimonianza di ciò che doveva essere annunciato più tardi",<br />

ancora più degno è il Cristo che testimoniò "come figlio, posto sopra la sua casa. E la sua casa siamo<br />

noi, se conserviamo la libertà e la speranza di cui ci vantiamo" (Eb 3,3-6).<br />

Di questo ci si deve vantare, di essere pietre vive di una casa che è di Dio, e si è pietre vive nel<br />

momento in cui speranza e libertà ci fanno essere credenti di un unico popolo, di un'unica casa. E la<br />

speranza che abbiamo, può vivere amando profondamente Dio e la sua parola in piena libertà, poiché non si<br />

ama se non nella libertà, dirigendo il nostro cuore al Signore che aspettiamo, al Regno che deve venire, quel<br />

Regno in cui vivremo per sempre con Dio e coi fratelli e le sorelle che hanno popolato questo mondo fin dal<br />

principio della storia.<br />

Noi aspettiamo la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà. È questo che la Chiesa da sempre<br />

annuncia e chiama ognuno di noi ad annunciare ancora oggi, là dove ci troviamo a coloro che ci è dato di<br />

incontrare.<br />

Tutti, "in virtù del Battesimo e della Confermazione" abbiamo obbligo e diritto al tempo stesso, di<br />

impegnarci "affinché il messaggio divino della salvezza sia conosciuto e accolto da tutti gli uomini e<br />

su tutta la terra". Obbligo questo, "ancora più pressante nei casi in cui solo per mezzo loro gli uomini<br />

possono ascoltare il Vangelo e conoscere Cristo" (Catechismo della Chiesa Cattolica, 900).<br />

"In mancanza di ministri, anche i laici, pur senza essere lettori o accoliti, possono supplire alcuni<br />

dei loro uffici, cioè esercitare il ministero della Parola, presiedere alle preghiere liturgiche,<br />

amministrare il Battesimo e distribuire la sacra Comunione" (Codice di Diritto Canonico, 230,3).<br />

Non è poco, servono solo persone mature e responsabili, preparate naturalmente e, soprattutto, vescovi<br />

e sacerdoti disponibili alla collaborazione. La Chiesa, da parte sua, il suo spazio lo offre.<br />

14


Incontro vicariale, <strong>Favaro</strong> 17 marzo 2010 intervento di Daniele Garota<br />

Tommaso D'Aquino diceva che "istruire qualcuno per condurlo alla fede è il compito di ogni<br />

predicatore e anche di ogni credente" (Summa theologiae, III, 71, 4,ad 3). Anzi: l'azione evangelizzatrice<br />

ad opera dei laici, "acquista una certa nota specifica, e una particolare efficacia, dal fatto che viene<br />

compiuta nelle comuni condizioni del secolo" (Lumen Gentium, 35).<br />

Nella Lettera con cui ha indetto questo Anno Sacerdotale, Benedetto XVI vi ha espresso la motivazione:<br />

"promuovere l'impegno d'interiore rinnovamento di tutti i sacerdoti per una loro più forte ed incisiva<br />

testimonianza evangelica nel mondo di oggi" (Lettera per l'indizione dell'Anno Sacerdotale). E in un<br />

recente convegno a Roma ha ribadito quanto sia di fondamentale importanza, nel tempo in cui viviamo, "che<br />

la chiamata a partecipare all'unico Sacerdozio di Cristo nel Ministero ordinato fiorisca nel 'carisma<br />

della profezia'", e di come ci sia "grande bisogno di sacerdoti che parlino di Dio al mondo e che<br />

presentino a Dio il mondo; uomini non soggetti ad effimere mode culturali, ma capaci di vivere<br />

autenticamente quella libertà che solo la certezza dell'appartenenza a Dio è in grado di donare".<br />

Il clericalismo e certa devozione di maniera non hanno nulla a che spartire col Vangelo. Piuttosto irritano<br />

e allontanano la gente con le loro smancerie e la loro ipocrisia. Si testimonia più con un gesto o uno sguardo<br />

che con mille genuflessioni o preghiere più o meno ostentate.<br />

"Prenderò la Chiesa sul serio quando i suoi capi spirituali parleranno il linguaggio della gente e<br />

vivranno direttamente la vita povera e pericolosa che è quella della maggior parte delle persone", se<br />

non accadrà questo, "i cristiani vivranno e il cristianesimo morirà", diceva Albert Camus in una intervista<br />

che rilasciò nel 1948:<br />

In un recente commento, Padre Piero Gheddo racconta di come, molti anni fa, nel 1966, si trovò per la<br />

prima volta in Amazzonia a visitare il lebbrosario di Aleixo. "Mi accompagnava – dice – il mio confratello<br />

padre Mario Giudici, che era stato cappellano del lebbrosario e tornava dall'Italia dopo un'assenza di<br />

quattro anni. Era un uomo di grande umanità, dopo un po' che stavi con lui pensavi: 'Chissà com'è<br />

buono Dio, se ha fatto un uomo così buono come padre Mario!'. I lebbrosi gli si avvicinavano e<br />

volevano salutarlo, abbracciarlo, parlargli. Io me ne stavo un po' defilato ed entrando in un reparto di<br />

donne, vedo un'ammalata cieca con due moncherini al posto delle mani. Appena sente da lontano la<br />

voce di padre Mario, la riconosce, si mette a gridare un saluto e le viene istintivo di battere i<br />

moncherini perché non aveva più le mani.<br />

Piangeva e si è calmata solo quando sono andato a prendere Mario e l'ho portato da lei. Mi sono<br />

commosso anch'io nel vedere che per quella povera lebbrosa quel prete era forse l'unico che<br />

rappresentava in concreto la bontà di Dio. Tutti l'avevano abbandonata, i parenti non venivano a<br />

trovarla, ma quel prete era ancora lì a darle un abbraccio e la benedizione di Dio. Mi sono chiesto più<br />

volte: chissà se io prete, a tutti quelli che mi conoscono da vicino, do questa immagine forte e<br />

amorosa di Dio, che è un Padre pieno di amore e non ci abbandona mai?" (Da www.zenit.org del<br />

12/03/2010).<br />

Non si vede se un prete, ma anche un giudice o un muratore o un'infermiera, sono cristiani quando<br />

vanno in chiesa a messa, si vede invece quando il prete è in mezzo alla gente, quando il giudice svolge il<br />

suo mestiere nell'aula del tribunale, il muratore fa il muratore nel suo cantiere in mezzo agli altri e l'infermiera<br />

è in ospedale tra i suoi pazienti, o quando sono a casa con i confratelli, le loro spose, i loro mariti, i loro figli.<br />

Lì, nell'umiltà del quotidiano e lontano dai riflettori, si vede se sono cristiani.<br />

DANIELE Garota<br />

Nato nel 1957, vive in campagna, nei pressi di<br />

Urbino con la famiglia, padre di quattro figli e nonno.<br />

Deve la sua formazione all’incontro con figure di<br />

spicco della cultura italiana degli ultimi anni.<br />

E’ molto stimato e ricercato tra quei credenti che<br />

non si accontentano di cose ovvie e scontate.<br />

Appassionato indagatore dei temi ultimi e decisivi<br />

della fede cristiana, ha già pubblicato diversi libri<br />

15


Incontro vicariale, <strong>Favaro</strong> 17 marzo 2010 domande dai gruppi<br />

?<br />

…ci sono i cristiani e poi si perde il cristianesimo.<br />

domande dai gruppi<br />

?<br />

Noi abbiamo avuto una conferma che il sacerdote è stato Gesù Cristo e poi che il… questo ci è già stato<br />

detto dal nostro patriarca.<br />

Qualcuno ha notato che non si è parlato di Dio.<br />

Annarosa (Dese)<br />

Ci è piaciuta la diversità, ci siamo chiesti: se la strada è così chiara, segnata, corresponsabilità<br />

protagonismo.. perché siamo ancora qui a discutere dopo 50 anni?<br />

Il gruppo pastorale di cui parlava Serena può essere uno strumento per aiutarci a cambiare su questa<br />

strada insieme?<br />

Grazia (Campalto)<br />

Complimenti ai due relatori che ci sono sembrati davvero complementari.<br />

La reazione condivisa dopo l’intervento di Serena è che noi laici bisogna che ci formiamo sempre di più;<br />

nello stesso tempo ci sentiremo sempre frustrati perché non avremo mai la preparazione che hanno i preti.<br />

Ci rincuora sentire Daniele, perché la cosa si fa un po’ più equilibrata. Il prete, mi sembra di aver capito,<br />

ha il ruolo di custodire al fede apostolica, per cui non dobbiamo essere noi laici ad essere preoccupati,<br />

troppo, esasperati, da questo, perché ci pensa il prete. Il nostro compito è più di testimonianza di dove<br />

viviamo e nel sacramento che abbiamo deciso di vivere nel caso siamo persone sposate. Per cui forse la<br />

difficoltà è l’equilibrio tra essere cristiani formati, che conoscono la Bibbia e quindi capaci di dare ragione<br />

della propria speranza, però senza avere la preoccupazione di diventare tutti teologi perché per fortuna ce<br />

ne sono, essere più preoccupati della concretezza della vita, dalla testimonianza della vita quotidiana.<br />

Andrea (<strong>San</strong>t’Andrea)<br />

La testimonianza nel quotidiano nelle due valenze: la difficoltà nel portare a testimonianza nel<br />

quotidiano.<br />

La fatica e anche la bellezza, la libertà di questo.<br />

Maurizio (Dese)<br />

E’ stato un incontro molto edificante, avete acceso un sacco di fuochi, in ognuno di noi ha tirato fuori<br />

qualcosa di diverso e di nuovo. Anche noi abbiamo riflettuto sulla testimonianza.<br />

Seguendo il discorso di Serena, mi chiedo cosa osta che le donne possano essere prete?<br />

E poi un’altra domanda: il prete è prete in funzione di sacramento, la coppia è famiglia in funzione di un<br />

sacramento, c’è spazio per i celibi non sposati e non preti in questa Chiesa?<br />

Graziano<br />

La prima riflessione è quella sulle parole finali di Daniele, sul fatto di essere cristiani nei posti di lavoro,<br />

per tutti è facile essere cristiani in chiesa ma nei posti di lavoro è molto difficile.<br />

Sentirci cristiani. perché siamo nati in Italia, veniamo da famiglie cristiane, il cristianesimo ci è stato<br />

imposto e siamo stati educati in questo modo: questo da un lato è una cosa buona, dall’altro, il fatto di vivere<br />

in un paese dove il cristianesimo era molto radicato forse non ci fa cercare la vera fede.<br />

Mauro (Portegrandi)<br />

Ci ha molto colpito il concetto di corresponsabilità tra presbiteri, tra preti e quindi viene superato il<br />

concetto di collaborazione.<br />

Anche il termine: non parlare di sacerdote ma parlare di più di prete o presbitero che è l’uomo del<br />

consenso, che ci invita appunto a pervenire al consenso della fede.<br />

Gianfranco (Campalto)<br />

In relazione all’intervento di Serena, una domanda sul ritorno al pre-concilio: è una sensazione, qualcosa<br />

che si percepisce, o un’indicazione, cioè qualcosa che è stato deciso, definito, ispirato dall’alto e diffuso?<br />

Relativamente al discorso della collaborazione, corresponsabilità: in base a quello che abbiamo vissuto<br />

in vicariato… qualche passettino l’abbiamo fatto in questo<br />

Penso che qualcosa del Concilio sia stato recepito.<br />

16


Incontro vicariale, <strong>Favaro</strong> 17 marzo 2010 domande dai gruppi<br />

In riferimento a quanto detto da Daniele, che ha toccato più volte il tasto della libertà, ci chiedevamo<br />

quali potevano essere gli ostacoli verso questo concetto di libertà.<br />

Credo che sia utile l’indicazione di ascoltare, indipendentemente da chi parli, ma ascoltare perché c’è<br />

sempre qualcosa da imparare.<br />

Mariuccia (<strong>San</strong> Leopoldo)<br />

Grazie perché ha valorizzato il ruolo del sacerdozio comune, quindi laici soggetti attivi nella comunità.<br />

Ci ha stuzzicato, provocato, il fatto di essere comunità celebrante, cioè tutti insieme. Questo richiama<br />

quello che ha detto Daniele, cioè vivere l’Eucarestia nel quotidiano, dove mi trovo, nelle mie situazioni di vita,<br />

questo ci ha provocato integralmente.<br />

Poi pensiamo che sarebbe bello approfondire, ognuno con il proprio prete, il ruolo del prete in una<br />

comunità ministeriale.<br />

Gianni (<strong>San</strong>t’Andrea)<br />

Abbiamo fatto riferimento a una lezione del nostro patriarca il 21/2 nel quale emergeva un aspetto non<br />

trattato del prete come pastore e servo.<br />

Abbiamo trovato, nella relazione di Serena, rispondenza a quello che il nostro patriarca sta tentando di<br />

fare nella nostra diocesi, cioè la comunità pastorale cha sta già avvenendo in alcune parrocchie.<br />

Entusiasmante quello che diceva Daniele, come si è perso il concetto della profezia nella comunità…<br />

Provo un po’ di tristezza che dopo 50 anni dobbiamo darci una nuova spinta, qualche passo l’abbiamo<br />

fatto, è vero, però siamo un po’ fermi, dobbiamo prendere un nuovo slancio.<br />

Giovanni (Annunziata)<br />

Gli elementi che abbiamo considerato sono stati il sacerdozio nel nostro campo privato, nella famiglia e<br />

nel lavoro, dove si pensa di realizzare la nostra fede e trasmetterla.<br />

Il problema che comporta difficoltà può essere quello del sacerdozio nella comunità, nella parrocchia in<br />

quanto sacerdozio vuol dire donazione e una persona che ha le sue attività… ha dei diritti limitati in questo<br />

campo.<br />

Nella nostra parrocchia abbiamo avuto una successione di preti che hanno dato ampio spazio ai laici,<br />

però i laici non hanno risposto dovutamente prendendosi dei ruoli che potevano competere loro, specie nella<br />

profezia, dove interpretare e trasmettere la parola il Vangelo diventa una cosa che si sente difficile.<br />

don Lionello (Tessera)<br />

Il concetto base è che – tutte cose verissime, già recepite per certi versi – stiamo maturando<br />

dall’immagine di Chiesa come popolo, come comunità. Come la corresponsabili, però i laici dicono che è più<br />

facile a lasciare che i preti rimangano punti di riferimenti… anche perché qualcuno dall’alto propone certe<br />

cose ed è meglio ascoltarlo…<br />

1. Si è parlato di preti e non di parroci: io credo che, purtroppo, essere parroci significa essere inseriti in<br />

un territorio, in una struttura e questo prevede un modo di lavorare, un modo di essere che impedisce di<br />

essere sinodali. All’interno forse, ma non con le comunità vicine o come stiamo parlando adesso in vicariato.<br />

C’è un limite in questo in questo essere preti-parroci: si cresce con la mentalità che la Chiesa e il campanile<br />

sia bene e magari c’è difficoltà a comunicare, a incontrarsi con gli altri.<br />

2. Il fatto della parrocchia: è vero che sono cambiati tanti concetti e anche l’essere cristiano, 40 anni fa e<br />

adesso è completamente diverso, la gente non è interessata a Cristo, il senso della fede…, però in una<br />

comunità si fanno le stesse cose che si facevano 50 anni prima del Concilio e ti obbligano a essere un prete<br />

che non può essere colui che armonizza i carismi, perché deve fare tutt’altre cose che non c’entrano con<br />

l’essere prete..<br />

3. Tento di chiedere alla mia comunità, che considero con molto rispetto: cosa volete dal prete? Cosa<br />

rispondono i nostri laici? Vogliono che noi siamo clerici e si ha l’impressione che i laici siano più clericali di<br />

noi preti. Viene fuori un’immagine dei laici che hanno un’idea di quello che deve fare il prete che è anticonciliare.<br />

Lucia<br />

Il concetto di profezia: cosa si intende per profezia?<br />

Non siamo capaci di rendere ragione della speranza e di quello in cui si crede; qualcuno ci ha dato una<br />

risposta: “perché si è perso il messaggio d’amore, di accoglienza, di perdono e di comunione”, si sono perse<br />

delle cose per cui non riusciamo a testimoniare la fede che vorremmo testimoniare.<br />

17


Incontro vicariale, <strong>Favaro</strong> 17 marzo 2010 risposte di Serena Noceti<br />

risposte di Serena Noceti<br />

La prima cosa che vorrei dire è che mi piace molto questa dinamica sinodale che abbiamo vissuto<br />

questa sera per cui non c’è stata solo la nostra comunicazione uni-direzionale ma una dinamica pluridirezionale.<br />

La seconda cosa che mi sembra emersa dai vostri interventi, quello che mi sembra essenziale … intuito<br />

col Concilio: l’identità dei laici e dei ministri ordinati si dice, si esprime nella correlazione.<br />

Per secoli s’è detto chi è il laico: è quello che non è prete e non è religioso. Si è definita cioè l’identità del<br />

laico per negazione: non è questo non è quell’altro, mentre ora sappiamo, siamo in grado, sulla base<br />

battesimale, di affermare in positivo chi sono i laici, laico o laica.<br />

Per secoli si è anche detto (Bellarmino, 1550, uno dei grandi teologi dopo il Concilio di Trento): chi è il<br />

laico? È quello che non ha alcuna funzione nella Chiesa, vale a dire che ci sia o non ci sia… è uguale,<br />

perché chi parla è solo il ministro ordinato.<br />

Il dire l’identità nella reciprocità di laici - ministri ordinati mi sembra uno dei grandi punti di forza da cui<br />

ripartire anche nella recezione del Concilio.<br />

Mi sembra altrettanto importante dire che:<br />

è bene come laici e laiche aver riscoperto la nostra responsabilità di dare testimonianza e un<br />

annuncio nel mondo, nella storia, nelle relazioni familiari, nel luogo di lavoro…<br />

ma è anche vero che quello che oggi manca è la parola dei laici e della laiche come parola capace<br />

di interpretare il Vangelo nella vita e per la vita stessa di Chiesa. Perché il modo in cui io laica – e<br />

non sono prete – interpreto il Vangelo, annuncio gli elementi della fede all’interno della vita<br />

ecclesiale, per poter comprendere meglio il Vangelo, è un modo unico, differente rispetto a qualsiasi<br />

diacono, ministro ordinato, prete o vescovo che sia. Io donna non lo faccio nello stesso modo in cui<br />

lo fa un uomo.<br />

Allora a me sembra che la sinodalità sia una dinamica anche intra-ecclesiale nella quale la parola dei<br />

laici è troppo sottovalutata per l’oggi di Chiesa.<br />

E’ vero che i laici chiedono a volte il prete come uomo del sacro.<br />

Penso che dobbiamo rettificare questa coscienza parziale ed erronea che si riferisce all’esperienza<br />

religiosa tout-court ma non al cristianesimo.<br />

Così pure gli altri nomi con cui definiamo il prete sono per esempio pastore: il pastore che esercita una<br />

funzione pastorale nei confronti di un gregge che non è passivo, in relazione all’unico Pastore che è Cristo.<br />

La parola sacerdote l’ho già detto…<br />

Troverete riferimento anche al fatto che si pensa al prete come persona cha agisce in nome di Cristo<br />

capo: bisogna essere attenti con questo genere di rappresentazioni o proposte perché rischiano di rendere<br />

parziale la dinamica interna laici-ministri ordinati che è costitutiva di Chiesa. Quindi, direi più l’uomo della<br />

comunità, l’uomo del consenso.<br />

[Certo, i nostri seminari non è che sempre formino dei gran preti capaci di relazioni comunionali (e dico<br />

la mia seconda cattiveria della serata).]<br />

Perché siamo a questo punto?<br />

Perché i processi di recezione del Concilio sono processi lenti come per qualsiasi altro Concilio,<br />

chiedono tempo lungi di assimilazione<br />

Questo è sempre avvenuto dopo ogni Concilio, oggi lo avvertiamo con più fatica perché i cambiamenti<br />

sociali, culturali sono molto più rapidi dei cambiamenti che stiamo vivendo a livello ecclesiale; e perché<br />

percepiamo in maniera più diffusa rispetto al passato che c’è una possibilità che ancora non riusciamo a<br />

realizzare: è la delusione di un possibile che percepiamo e quindi, come tale, molto più positiva.<br />

Qualcuno mi ha chiesto se questo ritorno al pre-concilio è voluto o no. Io direi che c’è un recezione<br />

del Concilio che è aperta, è un cantiere aperto significativo, siamo qui questa sera, io mi occupo di<br />

formazione dei preti, faccio corsi di aggiramento per i preti, fino al Concilio Vaticano II questo sarebbe stato<br />

assolutamente impossibile: noi facciamo i teologi di professione, come laici e laiche, fino al 1965 le donne<br />

non potevano studiare teologia.<br />

Il Concilio ha cambiato in maniera sostanziale, pensato al compito della catechesi, il riconoscimento<br />

dell’educazione alla fede che tutti noi viviamo, la ministerialità della coppia, posso continuare ad esprimere<br />

molte cose.<br />

18


Incontro vicariale, <strong>Favaro</strong> 17 marzo 2010 risposte di Serena Noceti<br />

Certo, c’è anche un’ermeneutica, un processo interpretativo di documenti che può sottolineare certi<br />

aspetti o sottolinearne altri: sta a noi anche vigilare a aiutare il percorso di interpretazione e di recezione<br />

attiva del concilio.<br />

Il cambiamento è lento perché la parrocchia post-tridentina, dopo il Concilio di Trento da cui proveniamo,<br />

era una parrocchia, uno stile di Chiesa fatto non per affrontare i cambiamenti, era fatto per mantenere la<br />

cura animarum, e un contesto sociale che non era il cambiamento, era per gestire l’esistente, è pensata in<br />

questa forma.<br />

Nel momento in cui invece l’ecclesiologia del Vaticano II sottolinea la dimensione della storicità, della<br />

trasformazione, del cambiamento… dopo il concilio noi non abbiamo avuto degli strumenti per la riforma di<br />

Chiesa all’interno di questa dinamica. Non sono state previste delle forme di trasformazione della vita<br />

ecclesiale in senso operativo, pratico, di forme partecipative, che ci aiutassero da attuare concretamente<br />

Lumen Gentium II, il popolo messianico e tutto quello che abbiamo detto.<br />

La riforma è stata una riforma liturgica, e questa è stata per noi ed è essenziale, c’è stata la riforma della<br />

curia romana, la riforma del principio d’austerità e la riforma del sinodo dei vescovi.<br />

Manca ancora – dico ancora perché siamo su questa strada – un percorso di acquisizione di una<br />

coscienza più forte e formata anche dei laici e delle laiche e, allo stesso tempo, un gioco di relazioni<br />

strutturate (consigli, forme partecipative,.sinodalità ordinaria) più forti.<br />

Quand’è che maturiamo una sinodalità: attraverso esperienze sinodali piccole ma significative vissute<br />

a tutti i livelli: dalla parrocchia, al vicariato, alla vita di diocesi, stimoli partecipativi segnano la vita delle<br />

persone.<br />

Certo la preparazioni dei laici è determinante: ma noi siamo preparati come laici e laiche, e non solo in<br />

teologia. Perché conta, nella vita della Chiesa, non solo la preparazione teologica; conta la preparazione<br />

culturale, le conoscenze e le competenze psicologiche, pedagogiche, di conduzione dei processi<br />

partecipativi. Queste sono delle competenze che i laici e le laiche possono e devono portare per la vita delle<br />

comunità cristiana. Quanto siamo ricchi di competenze psicologiche e pedagogiche. Perché questo non può<br />

essere riconosciuto come necessario per la vita di Chiesa? Conta come la teologia per la vita e il cammino<br />

comune. Io di fatto sono una teologa, insegno sia ai seminaristi che ai laici e alle laiche e devo dire che a<br />

volte i laici e le laiche sono molto più preparati dei seminaristi in teologia, quindi ormai le carte sono un po’<br />

più ricche di reciprocità.<br />

I single hanno posto nella Chiesa, i celibi e le nubili?<br />

Certo: io sono una single. Che cosa comporta questo? Comporta una scelta di vita. Come si fa una<br />

scelta di relazione al matrimonio, si fonda anche una scelta di vita consapevole della propria condizione<br />

laicale da single, da celibi e da nubili.<br />

Su cosa si fonda? Sul battesimo e sulla cresima, cioè l’elemento qualificante dell’identità cristiana.<br />

C’è una bellissima poesia di Turoldo che dice:<br />

Ricordando le parole di mio padre, ormai giunto alla fine della vita…<br />

“Che il battesimo ti basti prima ed oltre di ogni specificazione.”<br />

Perché le donne non sono preti?<br />

Il Vaticano II evidenzia di nuovo la strutturazione tripartita, cioè secondo tre configurazioni, del ministero<br />

ordinato: il ministero del vescovo, che ha la pienezza del ministero per la consacrazione presbiterale; il<br />

ministero presbiterale e il ministero del diacono come ministero permanente autonomo. Il diacono ha un<br />

ministero ordinato, cioè garantisce questo consenso, l’apostolicità della Chiesa, ma un ministero non<br />

sacerdotale, cioè non celebra i sacramenti, non presiede l’Eucarestia.<br />

Le donne potrebbero diventare diacono? Sì. C’è un documento della commissione teologica<br />

internazionale di 3 anni fa che dice che questa possibilità di essere ministro ordinato non sacerdotale è<br />

possibile per le donne perché fino al IX secolo ci sono state delle diaconesse e quindi abbiamo molti secoli<br />

di questa esperienza.<br />

Le donne potrebbero diventare prete e vescovo? No. C’è un documento del 1994, che è il documento di<br />

più alto grado magisteriale dopo il Vaticano II, si intitola “Ordinatio sacerdotalis” e dice: è dottrina<br />

irreformabile, cioè un contenuto della fede che non si discute, che vengono ordinati vescovi e preti, cioè i<br />

gradi sacerdotali del ministero, solo uomini maschi. Perché? Viene data una motivazione unica, una e una<br />

sola: c’è un tradizione ininterrotta di 1900 anni che vede questo tipo di realtà. E’ la tradizione ecclesiale, la<br />

tradizione con la T maiuscola, l’esperienza di Chiesa che non ha mai visto questo.<br />

Perché questo non è possibile, perché non è mai stato fatto? Non c’è una risposta precisa.<br />

Per molto tempo si è detto che le donne non possono esse prete o vescovo perché non possono<br />

rappresentare il Cristo maschio nella celebrazioni: questa motivazione non sta né in cielo né in terra,<br />

19


Incontro vicariale, <strong>Favaro</strong> 17 marzo 2010 risposte di Daniele Garota<br />

nessuno lo dice più. Le donne non erano presenti all’ultima cena: non è vero e quindi nessuno lo dice più.<br />

L’unica motivazione che rimane è che c’è una tradizione ininterrotta ed è la motivazione di riferimento.<br />

Sul discorso dei parroci non entro nel merito ma sono d’accordo su questa difficoltà.<br />

Quello che vi suggerirei è di fare l’elenco delle attività che fate in una settimana e sottoporlo alla<br />

comunità cristiana e chiedere quali di queste cose appartengono realmente al nucleo di fondo della vita e del<br />

ministero del prete e quali altre invece potrebbero essere assunte da laici progressivamente, in tempi più o<br />

meno lunghi di cambiamento dell’attività pastorale.<br />

Questo penso che sia un esercizio difficile, di ascesi per i preti, difficile per la comunità ma che cambia,<br />

insieme ai team pastorali che era la mia proposta di cambiamento effettivo.<br />

risposte di Daniele Garota<br />

20<br />

testo non rivisto dal relatore<br />

Io mi soffermo su questa cosa della libertà e di che cosa trasmetto, trasmissione della fede: che cosa<br />

trasmetto E poi rendere ragione della propria fede, è una cosa simile. Se uno mi chiede “ma in che cosa<br />

credi?”. Si tratta di credere in cose oggettive… non solo credo in Dio…<br />

E qual’era quel deposito delle fede che deve essere trasmesso che riceviamo dagli apostoli..?<br />

Il sacerdote può fare una cosa che noi non possiamo fare: può trasformare il vino in sangue del Cristo e<br />

il pane e in corpo del Cristo, l’Eucarestia.<br />

<strong>San</strong> Francesco aveva una venerazione massima di questa cosa, lui non si è mai sentito degno, pur<br />

essendo <strong>San</strong> Francesco, non si è mai sentito degno di questo essere sacerdote. E allora quando gli<br />

portarono un prete che era un mascalzone, lui corse subito a baciare la mani perché dalle sue mani viene e<br />

fuori il corpo e il sangue di Cristo... “io non mi sento degno”.<br />

Il prete ha questa cosa…<br />

Io, da cattolico, ascolto la Chiesa e umilmente mi metto a dire: va bene accetto questo.<br />

Ma cosa vuol dire questo gesto Eucaristico? L’ultima cena:. si sono riuniti, negli ultimi momenti, lui<br />

doveva abbandonare.”D’ora in poi non berrò più il frutto della vite fino a quando lo berrò nuovo con voi nel<br />

regno del padre mio”. Quindi, ha creato nella comunità cristiana primitiva questo senso di vuoto: lui non c’è<br />

più fino al giorno in cui verrà di nuovo a bere quel vino nella mensa del re, il banchetto messianico,<br />

E allora quando si celebra l’Eucarestia la comunità ascolta il sacerdote che dice “Mistero della fede”, e la<br />

comunità è chiamata a rispondere “Annunciamo la tua morte, Signore, nell’attesa della tua venuta”.<br />

Questo è il nucleo essenziale del deposito della fede.<br />

Noi dobbiamo trasmettere questa cosa: il Signore è morto ma è risorto e siamo in attesa che torni con<br />

noi a bere quel bicchiere di vino alla sua mensa.<br />

Io, da uomo che vive con gioia la realtà della famiglia, della mensa, la tavola di casa, credo che ci debba<br />

essere in fondo molta similitudine, poca differenza tra la mensa, la tavola di casa, e l’altare, dove si celebra<br />

l’Eucarestia.<br />

Anche a casa, la chiesa domestica, ha la sua piccola Eucarestia, dove si dice grazie un l’altro del dono<br />

che si è l’uno per gli altri. E questo non dovrebbe essere poi molto lontano dalla mensa del banchetto regno<br />

che aspettiamo. Un giorno, noi di nuovo saremo col Signore a bere il vino nuovo del re.<br />

E insieme ci sarà anche mio padre e mia madre che sono morti ma ritorneranno in vita e io incontrerò<br />

insieme a tutti quelli che non ci sono più.<br />

Se riusciamo a trasmettere questo ai nostri figli abbiamo continuato a trasmettere il deposito della fede.<br />

E se ci chiedono: “ma come faccio io a credere a una follia simile?” Non lo so, io continuo a crederci,<br />

non ti so dire perché.<br />

So soltanto che questa è la mia fede e io continuo a crederci. Più di questo credo che non possiamo<br />

fare, la fede è questo, non è una dimostrazione logica, è la testimonianza di ciò che tu senti dentro, che<br />

qualcuno ti ha dato. Io ho incontrato persone che ci credevano, ma l’hanno trasmetto. Io, dove posso,<br />

continuo a trasmetterlo.<br />

Credo che sia questo, oggi, profezia. Altro non so dire.<br />

testo non rivisto dal relatore


Incontro vicariale, <strong>Favaro</strong> 17 marzo 2010 articolo su Gente Veneta<br />

articolo su Gente Veneta<br />

GV n. 12, 27 marzo 2010<br />

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