STORIA DELLA GNOMONICA - Nicola Severino
STORIA DELLA GNOMONICA - Nicola Severino
STORIA DELLA GNOMONICA - Nicola Severino
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<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong><br />
<strong>STORIA</strong> <strong>DELLA</strong> <strong>GNOMONICA</strong><br />
LA <strong>STORIA</strong> DEGLI OROLOGI SOLARI<br />
DALL'ANTICHITÀ ALLA RINASCENZA<br />
Roccasecca 2001
Premessa a questa edizione in CD Rom del 2001<br />
Nel 1990-1991, mi accinsi a scrivere la prima edizione della Storia della<br />
Gnomonica. Allora non avrei mai pensato che dopo dieci anni l'avrei<br />
ripresa tal quale, con poschissimi cambiamenti, e trasformata in un CD rom,<br />
comodamente trasportabile, leggibile e stampabile a piacere. In piu' arricchita<br />
di immagini in b/n e a colori. Mi sarebbe piaciuto creare un'opera<br />
unica che compredesse tutti i miei scritti, ovvero gli articoli pubblicati e gli<br />
altri libri, ma una tale impresa era evidentemente troppo impegnativa per<br />
chi deve condurre una vita familiare normale. Ma sarebbe stato difficile<br />
soprattutto perché in dieci anni ho perso molti dei files che scrissi sui primi<br />
computers 8088 ed in formato Olivetti OTX per videoscrittura, incompatibili<br />
con i files RTF e DOC. Così mi sono deciso a riprendere tutto il meglio,<br />
come è stato concepito in origine, e "riversarlo" in un CD rom in formato<br />
PDF. Per questo lavoro non ho parole per ringraziare Fabio Savian che ha<br />
curato l'impaginazione nel formato PDF. Ma devo ringraziare anche tutti<br />
gli amici gnomonisti che mi hanno incoraggiato a riprendere tutto il mio<br />
lavoro gnomonico e ripresentarlo sotto questa forma.<br />
Questa versione della Storia della Gnomonica è praticamente identica nel<br />
testo e nelle figure all'edizione del 1992-1994 (seconda stesura - la prima<br />
penso si tratti di una bozza che forse ho perso anch'io!) fino al V capitolo<br />
compreso, ovvero alla gnomonica araba. La parte sul Rinascimento è stata in<br />
parte modificata qualche anno fa. Manca, inoltre, il capitolo VII dedicato a<br />
Cristoforo Clavio per il quale però scrissi un apposito articolo per la rivista<br />
Nuovo Orione, ripreso ultimamente per il numero 1 di Gnomonica UAI,<br />
2001, che si trova però nella sezione "Articoli". Ed un'appendice sulla gnomonica<br />
dopo Clavio che però ho trattato nell'"aggiornamento" dell'ultima<br />
parte, completamente riscritta. Alcuni articoli, di cui ho perso i files e le<br />
immagini, li ho ripresi in scansione elettronica sulle riviste in cui furono<br />
pubblicati a suo tempo.<br />
In definitiva, questo CD rom sappresenta quasi un'opera omnia, con poche<br />
documentazioni di scarsa importanza non presenti. Mancano all'appello il<br />
"librone" intitolato Le piu' belle pagine della gnomonica che non ho mai<br />
piu ripreso, né in fotocopia né in altro formato, ed i video sul censimento<br />
delle meridiane della provincia di Frosinone e sulle immagini gnomoniche.<br />
Ringrazio infine tutti gli amici gnomonisti che più di tutti mi hanno incoraggiato,<br />
consigliato e seguito in tutti questi anni nello svolgimento delle mie<br />
ricerche ed in particolare: Riccardo Anselmi, Edmondo Marianeschi,<br />
Alberto Cintio, Francesco Azzarita, Mario Arnaldi, Giacomo Agnelli,<br />
Gianni Ferrari, Enrico Del Favero, Paolo Forlati, Giuseppe Zuccalà,<br />
Giovanni Paltrinieri, Mario Catamo e tutti i nuovi amici della lista internet<br />
Gnomonicaitalia.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong>
1<br />
2<br />
3<br />
4<br />
5<br />
6<br />
7<br />
8<br />
9<br />
10<br />
I CAPITOLO<br />
Introduzione<br />
Gli albori<br />
Lo gnomone<br />
La gnomonica: etimologia e<br />
definizioni<br />
Le ore degli antichi<br />
La favola del cinocefalo<br />
L’orologio solare più antico<br />
L’orologio del re Achaz e il miracolo<br />
di Isaia<br />
Il miracolo risolto ?<br />
Le ore ineguali, temporali o<br />
planetarie<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
1
La storia ormai millenaria degli antichissimi segnatempo<br />
solari non ha un riscontro letterario prolifico.<br />
Come risulta già evidente ad un attento<br />
esame bibliografico, la maggior parte dei libri che<br />
sono stati scritti sull'argomento riguarda prevalentemente<br />
le tecniche di progettazione e realizzazione<br />
degli orologi solari, cioè i canoni scientifici<br />
della Gnomonica. Questa constatazione può<br />
essere motivo di perplessità, soprattutto quando si<br />
consideri che la storia di questi strumenti non è<br />
stata approfondita da nessuno dei maggiori trattatisti<br />
di Gnomonica dell'antichità, come della<br />
Rinascenza: Cristoforo Clavio accenna appena agli<br />
orologi solari di Vitruvio, forse in modo meno preciso<br />
di come avrebbe fatto un glossista dell'epoca.<br />
Durante il periodo dei "lumi" la Gnomonica si fa<br />
strada grazie al contributo di uomini come De La<br />
Hire, Picard, Ozanam, Parent e via dicendo, ma<br />
tutti escludono categoricamente dalle loro opere la<br />
benchè minima traccia di ricerca storica. Tutto ciò<br />
induce i trattatisti moderni, o almeno la maggior<br />
parte di essi, a "compattare" più di duemila anni di<br />
storia degli orologi solari in un capitolo di qualche<br />
paginetta!<br />
Tutto ciò, evidentemente, è il risultato di una difficile<br />
ricerca della documentazione storica, carente e<br />
dispersa in mille e mille frammenti la cui ricomposizione<br />
è l'oggetto principale di quest'opera la<br />
quale rappresenta, possiamo dirlo con certezza, il<br />
primo libro, almeno in lingua italiana, che tratta<br />
specificamente della storia degli orologi solari.<br />
Il difficile compito a cui deve assolvere questo<br />
lavoro è, pertanto, quello di riordinare e di presentare<br />
in maniera chiara la lunga vicenda della<br />
1<br />
INTRODUZIONE<br />
"Voler fermare, nel rapido suo corso il tempo,<br />
e fissarlo; sarebbe un vano, ed insensato disegno:<br />
ma contare i momenti della sua fuga, e indicarli,<br />
l'è un portento della sagacità dell'Uomo,<br />
che occupossi ad inventar l'Orologio".<br />
Abate Sallier, Sec. XVIII<br />
Gnomonica, attraverso i pochi riferimenti e<br />
citazioni degli antichi compilatori, filosofi, scienziati<br />
ed eruditi che vissero nell'arco di più di<br />
duemila anni. Non è cosa di poco conto, soprattutto<br />
quando si è nella consapevolezza di presentare<br />
al pubblico un'opera prima.<br />
A volte avere come base di riferimento altri lavori<br />
già finiti, anche se antichi, cioè lavorare sul<br />
palinsesto di altri libri, può essere molto utile,<br />
serve come guida, e si risparmia molta fatica. In<br />
questo caso posso dire che il palinsesto non l'ho<br />
trovato perchè non c'è. Qui i protagonisti principali<br />
sono gli stessi gnomonisti, la materia prima è<br />
costituita dalle fonti storiche, a volte ancora<br />
inedite, che ho cercato di mettere in primo piano,<br />
attraverso le quali costruire un quadro il più possibile<br />
chiaro e completo dei primi lineamenti storici<br />
della Gnomonica.<br />
Sono pochi anni che la Gnomonica è stata tirata<br />
fuori dalla nebbia e dall'oblio generale, soprattutto<br />
per merito di pochi appassionati che si prodigano<br />
in Italia per la salvaguardia del patrimonio artistico-culturale<br />
rappresentato dall'insieme degli strumenti<br />
solari presenti sul nostro territorio, pubblico<br />
e privato.<br />
Certo, una volta gli orologi (solari e ad acqua i<br />
primi, e meccanici poi) occupavano un ruolo<br />
diverso nella società. La necessità di conoscere<br />
l'ora, con precisione o approssimativamente, per il<br />
normale svolgimento delle attività sociali, era fondamentale<br />
sia per l'astronomo, sia per il chierico<br />
che per il contadino, sebbene con applicazioni e<br />
significati sostanzialmente diversi.<br />
Per farci, comunque, un'idea chiara del prestigio di<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
2
cui godevano gli orologi solari nella vita quotidiana<br />
degli uomini del XVI secolo, cioè quando già<br />
cominciava a rivestire una certa importanza<br />
l'orologio meccanico da torre, vorrei proporre<br />
alcuni deliziosi passi tratti dall'opera di Pini<br />
Valentino "Fabrica de gl'horologi solari" del 1598:<br />
I viaggi lunghi, per luoghi aspri, e difficili, per esser<br />
privi di quel diletto, che suole apportare la varietà delle<br />
cose vedute, fanno, che il Viandante, di passo in passo,<br />
si volta verso il sole, per misurar dall'altezza sua, l'hora<br />
corrente, e con l'hora quanto ha scorso, o gli resta del<br />
noioso camino: e quanto a me raccomandomi le fatiche<br />
dei passati maggi, certo che benedico l'occasione di<br />
questa isperienza; perchè trovandomi tal'hora fra deserti<br />
paesi, e desiderando sapere, che ora fusse, son caduto<br />
in vari pensieri intorno a gl'Istromenti, e modi, di partire<br />
l'hore, così del giorno, come della notte...<br />
E ancora dal Proemio: Fra tutte le cose, le quali danno<br />
ordine a questo mondo inferiore, quella forsi dell'hore,<br />
che misurano, e spartiscono il tempo, non tiene l'ultimo<br />
luogo; perchè, chi non sa, che se non ritrovata non fosse<br />
questa mirabile inventione, si reggerebbe il mondo poco<br />
ordinatamente, e caminerebbe, come cosa stupida, e confusa?<br />
si come ciò apertamente si scorge in quegl'huomini,<br />
li quali, in luogo deserto, lontani da Città e Castella<br />
ritrovandosi, non udendo l'hore, governandosi a caso,<br />
irresoluti rimangono, e confusi, quasi fuori di se. Ma<br />
per il contrario là dove sono horologi, e si vedono, ò<br />
s'odono l'hore, si vedono anco in effetto gl'huomini<br />
accorti, e ordinati; poscianche spartendo, col mezzo<br />
d'esse, e ordinando le loro fatiche, e negotij, prefigono à<br />
ciascuna parte tempo conveniente, e ordinato, di<br />
maniera che, senza impedir le cose famigliari, danno<br />
compita ispedizione à quanto fa loro bisogno...<br />
Nel loro silente modo di comunicare (non ho mai<br />
trovato una meridiana con il motto "Taciturnitas<br />
virtutes plurimas nutrit", cioè il silenzio è il padre<br />
di tutte le virtù, motto che calzerebbe alla perfezione)<br />
le meridiane hanno scandito il tempo e la<br />
vita agli uomini per più di quattromila anni, mentre<br />
solo da cinquecento anni l'orologio meccanico<br />
ha cominciato ad acquistare una certa importanza.<br />
Il suo funzionamento, però, dagli inizi e fino a<br />
circa due secoli fa, era verificato solo per mezzo<br />
della precisione data da una buona meridiana.<br />
Inoltre, solo negli ultimi cento anni l'orologio meccanico<br />
è stato in grado di sostituire egregiamente<br />
l'orologio solare. I due segnatempo potrebbero<br />
anche convivere, compensandosi a vicenda, ma<br />
questo oggi non è più possibile data l'alta tecnologia<br />
raggiunta nell'orologeria meccanica.<br />
Ciò che la meridiana può rivendicare, invece, sull'orologio<br />
meccanico è la sua possibilità di essere<br />
sfruttata come decorazione di un edificio e come<br />
strumento dalle alte capacità didattiche,<br />
eccezionalmente utile nello studio elementare dei<br />
movimenti dei corpi celesti e della geografia astronomica<br />
in generale.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
3
La necessità di dividere l'arco di una giornata e di<br />
una nottata in un preciso numero di parti uguali<br />
non è nata per caso o per volere di un Re. Una persona<br />
che non sappia assolutamente nulla della<br />
divisione del tempo come oggi la intendiamo, e<br />
nemmeno quelle d'altri tempi, che si trovi in una<br />
campagna assolata sicuramente non saprà distinguere<br />
di più del semplice fatto che nell'arco del<br />
giorno il Sole compie un percorso nel cielo da un<br />
capo all'altro dell'orizzonte, toccando un'altezza<br />
massima a metà strada. Queste dovevano essere le<br />
cognizioni temporali dei primi uomini apparsi<br />
sulla terra.<br />
La suddivisione principale era data dal naturale<br />
sorgere e tramontare del sole e, come vedremo, i<br />
Romani adotteranno questa semplice soluzione<br />
per almeno trecento anni dopo la fondazione<br />
dell'Urbe. L'astro di vita nascente era venerato<br />
come un dio presso molti popoli dell'antichità e lo<br />
studio del suo percorso nel cielo rivestiva un'importanza<br />
fondamentale e dava una incisiva<br />
impronta alle caratteristiche ed<br />
abitudini di vita quotidiana nelle<br />
prime società tribali, come nelle<br />
future citta-stato di ogni regione.<br />
Il sole accompagnava l'uomo<br />
primitivo nelle sue battute di caccia<br />
e il sapere misurare, anche<br />
approssimativamente, la sua<br />
altezza sull'orizzonte per calcolare<br />
quante ore di luce utile<br />
restano da sfruttare era di fondamentale<br />
importanza. Infatti, come<br />
qualcuno ricorderà, quando ci si<br />
allontana dalle città per delle<br />
lunghe escursioni in montagna, si<br />
perde spesso il senso del tempo e<br />
tante volte si resta ingannati nel<br />
calcolare le ore di luce rimanenti prima del tramonto,<br />
col rischio di essere sorpresi dalle tenebre.<br />
Questo può senz'altro annoverarsi tra i motivi<br />
principali per cui l'uomo, con profonda dedizione<br />
ed umiltà, cominciò a compiere precise osservazioni<br />
del moto dell'astro sulla sfera celeste, e dei<br />
2<br />
GLI ALBORI<br />
fig. 1 Il metodo di determinare la<br />
linea meridiana detto “delle altezze<br />
corrispondenti del Sole sull’orizzonte”,<br />
come divulgato in un libro<br />
di Cristoforo Clavio, verso la fine<br />
del 1500. Notata ad una determinata<br />
ora l’ombra H di uno stilo EF<br />
perpendicolare al piano orizzontale,<br />
su uno dei circoli prescritti, si<br />
aspetta che l’ombra G dello stilo<br />
arrivi atoccare lo stesso circolo nella<br />
parte dell’ “Occsus”. Congiunti i<br />
due punti H e G, la perpendicolare<br />
a questa sarà la linea meridiana BD.<br />
(Abbazia di Montecassino)<br />
fig. 2 Un esempio di come l’uomo primitivo cominciò a<br />
determinare spazi di tempo ricorrendo all’osservazione<br />
dell’ombra gettata da un bastone (gnomone) piantato<br />
perpendicolarmente al suolo. (Storia della Tecnologia,<br />
Boringhieri)<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
4
pianeti principali, registrando periodicamente i<br />
principali fenomeni celesti visibili e rapportandoli<br />
alle vicissitudini terrene e alle necessità agro-pastorali:<br />
cominciò in questo modo la compilazione<br />
dei primi rudimentali calendari astronomici.<br />
Dopo molteplici osservazioni del tragitto del sole<br />
nel cielo, non dovette essere molto difficile accorgersi<br />
che esso, ogni giorno ed in un certo istante,<br />
arriva ad un punto di massima altezza sopra<br />
l'orizzonte prima di ricominciare la discesa. Infine,<br />
tale punto varia continuamente di posizione<br />
rispetto all'orizzonte durante l'anno, toccando un<br />
minimo nella stagione fredda ed un massino nella<br />
stagione calda. L'istante in cui il sole raggiunge la<br />
massima altezza sopra l'orizzonte segna il mezzogiorno<br />
solare locale e il saperlo determinare<br />
correttamente, come è facile constatare,<br />
non era prerogativa solo dei<br />
popoli antichi, ma anche della nostra<br />
moderna civiltà.<br />
Passando dall'osservazione semplice alla<br />
pratica, l'esperienza quotidiana insegnò<br />
che un semplice bastone piantato verticalmente<br />
al suolo (fig.2) proiettava un'ombra<br />
che si muoveva sul terreno in conseguenza<br />
del moto del sole nel cielo. Chi fece per<br />
la prima volta questa osservazione battezzò<br />
l'inizio della storia della Gnomonica,<br />
ovvero lo studio razionale dei movimenti<br />
dell'ombra proiettata da un'asta piantata<br />
in terra, in relazione al movimento del sole<br />
(ma anche della Luna) sulla sfera celeste.<br />
A chi dobbiamo l'inaugurazione non lo<br />
sapremo mai! Così come non sapremo mai<br />
chi inventò e mostrò per la prima volta un<br />
orologio solare. E' certo, invece, che gli<br />
sviluppi di un tale studio ha sconcertato<br />
anche gli esperti in quanto è difficile oggi<br />
stabilire quale doveva essere il grado di<br />
erudizione a cui erano giunti gli antichi<br />
osservatori. Per esempio ha dell'incredibile<br />
scoprire che nel 1500 a.C., in<br />
Inghilterra, precisamente a Stonehenge,<br />
fig. 3 Un modello di “Mercket” egiziano, risalente<br />
al 1500 a.C. Le incisioni riguradano una suddivisione<br />
oraria che ricorda quella temporale, o ad ore<br />
“ineguali”. (Storia della Tecnologia, Boringhieri)<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
5
nel Wiltshire, gli abitanti costruirono un monumento-osservatorio<br />
astronomico dall'impressionante<br />
precisione. Come abbiano potuto innalzare le<br />
enormi pietre dette menhir e allinearle secondo<br />
precise direzioni formando i famosi cromlech, cioè<br />
degli enormi calendari, resta tutt'ora un mistero.<br />
L'orientamento di queste pietre era studiato in funzione<br />
dei punti in cui il sole sorge e tramonta nei<br />
giorni dei solstizi e degli equinozi. L'esperienza<br />
portò a realizzare allineamenti sempre più fitti e<br />
precisi, tanto che il monumento di Stonehenge,<br />
oltre che come calendario, servì a quei tempi<br />
addirittura a predire le eclissi (altro mistero) di<br />
sole e di luna.<br />
In Egitto veniva osservata l'ombra delle piramidi<br />
che fungevano da orologio solare e si dice che tra i<br />
primi a compiere queste osservazioni fu Talete di<br />
Mileto. Inoltre, Giuseppe, nel Lib. I, al cap. V delle<br />
Antichità Giudaiche, racconta, e quindi conferma,<br />
che gli Egizi usavano le piramidi come strumento<br />
per osservare e calcolare il tempo.<br />
fig. 4 Primi tracciamenti di orologi solari rudimentali<br />
nell’antichità. Tracce di questi tentativi si<br />
riscontrano anche sulle rocce e terreni situati in<br />
alta montagna. (Storia della Tecnologia,<br />
Boringhieri)<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
6
Ma torniamo al nostro primo strumento indicatore<br />
dell'ora: il bastone piantato a terra. Esso viene oggi<br />
chiamato gnomone e deriva dal verbo greco gmòmon<br />
che vuol dire appunto indicatore e dal quale<br />
deriva il termine gnomonica (vedi prossimo paragrafo).<br />
Come viene ricordato da qualche autore del<br />
XVI secolo: "Gli antichi definirono lo gnomone esser<br />
l'umbilico dell'ombra dello stilo posto ne gli horologi,<br />
con il quale si conoscono l'hore diurne" 1 .<br />
Vitruvio 2 lo descrive come una linea posta in piedi<br />
ortogonalmente, ad angoli retti, dall'ombra del<br />
3<br />
1 Era questa una definizione molto comune all'epoca derivata da antiche tradizioni.<br />
2 De Architectura, Lib. IX<br />
LO GNOMONE<br />
quale dice doversi prendere la ragione di comporre<br />
l'analemma secondo l'altezza<br />
dell'Equinoziale che risulta essere diversa a seconda<br />
della latitudine del luogo. Per i gnomonisti del<br />
1500 lo gnomone, in seguito all'adozione dello stilo<br />
polare (parallelo all'asse terrestre - style-axe per i<br />
francesi), diventa quella figura triangolare chiamata<br />
appunto triangolo stilare che ogni tanto ammiriamo<br />
sulle meridiane. I tre lati di questa figura sono<br />
chiamati (secondo il gergo di allora) base, cateco e<br />
hypotenusa, che corrispondono rispettivamente al<br />
Substilo, Ortostilo e Assostilo.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
7
Il termine Gnomonica deriva dal verbo greco<br />
gnwmon (gnomone), cioè conoscitore, indagatore,<br />
interprete, giudice, da cui gnwmonoV (gnomonos)<br />
che significa "indagatore di cose", "che<br />
serve o che dà la regola", e quindi gnomone come<br />
"ago" dell'orologio solare, dicitura che si trova<br />
presso Plutarco a proposito della teoria platonica<br />
del tempo: "E' adunque meglio dire che la terra è uno<br />
strumento del tempo non nel senso letterale, di essere<br />
provvista di moto come gli astri, ma perchè stando<br />
ferma essa separa il sorgere e il tramontare degli astri in<br />
periodi mediante i quali sono determinate misure principali<br />
del tempo: il giorno e la notte...Proprio come l'ago<br />
di una meridiana non muta la sua posizione a seconda<br />
dell'ombra, ma diviene strumento per misurare il tempo<br />
restando al suo posto..." 3 .<br />
Questo gnomon indagator umbrae è lo strumento<br />
per mezzo del quale nasce la gnomonica, ossia<br />
l'arte di costruire gli orologi solari: h<br />
gnwmonichtecnh come scrive Vitruvio e<br />
Aulio Gellio, e ancora gnwmonicwz, cioè secondo<br />
le leggi gnomoniche, come riporta Solino C.G.<br />
Ad ogni modo la parola gnomonica è più recente<br />
di gnomone ed è difficile trovare citazioni più<br />
antiche di quelle di Vitruvio e di Plinio. Di<br />
quest'ultimo è famoso il passo del Lib. II, al cap. 76:<br />
"Umbrarum hanc rationem, quam vocant Gnomonicen<br />
(o Gnomonicum), invenit Anaximenes Milesius, etc...".<br />
La gnomonica è per Igino, vissuto a cavallo tra il I<br />
e il II secolo d.C., una colonna dell'arte divina:<br />
"Advocandum est nobis gnomonices summae, ac divinae<br />
artis fulmentum" 4 .<br />
Fino ai tempi di Vitruvio, la scienza degli orologi<br />
solari era con ogni probabilità denominata<br />
Sciaterica, o Scioterica. Presso Plutarco si legge to<br />
sciothron, in Strabone sciotericoz mentre<br />
in Cleomede ta sciothrica, e nello stesso<br />
Vitruvio sciotmroz, che significa proprio meridi-<br />
4<br />
LA <strong>GNOMONICA</strong>:<br />
ETIMOLOGIA E DEFINIZIONI<br />
ana, o orologio solare, e nella Geografia di<br />
Tolomeo si legge gnwmonicon.<br />
Sciotera è una parola composta da scio (scio), che<br />
significa ombra, e tereo (threw), che vale catturare,<br />
che insieme significano strumento adatto a<br />
catturare le ombre. scioJhrew, invece, significa<br />
"osservo le ombre" ed è citato da Esichio.<br />
Il Gesuita Padre Cristoforo Clavio, il padre della<br />
Gnomonica del XVI secolo, è molto esplicito sul<br />
significato di queste parole: "sciothron<br />
(scioteron) significa infatti idoneo a catturare le ombre.<br />
Da cui scioJhra (sciotera) sono gli strumenti<br />
matematici con i quali si suole catturare le ombre, e<br />
l'orologio scioterico lo strumento nel quale l'ombra del<br />
Sole è idonea a dimostrare con certezza l'ora del giorno,<br />
la durata, il sorgere e tramontare del Sole, le stagioni in<br />
cui il Sole occupa i segni dello Zodiaco, e altre cose".<br />
L'arte di disegnare orologi solari è detta pure<br />
"sciograjia" (sciografia), come cita pure<br />
Clemente Alessandrino, o "sciograjoz" nelle<br />
antiche scritture.<br />
Molto meno noto è, invece, l'appellativo di<br />
"Fotosciaterica". Il filosofo e matematico Cristiano<br />
Wolfio, nella sua opera 5 comprende una parte,<br />
"Elementa Gnomonicae", in cui si legge:<br />
"...Pochissimi la chiamano Photosciaterica, poichè<br />
anche mediante la luce solare talvolta si distinguono le<br />
ore".<br />
Questo inusuale termine non si trova nei libri di<br />
Gnomonica almeno fino al secolo XVII.<br />
Evidentemente questa parola entrò a far parte del<br />
lessico gnomonico quando cominciarono ad avere<br />
larga diffusione le meridiane a luce, cioè quelle in<br />
cui è possibile leggere l'ora non più dall'ombra<br />
proiettata dallo gnomone, ma per mezzo di un sottile<br />
raggio di luce solare prodotto da un piccolo<br />
foro detto "foro eliotropico", ricavato, in genere,<br />
nel centro di una piastrina metallica. In questo<br />
3 Plutarco, "Quaest. Plat.", 1006 C<br />
4 Igino, "De limitibus".<br />
5 Compendium elementorum matheseos universae, Hale, 1717, "Elementa Gnomonices", cap. I, scholion 2.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
8
caso lo gnomone è materializzato proprio dal foro<br />
della piastra che sostituisce il vertice sia dell'ortostilo<br />
che dell'assostilo. Questo tipo di gnomone si<br />
dice sia stato scoperto dall'arabo Ibn Yunus alla<br />
fine del secolo X, ma tale metodo ebbe un certo<br />
successo solo dal XVII secolo, soprattutto in seguito<br />
al periodo delle grandi meridiane a luce realizzate<br />
nelle cattedrali (vedi oltre).<br />
Anche nell'Encliclopedia Britannica del 1751 è<br />
scritto: "Alcuni la chiamano Pithosciaterica o<br />
Phontosciaterica, per cagione, che le ore si mostrano<br />
alle volte per mezzo della luce del Sole"; lo stesso<br />
si riporta nell'Encyclopedie des Sciences, des<br />
Arts et des Metiers, di M. Diderot, del 1773, in cui<br />
si legge anche l'inusuale appellativo di<br />
"Horographia". A dire il vero questo termine l'avevo<br />
già letto nel libro di P. Biagio La Leta 6 , ove<br />
stranamente, era stato barrato da un antico lettore<br />
come fosse stato un errore. Invece ecco che l'appellativo<br />
riemerge in altri testi più antichi e nella<br />
citata enciclopedia viene spiegato che questo "indi-<br />
ca propriamente l'arte di descrivere le ore su di un<br />
piano".<br />
Comunque, durante le ricerche bibliografiche ho<br />
trovato numerosi codici di Gnomonica nel cui titolo<br />
recavano questa parola per cui dobbiamo prenderla<br />
per buona. Il termine Horologiographia,<br />
invece, dovrebbe indicare più chiaramente la<br />
descrizione o la realizzazione di orologi.<br />
Infine vorrei ricordare altri due strani appellativi<br />
che ho trovato in antichi testi. Nell'opera di<br />
Giovanni Poleno, Historia Fori Romani, e nel libro<br />
di Francesco Maurolico, Opuscula mathematica<br />
(1575, lib.1, p. 161), si legge "Gnomicen" e<br />
"Gnomica", usati evidentemente con licenza letteraria<br />
quale diminutivi di Gnomonica. Mentre il<br />
Lexicon Antiquitatum Romanarum di Samuele<br />
Pitisco ( 1713, tomo I, p. 705), riporta, oltre a<br />
"Sciateras", o "Scioteras", anche "sciomacia" o<br />
"sciamacia", (sciomachia, o sciamachia) che,<br />
curiosamente, significa combattimento di ombre.<br />
6 Gnomonica, ossia l'arte di descrivere orologi solari, Hoepli, Milano, 1897, pag. 138, e M. Diderot "Encyclopedie des sciences<br />
des arts et des metiers", tomo 7, p. 712, Livourne, 1773.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
9
La misurazione del tempo presso gli antichi fu<br />
oggetto di dottissime erudizioni nei secoli XVII e<br />
XVIII. E naturalmente se gli orologi solari, come<br />
pure quelli di diversa specie: ad acqua, a sabbia,<br />
ecc., servirono per indicare il tempo all'uomo,<br />
un'altra domanda che ha stimolato gli storici è,<br />
quale tempo? Noi siamo troppo assuefatti dal controllare<br />
l'ora coi moderni orologi al quarzo, ma gli<br />
antichi conoscevano questa utile unità di misura<br />
del tempo?<br />
Due secoli fa, la risposta ad una simile domanda<br />
poteva riempire un intero volume. Qui ci contenteremo<br />
di conoscere gli elementi essenziali<br />
della questione, senza dilungarci in inutili considerazioni<br />
storico-filosofiche.<br />
Anche per il termine "ora" si hanno delle indicazioni<br />
alquanto curiose, tanto da essere a volte<br />
considerate solo delle favole dagli stessi gnomonisti<br />
del XVI secolo. Ad ogni modo, l'origine di<br />
tale termine rimane un pò misteriosa. E' impossibile<br />
prendere in considerazione tutte le definizioni<br />
e le curiosità storiche tramandateci dagli antichi<br />
scrittori. Ma per soddisfare la nostra curiosità diremo<br />
brevemente solo alcune cose. Pare che<br />
all'inizio il termine "ora" venisse adottato tra l'altro<br />
per indicare ciascuna delle quattro stagioni dell'anno.<br />
Infatti, Orazio Flacco, nell'Ode XII, scrisse:<br />
"Variisque mundum Temperet horis", le quali parole<br />
vennero così commentate dal Lambino: "Horas, hoc<br />
loco, quatuor anni partes dissimiles intellige".<br />
Lo storico Diodoro ci fa sapere che Iperione per<br />
primo osservò le ore, mentre Agostino Calmet,<br />
nelle "Disquisitiones" 7 scrive che nel Caldeo<br />
Daniele si trova la voce Scaeh, che volgarmente si<br />
traduce con "Hora": "Ed egli restò a pensare per quasi<br />
un'ora". Anche nella Vulgata in Tobia si fa menzione<br />
delle ore. Tobia, sotto l'impero dei Caldei<br />
scriveva: "Si difese per quasi mezz'ora", e nel cap.<br />
XII: "Prostrati per tre ore" (idem nota 7).<br />
L'erudito francese Claude Saumaise, latinizzato in<br />
Claudius Salmasius, vissuto nella Borgogna nel<br />
5<br />
LE ORE DEGLI ANTICHI<br />
7 "Disquisitiones in Chronol. Aegyptior. Graecor. etc.", Venetiis 1754, pag. 64.<br />
8 C. Salmasius, "Plinianae exercitationes in Caii Julii Solini Polyhistora", 1689, pag. 446 G.<br />
1600, si adoperò per dimostrare che la voce ora<br />
non era ancora usata, per indicare la particella del<br />
giorno, da nessuno degli scrittori vissuti prima del<br />
tempo di Alessandro o di Platone: "Atqui certum<br />
est, compertunque plus quam ducentis annis ab<br />
Anaximandri morte, nec horarum nomen pro diei particulis<br />
in Graecia auditum fuisse..." e ancora "Certè<br />
novae Comoediae scriptores, quorum princeps<br />
Menander, qui post Alexandrum Magnum vixerat,<br />
nusquam horas (thx wrax) meminere pro diei particula,<br />
ut Grammatici nobis veteres testantur. Sed nec<br />
ea vox hoc sensu apud Platonem, Aristotelem,<br />
Theophrastum, aut alios aequaevos scriptores uspiam<br />
legitur" 8 . Secondo questo autore, addirittura i<br />
Greci non conoscevano l'uso dell'orologio solare<br />
ancora al tempo di Menandro (342 a.C.) e neppure<br />
la suddivisione del giorno attraverso le particelle<br />
ore: "Menandri tempore nondum Graeci noverant<br />
horologiorum solarium usum, sed nec diei in horarum<br />
particulas divisionem tum usitatam habuere, nec horae<br />
nomen ista notione usurparunt...". Egli sostiene questa<br />
sua tesi osservando che a quei tempi al posto<br />
delle ore si usava annunciare un particolare<br />
momento della giornata dalla misura in "piedi"<br />
dell'ombra proiettata dal proprio corpo, come<br />
trova riferimento in Menandro, citato da Ateneo<br />
nella sua commedia "Orge" e in Hesichio: "Presso<br />
gli antichi si usava il termine "semeion", che significa<br />
"momento", per indicare una piccola parte del giorno,<br />
come si trova pure in Menandro. Infatti, al suo tempo i<br />
Greci non dicevano ancora "ora", dalla dodicesima<br />
parte del giorno. Essi erano soliti calcolare dalla misura<br />
dell'ombra questi "semeion" o momenti, o parti del<br />
giorno. Così ebbe inizio il computo delle ombre dette di<br />
"sei piedi", di sette, di otto, di nove, di dieci, di undici e<br />
di dodici piedi" 9 .<br />
Questi, in parte, sono gli argomenti sostenuti da<br />
Salmasio sull'adozione delle ore. A questo proposito,<br />
però, è necessario ricordare ancora una volta<br />
che dall'attendibile fonte storica di Erodoto<br />
(Euterpe, lib. II, cap. 109) sappiamo che i Greci<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
10
appresero dai Babilonesi l'uso del Polos, dello<br />
Gnomone e la suddivisione del giorno in 12 parti<br />
uguali, cioè 12 ore. Inoltre, Lo scrittore Harduino,<br />
nella nota a Plinio 10 , citando un passo di<br />
Xenofonte, riporta 11 : "Il Sole splendeva e indicano le<br />
ore del giorno e il resto", ove riferendosi naturalmente<br />
agli orologi solari, ci regala la più antica<br />
citazione della parola "ora" della letteratura greca.<br />
Senofonte, infatti, visse ad atene attorno al 410 a.C.<br />
Tuttavia, spostandoci in Egitto, possiamo risalire<br />
ancora più indietro nel tempo alla ricerca dell'adozione<br />
dell'ora come dodicesima parte del<br />
giorno, poichè esiste nel Museo Egizio di Torino<br />
un sarcofago della mummia di Peftau-Auiset,<br />
risalente al 640 a.C. circa, il cui interno è decorato<br />
con le formule di invocazione corrispondenti alle<br />
ore del giorno e della notte, piuttosto rare, rispettivamente<br />
a destra e a sinistra della figura della dea<br />
NUT, raffigurata distesa con le braccia protese a<br />
coprire la Terra. Inoltre, sempre all'interno del cop-<br />
erchio del sarcofago, sul fondo bianco, c'è la figura<br />
policroma di NUT e ai lati dodici figure femminili<br />
con i testi di invocazione di protezione del defunto<br />
nelle ore del giorno e della notte. Sopra il capo<br />
della dea è il disco solare rosso. Le stelle e i dischi<br />
solari che si trovano sopra il capo delle dee ai lati<br />
indicano le ore notturne e diurne 12 . Può essere<br />
questa forse la più antica testimonianza della suddivisione<br />
del giorno in ore.<br />
Un'altra interessante citazione proviene dalle<br />
"Massime di Any", personaggio vissuto in Egitto<br />
circa nel 1230 a.C., e precisamente dal papiro<br />
Boulacq in cui è scritto: "Trascorsa l'ora propizia ci si<br />
sforza di incontrarne un'altra". Ma in questo caso è<br />
difficile dare alla parola "ora" il significato di<br />
spazio temporario equivalente alla dodicesima<br />
parte del giorno o della notte. E' più probabile che<br />
qui il termine ora acquisti il significato di "momento"<br />
propizio.<br />
9 C. Salmasio, op. cit. pag. 446 D: "Apud veteres semeion vocari dicit hujusmodi parvam diei particulam, sicut et apud Menandrum.<br />
Nondum quippe Menandri aevo wraz (horas) dicebant Graeci de parte diei duodecima. Ea "semeia", sive diei partes, quae Menandri<br />
aetate vulgo usurpabantur, ex umbrae mensura colligi solebant. Earum ratio sic inibatur, ut exapouV scia diceretur... et sic deinceps<br />
partes diei numerabant ab umbrae mensura pedibus comprehensa".<br />
10 H.N., LIB. I, p. 278<br />
11 Lib. IV, Memorab., pag. 800<br />
12 Civica Raccolta Egizia, edita a Milano nel 1976<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
11
La letteratura antica ci tramanda una tradizionale<br />
storia di fiabesco folclore proprio sull'origine della<br />
suddivisione del giorno e della notte in 12 parti<br />
uguali, tanto è vero che questa storia viene chiamata<br />
in genere favola del cinocefalo. Ed ecco quanto<br />
scrive Valentino Pini nella sua Fabrica de<br />
gl'horologi solari del 1586:<br />
"Et hora vien detta dal nome greco wroz (oros), che<br />
significa "termine", overo "fine", che come tutto quello<br />
spazio di tempo che è contenuto da un giorno naturale,<br />
essendo spartito dalle ventiquattro hore, sia, come da<br />
tanti segni, terminato, e finito. Ma perchè fossero poi<br />
spartiti così li giorni, come le notti, più tosto col numero<br />
duodenario che con altro, fu forse, come narra il Clavio,<br />
perchè havendo sempre havuto gl'Antichi gran cura del<br />
tempo, nel quale ciascuna parte dello Zodiaco ascende<br />
sopra l'horizonte, pare che non senza gran ragione delle<br />
dette parti istituissero l'hore; ma perchè il Zodiaco è<br />
precisamente in dodici parti diviso, si come dodici li<br />
segni, che impressi sono in esso, de' quali sei ogni qual<br />
giorno ascendono sopra l'Emisperio nostro, e sei ogni<br />
qual notte, s'havessero a ciascun state l'hore molto più<br />
longhe del convenevole; onde perciò le parve più<br />
cagionevole cosa consignarla ad ogni mezzo segno<br />
ascendente sopra all'Horizonte, che ad uno intiero. Dal<br />
che nacque poi che, e dagli Hebrei, e dai Romani, e quasi<br />
dal resto de gl'Antichi fu usato il giorno in dodeci hore.<br />
Non sono mancati molti i quali hanno creduto che<br />
questi spazi siano chiamati hore dal verbo greco wroz<br />
(oros) che significa urina; percioche riferiscono che<br />
Hermete Trismegisto fu il primo, che osservò li ventiquattro<br />
spazi uguali del giorno naturale, da l'urina di<br />
un certo animale, (cosa la quale se ben può la natura ne<br />
gl'animali fare effetti maggiori di questo, appare nondimeno<br />
più tosto favolosa, che vera) il quale, appresso<br />
gl'Egittij, era consacrato al Sole. Questo con giusti<br />
intervalli dicono, che dodici volte rendeva l'orina il<br />
giorno, per longo ch'ei fosse, e altrettante la notte, per<br />
6<br />
LA FAVOLA DEL CINOCEFALO<br />
breve che rimanesse" 13 .<br />
Di diverso parere è Padre Augusto Calmet che,<br />
citando Cicerone, sostiene che Trismegisto abbia<br />
avuto l'idea dei 12 spazi uguali dallo strillare del<br />
Cinocefalo (che è una scimmia appartenente alla<br />
specie delle Amadridi), e non dal suo orinare dodici<br />
volte al giorno 14 .<br />
Mario Vittorino (sec. XVIII), invece dice: "Essendo<br />
Hermes Trimegisto un tempo in Egitto, qualche<br />
animale sacro era consacrato a Serapide, poichè<br />
tutto il giorno aveva orinato dodici volte, sempre<br />
con uguale interposizione di tempo, ed egli interpretò<br />
che il giorno fosse diviso in 12 ore, e da allora<br />
si è mantenuto questo numero delle ore" 15 . Ma<br />
c'è anche chi mette in ridicolo la favola del<br />
Cinocefalo, come fa l'autorevole Dionisio Petavio<br />
in una delle sue monumentali opere sulla misurazione<br />
del tempo:<br />
"Opporrei al Cinocefalo che orina due volte al<br />
giorno durante l'anno, un altra bestia che orinava<br />
12 volte di giorno e altrettante di notte, indicando<br />
così le ore in Egitto" 16 e per sostenere la sua tesi<br />
richiama una frase di Damascio, nella vita di<br />
Isidoro, contenuta nel Codice CCXLII dei Photium,<br />
risalente alla metà del IX secolo circa: "Duodecim<br />
horas felis distinguit, noctes ac dies singulis horis<br />
urinam reddens; ac semper horologii instar horas<br />
designans".<br />
Per alcuni autori la parola "ora" è originariamente<br />
ebraica (Aor) e significa luce, vale a dire la causa<br />
produttrice del giorno e delle ore e pure dell'ombra<br />
gnomonica 17 . Invece Plutarco fa discendere la<br />
parola "ora" da "Horus", figlio di Osiride. Ma<br />
l'ipotesi scientifica più accreditata è quella di M.<br />
Bailly, espressa nella "Histoire de l'Astronomie ancienne",<br />
del 1775, e cioè che la divisione del cerchio<br />
in 60 parti abbia dato origine a quella del giorno in<br />
12 parti e lo stesso per la notte.<br />
13 Pini Valentino, "Fabrica de gl'horologi solari", M. Guarisco, Venetia, 1598, pag. 4 v.<br />
14 A. Calmet, "Commentario letterale, historico e morale sopra la regola di S. Benedetto", Arezzo, 1751, om. !, pag. 124. Rif.<br />
Tullius apud Victorin. a Macrobio, Lib. I, cap. 21, nella "Retorica di Cicerone", pag. 151.<br />
15 "Retorica di Cicerone", pag. 151<br />
16 Petavii Dionysii, "Opus de doctrina temporum", 1703, cap. VIII, pag. 145.<br />
17 Orazio Iutis, "Elementi di cronologia", Napoli, 1802, cap. 3, pag. 24.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
12
Gli scrittori antichi che hanno preso alla lettera le<br />
informazioni storiche tramandateci da Plinio il<br />
Vecchio nelle sue "Storie", sono rimasti ingannati e,<br />
a ben dire, c'è da restare veramente meravigliati<br />
del fatto che nelle opere degli autori cristiani non<br />
si trovi menzione alcuna di orologi solari anteriori<br />
a quello citato da Plinio che attribuisce ad<br />
Anassimene Milesio:<br />
"Umbrarum hanc rationem, et quam vocant gnomonicen,<br />
invenit Anaximenes Milesius, Anaximandri, de<br />
quo diximus, discipulus: primusque horologium, quod<br />
appellant Sciothericon, Lacedemone ostendit".<br />
Stiamo parlando del VI secolo a. C., e prima di<br />
addentrarci nell'intricata questione nell'attribuzione<br />
dell'invenzione dell'orologio solare in<br />
Grecia, voliamo indietro nel tempo fino a quando<br />
regnava il Re Hyskiam in Giudea. Infatti, la prima<br />
testimonianza storica scritta di un orologio solare<br />
si trova proprio nelle Sacre Scritture. E a questo<br />
proposito è interessante anche quanto scrisse P.<br />
Biagio La Leta 18 che, come pochi altri autori fecero,<br />
soprattutto nel passato, contrariava le notizie di<br />
Plinio:<br />
"Egli (Anassimene Milesio) è vissuto circa nella<br />
cinquantesima Olimpiade 19 , cioè un pò più di cinque<br />
secoli e mezzo prima di Cristo. Mentre il Re di Giudea<br />
Achaz, citato nelle Sacre Scritture e che fece costruire il<br />
più antico orologio solare tramandatoci dalla storia,<br />
famoso soprattutto per la retrogradazione dell'ombra,<br />
regnò dal principio della nona Olimpiade sino alla metà<br />
della duodecima. Quindi, il monarca ebreo precedette di<br />
circa due secoli il filosofo greco nella costruzione del<br />
primo orologio solare".<br />
Ma nel frattempo sono stati effettuati importanti<br />
scavi archeologici nell'area del mediterraneo orientale,<br />
così oggi, possiamo vantarci di aver conosciuto<br />
orologi solari ben più antichi di quelli finora<br />
7<br />
L’OROLOGIO SOLARE PIÙ ANTICO<br />
citati. Uno di questi, tra i più famosi, risale al 1500<br />
a.C. circa, all'epoca in cui regnò il potente Faraone<br />
Tutmosis III. Questo strumento è stato chiamato<br />
"Merkhet" ed ha la strana forma di una T con delle<br />
tacche incise. Viene conservato attualmente nel<br />
Museo di Berlino e gli esperti sostengono che esso<br />
sia appartenuto a Hor "Sacerdote osservatore delle<br />
stelle". E' composto di due aste di pietra a forma di<br />
T, e orientato in piano orizzontale permette, secondo<br />
alcuni autori, di leggere l'ora attraverso l'ombra<br />
che l'asta più piccola proietta su quella lunga sulla<br />
quale sono incise delle tacche che non corrispondono<br />
certamente ad una suddivisione duodenaria,<br />
ma sembrano piuttosto indicare solo alcuni<br />
momenti più importanti della giornata. Quindi<br />
non può trattarsi di ore come noi le intendiamo,<br />
ma solo di parti di giorno variabili durante l'anno,<br />
simili alle ore ineguali. Per gli egittologi si tratta di<br />
una parte di una più completa apparecchiatura che<br />
nel suo insieme viene denominata merkhet, per<br />
mezzo del quale era possibile risolvere alcuni<br />
problemi elementari di astronomia, ma soprattutto<br />
orientare gli edifici e i templi da costruire.<br />
In proposito è interessante quanto scrive F.<br />
Cimmino: "...L. Borchardt concluse che si trattava di<br />
due parti di un unico strumento e, con A. Erman, identificò<br />
una delle due parti con quello che Clemente<br />
Alessandrino 20 chiamava "phainix astrologhias", e l'altra<br />
parte con quello che lo stesso Clemente denominava<br />
"orològhion"; in seguito Borchardt ammise che il<br />
Merkhet era essenzialmente un apparecchio astronomico<br />
di orientamento che, forse, poteva servire anche come<br />
"orologio solare" 21 .<br />
Anche gli Ebrei per la lettura delle ore (o<br />
comunque di spazi temporali) si servivano delle<br />
clessidre o delle meridiane come quella trovata a<br />
Ghezer, risalente al XIII sec. a. C. 21 bis , sulla quale<br />
18 Op. cit. vedi nota 6, pag. 1-2<br />
19 Le Olimpiadi erano periodi di 4 anni, cominciati nel 776 a. C. e destinati dai Greci a determinare la celebrazione dei giochi<br />
olimpici.<br />
20 Stromata, VI, 4, 35.<br />
21 F. Cimmino, "Storia delle Piramidi", Rusconi ed. 1990, pag. 379<br />
21 bis Andrè Chouraqui, "La vita quotidiana degli uomini della Bibbia", Mondadori, 1988<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
13
però non ho potuto raccogliere altre notizie.<br />
Ma l'uso del gnomone è sicuramente molto più<br />
antico e si pensa che in Cina risale alle osservazioni<br />
astronomiche fatte all'epoca<br />
dell'Imperatore Yao, nel XXIII secolo a.C. Anche in<br />
Mesopotamia, attorno alla metà del I millennio<br />
a.C., erano già noti i metodi di misurazione del<br />
tempo a mezzo delle ombre solari. Infatti, sembra<br />
che alcuni di questi metodi si trovino incisi in una<br />
parte di una serie di tre tavolette cuneiformi<br />
denominate MUL. APIN che furono conservate<br />
nella biblioteca di Assurbanipal 22 . L'indizio di<br />
orologio solare più antico si trova in ciò che viene<br />
chiamata dagli archeologi "Sundial stone", ed è<br />
una pietra sulla cui superficie si trovano incise<br />
delle linee, proprio come le linee orarie di una<br />
meridiana; inoltre, sono presenti dei fori che, con<br />
tutta probabilità, ospitavano uno o due gnomoni.<br />
Questa pietra è stata trovata nel complesso archeologico<br />
di Newgrange e la si fa risalire al 4000 a.C.!<br />
22 A.L. Oppenheim, "L'antica Mesopotamia ritratto di una civiltà", Newton Compton, 1980, p. 269 e 340. L'autore segnala in<br />
proposito uno studio specifico di S. Langdon, "Babilonian menologies and the semitic calendars", London, 1935, p.55.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
14
8<br />
L’OROLOGIO DEL RE ACHAZ E<br />
IL MIRACOLO DI ISAIA<br />
Dopo questa breve panoramica sugli orologi solari<br />
più antichi, rivolgiamo ora la nostra attenzione a<br />
quello che è, tra questi, il più famoso: l'orologio di<br />
Achaz. Questo orologio è passato alla storia perchè<br />
citato nelle Sacre Scritture, ma la sua notorietà è<br />
legata soprattutto al fenomeno della "retrogradazione<br />
dell'ombra" dovuto (come riportano<br />
le fonti) al miracolo del profeta Isaia 23 , ed ecco<br />
come ci è stato tramandato nei secoli:<br />
"In quel tempo Ezechia fu colpito da una malattia mortale.<br />
Or, il profeta Isaia, figlio di Amos, andò a fargli<br />
visita e gli disse: Così parla il Signore - Metti in ordine<br />
quanto riguarda la tua casa, perchè tu morrai e non<br />
vivrai -. Ezechia allora voltò la faccia verso la parete e<br />
supplicò il Signore, dicendo: Dhe, Signore, ricordati che<br />
io ho camminato dinanzi a te nella verità, con cuore perfetto,<br />
compiendo ciò che è gradito ai tuoi occhi. Poi<br />
Ezechia scoppiò in pianto dirotto. Isaia non era ancora<br />
uscito dal cortile di mezzo, quando gli fu rivolta la parola<br />
dal Signore, che gli disse: - Torna indietro e annunzia<br />
ad Ezechia, capo del mio popolo: così parla il<br />
Signore, Dio di Davide: ho udito la tua preghiera, ho<br />
veduto le tue lacrime, ed ecco, Io ti guarisco. Fra tre<br />
giorni salirai al tempio del Signore. Anzi aggiungerò<br />
quindici anni alla tua vita, poi libererò te e<br />
Gerusalemme dal Re di Assiria, e proteggerò questa<br />
città per amor mio e per amore di Davide, mio servo.<br />
Isaia ordinò: portate un impacco di fichi. Lo portarono,<br />
e quando l'ebbero applicato sopra l'ulcera, il re guarì.<br />
Ezechia aveva chiesto ad Isaia: quale sarà il segno che il<br />
Signore mi guarirà e che io fra tre giorni potrò salire al<br />
tempio del Signore? Isaia rispose: Ecco da parte di Dio<br />
il segno che il Signore compirà la sua parola: Vuoi tu<br />
che l'ombra salga di dieci gradi, o che torni indietro di<br />
altrettanti? Ezechia rispose: Per l'ombra è cosa facile<br />
avanzare di dieci gradi: fa invece che torni indietro di<br />
altrettanti. Il profeta Isaia invocò il Signore ed egli fece<br />
tornare indietro di dieci gradi l'ombra sulla meridiana<br />
di Achaz" 24 .<br />
Questo è il passo che racconta la Bibbia. Su queste<br />
parole si sono arrovellate le più fulgide menti del<br />
passato, nel tentativo di spiegare il miracolo di<br />
Isaia, di spiegarlo con teorie scientifiche e nello<br />
stesso tempo di conciliarlo con le dottrine della<br />
Chiesa e, infine, di speculare soprattutto sulla<br />
natura dell'orologio di Achaz: le sue dimensioni, la<br />
sua forma, di cosa era fatto, che tipo di ore segnava,<br />
e via dicendo. Il mistero, però, rimane e nulla<br />
di gran che preciso ne risulta dai fiumi di parole<br />
spese per questo fenomeno. Il miracolo è stato in<br />
parte spiegato scientificamente con teorie matematiche<br />
allora inimmaginabili, sicchè si pensa che<br />
Isaia sia riuscito a scoprire casualmente questo<br />
fenomeno e a riprodurlo, senza però poterlo spiegare.<br />
Sulla natura dell'orologio, invece, esistono<br />
solo delle ipotesi, peraltro fondate solo sull'interpretazione<br />
soggettiva dei termini originali delle<br />
traduzioni antiche delle Sacre Scritture. L'ipotesi<br />
più accreditata, comunque, e che sento di<br />
sostenere anch'io, è che l'orologio del Re Achaz sia<br />
stato una sorta di altare più che un quadrante<br />
murale o altro.<br />
Molto probabilmente era un orologio orizzontale<br />
inglobato in un altare, anche perchè nelle Scritture<br />
si legge che Achaz andò a Damasco per rendere<br />
omaggio a Teglat-Falasar, Re degli Assiri che aveva<br />
combattuto contro Rasin, e "avendo veduto l'altare<br />
che era in Damasco, il Re Achaz, ne mandò un<br />
modello al Sommo Sacerdote Uria, con le misure e<br />
i dettagli precisi della sua struttura. Uria fece<br />
costruire l'altare secondo tutte le istruzioni che<br />
Achaz aveva fatto pervenire da Damasco e lo terminò<br />
prima ancora che il Re tornasse da quella<br />
città". E cronologicamente questo passo viene<br />
prima del miracolo di Isaia. Altri autori antichi<br />
parlano di "lapidem horarium" e c'è chi sostiene<br />
l'ipotesi di un Hemysphaerium, cioè di un orologio<br />
solare in una cavità emisferica. Anticamente S.<br />
23 Libro II dei Re, cap. 20<br />
24 "Facile est umbram crescere decem lineis; nec hoc volo ut fiat, sed ut revertatur retrorsum decem gradibus".<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
15
Cirillo Alessandrino e S. Hyeronimo, dicevano che<br />
era una scala, costruita in modo che si potesse leggere<br />
l'ora sui gradini, con l'ombra del sole 25 . Altri<br />
affermano che si trattava di una colonna altissinma<br />
che proiettava la sua ombra sul pavimento e le cui<br />
ore la Scrittura chiama "gradi" 26 .<br />
L'erudito Grossio, nel XVIII secolo, pensava che<br />
l'orologio di Achaz fosse un emiciclo (hemicyclium),<br />
ovvero una sfera concava, con un globo nel<br />
mezzo come gnomone, la cui ombra segnava le ore<br />
sulle 28 linee descritte nella cavità, ma questa<br />
ipotesi non ha mai trovato nessun sostenitore 27 .<br />
Heilbronner nella sua cronologia 28 , ricorda il passo del<br />
Libro delle Cronache: "Circa haec tempora MERO-<br />
DACHUS legatos ad HISKIAM Regem Judaeorum, ut<br />
et liberationem ex morbo gratularentur, et in veritatem<br />
miraculi istius inquirerent, quod Astronomis<br />
Babyloniorum tantam crucem fixerant, cum fuis principiis<br />
hoc computare nescientibus, qua ratione umbra in<br />
Sciaterico retrorsum versus Orientem tendere potuerit,<br />
sine Nachinae coelestis desctructione (2. Chron.<br />
XXXII. 31.)".<br />
Anche Merodaco era desideroso di conoscere la<br />
verità sul miracolo di Isaia, ma egli era ancora più<br />
meravigliato dal fatto che i suoi Astronomi<br />
babilonesi non erano riusciti a spiegare questo<br />
fenomeno senza cambiare le incrollabili leggi dei<br />
moti celesti (sine Machinae coelestis destructione)<br />
25 A. Calmet, "Dissertatio de retrogradatione solis in horologio Achaz", 1754, pag. 631: "Dissident Interpretes in explicanda structura<br />
horologii Achaz. S. Hieronymus (*) haec habet: Sive ita extruendi erant gradus arte mechanica, ut per singulos umbra descendens horarum<br />
spatia terminaret - Paria sensit etiam S. Cyrillus Alexandrinus (**): Dicunt autem, Achazum Ezechiae patrem in domo sua velut machina<br />
et arte quadam gradus quosdam confici curavisse, qui velut horas numerarent, et cursum solis decursu umbrae in illis factae metirentur".<br />
E ancora: "Cujus esset formae horologium illud, Scriptores non fatis conveniunt. S. Cyrillus Alexandrinus e S. Hieronymus (Isa. 38) scalam<br />
fuisse autumant, ea arte fabrefactam, ut umbra à sole proiecta horas notaret; quae etiam sententia vulgò Interpretibus arrisit". (***)<br />
(*) Isa. XXXVIII.<br />
(**) Cyrill. Alex. in Isa. lib. 3, t.4, pag. 496<br />
(***) A. Calmet, Dictionarium Historicum criticum...", pag. 427.<br />
26 A. Calmet, "Dictionarium historicum criticum", Venetiis, 1734, pag. 427 e A. Calmet. "Dissertatio retrogradatione in horologio<br />
Achaz", 1754, pag. 631: "Aliis vero creditur, verum fuisse horologium solare, instar primigeniorum illorum, quae olim obtinuerunt in<br />
Graecia, et in Italia, ita a Veteribus descripta, quasi columna essent in medio areae erecta, quam scilicet aream variis lineis distinguebant.<br />
Percurrens igitur umbra columnae varias illas lineas, horas diei notabat".<br />
E ancora: "Alii columnam fuisse in pavimento constanti erectam, quae, umbram demittens, horas, in eodem pavimento descriptas, quas<br />
gradus Scriptura appellat, denotabat", dal citato Dizionario di A. Calmet., pag. 428. Inoltre, nella stessa pagina è specificato il termine<br />
originale tradotto in "gradi": "Hebraeum "Maaloth (*), quod in Vulgata redditum est "horologium", "linea", "gradus"; exprimit ad<br />
literam ascensum gradum, quare nihil certi deduceretur pro figura horologii Achaz".<br />
(*) 3. Reg. 20. II. Isaiae 38.8 Septuaginta "Anabathmos, gradus"; Vulgata "Linea gradus".<br />
27 A. Calmet, "Dissertatio retrogradatione horologio Achaz", pag. 631: "Totam hujus horologii rationem ex R. Elia Chomer ita Grotius<br />
describit. Concavus erat, atque hemisphaericus globus, alterum in medio complectens globum, cujus umbra in varias lineas in cavitate notatas<br />
incidebat, quae sane lineae, inquit, XXVIII. erant numero".<br />
28 C. Heilbronner, "Historia matheseos universae", Lipsiae, 1742, Lib. I, cap. V, pag. 98, par. 22.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
16
Il fenomeno della retrogradazione dell'ombra,<br />
stando agli studi scientifici, non ha nulla di<br />
soprannaturale; esso è un'immediata conseguenza<br />
del moto dell'ombra di un'asta, o gnomone, sottoposta<br />
a speciali condizioni, come ci informa il<br />
Pasini 29 . Questo fenomeno venne studiato per la<br />
prima volta da Petrus Nonius Lusitanius, nel secolo<br />
XVI, che ne diede la prima rudimentale<br />
dimostrazione 30 . In seguito se ne occuparono nomi<br />
celebri come il Gesuita Cristoforo Clavio, in<br />
"Fabrica et usus instrumenti ad Horologiorum", del<br />
1586: "Retrocessione umbrae, quae exposuimus, non<br />
adversari retrocessioni umbrae in horologio Achaz virtute<br />
divina factae" 31 . Nel 1752 il sapiente Agostino<br />
Calmet scrisse l'interessantissima dissertazione<br />
sulla retrogradazione, in cui mette al vaglio praticamente<br />
tutte le citazioni e i riferimenti storici che<br />
ci sono stati tramandati dall'antichità, sull'orologio<br />
di Achaz. Si tratta senz'altro, quindi, del saggio più<br />
completo. Nel 1881, lo stesso miracolo venne<br />
9<br />
IL MIRACOLO RISOLTO ?<br />
ripetuto a Losanna dal Colonnello del Genio<br />
Etienne Guillemin, e nel 1885 fu dimostrato pure<br />
dall'astronomo Camille Flamarion. L'ultima<br />
dimostrazione matematica sembra essere quella di<br />
Enrico Garnier, esposta nel suo libro "Gnomonica.<br />
Teoria e pratica dell'orologio solare", nell'edizione del<br />
1938. Il Garnier ci dice che in particolari condizioni,<br />
come quando la latitudine del luogo è<br />
minore della declinazione del Sole, si ha il fenomeno<br />
della retrogradazione dell'ombra. Essa è tanto<br />
maggiore quanto più grande è la declinazione del<br />
sole e viceversa e che è nulla quando la declinazione<br />
è uguale a zero. Ogni quadrante orizzontale<br />
a stilo verticale posto nelle regioni equatoriali<br />
da luogo alla retrogradazione dell'ombra.<br />
(Per uno studio tecnico più approfondito si veda<br />
l'articolo di Edmondo Marianeschi e <strong>Nicola</strong><br />
<strong>Severino</strong> "Ancora sull'Orologio di Achaz", in Atti<br />
del VI Seminario Nazionale di Gnomonica, S.<br />
Benedetto del Tronto, 1994).<br />
29 C. Pasini, "Orologi solari", Draghi, Padova, 1900, pag. 142<br />
30 Petro Nonio, Lib. 2 de Navigatione, cap. II. Egli scrive:<br />
"Non est igitur absurdum, si in ijs locis (nempe inter Aequatorem, et tropicum cancri, vel capricorni) progrediantur umbrae, et retrocedant.<br />
In hac tamen plaga nostra Boreali, qua citra tropicum cancri, posita est, id citra miraculum fieri non posset, quemadmodum iussu<br />
Dei legitur accidisse in signum salutis regis Ezechiae".<br />
31 Il Clavio espone la dimostrazione di Petro Nonio e quindi la sua, trattando in modo molto approfondito l'argomento, alle<br />
pagine 105-110.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
17
10<br />
LE ORE INEGUALI, TEMPORALI,<br />
O PLANETARIE<br />
La divisione in 12 parti uguali del giorno e della<br />
notte poneva delle difficoltà in quanto queste ore<br />
non erano come le nostre, ma avevano una durata<br />
che variava nel corso dell'anno, perchè variavano<br />
gli istanti del sorgere e del tramontare del sole. Per<br />
questo motivo furono chiamate "ore temporarie", o<br />
"ore temporali", denominate dai Greci cairicax<br />
32 e facevano parte del sistema di numerazione<br />
detto ad "ore ineguali". Esse corrispondevano,<br />
grosso modo, a un'ora e un quarto delle nostre in<br />
estate, e a tre quarti d'ora delle stesse in inverno.<br />
Nel parlare di ore temporali, planetarie, ineguali,<br />
ecc. c'è pericolo che si generi confusione sulle varie<br />
definizioni. Per evitare ciò sarà bene, prima di<br />
tutto, evidenziare il significato delle ore planetarie.<br />
Queste sono nient'altro che le antiche ore temporali,<br />
alle quali si associa, secondo le teorie astrologiche<br />
del tempo, l'influenza dei singoli pianeti<br />
con le singole ore del giorno. Hieronimo Vitali nel<br />
"Lexicon mathematicum astronomicum geometricum",<br />
del 1668 (pag. 223, par. 34), scrisse: "Aliae dictae<br />
inaequales, temporarie, naturales ae Planetariae...<br />
Dicuntur etiam planetariae, quoniam singulis horis<br />
inaequalibus singulos planetas dominari contendant<br />
Astrologi, facto initio planeta diem denominante",<br />
quindi sono dette Planetarie poichè gli astrologi<br />
affermano che i singoli pianeti dominano le singole<br />
ore ineguali.<br />
Le ore temporali e le ore Planetarie, come suddivisione<br />
oraria, sono la stessa cosa, con la differenza<br />
che le temporarie rappresentano le ore vere e proprie,<br />
e le planetarie rappresentano l'influsso (solo<br />
dal punto di vista strologico) che su quelle ore<br />
hanno i singoli pianeti, secondo un preciso ordine<br />
che ora vedremo. Le ore planetarie non si "leggono",<br />
come le ore temporali, direttamente sul<br />
quadrante dell'orologio, perchè come ore non<br />
hanno alcun senso, ma se ne conosce il significato<br />
solo attraverso una apposita tabella abbinata alla<br />
meridiana, nella quale viene riportato il dominio<br />
dei pianeti. Giovanni Battista Vimercato, milanese<br />
monaco di Certosa, nel suo libro "Dialogo de<br />
gl'horologi solari" del 1586 riporta un buon esempio<br />
di come debba intendersi la lettura delle ore temporali<br />
su un orologio solare:<br />
"...con l'ombra dello stilo conosciuta l'hora Planetaria<br />
(ovvero l'ora temporale), come per essempio settima nel<br />
giorno del Sabbato, entrate nella tavola seguente - (la<br />
tavola in cui è riportato il dominio dei pianeti) -, dove<br />
da man sinistra son segnate l'hore del giorno d'una in<br />
una, e trovato il numero settimo, procederete all'incontro<br />
d'esse verso la man destra sin sotto al Sabbato, e troverete<br />
la Luna esser il pianeta signor di quell'ora di quel<br />
giorno..." 33 .<br />
Le meridiane a ore planetarie, quindi, sono sempre<br />
accoppiate con la "Tavola dei Reggenti", cioè la<br />
tavola con i pianeti, dove viene letta la vera ora<br />
planetaria. In qualche caso si è avuta anche la simpatica<br />
idea di descrivere i simboli dei pianeti,<br />
anzichè su una tavola a parte, fra gli spazi delle<br />
rette orarie sulla meridiana stessa, come nel caso di<br />
uno dei più belli esemplari di meridiane ad ore<br />
planetarie murale pervenutoci: quello di S.<br />
Benigno Canavese e che risale al 1699.<br />
Sulle ore ineguali o planetarie, abbiamo l'interessante<br />
e chiara esposizione di Egnatio Danti,<br />
"Cosmografo del Serenissimo Gran Duca di<br />
Toscana", nel suo "Trattato dell'uso della sfera"<br />
incluso nella traduzione della sfera di Proclo,<br />
stampata a Firenze nel 1573:<br />
"L'Hore ineguali o vero Planetarie sono la duodecima<br />
parte del giorno artificiale, o della notte, perchè gl'an-<br />
32 Giovanni Poleno, "Historia fori romani", Venetiis, 1737, Vol. I, Cap. IX, pag. 393 C: "...de horis videlicet duo esse genera horarum,<br />
unum Temporalium, quas Graeci caisicas (cairicax) vocant, quae ex Solis progressu, vel regressu supra nostrum hemisphaerium incrementum,<br />
vel decrementum capiunt, nam Brumae tempore diurnae brevissimae, nocturnae longissimae sunt...".<br />
33 E' da rilevare che questo di G. Battista Vimercato, è il primo trattato sugli orologi solari scritto in volgare e non quello di Oddi<br />
Muzio da Urbino, come in genere viene riportato, che risale al 1614.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
18
tichi Romani, e gli Hebrei dividevano il giorno per<br />
lungo, o breve, che egli fosse sempre in 12 parti, tal che<br />
di state l'hore erano grandi, e d'inverno piccole, e perciò<br />
sono chiamate hore ineguali, perche scemano, ò crescano<br />
secondo, che anco i giorni scemano, e crescano. Ma<br />
Planetarie sono chiamate, perche in ciascuna di dette<br />
hore predomina, e signoreggia un Pianeta, e di qui<br />
hanno preso il nome i giorni della Settimana; perche la<br />
prima hora del Sabbato primo giorno (appresso di loro)<br />
della Settimana dominerà Saturno, e nella seconda<br />
Giove, e così girando fino a 24 la 24 hora tocca a Marte,<br />
e la prima del di seguente al Sole, onde la Domenica (a<br />
modo nostro) viene denominata da Sole, e il seguente<br />
dalla Luna, perche nella prima hora tocca il dominio a<br />
lei, e così parimenti interviene a gl'altri giorni della<br />
Settimana, che sono dominati da quel Pianeta, che signoreggia<br />
nella prima hora di quel giorno. Volendo<br />
adunque sapere in qual si voglia momento di hora quale<br />
hora planetaria corre: trova primieramente per la precedente<br />
la grandezza del giorno, ò della notte artificiale, e<br />
poi multiplica dette hore per 15 che harai il numero dè<br />
gradi, che dello Equinotiale sono ascesi nel di, o nella<br />
notte proposta, i quali gradi dividi per 12 e harai la<br />
grandezza delle hore ineguali, o planetarie.<br />
Verbigrazia nell'esempio superiore il giorno 4 di<br />
Ottobre fu trovato di hore 9 e minuti 35 multiplica le<br />
hore 9 per 15 e ne verranno 135 gradi, e parti per 4 li 35<br />
minuti di hora che ne verranno 8 gradi e 45 minuti di<br />
grado, aggiugnili alli superiori gradi, che sommeranno<br />
gradi 143 e minuti 45 che tanti gradi il di quarto d'ottobre<br />
ascendono sopra l'Orizzonte, dividi ora questi<br />
gradi, e minuti per 12 che ne verranno gradi 11 e minuti<br />
58 e secondi 45 e tanto sarà la grandezza d'un'hora<br />
planetaria ò ineguale del detto giorno. Nel medesimo<br />
modo opererai per l'hore della notte, perche nel di quarto<br />
sopradetto la notte è di hore 14 e minuti 25 partiti per<br />
4 ne vengono 6 gradi e 15 minuti di grado, che giunti<br />
insieme fanno gradi 216 e min. 15 dè quali divisi per 12<br />
ne tocca a ciascun'hora ineguale gradi 18 e min. 1 e sec.<br />
15 e tanta e la grandezza delle hore ineguali della<br />
sopradetta notte. Volendo ora sapere in qual si voglia<br />
momento quante hore son già passate dopo il levar del<br />
Sole, guarda quanto è lunga un'hora ineguale nel di<br />
proposto e poi moltiplica l'hore eguali per 15 e quel che<br />
ne viene dividi per la grandezza dell'hora ineguale, e<br />
harai il numero d'hore ineguali.<br />
Verbigrazia se harai trovato, che la grandezza del<br />
giorno sia hore 10 multiplica dette hore per 15 e ne verranno<br />
gr. 150 partili per 12 ne toccherà a ciascuna hora<br />
planetaria gr. 12 e min. 30 e havendo trovato che corre<br />
l'hora 6 dopo il levare del Sole, multiplica le 6 hore per<br />
15 e ne verrà gr. 90 li quali partili per 12 e mezzo che è<br />
la grandezza dell'hora ineguale di quel di, e vedrai, che<br />
sono già passate 7 hore ineguali, e gr. 2 e mezzo dell'hora<br />
8 nella quale volendo sapere qual pianeta signoreggia,<br />
considera da qual pianeta sia denominato qul<br />
giorno, e poi da quello comincia a contare fin che giugni<br />
all'hora corrente, e harai l'intento".<br />
Ancora da G. Battista Vimercato apprendiamo che,<br />
secondo le fonti, sarebbero stati i Babilonesi, come<br />
primi osservatori dell'"Astrologia Giudiciaria" a<br />
scoprire che "...A causa delle altre forze che hanno le<br />
Stelle del Cielo per i loro movimenti, aspetti e influssi<br />
loro nelle cose inferiori, si ha la naturale divisione del<br />
giorno e della notte in 12 parti in cui i Pianeti si distribuiscono<br />
e a seconda dell'ordine che hanno nelle<br />
rispettive orbite celesti così dominano in successione le<br />
varie parti del giorno" 34 . Inoltre, i Babilonesi<br />
trovarono che il pianeta al quale toccava il dominio<br />
della prima ora del giorno manteneva ancora la<br />
sua influenza per tutta la durata del medesimo<br />
giorno, che veniva chiamato col nome di quel<br />
pianeta. Fu così che vennero denominati i giorni<br />
della "Hebdomas", ovvero della settimana dei<br />
Giudei, ripresa in seguito dagli altri popoli della<br />
Fede Cristiana, come ascerisce Davide Gregorio in<br />
"Astronomia, Physicae et Geometriae", del 1726.<br />
Un'altra conferma la troviamo in Diocassio, o<br />
Dìone Cassio Cocceiano, storico greco vissuto tra il<br />
II e III secolo d.C. Egli scrisse un'opera monumentale<br />
in 80 libri, dal titolo "Storia Romana", di cui ci<br />
sono pervenuti solo i libri dal 36 al 60. Nel libro<br />
XXXVII scrive: "Poichè i giorni (della settimana) sono<br />
riferiti a quelle sette stelle, che chiamarono pianeti, per<br />
dirla in breve, dagli Egizi si è diffusa, nella consuetudine<br />
degli uomini, l'usanza di chiamare i giorni della<br />
settimana con i nomi dei pianeti. Infatti, per quanto mi<br />
consta, essa non fu usanza nota ai Greci antichi".<br />
Secondo Diocassio lo schema del giro dei pianeti,<br />
cioè delle tavole planetarie, sembra sia stato divulgato<br />
da Dione oratore e moralista greco, detto<br />
"crisostomo" (bocca d'oro) che visse fino al 120 d.<br />
C. circa.<br />
Sull'ordine e la successione dei Pianeti nelle varie<br />
34 G: Battista Vimercato, Op. cit. in "Descrittione de gli horologi solari per theorica ragione", cap. VIII, "Discorso intorno l'hore<br />
antiche ineguali, dette planetarie".<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
19
ore dei giorni, come viene riportato nelle "tavole",<br />
apprendiamo che presso gli antichi filosofi greci<br />
vigeva il seguente ordine: Luna, Venere, Mercurio,<br />
Marte, Giove e Saturno. In seguito venne adottato<br />
l'ordine che poi è rimasto per molto tempo: Luna,<br />
Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, e Saturno.<br />
Cicerone scrisse che Diogene Babilonese, vissuto<br />
nel 150 a.C. circa, insegnò questa disposizione, ed<br />
è probabile che egli fu anche il primo a divulgarla<br />
in Grecia, come già successe per altre dottrine. Per<br />
i particolari seguiamo il libro del Vimercato:<br />
"...la Dominica, nella sua prima hora si trova il Sole e la<br />
nominarono giorno del Sole. La Feria seconda (il secondo<br />
giorno), qual trovarono nella prima hora la Luna,<br />
perciò Lunedì la chiamarono, e così Marte il Martedì,<br />
con il resto che per ordine sapete nominarsi, e questo tal<br />
ordine d'hora in hora fra loro successivamente<br />
s'usurpavano, secondo l'ordine delle loro orbite in cielo<br />
discendendo da Saturno a Giove, da Giove a Marte,<br />
quindi il Sole, poi Venere, Mercurio e la Luna dalla<br />
quale di nuovo tornarono a Saturno, sempre girando il<br />
loro dominio in modo di circolo, come per esempio<br />
farebbe la Dominica dedicato al Sole, poichè la sua<br />
prima hora è dedicata al Sole, diremo dunque in tal<br />
giorno l'hora prima esser del Sole. La seconda di<br />
Venere, la terza di Mercurio. La quarta della Luna. La<br />
quinta di Saturno. la sesta di Giove. La settima di<br />
Marte. L'ottava del Sole, un'altra volta tornando à far<br />
quel medesimo ordine. La nona di Venere. La decima di<br />
Mercurio. L'undecima della Luna e la duodecima di<br />
Saturno, qual sarà l'ultima del giorno. Poi seguendo a<br />
quelle della notte la prima sarebbe di Giove, la nona di<br />
Marte, la decima del Sole, la quarta di Venere, la quinta<br />
di Mercurio, la sesta della Luna, la settima di<br />
Saturno, l'ottava di Giove, la nona di Marte, la decima<br />
del Sole, l'undecima di Venere, la duodecima di<br />
Mercurio, di maniera che la prima del giorno seguente<br />
alla Dominica tocca alla Luna, però è nominato Lunedì,<br />
e seguitando così per ordine di mano in mano alla prima<br />
di Feria terza toccarà Marte, a quella di Feria quarta<br />
Mercurio, di Feria quinta a Giove, di Feria sesta a<br />
Venere e al Sabbato Saturno" 35 .<br />
Come si può facilmente osservare, l'ordine dei<br />
pianeti dominanti le ore ineguali è quello dato<br />
dalle relative posizioni sulle loro orbite celesti, secondo<br />
l'ordine del "sistema volgare" della cosmografia<br />
dell'epoca: Saturno, Giove, Marte, Sole,<br />
Venere, Mercurio e Luna. Gli antichi escogitarono<br />
una frase per ricordare tale ordine che metricamente<br />
si diceva: "Post sim sum ultima Luna subest"<br />
36 .<br />
Questo sistema orario, cioè quello delle ore<br />
ineguali, venne adottato da quasi tutti i popoli dell'antichità<br />
ed è per questo che esse furono chiamate<br />
in diversi modi: ore antiche, perchè sono le<br />
più antiche che si conoscano; ore planetarie, come<br />
abbiamo visto; ore bibliche, perchè sono citate<br />
nelle Sacre Scritture; ore giudaiche, perchè in uso<br />
presso i Giudei; ore naturali, e infine ore canoniche,<br />
perchè "Nominate sono dal santo Vangelo e con<br />
le quali distingue la Santa Chiesa l'Hore Canoniche di<br />
Prima, di Terza, di Sesta e di Nona", come riporta<br />
Valentino Pini nella citata opera 37 . Spesso si sono<br />
confuse le ore canoniche con le planetarie e le temporarie.<br />
Ma, come vedremo più avanti nel capitolo<br />
delle ore canoniche, esse dipendono tutte dal sistema<br />
delle ore ineguali, però con caratteristiche e<br />
significati diversi l'una dall'altra.<br />
Nel secolo XVII si occuparono dell'argomento il<br />
Vossium nella "Theologia Gentili", Lib. II; il<br />
Marshamum nel "Canone Chronico", pag. 197; il<br />
Seldenum nel "Jure Nat. e Gent.", Lib. III, cap. 21 e<br />
D. Joannis Moebii che discusse sulla denominazione<br />
Planetaria dei giorni (Lipsia 1687) 38 .<br />
35 G.B. Vimercato, Op. cit. pag 61-62<br />
36 Joanne Stoflerino, "De usu astrolabii", sec. XVI, pag. 92<br />
37 V. Pini, Op. cit. , pag. 5<br />
38 C. Heilbronner, Op. Cit. pag. 71. Per una bibliografia approfondita sull'argomento e sugli orologi solari in genere si veda N.<br />
<strong>Severino</strong>, "Bibliografia generale sulla Gnomonica dall'antichità al secolo XIX", I ed. Associazione Astronomica Umbra, 1992, con<br />
300 titoli, e soprattutto la II edizione, con oltre 700 titoli menzionati.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
20
fig. 5 e 6 Progetti di orologi solari ad ore “planetarie”, eseguiti dal monaco G. B. Vimercato nella sua opera<br />
“Dialogo de gl’horologi solari”, sec. XVI. (Biblioteca di Montecassino)<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
21
fig. 7 Tavola planetaria ripresa da un<br />
codice pseudo-Beda del IX secolo<br />
(Biblioteca di Montecassino)<br />
fig. 9 Antica pergamena greca in cui compare<br />
un termine che secondo gli studiosi<br />
abbia qualche attinenza con gli orologi<br />
solari: Katastatmesin. Voce ignorata nella<br />
normale terminologia. Sembra che “statmen”<br />
sia un termine correlato con “amussim”,<br />
che designa qualche strumento usato<br />
in astronomia (il termine fu trovato da<br />
Callimaco nella vita di Talete scritta da<br />
Diogene Laerzio). “Herculanensium voluminum<br />
quae supersunt”, T. II, Neapoli,<br />
MDCCCIX (Biblioteca di Montecassino)<br />
fig. 8 Tavola planetaria con simbologia dei<br />
“Reggenti”, cioè dei pianeti che dominano<br />
la prima ora dei giorni della “Hebdomas”,<br />
o della settimana.<br />
fig. 10 Una curiosa<br />
rappresentazione<br />
del “Cinocefalo”<br />
(Abbazia di<br />
Montecassino)<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
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21<br />
II CAPITOLO<br />
IL PERIODO ELLENISTICO<br />
Le più antiche citazioni<br />
L’inizio della scienza gnomonica:<br />
Anassimandro e Anassimene<br />
Il Polos, un antico orologio solare<br />
sconosciuto<br />
L’orologio coi “piedi”.<br />
Le ore dello “Stoicheion”<br />
La numerazione delle ore negli<br />
orologi antichi<br />
Le rare citazioni di orologi solari<br />
nell’antica Grecia<br />
Ateneo: una fonte preziosa.<br />
L’orologio di Jerone II<br />
L’astronomo greco Gemino scrive di<br />
gnomonica prima di Vitruvio<br />
Il capitolo IX dell’Architettura di<br />
Vitruvio<br />
I diversi orologi solari citati da<br />
Vitruvio<br />
Facilius inter philosophos<br />
quam inter horologia convenit<br />
Seneca<br />
La vera storia del prosciutto di<br />
Portici<br />
La Torre dei Venti<br />
Erudizioni ottocentesche su alcuni<br />
monumenti gnomonici<br />
dell’antichità. Gli orologi antichi<br />
ritrovati<br />
Un importante ritrovamento: un<br />
disco nel piano di una catacomba<br />
romana<br />
Le fonti. Documenti gnomonici:<br />
le lettere del canonico Settele a<br />
Francesco Peter sul disco nel piano,<br />
e sulla forma delle linee orarie<br />
temporali negli orologi degli antichi,<br />
dove si contrasta l’opinione di<br />
Delambre<br />
E per cuscino... un orologio solare<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
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22<br />
23<br />
24<br />
25<br />
26<br />
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L'orologio del Re Achaz è senza dubbio la più antica<br />
e precisa testimonianza storica scritta che ci è<br />
stata tramandata. Nondimeno, altre citazioni si<br />
possono trovare presso fonti più o meno<br />
attendibili di scrittori, filosofi e compilatori che<br />
vissero nei secoli attorno all'Era Cristiana. Una<br />
citazione che merita di essere menzionata è riportata<br />
da Agostino Calmet, e riguarda senz'altro un<br />
orologio, o un sistema di misurazione del tempo<br />
che ha a che fare con gli orologi, e che si fa risalire<br />
a molto tempo prima del regno di Achaz:<br />
"...Questo modo di contare le ore ineguali continuò<br />
per molto tempo nel Mondo, e nella Chiesa, quantunque<br />
già da molti secoli prima di S. Benedetto<br />
fossero inventati gli orologi da sole, da acqua e da<br />
polvere, i quali si pretendono antichissimi; in fatti<br />
quello di Achaz, di cui ne fa menzione la Scrittura,<br />
non è il più antico tra i passati alla nostra notizia.<br />
Pare che Appione 39 famoso inimico dei Giudei (il<br />
periodo è tronco, ma il senso si è, che gli orologi di<br />
sole erano già inventati sino dal tempo di Mosè)<br />
prima ancora di Mosè, nativo ( al dire dello stesso<br />
Appione) della citta di Eliopoli in Egitto, costruisse<br />
(rizzasse nel testo originale) certe colonne, sotto le<br />
quali eravi raffigurata una barca, o sia un emisferio,<br />
e sopra una statua rappresentante un'Uomo,<br />
che continuamente girava a seconda del Sole, cioè,<br />
colla sua ombra descriveva il corso del sole, e<br />
cadendo questa nel sottoposto emisferio sferico, e<br />
concavo, segnava in questo le ore del giorno. Se<br />
dunque questa istoria si potesse provare con<br />
buone prove, non si potrebbe fissare quasi più lontana<br />
l'antichità delle mostre da sole" 40 .<br />
La descrizione fa subito pensare ad un orologio del<br />
tipo concavo, o forse un Hemisphaerium e i particolari<br />
forniti possono rappresentare sicuramente<br />
una buona prova per credere alla fonte storica. E'<br />
questa dunque una citazione di orologio solare<br />
11<br />
LE PIÙ ANTICHE CITAZIONI<br />
ancora più antica di quella della Bibbia sull'orologio<br />
del Re Achaz. E nulla vieta di ipotizzare che<br />
questo tipo di orologio non possa in parte, o totalmente,<br />
identificarsi col Polos che i Greci, secondo<br />
Erodoto, appresero dai Babilonesi.<br />
L'opinione degli scrittori antichi sul luogo e da chi<br />
furono inventati gli orologi solari, è molto discordante.<br />
Così, secondo alcuni essi furono inventati<br />
nella grande valle dell'Eufrate, cioè dai Caldei,<br />
mentre altri li rimettono ai Fenici 41 . Un'altra<br />
importante citazione la troviamo presso Omero,<br />
quasi coetaneo di Achaz, precisamente<br />
nell'Odissea (15. verso 402), dove sembra che pure<br />
lui parli di un orologio solare: "Insula quaedam<br />
Syria vocatur, sicubi audis, Ortygia desuper, ubi<br />
mutationes solis". Un'antico Scoliaste dice che in<br />
quell'isola vi era una caverna, in cui per via di<br />
numeri si conosceva "quanto il Sole si accostasse, o<br />
scostasse da noi", ciò che corrisponde alla misurazione<br />
della sua declinazione, cioè della sua<br />
altezza sull'equatore. Altri pretendono che in<br />
questo luogo Omero parli di un vero e proprio<br />
quadrante solare 42 .<br />
Diogene Laerzio (nella vita di Ferecide) addirittura<br />
attesta che ancora al suo tempo, nell'isola di Siros,<br />
o di Siria, si conservava un orologio solare di<br />
Ferecide: "Servatur et heliotropium in Syra insula".<br />
Il che fa pensare (anche a Calmet) che la mostra<br />
di Ferecide possa essere quella stessa di cui parla<br />
Omero, quando questo filosofo non fosse assai più<br />
moderno di Omero. Ma più di cinque secoli separano<br />
i due, per cui si potrebbe dire, piuttosto, che<br />
Ferecide abbia potuto perfezionare l'orologio presente<br />
sull'isola. Inoltre, Calmet ci dice che quello<br />
menzionato da Omero probabilmente era adatto<br />
ad indicare solo l'epoca dei solstizi, mentre quello<br />
di Ferecide segnava anche il moto della Luna.<br />
39 Joseph. Lettera 2 contra Appion.<br />
40 A. Calmet, "Commentario letterale, istorico, morale sopra la Regola di S. Benedetto", Arezzo, 1751, tomo I, pag. 124<br />
41 A. Calmet, "Dictionarium historicum, criticum...Sacrae Scripturae", Venetiis, 1734, tomo I, pag. 427: "Haec quidem eorum opinioni<br />
suffragari videntur, qui solaria horologia inventa trans Euphratem autumarunt. Alii verò ejus inventionis honorem Phoeniciis deferunt..."<br />
42 idem nota 41.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
24
12<br />
L’INIZIO <strong>DELLA</strong><br />
SCIENZA <strong>GNOMONICA</strong>:<br />
ANASSIMANDRO E ANASSIMENE<br />
Le notizie ormai divulgate in tutti i testi di gnomonica<br />
e sulla misurazione del tempo, e che sono<br />
praticamente acquisite come fondamentali, sono<br />
quelle date da Plinio il Vecchio, vissuto nel I secolo<br />
d.C., nella "Historia Naturalis", redatto forse al<br />
tempo di Ciro o di Servio Tullio. Uno dei passi<br />
principali è quello che abbiamo già riportato nel I<br />
capitolo, in cui dice che Anassimene Milesio, discepolo<br />
di Anassimandro, inventò il metodo delle<br />
ombre per computare il tempo che fu chiamato<br />
Gnomonica e che per primo mostrò a Sparta<br />
l'orologio solare che viene chiamato Scioterico.<br />
Diogene Laerzio, però, rivendica questa gloria ad<br />
Anassimandro il quale, dice, "tornando dalla<br />
Caldea ne introdusse l'uso in Isparta. Egli per<br />
primo inventò lo gnomone e lo collocò a Sparta in<br />
un luogo idoneo per catturare l'ombra nel quale si<br />
notasse, dice Favorino nell'Omnimoda Historia, le<br />
conversioni del Sole e gli Equinozi; egli fabbricò<br />
anche gli horoscopi" 43 . Il che mi sembra più probabile,<br />
considerato pure che Anassimandro fu il<br />
primo filosofo a disegnare una mappa geografica<br />
della terra e del cielo. Sono dello stesso parere<br />
anche J. Beaujeu e W. Kubitschek, cioè che la<br />
Gnomonica sia cominciata con Anassimandro,<br />
nella prima metà del secolo VI a.C.<br />
Ad Anassimene, invece, viene attribuito il perfezionamento<br />
del metodo del maestro dal quale ne<br />
aveva appreso i rudimenti. Naturalmente il "luogo<br />
idoneo a catturare le ombre", non poteva essere<br />
altro che un piano, o forse un emisfero, in cui erano<br />
descritte le linee dei solstizi e degli equinozi, cioè<br />
un orologio solare calendariale. In più costruì gli<br />
"oroscopi", non nel senso astrologico del termine<br />
ma, come vedremo più avanti, gli orologi solari<br />
chiamati "oroscopi" probabilmente perchè usati<br />
anche per scopi astrologici. E di questo troviamo<br />
conferma anche presso Eusebio nella "Praeparatio<br />
Evangelica" 44 .<br />
Infine ricordo una citazione che non ho riscontrato<br />
ancora su nessun testo, in favore sempre di<br />
Anassimandro, tratta dall'opera di Suida, erudito<br />
greco vissuto intorno all'anno Mille d.C.:<br />
"Primus gnomonem comparavit ad dignoscendas<br />
conversiones solis, et temporum, et horarum, et<br />
meridiei". Suida in questa frase dà per certa anche<br />
la misurazione del tempo a mezzo della divisione<br />
duodenaria delle ore, al contrario di quanto argomenta<br />
Salmasio.<br />
Infatti, le notizie discordanti che si riscontrano<br />
negli antichi scrittori, sia sull'invenzione degli<br />
orologi solari che sulla loro natura, hanno dato<br />
luogo, soprattutto intorno al XVII e XVIII secolo, a<br />
salaci diatribe ed interessantissime erudizioni che,<br />
per nostra fortuna, indirettamente, hanno contribuito<br />
moltissimo a chiarire molti punti oscuri e<br />
ad arricchire così la storia della Gnomonica.<br />
Claudio Salmasio, sosteneva una tesi che non è del<br />
tutto da scartare, anzi, tra le altre, è forse la più<br />
veritiera. Egli argomenta che Plinio abbia inteso<br />
male il significato di "Sciotera", "gnomoni" e "oroscopi",<br />
attribuendo a tutti la funzione di orologio<br />
solare come strumento che serviva per indicare<br />
l'ora ed altre cose: "Ma sembra che sia erroneo<br />
tradurre sciotera, gnomoni e oroscopi da orologi<br />
scioterici. Certamente quegli orologi scioterici nei<br />
quali si erige lo gnomone, che Anassimandro scoprì<br />
per primo mostrandolo a Sparta, non indica-<br />
43 Qui Laerzio riporta le notizie lasciate da Favorino, sofista vissuto nel I secolo d.C., nei "Commentari", un'opera in 5 volumi.<br />
"Anaximander primus gnomonem invenit, et Lacedaemone statuit in loco captandae umbrae idoneo, qui et solis conversiones et aequinoctia<br />
notaret".<br />
44 Libro X, 14. 11<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
25
vano l'ora, ma designavano tanto gli equinozi,<br />
quanto i solstizi, come testimonia Laerzio...E così<br />
con il nome di scioterici non si deve intendere evidentemente<br />
gli orologi, ma gli strumenti matematici<br />
che si usavano per osservare gli equinozi e i<br />
solstizi e i meridiani, come quelli che si dice inventò<br />
Anassimandro a Sparta. Di questi scioteri parla<br />
Tolomeo, con i quali in ogni tempo e luogo era solito<br />
mostrare facilmente il sito della linea meridiana<br />
(lo dice al cap. 11)...".<br />
"...Ma comunque gli scioteri di Archimede e di<br />
Tolomeo non sono da includere tra gli orologi scioterici...<br />
certamente lo gnomone che Anassimandro<br />
scoprì e i suoi scioteri, non furono orologi fatti per<br />
le osservazioni delle ore i quali Plinio considerò<br />
come orologi scioterici con grande errore!!" 45 .<br />
Salmasio sosteneva questa tesi sulla base di semplici<br />
considerazioni, tra l'altro soprendentemente<br />
vere. Infatti, egli constatò che fino all'epoca di<br />
Platone, la prolissa letteratura ellenica non dà<br />
spazio alla creazione di questi nuovi strumenti.<br />
Non si legge di gnomonica ed orologi solari nelle<br />
grandi opere dei filosofi di quel tempo, nè tantomeno<br />
della misurazione delle "ore", almeno per<br />
duecento anni dalla scomparsa di Anassimandro<br />
ed Anassimene:<br />
"Se Anassimandro o Anassimene fu l'autore degli<br />
orologi scioterici in Grecia, evidentemente questi<br />
non furono usati per molti anni, anche se in seguito<br />
aumentò il loro prestigio. Ed è certo che per più<br />
di duecento anni dopo la morte di Anassimandro,<br />
il nome di ore per indicare le particelle del giorno<br />
non fu udito in Grecia, nè fu conosciuto l'uso di<br />
alcun orologio scioterico. Scriveva Apollodoro<br />
nelle sue cronache che 'Anassimandro aveva 64<br />
anni, nel secondo anno della 58 Olimpiade e non<br />
molto tempo dopo morì. Egli fu l'inventore dello<br />
gnomone e degli scioteri', che Plinio volle fossero<br />
orologi scioterici. Perchè quindi dopo tanto tempo<br />
presso i Greci non c'era nessuna osservazione delle<br />
ore e nessuna menzione dell'orologio?".<br />
A questa tesi si contrappone quella dell'autorevole<br />
Dionisio Petavio, contemporaneo di Salmasio. Egli<br />
appoggia i suoi argomenti sulla frase di Erodoto<br />
con la quale dice che i Greci appresero dai<br />
Babilonesi l'uso del Polos, dello gnomone e la suddiviosione<br />
in 12 parti del giorno. Sostiene, inoltre,<br />
che l'antico strumento di Anassimandro, o di<br />
Anassimene, l'"heliotropium", era una macchina<br />
mediante la quale si conoscevano non solo gli<br />
istanti degli equinozi e dei solstizi, ma anche le<br />
ore:<br />
"Gli horoscopi, o heliotropia, che quei matematici<br />
collocavano all'aperto, in pubblico, non erano solo<br />
per gli eruditi e per i periti di astronomia, ma servivano<br />
soprattutto al popolo. Per cui quegli antichi<br />
orologi non potevano servire ad indicare, col metodo<br />
dell'ombra, solo i solstizi, ma anche le singole<br />
parti del giorno civile, utili per gli affari e gli<br />
impegni della vita quotidiana. Infatti, a cosa poteva<br />
essere utile al popolo conoscere il momento preciso<br />
dei solstizi?" 46 .<br />
45 C. Salmasio, "Plinianae exercitationes", pag. 445 F,G, pag. 446, A,B,C,D,E,F,G.<br />
46 Dionysii Petatvii aurelianensis, "Opus de doctrina temporum", Antwerpiae, 1703, cap. VIII, pag. 144: "Mathematici illi, qui horoscopia,<br />
vel heliotropia publice, et in propatulo collocabant, non solis eruditis, et astronomiae peritis, sed vulgo ea proponebant. Ergo non ad<br />
sola discernenda solstitia ex umbrarum ratione, sed ad civiles diei partes, et ad quotidiana gubernanda negotia pertinebant. Quid enim intererat<br />
plebeiorum hominum, ac civium, scire quo momento exactè solstitia commissa sint?"<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
26
13<br />
IL POLOS, UN ANTICO<br />
OROLOGIO SOLARE SCONOSCIUTO<br />
Naturalmente la disputa non finisce qui. Ci sono<br />
molti altri punti sui quali discutere come, per<br />
esempio, la natura degli strumenti o orologi citati.<br />
Come potevano essere fatti gli "Horoscopi",<br />
oppure gli "Heliotropi"? E il "Polos"? Cos'era,<br />
anch'esso un orologio, o qualcosa d'altro? Su tali<br />
quesiti non posso sorvolare tanto facilmente, così<br />
come non posso trascurare di dire che proprio<br />
questi due autori, Petavio e Salmasio, hanno<br />
approfondito il problema più di chiunque altro.<br />
Vale quindi la pena ricordare le tesi e le ipotesi di<br />
questi due grandi eruditi.<br />
Petavio riporta alcune interessanti informazioni,<br />
senza peraltro citare la sua fonte. Egli crede che gli<br />
Eliotropi erano orologi solari equinoziali, di cui<br />
alcuni utili per l'inverno ed altri per l'estate:<br />
"Nos heliotropia ista scimus aliud fuisse, aliundéque<br />
nomen accepisse, ut Jerina, aut<br />
ceimerina vocarentur. Nimirum aequinoctialia<br />
erant horologia, cujusmodi notum est alia aestiva,<br />
alia hiberna fieri. Nam qua parte meridiem respiciunt,<br />
quae supra planum aequinoctii consistunt,<br />
hiberno tempori conveniunt. qua verò<br />
Septentrionibus obvertuntur; ad aestivos dies pertinent..."<br />
47 .<br />
Per Salmasio, invece, gli eliotropi, anche quelli<br />
esistenti al tempo di Metone, erano una macchina,<br />
o organo matematico adatto solo ad osservare i<br />
solstizi:<br />
"Certé Eliotropion nihil aliud est quam machina-<br />
47 D. Petavio, "Opus de doctrina temporum", pag.145<br />
mentum denotandis solstitiis, hoc est, "helio<br />
tropai" factum".<br />
E ancora più precisamente:<br />
"Heliotropion illud Metonis horologium non fuit,<br />
sed solstitio aestivo notando erat factum, ut alia<br />
ejusdem generis heliotropia ab aliis similiter<br />
ratione gnomonica composita. Gnomone itaque<br />
habebant, et "polon", in quo erectus stabat gnomon.<br />
Antiquiores Graeci totum caelum sic<br />
vocarunt, quia vertitur. Recentioribus placuit<br />
extremitates ipsius tantummodo axis, circa quem<br />
caelum vertitur, ita nuncupare...".<br />
E continuando a parlare del Polos egli dice che<br />
potrebbe ricondursi ad una specie di hemisferio<br />
inverso (?):<br />
"Diximus paulo ante scaphen, aut scaphium dictum<br />
vas rotundum, et cavum, in cujus medio<br />
fundo stilus erigebatur ad horas monstrandas,<br />
atàque id "polon" etiam quosdam appellasse.<br />
Polon tamen rectius de parte protumida, ac rotunda<br />
caperetur, quam de concava. Nam et caput<br />
polon propterea Graeci dixere, à curva rotunditate.<br />
Scaphion quidem etiam id vocarunt, sed scaphio<br />
inverso haec forma similior est, ut è contra polos<br />
inverus scaphen, vel scaphium rectè refert. Polos<br />
est hemisphaerium, quod magis propriè de recto,<br />
quam de inverso, ac resupinato accipiatur. Sic<br />
hemisphaerium architectis dicitur, non supini, ac<br />
inversi hemisphaerii figura, sed quae instar habet<br />
illius hemisphaerii, quod supra non est..."<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
27
Salmasio sostiene che se la parola "Polos" denotava<br />
un qualche orologio, era la prova che questo era<br />
usato anche nell'antichità visto che viene citato da<br />
molti autori antichi. Ma non ne è convinto, come<br />
pure un antico Scoliaste di Aristofane che gli dà<br />
man forte. Inoltre, non riesce spiegarsi come mai<br />
Aristofane abbia usato la parola Polos nella sua<br />
opera "Schiamazzatore", e in altri passi, invece che<br />
orologio e come mai abbia ricordato solo il metodo<br />
di misurare il tempo con la lunghezza dell'ombra<br />
del proprio corpo, senza ricordare i diversi tipi di<br />
orologi (ammesso che siano esistiti) in uso ai suoi<br />
tempi 48 :<br />
"Non vedo perchè Aristofane, che cita il Polos, cioè<br />
un orologio, in un altro passo menzioni poi sempre<br />
il metodo di misurare le ombre attraverso i "piedi",<br />
senza pensare a Menandro che tanto tempo dopo<br />
Aristofane ancora conosce lo stesso metodo. Ma se<br />
gli orologi allora avevano la funzione di indicare le<br />
ore, quale strumento misurava l'ombra con i<br />
piedi?".<br />
Già, quale strumento occorreva per questo tipo di<br />
misurazione? E' davvero difficile dire se tale metodo<br />
sia nato, seppure empiricamente, prima dei veri<br />
orologi. E' certo, comunque che esso ha continuato<br />
a riscuotere successo per molti secoli, tanto che era<br />
14<br />
L’OROLOGIO COI “PIEDI”.<br />
rimasto tra gli unici e privilegiati metodi di misurazione<br />
del tempo ancora all'epoca del monaco<br />
inglese Beda il Venerabile (VIII secolo), ed oltre.<br />
Anticamente, ai tempi appunto di Aristofane,<br />
veniva forse chiamato "metodo dell'ombra", o più<br />
probabilmente "Decempedalis", ma Aristofane<br />
stesso cita lo "Stoicheion" come fosse proprio strumento<br />
per misurare queste ombre. Così si legge<br />
nell'"Assemblea delle Donne", in cui Praxagora<br />
rivolgendosi allo sposo dice:<br />
"Sarà tua preoccupazione, quando l'ombra dell'orologio<br />
(Stoicheion) sarà di dieci piedi (decapoda),<br />
procurare un cibo abbondante per la cena" 49 .<br />
Secondo Petavio questo metodo era chiamato più<br />
semplicemente "piede delle ombre da misurare" e i<br />
momenti principali, evidentemente destinati al<br />
pranzo e la cena, erano indicati con i termini che<br />
possiamo leggere nel passo originale:<br />
"Est apud Grammaticos veteres, Graecosque,<br />
Scriptores, non rara pedum mentio in metiendis<br />
umbris; ut decapoda (decapoda), vel dwdecapoda<br />
scian (dodecapoda scian), aut stoiceion<br />
(stoicheion) potiùs decapoin, vel<br />
dwdecapoin, id est decem, vel duodecim<br />
pedum umbram nominent." 50 .<br />
48 "Sed ecce contra vir immane quam eruditus et illustris, qui asserit non solum Menandri, verum etiam Aristophanis aetate, et anterioribus<br />
saeculis, horologia Graeciam habuisse, horasque his notatas, computatasque vulgo fuisse. Is Notis in secundum Manilii Isagogicum observat<br />
prius "polon" dictum, quod postea "orologion". Aristophanis hunc versum citat in Ghritadh:<br />
polontodu exin ecaxapoxmnmliom Getrapiolci. Et versum hunc habet è Polluce, qui dubitat, an Polos veteribus<br />
fuerit, quod posteriores "orologion" vocaverunt...Deinde citat illum versiculum Aristophanis superius allatum. Ex coigitur versu probare<br />
videtur velle, quod tunc dicebatur "orologion", etiam "polos" vocari posse. Hoc si versum est ut "polos" idem cum "orologion" fuerit, prorsus<br />
falsum erit, quod doctissimus, nondum fuisse horologiorum usum, nec horarum observationem. Sed nec video, cur Aristophanes, qui<br />
"polon", hoc est, "orologion" noverat, alio loco umbras per pedes metiendi morem magis sequatur, ut nihil dicam de Menandro, qui tanto<br />
posterior Aristophanes eamdem methodum agnoscit umbrae pedibus admetiendae, ut ne deessent tempori coenae condictae. Si horologia aliqua<br />
tum illis quoque horas notavere, quid opus umbram pedibus admetiri?"<br />
49 Ecclesiazuse, Lib. V, pag. 651: "Tibi verò curae erit, Quando decempedalis erit horologii umbra, unctam ad coenam proficisci".<br />
50 D. Petavio, Op. cit. pag. 143. La parola Stoicheion che si legge nel passo di Aristofane, significa propriamente orologio solare.<br />
Ma in questo caso è l'uomo stesso che fa da gnomone dell'orologio, quindi tale termine è riferito all'ombra prodotta dallo sposo<br />
di Praxagora che quando misurerà dieci piedi di lunghezza, si siederà a tavola.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
28
Salmasio, poi, passa ad impugnare Scaligero, il<br />
quale a Manilio (p. 229) spiega la "cena di dodici<br />
piedi" di Menandro, puntualizzando che essa si<br />
teneva all'ora duodecima, quando l'ombra dell'uomo<br />
marca la dodicesima linea. Salmasio si pone il<br />
problema che secondo una tal proposizione l'ora<br />
undecima dovrebbe corrispondere all'ombra di<br />
undici piedi, la decima a dieci piedi, la sesta a sei,<br />
la prima ad un piede, mentre ciò è assurdo. Così<br />
pare che l'opinione di Scaligero di intendere le ore<br />
per le ombre di tanti piedi nei poeti comici antichi,<br />
si uniformi alle spiegazioni degli Scoliasti e dei<br />
Grammatici antichi, il che si dimostra con con<br />
quanto scrive Polluce (Lib. I, 72):<br />
"L'ora e la mezz'ora era detta dagli antichi<br />
"semeion", come usa pure Menandro: e dall'ombra<br />
si dinotava, così, la lunghezza di dieci piedi, o di<br />
undici piedi".<br />
Con l'introduzione del termine "Semeion" si può<br />
spiegare la citazione di Ebulo presso Ateneo, che<br />
nomina per la cena l'ombra di venti piedi, opponendosi<br />
così a Menandro ed Aristofane che danno<br />
per la cena l'ombra di dodici piedi, ed anche al<br />
numero delle ore che non sono più dodici.<br />
Casaubon (VI.10) per giustificare questo, credeva<br />
che "ciascuno a suo arbitrio dava a' convitati l'ora<br />
pel convito". Ma è più facile spiegare le parole di<br />
Ebulo ipotizzando che l'ombra di venti piedi s'intenda<br />
di mezz'ora (semeion), riducendosi quindi<br />
all'ora decima di Menandro.<br />
Ed ecco, infine, come in una preziosa dissertazione,<br />
nelle "Pitture antiche d'Ercolano" del 1762<br />
(pag. XV), si tenti di conciliare le divergenti opinioni<br />
degli studiosi su questo argomento:<br />
"Con queste riflessioni potrebbe sostenersi il sentimento<br />
di Scaligero con gli stessi principii del<br />
Salmasio; e combinarlo con quel, che ne dicono i<br />
Grammatici greci, che tanto è l'ombra o la linea di<br />
dieci piedi, o di undici, o di dodici; quanto l'ora<br />
decima, undecima duodecima. Se poi si voglia<br />
seguire il pensiero del P. Petavio (lib. VII cap. 8 ad<br />
Uranolog.) che i piedi, di cui parlano i Comici<br />
greci, sien corrispondenti alle vere ombre de'<br />
rispettivi gnomoni negli orologi; potrebbe egli<br />
15<br />
LE ORE DELLO “STOICHEION”<br />
esser convinto cogli stessi suoi calcoli, che a torto<br />
accusa il Salmasio, il quale ha supposto il gnomone<br />
uguale alla statura dell'uomo. E' troppo noto<br />
che gli antichi avevano le cene ordinarie, e queste<br />
vogliamo supporre col P. Petavio, che fossero in<br />
Atene al tramontar del Sole, all'ora duodecima, o<br />
poco prima: e che avevano anche le tempestive<br />
prima, dell'ora solita: infatti Aristofane ci parla<br />
dell'ombra di dieci piedi, e Menandro di quella di<br />
dodici piedi: sicchè deve credersi la cena di<br />
Aristofane più anticipata dell'altra, neanche lo scoliaste<br />
dice precisamente al tramontar del sole, ma a<br />
un'ora tarda, come è certamente la quarta dopo<br />
mezzo giorno. Rifatto dunque co' dati medesimi<br />
del P. Petavio il calcolo per l'elevazione del polo in<br />
Atene di gradi 37 pel giorno stesso del Solstizio<br />
d'estate, che da lui si determina d'ore 14 45' e per<br />
conseguenza ciascun'ora diurna in quel dì di 73'<br />
45"; posto il gnomone di piedi 6 corrispondente<br />
all'ordinaria statura umana; si trova nell'ora X la<br />
lunghezza dell'ombra di piedi 12 e nell'ora IX e 52'<br />
min. la lunghezza di piedi 10 ch'è quella appunto,<br />
che suppone il Comico, e che spiega lo Scoliaste.<br />
Decide ancora il P. Petavio co' suoi calcoli, essere<br />
insufficienti l'ombre di Palladio (Palladii ratio un<br />
umbris menstruis finiendis inestricabilis). Ma forse<br />
non si dirà così, se, oltre agli errori, che facilissimamente<br />
han potuto commettere i Copisti nel<br />
trascrivere i numeri Romani di quelle ombre (siccome<br />
è chiaro lo scambio dell'XI nel IX per l'ombra<br />
massima del Solstizio d'inverno, che in Palladio si<br />
legge di IX e in Beda Tom I, p. 465 troviamo espressamente<br />
di XI come altresì l'ombra minima del<br />
Solstizio d'estate di II in Palladio e di I in Beda) si<br />
rifletterà, che le determinazioni di tali ombre sono<br />
presso a poco, e all'ingrosso; deducendosi dalla<br />
misura troppo grossolana de' propri piedi, senza<br />
punto tener conto delle piccole differenze, e<br />
frazioni delle misure de' piedi stessi. Ora con dati<br />
così grossolani, e incerti vole dedurre<br />
dimostrazioni concludenti, e geometriche, è un<br />
impegno, che non è degno del criterio del P.<br />
Petavio. Oltre a che se l'ombra massima del solstizio<br />
d'inverno cresca d'un poco oltre i piedi XI e<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
29
l'ombra minima dell'altro solstizio sia un poco<br />
minore di due piedi, svaniscono tutte le difficoltà,<br />
e i calcoli vanno bene".<br />
E' ovvio che questo metodo sia derivato dall'abitudine<br />
di osservare la lunghezza dell'ombra proiettata<br />
dal corpo di un uomo che varia durante l'arco<br />
del giorno e a seconda delle stagioni. Così, era<br />
ormai noto che il tempo della cena arrivava quan-<br />
do l'ombra raggiungeva i dieci o dodici piedi di<br />
lunghezza, come riferisce pure Menandro in<br />
"L'Ira", citato in Ateneo Lib. VI. 10. p. 143 presso<br />
Esichio e Polluce 51 dove "graziosamente dice del<br />
parasito Cherofonte":<br />
...il quale chiamato una volta ad una cena di dodici<br />
piedi, di buon mattino al lume della Luna corse<br />
osservando l'ombra, come se avesse tardato, e si<br />
presentò insieme col giorno...<br />
51 Per un approfondimento dell'argomento si consiglia le opere già citate di Petavio e di Salmasio. Il capitolo VII dell'"Opus de<br />
doctrina temporum" di Petavio è intitolato: "De horologiis Veterum, et umbrarum mensura, absurda Salmasii conjectura. Palladii ratio<br />
in umbris menstruis finiendis inextricabilis". Il capitolo VIII: "Confutatur opinio Salmasii, qui diem apud antiquos negat in horas<br />
tributum fuisse. Tum falso heliotropia ad sola monstranda solstitia, et aequinoctia constituta credit. Babylonii horarum inventores,<br />
sive duodenarum diei partium...". Infine, il cap.IX: "De solario Achaz contra Salmasium disseritur. diei partes ab illo monstratas<br />
esse. vana Salmasii conjectura refellitur. Neemiae locus malè ab eodem acceptus, vulgatus Interprete defenditur".<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
30
16<br />
LA NUMERAZIONE DELLE ORE<br />
NEGLI OROLOGI ANTICHI<br />
Nel parlare della possibile forma e natura degli<br />
strumenti che rispondono agli strani appellativi<br />
visti prima, Salmasio dà pure notizia di come venivano<br />
numerati gli orologi solari. Notizia questa, a<br />
dire il vero, molto preziosa, quasi sempre trascurata,<br />
o molto più probabilmente ignorata, in moltissimi<br />
testi. Ricordo solamente che la numerazione<br />
che qui si espone, è esattamente quella rinvenuta<br />
sull'orologio solare a forma di globo, detto appunto<br />
"Globo di Matelica", e ritrovato da Danilo<br />
Baldini a Matelica nel 1985. Così si esprime<br />
Salmasio:<br />
"Le ore segnate in essi erano 12 come pure le linee<br />
che l'ombra dello gnomone toccava, e da esse si<br />
capiva quale ora del giorno fosse, poichè il numero<br />
apposto alla linea la indicava. I Greci dicono: Sex<br />
horae tantum rebus tribuuntur agendis: Viveque<br />
post illas, litera zetha monet 52 . Le singole ore, dalla<br />
prima alla dodicesima, erano contrassegnate<br />
ognuna con delle lettere numeriche, su altrettante<br />
linee, in questo modo:<br />
A B G D E V Z H Q I<br />
e quindi fino alla dodicesima, il quale segno era<br />
indicato con IB. Gli antichi si concedevano sei ore<br />
fino a mezzogiorno per le cose da fare, le rimanenti<br />
per la cura del corpo dopo mezzogiorno. Da ciò<br />
deriva la parola ZhJi, nella quale avvertiamo il<br />
verbo "vivere", cioè darsi bel tempo. Così, infatti<br />
interpretavano queste parole in modo conveniente<br />
gli uomini geniali. Catullo: "Viviamo mia Lesbia, e<br />
amiamoci"; Petronio: "Quindi viviamo, finchè ci è<br />
lecito star bene"; Marziale: "Domani è tardi godere,<br />
godi oggi"... Altri esempi si incontrano presso i<br />
poeti di tali locuzioni" 53 .<br />
Massimiliano Planude 54 spiega che si indica la settima<br />
ora con la lettera x, l'ottava h, la decima con<br />
J. Queste lettere messe insieme formano la parola<br />
G che significa "vivi", con la quale siamo ammoniti<br />
a dedicare quelle ore del giorno al "genio", cioè<br />
alla creatività, all'arte, alla cultura, alla cura del<br />
corpo.<br />
Unica altra testimonianza "moderna", trovata su<br />
questo motto è quella del Commentario al libro IX<br />
dell'Architettura di Vitruvio, a cura di Jean<br />
Soubiran (pag. 246):<br />
"Il semble que l'epigramme de l'anthologie, X, 43,<br />
avec son jeu de mots sur ZH0I = "vis", et " 7,8,9,10"<br />
soit dècisive en faveur d'une numeration des<br />
heures dans les cadrans anciens; seuls le hasard, et<br />
la fragilitè de ces notations peintes et non graveés,<br />
peunvent expliquer qu'on n'en ait jannaio retrouvé<br />
trace". Il che conferma l'importanza delle citazioni<br />
ritrovate in queste ricerche".<br />
52 Sembra che questo acrostico sia stato interpretato nel 1500 dal Volterrano, come riporta Petri Viola in "De Veteri Novaque<br />
Romanarum Temporum Ratione", del 1735, pag. 186.<br />
53 C. Salmasio, Op. cit. pag. 447 C: " Horae in his erant designatae duodecim, totidemque lineae, quas ubi tangebat umbra gnomonis ea diei<br />
hora intelligebatur esse, quam numerus ad lineam adpositus indicabat. Graeci de horologiis:....<br />
Literis numeralibus horae singulae à prima ad duodecimam in horologio totidem linei erant descriptae hoc modo A B G D E V Z H<br />
Q I et deinceps usque ad duodecimam, quaae hac nota numeri indicabatur IB. Priores sex horae usque ad meridiem rebus agendis dabatur,<br />
reliquae post meridiem corpori curando. Hinc eo, quo sequuntur ordine, ac ferie, vocem ZhJi afficiunt, quo admonemur vivere, hoc est,<br />
genio indulgere. Ita enim hoc verbum propriè sumebant homines geniales. Catullus: Vivamus, mea Lesbia, atque amemus. Petronius: Ergo<br />
vivamus, dum licet esse bene. id est genio indulgeamus, Martialis:...cras ferum est vivere, vive hodiei...".<br />
54 Massimiliano Planude, teologo umanista ed erudito bizantino, sec. XIII.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
31
17<br />
LE RARE CITAZIONI DI OROLOGI<br />
SOLARI NELL’ANTICA GRECIA<br />
Mettiamo ora da parte le pur interessantissime<br />
erudizioni di questi studiosi del secolo XVII e volgiamo<br />
la nostra attenzione alla ricerca di quelle<br />
rarissime menzioni riguardanti gli orologi solari<br />
nella Grecia, nei primi tre o quattro secoli a.C.<br />
Abbiamo visto che non poche difficoltà sorgono<br />
quando si tenta di identificare un orologio solare<br />
che a volte viene diversamente denominato da<br />
vari autori, in varie epoche. Da qualche cronaca<br />
settecentesca apprendiamo che verso la metà del V<br />
secolo a.C. Euctemone e Metone, figlio di<br />
Pausania, si trovavano ad Atene. Qui essi svolgevano<br />
l'attività di astronomi e godevano di<br />
grande considerazione. Effettuarono precise osservazioni<br />
dei solstizi e costruirono un orologio solare<br />
55 .<br />
In qualche modo questa notizia potrebbe valorizzare<br />
la tesi di Salmasio, confermando l'importanza<br />
55 C. Heilbronner, Op. cit.<br />
56 C. Heilbronner, Op. cit. pag. 239, par. 122.<br />
delle osservazioni solstiziali e quindi la<br />
costruzione di strumenti adatti allo scopo. Sempre<br />
dalla stessa cronaca apprendiamo che nell'anno<br />
320 a. C., Pythea Massiliensie, astronomo molto<br />
esperto (quasi contemporaneo di Autolico di<br />
Pitane), cercò di ottenere con l'aiuto di uno "gnomone<br />
altissimo", l'altezza meridiana del Sole al<br />
tempo dei solstizi, al fine di valutare l'obliquità<br />
dell'eclittica. Egli fece poi anche delle ricerche sull'altitudine<br />
del polo, ossia sull'elevazione del polo<br />
celeste, cioè della latitudine:<br />
"scoprì che nel polo non c'era nessuna stella, ma<br />
era un luogo vuoto, al quale erano vicine tre stelle,<br />
con le quali lo stesso punto del polo forma una<br />
figura all'incirca quadrangolare" 56 . L'opera di<br />
questo filosofo verrà trattata ampliamente da<br />
Gassendi nel "Tractatu de proportione Gnomonis<br />
ad umbram Solstitialem", Massil. Tom. IV, p. 523.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
32
18<br />
ATENEO: UNA FONTE PREZIOSA.<br />
L’OROLOGIO DI JERONE II<br />
A parte le notizie di cui abbiamo già parlato, e<br />
un'altra secondo cui anche Platone "fece un orologio<br />
utile per conoscere le ore sia di giorno che di<br />
notte", e che sembra trattarsi più di un orologio a<br />
sabbia, una clessidra probabilmente, che di un<br />
orologio solare, un'altra importante testimonianza<br />
ci è pervenuta attraverso l'opera del filosofo<br />
Ateneo nel "Deipnosophistai", cioè "I Sofisti a<br />
banchetto", dove viene citato un orologio del II<br />
secolo a.C. Prima di prendere in esame il passo<br />
originale, vorrei proporre quanto riportato da<br />
Pericle Ducati (forse l'unica altra fonte moderna)<br />
nel libro "L'Italia antica", Mondadori, p. 564:<br />
"Per volere di Jerone II, morto nel 215 a.C., fu costruita<br />
una nave chiamata "Siracusana" che quando fu<br />
donata ad uno dei Tolomei cambiò in "Alessandrina".<br />
Questo vascello fu descritto minutamente in un opuscolo<br />
del siracusano Moschione e sunteggiato dal filosofo<br />
Ateneo (Deipnosophistai, V, 206-209). Era questa una<br />
nave da lusso, ornata con statue, bagni, piscine, dipinti<br />
ed era sormontata da un orologio solare, simile del tutto<br />
a quello celeberrimo che stava sull'Acradina e che<br />
appariva da lontano ai naviganti diretti a Siracusa.<br />
L'architetto Scopina costruì un orologio solare, forse<br />
quello dell'Acradina? che poi passò a Roma nel Circo<br />
Flaminio".<br />
Non so se quello dell'Acradina fu celeberrimo<br />
come orologio e se era visibile da tanto lontano (se<br />
così fosse stato, per leggere l'ora da tanto lontano,<br />
avrebbe dovuto avere dimensioni pressappoco<br />
uguali a quelle della nave stessa), il passo originale<br />
non lo dice: "At de nave quam construxit Hieron<br />
Syracusius, et cujus fabricae Archimedes geometra<br />
curator ac praeses fuit, tacit nefas esse puto, cum de illa<br />
Moschion quidem librum ediderit, quem nuper attétè et<br />
studios legi. Sic igitur Moschion scribit...Continens<br />
huic fuit Scholasterium, cum lectis quinque, materia<br />
buxea parietum, et ianuarum, in eoque Bibliotheca, et in<br />
summo tecni fastigio Polus, factus ad imitationem<br />
Solarij quod Achradine fuit" 57 .<br />
Nel passo in greco la parola corrispondente,<br />
tradotta in orologio solare, è "Polon", e questa volta<br />
viene usata da Ateneo proprio per indicare un<br />
orologio solare, sicchè bisogna convenire che<br />
almeno alla sua epoca per "Polon" si intendeva un<br />
orologio solare, ed è già qualcosa. Molto interessante<br />
è ancora la nota esplicativa del traduttore,<br />
Iacobo Dalechampi, messa in corrispondenza della<br />
parola Polon:<br />
"Horologium cuius index sua conversione monstrat<br />
horas: Solarium autem, Amussium, in quo stylus, seu<br />
Verunculum, deficsum umbra sua horas designat".<br />
Cioè "Orologio il cui indice con la sua conversione<br />
mostra le ore: il Solario, invece, o Amussio, è quello<br />
nel quale lo stilo, Verunculum, conficcato, con la<br />
sua ombra designa le ore". Cioè nel primo caso<br />
non si parla di ombre, ma di "conversioni" e sicuramente<br />
l'autore si riferisce agli orologi meccanici,<br />
cioè alle "conversioni", o giri, della "sfera" o<br />
lancetta; nel secondo caso si parla di ombra dello<br />
stilo con riferimento all'orologio solare. Il termine<br />
Amussium, si incontra in Vitruvio e designa una<br />
tavoletta livellata con segnati i punti cardinali, ma<br />
a questo punto è lecito pensare anche ad un orologio<br />
solare. Mentre la parola "Verunculum" si trovva<br />
in Plinio ("piccolo spiedo") e in Vegezio ("piccola<br />
picca"), proprio ad indicare uno stilo o gnomone<br />
adatto per un orologio solare.<br />
Dal terzo secolo a.C. in poi gli orologi solari sembrano<br />
riscuotere un successo e una diffusione sempre<br />
maggiore, le uniche notizie in merito ci sono<br />
state lasciate, per fortuna, dall'architetto Marco<br />
Vitruvio Pollione, nella sua ben nota opera "De<br />
Architectura". Prima di passare in rassegna le<br />
notizie ivi contenute, però, devo far presente che<br />
un altro autore, probabilmente prima di Vitruvio,<br />
ci ha lasciato qualche passo attinente alla gnomonica<br />
e agli orologi solari.<br />
57 Ateneo, "Deipnosophistai", Lib. V, pag. 206-207, cap. XI.<br />
Traduzione latina della edizione a cura di Iacobi Dalechampii Cadomensis, ed. I. Causabon, Coloniae, 1612.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
33
19<br />
L’ASTRONOMO GRECO GEMINO<br />
SCRIVE DI <strong>GNOMONICA</strong><br />
PRIMA DI VITRUVIO<br />
Infatti, il sapiente Leo Allazio 58 ci dice che<br />
"Gemino descrisse piuttosto spesso la "ratione" del<br />
"solarium". Gemino fu un astronomo greco fiorito<br />
verso il 70 a.C. Per primo divise l'aritmetica e la<br />
geometria, la matematica pura dalla logistica, l'ottica<br />
meccanica e l'astronomia. Siccome l'epoca in<br />
cui visse Vitruvio è incerta, qualcuno lo fa risalire<br />
addirittura al quarto secolo, mentre oggi si crede<br />
che visse intorno alla fine del I secolo a.C., non è<br />
improbabile che Gemino scrisse le sue note (De<br />
App. coelest.) prima di Vitruvio. Comunque nel<br />
"De Architectura" si trovano notizie e citazioni<br />
tanto importanti perchè le uniche che si siano pervenute<br />
con qualche dettaglio, mentre Gemino<br />
espone solo alcuni lineamenti teorici sulle linee<br />
orarie, senza specificare i diversi tipi di orologi.<br />
Qui, per completezza di esposizione, riporto i<br />
passi principali proposti da Leo Allazio nell'opera<br />
citata:<br />
"...Et in instrumentis horariis lineae, à gnomonibus<br />
descriptae, aequaliter distant ab aestivo puncto<br />
solstitiali, cum in Cancro, tum in Geminis". Nella<br />
versione greca si trova "Horocopiois" per orologi<br />
solari e "gnomonon" per gnomone.<br />
Quindi: "Unde etiam magnitudines dierum et noctium<br />
eaedem sunt in Sagittario et Capricorno. Et<br />
extremitas gnomonis in instrumentis horariis easdem<br />
describit lineas, et inter eosdem parallelos cir-<br />
culos sita sunt haec duo dodecatemoria 59 , cum<br />
Sagittarii, tum Capricornii...<br />
...In his enim et magnitudines dierum et noctium<br />
aequales sunt, et extemitates gnomonum in instrumenti<br />
horariis easdem lineas describunt...<br />
...Hoc autem etiam ex gnomonibus est manifestum.<br />
nam extremitas imbrae in gnomone fere ad<br />
dies XL permanet in tropicis lineis, sed circa<br />
utrumque aequinoctium magna incrementa<br />
dierum fiunt; ut sequens dies a praecedente sensibiliter<br />
variet. quam ob caussam in horologiis<br />
extremitas umbrae in gnomone ab aequinoctiali<br />
circulo quotidie sensibiles efficit distantias...<br />
...Etenim in horologiis extremitas umbrae in gnomone<br />
easdem lineas describit in dictis signis...<br />
...Etenim magnitudines dierum, cum habeant<br />
magnam mutationem in hybernis conversionibus,<br />
eos arguere possunt: et horologiorum descriptiones<br />
manifestas faciunt veras conversiones; et<br />
maxime apud Aegyptios, qui eas observant...<br />
...Et magnitudines dierum aequales; et magnitudines<br />
eclipsium similes; et descriptiones horologiorum<br />
(oroscopion) instrumentorum eaedem...<br />
...Etenim magnitudines dierum, et magnitudines<br />
eclipsium, et horologiorum descriptiones diversae<br />
propter habitationes fiunt iis, qui in eodem meridiano<br />
habitant".<br />
58 Leo Allatius, "De templis graecorum recentioribus...", Coloniae Agrippinae, 1645, "Mensura temporum", cap. VI, pag. 47:<br />
"Solarii rationem et modum saepius expressit Geminus...".<br />
59 "due dodicesime parti", termine eusato anticamente nella teoria del circolo zodiacale, da cui anche "dodecaoros".<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
34
20<br />
IL CAPITOLO IX<br />
DELL’ARCHITETTURA DI VITRUVIO<br />
L'unico documento specifico di gnomonica dell'antichità<br />
che ci è pervenuto è il famosissimo<br />
Libro IX del "De Architectura" di Vitruvio, scritto<br />
probabilmente verso la fine del I secolo a.C. La<br />
gnomonica di quella lontana epoca ci è nota proprio<br />
attraverso le descrizioni, seppure sommarie e<br />
grossolane, che l'autore fece degli orologi solari<br />
più popolari. Ma ciò che noi conosciamo è pur<br />
sempre quanto ci è giunto attraverso le numerose<br />
traduzioni, versioni e commentari dell'opera del<br />
celebre architetto. Per esempio, attualmente si<br />
ripone piena fiducia sull'autorevole studio effettuato<br />
su numerosi codici antichi dell'opera originale<br />
di Vitruvio, sopravvissuti alle varie epoche,<br />
coordinato dal Prof. Jean Soubiran della Facoltà di<br />
Lettere dell'Università di Tolosa. Studi pubblicati<br />
dalla società "Les belles lettres" nel 1969. Ma<br />
questo non significa che è disponibile la versione<br />
definitiva dell'opera. Io non ho l'autorità di mettere<br />
in dubbio alcuni punti degli studi del Prof.<br />
Soubiran. Sta di fatto, però, che altre versioni e<br />
commentari di personaggi non meno eruditi,<br />
riportano alcuni particolari molto importanti che<br />
non si trovano altrove, e un'interpretazione di<br />
alcuni termini completamente diversa. C'è anche<br />
da tener conto del fatto che forse anticamente<br />
erano disponibili più codici dell'opera originale e<br />
non siamo in grado di dire se e quali versioni,<br />
magari con i commenti di glossatori importanti,<br />
che sono state consultate da autori dei secoli scorsi,<br />
siano in realtà arrivate fino a noi.<br />
Tutto ciò che sappiamo sul "De Architettura" di<br />
Vitruvio deriva dalle versioni tradotte in varie<br />
lingue dai compilatori del medioevo. Un'opera<br />
quindi filtrata attraverso duemila anni di avvicendamenti<br />
storici e sconvolgimenti culturali e di<br />
tradizioni che difficilmente ci hanno restituito il<br />
lavoro dell'antico architetto nella sua originaria<br />
versione.<br />
Alcuni autori pensano che Vitruvio non dovesse<br />
essere particolarmente esperto nell'arte gnomonica,<br />
ma le sue descrizioni sono abbastanza precise e<br />
corrispondenti alla realtà, in quanto egli dovette<br />
avere sott'occhi gli strumenti solari di cui parla.<br />
L'architetto espone la dottrina della Gnomonica<br />
sulla base del cosiddetto Analemma vitruviano<br />
che per secoli ha stimolato il gioco interpretativo<br />
dei più illustri uomini di scienza. Oggi si ritiene<br />
che per analemma egli intendeva semplicemente<br />
la proiezione normale (ortografica) del percorso<br />
del sole sul piano del meridiano di un luogo di<br />
data latitudine, nelle varie stagioni dell'anno. Non<br />
è da intendere, naturalmente, che Vitruvio possa<br />
essere stato l'ideatore della teoria dell'analemma.<br />
Piuttosto è lecito supporre che tali studi fossero<br />
stati approfonditi da matematici greci del calibro<br />
di Democrito, Archimede e soprattutto Apollonio<br />
di Perge che probabimente gettò le basi scientifiche<br />
della Gnomonica. A tal proposito è bene osservare<br />
che prima di questo filosofo si ha testimonianza<br />
solo di orologi solari assimilabili agli emisferi, realizzati<br />
per la maggior parte forse solo sulla base di<br />
osservazioni empiriche. Dal III-II secolo a.C., sicuramenbte<br />
dopo Apollonio, si ha la grande produzione<br />
di strumenti solari realizzati su diverse e<br />
complicate superfici, tra cui tronchi di coni, cilindri,<br />
e via dicendo, proprio come quelli che Vitruvio<br />
citerà qualche secolo dopo, perchè comunemente<br />
in uso nel mondo di allora.<br />
Tolomeo scrisse una sua opera minore sull'analemma<br />
che fu pubblicata nella versione latina di<br />
Federico Commandino, nel 1562 60 .<br />
Il Libro IX dell'Architettura di Vitruvio è interamente<br />
dedicato alla Gnomonica, ma un passo in<br />
particolare è di grande interesse per la storia e la<br />
conoscenza degli orologi solari antichi. Egli, infat-<br />
60 "Liber de analemmate" di C. Tolomeo, commentato da F. Commandino, Roma, 1562. Per un approfondimento dell'argomento<br />
si consiglia L. Ronca, "Gnomonica sulla sfera ed analemma di Vitruvio", Acc. Naz. dei Lincei, Roma, 1976 e il Commentario al<br />
Lib. IX dell'Architettura di Vitruvio, a cura di Jean Soubiran, op. cit. nel testo.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
35
ti, dedica il capitolo IX di questo libro alla elencazione<br />
di alcune delle specie più popolari di<br />
orologi solari, in uso in quel tempo, e ai relativi<br />
inventori. Ed ecco il passo originale trascritto da<br />
una traduzione del secolo XVI:<br />
De horologiorum ratione, et usu, atque eorum<br />
inventione, et quibus inventoribus. Caput IX.<br />
Hemicyclium excavatum ex quadrato, ad enclimaque<br />
succisum Berosus chaldeo dicitur<br />
invenisse. Scaphen sive hemispherium, aristarchus<br />
samius. Idem etiam discum in planitia, Arachnem,<br />
eudoxus astrologus, nònnulli dicunt apollonium,<br />
Plinthium sive lacunar (quod etiam in circo<br />
flaminio est positum) scopas syracusius, Pros ta<br />
istorumena, parmenion, Pros pan clima, theodosi<br />
et andreas, Patrocles pelecinon, Dionysoporus,<br />
conum, Apollonius pharetram, aliaque genera et<br />
qui suprascripti sunt, et alii plures inventa reliquerunt,<br />
vti gonarchen, engonaton, antoboraeum,<br />
Item ex his generibus viatoria pensilia vti fieret<br />
plures scripta reliquerunt...<br />
Ed ecco la traduzione italiana dell'autorevole<br />
Marchese Berardo Galiani, risalente al 1790 61 :<br />
Di alcune specie d'Orologi, e loro inventori.<br />
Il semicerchio cavato in un quadro, e fatto inclinato<br />
si vuole, che l'abbia trovato Beroso Caldeo. La<br />
scafa, o sia l'emisferio, Aristarco Samio: e questo<br />
istesso il disco in piano. L'aracne Eudosso l'astrologo,<br />
benchè alcuni l'attribuiscano ad Apollonio. Il<br />
plintio, o sia il lacunare, come è quello del Cerchio<br />
Flaminio, Scopa Siracusano. Parmenione il detto<br />
pros ta istorumena. Teodosio, ed Andrea il detto<br />
pros pan clima. Patrocle il pelecino. Dionisidoro il<br />
cono. Apollonio la faretra, e molte altre specie, le<br />
quali sono state inventate tanto da' soprammentovati,<br />
quanto da altri, come sarebbe il Gonarca,<br />
l'engonato, e l'antiboreo: molti ancora hanno lasciato<br />
scritto il modo di fare fra le altre specie la pensile<br />
da viaggio; e dai libri di costoro può chi vuole<br />
applicarle a dati luoghi, purchè sappia formare<br />
l'analemma.<br />
Di seguito Vitruvio si occupa degli orologi ad<br />
acqua ed anaforici, cioè con indice mobile, parlando<br />
soprattutto di Ctesibio Alessandrino. Volgiamo<br />
la nostra attenzione, invece, agli orologi solari<br />
descritti, sulla cui forma e natura si sono pronun-<br />
ciati innumerevoli studiosi di ogni epoca.<br />
Attualmente si ripone piena fiducia nell'approfondito<br />
studio effettuato da diversi illustri professori<br />
di lettere, su alcuni tra i più importanti codici dell'opera<br />
di Vitruvio, con l'ambizione di scrivere una<br />
versione dell'Architettura il più possibile vicina a<br />
quella reale, liberata da sviste ed errori di altri<br />
traduttori. Ma come abbiamo già visto, un simile<br />
progetto resta una pura fantasia. Coordinatore dell'impresa<br />
è il Prof. Jean Soubiran della Facoltà di<br />
Lettere di Tolosa. I risultati, come ho detto, furono<br />
pubblicati in una raccolta di volumi che comprende<br />
molte altre opere antiche, edita a Parigi<br />
dalla Società editrice "Les Belles Lettres", nel 1969.<br />
Tuttavia, è probabile che qualche particolare, credo<br />
anche di una certa importanza, sia sfuggito nel<br />
commentario al libro IX dell'Architettura di<br />
Vitruvio. Non solo. Come vedremo più avanti,<br />
sorge qualche problema pure per un altro passo<br />
riguardante gli orologi solari, questa volta di<br />
Plinio, e precisamente sull'orologio dell'imperatore<br />
Augusto.<br />
Il fatto è che delle versioni tradotte<br />
dell'Architettura che ci sono pervenute, poche<br />
sono state veramente messe a confronto, ma tante<br />
sono quelle che non sono state consultate, e chissà<br />
quante quelle che sono andate perdute. Così, in<br />
ogni traduzione, in ogni commentario, in ogni<br />
nota, c'è sempre qualche discordanza interpretativa<br />
su qualche particolare nome o frase di un'altra<br />
versione.<br />
Così, mi sembra opportuno cominciare a segnalare<br />
una interessante nota del Marchese Berardo<br />
Galiani a proposito del termine Plinthium:<br />
"Il Baldo ci avvertì, che dove leggesi lacunar, si<br />
debba leggere laterem, perchè later può essere<br />
sinonimo di plinthus. Mi sarei indotto con tale<br />
autorità ad inserire nel testo questa lettura, se non<br />
avessi avuta presente la diversa lettura del Codice<br />
Vaticano I., il quale ha "panthium, sive lacunas", e<br />
da un'altra parte non avessi considerato, che si leggono<br />
qui medesimo molti nomi strani di orologi,<br />
dei quali è quasi impossibile ritrovarne non che la<br />
formazione, ma nè anche l'etimologia".<br />
Mi sembra che nei libri di gnomonica moderni non<br />
si leggano i nomi di "Gonarca" ed "Engonato" i<br />
61 "L'Architettura di Marco Vitruvio Pollione tradotta e commentata dal marchese Berardo Galiani Accademico Ercolanense, e<br />
Architetto di merito dell'Accademia di S. Lucia", Edizione Seconda, Siena, Napoli, presso Luigi Benedetto Bindi e i Fratelli Terres,<br />
MDCCXC.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
36
quali, avendoli già inseriti nella sua versione, è<br />
chiaro che il Galiani per "molti nomi strani", si<br />
riferisca a nomi sconosciuti di orologi solari che si<br />
trovano in quei codici da lui consultati. Come si<br />
vede la ricerca è aperta e i risultati non sono definitivi,<br />
ma appena abbozzati. Salmasio da parte sua<br />
pone molti altri quesiti derivanti da attente riflessioni<br />
e prudenti interpretazioni dei passi letterari.<br />
Così egli si domanda 62 come sia possibile, per<br />
esempio, che Vitruvio scrivendo sugli inventori<br />
degli orologi, non facesse menzione alcuna ad<br />
Anassimene ed Anassimandro, mentre questi due<br />
filosofi sono stati menzionati, due secoli dopo, da<br />
Plinio. E' certamente una domanda alla quale è difficile<br />
dare una risposta. Inoltre, egli dice che in un<br />
altro luogo si legge diversamente, a proposito di<br />
Scopa Siracusano, cioè "Scopinan ab Syracusis" 63 . E<br />
che in questo stesso codice (altra notizia importante<br />
sconosciuta) vengono citati altri nomi di<br />
filosofi che si occuparono di Gnomonica in quel<br />
tempo: "Inter eos qui gnomonica, vel organica aliqua<br />
reliquerunt, recenset ibidem Aristarchum<br />
Samium, Philolaum, et Architam Tarentinos,<br />
Apollonium Pergaeum, Eratosthenem<br />
Cyrenaeum, et Archimedem..." 64 .<br />
62 C. Salmasio, Op. Cit., pag. 457 D.<br />
63 C. Salmasio, Op. Cit., pag. 448 G: "Hunc eumdem alio loco Scopinan ab Syracusis vocat, et multas res organicas, et gnomonicas numeris,<br />
naturalibusque rationibus inventas, et explicatas tradit reliquisse”.<br />
64 C. Salmasio, pag. 448, A, 2 col.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
37
21<br />
I DIVERSI OROLOGI SOLARI<br />
CITATI DA VITRUVIO<br />
1 Hemicyclium Beroso Caldeo<br />
2 Scaphen o Hemisphaerium Aristarco di Samo<br />
3 Discum in planitia Aristarco di Samo<br />
4 Arachnen Eudosso astrologo<br />
secondo altri Apollonio<br />
5 Plinthium sive lacunar Scopa Siracusano<br />
6 Pros ta istorumena Parmenione<br />
7 Pros pan clima Theodosio e Andrea<br />
8 Pelecinon Patrocle<br />
9 Conum Dionisidoro<br />
10 Pharetram Apollonio<br />
11 Gonarchen ?<br />
12 Engonaton ?<br />
13 Antiboraeum Viatoria pensilia ?<br />
Vediamo ora di darne una descrizione sommaria<br />
sulla base degli studi effettuati su vari ritrovamenti<br />
archeologici.<br />
Hemicyclium<br />
La parola stessa Hemicyclium crea diversi problemi<br />
interpretativi e sull'etimologia stessa di questo<br />
termine divergono le opinioni degli studiosi. Cosa<br />
intendevano gli antichi con la parola<br />
"Hemicyclium"? Il senso della parola dovrebbe<br />
essere "semicerchio" se relativo alla geometria<br />
piana, ma siccome segue la parola "excavatum",<br />
evidentemente è da riferirsi alla geometria nello<br />
spazio. Se così fosse, l'hemicyclium dovrebbe<br />
essere un qualcosa di molto somigliante ad una<br />
semisfera cava, o ad un semicilindro, o tutte e due<br />
le sezioni semicircolari.<br />
Filone di Bisanzio cita l'"Emiciclion" al quale termine<br />
è stato dato il significato di "volta a tutto<br />
sesto". E' da considerare che Vitruvio menziona<br />
orologi cilindrici, conici ed emisferici, quindi la<br />
parola Hemicyclium deve denotare qualche altra<br />
cosa diversa da queste tre specie di orologi. Oggi<br />
sappiamo bene che cos'è l'Hemicyclium, grazie ai<br />
numerosi ritrovamenti archeologici effettuati<br />
soprattutto dal XVIII secolo in poi 65 . "Tutti gli<br />
orologi addotti dagli Espositori di Vitruvio sono<br />
da loro ideati, senza averne un antico monumento",<br />
dice un relatore del '700. Per quanto si sa, il<br />
primo orologio solare rinvenuto nella storia è stato<br />
descritto nell'articolo XIV del "Giornale dei<br />
Letterati d'Italia", stampato a Roma nel 1746, da un<br />
anonimo relatore. Il reperto gnomonico fu tratto in<br />
salvo prima di essere utilizzato come pietra inutile<br />
dalle cavi circostanti, dal Prof. Astronomo P.<br />
Boscovich, il quale sopraggiunse al principio dello<br />
scavo intrapreso sul dosso del Tuscolo in cima alla<br />
Villa chiamata Rusinella. Egli, dopo un attento studio<br />
del reperto, concluse che doveva trattarsi proprio<br />
dell'Hemicyclium citato da Vitruvio. Infatti si<br />
rese conto che il taglio della pietra, "ad enclima<br />
succisum", e le linee orarie incise nella cavità inter-<br />
65 Vedi <strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong>, "Il primo ritrovamento archeologico di un Hemyciclium" in Nuovo Orione, Sirio ed., Milano n. 4,<br />
Settembre 1992.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
38
na corrispondevano proprio alla descrizione di<br />
Vitruvio.<br />
J. Soubiran, nel suo Commentario, non fa menzione<br />
alcuna di questo ritrovamento che risulta<br />
essere il primo nella storia, di un orologio solare.<br />
Sembra strano pure che Vitruvio abbia attribuito<br />
l'invenzione di questo orologio a Beroso Caldeo,<br />
sacerdote astronomo vissuto nel III secolo a.C. E'<br />
opinione comune, infatti, che le origini di questo<br />
strumento dovessero essere ben più antiche, e le<br />
ipotesi più accreditate attribuiscono a Beroso una<br />
importante innovazione nello strumento originario<br />
che doveva essere il Polos: il taglio "ad enclima<br />
succisum", che letteralmente significa "tagliato<br />
in sotto secondo l'inclinazione dell'asse del<br />
mondo", facilitando di molto la lavorazione del<br />
blocco di pietra, o di marmo, e l'incisione del tracciato<br />
orario, nonchè il trasporto di uno strumento<br />
senz'altro più leggero. Questa è un'ipotesi, nient'altro.<br />
Un altro orologio di questo tipo, ma con qualche<br />
particolarità, fu trovato negli scavi di Civita ( forse<br />
Civita Lavinia?) il 29 gennaio del 1762 di cui qui ne<br />
ripropongo la figura tratta dal Tomo III delle<br />
Pitture Antiche di Ercolano, del 1762. E' fatto in<br />
marmo bianco, simile al pario, diverso da tutti gli<br />
altri in travertino che si sono scoperti nei dintorni<br />
di Roma. Ma due sono le particolarità di questo<br />
strumento: il foro dove veniva inserito lo stilo è<br />
verticale invece che orizzontale, di modo che lo<br />
stilo, una volta inserito, doveva venir ripiegato ad<br />
angolo retto. Poi l'angolazione del taglio (ad enclima<br />
succisum) per il quale fu lavorato che risulta<br />
essere di 29 gradi e 18 primi, cioè pressappoco la<br />
latitudine di Menfi in Egitto. Non vi può esservi<br />
dubbio, quindi, che questo orologio fu lavorato in<br />
quelle terre, trafugato, come in altre occasioni, e<br />
portato in queste parti. Infatti, è noto che i Romani<br />
tutto ciò che trovavano nelle Province di loro<br />
piacere, e in particolare statue, vasi, pitture ed altre<br />
rarità, lo trasportavano a Roma per arricchire edifici<br />
pubblici e privati.<br />
Degli altri importanti ritrovamenti vorrei ricordare<br />
l'orologio di Castelnuovo, scoperto nel Patrimonio<br />
di S. Pietro e collocato da Benedetto XIV nel<br />
Campidoglio, nel 1751, con un'iscrizione che<br />
dimostrava in qual considerazione era tenuto. Un<br />
altro fu rinvenuto nel 1755 in Rignano, non molto<br />
lontano dal precedente luogo, e conservato in Casa<br />
Lucatelli. Anche un certo Le Roy, nel libro intitolato<br />
"Les ruines des plus beaux monumentes de la<br />
Grece", pag. 15, n. 8 fa menzione di un simile<br />
orologio, del tipo Emicilcio, di marmo, che dice<br />
vedersi nella falda meridionale della Rocca, o sia<br />
Cittadella di Atene. Infine ricordo il bell'esemplare<br />
scavato a Pompei nel 1854 e tutti gli altri che son<br />
seguiti fino ad oggi, forse una trentina in tutto.<br />
Scaphen sive hemisphaerium<br />
Questi tipi di orologi solari, a forma di semisfera<br />
cava, vennero denominati "Scaphium gnomonicum".<br />
Si tratta di un semicerchio (emisfero) scavato<br />
dentro un cubo di pietra. Cleomede nel Lib. I<br />
parla di un Orologio scafio che era posto in<br />
Alessandria: "ab horologio, quod Alessandriae<br />
positum est". Mentre Macrobio dice che è "un vaso<br />
di sasso che ha sembianza di un emisfero curvato<br />
con uno giro scavato", 66 . Marziano Capella è più<br />
preciso e dice: "Quippe scaphia dicuntur rotunda<br />
ex aere vasa, quae horarum ductus stili, in medio<br />
fundo sui proceritate discriminant, qui stilus gnomon<br />
appellatur, cujus umbrae prolixitas aequinoctio<br />
centri sui aestimatione dimensa, vicies quater<br />
complicata, circuli duplicis modum reddit" 67 . E<br />
questa doveva essere, dice Salmasio, la forma dello<br />
Scafio e pure del Polos. Ancora Capella dice (Lib.<br />
VI, pag. 597): "Sono detti scafi i vasi rotondi di<br />
bronzo", nel quale la cavità è tornita verso lo zenit<br />
in modo che la faccia superiore del cubo rappresenti<br />
il piano dell'orizzonte. Nell'interno dell'emisfero<br />
si applica un gnomone, o stilo, fissato nel<br />
punto dell'orlo situato a nord, perchè esso ricopra<br />
il meno possibile la propria ombra e disposto in<br />
modo tale che la sua estremità coincida con il centro<br />
dell'emistero stesso 68 . Vitruvio attribuisce l'invenzione<br />
di questo strumento ad Aristarco di<br />
Samo, ma sicuramente ha radici molto più antiche<br />
ed è molto probabile che il Polos avesse le stesse<br />
66 Somn. Scip. I, 20, 26<br />
67 C. Salmasio, Op. cit., pag. 448 G 2 col.<br />
68 Macrobio, Op. cit., II, 7, 15 e ancora: "Hoc est autem... huiusmodi vasis officium, ut tanto tempore a priore eius extremitate ad alteram<br />
usque stili umbra percurrat, quanto sol medietatem caeli ab ortu in occasum, unius scilicet hemisphaerii conversione metitur", I, 20, 27.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
39
caratteristiche (forse con lo stilo parallelo all'asse<br />
terrestre). Sappiamo che Erodoto conosceva già<br />
questo strumento e che esso era installato sul battello<br />
di Jerone II, di cui abbiamo già detto. Allora<br />
perchè Vitruvio cita Aristarco? Perchè probabilmente<br />
Aristarco scrisse qualche trattato su questo<br />
orologio o, comunque, ne divulgò i principi scientifici.<br />
Oppure perchè avrebbe potuto apportare<br />
qualche modifica al vecchio modello. Si crede che<br />
questo orologio fosse il più comunemente in uso<br />
nell'antichità. Esso è il più menzionato e doveva<br />
servire sia nella vita civile che per usi scientifici.<br />
Cleomede, vissuto nel II secolo d.C. 69 , scrisse:<br />
"Eratostene, nel calcolo gnomonico per la determinazione<br />
della circonferenza terrestre, si servì dell'osservazione<br />
dell'ombra di uno stilo o ago nello<br />
strumento chiamato "Scaphen" 70 .<br />
La popolarità di questo orologio, come<br />
dell'Hemicyclium, viene confermata anche dai<br />
numerosi modelli ritrovati durante scavi archeologici.<br />
De più famosi ricordiamo:<br />
- l'orologio di Cannstatt; 71<br />
· il doppio scafio di Pergamo con due gnomoni.<br />
· l'orologio degli Orti Palombara a Roma, di epoca<br />
imperiale e con iscrizioni greche. Su questo strumento<br />
compare il circolo detto "Menaeus", le linee<br />
mensili con i nomi dei mesi e la menzione dei segni<br />
dello Zodiaco, mentre non è presente alcuna<br />
numerazione delle ore.<br />
· l'orologio di Pompei;<br />
- l'orologio di Andronico Cirreste a Tènos. Questo<br />
ha un'altra particolarità: una piccola cavità rivolta<br />
verso il nord e sulle due facce laterali due orologi<br />
piani verticali, evidentemente uno orientale l'altro<br />
occidentale 72 . Di questa particolarità fa menzione<br />
Cetius Faventinus (Lib. XXIX), parlando<br />
dell'Hemicyclium: " Hemicyclium: fit etiam in uno<br />
horologio duplex elegantiae subtilitas: nam dextra<br />
ac sinistra exstrinsecus in lateribus eius quinae lineae<br />
directae notantur...". Quindi serviva un orologio<br />
per il mattino, l'altro per la sera e la cavità principale<br />
dello strumento veniva orientata a sud (vedi<br />
nota precedente).<br />
Discum in planitie<br />
Come per l'Hemicyclium, anche il Disco in piano<br />
viene attribuito ad Aristarco di Samo. Secondo il<br />
Gesuita Padre Cristoforo Clavio, questo trumento<br />
sarebbe "un orologio poco scavato in modo di<br />
disco, o piatto, così che la parte interiore non sarà<br />
perfettamente sferica" 73 . Oppure potrebbe essere<br />
stato un orologio orizzontale simile a quello rinvenuto<br />
in Aquileia, come si ipotizza nella<br />
"Ciclopedia Inglese" tradotta da Giuseppe Maria<br />
Secondo nel 1751: "Il disco di Aristarco era un<br />
orologio orizzontale, col suo estremo elevato tutto<br />
intorno, per impedire, che le ombre non si estendessero<br />
assai", ma a me sembra che questa<br />
descrizione abbia del fantasioso. Pare evidente che<br />
Vitruvio volesse indicare con questo termine un<br />
orologio orizzontale, costituito da una superficie<br />
piana e di uno gnomone ad essa perpendicolare.<br />
In favore dell'ipotesi del piano con i bordi rialzati,<br />
c'è la tesi di Salmasio, il quale dice che un antico<br />
poeta (forse Metrodoro) cita questo orologio in un<br />
epigramma nel libro IV dell'Antologia, usando il<br />
termine "missorium" che significa vassoio e che<br />
secondo lui è sinonimo di "discum": "Discum, vel<br />
missorium, in quo duodecim signa fuere caelata,<br />
vetus Epigrammatum poeta (arghireon polon)<br />
appellavit Anthologiae lib. IV<br />
(un disco -minsorion- avente 12 segni)<br />
...Jam alibi notavimus, "minsorion"<br />
(minswrion) esse missorium, vel discum".<br />
Arachnen<br />
Si dice che l'astronomo Eudosso di Cnido fosse il<br />
primo a disegnare le linee orarie con le curve di<br />
declinazione su un piano orizzontale, la cui forma<br />
ricorda quella di una tela di ragno. Per questo<br />
motivo tale orologio si chiama "Arachnen", o<br />
"Aracnea". Questa parola è molto rara nella letteratura<br />
latina, si conosce una sola citazione simile,<br />
69 Lib. I, cap. 10<br />
70 Una trattazione completa del calcolo di Eratostene è esposta da Robertus Balforeus nel "Commentario a Cleomede", pag. 219.<br />
71 Descritto in "Ant. Technik" di H. Diels, p. 165.<br />
72 J. Soubiran, Commentario al Lib. IX dell'Architettura di Vitruvio, pag. 247.<br />
73 C. Clavio, "Gnomonices libri octo", Roma, 1581, pag. 2<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
40
presso lo scrittore Serenus Sammonicus nel 957, ed<br />
è "araignèe" 74 . Tutti i commentatori, comunque, si<br />
trovano d'accordo sul senso della parola che designa<br />
uno strumento provvisto di una rete di linee,<br />
le quali richiamano alla mente l'aspetto di una tela<br />
di ragno. Di questo avviso sono Ardaillon, Chiusy,<br />
Diels, Ideler, Kauffmann, Kubitschek, Hultsch,<br />
Nau, Rehm, Tannery, ecc. Anche Vitruvio menziona,<br />
poco dopo, il conarachne dove, evidentemente,<br />
"cona" indica la forma della superficie<br />
recettrice dei raggi solari, e la seconda, "rachne",<br />
l'apparenza della rete di linee che essa porta. Le<br />
tesi però sono discordanti sui particolari dello<br />
strumento, sia sulla forma della superficie<br />
recettrice che sulla disposizione del tracciato<br />
orario. Alcuni studiosi lo vedono come un semplice<br />
orologio solare in piano. Per A. Choisy 75 esso<br />
non sarebbe altro che un perfezionamento del discum<br />
in planitia, la cui ragnatela di linee si sviluppa<br />
cominciando dalla base del gnomone. Per altri<br />
si tratta di un orologio emisferico, nel quale la rete<br />
di linee era sviluppata tramite l'addizione delle<br />
linee mensili, dei solstizi e dell'equinoziale. Una<br />
terza ipotesi, forse la più audace e controversa,<br />
esplicitamente condannata da Kauffmann e Rehm,<br />
ma accettata dagli altri, prevede che il termine<br />
arachne si applichi non alle linee incise sulla<br />
superficie recettrice, ma ad una rete metallica<br />
mobile simile a quella dell'astrolabio (dove il nome<br />
dato per quest'ultimo è "aranea") 76 . Tannery suppose<br />
che nell'interno del polos emisferico potesse<br />
"girare una sfera costituita da una rete metallica<br />
solida che gioca lo stesso ruolo del gnomone<br />
durante il giorno". Se si accredita questa ipotesi<br />
l'arachne, allora, non doveva essere altro che un<br />
astrolabio sferico, senz'altro il più antico che si<br />
conosca (di questo parere è Kauffmann). Il mio<br />
parere è che l'arachne sia stato un semplice orologio<br />
solare in piano con sopra incise tutte le linee<br />
orarie, le curve di declinazione mensili e dei solstizi,<br />
formando un tracciato che dà l'idea della tela<br />
di ragno.<br />
Un arachnen potrebbe essere l'orologio di Delos,<br />
che è fatto su una superficie piana orizzontale, per<br />
la latitudine di 37 gradi. Reca delle scritte in greco,<br />
in corrispondenza delle curve solstiziali,<br />
equinoziale ed altre ancora. Un orologio del genere<br />
fu trovato ad Aquileia, classificato anch'esso come<br />
discum in planitia. Costruito per la latitudine di 45<br />
gradi e 39 primi (con un errore di 7 primi e mezzo),<br />
è firmato dall'artefice: M. Antiotius Euporus fecit.<br />
E' stato datato al primo secolo della nostra era 77 .<br />
Plinthium sive lacunar<br />
Vitruvio cita Scopa Siracusano come l'inventore<br />
dell'orologio solare chiamato "Plinto", detto anche<br />
"lacunare". Si dice, in genere, che quest'orologio<br />
avesse qualche rassomiglianza con delle travi<br />
messe in quadrato; infatti, il termine lacunare<br />
richiama l'immagine di un soffitto a cassettoni.<br />
Nella cronaca settecentesca di C. Heilbronner,<br />
viene descritto come simile ad un pilastro quadrato<br />
sul quale vi erano incisi sulla sommità un orologio<br />
orizzontale, e sui lati quattro orologi verticali,<br />
dei quali uno boreale, uno australe, uno orientale e<br />
l'altro occidentale. In questo caso, esso sarebbe<br />
sicuramente il capostipite degli orologi solari cubici<br />
e poliedrici, tanto in uso nel sec. XVI. A. Rehm,<br />
invece, lo definisce analogo al "discum in planitia",<br />
e fa notare che se fatto installare in un luogo pubblico<br />
di grosse dimensioni (come il Circo Flaminio)<br />
doveva essere visibile da lontano, per mezzo della<br />
sua grande superficie recettrice, piana e verticale 78 .<br />
Il termine lacunar, che etimologicamente significa<br />
lacuna, cavo o cavità, potrebbe far pensare ad una<br />
sorta di parallelepipedo aperto sul davanti in cui il<br />
fondo, mantenuto all'ombra dai lati sporgenti, era<br />
percorso da un raggio di sole passante attraverso<br />
una stretta entrata (foro gnomonico), situata sul<br />
bordo superiore. Questa tesi è di Cetius<br />
Faventinus che la espone nel lib. XXIX: "planitia<br />
aequalis subtiliori crassitudine fiat, ut aperta<br />
rotunditate digitali facilius solis radius infusus per<br />
numeros linearum horas demonstret".<br />
Credo che l'ipotesi di un pilastro con incisi su tutte<br />
le sue superfici gli orologi solari, sia la più<br />
74 j. Soubiran, Op. cit. pag. 248<br />
75 J. Soubiran, Op, cit. pag. 249<br />
76 " pag. 250<br />
77 F. Kenner, "Sonnenuhren aus Aquileia, p. 9-20, l'orologio porta una rosa dei venti a otto divisioni.<br />
78 " pag. 252<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
41
attendibile. Inoltre è da rilevare un particolare che<br />
potrebbe essere molto importante nell'identificazione<br />
definitiva. Come abbiamo visto sopra,<br />
nella nota di Berardo Galiani, è scritto che il "Baldo<br />
ci avvertì, che dove leggesi lacunar, si debba leggere<br />
laterem, perchè later può essere sinonimo di<br />
plinthus". Infatti, un "plinto" non mi sembra legare<br />
con una "cavità", a meno che si tratti di un pilastro<br />
sulla cui superficie, che guarda lo zenit, veniva<br />
realizzato un emisferio; naturalmente l'altezza del<br />
pilastro doveva essere tale che si poteva facilmente<br />
osservare l'ombra dentro alla cavità dell'orologio.<br />
Anche se è un'ipotesi non da scartare, tuttavia non<br />
vi sono argomenti e prove che consentino di<br />
sostenerla, così non siamo veramente in grado di<br />
dire cosa fosse di preciso il "Plinthium sive lacunar".<br />
Pros Ta Istorumena<br />
"Ombre" più fitte cadono sugli altri orologi citati<br />
da Vitruvio. Questo viene attribuito a Parmenione<br />
che, malgrado P. Tannery dichiari sconosciuto tale<br />
personaggio, gli altri vogliono identificarlo con il<br />
famoso architetto che realizzò il Serapeon di<br />
Alessandria e l'Iasonium di Abdera.<br />
Alcuni sostengono che il pros ta istorumena sia un<br />
orologio del tipo equinoziale, forse portatile, ma<br />
utile solo per alcune latitudini corrispondenti alle<br />
città più importanti del mondo antico:<br />
Alessandria, Rodi, Atene, Roma, Marsiglia,<br />
Bisanzio, ecc. E questa pare che sia l'opinione dei<br />
maggiori studiosi. Secondo un certo Cesariano,<br />
invece, il nome di questo strumento farebbe allusione<br />
alle figure dello zodiaco dipinte sul quadrante,<br />
diventando uno strumento adatto ad indicare<br />
tutte le cose (o fenomeni) del cielo: le ore, i<br />
mesi, i giorni e i segni zodiacali 79 . A questa<br />
descrizione corrisponde una sola figura di orologio<br />
solare in marmo e conservato a Tunisi, Bardo,<br />
museo Alaovi. Purtroppo, avendo a disposizione<br />
solo questa immagine, non sono in grado di dare<br />
particolari più precisi.<br />
La prima ipotesi trova maggiori sostenitori i quali<br />
identificano il pros ta istorumena con alcuni orologi<br />
ritrovati, che hanno la particolarità di essere<br />
79 J. Soubiran, Op. cit. pag 254.<br />
80 Idem, op. cit. pag 254-256.<br />
portatili e di servire per alcune latitudini. Uno di<br />
questi è l'orologio romano che risale al 250 d.C.<br />
circa e che può funzionare da 30 a 60 gradi di latitudine.<br />
Questo orologio, viene curiosamente scambiato<br />
col discus in planitia in un dizionazio delle<br />
antichità greche e romane del secolo scorso, e dal<br />
quale è tratta anche la figura del "discus" ripresa<br />
dal Martini, "Von den Sonnenuhren der Alten".<br />
Due sono, quindi i ritrovamenti di questo tipo di<br />
orologio: quello di Roma e quello di Cret-<br />
Chatelard, descritto dal Generale De la Noe in<br />
"Cadran solaire antique trovè an Crèt- Chàtelard",<br />
Bull. So. Nat. Antiquaries de France, 1897. Secondo<br />
W. Kubitschek, due altri strumenti appartengono a<br />
questa categoria: un frammento conservato al<br />
Museo di Napoli e l'esemplare di Pausilippe 80 .<br />
Pros pan klima<br />
Attribuito a Teodosio e Andrea, dovette essere un<br />
vero e proprio orologio universale portatile. Un<br />
perfezionamento, insomma, del pros ta istorumena,<br />
sebbene non si sia in grado di effettuare un<br />
confronto sul piano pratico. Non si conoscono<br />
esemplari venuti alla luce da scavi archeologici che<br />
possano aiutarci a capire meglio la natura di<br />
questo strumento. Certamente i due orologi dovevano<br />
essere due modelli molto simili, per<br />
costruzione e uso, con l'unica variante che questo,<br />
probabilmente, aveva una estensione in latitudine<br />
maggiore del primo.<br />
Pelecinum e Pelignum<br />
Sul pelecinum c'è da fare un discorso a parte, perchè<br />
molto probabilmente la sua storia si intreccia<br />
con quella di un altro strumento al quale non è<br />
stato ancora dato un nome. Nel Landesmuseum di<br />
Trier, è conservato un mosaico, proveniente da una<br />
antica villa romana di Treviri, in cui viene rappresentato<br />
un vecchio (si dice fosse Platone) che<br />
mostra uno strano tipo di orologio solare per il<br />
quale e per quel che si sa, la letteratura gnomonica<br />
non ha ancora trovato un nome.<br />
Secondo quanto scrive Vitruvio, Patrocle fu l'in-<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
42
ventore del Pelecinum, un orologio composto, secondo<br />
le odierne ipotesi, da due tavole di marmo la<br />
cui forma assomiglia ad una scure bipenne, dal<br />
quale deriva anche il nome di bipennis. Durante<br />
gli scavi di Pompei furono ritrovati vari orologi<br />
solari: alcuni hemicyclium, degli orizzontali e un<br />
pezzo di pelecinum, ora conservato al Museo<br />
Nazionale di Napoli. Uno intero, invece, è situato<br />
sulla faccia superiore di un tronco di colonna, nel<br />
peristilio della casa detta dei capitelli figurati.<br />
Presenta dei difetti nel tracciamento delle curve<br />
del solstizio estivo e delle linee orarie. Sembra<br />
pure che questo orologio, ai suoi tempi, sia stato<br />
associato a un disco di bronzo il cui gong risparmiava<br />
allo schiavo la fatica di annunciare a voce il<br />
trascorrere delle ore. Un altro pelecinum proviene<br />
da Nemi.<br />
Secondo me, gli orologi solari citati e chiamati<br />
pelecinum, in realtà non possono che identificarsi<br />
con gli "arachne" sopra descritti. Infatti, sulla loro<br />
superficie piana sono incise le linee orarie e le<br />
vurve di declinazione del sole, formando la<br />
famosa tela di ragno. Mentre è da considerare che<br />
la descrizione teorica data per il pelecinum non si<br />
adatta gran che alla forma degli arachne. Al più la<br />
scure bipenne potrebbe essere rappresentata, in<br />
questi, dal disegno delle linee orarie, ma la cosa<br />
non regge, perchè la teoria data oggi per il<br />
pelecinum, in realtà, calza alla perfezione per<br />
l'orologio rappresentato nel mosaico del<br />
Landesmuseum, per il quale ritengo che il nome<br />
giusto debba essere "pelignum" per l'epoca di<br />
Vitruvio, alterato in "pelecinum" attorno al II secolo<br />
d.C. Una prima prova di ciò è data da alcuni<br />
manoscritti antichi che descrivono un orologio<br />
solare come per il pelecinum, chiamandolo<br />
pelignum. Sappiamo che Cetius Faventinus, nel<br />
capitolo XXIX della sua opera principale, ispirato<br />
da un'altra fonte diversa da quella di Vitruvio,<br />
parla di una descrizione molto oscura di un orologio<br />
solare chiamato Pelignum, a partire dal quale i<br />
traduttori restituiscono il termine pelecinum.<br />
Prima di prendere in esame un'altra fonte molto<br />
importante, esprimo il mio parere: sono convinto<br />
che il termine originale doveva essere pelignum,<br />
d'accordo con Faventino che sicuramente consultò<br />
le fonti più antiche, e che quindi pelecinum sia la<br />
storpiatura del termine originale.<br />
La descrizione di questo orologio l'ho trovata in<br />
una edizione del 1730 delle "Exercitationes vitru-<br />
vianae primae. hoc est: Ioannis Poleni commentarius<br />
criticus de M. Vitruvii Pollionis...". Nell'opera è<br />
compresa una parte intitolata: "Anonymus scriptor<br />
vetus de architectura compendiosissime tractans,<br />
quae vitruvius et ceteri locupletius quidem ac diffusius<br />
tradidere. cum annotationibus Ioannis<br />
Poleni".<br />
Il testo è troppo importante per la storia della<br />
Gnomonica e merita di essere trascritto in questo<br />
libro integralmente, con le relative note di Poleni.<br />
In primo luogo perchè è forse l'unica descrizione<br />
antica che ci resta di questo orologio e<br />
dell'Hemicyclium; in secondo luogo perchè può<br />
essere di grande utilità al lettore interessato per<br />
eventuali approfondimenti e ricerche. Questo<br />
testo, quasi sicuramente, è di Cetius Faventinus<br />
perchè in esso si trova un passo già menzionato<br />
sopra riportato da J. Soubiran, citando il capitolo<br />
XXIX.<br />
Ma ciò nulla toglie all'importanza dello stesso che<br />
ci ha permesso di identificare con certezza una<br />
specie di orologio solare in uso nell'antichità fino<br />
ad ora sconosciuto, e in più ci regala una precisa<br />
descrizione dell'Hemicyclium.<br />
Caput XXVIIII<br />
De Horologii Institutione<br />
"Multa variaque genera sunt horologiorum; sed<br />
Peligni, et Hemicycli magis aperta, et sequenda<br />
ratio videtur. (1) Pelignum enim horologium dicitur<br />
quod ex duabus tabulis marmoreis vel lapideis<br />
superiore parte latiorubus, inferiore angustioribus<br />
componitur: sed hae tabulae aequali mensura<br />
fiunt, et quinis lineis directis notantur, ut angulum<br />
faciant, qui sextam horam signabit. Semis ergo<br />
ante primam, et semis post undecimam supplebunt<br />
XII. numeros horarum, sed junctis aequaliter<br />
ante, et exstensis in angulo summo juncturae<br />
circinum figes, et angulo proximum circulum<br />
facies, a quo primum lineae horarum partitae<br />
aequaliter notantur. Item alium majorem circulum<br />
ab eodem puncto anguli facies, qui prope (2) oram<br />
tabularum attingat, ad quem aestivis temporibus<br />
gnomonis umbra pervenit. Subtilitas ergo disparis<br />
mensurae de spatio horarum expectanda non est,<br />
quando aliud majus, et aliud minus horologium<br />
(3) poni solitum videatur, et non amplius pene ab<br />
omnibus, nisi quota sit solum inquiri (4) festinetur.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
43
Gnomon itaque in angulo summo juncturae paululum<br />
inclinis ponitur, qui umbra sua horas<br />
designet. Constitues autem horologii partem, qua<br />
decimama horam (5) notat, contra Orientem<br />
aequinoctialem; fieut de exemplis multisariam<br />
cognoscitur. Horologium autem, quod (6)<br />
Hemicyclium appellatur, simili modo de lapide,<br />
vel de marmore uno, quattuor partibus sursum<br />
latioribus, infra angustioribus componatur; (7) ut<br />
ab ante, et a tergo latiores partes habeat. Sed frons<br />
aliquantum permineat, atque umbram faciat<br />
majorem. Sub hac fronte rotunditas ad circinum<br />
notatur, quae cavata (8) introrsus hemicycli faciat<br />
schema. In hac cavatura tres circuli fiunt: unus<br />
prope summitatem horologii, aliu per mediam<br />
cavaturam, tertius prope (9) horam signetur. A<br />
minore ergo circulo usque ad majorem circulum<br />
horalem I. et decem lineae directae aequali partitione<br />
ducantur, quae horas demonstrent. Per medium<br />
vero hemicyclium supra minorem circulum<br />
planitia aequalis subtiliori grossitudine fiat; ut,<br />
aperta, rotunditate digitali, facilius Solis radius<br />
infusus per numeros linearum horas demonstret.<br />
Hiemis ergo tempore per minorem circulum<br />
horarum numeros servabit. Aequinoctiali tempore<br />
per majora circuli spatia (10) gradietur. Sed, ne<br />
error in (11) construendo horologio cuiquam<br />
videatur, libero loco alto, vel plano, sic ponatur, ut<br />
angulus hujus, qui occiduas horas notabit contra<br />
aequinoctialem vernum spectet, unde Sol nono<br />
Kal. Aprilis oriatur. Fit etiam in uno horologio<br />
duplex elegantiae subtilitas; nam dextra ac sinistra<br />
extrinsecus in lateribus ejus quinae lineae directae<br />
notantur, et ternae partes circulorum (12) aequali<br />
intervallo sic fiunt, ut una proxima fit angulis posterioribus,<br />
ubi styli ponentur, qui umbra sua horas<br />
designent: altera mediam planitiem detineat: tertia<br />
prope (13) horam contingat. Has enim partes circulorum<br />
hieme, vere, et aestate sic, ut interius,<br />
gnomonis umbra sequitur. In angulis ergo posterioribus<br />
stylos modice obliquos figes, qui umbra sua<br />
horas (14) designent. Oriens enim Sol in primo latere<br />
sex horas notabit, occidens alias sex in (15) sinistro<br />
latere percurret. Legitur etiam, horas sic comparari<br />
debere; primam, sextam, septimam, et<br />
duodecimam uno spatio mensuraque disponendas:<br />
secundam, quintam, octavam, et undecimam<br />
pari aequalitate ordinandas. Tertiam, quartam,<br />
nonam simili ratione (16) ducendas. Est et alia de<br />
modo et mensuris horarum comparatio, quam<br />
prolixitatis caussa praetereundam aestimavi.<br />
Prima (17) quiniam haec diligentia ad paucos prudentes<br />
pertinet. Nam omnes fere, sicut supra<br />
memoratum est, quota sit solum requirunt.<br />
Quantum ergo ad privatum usum (18) expectat<br />
necessaria huic libello (19) ordinavimus".<br />
Note<br />
(1) PELIGNUM - Ita in Codice utroque perspique<br />
legitur. Ed. V. habet Plinthium; haud dubie quia<br />
Plinthium nominat Vitruvius (Lib. IX Cap.9 ubi<br />
agit de horologiorum ratione, et usu). At, si<br />
Vitruvius horologiorum descriptiones<br />
haudquaquam exhibuit, qui fieri poterit, ut sciamus,<br />
Plinthium horologium illud fuisse, quod<br />
hisce in Codicibus Peligni nomine designatur?<br />
Porro, si vocum similitudo duntaxat fuisset attendenda,<br />
Pelecinon (de quo item in commemorato<br />
Capite Vitruvius) pro Pelignum, potius quam<br />
Plinthium, fuisset reponendum. Sed cum desint<br />
Antiquorum monumenta fere omnia, ex quibus res<br />
ab Auctore nostro in Articulo hoc propositae<br />
cognoscantur; atque adeo nullae comparationes<br />
institui queant; plane sequitur, ut haerere aqua<br />
debeat ubi in hoc eodem Articulo affenduntur<br />
varii caliginosi, seu male affecti loci, minime quidem<br />
tentandi; quippe qui sint de genere illorum,<br />
quos neque ipse Apollo illustraverit, aut sanaverit.<br />
(2) ORAM - Ita Ed. V. Est in Cod. R. 1. horarum:<br />
Cod. R. 2. horas.<br />
(3) PONI - Exscripsimus Ed. V. Cum Codices<br />
habeant, pones.<br />
(4) FESTINETUR - Cod. R. 1 festinet: Cod. R. 2 festinatur.<br />
(5) NOTAT - Hic coque Ed. V. secuti sumus: Cod.<br />
R. I, nota ut: Cod. R. 2 notasti.<br />
(6) HEMICYCLIUM - De hoc horologiorum<br />
genere, quod ab Beroso Chaldaeo inventum tradidit<br />
Vitruvius 8loc. cit.) egit Iacobus Zieglerus; de<br />
cujus tamen opusculo opportunius ad commemorata<br />
modo Vitruvii verba dicetur.<br />
(7) UT - Cod R. 1, Sed Cod. R. 2 et Ed. V. ita ut.<br />
(8) INTRORSUS HEMICYCLI - Lectio haec est<br />
Cod. R. 2 In Cod. R. 1 et in Ed. V. est, intro rasu<br />
emicyclio.<br />
(9) HORAM - iTA cOD. r. 1 ET eD. 1 At Cod. R. 2<br />
horas. Lubens scripsissem oram.<br />
(10) GRADIETUR - Verbum ex conjectura eo modo<br />
emendandum putavi. Cod. R. 2 et Ed. V. graditur:<br />
Cod. R. 1 gradiet; et fortasse, illo sequiore aevo,<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
44
gradio etiam, pro gradior, dicebatur.<br />
(11) CONSTRUENDO - Hoc verbum ubique legitur:<br />
crederem tamen, constituendo, esse legendum.<br />
(12) AEQUALI INTERVALLO SIC FIUNT -<br />
Consentiunt Cod. R. 1 et Ed. V. Sed Cod. R. 2 habet;<br />
intervallo aequali eas secant.<br />
(13) HORAM - Sic Ed. V. In Cod. R.1 hora: in Cod.<br />
R. 2 horas. Iterum tentabar, ut reponerem, oram.<br />
(14) DESIGNENT - Ab Cod. R. 1, ab Ed. V. dissert<br />
Cod. R. 2, qui habet, demonstrent.<br />
(15) SINISTRO - Hic quoque dissert Cod. R.2 in<br />
qui, pro sinistro, est alio.<br />
(16) DUCENDAS - Sic emendavimus coniectando.<br />
Codices, dedendas: Ed. V. edendas.<br />
(17) QUONIAM - Ita Codices: Ed. V. quum<br />
(18) EXPECTAT - Id Verbum Codicum est: Ed. V.<br />
spectat.<br />
(19) ORDINAVIMUS - Post hoc verbum (quod<br />
postremum est Art. XXIX, in Cod. R. 1 et in Ed. V.)<br />
in Cod. R. 2 sequuntur haec: Civitatum sane, et<br />
ceterarum rerum institutiones praestanti sapientiae<br />
memorandas relinquimus.<br />
Eodemque in Codice, nimirum Regio 1286. post<br />
hunc Art. XXIX. alius sequitur Articulus, cujus nullum<br />
indicium in Regio Codice 1504. nullum in<br />
Vascosani Editione reperitur. Quae vero de aliis in<br />
eum Codicem insertis Articulis supra dicta sunt<br />
(pag. 187 et pag. 207) eadem de hoc quoque quem<br />
subjeci, dicta intelligantur.<br />
Come risulta evidente la descrizione del Pelignum<br />
non si adatta all'orologio che viene chiamato<br />
Pelecinum per un motivo molto semplice: quest'ultimo<br />
è descritto su una superficie piana, il<br />
pelignum è composto da due lapide marmoree<br />
incernierate, esattamente come l'orologio che<br />
mostra il Vecchio nel mosaico del Landesmuseum.<br />
Faventino è un autore del IV secolo e molto probabilmente<br />
le sue descrizioni sono fatte sulla base di<br />
orologi esistiti a quell'epoca. Ed ecco i particolari<br />
rivelati dallo scrittore anonimo, o Faventino, che<br />
permettono con certezza l'identificazione del<br />
pelignum con l'orologio del mosaico:<br />
1) Faventino parla di uno spigolo coincidente con<br />
la sesta ora (e non della linea meridiana come nel<br />
pelecinon) in quanto l'orologio è composto da due<br />
lastre marmoree incernierate;<br />
2) le due lastre di marmo sono più larghe sopra e<br />
più strette sotto;<br />
3) lo gnomone "è posto nell'angolo più grande<br />
della giuntura, leggermente inclinato, il quale indica<br />
con la sua ombra le ore".<br />
4) Infine dice l'autore: "colloca la parte dell'orologio<br />
che indica la decima ora contro l'Oriente<br />
equinoziale come è conosciuto in molti luoghi,<br />
dagli esempi". Anche questa è un'operazione facilmente<br />
effettuabile solo con uno strumento delle<br />
dimensioni del Pelignum e nel modo indicato dal<br />
Vecchio nel Mosaico. L'autore, inoltre, mette in evidenza<br />
che questo tipo di orologio non è molto preciso,<br />
ed è piuttosto approssimativo: "L'esattezza<br />
per la misura diversa sullo spazio delle ore, non è<br />
da aspettarsi".<br />
Durante le mie ricerche in abbazia, ho avuto la fortuna<br />
di trovare un'altra rappresentazione di questo<br />
Pelignum, anche se in questo luogo non viene<br />
appellato in nessum modo. Il disegno è riportato<br />
nel III tomo dell'enciclopedia settecentesca<br />
"Thesauri Antiquitatum Romanarum<br />
Graecarumque" nel contesto della rappresentazione<br />
di un antico calendario, si dice risalente al<br />
IV secolo. L'immagine raffigura Giugno nudo che<br />
osserva le ore solari sull'orologio solare posto su<br />
una colonna con capitello. E sotto c'è la tetrastica<br />
del poeta Ausone:<br />
AUSONII TETRASTICHON<br />
Nudus membra dehinc solares respicit horas<br />
Iunius, ac Phaebum flectere monstrat iter.<br />
Idem maturas Cereris designat aristas,<br />
Florales que fugas lilia fufa docet.<br />
Anche qui si notano due lastre di marmo a forma<br />
di diedri che sembrano formare un'ascia. Questo<br />
modello però è posato su una colonna. Quello di<br />
treviri potrebbe essere una variante di questo, cioè<br />
portatile. In entrambi i casi una delle due facce<br />
recettrici è in ombra, ad indicare, come dice anche<br />
la tetrastica, che le ore del mattino sono trascorse e<br />
si appresta a ritornare il tramonto. Questo disegno<br />
resta una testimonianza molto preziosa, in quanto<br />
unica nel suo genere. L'unica cosa strana: non si<br />
vede lo gnomone nel disegno, ma potrebbe dipendere<br />
da una mancanza dell'incisore. Fino ad oggi<br />
sono riuscito a trovare solo un'altra rappresentazione<br />
antica di questo orologio, segnalatami peraltro<br />
dal Padre Paul di Roccasecca. Si trova sul sarcofago<br />
cristiano a vasca del Museo Cristiano.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
45
Risale all'età di Gallieno - 253 0 260 d.C. - ed è certamente<br />
un Pelignum.<br />
Prima di concludere su questo orologio, mi sia<br />
consentita un'ultima segnalazione. L'immagine di<br />
Giugno che osserva le ore con il Peligno è riportata<br />
anche nel "Supplement au livre de l'Antiquitè<br />
expliquèe ..." di Bernard de Monfaucon, religioso<br />
benedettino della Congregazione di S. Mauro, del<br />
1724, tomo I. Pl. X. Alla pag. 34 troviamo un forte,<br />
quanto giustificato, accenno di perplessità verso<br />
questo orologio solare fino ad oggi sconosciuto:<br />
"Le quadrant Solaire est d'autant plus remarqucable,<br />
que je me scai si on en trouve quelque autre<br />
dans les monumens des anciens tems qui nous<br />
restent".<br />
Pharetram<br />
L'invenzione della Pharetra è attribuita ad<br />
Apollonio di Perge, uno dei massimi geometri<br />
greci, nato a Perge (Asia Minore), vissuto al principio<br />
del III secolo a.C. Stando a quanto dice il Pasini<br />
81 questa Pharetra (in francese carquois) doveva<br />
essere tra i primissimi modelli di orologi solari orientali<br />
ed occidentali in piano verticale. Per A.<br />
Rehm era una tavoletta verticale orientata secondo<br />
il piano meridiano, con una faccia rivolta ad est e<br />
l'altra ad ovest e ciascuna era munita di un proprio<br />
gnomone. Naturalmente ogni facciata serviva per<br />
metà giornata. Secondo E. Ardaillon, era un orologio<br />
verticale esposto a sud con l'altra facciata rivolta<br />
a nord. In questo modo le linee orarie rappresentarebbero<br />
le frecce che fuoriescono da un "carquois"<br />
(esse divergono a partire dalla base del gnomone),<br />
da cui si ha il nome dello strumento. La<br />
faretra è quell'astuccio portatile contenente le frecce,<br />
usato dagli arcieri. Ma questo potrebbe indurci<br />
a pensare ad un oggetto trasportabile come, in<br />
effetti, lo è la faretra. D'altra parte gli orologi verticali<br />
orientali ed occidentali venivano spesso incisi<br />
anche sulle pareti laterali degli Hemicyclium e non<br />
mi sembrano gran che indicato per il termine<br />
Pharetra.<br />
81 C. Pasini, "Orologi solari", 1900, pag.144<br />
82 Compresa la traduzione dell'Architettura a cira di Berardo Galiani.<br />
83 vedi anche R. Rohr, "Meridiane", Ulisse ed.,Torino 1988<br />
Conum<br />
Il cono è più facilmente identificabile in una superficie<br />
recettrice a forma di cono sulla quale si trava<br />
inciso il tracciato orario. Vitruvio attribuisce l'invenzione<br />
di quest'orologio al maggiore studioso<br />
della geometria delle sezioni coniche, erede delle<br />
ricerche di Archimede.<br />
A questo punto devo constatare che la terminologia<br />
usata da Vitruvio è ancora una volta usurpata<br />
nelle traduzioni moderne. Altre tre specie di orologi<br />
solari egli menziona ed io le trascrivo dalla versione<br />
cinquecentesca:<br />
· gonarchen<br />
· engonaton<br />
· antiboraeum<br />
Questi termini sono rimasti inalterati fino al secolo<br />
scorso 82 . Molti autori, infatti, li nominano nella<br />
stessa maniera. I testi moderni 83 , invece, riportano:<br />
conarachnen, eugeniaton, antiboreum. Come è evidente<br />
le parole sono molto simili, ma è difficile<br />
spiegarsi il motivo del cambiamento. Ad ogni<br />
modo, col termine gonarchen, o conarachnen, si<br />
vuole indicare proprio un tracciato orario a forma<br />
di tela di ragno per una superficie recettrice conica.<br />
In questo strumento lo gnomone rappresenta<br />
l'asse del cono e i cerchi diurni risultano ad esso<br />
perpendicolari. Come è evidente anche la realizzazione<br />
doveva comportare maggiori difficoltà<br />
rispetto al classico Hemicyclium dal quale discende.<br />
Sono molti gli orologi conici scoperti durante scavi<br />
archeologici, soprattutto a Delos, Heraclea, Atene,<br />
Pompei e Fenicia. L'orologio "d'Heraclee du<br />
Latmos", fu trovato nel 1873 ed è firmato da<br />
Themistagoras, figlio di Meniscos d'Alessandria, è<br />
doppio e presenta una superficie conica a Sud e<br />
un'altra a Nord ed è costruito per la latitudine di<br />
37 gradi e 30 primi.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
46
Antiboraeum<br />
Si tratta di un orologio accessorio, probabilmente,<br />
a volte, incorporato negli hemicyclium e rivolto a<br />
nord. Se ne trova uno sul doppio quadrante di<br />
Pergamo, sull'orologio di Tenos e su quello conico<br />
di Apollonio.<br />
Engonato o Eugeniation<br />
Non si sa assolutamente nulla di questo strumento.<br />
Solo nelle Pitture antiche d'Ercolano , tomo III,<br />
del 1762 viene riportato: "l'Engonato, che forse<br />
rappresentava Ercole (si veda Igino "Ast. P. II.6"); e<br />
potea corrispondere all'Ercole Orario, che vedeasi<br />
in Ravenna, delineato da Gabriel Simeoni "Illustr.<br />
degli Epit. e Med. ant. p. 80". Questo Ercole Orario,<br />
che secondo l'antico autore poteva anche identificarsi<br />
con l'Engonato di Vitruvio, l'ho ritrovato in<br />
un dizionario delle antichità greche e romane del<br />
secolo scorso. Così dice a proposito di questa<br />
immagine che è inserita nella spiegazione<br />
dell'Hemisphaerium: "The illustration represent a<br />
statue of Atlas, formerly standing in the centre of<br />
Ravenna (Simeoni, Epitaffi antichi, Lione, 1557),<br />
which affords an appropriate design for a dial of<br />
this description; and indicates that the hemisphaerium<br />
was erected in an upright position,<br />
whereas the discus, which was also circular, was<br />
laid flat upon its stand: and that constitutes the difference<br />
between them".<br />
Anche un certo cavatum plinthium viene elencato<br />
oggi come un orologio solare a parte. Tuttavia nell'elenco<br />
di Vitruvio non appare.<br />
Infine vi sono i viatoria pensilia, cioè gli orologi<br />
solari portatili da viaggio di cui ora ne<br />
esaminereno alcuni tra i più interessanti.<br />
Si ritiene che il costume di portare in giro orologi<br />
sia antichissimo. L'antico poeta Comico Batone,<br />
citato presso Ateneo 84 dice:<br />
Poi di buon mattino porti in giro l'ampolla<br />
guardando attentamente l'olio, di modo che<br />
alcuno crederà, che tu porti in giro un<br />
Orologio, non già un'ampolla.<br />
84 Lib. IV. 17, pag. 163<br />
Anche lo storico francese Casaubon deduce da<br />
queste parole, pensando a quelle di Vitruvio, che<br />
gli orologi portatili devono avere radici molto profonde<br />
nella storia. Ma sembra che il poeta parli, in<br />
quel luogo, di un orologio ad acqua, mentre quelli<br />
di Vitruvio sono a Sole. Nelle cerimonie sacre degli<br />
Egizi "Compariva tra gli altri Ministri anche<br />
l'Oroscopo: il quale portava in mano un Orologio,<br />
e una palma, simboli dell'Astrologia". Ma presso<br />
tutte le fonti antiche è facile dimostrate che trattavasi<br />
di orologi ad acqua. Quelli cui allude<br />
Vitruvio, comunque, non hanno nulla a che fare<br />
con gli orologi dell'epoca del Poeta Batone. Essi<br />
furono detti pensili da viaggio perchè avevano<br />
dimensioni davvero molto ridotte, tanto da poter<br />
essere comodamente sospesi nell'aria per la lettura<br />
dell'ora. Naturalmente essi erano orologi d'altezza,<br />
cioè il loro funzionamento era basato sul calcolo<br />
dell'altezza del sole sopra l'orizzonte locale.<br />
Purtroppo però Vitruvio non menziona nessun<br />
tipo di questi orologi, ma per fortuna alcuni di essi<br />
ci sono giunti in originale, portati alla luce durante<br />
scavi archeologici. Nei testi letterari non si trovano<br />
citazioni di oggetti di questo genere. Solo in un<br />
passo di Pertinace si legge qualcosa che richiama<br />
l'attenzione in proposito; il passo è ricordato dal<br />
Soubiran: "Seul Julius Capitolinus, racontant<br />
(Pertinax, VIII) la vente des biens de Commode<br />
par son successeur, en 193, mentionne "alia iter<br />
metientia horasque monstrantia", compteurs de<br />
vitesse et horloges portatives dont certaines<br />
voitures étaient munies".<br />
In genere gli orologi solari portatili ritrovati sono<br />
soprattutto del genere ad anello e alcuni arrivano<br />
ad avere dimensioni davvero ridotte: dell'ordine<br />
dei 3 centimetri di diametro. Soubiran fa una piccola<br />
lista di questi oggetti rinvenuti in varie<br />
epoche:<br />
· l'orologio di Forbach, una specie di sestante rudimentale<br />
che segna l'ora solo per mezzo della<br />
misura dell'altezza del sole sull'orizzonte, ma più<br />
che un orologio portatile è da viaggio. Dimensioni:<br />
52 mm di diametro.<br />
· l'orologio di Aquileia I di 31 mm di diametro;<br />
· l'orologio di Aquileia II (39 mm di diametro);<br />
· l'orologio del museo Kircheriano di Roma;<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
47
· l'orologio di Mayence che è il più grande con un<br />
diametro di 68 mm.<br />
Secondo Soubiran, il primo scritto che riguarda<br />
l'orologio del museo Kircheriano, risalirebbe al<br />
1891, a cura di A. Schlieben (Ann. d. Ver. f.<br />
Nassauische Altert. kunde, XXIII p. 115 seq.). Uno<br />
studio approfondito dello strumento, invece fu<br />
effettuato dal noto astrofisico Padre Angelo Secchi,<br />
e pubblicato in un articolo sulla rivista Civiltà<br />
Cattolica, anno ottavo, terza serie, volume sesto,<br />
alle pagg. 97-101 85 .<br />
L'orologio fu donato dal Cavaliere Luigi Vescovati<br />
al Museo Kircheriano di Roma (ora museo<br />
Preistorico ed Etnologico). La sua forma è quello<br />
dell'anello astronomico descritto da Gemma Frisio<br />
nel secolo XVI: si tratta di una scatola rotonda di<br />
circa 5 cm di diametro, sulla cui superficie vi era<br />
un appiccagnolo per mezzo del quale veniva<br />
sospeso in aria e rivolto verso il sole per il lato in<br />
cui era stato aperto un forellino, destinato ad introdurre<br />
nella scatola il raggio di luce. Le linee rette<br />
che si vedono incise sul fondo della scatola e che<br />
partono tutte da un comune centro, servono a<br />
dividere le linee dei mesi, cioè le curve diurne,<br />
contrassegnate dai rispettivi nomi. Nel centro<br />
orario vi è impiantato un indice che ruota attorno<br />
al suo perno parallelamente al piano dell'orologio;<br />
esso serve da pendolino per collocare lo strumento<br />
in giusta posizione. Per leggere l'ora basta osservare<br />
su quale punto della linea mensile, nel mese<br />
corrente, cade il raggio di luce che passa attraverso<br />
il forellino. L'età di questo orologio ci è data dal<br />
ritratto dell'Imperatore Commodo che si vede sul<br />
rovescio. Siccome qui egli assume l'imperiale<br />
acclamazione di Britannico, potrebbe essere anteriore<br />
all'anno 189 di Cristo, nel quale Commodo<br />
cominciò a far uso di tale titolo.<br />
Per intero la frase è:<br />
M. COMMODVS. ANTONIVS. PIVS. FELIX.<br />
AVG. BRIT.<br />
Vi è omesso il nome Aurelius, come manca pure<br />
l'appellativo IMP.<br />
Le caratteristiche tecniche sono così descritte nell'articolo:<br />
1) L'orologio è destinato a dare le ore mediante l'altezza<br />
del sole, collocato che esso sia nel piano verticale<br />
che passa per quest'astro.<br />
2) Le ore sono temporarie, cioè di lunghezza variabile<br />
secondo le stagioni, come adoperavansi nell'uso<br />
civile dai Romani.<br />
3) Le linee mensili, la cui intersezione col raggio<br />
solare dà per tutti i giorni del mese rispettivo il<br />
corso delle ore, vengono perciò divise in sei parti,<br />
rispondenti alle sei ore dell'arco semidiurno.<br />
4) Le curve mensili non sono già archi di circolo,<br />
ma prendono dalla costruzione stessa alcune piccole<br />
irregolarità indicate nell'orologio con alcune<br />
flessioni.<br />
5) Il principio di costruzione non differisce molto<br />
dall'anello astronomico, ma il promo ha sul secondo<br />
il vantaggio che mediante l'introduzione di un<br />
raggio di sfera variabile con le diverse declinazioni<br />
solari, le linee e le divisioni orarie vengono molto<br />
ben sviluppate e distese, soprattutto verso il mezzodì<br />
e nell'inverno. Con questo, quindi, si evita il<br />
difetto comune a tutti gli orologi della specie ad<br />
anello che per certe ore e stagioni hanno il campo<br />
troppo rostretto per il tracciato orario e di conseguenza<br />
sono molto inesatti nelle indicazioni.<br />
Il secondo orologio portatile, pensile, di cui vorrei<br />
trattare più diffusamente è il famoso prosciutto di<br />
Portici (jambon de Portici), del quale si è molto<br />
parlato, senza tuttavia verificare mai l'esatteza di<br />
ciò che si è detto.<br />
85 Vedi <strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong>, "Un antico orologio solare di epoca romana conservato nel Museo Kircheriano di Roma", relazione presentata<br />
al 4 Seminario Nazionale di Gnomonica tenutosi a Crespano del Grappa nel 1992.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
48
fig. 11 Rappresentazione di diversi tipi di orologi solari di epoca greco-romana ritrovati durante scavi archeologici.<br />
Al centro della pagina, a sinistra, si vede un orologio portatile rotondo che potrebbe essere simile al pros ta<br />
istorumena. (da J. Soubiran, Commentario al libro IX dell’Architettura di Vitruvio Pollone, ed. Le Belles lettres,<br />
Parigi, 1969).<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
49
fig. 12 Eccezionale immagine di un astrolabio antico,<br />
conservatosi nel tempo grazie a quanto lo usarono<br />
come soprammobile. Non si sa dove e quando fu rinvenuto<br />
e da chi. L’unica descrizione, in cui si cerca di<br />
darne la teoria, ci è pervenuta dal matematico canonico<br />
Giuseppe Settele che ne parlò nell’adunanza<br />
dell’Accademia Romana di Archeologia il 22 maggio<br />
del 1817. Egli stesso lo data al terzo secolo d.C., e dice<br />
che fu costruito per una latitudine di circa 46 gradi.<br />
Come si vede, fa parte sicuramente della famiglia di<br />
astrolabi sferici che furono oggetto di studio da parte<br />
degli astronomi arabi, circa mille anni dopo. È probabile<br />
che la lettera di Sinesio a peonio sul dono dell’astrolabio,<br />
quando parla di materia globosa, si riferisca<br />
proprio ad uno strumento simile. (Biblioteca di<br />
Montecassino)<br />
fig. 13 Orologio solare del tipo hemicyclium, noto<br />
come “quadrante di Pergamo”. (Biblioteca di<br />
Montecassino)<br />
fig. 14 Classico hemicyclium di ottima fattura, sicuramente<br />
costruito in un’epoca in cui l’artigianato gnomonico<br />
aveva raggiunto alti livelli di tecnica.<br />
(Biblioteca di Montecassino)<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
50
22<br />
LA VERA <strong>STORIA</strong> DEL<br />
PROSCIUTTO DI PORTICI<br />
La vera storia del prosciutto di Portici è contenuta<br />
nel Tomo III delle Pitture Antiche d'Ercolano, pubblicato<br />
a Napoli nel 1762. Si tratta, inoltre, del<br />
primo rapporto completo e preciso sullo strumento<br />
ritrovato, come precisano gli autori anonimi dell'articolo:<br />
Noi diamo questo bronzo (l'orologio,<br />
n.d.A.) come inedito; non avendone finora il pubblico<br />
veduto il vero disegno, nè l'esatta<br />
descrizione. Peraltro si ha una lunga discussione<br />
su una inesatta descrizione di un autorevole studioso<br />
pubblicata nella famosa Encyclopedie ou<br />
dictionnaire raisonnè des sciences des arts et des<br />
metiers di M. Diderot e M. D'Alembert. Non avendone<br />
trovato riferimenti in altri testi di<br />
Gnomonica, ritengo sia importante trascrivere qui<br />
il testo originale, sia per i dettagli descrittivi che<br />
per il valore del documento storico:<br />
Il dotto Autore dell'Art. Gnomonique nel To. VII<br />
dell'Enciclopedia ha voluto darne una idea, e si è<br />
spiegato così: "On a trouvé dans les ruines<br />
d'Herculanum un cadran solaire portatif. Ce cadran<br />
est rond et garni d'un manche , au bout du quel<br />
est anneau, qui servoit sans doute à suspendre le<br />
cadran par-tout òu l'on vouloit, Tout l'instrument<br />
est de metal, et un peu convexe par ses deux surfaces:<br />
il y a d'un còté un stilet un peu long et dentelé,<br />
qui fait environ la quatrieme partie du diametre<br />
de ce instrument. L'une des deux superficies,<br />
qu'on peut regarder comme la surfaces superieure,<br />
est toute couvert d'argent, et divisèe par douze<br />
lignes paralleles, qui forment autant de petits<br />
quarrés un peu creux; les fix derniers quarrés, qui<br />
sont termines par la partie inférieure de la circonférence<br />
du cercle, sont disposés comme on va voir,<br />
et contiennet les caracteres suivans, qui sont les lettres<br />
initiales du nom de chaque mois.<br />
JU. MA. AV. MA. FE. JA.<br />
JU. AV. SE. OC. NO. DE.<br />
La facon, dont sont disposés ces mois, est remarquable<br />
en ce qu'elle est en boustrophedon..................<br />
On pourroit croire, que cette disposition des mois<br />
sur le cadran vient de ce que dans les mois, qui<br />
sont l'un au-dessus de l'autre, pa exemple, en Avril<br />
et Septembre, le soleil se trouve à-peu-près à la<br />
méme hauteur dans certains jours correspondans:<br />
mais en ce cas le cadran ne seroit pas fort exact à<br />
cet égard; car cette correspondance n'a guere lieu<br />
que dans les deux premieres moities de chacun de<br />
ces mois: dans les quinze derniers jours d'Avril le<br />
soleil est beaucoup plus haut, que dans les quinze<br />
derniers de Septembre; il en est ainsi des autres<br />
mois".<br />
I falsi rapporti, a cui egli si è attenuto, hanno<br />
ingannato lui, come più volte è avvenuto ad altri,<br />
che con più vivacità, che giudizio, e sofferenza si<br />
sono affrettati a parlar delle antichità d'Ercolano; e<br />
egli han fatto scrivere quel, che non è, e dare una<br />
relazione di questo bronzo falsissima. Poichè<br />
primieramente le due superficie del nostro orologio<br />
non sono nè convesse, com'egli suppone, nè<br />
concave, ma irregolari, come quelle appunto di un<br />
presciutto, che in un punto si alzano, in un altro si<br />
abbassano, e in qualche parte sono piane. Lo stilo<br />
poi dentato, ch'egli rammenta, e che secondo lui<br />
forma la quarta parte del diametro dello strumento,<br />
non è in verità che un pezzo della coda troncata<br />
del presciutto, il quale non ha denti di sorta<br />
alcuna: nè sa vedersi di qual diametro sia questo la<br />
quarta parte. E' falso inoltre, che la superficie superiore<br />
sia coverta d'argento; mentre non solo questa,<br />
ma tutto intero il pezzo mostra essere stato una<br />
volta inargentato per le chiare tracce, che se ne<br />
ravvisano da per tutto; e specialmente nella superficie<br />
inferiore, e tra le increspature della cotenna<br />
presso il grasso del presciutto.<br />
E' falso ancora, che la superficie superiore sia<br />
divisa da dodici linee parallele, che formano tanti<br />
piccoli quadrati: poichè le linee, come ognuno<br />
vede, non sono dodici, ma quattordici; delle quali<br />
sette soloe sono rette, e parallele tra solo; e le altre<br />
sette non sono ne rette in tutto, nè parallele, ma<br />
composte di più picciole rette l'una all'altra varia-<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
51
mente inclinate: e quindi è chiaro, che dall'incontro<br />
delle prime colle seconde non può essere divisa la<br />
superficie in quadrati. E' anche falso, che i quadrati<br />
sieno un poco incavati; mentre la natura delle<br />
porzioni della superficie comprese dalle suddette<br />
linee è la stessa della natura della superficie intera,<br />
cioè in parte convessa, in parte concava, in parte<br />
piana. E' falso altresì, che i sei ultimi quadrati sieno<br />
terminati dalla circonferenza del cerchio, del quale<br />
nel nostro bronzo (orologio) non sa trovarsene vestigio<br />
alcuno: nè i caratteri iniziali de' mesi sono<br />
contenuti ne' quadrati, e disposti nella maniera,<br />
che rappresenta la suddetta figura portata<br />
nell'Enciclopedia; essendo la disposizione nel<br />
bronzo diversa, e i caratteri non sono compresi, ne<br />
divisi da linea alcuna. Nulla ci è finalmente di misterioso,<br />
e straordinario nella disposizione de' mesi,<br />
che tanto si rileva, e che si caratterizza col nome di<br />
"boustrophedon", Il nostro orologio, ch'è verticale,<br />
necessariamente dee essere descritto colle "ombre<br />
verse", la lunghezza delle quali nell'ingresso del<br />
Sole in ciascun segno dello zodiaco è rappresentata<br />
secondo le regole della Gnomonica dalle sette<br />
linee parallele, e verticali. Ora essendo piaciuto<br />
all'autore dell'istrumento di far servire di gnomone<br />
la punta della coda del presciutto, e avendo<br />
collocata questa a sinistra, necessariamente dovea<br />
collocare a destra nell'ultimo luogo l'ombra più<br />
corta del Solstizio di Capricorno, ch'è il primo de'<br />
segni ascendenti, e a sinistra nel primo luogo la<br />
più lunga del solstizio di Cancro, ch'è il primo de'<br />
Segni discendenti; e tra mezzo a queste successivamente<br />
le altre cinque, ciascuna delle quali corrispondente<br />
al principio di due Segni, l'uno ascendente,<br />
e l'altro discendente, che per essere ugualmente<br />
distanti da' due primi, hanno l'istessa declinazione,<br />
e la stessa ombra. Onde nel quarto luogo,<br />
ch'è quel di mezzo, sta collocata l'ombra<br />
equinozziale dell'Ariete e della Bilancia, che sono<br />
distanti per 90 gradi dall'uno, e dall'altro punto<br />
solstiziale; nel secondo quella de' Gemelli, e del<br />
Leone, che diatano dal Cancro per gradi trenta; nel<br />
terzo le altre del Toro, e della Vergine, che ne sono<br />
lontani per sessanta gradi: nel quinto l'ombra del<br />
Sole nel principio di due segni corrispondenti de'<br />
Pesci, e dello Scorpione distanti dal Solstizio di<br />
Capricorno per gradi sessanta: e finalmente nel<br />
sesto quella dell'Aquario, e del Sagittario, che ne<br />
sono lontani per trenta gradi. Oltre a ciò perchè<br />
all'autore dell'orologio era noto, che il Sole percor-<br />
reva i Segni ascendenti ne' primi sei mesi dell'anno,<br />
e i discendenti negli altri sei ultimi; per<br />
esprimere i tempi del successivo avanzamento del<br />
Sole da un segno all'altro (il che, come si dirà,<br />
importava molto per l'uso del suo orologio), non<br />
potea fare a meno di non segnare il mese di<br />
Gennaro tra le linee del Capricorno, e<br />
dell'Aquario: il mese di Febbraro tra l'Aquario, e i<br />
Pesci: e così di mano in mano tutti i primi sei mesi<br />
sino a Giugno tra i Gemelli, e 'l Cancro..(....).<br />
Dopo tutto ciò non crediamo necessario dilungarci<br />
sopra quel che si dice nella Prima Parte di un libro<br />
intitolato Monumenta Peloponnesia, in cui si legge<br />
lo stesso articolo della Enciclopedia, con buona<br />
fede trascritto, senza neppure omettersi il boustrophedon.<br />
E veramente sarebbe stato desiderabile,<br />
che l'Editore avesse usata la stessa buona fede nel<br />
citare l'illustre Autore, ch'ei trascriveva. Ma il<br />
piacere di volersi obbligare il pubblico, com'egli<br />
dice, nel comunicargli un pezzo inedito, non solo<br />
gli ha fatto tacere l'Enciclopedia, che l'avea prevenuto<br />
in tal notizia, ma l'ha sedotto ancora ad<br />
aggiungnervi del suo tutto quel, che aggiunto<br />
rende l'opera sua più mancante. Manca la Storia;<br />
poichè dice averne avuto il disegno nel 1754 e<br />
l'istrumento fu trovato il dì 11 Giugno del 1755.<br />
Manca l'Astronomia, colla quale se ne dovea fare<br />
la spiegazione; poichè ei ci da segni bastanti di<br />
avere studiato tutt'altro, che quella scienza. Manca<br />
la figura; poichè in vece di un presciutto, quale è<br />
veramente quella di questo bronzo, egli ci da una<br />
caraffa. E se tutt'altro vi fosse, manca la circospezione,<br />
la cautela, la continenza, il rispetto nel<br />
voler prevenire un Sovrano, che ha presa la cura di<br />
far pubblicare il suo Museo...."<br />
La circospezione e la diligenza usata dagli autori<br />
di questo articolo delle Antiche Pitture d'Ercolano,<br />
invece, mette in mostra la superficialità e l'incuranza<br />
alle fonti storiche originali degli autori moderni.<br />
Valga il solo esempio della bruttissima figura<br />
di questo orologio pubblicata sul libro "Meridiane"<br />
(Ulisse edizioni, 1988) del pur autorevole R. Rohr.<br />
Un altro quesito, forse meno importante ma che<br />
suscita molta curiosità, che si sono posti gli autori<br />
dell'articolo è perchè l'antico autore abbia scelto un<br />
prosciutto per disegnarci un orologio solare sopra.<br />
Ed ecco cosa ne pensarono: "Per da ragione di<br />
questo scherzo dell'artefice di aver fatto l'Orologio<br />
sopra un presciutto, si pensò o che si fosse voluto<br />
alludere al cognome dell'artefice stesso, o del<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
52
padrone dell'Orologio, forse de' Suilli: Grutero p.<br />
CIV.&. o che avesse il sopranome di Perna: come<br />
altri l'ebbe di Scrofa: Macrobio Sat. I.6.". Le sette<br />
linee trasversali danno le dodici ore temporarie del<br />
giorno "cosicchè l'ombra del gnomone scendendo<br />
di passo in passo per ciascuna di esse, nel toccar la<br />
linea seconda (contando dalla parte di sopra in<br />
giù) dinotava l'ora prima dalla nascita del Sole: la<br />
linea terza la seconda ora: la linea quarta l'ora<br />
terza: la linea quinta l'ora quarta: la linea sesta l'ora<br />
quinta: e la linea settima l'ora sesta, o sia il mezzodi;<br />
dopo del quale risalendo su l'ombra, la linea<br />
sesta segnava l'ora settima ( o sia la prima dopo<br />
mezzodì): la linea quinta la ottava ora: la linea<br />
quarta l'ora nona: la linea terza l'ora decima: la<br />
linea seconda l'ora undecima: e la linea prima l'ora<br />
duodecima, in cui il Sole tramontava". Con la stessa<br />
cristallina chiarezza è esposto l'uso pratico dello<br />
strumento: "Ora per far uso di questo Oriuolo, convien<br />
prima sospenderlo pel suo anello, sicchè dal<br />
proprio peso resti verticalmente equilibrato; e<br />
quindi rivolgere al Sole non già la faccia<br />
dell'Orologio, ma il fianco solo, ove sorge il gnomone,<br />
con disporlo in modo, che l'ombra di questo<br />
vada a incontrare il luogo del Sole nell'Eclittica<br />
indicato dalle linee verticali: poichè allora l'ombra<br />
stessa mostrerà l'ora, che si cerca, sulle linee orarie<br />
86 . Essi, ancora, calcolarono, che l'orologio fu realizzato<br />
per la latitudine di 41 gradi 39 primi e 45<br />
secondi, che curiosamente corrisponde oggi esattamente<br />
a quella del mio paese di residenza<br />
Roccasecca Scalo (FR), e pensarono che originariamente<br />
fu costruito per la latitudine di Roma. Infine<br />
un'altro mirabile tentativo fu quello di calcolare<br />
l'obliquità dell'eclittica ai tempi che fu fatto l'orologio,<br />
per mezzo dell'osservazione delle ombre tra<br />
alcune linee orarie scelte, allo scopo di dedurne la<br />
data di fabbricazione. Il risultato fu di 23 gradi 46<br />
primi 30 secondi che paragonata ai 23 gradi 28<br />
primi e 18 secondi corrispondenti alla data di com-<br />
pilazione dell'articolo, se ne dedusse una diminuzione<br />
di 18 primi e 12 secondi "...Onde secondo il<br />
calcolo, e l'osservazione del Cav. de Louville<br />
diminuendosi l'inclinazione dell'Eclittica di 21<br />
primi in 2000 anni, l'epoca del nostro orologio verrebbe<br />
a ricadere verso l'anno 28 di Cristo". Il Rohr<br />
lo data al I secolo d. C., così gli altri autori.<br />
fig. 15 Due diversi disegni,<br />
molto approssimativi, dell’orologio<br />
solare portatile denominato<br />
Prosciutto di portici.<br />
86 Gli autori eseguirono anche un esperimento pratico sull'orologio per verificare l'esatta rispondenza del tracciato orario: "Ma<br />
come alla coda del presciutto, la punta della quale, come si è accennato, faceva le veci del gnomone, manca un pezzetto; per restituirvelo, e<br />
indagare nel tempo stesso il punto determinator dell'ombra, si è tenuto questo metodo. Essendo noto, che n' soli tempi degli equinozzi le ore<br />
degli antichi convengono colle nostre, si scelse il dì venti di Marzo, o sia il giorno dell'Equinozio di primavera, per far l'osservazione; ed<br />
essendosi tentando supplita con cera la porzione mancante della coda, si prolungò sino al piano della prima linea oraria, e si dispose in maniera<br />
l'estremità della sua punta, che scorrendo l'ombra sua sulla quarta linea verticale, o sia parallelo dell'equinozziale, esattamente andasse a<br />
dinotare l'ora prima del giorno, computandola dallo spuntar del Sole sull'orizzonte; e con maraviglia si osservò, che fedelmente seguitò a<br />
notare con esattezza tutte le altre undici ore del giorno; a riserva delle sole ore seconda, e decima, che sono rappresentate dalla terza linea<br />
trasversale, con un divario, che non è più di due in tre minuti".<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
53
fig 16<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
54
Per completare questo lungo capitolo sulla gnomonica<br />
ellenica, vorrei spendere due parole su uno<br />
tra i più noti e curiosi monumenti gnomonici: la<br />
Torre dei Venti di Andronico Cyrreste ad Atene. Si<br />
tratta di una torre ottagonale dove sulla parte<br />
superiore di ogni facciata vi è riportata, in rilievo,<br />
una figura che rappresenta i vari venti. Sotto ogni<br />
figura, su ogni lato della torre, è possibile ammirare<br />
delle linee orarie antiche che rappresentano<br />
orologi solari ad ore temporarie, provvisti, miracolosamente,<br />
ancora dei loro gnomoni orizzontali.<br />
Cosa strana: è difficilissimo reperire notizie<br />
storiche su questo antico monumento nei libri del<br />
passato. Ancora una volta, quindi, faccio riferimento<br />
all'erudito Claudio Salmasio 87 . Un passo di<br />
Vitruvio fa pensare che la torre, originariamente<br />
fu concepita come indicatore dei venti: "Et ita est<br />
machinatus, ut vento circumageretur, et semper<br />
contra ventum consisteret, supraque imaginem<br />
flantis venti virgam indicem teneret". E subito<br />
dopo adattata a monumentale orologio ad acqua.<br />
Salmasio riporta anche un'antica citazione: "Ille<br />
similem rationem colligendi, qua ex parte venerit<br />
ventus, in onithone villae fabricatam, atque eam<br />
quam Athenis collocaverat Andronicus, exponit<br />
lib. III, cap. V de R.R his verbis: - In eodem hemisphaerio<br />
medio circum cardinem est orbis ventorum<br />
octo, ut Athenis in horologio, quod fecit<br />
Cyrrestes. Ibique eminens radius a cardinem ad<br />
orbem ita movetur, ut eum tangat ventumqui flet,<br />
ut intus scire possis - ". Dice ancora Salmasio che<br />
sulla Torre ottagonale di Andronico vi era collocato<br />
un Tritone (Dio marino, figlio di Nettuno) di<br />
bronzo sopra ogni immagine dei venti e con un<br />
indice indicava il vento che soffiava. Egli crede di<br />
aver individuato questo nel passo di Vitruvio: "...et<br />
ita est machinatus, ut vento circumageretur, et<br />
23<br />
LA TORRE DEI VENTI<br />
fig. 17 La Torre dei venti,<br />
nell’Agorà di Atene, con la<br />
rappresentazione degli<br />
orologi solari. (Biblioteca di<br />
Montecassino)<br />
87 C. Salmasio, op. cit. , pag. 881<br />
88 Per completezza di esposizione riporto l'intero passo originale di Salmasio che può essere di molto interesse per lo studioso:<br />
"Sed quare horologium vocat Varro illam machinam, quae ventis tantum explorandis noscendisque era facta? An quia adjectum et<br />
horologium ut in ornithone Varronis? Non puto, nec hoc dicit Vitruvius. Praetera divisae sunt machinae, et nominibus distinctae, quae horas<br />
ostendunt, et quae ventos. Fortasse Varro scripserat: "In aurologio, quod fecit Cyrrestes". Quod postea mutatum librariorum vitio in<br />
orologium. Ut cautes, cotes: cauda, coda. Et similia".<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
55
semper contra ventum consisteret, supraque imaginem<br />
flantis ventii virgam indicem teneret" 88 .<br />
Queste le poche informazioni che abbiamo sul<br />
famoso monumento di Andronico. E' importante<br />
almeno la testimonianza di Varrone dalla quale si<br />
apprende che l'autore dell'opera fu proprio<br />
Andronico Cirreste. Ma gli autori moderni sostengono<br />
tesi diverse secondo cui se Andronico realizzò<br />
il monumento originale, gli orologi solari tracciati<br />
sulle superfici della torre sono attribuiti ad<br />
un'artista di epoca posteriore, vissuto presumibilmente<br />
attorno al primo secolo d.C. E questo<br />
spiegherebbe perfettamente perchè Vitruvio non<br />
abbia fatto menzione alcuna di questi orologi, pur<br />
parlando dei venti che rappresentava la Torre, e<br />
come Varrone parli di un solo orologio, al singolare<br />
quindi, evidentemente ad acqua, e non degli<br />
otto orologi solari. La Torre dei Venti è anche il più<br />
antico monumento che mostri orologi solari declinanti<br />
dai punti cardinali e alla stessa categoria<br />
appartiene un orologio solare quadruplo 89 firmato<br />
da Phaidros, figlio di Zoilos 90 .<br />
Dopo lo scritto di Vitruvio, un grande vuoto arriva<br />
per inaridire ciò che è stato un fertile campo, quello<br />
della Gnomonica, appunto, perla della Mathesis<br />
ionica, e trasmessa poi all'arte latina.<br />
fig. 18<br />
89 Delambre, Hist. de l'Astron. ancienne, pag. 504 e seg.<br />
90 Oltre alle precise relazioni di Delambre sugli orologi solari della Torre dei Venti, si può leggere ai tempi nostri l'eccellente articolo<br />
del Prof. Amm. Girolamo Fantoni, "La Torre dei Venti", in "Orologi le misure del tempo", ed. Technimedia, n. 5, 1989<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
56
24<br />
ERUDIZIONI OTTOCENTESCHE<br />
SU ALCUNI MONUMENTI<br />
GNOMONICI DELL’ANTICHITÀ.<br />
GLI OROLOGI ANTICHI RITROVATI<br />
E' difficile dire quanti e quali siano stati gli orologi<br />
solari scoperti negli scavi archeologici, o per puro<br />
caso, da contadini e viaggiatori, dall'antichità ad<br />
oggi. Ed è quindi impossibile pretendere di farne<br />
un elenco completo, o dettagliato. Attenendomi<br />
alle poche fonti che sono riuscito, con non poca fatica,<br />
a reperire, vorrei ora elencare almeno sommariamente<br />
alcuni esemplari tra i più importanti.<br />
Il ritrovamento di questi monumenti storici ha<br />
dato luogo, nei secoli passati, soprattutto verso la<br />
fine del settecento e per tutto il secolo XIX, ad<br />
aspre polemiche tra gli studiosi della materia. Le<br />
ipotesi e le descrizioni erano formulate giorno per<br />
giorno, ogni volta che qualche reperto nuovo, con<br />
qualche particolare in più alimentava i dubbi, o li<br />
eliminava. Tali polemiche e scontri di opinioni,<br />
hanni ispirato le migliori menti dell'epoca a scrivere<br />
interessantissime erudizioni e dissertazioni<br />
sull'argomento, le quali a tutt'oggi sono praticamente<br />
sconosciute al grande pubblico, se non a<br />
pochi interessati. Essendo questo il primo libro di<br />
storia della gnomonica che viene scritto attualmente,<br />
vorrei dare spazio per qualcuna di queste<br />
erudizioni e proporre al lettore le parti più interessanti.<br />
Come abbiamo visto, il primo ritrovamento di un<br />
orologio solare antico appartenente alla categoria<br />
Hemicyclium, è avvenuto sull'antica villa<br />
Rusinella, sul Tuscolo, da parte del Prof.<br />
Astronomo Ruggero Boscovich, nel 1746. Il<br />
Soubiran ricorda, di questo tipo, l'orologio di<br />
Cannstatt, il doppio orologio di Pergamo con due<br />
gnomoni e lo scafio di Berlino n. 1049. Poi l'orologio<br />
della Villa degli Orti Palombara a Roma, di<br />
epoca imperiale, con iscrizioni greche e linee mensili<br />
con iscrizioni, l'orologio di Pompei e quello di<br />
Andronico Cyrreste a Tenos, che sembra avere<br />
anche la caratteristica di orologio Antiboraeum,<br />
con orologi verticali sulle facce laterali. Il<br />
Dizionario delle Antichità Greche e Romane (Paris,<br />
1899), ci dice che di questi orologi il museo del<br />
Louvre ne possiede due, così pure il Museo<br />
Vaticano, di cui uno porta delle iscrizioni in greco<br />
indicanti i mesi dell'anno e i segni dello Zodiaco.<br />
Altri esemplari se ne vedono al Museo "du<br />
Capitole", al museo Kircheriano, al British<br />
Museum e al Museo centrale di Atene. Quattro<br />
orologi solari della stessa categoria sono stati<br />
ritrovati ad Aquileia. Nei secoli scorsi, nel Museo<br />
Kircheriano di Roma, erano conservate varie<br />
meridiane, tra cui sicuramente anche quella<br />
ritrovata dal Boscovich sulla villa del Tuscolo, ed<br />
attualmente le schede relative agli orologi solari<br />
sono sette, di cui una specifica anche il luogo del<br />
ritrovamento che è Riano. Non tutti sono però<br />
appartenenti al genere Hemicyclium.<br />
Di questi orologi se ne sono ritrovati altri fino ai<br />
nostri tempi, molti sono sconosciuti in quanto la<br />
loro esistenza non è divulgata adeguatamente e<br />
quasi sempre finiscono nei locali musei municipali<br />
del Comune in cui sono stati rinvenuti, come nel<br />
caso dell'Hemicyclium di Montefiore dell'Aso<br />
(AP), scoperto nel 1989 da chi scrive e da<br />
Ferdinando Cancelli di Torino, durante una<br />
passeggiata ricreativa in caccia di meridiane, mentre<br />
si svolgeva il secondo Seminario nazionale di<br />
Gnomonica a Monterubbiano.<br />
Altri esemplari sono stati catalogati e fotografati<br />
dal Prof. Alberto Cintio di Fermo.<br />
Vengono poi i cosiddetti Pelecinum di cui abbiamo<br />
già parlato e di cui ricordiamo quello di Delos, che<br />
sembra essere il più antico; il pelecinum di<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
57
Pompei, quello di Aquileia, di Roma e di<br />
Wiesbaden. Vengono poi gli orologi conici: quello<br />
di Apollonio , del Pireo, di Pompei, di Ercolano, di<br />
Roma e di Berlino, mentre il Dizionario citato segnala<br />
pure, e per primo, quello di Délos, poi uno di<br />
Atene, e uno di Fenicia.<br />
Altri autori del settecento hanno citato orologi<br />
solari antichi sconosciuti. Certamente singolari<br />
sono quelli descritti in alcune opere, tra cui quello<br />
riportato dal Simeoni negli Epitaffi e Medaglie<br />
antiche a pag. 80. Siccome in quest'orologio si<br />
notano incisi alcuni numeri arabi, si è sempre<br />
messa in dubbio la sua antichità. Un altro scafio è<br />
descritto dal Signor Carlo Antonini nel Tomo II dei<br />
Candelabri antichi, senza riportare alcuna illustrazione.<br />
Nell'Appendice del IV libro dei<br />
Commentari del Lambecio (pag. 282), si riporta la<br />
figura di un altro orologio verticale fatto in foggia<br />
di scure che l'autore vuole sia il Pelecinon di<br />
Patrocle, ma dalla descrizione dell'anonimo scrittore<br />
che abbiamo visto prima, risulta essere il<br />
Pelignum. Un altro orologio scomparso è quello<br />
citato dal Boissardo, dal Grutero e dal Simeoni, op.<br />
cit., pag. 46, visto su un Calendario antico nel<br />
Palazzo della Valle, di forma cilindrica scavata, e<br />
con due altri orologi verticali disegnati sui lati,<br />
tutti e tre comunque mancanti delle linee solstiziali,<br />
ed equinoziale.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
58
25<br />
UN IMPORTANTE RITROVAMENTO:<br />
IL DISCUM NEL PIANO DI<br />
UNA CATACOMBA ROMANA.<br />
Ecco ora dalle parole di Francesco Peter come sia<br />
stato rinvenuto un altro orologio solare su superficie<br />
piana:<br />
"Fu molto felice lo scavo intrapreso dal Sig. Sante<br />
Ammendola l'anno scorso nella vigna Cassini a<br />
destra dell'Appia. Oltre l'avervi ritrovata una bella<br />
strada antica, vi ritrovò ancora molte lapidi cristiane,<br />
e sarcofagi marmorei, con sagre istorie...Fra<br />
gli altri sassi radunati da que' poveri Cristiani, per<br />
chiudere i loculi de' loro defunti, si rinvenne un<br />
frammento di lapide marmorea, sulla di cui superficie,<br />
evvi inciso dentro una zona circolare, un<br />
avanzo di sfera de' venti, con i rispettivi nomi in<br />
idioma, e caratteri greci, e dentro poi allo spazio<br />
circolare formato da detta zona, vedesi incisa la<br />
metà di un Quadrante solare orizzontale, distinto<br />
dalle linee orarie, rimanendovi ancora il foro del<br />
Gnomone. Essendo stato acquistato questo rarissimo,<br />
e pregevole monumento, dal mio amico il Sig.<br />
Simone Pomardi Pittore, e uomo erudito, sì per sua<br />
istigazione che per mio genio mi accinsi a supplirlo.<br />
Cercando perciò fra gli avanzi dell'antichità,<br />
con la scorta di Seneca 91 trovai varie basi dodecangolari<br />
con i nomi de' venti bilingui, (cioè in<br />
Greco, e Latino) facendone pertanto il confronto<br />
con il nostro frammento, li rinvenni con quelli che<br />
sul medesimo sussistono conformi, onde con essi<br />
ho supplito la sfera de' venti.<br />
Supplito in tal guisa il giro esteriore, venni al supplemento<br />
interno nel che agevolmente riuscii scgnando<br />
dalla parte opposta l'altra metà del<br />
Quadrante, come ce l'insegna quello inciso sotto al<br />
Vento NOTOS, sopra la Torre dei Venti di Atene 92 ,<br />
come lo pensò il P. Clavio, ed altri. Veggendo ora il<br />
91 Senec. Quaest. Nat. Lib. V. cap. 5.<br />
92 Stuart, Antiquities of Athens, Tom. I, Pl. XI.<br />
93 Tom. III, Lib. XXIV, cap. 10, Antiqu. Lect.<br />
94 Cioè l'A. di G.C. CXLIII<br />
Quadrante rinchiuso in una figura circolare, che<br />
per la sua forma, è somigliante al Disco degli<br />
antichi giuocatori delle palestre, e al piatto chiamato<br />
pur Disco qualche volta da' Latini, credo fondatamente,<br />
che esso sia quell'Oriuolo solare di cui<br />
il lodato Vitruvio ne fa inventore Aristarco Samio:<br />
Idem Discum in planitia che Celio Rodigino<br />
asserisce dover essere in un perfetto piano 93 , e che<br />
appunto dalla sua forma e giacitura ebbe tal<br />
denominazione. Laonde adesso viensi in cognizione<br />
come questo sia costruito, oltre che serve<br />
per consolidare il sistema tenuto dal Clavio, e<br />
Kircher, che così ce lo delinearono, benchè non<br />
avesser giammai veduto l'unico monumento, che<br />
sbucciò poco fa dalla terra...<br />
...La forma poi, il marmo, ed i caratteri, me lo<br />
fanno credere attinente già un tempo ad Erode<br />
Attico ricchissimo filosofo Ateniese, che giunse ad<br />
esser Console insieme con T. Bellico Torquato sotto<br />
l'Impero di Antonino Pio 94 . Egli ebbe una magnifica<br />
villa unita ad un borgo detto Triopio, poco pi1<br />
di mezzo miglio distante dalla vigna Cassini, a<br />
destra dell'Appia, e tre dalle mura di<br />
Servio...Credo sicuramente che ad esso appartenesse,<br />
poichè in quanto alla forma, egli è adatto ad<br />
una piazza di una villa posta in luogo alto, e scoperto,<br />
dominato liberamente dal sole, come era il<br />
predio di Attico. Il marmo come vedemmo è<br />
Pentelico, detto ora cipolla, delle di cui cave in<br />
quell'epoca il Filosofo era proprietario e i caratteri<br />
sono alle iscrizioni del Triopio conformi, specialmente<br />
i queste due lettere e e C di forma lunata...Con<br />
tali evidenti ragioni credo doverlo restituire<br />
al Triopio, da cui i Cristiani nella decadenza<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
59
dell'Idolatria lo trassero, trasportandolo nelle<br />
Catacombe, costume usitato specialmente nell'Era<br />
Costantiniana." 95 .<br />
Con tutta evidenza l'orologio descritto dal Peter (e<br />
dopo descritto da H. Diels, da cui prende nota<br />
Soubiran) è uguale al Pelecinum "d'Euporus" di<br />
Aquileia, e a quello di Pompei, con o senza nomi<br />
dei venti. Si tratta quindi proprio del Discum in<br />
Planitia citato da Vitruvio e non del Pelecinum per<br />
ilquale, come abbiamo visto, le descrizioni date<br />
non si adattano che per il Pelignum.<br />
95 FRANCESCO PETER, Di un antico orologio solare recentemente trovato, dissertazione. In Atti dell'Accademia Romana<br />
d'Archeologia, Roma, 1823, Tom. I, parte II, pag.25.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
60
26<br />
LE FONTI<br />
Documenti gnomonici: le lettere del<br />
canonico Settele aFrancesco Peter sul<br />
disco nel piano, e sulla forma delle linee<br />
temporali negli orologi degli antichi,<br />
dove si contrasta l’opinione di Delambre<br />
La dissertazione del Peter ha dato spunto al<br />
Canonico Giuseppe Settele, Professore di<br />
Matematica nell'Archiginnasio della Sapienza e<br />
Membro dell'Accademia de' Lincei, per uno scritto<br />
sulla polemico sulla forma delle ore di questo<br />
orologio e, in genere, sulla forma delle linee orarie<br />
temporali usate dagli antichi. Le due lettere scritte<br />
dal Settele al Peter, sull'orologio trovato e sulla<br />
questione delle ore temporali, è un documento<br />
unico per la storia della Gnomonica, attualmente<br />
ancora inedito, che vale la pena riportare qui in<br />
versione integrale:<br />
"Stimatissimo Signor Peter.<br />
L'orologio solare antico, che Voi illustrate, con ragione<br />
credete, che possa appartenere al Disco nel Piano da<br />
Vitruvio attribuito ad Aristarco Samio: poichè esso è<br />
appunto una superficie piana circolare, sulla quale sono<br />
segnate le linee orarie. In due maniere possono formarsi<br />
questi orologio, che segnino le ore ineguali, di cui servivansi<br />
gli antichi negliusi della vita civile, o col metodo<br />
delle proiezioni, determinando cioè diversi punti nel<br />
piano, e conducendo per i medesimi una Curva, ed in<br />
questo modo riescono piùesatti; o secondo il metodo<br />
usato dalla comune de' trattatisti, e riportato dalP.<br />
Clavio nel lib. 2 probl. 12, della sua intralciata<br />
Gnomonica, ed allora si hanno le linee orarie in tante<br />
rette, il quale metodo però è meno esatto, come lo<br />
vedremo in appresso.<br />
Alla prima specie potrebbe forse appartenere il frammento<br />
di un orologio orizzontale riportato dal Grutero<br />
alla pag. 135 come esistente una volta nel Mausoleo di<br />
Augusto: poichè in esso sono curve le linee orarie, se<br />
pure è stato esattamente copiato.<br />
Alla seconda specie appartengono. I: Gli orologi solari<br />
scolpiti sulle pareti verticali della Torre de' Venti in<br />
Atene riportati dallo Stuart nella descrizione di quella<br />
città nel Tomo I, Cap. 3 Figure 10 ad 11.<br />
II. Un frammento pubblicato senza illustrazione dal<br />
Sig. Carlo Antonini nel Tom. 2 dei Candelabri antichi<br />
Tav. 10. Esiste questo in Tivoli, ove fu trovato nella casa<br />
nella casa de Angelis. Ma per quello che può ricavarsi<br />
da questo lacero avanzo, sembra più tosto un orologio<br />
Verticale declinante, e non essendovi traccia nè di<br />
meridiana, nè di gnomone, si richiederebbe una fatica<br />
imbroba per trovare la latitudine, a cui appartiene, e<br />
supplirvi il resto che manca.<br />
III. Il monumento di cui trattiamo. E' questo un<br />
Orologio orizzontale scolpito sopra una superficie piana<br />
circolare; ne esiste una metà, cioè la parte orientale, ma<br />
possiamo considerarlo come se esistesse intiero, poichè<br />
Voi già vi avete egregiamente supplita l'altra metà, che<br />
vi mancava, e terminata la zona de' Venti. Vi si distingue<br />
ancora bene la meridiana, ed il foro ove era collocato<br />
il gnomone, onde riesce facile il determinare la latitudine<br />
per cui fu costruito. Per la sua integrità e forma<br />
è un monumento veramente singolare; ci presenta in<br />
somma la pretta forma del Disco nel piano, che in tanti<br />
orologi fino ad ora scoperti non si era mai rinvenuto,<br />
come nel nostro. Gli orologi della Torre de' Venti in<br />
Atene, e il frammento Tiburtino, è vero che sono in<br />
piano, ma questi piani sono verticali, onde non possono<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
61
appartenere al disco. Neppure quello, che esisteva presso<br />
il Mausoleo di Augusto, benchè fosse orizzontale,<br />
aveva forma circolare.<br />
Premesse queste cose, che risguardano il pregio antiquario<br />
di questo orologio, consideriamone ora il suo<br />
pregio mattematico, che è quello, che Voi da me ricercate.<br />
Le linee orarie sono tante rette nel vostro orologio,<br />
è dunque costruito secondo il metodo in appresso usato<br />
dal P. Clavio, come già accennammo, perciò le ore non<br />
vengono indicate con quella precisione, con cui sono<br />
indicate, quando le linee orarie sono curve. Poichè le<br />
linee orarie indicanti le ore ineguali degli antichi nella<br />
superficie di una sfera, come si vede nei tanti orologj,<br />
che si attribuiscono a Beroso, non sono circolari, ma<br />
curve, che diconsi di doppia curvatura, come vi feci<br />
osservare in una lettera del P. Jacquier "de veteri quodam<br />
solari horologio nuper invento", diretta al P.<br />
Mauro Sarti, allorchè mi mostraste il disegno del nostro<br />
orologio: le proiezioni dunque di queste curve, che formano<br />
le linee orarie sul piano, non possono essere linee<br />
rette, come lo sono nel nostro orologio, ma debbono<br />
bensì esser curve: e per citarvi anche uno degli autori,<br />
che con esattezza hanno trattato di questa materia,<br />
potete consultare il De la Hire, il quale nel suo<br />
Trattatino di Gnomonica alla Parte &. Cap. /. dice, che<br />
siccome non v'ha linea retta, che possa rappresentare<br />
queste ore sull'orologio (intende l'orologio disegnato su<br />
un piano), fuori dell'orizontale, e della meridiana,<br />
bisognerebbe trovare più punti di queste linee orarie per<br />
segnarle con esattezza: e soggiunge, che questi punti si<br />
trovano col metodo delle proiezioni. Onde io, curioso di<br />
vedere l'andamento di una delle linee orarie, ho determinato<br />
i diversi punti della medesima con questo metodo,<br />
ed ho trovato una curva serpeggiante a guisa di S<br />
allungato. Se dunque, torno a ripeterlo, si segnerà una<br />
retta in luogo della curva indicata, questa non potrà<br />
indicare l'ora, che per una certa approssimazione, supposto<br />
anche, che non siano molto estese le dimensioni<br />
dell'orologio.<br />
Per determinare la latitudine per la quale fu fatto il nostro<br />
orologio, il che era poi lo scopo principale delle nostre<br />
ricerche, voleva servirmi delle divisioni orarie della<br />
linea equinoziale, le quali ancorchè siano eseguite secondo<br />
il metodo adoperato dal P. Clavio, pure devono<br />
essere esatte; ma temendo di qualche inesattezza del<br />
quadratario, ho abbandonato questo partito, e presa una<br />
squadra, applicai un lato della medesima sopra la meridiana<br />
dell'orologio in modo, che il centro del gnomone<br />
cadesse nell'angolo della squadra, vi segnai in appresso<br />
i punti dei due tropici, e dell'equatore: poi segnai sopra<br />
una carta un arco di circolo, e dal centro condussi alla<br />
periferia tre linee distanti l'una dall'altra 23 gradi e 30<br />
primi, quindi ripresa la squadra, l'applicai sopra la<br />
carta in modo, che il centro del circolo, comunque si<br />
movesse la squadra, si trovasse sempre sopra l'altro lato<br />
della squadra, sul quale non erano segnati i punti<br />
sopraindicati, e tenendo varie posizioni, giunsi finalmente<br />
a far cadere le tre linee, che partono dal centro,<br />
sopra i tre punti precedenti, cioè sopra i due tropici, e<br />
l'equatore; fermai quindi la squadra, e misurando l'angolo,<br />
che faceva la linea di mezzo, quella cioè, che era<br />
diretta all'equatore, col lato della squadra, sul quale<br />
erano segnati i tre punti, trovai, che era di 48 gradi<br />
prossimamente, donde ne siegue, che la latitudine, che<br />
gli conviene, è di 42 gradi; che è prossimamente la latitudine<br />
di Roma, onde può presumersi, che appunto per<br />
Roma sia stato formato ilnostro orologio: seppure non si<br />
voglia greco di origine, perchè i venti vi sono scritti in<br />
greco, e greco è pure il marmo; ed allora potrebbe<br />
appartenere a qualche città della parte settentrionale<br />
della Grecia, o dell'Asia Minore; sapendosi d'altronde,<br />
che i Romani tra le spoglie delle città vinte vi portavano<br />
anche gli orologi, come per esempio M. Valerio Messala<br />
ne portò uno da Catania al riderire di Plinio, e Pompeo<br />
nel suo terzo trionfo ne trasferì uno ornato di gemme,<br />
come ci racconta lo stesso Plinio Lib. 37, Cap. 2.<br />
Coll'operazione precedente trovai anche la lunghezza<br />
del gnomone, che mi veniva dato sul lato della squadra<br />
dalla distanza, che passa tra il centro del circolo, e l'angolo<br />
della squadra: e per potere assegnare questa<br />
lunghezza con delle unità prese dalle dimensioni dell'orologio<br />
stesso, ho diviso in otto parti la distanza, che<br />
passa sulla meridiana tra il centro del gnomone, e la<br />
linea equinoziale, e ho dato al gnomone nove di queste<br />
parti, che prossimamente combinava con la lunghezza<br />
trovata...<br />
Determinate queste cose, volli tentare, se le linee orarie<br />
stavan al loro posto, ovvero fossero segnate a caso, e se<br />
realmente era seguito il metodo di P. Clavio, che consiste<br />
nel dividere in dodici parti uguali gli archi diurni<br />
dei due tropici, e trovata la proiezione di queste sopra le<br />
due iperbole, che nel piano rappresentano detti archi,<br />
unire con delle rette i punti corrispondenti, che secondo<br />
lui rappresentano le linee orarie degli antichi. Fatta<br />
dunque questa operazione, e collazionato il mio disegno<br />
col monumento, ebbi il piacere di vedere, che prescindendo<br />
da qualche piccola varietà, che deve certamente<br />
attribuirsi al quadratario inesperto, i punti da me<br />
trovati combinavano con quelli dell'orologio. Da ciò<br />
vedesi, che le linee orarie sono situate nel luogo, che le<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
62
conviene, e non mai condotte a caso, e che è stato eseguito<br />
secondo un metodo analogo a quello usato da'<br />
moderni, ricavato però dall'analemma di Tolomeo...<br />
[....] Questo è quel tanto che ho creduto dover dire<br />
intorno al merito mattematico di questo raro monumento...<br />
Roma li 30. Luglio 1815.<br />
La seconda lettera del Settele è un documento non<br />
meno importante del precedente, in cui oltre a<br />
descrivere un nuovo orologio solare estratto dalle<br />
antiche rovine di Délos, precisa il suo pensiero<br />
intorno alla forma delle linee orarie temporarie, in<br />
risposta anche ad uno scritto del noto scienziato<br />
Delambre. L'orologio descritto, quello di Dèlos, è<br />
verticale e non è menzionato dal Soubiran il quale<br />
ne cita un'altro, sempre di Dèlos, più famoso. Sia<br />
l'orologio che la questione della forma delle ore<br />
temporarie potrei sintetizzarla io ma, a dire il vero,<br />
la lettera del Settele è oltremodo chiara e certamente<br />
di alto valore documentaristico ed eccola<br />
qui:<br />
"Caro Amico,<br />
Se ancora non avete dato alle stampe la vostra Memoria<br />
sopra l'Orologio antico, vi prego di aggiungerci quanto<br />
sono ora per dirvi, perchè lo credo importante per il nostro<br />
argomento.<br />
Nei passati giorni un mio Amico mi dette a leggere il<br />
Foglio che ha per titolo "Analyse des travaux de la<br />
'Classe de Sciences Mathématique et Physiques de<br />
l'Institut Royale de France pendant l'Année 1814".<br />
Trovai in questo il seguente Articolo "D'un Cadran<br />
trouvé à Délos, et par occasion de la Gnomonique des<br />
Anciens, par Mr. le Chevalier Delambre". Con ansietà<br />
ho divorato quest'Articolo, credendo di trovarvi qualche<br />
cosa analoga all'argomento da me trattato nella Lettera<br />
trasmessavi, ma con mia grande sorpresa vi trovai le<br />
seguenti espressioni :- Les lignes horaires sont des<br />
droites: elles ne pourraient etre courbes que dans le cas<br />
où la surface du cadran serait courbe... Montucla dit en<br />
parlant des heures temporaires antiques, qu'elles sont<br />
courbes, et d'une forme assez bizarre, de sorte qu'on ne<br />
peut les décrire qu'en déterminant plusieurs points de<br />
chacune. Cela pourrait etre vrai, si la surface du Cadran<br />
n'etait ni plane ni sphérique. Sur la sphére, ces lignes<br />
sont des arcs de grands cercles, mais ces grands cercles<br />
ne se rencontrent pas en un point unique comme les<br />
cercles des heures égales qui s'entrecoupent tous aux<br />
poles du Monde. Si la surface est plane, ces lignes seront<br />
droites, puisq'elles sont les intersections des plans des<br />
cercles horaires avec le plan du cadran. Ces deux<br />
principes sont avoués ou supposés par tous les auteurs<br />
de gnomonique, qui le ont trouvés si clairs, et si évidens,<br />
qu' aucun n' a pris la peine de les démontrer; ce qui, au<br />
reste, ne serait ni long ni difficile -".<br />
E dopo aver parlato l'Estensore del Trattato<br />
dell'Analemma di Tolomeo supplito, e commentato dal<br />
Commandino, dice che il Commandino -_'donne meme<br />
les figures des Cadrans construits par ces methodes. Il<br />
enseigne à les divers en heures temporaires, equinoctiales,<br />
italiques et babyloniques; et dans toutes ces figures,<br />
les lignes horaires sont des lignes droites, quoique<br />
en dise Montucla-". Vedendo così malmenato il povero<br />
Montucla, e quindi anche me, che sostengo la stessa<br />
opinione, vi confesso, che mi trovai molto costernato;<br />
ma riflettendo poi, che le verità mattematiche non si<br />
provano coll'autorità, ma bensì col raziocinio, pensai<br />
seriamente sopra questa cosa, e mi lusingo di aver trovato<br />
una dimostrazione nè lunga nè difficile, del teorema<br />
in questione, cioè che le linee orarie delle ore antiche<br />
sulla superficie della sfera non sono circolari, e che<br />
quindi le loro proiezioni sul piano non sono le linee<br />
rette. Non riporto qui la dimostrazione per non dilungarmi<br />
troppo, ed anche perchè la credo ovvia, avendo già<br />
detto lo stesso il De la Hire, il P. Jacquier, il Montucla,<br />
i Compilatori dell'Enciclopedia metodica, ed altri, per i<br />
quali non erano tanto chiari, ed evidenti i due principj<br />
contrari alla nostra asserzione 96 .<br />
Ma d'onde sarà nato l'equivoco preso dal Commandino,<br />
dal Clavio, e dagli altri trattatisti di quel tempo? Io<br />
credo, che ne sia venuto da ciò, che avendo osservato,<br />
che per i due punti estremi delle linee orarie, e per i<br />
punti corrispondenti dell'equatore, vi passano realmente<br />
circoli massimi, abbiano con troppa fretta esteso<br />
questa proprietà anche a quei punti, che esistono tra l'equatore<br />
e i tropici.<br />
Diciamo ora due parole del monumento che hadato<br />
motivo a questa discussione. Desso dicesi trovato -'à<br />
Délos parmi les débris du temple d'Apollon, apporté à<br />
Paris par Mr. Maudit fils, Architecte au service de S.M.<br />
l'Empereur de Russie, et deposé au Cabinet des<br />
96 La dimostrazione accennata dall'autore si trova in una Memoria sopra la forma delle linee orarie indicanti le ore ineguali degli<br />
antichi sopra gli orologi solari, letta nell'Accademia dei Lincei, il 6 maggio 1816 e pubblicata dal medesimo con le stampe del<br />
Salvioni nello stesso anno 1816.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
63
Antiques '-. Viene descritto nella maniera seguente. -'<br />
Il est tracé sur un bloc de marbre blanc, de forme circulaire,<br />
sensiblement arrondi vers les bords, mais plan<br />
dans sa surface superieure, où l'on voit six lignes<br />
horaires terminées de part et d'autre par deux arcs<br />
hyperboliques qui doivent etre les arcs du Cancer, et du<br />
Capricorne, ou peut-etre deux autres parallèles encore<br />
plus éloignés de l'Equateur-.<br />
E' verticale, ed orientale, ma si vuole, che declini dal<br />
piano del meridiano di 4. in 5. gradi; vi sono segnate le<br />
sei ore della mattina, cioè dal nascere del Sole fino a<br />
mezzo giorno. L'Equinoziale fa coll'orizzontale un<br />
angolo di 59 gradi donde deducesi, che la sua latitudine<br />
è di 31 gradi ma la latitudine di Delo essendo di 37<br />
gradi circa, supponesi, che forse in origine sarà stato<br />
collocato in Alessandria, e poi trasportato a Delo.<br />
L'esecuzione di questo orologio non è molto felice; le<br />
divisioni orarie sulla linea equinoziale non sono molto<br />
esatte; gli archi solstiziali sono troppo distanti dall'equinoziale;<br />
e le linee orarie benchè siano rette, vi si vede<br />
ciò non ostante una specie di spezzatura presso l'equinoziale,<br />
di modo che ciascuna linea oraria invece di<br />
formare una retta continua, è l'unione di due rette che<br />
fanno tra loro un angolo poco differente di 180<br />
gradi...[...].<br />
Ritornando a parlare dell'orologio orizzontale trovato a<br />
Roma, egli dice: "...Crediam però di poter dire con più<br />
ragione, che il nostro Orologio, ci presenta un monumento<br />
il più raro della Gnomonica degli Antichi, che in<br />
vano si cercherebbe nelle raccolte o nelle descrizioni de'<br />
monumenti antichi, perchè è l'unico Orologio orizzontale<br />
antico disegnato sul disco, che siasi fino ad ora conservato.<br />
Ho creduto di dover esporre queste cose per<br />
assicurare da ogni attacco quanto avevo detto nel mio<br />
primo scritto, ed anche per aggiungervi la notizia<br />
97 Elementi d Prospettiva secondo li principii di Brook Taylor, Roma, 1755, pag. 142-143<br />
98 G. Fantoni, Orologi Solari, trattato completo di Gnomonica, Ed. Technimedia, Roma, 1988.<br />
dell'Orologio di Delo, che allora non mi era noto.<br />
Perdonate la seccatura, e sono al solito.<br />
Casa 20 Agosto 1815<br />
Il Vostro servitore, ed Amico<br />
Giuseppe Settele<br />
Il Settele ha con tenacia sostenuto il suo punto di<br />
vista sulla questione della forma delle linee orarie<br />
temporarie, ed egli aveva ragione di contraddire<br />
l'errore commesso dal pur autorevole Delambre,<br />
da Clavio, ecc. Ai suoi tempi Jacquier 97 scriveva:<br />
"Non sarà più difficile di spiegare un'altra specie<br />
di proiezione chiamata gnomonica nella quale l'occhio<br />
si suppone nel centro della sfera. In questo<br />
caso la proiezione delli cerchi massimi sono linee<br />
rette, delle quali quelle che rappresentano li meridiani<br />
o li cerchi orarii convergono nella proiezione<br />
del polo del mondo...[...]...Le proiezioni delli cerchi<br />
minori saranno sezioni coniche date, purchè sia<br />
dato di posizione l'oriuolo".<br />
Ma sembra che tali linee orarie non siano neppure<br />
delle coniche, dando forse ragione a Montucla<br />
quando parlava di linee bizzarre. L'ammiraglio<br />
Girolamo Fantoni, autore del più grande trattato<br />
contemporaneo di Gnomonica 98 , scrive (cap.<br />
XVIII, pag. 278): "Sotto l'aspetto puramente<br />
descrittivo, le linee orarie temporarie sul piano<br />
sono delle curve non coniche che incontrano sull'equinoziale<br />
le corrispondenti linee civili diminuite<br />
di 6 ore...Entro la fascia zodiacale e latitudini<br />
non troppo elevate, le deviazioni di queste curve<br />
dalla linea retta sono normalmente trascurabili,<br />
pertanto le linee orarie temporarie sul piano si<br />
potranno considerare come linee rette".<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
64
27<br />
E PER CUSCINO...<br />
UN OROLOGIO SOLARE<br />
Per terminare questa lunga digressione sugli<br />
orologi degli antichi, voglio ricordare una scoperta<br />
probabilmente dimenticata dagli appassionati in<br />
quanto, secondo me, si tratta almeno del più strano<br />
ritrovamento di orologio solare della storia e<br />
una cosa così sorprendente non può essere facilmente<br />
messa da parte, se non dal baratro dell'oblio.<br />
Nel 1895, nei mesi di ottobre e novembre,<br />
furono condotte delle approfondite ricerche archeologiche<br />
nella zona cimiteriale di Aubigny-en-<br />
Artois. Precisamente, nel cimitero di epoca<br />
merovingia e carolingia, distante circa un<br />
chilometro dal villagio d'Aubigny, in una località<br />
chiamata le Bourbon, furono ritrovati molti sarcofagi<br />
conservati intatti, cioè inviolati, e diverse<br />
tombe del X secolo. In una sepoltura, che si suppone<br />
risalente al VII od VIII secolo, si è scoperto un<br />
uomo anziano, ad un'analisi dell'ossatura, il quale,<br />
oltre ad avere varie suppelletili a ornamento della<br />
tomba, aveva la testa poggiata su un orologio<br />
solare orizzontale inciso su una pietra bianca. Una<br />
meridiana per cuscino! Quale che sia il motivo di<br />
una disposizione del genere forse non lo sapremo<br />
mai. E' certo che anticamente, forse solo in quella<br />
zona, doveva avere un ben preciso significato simbolico.<br />
L'orologio, come si vede dalla figura, è<br />
orizzontale, e reca incise le linee orarie, con suddivisione<br />
duodenaria per le ore astronomiche, che<br />
partono tutte da un comune centro, nel quale c'è<br />
un buco che ospitava il gnomone 99 .<br />
99 Questa notizia l'ho appresa dalla relazione di Theophile Eck, apparsa sul "Bulletin Archeologique", del 1896, n. 3, pag. 318 e<br />
segg. A pagina 320, nella nota (2), si legge: Au musée d'Epinal on voit un cadran solaire en bronze de l'epoque gallo-romaine. Suivant<br />
M. Baltazzi-Bey, le musée de Constantinople aurait recu en 1895, avec de nombreux objets, un cadran solaire en marbre blanc de Séleucie.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
65
fig. 19 Rarissima immagine<br />
di un orologio solare che<br />
Gabriele Simeoni, negli<br />
Epitaffi e medaglie antiche<br />
(sec. XVI), tenta di identificare<br />
con l’Egonato citato da<br />
Vitruvio. Questa opera<br />
d’arte, descritta dal<br />
Simeoni, esisteva un tempo<br />
in Ravenna. (Biblioteca di<br />
Montecassino)<br />
fig. 20 Il famoso hemicyclium trovato per caso negli scavi della Villa Rusinella, sul Tuscolo, datat<br />
al II secolo d.C., dal matematico Boscovich nella metà del sec. XVIII. (Biblioteca di Montecassino)<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
66
fig. 21 Bellissima e rarissima immagine dell’hemicyclium trovato nella Villa Rusinella, con rappresentazione<br />
assonometrica (l’unica in tutta la storia della gnomonica). In basso a destra si vede una rarissima immagine di un<br />
hemicyclium su colonna inserito in una miniatura del codice della Genesi di Vienna, del VI secolo d.C. Mentre ora è<br />
chiaro che si tratta di un hemicyclium con suddivisione oraria temporale di dodici linee, non lo fu altrettanto per<br />
Lambecio che lo disegnò nel modo che si vede in basso a sinistra (Biblioteca di Montecassino)<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
67
fig. 21 bis<br />
A) variante di hemicyclium, rinvenuto nella<br />
contrada “Carnera” di Fermo (AP) e custodito<br />
da privati a Fermo (foto cortesia A. Cintio);<br />
B) Hemicyclium di Cupramarittima (AP), custodito<br />
nel museo di Montefiore dell’Aso (AP).<br />
(foto cortesia A. Cintio)<br />
C) Hemicyclium di Falarone (AP), custodito nel<br />
Museo Nazionale delle Marche di Ancona (foto<br />
cortesia A. Cintio)<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
68
fig. 23 Orologio simile a quello<br />
del Museo Kircheriano, riportato<br />
da J. Soubiran nell-opera citata.<br />
fig. 22 Orologio solare portatile del<br />
Museo Kircheriano (Biblioteca di<br />
Montecassino)<br />
fig.24 e 25 Rappresentazione di vari<br />
pelecinum, che pelecinum non sono,<br />
ma orologi solari orizzontali citati da<br />
Vitruvio col nome di Discum in<br />
planitia. (da J. Soubiran)<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
69
fig. 27 Orologio solare trovato nel 1815 a Delos. È<br />
verticale e orientale ed è inciso in un piano definito<br />
“scudo argivo”. La linea equinoziale fa un angolo con<br />
la orizzontale di 59 gradi. La latitudine è di 31 gradi.<br />
(Abbazia di Montecassino)<br />
fig. 26 Il disco nel piano ritrovato negli scavi intrapresi<br />
da Sante Amendola nel 1814 presso la Vigna Cassini, a<br />
destra dell’Appia Antica, a Roma (Abbazia di<br />
Montecassino)<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
70
fig. 28 e 29 Curiosa rappresentazione dell’orologio solare di Augusto nel<br />
Campo Marzio, a Roma, in una stampa del XVIII secolo. Le linee orarie<br />
sono sbagliate perchè seguono la numerazione italica, mentre l’orologio<br />
segnava le ore tempotarie. (Biblioteca di Montecassino)<br />
fig. 30 Orologio solare dell’Antico Porto di<br />
Anzio in una rappresentazione del secolo<br />
scorso. Dizionario delle antichità Greche e<br />
Romane. (Biblioteca di Montecassino)<br />
fig. 33 Pelignum rappresentato su un sarcofago<br />
a vasca, risalente alla metà del secolo IV<br />
d.C. (cortesia Padre Paul di Roccasecca)<br />
fig. 31 Pelignum rappresentato in una stampa del<br />
XVIII secolo che riproduceva il vecchio calendario<br />
detto “del Lambecio” risalente al IV secolo.<br />
Particolare della fig. 32<br />
fig. 32<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
71
28<br />
29<br />
30<br />
31<br />
32<br />
33<br />
34<br />
35<br />
36<br />
III CAPITOLO<br />
I ROMANI<br />
La divisione del giorno dei romani<br />
Il primo orologio solare romano<br />
L’orologio solare di Augusto<br />
Chi era Fecondo Nuovo ?<br />
La storia dell’obelisco<br />
La Gnomonica: una disciplina<br />
dimenticata<br />
La Gnomonica a Bisanzio<br />
Un codice del VI secolo dimenticato:<br />
forse l’unico documento di<br />
Gnomonica sopravissuto<br />
Non solo orologi solari<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
72
28<br />
LA DIVISIONE DEL GIORNO<br />
DEI ROMANI<br />
La gnomonica comincia ad avere un suo periodo<br />
di netta decadenza, a cominciare dalla fine del<br />
primo secolo a.C. Come si sa, i Romani non<br />
arrivarono mai a pareggiare lo splendore nè della<br />
scienza alessandrina, nè di quella ellenica. In particolare,<br />
essi non prestarono mai particolare attenzione<br />
alle dottrine filosofiche e scientifiche. Per<br />
fare un esempio, se poniamo a confronto la zoologia<br />
e la botanica di Plinio il Vecchio, il più noto<br />
naturalista ed erudito vissuto a Roma dal 35 d.C.,<br />
con i trattati di Aristotele sugli animali e quelli di<br />
Teofrasto sulle piante, risulta fin troppo evidente il<br />
divario che separa il mediocre compilatore romano<br />
dai due scienziati fondatori della biologia greca 100 .<br />
Così, anche nel campo della Gnomonica non si<br />
riscontra nel mondo romano un progresso sensibile,<br />
come quello avuto attorno al III secolo a.C. in<br />
Grecia, epoca in cui furono inventati moltissimi<br />
tipi di orologi solari, scaturiti per la maggior parte<br />
dalle nuove teorie matematiche, come ad esempio<br />
gli orologi conici di Apollonio. Inoltre la decadenza<br />
della Gnomonica nel periodo tardo romano e<br />
nei primi secoli dell'era Cristiana, è testimoniata<br />
principalmente dall'inesistenza pressochè totale<br />
sia di opere scritte in materia che di monumenti di<br />
qualche rilievo per i quali non c'è menzione alcuna,<br />
ad eccezione di quella relativa alla straordinaria<br />
impresa condotta dal divo Cesare Augusto, nella<br />
realizzazione del più grande orologio solare del<br />
mondo di tutti i tempi: l'orologio del Campo<br />
Marzio. Nonostante tutto, dobbiamo considerare<br />
il periodo romano non del tutto improduttivo per<br />
la Gnomonica, soprattutto se si tiene conto che la<br />
vera decadenza comincia con il I secolo d. C., come<br />
vedremo più avanti, e abbraccerà tutto il periodo<br />
dell'Alto Medioevo, fino alla nascita della scienza<br />
araba.<br />
Non possiamo farci meraviglia se Censorino 101<br />
scrive: "Horarum nomen non minus CCC. annos<br />
Romae ignoratum esse credibile est", mentre il<br />
Salmasio emenda CCCCLX anni. Quindi i Romani<br />
per 460 anni non ebbero nè orologi, nè distinzione<br />
di ore per la misurazione del tempo, come sarebbe<br />
testimoniato dalle Leggi delle Dodici Tavole che<br />
furono antichissime nella Repubblica Romana, ove<br />
non si fa menzione alcuna se non del'alba, del<br />
mezzoggiorno e del tramontare del sole.<br />
"Duodecim tabulis ortus tantum, et occasu nominatur:<br />
post aliquot annos adiectus est, et meridies,<br />
accenso consulis id pronuntiante, cum à curia inter<br />
rostra, et Graecostasi, prospexisset talem solem",<br />
dice Plinio, il quale suppone che il mezzogiorno<br />
fosse posteriore alle Dodici Tavole e che veniva<br />
annunciato dall'accenso, cioè un inserviente dei<br />
consoli, quando vedeva il sole presso i "rostri" 102 . E<br />
continua Plinio dicendo: "A columna aenea, vel<br />
Moenia, ad carcerem inclinato sidere, supremam<br />
pronunciabat", il che era possibile solo nei giorni<br />
sereni, naturalmente. Tutto ciò ispirò il poeta<br />
Luciano a scrivere la frase: "Nam gnomon medium<br />
horologium inumbrat".<br />
Dopo che i Romani ebbero acquisito la suddivisione<br />
del giorno in dodici parti uguali, si adoperarono<br />
per dedicare ad ogni ora un momento particolare<br />
della giornata. A questo proposito è famoso<br />
l'Epigramma n. 7 del Lib. IV di Marziale:<br />
100 M. Daumas, "La scienza nell'Antichità e nel Medioevo", ed. Laterza, Bari, 1969.<br />
101 De die Natali, cap. 23<br />
102 Plinio, Historia Naturalis, VII. 60. Si veda pure A. Gellio XVII. 2 e Censorino, De die Natali, c. 23.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
73
Prima salutantes atque continet hora;<br />
Exercet raucos tertia causidicos:<br />
In quintam varios extendit Roma labores;<br />
Sexta quies lassis, septima finis erit:<br />
Sufficit in nonam nitidis octava palaestris,<br />
Imperat excelsos frangere nona toros.<br />
Hora libellorum decima est, Eupheme, meorum,<br />
Temperat ambrosias cum tua cura dapes;<br />
Et bonus aetherio laxatur nectare Caesar,<br />
Ingentique tenet pocula parca manu.<br />
Tunc admitte jocos: gressu timet ire licenti<br />
Ad matutinum nostra Thalia Jovem.<br />
Le ore adottate dai Romani nel comune uso civile<br />
erano quelle naturali, cioè temporali, con la suddivisione<br />
duodenaria, dodici ore per il giorno e dodici<br />
per la notte, indipendentemente dal giorno dell'anno.<br />
Erano inoltre assegnate delle ore fisse per i<br />
"balnea", in genere la ottava in estate e la nona in<br />
inverno, detta anche "hora lavandi", ed altre ancora.<br />
Conseguenza inevitabile, è il continuo variare<br />
della durata di ogni singola ora da una stagione<br />
all'altra. Lo stesso Marziale rileva il fenomeno in<br />
un altro luogo con le parole: "Hora nec aestiva est<br />
nec tibi tota perit" 103 . Così, in altre parti si legge<br />
"hiberna addito", per indicare un tempo molto<br />
breve. S. Agostino è più chiaro di tutti scrivendo:<br />
"Hora brumalis aestiva comparata minor est" 104 .<br />
Qualche autore del secolo scorso sostiene che i<br />
romani adottarono il sistema delle ore "ineguali" al<br />
tempo in cui Gerusalemme fu espugnata da<br />
Pompeo, cioè 63 anni a. C. Il sistema prevedeva<br />
una suddivisione del giorno in quattro parti<br />
uguali, da cui il "quadripartito", della durata di tre<br />
ore ciascuna. Lo stesso vale per la durata della<br />
notte, breve o lunga che fosse. Queste suddivisioni<br />
vennero chiamate abitualmente "vigilie", dalla<br />
veglia che facevano i soldati durante i turni di<br />
guardia, di tre ore ciascuno. Esse furono chiamate<br />
perciò anche "custodie" e sono spesso menzionate<br />
già nelle Sacre Scritture, come per esempio, in S.<br />
Luca, al cap. 2, ove si legge che i pastori vigilavano<br />
a turno sul gregge di pecore: "pastores erant in<br />
regione eadem, vigilantes, et custodientes vigilias<br />
noctis super gregem suum". Negli antichi eserciti,<br />
negli assedii e nell'esercizio di difendere le città<br />
dalle insidie dei nemici, si usava disporre in luoghi<br />
opportuni le sentinelle e le guardie a ognuna delle<br />
quali si assegnavano tre ore di veglia a turno, fino<br />
all'alba. Di queste quattro vigilie notturne parla<br />
Properzio quando dice: "Et etiam quartam canit<br />
venturam buccina lucem, ipsaque in oceanum<br />
sydera lapsa cadunt", cioè "questo sistema di<br />
dividere la notte in quattro vigilie fu adottato nell'antichità,<br />
anche nel mondo civile, riducendole a<br />
tre sole in estate per compensare la breve durata<br />
delle notti" 105 .<br />
Le vigilie notturne cominciavano al tramonto del<br />
sole e finivano allo spuntar dell'alba. La prima era<br />
chiamata "Vespera", la seconda "Media-nox", la<br />
fine della terza era detta "Galicinium", dal canto<br />
del gallo, e l'ultima "Conticinium", contata dal<br />
tempo del silenzio, ossia dal tacere del gallo. La<br />
descrizione di Macrobio sulla divisione duodenaria<br />
del giorno presso i Romani, è alquanto chiara e<br />
completa:<br />
"Il primo tempo del giorno è chiamato inclinazione<br />
della mezzanotte; poi viene Gallicinio e quindi<br />
Conticinio, quando i galli tacciono e anche gli<br />
uomini allora riposano. Poi viene diluculo, cioè<br />
quando si comincia a distinguere il giorno; poi<br />
mattino quando il giorno è chiaro. Dal mattino si<br />
arriva al mezzogiorno dal quale nasce il "tempus<br />
occiduum" cioè il tempo che va fino al tramonto;<br />
quindi arriva il supremo momento, "suprema tempestas",<br />
cioè l'ultimo tempo del giorno che viene<br />
così espresso nelle dodici Tavole: "Il tramonto del<br />
sole sarà il momento supremo"; quindi vi sono i<br />
Vespri, il cui nome è tratto dai Greci che furono<br />
ispirati dalla stella Hespero, da cui l'Italia è chiamata<br />
Hesperia poichè era vicina al tramonto. Da<br />
questo momento si dice "prima fax" , cioè prima<br />
parte della notte in quanto si accendono le prime<br />
fiaccole. Poi viene notte "Concubia", cioè notte<br />
fonda e quindi "Intempesta", poichè non è favorevole<br />
allo svolgersi delle azioni". Tutto ciò può benissimo<br />
rappresentarsi in un riquadro, nel modo già<br />
proposto da Giovanni Poleno, nella sua "Historiae<br />
Fori Romani", nel 1737.<br />
103 Mart. Lib. XII. Epigr. 1<br />
104 De vera Relig. LXXX.<br />
105 Stefano Menochio, "Delle stuore, overo trattenimenti eruduti", Venetia, 1662, parte terza, pag. 290<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
74
29<br />
IL PRIMO OROLOGIO<br />
SOLARE ROMANO<br />
Si ha notizia di una tradizione comune nella<br />
Repubblica Romana, cioè che dalla Curia Ostilia<br />
un banditore del Console annunciava con una<br />
tromba, tempo permettendo, l'ora del mezzodì e<br />
della mezzanotte 106 . Questo durò fino al 293 a.C.,<br />
quando un orologio solare, forse il primo che<br />
ebbero i Romani, fu portato a Roma da L. Papirio<br />
Cursore e sistemato nel tempio di Giove Quirino,<br />
dodici anni prima della guerra contro Pirro. E' lo<br />
stesso Plinio il Vecchio che lo racconta (l'unica<br />
fonte, insieme con qualcun altro, si potrebbe dire,<br />
dal quale ricavare notizie in merito): "Princeps<br />
solarium horologium statuisse ante duodecim<br />
annos, quàm cum Pyrrho bellatum est, ad aedem<br />
Quirini, Lucius Papirius Cursor, cum eam dedicaret<br />
a patre suo votam, à Fabio Vestali proditur".<br />
Ma già il Salmasio indica altri codici che portano<br />
"ante III decim annos". Forse è più saggio<br />
Censorino, che non indica una data precisa per il<br />
primo orologio solare di Roma: "Sed hoc credo<br />
Romae post reperta solaria observatum: quorum<br />
antiquissimum quod fuerit, inventum difficile est.<br />
Alii enim apud aedem Quirini primum statutum<br />
dicunt, alii in Capitolio, nonnulli ad aedem Dianae<br />
in Aventino". Infatti, parlando dell'orologio solare<br />
espugnato da M. Valerio a Catania e portato a<br />
Roma, Censorino dice: "Illud satis constat nullum<br />
in foro prius fuisse quam id quod M. Valerius ex<br />
Sicilia advectum ad Rostra in columna posuit".<br />
Intelligentemente egli suppone che non del primo<br />
orologio solare di Roma si tratta, ma del primo<br />
posto nel foro. Mentre Plinio dice che M. Varro per<br />
primo espose in pubblico l'orologio trasportato da<br />
Catania: "M. Varro primum statutum in publico<br />
secundum Rostra in columna tradit bello Punico<br />
primo, à M. Valerio Messala consule Catina capta<br />
in Sicilia, deportatum inde post XXX annos quam<br />
de Papyriano horologio traditur". Ma come è<br />
ovvio, l'orologio, costruito per la latitudine di<br />
Catania, non poteva funzionare bene per la latitu-<br />
106 P. Romano, "Orologi di Roma", Anonima romana stampa, Roma, 1944, p. 5<br />
dine di Roma, come scrive pure Censorino: "Quod<br />
quum ad clima Siciliae descriptum ad horas<br />
Romae non conveniret, L. Philippus censor aliud<br />
juxta constituit".<br />
L'orologio, secondo quanto è sempre stato scritto<br />
nei libri, indicò ai Romani le ore inesatte per 99<br />
anni (nec congruebat ad horas ejus linea: patuerunt<br />
tamen ei annos undecentum) fino a quando<br />
L. Filippo Censore ne fece installare uno adatto per<br />
Roma. Tuttavia, si fa rilevare che questo fatto non<br />
deve essere interpretato come la causa dell'insuccesso<br />
del mondo Romano verso le scienze esatte e<br />
nella Gnomonica. L'orologio di Catania, avrebbe<br />
indicato a Roma ore inesatte, ma con un'approssimazione<br />
(non maggiore di 5-10 minuti) che all'epoca<br />
non poteva essere tanto evidente da fare scalpore.<br />
E' col senno di poi che gli autori hanno<br />
sostenuto, ma senza ragione, solo sulla base di<br />
questo fatto citato da Plinio, che i Romani furono<br />
poco accorti nelle scienze.<br />
In seguito furono costruiti molti altri orologi solari<br />
sparsi per tutta la città, tanto da far disperare il<br />
parassita della Boeotica di Plauto che si lamenta<br />
dicendo:<br />
Ut illum Di perdant, primus qui horas repperit,<br />
Quique adeo primus statuit hic solarium,<br />
Qui mihi comminuit misero articulatim diem.<br />
Nam me puero venter hic erat solarium<br />
Multum omnium istorum optumum ac verissumum.<br />
Ibi iste monebat esse, nisi cum nihil erat,<br />
Nunc etiam quod est, non estur nisi soli lubet.<br />
Itaque jam oppletum est oppidum solariis<br />
Major pars populi aridi reptant fame.<br />
Il cui cignificato è: "Possano gli Dei perdere colui<br />
che è stato il primo a portar quest'orologio; un<br />
tempo la fame era per me la migliore e la più certa<br />
ora che mi avvertiva; ma oggi non posso che mangiare<br />
quando piace al sole: bisogna consultarne il<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
75
corso e tutta la città è piena di orologi" 107 .<br />
Secondo Pietro Viola 108 , questi versi hanno tratto in<br />
inganno qualche autore nel passato, che credeva vi<br />
fosse annunciato un antico orologio solare romano,<br />
ovvero la più antica citazione di un orologio<br />
romano, nei versi "Vetus erat solarium". Gli eruditi<br />
dell'epoca del Viola, lui compreso, capirono che<br />
queste parole dovevano essere corrette con<br />
"uterus" al posto di "vetus", e "nolebat", al posto di<br />
"monebat", venendo così ad assumere un significato,<br />
secondo loro, più idoneo all'immagine del<br />
parassita che parla.<br />
Come si può vedere, il termine "solarium" per indicare<br />
un orologio solare, era molto diffuso presso i<br />
Romani. Leo Allazio, nel De mensura Temporum,<br />
del 1645 (cap. VI), scrive che "i Romani chiamavano<br />
Solario non solo il luogo costruito sulla sommità<br />
delle case (solaio), nel quale ci si riscalda, ma<br />
anche un luogo frequentato e celebre perchè qui,<br />
come ipotizza Pietro Vittorio, c'era disegnato in<br />
qualche parete una "ratio horarum", ovvero un<br />
orologio solare. Ne fa menzione anche Cicerone<br />
nell'Orazione pro Quintio e da Cornificio IV ad<br />
Herennio".<br />
E' certo che al tempo di Vitruvio i Romani dovevano<br />
servirsi abitualmente sia degli orologi solari<br />
che delle clessidre a sabbia o ad acqua, ne è una<br />
prova il capitolo IX dell'Architettura, dedicato alla<br />
gnomonica e alle diverse specie di orologi solari.<br />
Sicuramente il famoso architetto dovette avere sott'occhi<br />
tutti gli orologi elencati di cui Roma e le<br />
Province ne dovevano essere piene. A noi sono<br />
pervenuti un bun numero di esemplari e, oltre ai<br />
già citati ritrovamenti di orologi solari, possiamo<br />
aggiungere un interessante elenco che fece P.<br />
Romano 109 :<br />
"Nella tenuta di Grotta perfetta, in occasione di<br />
scavi, si rinvenne un orologio solare marmoreo con<br />
lo stilo di ferro. A Tor Paterno, negli ultimi anni del<br />
1700 se ne trovò uno di grande interesse.<br />
Purtroppo, però, fu portato in Inghilterra e solo<br />
una copia in gesso se ne riservò il Museo Vaticano.<br />
Il Settele rilevò che le linee orarie che negli altri<br />
orologi sono delimitate dai circoli dei tropici, in<br />
questo erano prolungate fin quasi alla base dello<br />
stilo. Lorenzo Re, professore all'Università La<br />
Sapienza di Roma, possedeva nel 1815 un orologio<br />
solare trovato presso il Circo di Caracalla.<br />
L'Antonini (1790), riprodusse in incisione ben<br />
diciotto altri orologi solari rinvenuti in Roma e<br />
nella Provincia. Il cosiddetto orologio solare "capitolino"<br />
fu trovato presso Castelnuovo di Porto.<br />
Benedetto XIV (1751) lo fece restaurare, mettervi lo<br />
stilo e collocare su una finestra del Museo<br />
Capitolino affinchè anche oggi - secondo quanto<br />
dice l'iscrizione incisa sopra - ci potesse mostrare le<br />
ore ineguali degli antichi".<br />
A queste citazioni vorrei aggiungere, per non<br />
dimenticarmene, un interessante orologio ritrovato<br />
nel vecchio Porto di Anzio. Senz'altro non se ne<br />
sono visti altri uguali. Sembrerebbe appartenere<br />
alla famiglia degli Scaphen perchè si tratta di un<br />
orologio descritto in uno scafio e poggiato su un<br />
piedistallo.<br />
107 Il testo latino l'ho trascritto dall'opera di Salmasio e sono evidenti alcune parole non uguali alle altre versioni, d'altra parte lui<br />
assegna a queste dei diversi significati.<br />
108 De veteri novaque romanorum tempore ratione, Venetiis, 1735, p. 183<br />
109 Op. cit. pag. 6 e segg.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
76
Di orologi pubblici nessun autore parla più sino<br />
all'epoca di Augusto. L'Imperatore, a decorazione<br />
del Campo Marzio, pensò di far erigere un orologio<br />
solare grandioso che fosse a un tempo calendario<br />
e indicatore delle ore, e fra l'Ara Pacis e i portici<br />
di Agrippa, nel mezzo di un gran parco innalzò<br />
un obelisco, destinato a proiettare l'ombra sopra<br />
un gran pavimento di travertino. Dirò, brevemente,<br />
che l'obelisco-gnomone, fu rimosso dalla<br />
sua sede originaria ad Eliopolis, in Egitto, nell'anno<br />
12 a.C.; esso fu eretto dal faraone Psammetico<br />
II, seicento anni prima della rimozione. Fu<br />
trasportato con una grossa chiatta fino al porto di<br />
Pozzuoli e trasferito su un'altra imbarcazione con<br />
la quale raggiunse la foce del Tevere. La<br />
descrizione più famosa dell'orologio ci è stata lasciata,<br />
come al solito, dal naturalista Plinio il<br />
Vecchio nel seguente passo della sua Historia<br />
30<br />
L’OROLOGIO SOLARE DI AUGUSTO<br />
Naturalis:<br />
"Il divo Augusto adattò l'obelisco del Campo<br />
Marzio ad un uso mirabile, vale a dire a delineare<br />
le ombre del sole e a designare l'avvicendarsi dei<br />
giorni e delle notti mediante un pavimento di lastre<br />
di pietre, grande quanto l'ombra proiettata da<br />
tutto l'obelisco nel giorno del solstizio invernale<br />
nell'ora sesta; quindi l'ombra cominciava poco a<br />
poco a calare ogni giorno, secondo le regole che<br />
sono incise nel pavimento con i regoli di bronzo,<br />
per poi aumentare di nuovo. Opera degna (questa)<br />
di essere conosciuta, dovuta all'ingegno del<br />
matematico Fecondo Novo. Costui pose sulla sommità<br />
un globo dorato, nel cui vertice l'ombra si raccoglieva<br />
in se stessa, oppure veniva proiettata dall'apice<br />
enormemente lontano, procedimento, come<br />
dicono, ispirato dalla similitudine del capo dell'uomo".<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
77
Qui devo fare una considerazione molto importante.<br />
Nel leggere il testo di Plinio in alcune<br />
traduzioni antiche ho rilevato che il nome del<br />
matematico Fecondo Novo è totalmente ignorato<br />
dagli autori. Esso non compare in nessuna versione<br />
della Historia Naturalis di Plinio, almeno<br />
fino al nostro secolo. Per fare un esempio, ecco<br />
come C. Heilbronner, nell'opera citata, riporta lo<br />
stesso passo, secondo le traduzioni che aveva a<br />
disposizione ai suoi tempi (1742):<br />
"De illo (obelisco) qui est in Campo Martio pro<br />
gnomone. Ei qui est in Campo, Divus Augustus<br />
addidit mirabilem usum, ad deprehendendas Solis<br />
umbras, dierumque et noctium magnitudines,<br />
strato lapide, ad Obelisci magnitudinem, cui par<br />
fieret umbra Romae, confecto diei, hora sexta, paulatimque<br />
per regulas, quae sunt ex aere inclusae,<br />
singulis diebus decresceret et rursus augesceret,<br />
digna cognitu res et ingenio foecundo. Manlius<br />
Mathematicus, apici auratam pilam additit, cujus<br />
vertice umbra colligeretur in semetipsam, alia<br />
atque alia incrementa jaculantem, ratione, ut ferunt,<br />
a capite hominis intellecta".<br />
Lo stesso identico passo viene riportato da Pietro<br />
Viola 110 e da tutti gli altri autori ed enciclopedie<br />
metodiche dell'epoca. Lo stesso si trova in una<br />
traduzione cinquecentesca dell'opera di Plinio, ed<br />
altre ancora. Nelle traduzioni moderne, invece,<br />
compare il nome di questo matematico Fecondo<br />
Novo di cui gli stessi autori moderni si fanno meraviglia<br />
chiedendosi chi possa essere questo eterno<br />
sconosciuto, così come giustamente fa<br />
l'Ammiraglio Fantoni nel suo eccellente articolo La<br />
meridiana di Augusto 111 . Egli ipotizza, inoltre, che<br />
possa trattarsi di un autore greco sconosciuto e<br />
latinizzato con questo nome per esaltare la divinizzazione<br />
imperiale. Probabilmente, gli autori moderni<br />
si sono affidati alle traduzioni dell'opera di<br />
Plinio effettuate qualche decina d'anni fa da<br />
un'équipe di eruditi francesi, sulla base di diversi<br />
31<br />
CHI ERA FECONDO NUOVO ?<br />
110 "De veteri novaque romanorum temporum ratione", Venetiis, 1735, pag. 183<br />
111 In Orologi le Misure del tempo, n. 12, ottobre 1988, Ed. Technimedia, Roma.<br />
112 Dell'obelisco di Cesare Augusto, Roma 1750<br />
codici antichi. Ma è naturale ed evidente che non<br />
possiamo essere certi di possedere una traduzione<br />
perfetta. Ma molto prima degli eruditi francesi, c'è<br />
il lavoro preziosissimo di altri studiosi delle<br />
antiche opere, tra cui il già citato Claudio<br />
Salmasio, che nelle Esercitazioni Pliniane prende<br />
atto della stessa incongruenza, e di alcune altre<br />
ancora. Per esempio, dove in una vecchia<br />
traduzione dell'opera di Plinio (vecchia per<br />
Salmasio !) è scritto<br />
"solis umbrarum romae confectae diei"<br />
Salmasio emenda:<br />
"ad deprehendendas solis umbras, Brumae<br />
confecta diei, hora sexta".<br />
Dove anche Scaligero corregge in "Brumae confecto<br />
diei".<br />
Salmasio fa notare che anche Manilio, nel terzo<br />
libro (sicuramente parla del poema Astronomicon)<br />
usa il termine "Brumae sidus". Ma egli avverte che<br />
il testo originale di Plinio è ormai profondamente<br />
corrotto:<br />
"Sequentia sic scribit vetus liber: digna cognitu res, et<br />
ingenio facundo mathematici. In aliis: et ingenio facundi<br />
mathematici. Manilii nomen, quod praeferunt editi,<br />
nemo paulo vetustior habet libri. Quae sequuntur,<br />
prodigiosè in editionibus sunt corrupta: apici auratam<br />
pilam adidit, cujus vertice umbra colligeretur in<br />
semetipsam, alia atque alia incrementa jaculantem<br />
apice. Nec mirum est, si nemo haec intelligit, quae sic à<br />
correctoribus depravata fuere. Vetus liber R.B. scribit:<br />
apici auratam pilam addidit, cujus vertice umbra colligeretur<br />
in ipsa, alias enormiteri aculante apice...".<br />
Mentre la versione corretta, secondo Salmasio, è: "cujus<br />
vertice umbra colligeretur in ipsa, alias enormiter jaculante<br />
apice".<br />
Anche il Bandini 112 riporta il nome di Manlio<br />
matematico, come è indicato nell'Enciclopedia<br />
Popolare, alla voce gnomone, del 1846. Ma,<br />
purtroppo, è dificile oggi stabilire con precisione<br />
quale doveva essere il passo originale, dopo tutte<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
78
le modifiche apportate dagli amanuensi nei codici<br />
antichi. Io escluderei il nome di Fecondo Novo che<br />
è impossibile andare a ripescare nella storia, e sarei<br />
più propenso ad accettare o Manlio, come indicato<br />
da quasi tutti i testi antichi, o di un "ingegno fecondo".<br />
Ma potrei anche pensare, però, ad un certo<br />
Epigene di Bisante che, secondo Seneca 113 , si distinse<br />
proprio al tempo di Augusto come un affermato<br />
studioso di Gnomonica dopo essersi formato<br />
presso la scuola caldea, per cui fu soprannominato<br />
Epigene Gnomonico.<br />
Comunque, ufficialmente Salmasio scrive: "Scribit<br />
Plinius Manilium mathematicum pilam apici<br />
obelisci addidisse in campo Martio, cujus vertice<br />
umbra colligeretur in ipsa pila". E dove crede che<br />
il termine "pilam" avesse lo stesso significato di<br />
"polon", cioè indicasse lo gnomone di un orologio<br />
solare adatto a segnare con la sua ombra gli<br />
equinozi e i solstizi. Ma l'orologio di Augusto non<br />
era un "eliotropion" del tipo indicato da Salmasio.<br />
Era un vero e proprio orologio-calendario, tanto<br />
grande, quanto completo, come è stato possibile<br />
dedurre dalle ricerche effettuate da molti studiosi<br />
ed archeologi, sull'antico monumento. Ma ora,<br />
insieme ad una sommaria descrizione di ciò che fu<br />
questo orologio, vediamo alcuni passi, i più significativi,<br />
della sua lunga vicenda storica, attraverso<br />
i pochi documenti che ci sono pervenuti negli ultimi<br />
secoli.<br />
L'orologio fu inaugurato il 9 a.C., con l'Ara Pacis,<br />
nel complesso architettonico del mausoleo e di<br />
altri monumenti, rispettando una ben chiara<br />
topografia e geometria urbanistica. Il testo di<br />
Plinio, già fortemente discusso dagli eruditi di trequattro<br />
secoli fa, dà delle indicazioni piuttosto precise<br />
sulla natura calendariale del monumento, ma<br />
non sulla funzione orologio. Sembra che la prima<br />
scoperta dell'antico tracciato si ebbe nel 1463, in<br />
seguito a certi scavi 114 . Ma nulla ancora era possibile<br />
ricavare sulla forma dell'orologio. Qualche<br />
secolo fa un certo Bandini, per meglio chiarire la<br />
descrizione di Plinio, suppose che "verso tramontana<br />
si formasse un lastricato di pietre quadrate, di<br />
lunghezza proporzionata all'altezza dell'obelisco,<br />
113 Questioni naturali, Lib. VII, cap. 3<br />
114 G. Fantoni, op. cit. pag. 111<br />
115 P. Romano, op. cit. pag. 10<br />
116 Idem, p. 10<br />
117 G. Fantoni, op. cit., pag. 110<br />
cioè di tale lunghezza, che potesse da tutta l'altezza<br />
del monolito ricevere l'ombra meridiana nel<br />
giorno del solstizio d'inverno, la quale ombra è la<br />
più lunga fra quelle meridiane, che sieno gettate<br />
dal sole in tutto l'anno e quindi che si facesse segnare<br />
in questo strato per lungo con delle lamine o<br />
regole di bronzo indorato le lunghezze delle<br />
ombre meridiane in diversi tempi dell'anno, e che,<br />
finalmente, si volesse che si denotassero ancora le<br />
grandezze o quantità dei giorni e delle notti parimente<br />
con delle righe di bronzo indorate e incastrate<br />
nel detto pavimento. Queste linee dovevano<br />
giacere perpendicolarmente a traverso della<br />
meridiana e dovevano essere di diverse<br />
grandezze, corrispondendo da una parte alla<br />
lunghezza dei giorni e dall'altra a quelle delle<br />
notti. Onde, battendo l'ombra della palla, posta in<br />
cima all'obelisco, in una di esse o vicino ad alcuna<br />
delle medesime, doveva mostrare il rapporto che<br />
la lunghezza di tutto quel giorno aveva con tutta<br />
quella notte, o con qualunque altro giorno e l'altra<br />
notte dell'anno, col mostrare il rapporto di quelle<br />
righe alle altre righe di bronzo" 115 . Probabilmente<br />
la linea meridiana calendariale venne realizzata<br />
dopo che fu innalzato l'obelisco, e non si conosce<br />
come fosse stata posata la sfera sulla sua cima. Si<br />
crede che il globo fosse inserito in maniera che non<br />
superasse l'altezza della guglia, o dopo aver recisa<br />
tanta parte della guglia stessa, quanta era la<br />
grandezza della sfera; oppure poteva, questa,<br />
essere incastrata nella cuspide in modo che l'uno e<br />
l'altro avessero uguale altezza 116 .<br />
La grandezza del lastricato dell'intero orologio,<br />
doveva avere delle dimensioni enormi. Calcolando<br />
per un gnomone di circa 30 metri di altezza dal<br />
piano di terra, i punti più esterni dove cade l'ombra<br />
al solstizio invernale, si trovano a 260 metri<br />
circa distanti dalla base del gnomone-obelisco 117 .<br />
Nella descrizione Plinio ci fa sapere che l'opera<br />
dell'ingegno fecondo, o del matematico Manlio, o<br />
Fecondo Novo, "dopo trent'anni non corrispondeva<br />
più, sia che il sole stesso avesse mutato il suo<br />
corso per qualche rivolgimento celeste, sia che<br />
tutta la Terra si fosse spostata dal suo centro, -come<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
79
iferiscono essere stato osservato anche in altri<br />
luoghi- sia che lo gnomone si sia inchinato sul<br />
posto a causa dei terremoti, sia infine che il terreno<br />
abbia ceduto in seguito alle inondazioni del<br />
Tevere". Ma il commento di Plinio fa sorridere<br />
alcuni archeologi di vecchia data i quali non<br />
ammettono che un matematico romano potesse<br />
sbagliarsi nei suoi calcoli, e ancor meno che un<br />
architetto facesse delle cattive fondazioni, anche<br />
con tutti i terremoti ed alluvioni possibili. Si è cre-<br />
duto quindi che Plinio giustificasse il cattivo funzionamento<br />
dell'orologio, dando la colpa al mutamento<br />
del corso del sole , o allo spostamento dell'asse<br />
terrestre. Ma è evidente che le cause sono da<br />
ricercare, molto probabilmente, in un semplice<br />
dissesto del suolo a causa di qualche terremoto,<br />
con un conseguente spostamento dell'obelisco che,<br />
sebbene all'apparenza non risulti, si rende evidente<br />
nella lettura dei punti d'ombra.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
80
L'obelisco, nel terzo secolo, era racchiuso fra le<br />
sontuose fabbriche che in quel tempo decoravano<br />
il Campo Marzio, dopo cioè che Aureliano tirò le<br />
mura dalla porta Collina sino al sottoposto piano.<br />
Sembra perà che venisse trascurato, perchè di esso<br />
nè Pubblio Vittore, nè Ammiano Marcellino fanno<br />
menzione. Dall'"Anonimo" dell'artista Einsiedeln,<br />
sappiamo che era ancora in piedi nell'ottavo secolo<br />
e si ritiene che sia caduto allorchè nel 1084 le<br />
truppe di Roberto il Guiscardo appiccarono il<br />
fuoco nella zona del Campo Marzio.<br />
L'obelisco dovette rimanere sepolto sotto le rovine<br />
delle fabbriche del Campo Marzio, dove fu riscoperto<br />
nel 1463, nel corso di scavi. Nel 1475,<br />
Pomponio Leto ne indicò l'ubicazione "dove è la<br />
chiesa di S. Lorenzo in Lucina con gli orti, ivi fu il<br />
Campo Marzio nel quale si tenevano i comizi, e<br />
dove è stata fabbricata la nuova casa che è dei<br />
Cappellani di S. Lorenzo, ivi fu la base dell'orologio...(..)..Nel<br />
Campo Marzio, dove è l'Eppitaffio de'<br />
Cappellani, ivi fu scavato un orologio che aveva<br />
sette gradi nell'intorno e le linee listate di metallo<br />
indorato; il suolo del terreno era di grosse pietre<br />
quadre e aveva le medesime linee e negli angoli i<br />
quattro venti colla iscrizione: Ut boreas spirat".<br />
Nel XVI secolo si occuparono dell'orologio anche il<br />
Volterrano, il Fulvio, il Marliano e il Gamucci, ma<br />
senza aggiungere particolari di qualche interesse.<br />
Solo un certo Lucio Fauno scrisse: "Un trar di<br />
mano da questo tempio (di S. Lorenzo in Lucina),<br />
si vede oggi rotto in molti pezzi quel obelisco di<br />
CX piedi che Augusto collocò nel Campo Marzio,<br />
nel quale dice Plinio che era scritta l'interpretazione<br />
della Filosofia degli Egizi... In uno dei lati<br />
di quest'obelisco era questo titolo che anco si<br />
legge: Caesar etc. Qui presso è stato in questa età,<br />
cavandosi, trovato un orologio da sole, antico,<br />
colle sue linee e gradi distinti, di metallo indorato,<br />
e negli angoli erano quattro immagini di venti,<br />
32<br />
LA <strong>STORIA</strong> DELL’OBELISCO<br />
lavorati di mosaico, con queste parole: Ut Boreas<br />
spirat" 118 .<br />
Antonio Lelio, quasi dello stesso tempo, in una sua<br />
nota, riferisce che "Imperando Giulio II P.M. nelle<br />
vicinanze della chiesa di S. Lorenzo in Lucina,<br />
presso la casa del Card. Grassi, nell'orto di una<br />
casuccia di un certo barbiere, mentre si scavava<br />
per fare una fogna, si scoperse la base del più<br />
grande obelisco...Era in questo obelisco quel celebre<br />
gnomone insigne per l'autorità di Plinio. Che<br />
anzi i vicini che avevano delle corti all'intorno,<br />
affermavano che nello scavar le cantine avevano<br />
trovato vari segni celesti di bronzo di un artificio<br />
mirabile, disposti nel pavimento all'intorno dello<br />
gnomone. Giulio, benchè ne fosse avvertito,<br />
impedito dalla guerra, nè eresse, nè accordò<br />
quest'obelisco, laonde quel barbiere lo ricoprì di<br />
terra sì come stava poco avanti".<br />
L'obelisco fu scoperto anni dopo, al tempo di Sisto<br />
V e precisamente nel 1587, come riferisce pure<br />
Pietro Angelico da Barga, nell'Epistola de privatorum<br />
Urbis eversoribus. La scoperta fu relazionata<br />
anche da un certo Vacca nelle sue Memorie (si<br />
veda Fea, in Miscellanee): "Al tempo di Sisto V,<br />
presso S. Lorenzo in Lucina, dalla parte verso<br />
Campo Marzio, il cav. Fontana vi trovò una gran<br />
guglia di granito egiziaco e pervenuto alle orecchie<br />
di S.S. commise che si scoprisse, con intenzione di<br />
drizzarla in qualche luogo, ma il suddetto cavaliere,<br />
trovandola maltrattata dal fuoco e datane<br />
ragguaglio a S.S. fu risoluto di lasciarla stare" 119 .<br />
Alessandro VII ordinò al Gesuita Athanasius<br />
Kircher, di dissotterrare l'obelisco, ma questi, dopo<br />
vari studi, sconsigliò di attuare questa decisione. Il<br />
merito di aver fatto tornare alla luce gli avanzi dell'obelisco<br />
spetta a Benedetto XIV, che nel 1748<br />
incaricò di questo lavoro il romano <strong>Nicola</strong><br />
Zabaglia, capo dei Sampietrini. La felice operazione<br />
compiuta dallo Zabaglia gli aumentò la<br />
118 P. Romano, op. cit. pag. 10 e segg.<br />
119 Idem, pag. 14. Il Mercati, dal canto suo, assicura che "fu ritrovata alquanto scantonata e qualche poco corrosa dal fuoco", e<br />
Jacopo Lauro aggiunge "che non si potè scavare per certi impedimenti, come fu fatto degli altri, dei quali il Pontefice aveva<br />
comandato che se ne facesse ricerca".<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
81
popolarità al punto che si cantò per le strade di<br />
Roma, in quella circostanza:<br />
"Passai per Campo Marzio e viddi buglia.<br />
E dissi che robb'è tanta canaglia?<br />
Me fu risposto ch'era per la guglia<br />
Che facea mette su mastro Zabaglia."<br />
Dalle relazioni del tempo si legge:<br />
"Principiato lo scavo del terreno nel cortile della<br />
casa, si scoperse la cima del piedistallo che esisteva<br />
in piedi senza esser niente mosso dalla sua<br />
prima fissazione, sopra la di cui estremità restava<br />
ancora appoggiata la parte inferiore della guglia,<br />
caduta verso l'aspetto di mezzogiorno. Questa<br />
giaceva infranta in cinque pezzi, colla parte inferiore<br />
più elevata e posava al principio sopra del<br />
piedistallo; il rimanente poi declinava, ma più<br />
immerso nel suolo, essendo la cuspide più sprofondata<br />
del rimanente di esso. La superficie di<br />
questo obelisco, che in parte restava occupata nel<br />
muro divisorio delle cantine dello stabile e in parte<br />
restava sotto la strada pubblica, scoperta che fu, si<br />
trovò tutta scortecciata e spogliata di geroglifici, la<br />
quale scortecciatura si estendeva anche dai due<br />
lati, per la metà incirca della loro lunghezza, e il<br />
lato che riposava sopra il terreno con la metà incirca<br />
degli altri due lati, poco o niente era danneggiato<br />
nella superficie, conservando impressi i geroglifici.<br />
Continuatosi a sprofondare lo scavo nel luogo<br />
del piedistallo, cominciò a scoprirsi in quella parte<br />
che riguardava ponente, l'iscrizione scolpita in bellissimi<br />
caratteri e consecutivamente l'altra in caratteri<br />
egualmente grandi nel lato opposto e rispettivamente<br />
all'0aspetto di levante, le quali iscrizioni<br />
sono del tutto uniformi. Gli altri due lati, poi non<br />
avevano iscrizioni. Trovato lo zoccolo in travertino<br />
dell'obelisco, si rinvenne il pavimento della stessa<br />
pietra, il quale restava sott'acqua talmente, che per<br />
poter estrarre i suddetti marmi e il suo piedistallo,<br />
si abbisognò giorno e notte l'opera di molti uomini<br />
ad asciuttare l'acqua per mezzo delle trombe. Sotto<br />
il pavimento fu ritrovata altra platea di sassi di<br />
peperino di più pezzi, che nella superficie mostravano<br />
la stessa grandezza di quelli di travertino.<br />
Questi poi erano ben connessi tra di loro e murati<br />
sopra il masso del fondamento, quali vi sono<br />
rimasti, non mettendo conto scavarli" 120 .<br />
Perchè non si perdesse la memoria del sito presso<br />
cui giaceva l'obelisco, fu murata una lapide sulla<br />
casa segnata con il numero civico 3 al Largo<br />
dell'Impresa (oggi Piazza Gabriele D'Annunzio 121 ).<br />
La lapide, dice: "Benedictus XIV Pont. Max -<br />
Obeliscum hieroglyphicis notis eleganter insculptum<br />
Aegypto in potestatem Populi Romani redacta<br />
- Ab imp. Caesare Augusto Roman advectum -<br />
Et strato lapide regulisque ex aere inclusis - Ad<br />
deprehendendos solis umbras - Dierumque ac noctium<br />
magnitudinem - In Campo Martio erectum et<br />
soli dicatum - Temporis et barb. injuria confractum<br />
jacentemque - Terra ac aedificiis obrutum - Magna<br />
impensa ac artificio eruit - Publicoq. rei literariae<br />
bono propinquu. in locu transtulit - Et ne antiquae<br />
sedis obelisci memoria - Vetustate exolesceret -<br />
Monumentum poni iussit - Anno rep. sal. MDC-<br />
CXLVIII pont. IX" 122 .<br />
Tuttavia, soltanto quarantasei anni dopo che era<br />
stato rimesso alla luce, l'obelisco solare veniva<br />
restaurato dall'Architetto Antinori (per ordine di<br />
Pio VI), mediante alcune lastre ricavate dai blocchi<br />
del fusto della colonna Antonina, e collocato sulla<br />
piazza di Montecitorio.<br />
Gli studi effettuati su questo orologio negli ultimi<br />
anni, soprattutto da parte dell'archeologo Edmund<br />
Buchner, si è stabilito che l'orologio di Augusto<br />
non era solo una semplice linea meridiana calendariale,<br />
ma un vero e proprio orologio solare orizzontale,<br />
con l'intero tracciato orario inciso sul pavimento<br />
marmoreo e, ma è ancora un'ipotesi da verificare,<br />
con le linee diurne, o di declinazione del<br />
sole. L'orologio segnava le ore temporarie in uso a<br />
quei tempi nella vita civile dei romani e il tracciato<br />
120 Idem, pag. 16, 17<br />
121 Ai tempi di P. Romano, cioè al 1946.<br />
122 L'obelisco elegantemente inciso con geroglifici, portato dall'Imperatore Cesare Augusto in Roma, dopo che l'Egitto era stato<br />
ridotto in potestà del Popolo Romano, eretto nel Campo Marzio e dedicato al sole su un pavimento marmoreo con indicazioni<br />
in bronzo per segnare le ombre che fa il sole e la durata dei giorni e delle notti, spezzato e giacente per le ingiurie de tempo e de'<br />
barbari, ricoperto di terra e da edifici, Benedetto XIV, Pont. Mass., con grave spesa e maestria lo disseppellì e a pubblico vantaggio<br />
della cultura, lo trasportò in un luogo vicino e ordinò che venisse posta questa lapide, affinchè la memoria dell'antica sede<br />
dell'obelisco non venisse a cadere per il trascorrere del tempo.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
82
completo, calcolato per la latitudine di Roma è<br />
stato studiato da G. Fantoni, mentre la sua corrispondenza<br />
con l'aspetto urbanistico di oggi è<br />
stato effettuato da Buchner. Egli descrive alcuni<br />
elementi decorativi, come mosaici con simboli e<br />
nomi dei venti, scritte, ecc., che dovevano essere<br />
disposti intorno all'obelisco. Questo si trova in<br />
accordo con quanto si è visto sopra nelle relazioni<br />
degli scavi. Noi tutti ci auguriamo che le ricerche<br />
possano proseguire nel migliore dei modi, e che<br />
l'intero tracciato un giorno possa essere reso visibile<br />
a tutti.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
83
33<br />
LA DECADENZA<br />
LA <strong>GNOMONICA</strong>:<br />
UNA DISCIPLINA DIMENTICATA<br />
A cominciare dal III secolo d.C., cioè dopo la comparsa<br />
dell'ultimo astro della scienza alessandrina,<br />
Claudio Tolomeo, la gnomonica sembra sprofondare<br />
in un baratro dal quale ne verrà fuori soltanto<br />
con la rinascita della scienza araba, cioè più di<br />
cinque secoli dopo. A dire il vero, indico il periodo<br />
a cominciare dal III secolo d.C., per questa misteriosa<br />
decadenza della gnomonica, solo in base ad<br />
una considerazione. Infatti, non abbiamo a disposizione<br />
nè testimonianze dirette (a parte qualche<br />
orologio pervenutoci), nè fonti sufficientemente<br />
chiare ed esaurienti perchè si possa stabilire con<br />
facilità un criterio di valutazione del livello a cui<br />
era giunta la gnomonica di quei tempi, e come essa<br />
si sia evoluta, o come sia decaduta, e le relative<br />
cause. Il capitolo nono dell'Architettura di<br />
Vitruvio, il passo sulle proporzioni delle ombre<br />
misurate coi piedi nel De Re Rustica di Palladio,<br />
qualche vago riferimento nelle opere degli ultimi<br />
compilatori e uomini di scienza, come Manilio, nel<br />
poema Astronomicon, e del più grande Tolomeo, è<br />
ciò che abbiamo a disposizione sulla gnomonica di<br />
allora. Non un libro specifico, non un trattato sugli<br />
orologi, niente di niente, almeno fino al VI secolo.<br />
Come sostenere, allora, che il periodo di decadenza<br />
cominciò dal III secolo? Credo che la gnomonica<br />
fu studiata come materia specifica almeno fino<br />
al II secolo, come è possibile dimostrare con i pochi<br />
ritrovamenti di orologi solari risalenti a quell'epoca.<br />
Ma più chiaramente da un altro passo che ci<br />
viene offerto da Salmasio il quale, riprendendo<br />
una frase del famoso Igino, tratta dal De limitibus<br />
constituendi (II secolo), elogia la gnomonica con<br />
queste parole:<br />
123 C. Salmasio, op. cit. pag. 445 D<br />
124 Commentario letterale, istorico, critico, pag. 143<br />
125 J. Soubiran, op. cit. pag.267<br />
"Advocandum est gnomonices summae,<br />
ac divinae artis fulmentum" 123 .<br />
Oltre a ciò, le nostre conoscenze sulla gnomonica,<br />
ma forse è meglio dire sui modi di misurare il<br />
tempo nei primi secoli dell'Era Cristiana, sono<br />
niente altro che qualche notizia raccolta nelle<br />
opere degli eruditi del Rinascimento e fino<br />
all'inizio del nostro secolo, in cronologie varie,<br />
mathesis, ed altri volumi.<br />
Così, il sapiente Augusto Calmet 124 , riporta una<br />
curiosa testimonianza di Lampridio, certamente<br />
uno degli scrittori specializzati nelle biografie<br />
degli Imperatori, vissuto nel III secolo d.C. circa, il<br />
quale "Osserva che fra i mobili dell'Imperatore<br />
Commodo (161 d.c.), venduti da Pertinace di lui<br />
successore, vi erano certi carri ad uso di segnare le<br />
ore, e di misurare le strade, verisimilmente col<br />
moto delle ruote, de' medesimi, le quali movendosi<br />
sempre con moto eguale, ed uniforme potevano<br />
dar regola, per contare le ore a norma, che<br />
quelle giravano. I Geografi anche al presente<br />
(1750) si servono di carri, o altri strumenti consimili,<br />
che mostrano le distanze per mezzo de' gradi<br />
segnati sopra le ruote".<br />
Inoltre, Giulio Capitolino, descrivendo la vendita<br />
dei beni di Commodo per il suo successore, nel<br />
193, menziona "alia iter metientia horasque monstrantia",<br />
"contatori di velocità" 125 , e orologi solari<br />
portatili, molto diffusi all'epoca. Un orologio portatile<br />
molto interessante, appartenuto a<br />
Commodo, o a qualcuno vissuto durante il suo<br />
regno, lo abbiamo già descritto nel capitolo prece-<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
84
dente. Poi abbiamo notizia di Gaio Giulio Solino,<br />
scrittore latino di Geografia vissuto nel III-IV secolo,<br />
che probabilmente scrisse qualcosa di attinente<br />
alla gnomonica nel Tractatus de practica Quadrantis,<br />
e nel Tractatus de umbra et luce. De occasu et Ortu<br />
Signorum 126 .<br />
Possiamo essere certi che anche in Cina, l'uso del<br />
gnomone, come degli orologi solari, era comune, e<br />
serviva particolarmente agli astronomi (durante i<br />
primi secoli della nostra era vennero edificati in<br />
126 C. Heilbronner, op. cit., pag. 334<br />
127 C. Heilbronner, op. cit., pag. 385<br />
quel paese molti osservatori astronomici dotati di<br />
innumerevoli strumenti, tra cui anche quelli gnomonici:<br />
sfere armillari, globi, quadranti, orologi<br />
solari di varie sorti, ecc.) per determinare i tempi<br />
dei solstizi. Così, l'astronomo Tsou-Tchong,<br />
osservò per mezzo di un orologio solare, il solstizio<br />
invernale e riuscì, per primo, a rappresentare<br />
anche il moto diurno della stella polare. Inoltre<br />
trovò il mese draconitico di 27 giorni, 5 ore, 5<br />
minuti e 34 secondi 127 .<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
85
Un aspetto della storia della Gnomonica rimasto<br />
ancora oscuro riguarda il suo sviluppo e le sue<br />
vicende nella civiltà di Bisanzio. Nel 1978 è stato<br />
portato alla luce un esemplare di orologio emisferico<br />
in marmo, nei pressi della famosa chiesa di<br />
S. Irene a Istanbul 128 . Questo orologio ha una particolarità<br />
che lo rende unico fra tutti gli emisferici<br />
che si conoscono, perchè invece delle usuali 12 ore<br />
temporali, reca inciso un tracciato orario per le ore<br />
italiche. Ma non è tutto. Stranamente le linee orarie<br />
sono state incise erroneamente al contrario, cominciando<br />
con le 23, 22, 21, ecc., dal lato Ovest anzichè<br />
dall'Est. Il ritrovamento di questo straordinario<br />
orologio, insieme con un'altra informazione storica,<br />
finora inedita, permette di aprire uno spiraglio<br />
di luce sulla difficile datazione storica dell'uso<br />
delle ore italiche nella civiltà bizantina.<br />
In questo difficile compito ci viene in aiuto il<br />
filosofo cristiano neoplatonico Proclo Lycius<br />
Syriani, nato a Bisanzio nel 412 c.ca, e vissuto a<br />
Licia e quindi ad Atene, dove morì nel 485. Tra le<br />
sue opere scientifiche principali si può ricordare:<br />
"Hypotiposis Astronomicarum positionum"; "De<br />
sphera sive circulis coelestibus libellus";<br />
"Paraphrasis in Claudii Ptolemai libros quatuor de<br />
siderum effectionibus"; "Imprimum elementorum<br />
Euclidis libri quatuor"; "De effectibus Eclipsium<br />
Solis et Lunae juxta singulas signorum triplicitates<br />
et decanos"; "Tribuitur quoque ei inventio ac usus<br />
Speculi". Nella prima opera citata, quella di<br />
Astronomia, il filosofo parla anche della<br />
costruzione dell'astrolabio e di quello a forma di<br />
Aranea, cioè con le linee orarie che formano una<br />
tela di ragno; parla poi dell'osservazione diurna<br />
del sole; di vari procedimenti sulle osservazioni<br />
celesti per conoscere le ore astronomiche e le ore<br />
planetarie, ed altre cose di interesse astronomico.<br />
Ma la notizia che più ci interessa è che egli, in<br />
quest'opera, scrive un capitolo sulle ore italiche 129<br />
che potrebbe essere una delle primissime trat-<br />
34<br />
LA <strong>GNOMONICA</strong> A BISANZIO<br />
128 R. Rohr, op. cit. pag.18<br />
129 C. Heilbronner, op. cit., pag. 383-384<br />
tazioni in merito. La chiesa di S. Irene, è uno dei<br />
monumenti bizantini più antichi. Fu eretta sui resti<br />
di una più antica basilica, nel 532 d.C., per essere<br />
ricostruita nel 740, in seguito ad un incendio. Da<br />
quanto detto, possiamo cominciare a supporre che<br />
le ore italiche furono oggetto di studio a Bisanzio e<br />
Atene, almeno nel V secolo, anche se dobbiamo<br />
tener conto che, a detta degli eruditi, nell'opera di<br />
Proclo ci sono molti punti oscuri che comportano<br />
una difficile lettura del testo che, a sua volta, non è<br />
corredato da nessuna immagine. Il libro fu tradotto<br />
dal greco in latino da Georgius Valla, nel 1498.<br />
Inoltre, sarebbe interessante consultare l'opera<br />
precedentemente citata di Giulio Solino, in quanto<br />
il titolo "De occasu et ortu signorum",potrebbe far<br />
pensare ad uno studio sui segni (delle ore?) dal tramonto<br />
e dal nascere del Sole. In questo caso, allora,<br />
si potrebbe concludere che le ore italiche furono<br />
già studiate da quest'autore nel II-III secolo.<br />
In una Storia Bizantina, enciclopedica, redatta da<br />
Carolo Du Fresne nel 1729, si danno altre notizie<br />
veramente interessanti, ed inedite, sugli orologi<br />
solari all'epoca di Bisanzio. Egli racconta che in<br />
una piazza denominata Milio, evidentemente a<br />
Costantinopoli, esistette un "Horologium" che,<br />
come narra Teofane nell'anno nono e poi Cedreno<br />
(1500), fu costruito da Giustiniano. Codino ipotizza<br />
che tale orologio non fu il solo posto in una<br />
piazza di Costantinopoli. Egli crede che vicino alla<br />
Basilica di S. Sofia ne fu posto un'altro presso il<br />
quale fu edificata la chiesa di S. Giovanni Battista.<br />
Ma secondo quanto riporta anche Cedreno, in<br />
Romano Seniore, sembra che quest'orologio non fu<br />
costruito da Giustiniano, ma da Giustino il<br />
Giovane e la moglie Sofia Augusta, a cura di<br />
Giuliano Prefetto Pretorio. Infatti, ci resta la<br />
citazione dell'epigramma che si trovava alla base<br />
dell'orologio, riportato nell'Antologia Greca, Lib.<br />
IV, cap. 34. Interprete di questo epigramma fu C.<br />
Petro Menardo Turonensi:<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
86
"Dona tyrannorum victor Justinus et uxor,<br />
Lux libertatis, collocat, haec Sophia,<br />
Aes horas monstrans veraci conspicis umbra<br />
Primam unam, bissex ultima signa notant.<br />
Subreptum latitabat opus: sed repperit illud<br />
Praeses Julianus, restituitque loco".<br />
Il cui significato è: "Il vincitore Giustino e la moglie<br />
Sofia, luce della libertà, colloca questi doni dei<br />
tiranni. Attraverso l'ombra veritiera vedi mostrare<br />
le ore e annotano la prima e le altre fino a dodici.<br />
Questo orologio pare che fu rapito e stava nascosto.<br />
Lo ritrovò il Preside Giuliano e lo riportò sul<br />
posto".<br />
Esistono poi altri epigrammi che fanno riferimento<br />
a un orologio solare edificato da Sergio Patriarca di<br />
Costantinopoli, vissuto ai tempi di Eraclio, che<br />
pare fu collocato dove prima c'era un orto (?).<br />
Sembra però che si trattasse dell'orologio denominato<br />
"Heliacon" da Leone Grammatico: "sed illud<br />
esse, quod Heliacon vocatur apud Leonem<br />
Grammaticum".<br />
Considerato l'interesse di queste notizie per la<br />
prima volta divulgate, ritengo opportuno riportare<br />
integralmente la versione originale tratta dalla<br />
Historia Byzantina di Carolo du Fresne:<br />
"In Milio extitit HOROLOGIUM, quod a<br />
Justiniano confectum narrat Theophanes anno<br />
nono, et ex eo Cedrenus pag. 371. (...) Haud procul<br />
ab aede Sophiana extitisse non uno loco innuit<br />
Codinus, qui praeterea ait ab eodem Justiniano<br />
aedem S. Joannis Baptistae exxaedificatam ad<br />
Horologium (...). Meminit rursum Horologii<br />
Cedrenus pag. 525. E.R. in Romano Seniore:<br />
"Patricium vero Cosmam et Logothetam pessime<br />
habens, in Horologio, dignitate exuit". Quo loco<br />
Horologium Milii usurpat pro ipso Milio, in quo<br />
rei, eorumque capita exponebatur, uti docuimus.<br />
Extat in Anthologia lib. IV, cap. XXXIV.<br />
Epigramma in basi Horologii, fornici, qui ad<br />
Basilicam erat, inaedificati, descriptum (...). Ex quo<br />
colligitur Horologium confecisse Justinum<br />
Juniorem et Sophiam Augustam, curante, Juliano<br />
Praefecto Praetorio:<br />
(segue epigramma riportato sopra)<br />
Per fornicem vero qui est ad Basilicam, ut habetur<br />
in Epigrammatis epigraphe, intelligitur ipsum<br />
Milium. Habentur ibidem bina alia Epigrammata<br />
in Horologium Solare a Sergio Patriarcha<br />
Constantinopolitano, qui sub Heraclio vixit, aedificatum,<br />
ubi antea erat hortus: sed illud esse, quod<br />
Heliacon vocatur apud Leonem Grammaticum<br />
pag. 479. E.R. nolim asserere: "ut eum Imperator<br />
ad Horologium solare stans conspexit, etc.". Nam<br />
ita haec verba reddidit Combesisius: cum "eliacon"<br />
accipi possit vel debeat pro solario, seu loco aprico<br />
in summa aedium parte, quomodo solarium Latini<br />
usurpant, quod vox "esos" etiam persuadere videtur:<br />
ita "eliacon tes Magnauras" dixit Theophanes<br />
pag. 231. E.R. ut alios omittam. At quale fuerit<br />
horologium illud Milii, aquarium-ne, uti a<br />
Senatore lib. I epist. XLV. an vero cujusmodi in<br />
Francorum Annalibus anno DCCCVII describitur,<br />
ex his non aetate aquaria duntaxat horologia obtinuisse<br />
ex eodem Senatore colligi posse videtur".<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
87
35<br />
UN CODICE DEL VI SECOLO<br />
DIMENTICATO:<br />
FORSE L’UNICO DOCUMENTO DI<br />
<strong>GNOMONICA</strong> SOPRAVISSUTO<br />
Verso la fine del secolo V, dovette avvenire qualche<br />
innovazione nella costruzione degli strumenti orologici<br />
per la misurazione del tempo. Infatti, si ha<br />
notizia di alcuni orologi che potrebbero essere<br />
quasi dei prototipi di quelli meccanici, e<br />
comunque certamente diversi da quelli solari usati<br />
fino ad allora. Così, Jacobus Andreas Crusius, ci<br />
informa che "<strong>Severino</strong> Boezio per primo si preoccupò<br />
che a Roma fossero raccolti degli orologi<br />
ignoti agli antichi", evidentemente costruiti con i<br />
pesi. Mentre nella Historia Ticinensi, Lib. 7,<br />
Bernardino Sacco narra che Boezio fu il primo a<br />
costruire orologi con i pesi in equilibrio a Roma<br />
(Severinum Boethium primum fuisse, qui<br />
Horologia libratis ponderibus Romae componi<br />
curavit). Ma l'illustre <strong>Severino</strong> Boezio, che era un<br />
eccellente matematico, era versato anche nella<br />
costruzione di orologi solari e ad acqua, tanto che<br />
il Re Teodorico gli commissionò la costruzione di<br />
un orologio solare e "acquatile" per il Re dei<br />
Burgundi. Nella lettera (epistola 45 e 46 di<br />
Cassiodoro) si capisce, dalla descrizione, che<br />
l'orologio ad acqua era "regolato sotto una misura<br />
per acque che scorrono". Come dice Soubiran 130<br />
queste due lettere rappresentano gli unici documenti<br />
interessanti sulla gnomonica di quell'epoca,<br />
con l'unica eccezione per un codice manoscritto<br />
dimenticato da tutti. Si tratta del codice rarissimo<br />
(probabilmente, ammesso che ancora esista, sarà<br />
un esemplare unico) di un certo Athemii, o<br />
Antemio, dal titolo "Problema Sciatericum". Dal<br />
titolo si direbbe proprio che si tratti di un manoscritto<br />
sulla gnomonica, ovvero sullo studio di<br />
strumenti scioterici, cioè di orologi solari. E' elen-<br />
130 op. cit. pag. 277<br />
cato nella bibliografia riportata da C. Heilbronner,<br />
nell'opera citata, dove si legge pure che Antemio<br />
sarebbe quel personaggio che scrisse anche il libro<br />
"De machinis militaribus...", vissuto probabilmente<br />
all'inizio del VI secolo. Potrebbe quindi<br />
essere l'unico libro di gnomonica di quell'epoca,<br />
ma sarebbe necessario approfondire le ricerche<br />
attraverso una consultazione diretta del codice<br />
presso la Biblioteca Bodleiana di Oxford.<br />
Ritornando a Cassiodoro, mi risparmio di<br />
riportare per intero il contenuto delle due lettere in<br />
quanto esse sono facilmente reperibili nei testi<br />
moderni. Tuttavia riporto i titoli delle lettere.<br />
EPISTOLA QUADRIGESIMA QUINTA<br />
Boethio Viro Illustri Patricio Theodoricus Rex.<br />
Dicit se rogatum esse à Burgundionum Rege, ut<br />
horologia aquatile et solare ad ipsum transmitteret;<br />
Boethiumque omnia Nathesis miracula<br />
apprimè callentem, ad hoc opus perficiendum<br />
invitat.<br />
EPISTOLA QUADRIGESIMA SEXTA<br />
Gundibaldo Regi Burgundionum Theodoricus<br />
Rex.<br />
Horologia solare, et aquatile à Boethio fabricata<br />
cum eorum dispositoribus illi mittit.<br />
Inoltre, pare che gli orologi realizzati da Boezio<br />
avessero pure la caratteristica di emettere dei<br />
suoni metallici (quod nobis cotidianum, illis videatur<br />
esse miraculum: metalla mugiunt, Diomedes in<br />
aere gravius bucinat, aeneus anguis insibilat, aves<br />
simulatae fritinniunt, et quae vocem propriam<br />
nesciunt habere, dulcedinem probantur emittere<br />
cantilenae).<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
88
Così, qualcuno, nei secoli scorsi, pensò che i primi<br />
orologi meccanici che indicavano l'ora col suono<br />
delle campane, fossero stati inventati da <strong>Severino</strong><br />
Boezio, ma di questo non si ha nessuna prova<br />
diretta. Si è creduto, comunque, che lui avesse realizzato<br />
i primi orologi coi pesi, mentre Giovanni<br />
Bona 131 , ricorda che Cardano, in "De subtilitate",<br />
nella Gemma dell'Annulo, narra che era stato fabbricato<br />
in quei tempi un orologio che indicava le<br />
ore non solo con la "sfera" (lancetta), ma anche col<br />
colpo (et horas indicabat non solum sagitta sed<br />
ictu).<br />
131 Divinae Psalmodiae, 1678, cap. III<br />
Di un altro orologio strano si ha notizia negli Atti<br />
del martirio di S. Sebastiano, del Prefetto<br />
Cromazio, in cui si legge: "Ho la stanza da letto<br />
tutta di vetro; ho disegnato tutto l'ordinamento<br />
delle stelle e la meccanica celeste; così vengono<br />
distinti il corso dei mesi e degli anni in un determinato<br />
numero, attraverso gli spazi delle ore.<br />
Vengono previste attraverso calcoli di indigitazione<br />
e mentali, il movimento della Luna e le relative<br />
fasi lunari". Si tratta naturalmente di un<br />
mega meccanismo simile ad un astrolabio o ad un<br />
planetario casalingo.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
89
Nel trattare degli orologi solari ho trascurato di<br />
parlare anche degli altri sistemi per la misura del<br />
tempo. Trattandosi di un argomento che non interessa<br />
specificamente la gnomonica (che studia solo<br />
gli orologi solari), mi soffermerò brevemente, solo<br />
per le cose più importanti, su due principali orologi<br />
che ebbero una diffusione ed una popolarità<br />
anche maggiore degli orologi solari. Uno è l'orologio<br />
ad acqua, l'altro è la famosissima clessidra. E'<br />
facile indovinare le cause del successo degli orologi<br />
ad acqua e a sabbia: essi erano l'unico mezzo,<br />
per l'uso civile, di misurare lo scorrere del tempo<br />
di notte, o col tempo nuvoloso.<br />
Gli orologi ad acqua sono antichissimi, come testimoniano<br />
Sesto Empirico (adv. Astrol. V.24. e 74),<br />
Macrobio (Somn. Scip. I.21) e Orapollo (I.16). Un<br />
bellissimo esemplare ci è giunto dall'Egitto e risale<br />
a circa 1500 anni a. C. Nella letteratura classica il<br />
riferimento più antico è sicuramente quello dell'orologio<br />
portatile citato dal poeta Comico Batone<br />
e riportato da Ateneo (vedi capitolo precedente). Si<br />
crede che qui Batone parlasse di un orologio ad<br />
acqua.<br />
Vitruvio (lib. IX, cap. IX) ci dice che inventore dell'orologio<br />
ad acqua fu Ctesibio Alessandrino, nel<br />
595 a.C. Mentre Ateneo (Deipn. (IV. 23. p. 174)<br />
riferisce che Platone fece un "orologio di notte simile<br />
ad una gran clessidra". Ma è difficile dire se<br />
veramente fu un orologio e dello stesso parere è<br />
Salmasio il quale nega essere stato quello un orologio<br />
(Ex. Pl. p. 450). Plinio (VI.60) riferisce che<br />
Scipione Nasica costruì il primo orologio ad acqua<br />
per i Romani, mentre il poeta Luciano parla di un<br />
orologio che indicava le ore con l'acqua e col<br />
suono. Di questo orologio ne riporta la figura<br />
Girolamo Magi in "de Tintinnab.", al cap. 6.<br />
Ecco come un autore più recente ha immaginato la<br />
forma dei più semplici orologi ad acqua: "Un vaso<br />
pieno d'acqua che si versava a stille in un altro<br />
vaso nello spazio di dodici ore, ed un pezzo di sughero<br />
che nel secondo vaso si andava innalzando<br />
insieme con l'acqua, era l'indice che segnava le<br />
36<br />
NON SOLO OROLOGI SOLARI<br />
132 G. Settele, Illustrazione di un antico astrolabio, Roma, 1817.<br />
ore". Un orologio di questa specie, di notevoli<br />
dimensioni, doveva essere collocato nel Foro, e<br />
forse si tratta proprio di quello realizzato da<br />
Nasica. Gli orologi ad acqua erano, anticamente,<br />
chiamati anche clessidre. Infatti i dizionari etimologici<br />
antichi riportano che le clessidre venivano<br />
chiamate pure Orologi, perchè con esse gli astronomi<br />
misuravano i tempi. Salmasio propone anche<br />
una etimologia diversa. Le clessidre, quindi, sia ad<br />
acqua che a sabbia, furono usatissime nella determinazione<br />
dei tempi per le osservazioni celesti. In<br />
seguito le clesidre vennero chiamate anche "solaria"<br />
e "horaria", come ci informa Censorino, mentre<br />
Marziane nota che esse furono fatte anche di vetro.<br />
Ma l'aspetto più interessante per la storia delle<br />
clessidre, sono le testimonianze degli antichi<br />
filosofi sull'uso che gli astronomi ne facevano per<br />
le loro osservazioni astronomiche. A informarci<br />
con molta chiarezza e particolari su questo aspetto<br />
è una relazione del matematico Giuseppe Settele<br />
del secolo scorso 132 , dal quale prendo le seguenti<br />
notizie.<br />
Delle clepsidre fanno menzione Cleomede (Cyclic.<br />
Theor. Lib. 2), Tolomeo (Almag. Lib. 5. Cap. 14),<br />
Teone Alessandrino nel Commentario al Lib. 5<br />
dell'Almag., e Proclo Diacono (Hypotyp. Cap. 3),<br />
allorchè espongono il metodo tenuto dai più<br />
antichi astronomi nel misurare i diametri del sole e<br />
della Luna, che "consisteva nell'osservare per<br />
mezzo delle clepsidre la differenza del tempo tra il<br />
nascere del lembo superiore, ed inferiore del Sole,<br />
e della Luna, quando percorrevano l'equatore, e<br />
poi di osservare il tempo del nascere fino al tramontare<br />
di questi corpi, e quindi fare la seguente<br />
proporzione: il tempo dal nascere al tramontare stà<br />
al tempo impiegato dal diametro solare, o lunare<br />
per sorgere tutto dall'orizzonte, come 180 gradi<br />
stanno al quarto termine: e Cleomede di fatti dice,<br />
così essersi trovato, che i diametri del sole e della<br />
luna sono la settecentesima parte della loro orbita,<br />
che viene a corrispondere a 31 minuti in circa; il<br />
che non molto si discosta dal vero, benchè questo<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
90
metodo sia soggetto a molti inconvenienti, come lo<br />
ha notato già Tolomeo, per cui lo lasciò, e vi sosituì<br />
la diottra, imitando Ipparco".<br />
Marciano Capella (lib. 8) accenna pure all'uso delle<br />
clessidre nelle osservazioni astronomiche: "multiplici<br />
enim clepsidrarum appositione monstrantum<br />
pmnia signa paria spacia continere". Mentre secondo<br />
Sesto Empirico, i Caldei divisero per mezzo<br />
delle clessidre lo zodiaco in 12 parti. E il Petavio e<br />
il Bailly discutono se questa divisione debba intendersi<br />
realmente dello zodiaco o piuttosto dell'equatore.<br />
A causa della grande richiesta di clessidre,<br />
nell'antichità, vi dovevano essere molti artigiani<br />
versati nella costruzione di questi strumenti, come<br />
testimonia l'iscrizione del Paciaudi posta ad un<br />
AVTOMATARIO KLEPSIDRARIO.<br />
Le clessidre ad acqua avevano un difetto che le<br />
rendeva imprecise: spesso l'acqua si congelava ed<br />
evaporava, per cui furono pian piano sostituite con<br />
quelle a sabbia, senz'altro le più famose, ancora in<br />
uso fino a un paio di secoli fa. Abbiamo molte testimonianze<br />
del curioso uso che i giudici romani<br />
facevano delle clessidre: misuravano con esse il<br />
tempo che a ciascun patrocinatore intendevano<br />
concedere per perorare le loro cause, da cui ne<br />
proviene il proverbio: dicere ad Clepsydram.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
91
LE MERIDIANE BENEDETTINE<br />
37<br />
38<br />
39<br />
40<br />
41<br />
42<br />
43<br />
IV CAPITOLO<br />
Introduzione<br />
Il tempo dei monaci nel Medioevo<br />
Le ore canoniche<br />
Il calcolo delle ore canoniche nel<br />
XVI secolo<br />
Esempi di meridiane canoniche<br />
Le ore canoniche prima dell’Era<br />
Cristiana<br />
Una “vexata quaestio”: Gesù fu<br />
davvero crocifisso all’ora terza ?<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
92
Intorno all'anno Mille cominciarono ad apparire sulle<br />
facciate di piccole e grandi abbazie sparse in tutta<br />
Europa delle meridiane con strani segni. Esse servirono<br />
a scandire il tempo della vita quotidiana di generazioni<br />
di monaci.<br />
Uno degli aspetti meno conosciuti, nelle sue più<br />
varie sfaccettature, della vita quotidiana dei<br />
monaci del medioevo, è senz'altro quello relativo<br />
ai metodi di misurazione del tempo. E' noto, infatti,<br />
che tale lacuna storica è strettamente legata alle<br />
conoscenze di materiale storiografico, davvero<br />
esigue, e al fatto che pochissimi autori si sono preoccupati<br />
di indagare in questa direzione, soprattutto<br />
dal punto di vista scientifico.<br />
Ciò comporta, oggi, un vuoto bibliografico che in<br />
parte viene colmato da generici articoli e opere<br />
sulla misurazione del tempo e in parte da lavori<br />
specifici di ricercatori di storia della gnomonica.<br />
Noi rientriamo nel secondo caso e, quindi, cercheremo<br />
di affrontare il problema da un punto di vista<br />
gnomonico (che è quello meno noto), ma senza<br />
nulla togliere all'indagine quel sapore mistico che<br />
scaturisce da significati religiosi e sociali ben più<br />
ampi a cui tali meridiane erano destinate.<br />
Le diverse celebrazioni degli Uffici religiosi, legate<br />
ad abitudini di vita diverse, in vigore nelle grandi<br />
organizzazioni monastiche dell'alto Medioevo,<br />
sono tra i fattori principali che rende arduo, oggi,<br />
il tentativo di decifrare quei particolari segni che si<br />
riscontrano in alcune meridiane dette ad ore canoniche<br />
le quali, oltre che come normali segnatempo<br />
solari, erano destinate ad indicare ai monaci il<br />
tempo delle principali preghiere liturgiche.<br />
Le ore canoniche, almeno da un punto di vista<br />
gnomonico, non sono altro che il resto dell'antica<br />
divisione del giorno in 12 parti uguali, cioè sono<br />
esattamente corrispondenti alle ore ineguali, dette<br />
temporali, sistema di suddivisione del tempo<br />
adottato anche da San Benedetto nel VI secolo,<br />
133 Lysons, Magna Britannia, t. IV, History of Cumberland<br />
134 D. Haigh, Archaeol. Aeliana, 1857, t.1, pag. 149<br />
37<br />
INTRODUZIONE<br />
perchè ritenuto conforme al sistema di vita del<br />
monaco di quei tempi.<br />
Le meridiane canoniche sono dei semplici segnatempi<br />
solari adatti sostanzialmente ad indicare<br />
le ore temporarie, come in uso anticamente; utilizzando<br />
la stessa suddivisione oraria, e contrassegnando<br />
alcune linee con dei simboli, esse venivano<br />
adattate alle esigenze della vita religiosa:<br />
conoscere, attraverso l'ombra del sole proiettata<br />
dallo gnomone, i momenti delle principali azioni<br />
liturgiche, in particolare le ore dette minori, cioè<br />
Terza, Sesta e Nona e, con la retta alba-tramonto, la<br />
Prima e i Vespri.<br />
Ma in realtà, gli uffici canonici principali erano<br />
invece quelli che si svolgevano di notte, e non di<br />
giorno, quelli delle Lodi al mattino, di Prima e<br />
dell'Ufficio Vespertino, per indicare i quali le<br />
meridiane solari erano ovviamente inefficaci.<br />
Perchè non si generi confusione, bisogna distinguere<br />
fra orologi solari ad ore temporarie semplici,<br />
quelli che riportano solo le linee orarie corrispondenti<br />
ad alcuni uffici religiosi e, infine, gli<br />
orologi ad ore temporarie con aggiunti i momenti delle<br />
principali orazioni, contraddistinti con tratteggi, croci<br />
ed altri simboli. Come è facile osservare, questi ultimi<br />
rappresentano la maggior parte delle vere<br />
meridiane canoniche che si conoscono.<br />
Nel cimitero di Bewcastle, in Inghilterra, si trova<br />
un obelisco sul quale vi sono delle strane incisioni<br />
runiche (caratteri dell'antico alfabeto dei<br />
Germani). Sulla parte volta a sud si trova inciso un<br />
piccolo orologio solare composto da una semicirconferenza<br />
suddivisa in quattro parti ; dato lo stato<br />
di degrado, è impossibile stabilire se vi siano ulteriori<br />
suddivisioni intermedie di linee orarie 133 . Le<br />
rovine di Bewcastle permettono di definire una<br />
data per l'obelisco, in quanto esso fu innalzato da<br />
Aelfrid, figlio di Oswin, re della Northumbrie, il<br />
quale morì all'incirca nel 664 134 . Questo orologio ad<br />
ore canoniche, fig. 36, è ritenuto, erroneamente,<br />
come il più antico che ci sia pervenuto, mentre chi<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
93
scrive ha da tempo 135 segnalato lo straordinario<br />
orologio solare canonico di fig. 37, ritrovato in<br />
Palestina sul finire del secolo scorso, , risalente al<br />
III secolo d.C. e divulgato per la prima volta nella<br />
rivista "Revue Biblique" nel 1903.<br />
135 <strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong>, Storia della Gnomonica, Roccasecca, 1992-1994<br />
Le meridiane canoniche sono oggi, e lo erano<br />
anche prima, una vera rarità tanto che non se ne<br />
trova cenno alcuno nelle opere del monaco erudito<br />
Beda il Venerabile.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
94
38<br />
IL TEMPO DEI MONACI<br />
NEL MEDIOEVO<br />
"E' impossibile stabilire l'uso del tempo di un religioso<br />
- scrive Léo Mulin 136 -, innanzitutto a causa dell'imprecisione<br />
dei dati forniti dal Medio Evo, assai meno<br />
sensibile di noi al significato del tempo e a un suo calcolo<br />
preciso". La Regola benedettina richiedeva al<br />
monaco un elevato grado di puntualità nello svolgimento<br />
degli Uffici religiosi, e questa puntualità<br />
fu il principale motivo per i monaci, a differenza<br />
dei contadini che li circondavano, per porre una<br />
maggiore attenzione nella risoluzione dei problemi<br />
tecnici relativi alla misurazione del tempo, sia<br />
di giorno che di notte.<br />
"Il calcolo del tempo aveva una tale importanza per i<br />
religiosi che non c'è da stupirsi se proprio loro hanno<br />
fatto progredire l'arte dell'orologeria. Quest'ultima,<br />
scrive Schmitz, non ebbe promotori più zelanti di alcuni<br />
abati...Un testo del 1250 circa, L'Image du monde,<br />
loda gli orologi che segnano l'ora di giorno e di notte,<br />
'per stabilire il tempo delle preghiere la cui regolarità è<br />
gradita a Dio" 137 .<br />
Prima che si generalizzasse l'uso degli orologi<br />
meccanici delle meridiane e delle clessidre, la<br />
Regola fissava che i monaci si alzassero in inverno<br />
prima del canto del gallo ed in estate dopo il<br />
medesimo canto, di modo che in inverno finissero<br />
i Notturni prima, ed in estate li cominciassero solo<br />
dopo il canto del gallo 138 .<br />
Ai tempi di S. Benedetto gli orologi solari erano<br />
certamente conosciuti ed usati, almeno dagli<br />
uomini dotti. Abbiamo, al riguardo, precise testimonianze<br />
nelle epistole di Cassiodoro e <strong>Severino</strong><br />
Boezio 139 . Quest'ultimo costruì anche i primi rudimentali<br />
orologi meccanici e ad acqua, attraverso<br />
nuove tecniche 140 . Ci riesce difficile, tuttavia,<br />
credere che gli orologi meccanici, ad acqua, e quindi<br />
le clessidre e le meridiane, fossero strumenti in<br />
dotazione di qualsiasi monastero. Per costruire<br />
una meridiana precisa non ci vuole molto: un<br />
muro esposto più o meno a Sud, un pezzo di ferro<br />
come gnomone e uno strumento per realizzare<br />
solchi nella parete, oppure un po' di colori per<br />
creare qualcosa di più artistico. Ma probabilmente,<br />
le meridiane canoniche, nella loro spartana concezione<br />
(quasi sempre un semicerchio suddiviso<br />
semplicemente in quattro o più spazi uguali),<br />
dovevano rispecchiare la condizione di umiltà e di<br />
povertà imposta dalla Regola ai monaci. Esse<br />
erano quindi lo strumento di misurazione tra i più<br />
semplici e più economici da realizzare. Eppure il<br />
loro massimo sviluppo non si ebbe che intorno<br />
all'anno Mille, probabilmente in seguito allo straordinario<br />
moltiplicarsi di nuovi ordini monastici<br />
che trasformarono l'Europa cristiana, come scrisse<br />
Rodolfo il Glabro, in un "bianco mantello" di tetti.<br />
Ma l'anno Mille vide anche il fiorire di nuove tecniche<br />
che portarono allo sviluppo degli orologi<br />
meccanici da torre.<br />
Recentemente è stato segnalato 141 un presunto<br />
136 Lèo Mulin, La vita quotidiana dei monaci nel medioevo, Mondadori, 1988, pag. 43.<br />
137 Lèo Mulin, La vita quotidiana dei monaci nel medioevo, Mondadori, 1988., pag.48<br />
138 Scrive infatti Agostino Calmet, , Commentario letterale, istorico e morale sopra la Regola di S. Benedetto, Arezzo, MDCCLI, Tomo<br />
II, p.96: Hoc in Hieme agendum est, un Nocturnos jam expletos pullorum cantus sequatur...In Verni, vel Aestatis tempore a pullorum cantu<br />
Nocturni inchoentur.<br />
139 Epistola quadrigesima quinta: "Boethio Viro Illustri Patricio Theodoricus Rex. Dicit se rogatum esse a Burgundionum Rege, ut horologia<br />
aquatile et solare ad ipsum transmitteret..."; Epistola quadrigesima sexta: "Gundibaldo Regi Burgundionum Theodorisuc Rex.<br />
Horologia solare, et acquatile à Boethio fabricata cum eorum dispositoribus illi mittit".<br />
140 E' opinione comune che Boezio fosse l'inventore degli orologi meccanici col sistema dei "pesi". Infatti, Bernardino Sacco, nella<br />
Historia Ticinensi, lib. 7, narra che Boezio fu il primo a costruire orologi con i "pesi in equilibrio" a Roma (Severinum Boethium primum<br />
fuisse, qui horologia libratis ponderibus Romae componi curavit). Mentre Giovanni Cardano, in "De subtilitate", nella Gemma<br />
dell'Annulo, narra che era stato fabbricato in quei tempi un orologio che indicava le ore non solo con la "sfera", ma anche col<br />
"colpo" (et horas indicabat non solum sagitta sed ictu). Si tratta quindi proprio di un antenato dell'orologio meccanico a campane.<br />
141 Karlheinz Schaldach, Vertical dials of the 5-15th centuries, in Bulletin of British Sundial Society, n. 96.3, october 1996, pag. 32-38.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
95
orologio solare canonico italiano, in un sito nei<br />
pressi di Ancona, risalente al VI secolo che testimonierebbe<br />
l'uso di questi orologi in Italia già<br />
prima di S. Benedetto. Tuttavia, l'orologio segnalato<br />
sembra non riporti particolari incisioni sulle<br />
linee orarie principali (Terza, Sesta e Nona), come<br />
in effetti si trovano nelle meridiane canoniche che<br />
sicuramente servirono a scopi religiosi.<br />
Nell'Inghilterra e nell'Irlanda cristiana dei secoli<br />
VII-VIII le meridiane canoniche erano molto in<br />
uso, come testimoniano i circa duemila reperti<br />
ancora esistenti nei cimiteri e sulle chiese dei vari<br />
monasteri. Attorno al VI-VII secolo, i monaci<br />
iniziarono ad utilizzare la tecnica della costruzione<br />
con la pietra per costruire le loro chiese, attorno<br />
alle quali sorgevano da una parte le celle dei<br />
monaci, da un'altra, il cimitero degli abati e dei<br />
monaci stessi. In questo contesto, l'orologio solare<br />
canonico segnava il tempo della preghiera principalmente<br />
per i monaci, ma siccome anche il popolo<br />
interveniva ad alcuni di quei momenti, possiamo<br />
credere che l'ora canonica scandisse il tempo<br />
di tutta la comunità cristiana che gravitava attorno<br />
al monastero. Gli orologi solari irlandesi databili<br />
dal V all' XI secolo sono sempre incisi o scolpiti su<br />
stele di pietra di varia natura, non sono appoggiati<br />
al muro e nemmeno inglobati in esso, ma si<br />
erigono vicino alla chiesa. Sono blocchi di pietra<br />
erratici la cui posizione, spesso, non è più quella<br />
originale. E pure il loro orientamento a volte può<br />
risultare diverso 142 .<br />
La Brithis Sundial Society, e lo studioso Mario<br />
Arnaldi di Ravenna, hanno molto approfondito<br />
questo aspetto della gnomonica e l'associazione<br />
inglese ha perfino realizzato un catalogo infor-<br />
matico relativo a questo antico patrimonio culturale.<br />
Eppure nessuna testimonianza scritta ci è stata<br />
lasciata dalla fonte più autorevole di quei tempi:<br />
Beda il Venerabile, le cui opere erano destinate a<br />
formare la base degli studi delle future università<br />
143 . Quindi, per un uso più diretto delle meridiane<br />
canoniche, dobbiamo rifarci ai secoli IX e X.<br />
Ma, come si è detto, le meridiane solari non erano<br />
certo l'unico modo di misurare il tempo nei<br />
monasteri. Anzi, anche se esse erano regolarmente<br />
in uso, non dovevano rivestire particolare importanza<br />
perchè è da considerare che di giorno molti<br />
monaci erano affaccendati nei lavori di campo, o<br />
negli Scriptoria, per cui il silenzioso modo di<br />
annunciare le ore delle meridiane solari non fu mai<br />
comodo come lo furono le campane, che cominciarono<br />
a suonare intorno al decimo secolo. E, come<br />
risulta evidente dai documenti, molti altri metodi<br />
venivano adottati dai monaci per scandire i loro<br />
giorni e le loro notti:<br />
"In quei tempi (Alto Medioevo) vi erano dei<br />
monaci addetti al richiamo delle ore, i quali "vegliavano<br />
alternatamente, e di quando in quando osservavano<br />
l'Orologio per vedere che ora fosse (In nocte, et<br />
die solleciti horologium conspicere). Quest'orologio<br />
alla notte era, verisimilmente, una clessidra; e fra il<br />
giorno si servivano probabilmente di qualche Orologio<br />
da sole. Certamente non erano orologi a campana,<br />
poichè in quei tempi comunemente non erano ancora in<br />
uso" 144 .<br />
Leo Moulin 145 , facendo riferimento ai commentari<br />
di Calmet (sec. XVIII), ci informa che anticamente<br />
i monaci "possedevano un Horologium stellare<br />
monasticum molto curioso; si trattava di mettersi<br />
in un certo punto del giardino del chiostro, a<br />
142 Queste informazioni sugli orologi solari canonici irlandesi sono tratte dalla corrispondenza privata con il sig. Mario Arnaldi<br />
(lettera del 22 luglio 1995).<br />
143 Beda, nella sua opera "De temporum ratione", o "De temporibus liber major", del 725 (codex Casinensis 230 - M. ib., 373 - 4)<br />
descrive, come se fosse ancora l'unico e più importante mezzo per la misura del tempo, l'antico metodo delle "ombre dei piedi",<br />
rievocando il trattato di agrimensura di Palladio, senza nessun riferimento particolare alle meridiane solari e, soprattutto, alle<br />
meridiane canoniche che pure esistevano! Il suo "Libellus del mensura horologii", erroneamente oggi considerato un vero e proprio<br />
libro di gnomonica, altro non è che un libretto di poche pagine in cui Beda descrive appunto il metodo delle ombre dei piedi:<br />
"Horologium quod contra unumquemque mensem habet ad umbram humani corporis pede singularum horarum diei". Tuttavia, è interessante<br />
notare che, mille anni dopo, Calmet accenna all'uso di questo metodo per ricavare le ore ineguali per cui dobbiamo pensare<br />
che potesse essere usato anche dai monaci per conoscere i momenti delle Ore Canoniche. Calmet riporta un esempio che fa<br />
ipotizzare l'esistenza, nell'antichità, di apposite tavole per mezzo delle quali si potesse conoscere direttamente la lunghezza dell'ombra<br />
nelle Ore Canoniche per tutti i giorni dell'anno: "Nel mese di Gennaio per l'Ora Prima vi volevano ventinove piedi; per<br />
la Seconda diciotto; per la Terza quindici; per la Quarta dieci; per la Quinta dieci; per la Sesta nove, etc.".<br />
144Agostino Calmet, Commentario letterale, istorico e morale sopra la Regola di S. Benedetto, Arezzo, MDCCLI, Tomo II, p. 96<br />
145 Leo Moulin, La vita quotidiana dei monaci nel medio evo, Mondadori, 1989, pag. 47.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
96
qualche passo da un cespuglio di ginepro, dal<br />
quale si potevano scorgere due o tre finestre del<br />
dormitorio, e quando la tale o la tal altra stella<br />
apparivano, voleva dire che era giunta l'ora per il<br />
'significator horarum', di suonare la campana del<br />
risveglio, di accendere le lampade della chiesa...".<br />
E' ben comprensibile l'adozione di questo metodo<br />
se si considera che misurare il tempo attraverso<br />
l'osservazione del moto degli astri è una pratica in<br />
uso fin dalla più remota antichità, a cominciare dai<br />
Sumeri e via dicendo.<br />
I monaci antichi, secondo le testimonianze di<br />
Cassiano, ricercavano l'ora della Sinaxi notturna,<br />
cioè dell'Ufficio notturno, attraverso l'aspetto del<br />
cielo stellato. Calmet 146 menziona che anticamente<br />
nei monasteri di S. Pacomio 147 "si dava il segno<br />
dell'Ufizio col suono di una tromba, ovvero di corno...In<br />
altri Monisteri 148 si usava uno strumento di legno,<br />
come appunto praticano ancora al presente i Greci, i<br />
quali suonano l'Ufizio Divino, battendo a cadenza certe<br />
tavole pendule. S. Girolamo 149 dice, che nel Monistero<br />
di S. Paola si chiamavano le Monache all'Oratorio, cantando<br />
l'Alleluja".<br />
E' testimoniato in una raccolta sul miracolo di S.<br />
Ugone, nella biblioteca della famosa abbazia di<br />
Cluny, che anche i Cluniacensi osservavano le<br />
stelle per conoscere l'ora di notte. Mentre, attorno<br />
all'anno Mille, S. Pietro Damiano escogitò un<br />
modo, per niente comodo, di misurare il tempo<br />
basato sul calcolo della durata delle singole<br />
salmodie. Inoltre, bisogna considerare che i<br />
monaci facevano uso di molti altri sistemi per misurare<br />
il tempo, sia di notte che di giorno: dall'osservazione<br />
della Luna, dal consumo della cera<br />
delle candele da cui derivarono veri e propri<br />
orologi a candela, dal consumo dell'olio nelle lampade,<br />
dagli orologi ad acqua, dalle clessidre a sabbia,<br />
dalle carte lette e persino dall'assuefazione a<br />
compiere ogni giorno sempre gli stessi gesti, come<br />
riferisce Calmet nel suo Commentario alla Regola.<br />
Le ore canoniche restarono in uso nell'ambiente<br />
monastico come tempo della Chiesa, distinguendosi<br />
dal tempo della società rurale, ovvero il tempo dei<br />
contadini, degli artigiani e dei lavoratori in genere,<br />
il sistema delle ore astronomiche attualmente in<br />
uso, che cominciò ad essere scandito dal XIV secolo,<br />
dai grandi orologi meccanici dominanti le<br />
piazze delle città di tutta Europa.<br />
146 Agostino Calmet, , Commentario letterale, istorico e morale sopra la Regola di S. Benedetto, Arezzo, MDCCLI, Tomo II, p. 96<br />
147 S. Pachom. Reg. art. 3. Climac. Gradu 19.<br />
148 Vita di S. Theodosii Coenobiarch. n. 73. 77. XI. Januar. in Prato Spiritu. c.2. Nicoena Synod. II. act. 4. Vita di S. <strong>Nicola</strong>i Studitae<br />
n. 50. 4. Februar etc.<br />
149 Hieronym Epist. 27.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
97
Facciamo un salto indietro nel tempo, nell'alto<br />
medioevo, quando la giornata dei monaci era minutamente<br />
regolata. L'Abate, prescrive la Regola,<br />
aveva l'incombenza di avvisare l'ora dell'Ufficio<br />
religioso, sia di giorno che di notte, e quando non<br />
poteva egli assolvere a questo compito, un altro<br />
monaco "zelante, vigilante e puntuale", prendeva il<br />
suo posto.<br />
A notte fonda si riunivano per l'ufficio notturno<br />
per recitare una salmodia che durava circa un'ora<br />
e mezza; all'aurora seguiva le Lodi, il mattutino e<br />
al sorgere del sole si diceva Prima, e poi Terza<br />
(circa le 9), Sesta (mezzogiorno), Nona (circa le 15),<br />
Vespri (al tramonto) e Compieta (al crepuscolo).<br />
Erano quindi sette ore diurne e questo computo<br />
era denominato divisione septenaria la quale distingueva<br />
nella giornata i sette momenti eucologici,<br />
giusta il detto del salmista "Septies in die laudem<br />
dixi tibi". Le ore principali si contrassegnavano con<br />
una croce, con lettere dell'alfabeto greco, o con dei<br />
tratti.<br />
Le Costituzioni Apostoliche (Costitut. Apostol. L.<br />
8, c. 34) parlano espressamente di sei ore<br />
Canoniche anziché di sette 150 , cioè Mattutino,<br />
Prima, Terza, Sesta, Nona e Vespro, ammesse<br />
anche da S. Girolamo.<br />
Gli antichi scrittori cristiani intravedevano in questa<br />
sequenza settenaria vari rapporti storico-mistici,<br />
fra le singole ore diurne e taluni avvenimenti della<br />
passione di Cristo e della vita degli Apostoli.<br />
Infatti, essi ricordano che Gesù si recò nell'Orto<br />
degli Ulivi a Mezzanotte; fu fatto prigioniero verso<br />
le tre ore; fu condotto dinanzi a Pilato circa all'ora<br />
Prima; fu condannato all'ora Terza; alla Sesta fu<br />
crocifisso, alla Nona spirò; all'ora del Vespro fu<br />
deposto dalla Croce e all'ora di Compieta fu<br />
sepolto.<br />
Le ore canoniche diurne, fin dalla loro istituzione,<br />
39<br />
LE ORE CANONICHE<br />
ebbero lo scopo di santificare i principali momenti<br />
della giornata, in modo, però, da non interrompere<br />
il lavoro quotidiano più di quanto era<br />
necessario per richiamare alla mente il pensiero di<br />
Dio. Per questo esse ricevettero una forma meno<br />
complessa dell'Ufficio Notturno e un andamento<br />
più sollecito. E se si toglie l'ora di Prima e l'Ufficio<br />
Vespertino, si comprende la necessità dei monaci<br />
di continuare a far uso delle ore ineguali.<br />
Dell'ora di Prima conosciamo esattamente l'atto di<br />
nascita descrittoci da San Cassiano 151 . Verso l'anno<br />
382 mentre egli soggiornava a Betlemme, vide l'introdursi<br />
di una nuova Ufficiatura in seguito ad un<br />
disordine che egli narra così. Nei monasteri della<br />
Palestina si soleva a quell'epoca terminare l'Ufficio<br />
notturno e le Lodi circa due ore prima della levata<br />
del sole. I monaci, in questo frattempo, dovevano<br />
dedicarsi alla meditazione, alla lettura, o alle private<br />
devozioni. Alcuni però, meno fervorosi, si<br />
rimettevano a dormire fino all'ora di Terza, il che<br />
era severamente proibito dalle consuetudini<br />
monastiche, e Cassiano lo rammenta espressamente<br />
152 . Di qui l'iniziativa dei superiori, di chiamare<br />
i monaci poco dopo la levata del sole ad una<br />
nuova Ufficiatura corale che li salvaguardasse da<br />
una pericolosa indolenza. L'innovazione piacque e<br />
qualcuno aggiunse che la "novella solemnitas",<br />
come la chiamò Cassiano, giungeva a buon punto<br />
per portare a sette i momenti eucologici della giornata,<br />
come detto prima. Nacque così l'ora che in<br />
seguito fu chiamata Prima, la quale incontrò<br />
qualche resistenza in alcuni vecchi monasteri d'oriente,<br />
ma si sparse velocemente anche in Occidente,<br />
soprattutto nelle Gallie e a Roma, dove già nel V<br />
secolo la troviamo organizzata. E' infatti<br />
dall'Ufficio Romano che S. Benedetto la derivò nel<br />
proprio, chiamandola per la prima volta col nome<br />
di Prima ora Canonica. Essa si diceva allo spuntar<br />
150 Calmet Agostino, Commentario Letterale, Istorico, e Morale sopra la Regola di San Benedetto, Arezzo, 1751, tomo primo, p.<br />
193.<br />
151 De instit. coenob., c. III, 4<br />
152 Cassiano, De Instit. Coenob., III, 4.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
98
del sole.<br />
Fino al XIII secolo, tutti gli affari della vita civile e<br />
militare erano regolati in base a questo computo e<br />
quindi niente di strano che per i momenti della<br />
preghiera la Chiesa si uniformasse allo stesso criterio.<br />
In proposito scrive Tertulliano 153 "Queste tre<br />
ore più insigni nelle cose umane, che scandiscono il<br />
giorno, che distinguono gli affari, che risuonano in pubblico,<br />
così erano più solenni nelle orazioni divine". In<br />
questa frase si legge "risuonano in pubblico", infatti<br />
queste ore erano richiamate all'attenzione del<br />
pubblico per mezzo del suono delle trombe nelle<br />
piazze.<br />
Le ore Minori diurne, se, come preghiera privata,<br />
ebbero un'osservanza fin dal tempo apostolico,<br />
come ora Canonica, furono riservate anzitutto ai<br />
monaci, escluso il clero secolare. Dobbiamo<br />
credere, perciò, che il Cursus primitivo di Roma<br />
comprendesse appena le Ore notturne di Vespro,<br />
Vigilia e Lodi, mentre le ore Minori venivano celebrate<br />
"secreto". Solo durante il V secolo l'ignoto<br />
redattore del Cursus introdusse nell'Ufficio<br />
Romano le Ore Minori assegnando l'Ufficiatura<br />
che rimase inalterata fino alla riforma di Pio X nel<br />
1911.<br />
Nel XV secolo, Giovanni Regiomontano elaborò<br />
delle tavole per mezzo delle quali i monaci potevano<br />
conoscere i momenti delle ore canoniche con<br />
estrema facilità, a partire da un qualsiasi altro sistema<br />
di computo, come quello astronomico,<br />
babilonese, o italico. Tale era l'importanza di<br />
queste tavole che uno studioso dell'epoca fu indotto<br />
a scrivere in un suo trattato specifico sull'argomento:<br />
"Esse sono tanto necessarie per la nostra disciplina<br />
poichè in nessun modo siamo capaci di raggiungere<br />
il fine proposto senza di essa" 154 . La corrispondenza<br />
fra Ore Canoniche, ovvero Temporali, con il<br />
sistema Italico, che faceva iniziare il computo delle<br />
ore al tramonto del sole, è chiaramente rappresentato<br />
nella fig. 38 proposta da Marcello Francolini<br />
nel suo importante trattato del XVI secolo De tem-<br />
pore horarum canonicarum. Egli la chiama "Tavola<br />
speciale delle Ore Canoniche per la latitudine di 48<br />
gradi secondo le ore fuori d'Italia comunemente<br />
usate 155 che si fanno cominciare dalla mezzanotte e<br />
dal mezzogiorno". Il cerchio interno viene diviso a<br />
metà, una parte diurna (dies) e una notturna (nox);<br />
seguono due semicerchi per le quattro Vigilie notturne;<br />
un altro cerchio che riporta le Ore<br />
Canoniche; un'altro per le ore antiche Temporarie,<br />
con la linea verticale che indica l'ora Sesta; poi<br />
segue il cerchio delle ore Astronomiche con l'ora<br />
dodici coincidente con l'ora Sesta Temporaria e<br />
l'ultimo cerchio che riporta le ore Italiche. Nella<br />
seconda parte vengono indicate le stesse numerazioni<br />
relative, però, alla stagione estiva.L'Ufficio<br />
Vespertino delle Ore Canoniche è costituito da tre<br />
momenti principali: il Lucernare, il Vespro, e la<br />
Compieta. Come le Lodi sono il canto della Chiesa<br />
all'aurora, così il Vespro è il suo canto al tramonto,<br />
mentre in cielo comincia a brillare Espero, la stella<br />
della sera, e nelle case si accendono i lumi. Di qui i<br />
vari nomi con cui questo momento fu chiamato nei<br />
libri liturgici e celebrato dagli scrittori dei primi<br />
secoli: Vesperae, Agenda o Sinaxi vespertina, Hora<br />
lucernalis, Lucernarium, Eucharistia lucernalis da S.<br />
Basilio e nelle regole monastiche di S. Cesareo e S.<br />
Aureliano, in Francia, dove distinguevano chiaramente<br />
il Lucernarium e l'ora di Duodecima. Il<br />
Lucernarium era così chiamato perchè recitandosi<br />
di sera erano necessarie le lampade per celebrarlo.<br />
Come Ufficio distinto, e preambolo al Vespro, si<br />
crede, dalle testimonianze, che fosse quasi universalmente<br />
praticato ancora sul finire del IV secolo.<br />
Nella Gallia, le regole monastiche di S. Cesareo e<br />
di S. Aureliano distinguono chiaramente il<br />
Lucernarium con i salmi e le antifone e l'ora di<br />
Duodecima, cioè l'Ufficio del Vespro, mentre a<br />
Roma era già da tempo caduto in desuetudine e<br />
non ne parla neppure S. Benedetto.<br />
L'Ufficio Vespertino vero e proprio, cioè il Vespro,<br />
stando alle testimonianze che ci sono pervenute,<br />
antiche di mille anni, è certo che nel IV e V secolo<br />
veniva celebrato regolarmente ogni giorno nelle<br />
153 Tertulliano : De Jejuniis, 10 : Tres istas horas ut insigniores in rebus humanis, quae diem distribuunt, quae negotia distinguunt, quae<br />
publice resonant (in quanto erano chiamate all'attenzione del pubblico con suono di tromba per le piazze), ita et solemniores fuisse<br />
in orationibus divinis. (cfr. Righetti Mario, Manuale di Storia Liturgica, ed. Ancora, Milano, 1946, vol. II, p. 584).<br />
154 Marcelli Francolini presbyteri, De temporum horarum canonicarum tractatus, Romae, 1545, parte terza, cap.XCIII, p.483, (5).<br />
155 Le "ore fuori d'Italia" altro non sono che le ore "oltramontane", o "astronomiche", dette anche "Francesi", corrispondenti a quelle<br />
attualmente in uso.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
99
principali chiese dell'Occidente alla stessa stregua<br />
delle Lodi (i primi vespri furono per molto tempo<br />
considerati i più importanti dal punto di vista<br />
liturgico), almeno per quanto riguarda il Cursus<br />
romano. S. Girolamo (420 d.C.), praticissimo dei<br />
costumi di Roma, enumera il Vespro fra le Ore<br />
Canoniche nell'Epistola 107 ad Laetam, 9.<br />
Il termine Compieta, o ad Completorium, o<br />
Completorii,si incontra al principio del VI secolo,<br />
nelle regole di S. Aureliano e di S. Benedetto, per<br />
distinguere l'ultima ora, la Settima, che secondo il<br />
septies del salmista compie il ciclo eucologico della<br />
giornata monastica. Si ritenne in passato, che S.<br />
Benedetto introdusse per primo la Compieta<br />
nell'Ufficio Canonico; ma studi più accurati hanno<br />
accertato che essa in Oriente era conosciuta da<br />
molto tempo prima.<br />
Si pensi alla difficoltà di interpretazione dei segni<br />
di quelle meridiane canoniche che indicavano, tra<br />
l'altro, anche i particolari momenti di preghiere<br />
poco note. Per esempio, S. Basilio, intorno al 362, S.<br />
Giovanni Crisostomo e Callinico, (nel 445 circa),<br />
156 Chronicon Mundi, Norimb., 1493, foglio v. 146<br />
attestano l'esistenza nei monasteri di una<br />
preghiera comune, della quale faceva parte il<br />
Salmo 90 "Qui habitat in adiutorio Altissimi" e che,<br />
col nome greco di prwqupnia, entrava nella<br />
serie delle Ore Canoniche. Essa esiste tutt'ora<br />
nell'Ufficio Bizantino sotto il nome di<br />
"Apodeipnon". Dopo S. Benedetto l'ora della<br />
Compieta divenne assai comune e S. Fruttuoso la<br />
chiama "la prima ora" e S. Colombano "il principio<br />
della notte".<br />
E' molto difficile stabilire in quale periodo i monaci<br />
utilizzarono regolarmente meridiane solari per<br />
osservare le ore canoniche. In un incunabolo di<br />
Hartmanus Schedel 156 , si legge che nell'anno 554,<br />
Papa Pelagio, successore di Vigilio, ordinò che i<br />
chierici in sacris celebrassero ogni giorno le sette<br />
ore canoniche. Ciò significa che a quell'epoca<br />
l'osservanza delle Ore Canoniche non era ancora<br />
estesa a tutte le comunità monastiche. Mentre una<br />
prima costituzione scritta che impose l'osservanza<br />
delle stesse, risale al secolo nono, e si trova in un<br />
capitolare di Etto, Vescovo di Basilea.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
100
40<br />
IL CALCOLO DELLE ORE<br />
CANONICHE NEL XVI SECOLO<br />
Ci sembra questa la sede opportuna per riportare<br />
un importante passo del trattato di Marcello<br />
Francolini, sopra menzionato, che rappresenta una<br />
delle rarissime spiegazioni "tecniche" del computo<br />
delle Ore Canoniche ed il loro impiego in funzione<br />
degli altri sistemi orari (nell'esempio in funzione<br />
dell'ora Astronomica e Italica).<br />
· "...Quinto subiunximus ortum Solis, finem scilicet<br />
quartae vigiliae matutinae, ac totius noctis; et initium<br />
primae horae tam diurnae, quàm canonicae.<br />
Nam post ortum statim in ecclesijs Prima hora<br />
canonica celebrari debet.<br />
· Sexto adiecimus finem ejusdem Primae horae<br />
canonicae, et diurnae, qui est initium secundae<br />
horae diurnae, et Terziae canonicae.<br />
· Et septimo etiam attexuimus finem tertiae horae<br />
tam diurnae quàm canonicae, quod est initium<br />
quartae horae diurnae, et Sextae canonicae. Pro ijs<br />
qui competentibus horis exactissime exolvere<br />
curarent divinum officium : poterunt enim hi ex<br />
dictis finibus annotatis cognoscere, quòd tunc<br />
Prima, vel Tertia horae canonicae deberit esse completae.<br />
· Octavo designavimus tempus meridiei, quod est<br />
finis sextae horae tam diurnae, quàm canonicae, et<br />
initium septimae diurnae, et Nonae canonicae;<br />
Nam tempus illud necessarium est, et pro Sexta<br />
horae canonicae debito tempore complemdae notitia,<br />
et etìa pro Missis dicéndis, nam illuc usque et<br />
non ultra Missarum celebratio differi potest. Et<br />
demum etiam necessarium est tempus illud pro<br />
comestionis hora in diebus ieiuniorum, in quibus<br />
non nisi circiter, vel post meridiem licitum est<br />
cibum sumere.<br />
· Nono addidimus finem nonae horae tam diurnae,<br />
quàm canonicae, quod est initium decimae horae<br />
diurnae, quam canonicae, quod est initium decimae<br />
horae diurnae, et Vesperarum; pro dictae<br />
Nonae horae canonicae iusti, et antiqui temporis<br />
notitia habenda...et finem nonae horae recitatis<br />
Vesperis et Completorio.<br />
· Decimo et ultimo finem undecimae horae diurnae<br />
ac Vesperarum subiunximus, qui simul est initium<br />
duodecimae, et postremae horae diurnae, ac<br />
Completorij. Ibi enim tempus pro Vesperis<br />
decantandis terminatur, et incipit pro<br />
Completorio.<br />
Nel medioevo, le meridiane canoniche erano<br />
basate sul sistema orario Temporario, cioè sulla<br />
suddivisione del giorno e della notte in 12 parti<br />
uguali, da cui si ha che la durata del giorno ( e<br />
quindi della notte) varia a seconda del periodo dell'anno.<br />
Grazie ad esse, i religiosi potevano, osservando<br />
l'ombra dello stilo, conoscere subito il<br />
momento esatto degli Uffici. Ma questa bella<br />
comodità scomparve, verso il XIV secolo, con<br />
l'adozione da parte della Chiesa, degli orologi da<br />
torre a campana ad ore Italiche, o "all'Italiana", con<br />
il quale computavano la durata del giorno da un<br />
tramonto del sole a quello successivo, contando le<br />
ore da 0 a 24. Infatti, se già nel XIII secolo le meridiane<br />
canoniche avevano oramai fatto il loro tempo,<br />
con l'orologio meccanico che acquistava sempre<br />
maggiore popolarità, esse scomparvero del tutto,<br />
lasciando sprovvisti i monaci di un così semplice<br />
ed utile strumento (anche se inutile di notte e col<br />
cielo nuvolo).<br />
Calcolare in quale ora Italica (quindi del loro<br />
orologio meccanico) le campane dovessero<br />
suonare le corrispondenti Ore Canoniche, era una<br />
pratica tutt'altro che facile alla quale il significator<br />
horarum, cioè il monaco addetto a suonare le campane<br />
nelle Ore Canoniche, certamente riusciva ad<br />
abituarsi con l'esercizio, ma era pur sempre<br />
costretto a consultare le tavole astronomiche. E il<br />
Francolini non si dispensa dal citare le più importanti<br />
tavole astronomiche della sua epoca di autori<br />
come Giovanni Muller detto Regiomontano,<br />
Giovanni Stofler, Cristoforo Clavio, ecc. E sono<br />
sempre loro, i monaci che si prodigano per lo<br />
sviluppo ed il progresso delle tecniche di mis-<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
101
urazione del tempo.<br />
Questo secondo passo di Marcello Francolini,<br />
servirà per dare un'idea di cosa dovesse fare un<br />
monaco del tempo per conoscere in quale ora<br />
Italica si hanno le Ore Canoniche legate al sistema<br />
delle ore Temporarie antiche:<br />
"Ex ea autem Tabula cognito tempore semidiurno<br />
in Signis Borealibus, quae sunt Ariet. Taurus.<br />
Gemini. Cancer. Leo. Virgo. Vel cognito tempore<br />
seminocturno in Signis Australibus, quae sunt<br />
Libra. Scorpius. Sagittarius. Capricornus.<br />
Aquarius. Pisces. facile per subtractionem, aut<br />
additionem omnia momenta a nobis proposita<br />
haberi poterunt.<br />
Scito (verbi gratia) per huiusmodi Tabulam tempore<br />
semidiurno in principio Tauri, et Virginis,<br />
Signorum Borealium ad elevationem poli in<br />
grad.42 esse hor. 6. min.42. statim per duplicationem<br />
dicti temporis habebo, quantitatem diei<br />
artificialis esse hor.13.min.24.<br />
Quibus subtractis ex horis. 24. cognoscam, durationem<br />
noctis esse hor.10 min.36. Et sic ea hora<br />
Solem oriri pronunciabo.<br />
Rurs divisa noctis quantitate in duas partes, vel<br />
subtracto tempore semidiurno ex horis.12. statim<br />
eliciam, tempus seminocturnum, sive mediam<br />
noctem esse hor 5.min.18.<br />
Qua noctis medietate iterum subdivisa in dua alias<br />
partes, et una ex illis addita ad ipsam noctis medietatem,<br />
vel ex tota nocte subtracta, cognoscam<br />
quam primum tertiam vigiliam noctis finem<br />
accipere, et quartam inchoare hor.7min.57.<br />
Quòd si tempus semidiurnum spatio noctis<br />
adiecero, vel potius tempori seminocturno<br />
duodecim horas addidero, inveniam illico, meridiem<br />
esse hor.17.min.18.<br />
Et si temporis semidiurni medietatem adiecero<br />
meridie, vel ex horis 24, subduxero, dicam, Nonam<br />
esse, et compleri hor.20min.39.<br />
Si vero eamdem medietatem temporis semidiurni<br />
spatio noctis adiecero; vel facilius tertiae noctis<br />
vigiliae sex horas cumulauero, dicam, Tertiam<br />
esse, et compleri hor.13.min.57.<br />
Quòd si postremo dictam medietatem semidiurni<br />
temporis in tres aequales partes subdivisero, et<br />
unam ex illis, quae est hora diei inequalis, spatio<br />
noctis adiecero, illico sciam, Primae finem esse hor<br />
11.min.43.<br />
Et similiter si si eamdem horam inequalem ab<br />
horis.24 subtraxero, Undecimae finem, seu<br />
Duodecimae initium esse sciam hor.22.min.53.<br />
Et haec quidem quantum ad supputationem, quae<br />
est secundum horologia Italica..."<br />
Questo passo merita due parole di commento.<br />
Innanzitutto, per i non esperti in gnomonica, è<br />
bene spiegare che anticamente i calcoli astronomici<br />
calendariali erano basati sull'ingresso del sole<br />
nei segni dello zodiaco. Così, Francolini, parla di<br />
segni zodiacali e non di date. L'esempio che egli<br />
riporta è relativo all'ingresso del sole nel segno<br />
zodiacale del Toro e della Vergine, corrispondente<br />
ai giorni 20 aprile e 23 agosto e per un luogo di latitudine<br />
pari a 42 gradi (per esempio Roma). Egli<br />
dice che dalla tavola si rileva che il tempo semidiurno<br />
(sorgere del Sole-mezzogiorno), cioè la metà<br />
della durata del giorno chiaro relativo ai due<br />
giorni dell'esempio, è di 6 ore e 42 minuti. Sulla<br />
base di questa informazione è possibile ricavare<br />
tutti i dati seguenti:<br />
· il doppio del tempo semidiurno dà il giorno artificiale<br />
pari a 13 ore e 24 minuti;<br />
· Sottraendo a 24 ore il giorno artificiale, si ottiene<br />
la durata della notte (24 h 00m - 13h 24m = 10h<br />
36m).<br />
· Se si divide la durata della notte in due parti<br />
uguali , o sottraendo il tempo semidiurno a 12 ore,<br />
si ottiene il tempo della mezzanotte (10h 36m/2 =<br />
5h 18m; 12h - 6h 42m = 5h 18m);<br />
· Se questo tempo viene suddiviso in altre due<br />
parti uguali e una di queste viene sommata alla<br />
metà della durata della notte si conosce il momento<br />
della fine della terza vigilia notturna e l'inizio<br />
della quarta (5h 18m/2 = 2h 39m; 2h 39m + 5h 18m<br />
= 7h 57m); se la stessa quantità di tempo (2h 39m)<br />
viene sottratta alla durata dell'intera notte, si ho lo<br />
stesso risultato: 10h 36m (durata della notte) - 2h<br />
39m = 7h 57m.<br />
· Se si aggiungono 12 ore al tempo seminotturno, si<br />
trova il momento del mezzogiorno che è a 17ore e<br />
18 minuti (12h + 5h 18m = 17h 18m).<br />
· Se si aggiunge la metà del tempo semidiurno al<br />
mezzogiorno, o lo si sottrae alle 24 ore, si ottiene<br />
l'ora Nona e saranno completate 20 ore e 39 minuti<br />
dell'orologio Italico. In pratica la metà del tempo<br />
semidiurno è 6h 42m / 2= 3h 21m; aggiungendo<br />
questo tempo (3h 21m) al mezzogiorno, si ha l'ora<br />
Nona temporale nella rispettiva ora civile astro-<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
102
nomica 12h+3h21m= 15h 21m; se lo stesso tempo<br />
(3h 21m) lo si sottrae a 24h, si ottiene la stessa ora<br />
Nona nella rispettiva ora Italica 24h - 3h 21m = 20h<br />
39m. Ciò significa che il "significator horarum"<br />
dovrebbe suonare l'ora Nona temporaria o alle 15<br />
e 21 dell'orologio francese (come i nostri orologi da<br />
polso), o alle 20 ore e 39 minuti dell'orologio ad ore<br />
Italiche.<br />
· Se si cumulano 6 ore al momento della fine della<br />
terza vigilia (7h 57m), o se si aggiunge alla durata<br />
della notte (10h 36m) la metà del tempo semidiurno,<br />
pari a 3h 21m, si ottiene l'ora Terza canonica<br />
alle 13h e 57 minuti.<br />
· Se si suddivide in tre parti la metà del tempo<br />
semidiurno e una di queste la si aggiunge alla<br />
durata della notte, si ha che la fine dell'ora canonica<br />
Prima è alle 11 ore e 43 minuti dell'orologio<br />
Italico.<br />
· Similmente, se la stessa terza parte del tempo<br />
semidiurno la si sottrae a 24 ore, si ottiene la fine<br />
dell'ora Undecima, o l'inizio della Dodicesima a 22<br />
ore e 53 minuti dell'orologio Italico.<br />
Per quanto riguarda gli orologi "oltramontani", o<br />
"fuori d'Italia", come dice lo stesso Francolini, il<br />
computo è di molto semplificato. Dalla traduzione<br />
del passo successivo si ha: "...Il tempo seminotturno<br />
dà il sorgere del Sole e il tempo semidiurno dà il tramonto;<br />
la metà del tempo seminotturno dà la fine della<br />
terza vigilia alla quale, se si aggiunge sei ore, si ottiene<br />
la fine dell'ora Terza canonica. Se la detta metà del<br />
tempo semidiurno viene divisa in tre parti uguali e una<br />
di queste si aggiunge al tempo seminotturno si avrà la<br />
fine dell'ora Prima...Quindi basta conoscere il tempo<br />
semidiurno o seminotturno dalle tavole di Giovanni da<br />
Monte Regio, per ottenere con facili operazioni tutte le<br />
ore ineguali (temporarie) sia sugli orologi Italici che<br />
quelli fuori d'Italia, e ognuno le ottiene velocemente e<br />
questo certamente basta per la conoscenza di tutte le<br />
Ore Canoniche" 157 .<br />
Questi problemi non sono neppure presi in considerazione<br />
nei libri moderni sulla misurazione<br />
del tempo. Addirittura ho potuto notare che l'argomento<br />
è trattato con eccessiva superficialità<br />
anche da autorevoli scrittori di libri sulla gnomon-<br />
ica e le perplessità non mancano neppure in eccellenti<br />
autori di narrativa. Per esempio, Umberto<br />
Eco, ne "Il Nome della rosa", scrive: "Una certa perplessità<br />
mi hanno dato i riferimenti di Adso alle ore<br />
canoniche, perché non solo la loro individuazione varia<br />
a seconda delle località e delle stagioni, ma con ogni<br />
probabilità nel XIV secolo non ci si atteneva con assoluta<br />
precisione alle indicazioni fissate da san Benedetto<br />
nella regola" 158 . E sulla scorta dell'opera di Edouard<br />
Achneider, "Les heures bénédictines" (Paris,<br />
Grasset, 1925), e in base alla regola originale, egli<br />
deduce il seguente schema :<br />
mattutino tra le 2,30 e le 3 di notte<br />
Laudi tra le 5 e le 6 di mattina<br />
Prima verso le 7.30<br />
Terza verso le 9<br />
Sesta Mezzogiorno<br />
Nona tra le 2 e le 3 pomeridiane<br />
Vespro verso le 4.30, al tramonto<br />
Compieta verso le 6<br />
Il passo di Eco ci fa credere che dal XVI secolo i<br />
monaci adottarono le tavole, ormai perfezionate,<br />
dei grandi astronomi (Regiomontano, ecc.),<br />
appunto per effettuare una più accurata determinazione<br />
dei momenti delle Ore Canoniche rispetto<br />
al tempo delle meridiane e degli orologi a campane<br />
ad ore Italiche, o ad ore Oltramontane. E<br />
quindi, il trattato di Francolini non può che essere<br />
una eccellente conferma a questa tesi, dal momento<br />
che egli si preoccupa proprio di stabilire il computo<br />
delle Ore Canoniche rapportando i vari sistemi<br />
di misura del tempo.<br />
Anche gli altri autori non vanno oltre questa semplice<br />
e generica indicazione. Essi riportano "quando"<br />
si dice Prima, Terza, Sesta, ecc., senza specificare<br />
la durata delle stesse rispetto agli altri sistemi<br />
orari. Addirittura in un famoso manuale liturgico<br />
vecchio di mezzo secolo, vengono date indicazioni<br />
sbagliate circa le fasce orarie corrispondenti alle<br />
ore canoniche :<br />
"mane, dalle 6 alle 9 ; tertia, dalle 9 alle 12 ; sexta,<br />
dalle 12 alle 15 ; nona, dalle 15 alle 18".<br />
Il testo di Francolini, invece, ci permette di visual-<br />
157 Marcelli Francolini, op. cit., p. 477 (14).<br />
158 Umberto Eco, il Nome della Rosa : Eco Umberto, Il Nome della Rosa, Tascabili Bompiani, Gruppo EditorialeFabbri, Bompiani,<br />
Sonzogno, Etas, Milano, 1989, pag. 16<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
103
izzare bene, attraverso il disegno rappresentato in<br />
fig. 2 (effettuato probabilmente per una latitudine<br />
media di 42 gradi), la durata delle Ore Canoniche<br />
rispetto agli altri sistemi orari, nei giorni degli<br />
equinozi. Infatti, solo in questi giorni, l'ora 6<br />
Temporaria, la fine dell'ora Sesta Canonica, l'ora 12<br />
Astronomica, l'ora 6 Babilonica e l'ora 18 Italica<br />
(come si vede nel disegno) combaciano. Ciò, sulle<br />
meridiane che riportano i sistemi Astronomico,<br />
Italico e Babilonico, si traduce nell'incontro della<br />
linea oraria 18 (italica), 6 (babilonica) e 12 (astronomica)<br />
nel punto in cui la linea meridiana è intersecata<br />
dalla linea equinoziale.<br />
Se si ribalta di 180°, da destra verso sinistra la detta<br />
figura, in modo che le diciture "prima, tertia,<br />
sexta", si trovino sulla parte sinistra del quadrante,<br />
si ottiene un disegno che è molto simile ad una<br />
meridiana ad ore canoniche. Questo semplicemente<br />
perché l'ombra dello gnomone, in un orologio<br />
solare verticale, si muove nel senso opposto al<br />
moto del sole nel cielo, cioè da sinistra verso<br />
destra.<br />
Francolini cita Domenico De Soto "virum doctissimum<br />
in assignatione temporis pro horis canonicis" 159 ,<br />
e forse dal suo insegnamento ha tratto la sua figura<br />
chiarissima che ci permette di stabilire con precisione,<br />
almeno nel periodo attorno agli equinozi,<br />
quando la durata del giorno è uguale a quella della<br />
notte, la corrispondenza delle ore Canoniche con<br />
gli altri sistemi orari. Possiamo così vedere che al<br />
tramonto del sole (lato "occasus" in figura) comincia<br />
l'ora prima Italica, l'ora 7 Astronomica e la I<br />
Vigilia notturna la quale dura fino alle 3 ora Italica<br />
e 9 Astronomica. La seconda Vigilia termina a<br />
mezzanotte Astronomica e all'ora 6 Italica, mentre<br />
le Laudi cominciano alle 9 ora Italica, ovvero all'ora<br />
3 Astronomica per terminare all'alba. L'ora<br />
Prima Canonica finisce alle 7 Astronomica e alle 13<br />
Italica.<br />
L'ora Sesta Canonica comincia alle 9 Astronomica<br />
e 15 ora italica per terminare alle 12 (mezzogiorno)<br />
Astronomica, o all'ora 18 Italica ( e non comincia<br />
quindi a mezzogiorno per finire alle 3 del<br />
pomeriggio!). Infatti, scrive Francolini nel testo:<br />
159 Marcelli Francolini, op. cit., p. 57<br />
160 Marcelli Francolini, op. cit., p.57<br />
"...et post meridiem hora tertia dicitur Nona. Quae<br />
computatio tantum abest, ut toto tempore anni secundum<br />
quod ipse ait, sit vera, ut solum in tempore<br />
aequinoctiorum procedat: excepta tamen Sexta quae<br />
semper in meridie locum habet" 160 . Che conferma<br />
quanto già detto, e cioè che tale suddivisione è valida<br />
solo nel periodo degli equinozi, ma che l'ora<br />
Sesta (ovvero il termine dell'ora Sesta) comunque<br />
coincide sempre con il mezzogiorno locale. Infine,<br />
l'ora Nona Canonica comincia alle 12 Astronomica,<br />
18 Italica e finisce alle 3 pomeridiane Astronomica<br />
e alle 21 ora Italica.<br />
Nella fig. 38-1, si vede lo stesso disegno di<br />
Francolini, valido per l'estate. In esso la corrispondenza<br />
tra le Ore Canoniche e gli altri sistemi orari<br />
è relativa ai giorni attorno al solstizio estivo. Si<br />
nota subito che, a differenza della figura precedente,<br />
la durata del giorno chiaro (dies) è molto<br />
maggiore della durata della notte (nox) e che le<br />
suddivisioni delle linee tra i sistemi orari non coincidono<br />
più come nei giorni di equinozi. Si deve,<br />
peraltro, convenire sul fatto che questa rappresentazione<br />
è la più chiara che sia stata mai realizzata<br />
fino ad oggi ed è migliore di qualsiasi tabella, perchè<br />
permette proprio di visualizzare immediatamente<br />
i momenti e la durata delle Ore Canoniche<br />
rispetto agli altri sistemi orari, almeno nel periodo<br />
ai i quali si riferisce il disegno.<br />
Possiamo così vedere che la Prima Ora Canonica,<br />
inizia alla 9 ora Italica, attorno alle 4,30<br />
Astronomica e alla dodicesima temporaria; mentre<br />
la Sesta comincia a circa 12,45 ora Italica, 8,15<br />
Astronomica, 3 ora Temporaria, e finisce a circa<br />
16,30 ora Italica, 12 ora Astronomica, 6 ora<br />
Temporaria; mentre l'Ora Nona Canonica termina<br />
a circa 20,15 ora Italica, 3,45 ora Astronomica<br />
(pomeridiana), 9 ora Temporaria.<br />
Da queste osservazioni si intuisce anche perchè i<br />
momenti delle Ore Canoniche variano a seconda<br />
dei luoghi o, a dir meglio, a seconda delle latitudini.<br />
Infatti, a latitudini differenti, soprattutto di<br />
parecchi gradi (come per esempio Catania e<br />
Torino), la durata del giorno e della notte è diversa,<br />
ed essendo le ore Canoniche legate alla suddivisione<br />
Temporale basata sul giorno naturale, ne<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
104
viene che esse hanno durata diversa a seconda<br />
della durata del giorno e della notte.<br />
Quindi il problema maggiore era quello di<br />
conoscere il tempo semidiurno, o quello seminotturno,<br />
cioè la durata del giorno-chiaro, dal sorgere<br />
del sole al suo tramonto, o la durata della notte che<br />
variano non solo per latitudini diverse, ma anche<br />
a seconda del periodo dell'anno. Tuttavia, pensiamo<br />
che il compito non sia stato più comodo che<br />
161 Calmet A., op. cit., p. 127<br />
leggere direttamente su una meridiana i momenti<br />
delle Ore Canoniche.<br />
Quando nel XIV secolo il tempo del mercante si<br />
uniformò all'orologio oltramontano, nella Chiesa<br />
si continuò a far uso delle ore ineguali, di cui fanno<br />
parte le Ore Canoniche e Calmet ci fa sapere che<br />
queste restarono in uso, come nell'ordine di<br />
Citeaux, almeno fino al Capitolo Generale dell'anno<br />
1429 161 .<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
105
La meridiana di fig.36, scoperta in Palestina verso<br />
la fine del 1800 è del tipo Hemicyclium. Sono contrassegnate<br />
le linee orarie temporarie corrispondenti<br />
alla Terza, Sesta e Nona per rappresentare i<br />
momenti delle Ore Canoniche principali. Questo<br />
orologio è rimasto quasi sconosciuto al pubblico<br />
appassionato di gnomonica e può farsi risalire<br />
almeno al III secolo d.C. Esso rappresenta una<br />
irrefutabile testimonianza dell'uso di meridiane<br />
canoniche anche nell'antichità.<br />
Vediamo ora, brevemente, qualche altra meridiana<br />
canonica "notevole" (si veda la tavola con le<br />
varie figure di meridiane canoniche). Una si trova<br />
presso la chiesa di Bishopstone (Sussex) fig.39. Si<br />
pensa che risalga alla costruzione della chiesa che<br />
sembra essere di mano anglosassone, eretta, forse,<br />
nel periodo di transizione allo stile dell'architettura<br />
normanna. La presenza di alcune parti in stile<br />
greco potrebbe far pensare che l'orologio sia di<br />
epoca anteriore, ma i caratteri delle lettere che formano<br />
la parola EADRIC appaiono piuttosto in<br />
stile normanno. Questa però è solo un'ipotesi. E'<br />
da considerare, invece, che la pietra con cui è fatto<br />
l'orologio non è uguale alle altre che costituiscono<br />
le mura della chiesa, per cui potrebbe essere stato<br />
aggiunto molto tempo dopo.<br />
Un altro bellissimo orologio canonico si trova sulla<br />
porta che guarda a Sud, della chiesa di Kirkdale,<br />
nel Yorkschire. Esso è accompagnato da una<br />
iscrizione sassone che menziona l'acquisto e il<br />
41<br />
ESEMPI DI MERIDIANE CANONICHE<br />
162 D. Haigh, op. cit., t.1, pag. 179<br />
restauro della chiesa di Sait-Grégoire, di Orm,<br />
figlio di Gamal, all'epoca di Edoardo il Confessore<br />
162 . Anche sulla chiesa di Edstone, sempre nello<br />
Yorkschire, a quattro chilometri dalla precedente<br />
c'è una meridiana canonica (fig.40). Si tratta ancora<br />
di un semicerchio suddiviso in varie parti, in<br />
genere da sette linee, con le ore Terza, Sesta e Nona<br />
contrassegnate con un simbolo, in questo caso un<br />
trattino. Compare il motto + OROLOGIV... ATO-<br />
RYVM e a fianco + LOTHAN ME WROHTEA.<br />
Il primo potrebbe significare Or(o)logiu(m) (vi)atorum,<br />
cioè orologio utile ai viandanti, e il secondo<br />
Lothan me fecit.<br />
Nella contea di Hampschire, si segnalano altri tre<br />
orologi canonici: uno incastrato dentro il muro<br />
posto a sud della chiesa di Corhampton che risale,<br />
probabilmente, all'epoca sassone; un altro si vede<br />
nella chiesa di Warnford, ricostruita nel XII secolo;<br />
un terzo si trova nella chiesa di Saint-Michel, nel<br />
Winchester. Infine, un'altra meridiana canonica<br />
notevole si trova sul muro rivolto a sud della Torre<br />
Sassone di Barnack, nel Northamptonshire.<br />
In Italia si conoscono pochi esemplari di meridiane<br />
canoniche. A dire il vero, diversi sono gli orologi<br />
solari scoperti che riportano le ore temporarie,<br />
soprattutto di epoca tardo-romana, ma pochissimi<br />
sono quelli che possono effettivamente dirsi<br />
"meridiane canoniche".<br />
Nella tavola 41, si possono ammirare alcuni tipi di<br />
meridiane canoniche.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
106
42<br />
LE ORE CANONICHE PRIMA<br />
DELL’ERA CRISTIANA<br />
C'è una riflessione ancora da fare sulle ore canoniche,<br />
ed è questa. Se si accetta la definizione di Ore<br />
Canoniche come quei particolari momenti dell'antica<br />
suddivisione delle ore temporali in cui i<br />
Monaci usavano esercitare le loro orazioni e<br />
salmodie, la loro stessa storia, allora, non nasce<br />
necessariamente nei primi secoli dell'Era Cristiana.<br />
Dobbiamo, infatti, tener presente che le ore delle<br />
preghiere furono in uso molto tempo prima in oriente:<br />
così alcuni autori leggono nell'Ecclesiastico<br />
alcuni termini che significano i tempi di recitare le<br />
Ore Canoniche, come per esempio nel cap. 6.10<br />
della Profezia del Caldeo Daniele (vissuto nel 600<br />
a.C. circa) è scritto che egli "apriva le finestre verso<br />
Gerusalemme, per conformarsi con quanto aveva<br />
detto Salomone, cioè Orava tre volte al giorno",<br />
sebbene non precisasse puntualmente in quali ore,<br />
ma è probabile - credono gli interpreti delle<br />
Scritture - che lo facesse la mattina, a mezzogiorno<br />
e la sera, cioè all'ora Terza, Sesta e Nona, conforme<br />
anche a quanto dice Davide nel salmo 54.18:<br />
"Vespere, et mane, et meridie narraho, et annuntiabo, et<br />
exaudiet vocem meam".<br />
Da ciò possiamo capire che il sistema delle ore<br />
canoniche, nel senso della scelta di un computo del<br />
tempo per fissare i particolari momenti della<br />
preghiera, risale almeno al VII secolo a. C.. E quindi,<br />
si potrebbe dire che la storia delle Ore<br />
Canoniche Romane, chiamate Cursus, risale ai<br />
primi anni dell'Era Volgare, e la storia delle Ore<br />
Canoniche Benedettine, comincia con S. Benedetto,<br />
nel VI secolo.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
107
43<br />
UNA “VEXATA QUAESTIO”:<br />
GESÙ FU DAVVERO CROCIFISSO<br />
ALL’ORA TERZA ?<br />
Una diatriba interessante, che si può ormai<br />
definire millenaria, è la celebre questione dell'ora<br />
nella quale fu crocifisso Gesù, che ha dato molto<br />
da fare agli eruditi e agli interpreti delle Sacre<br />
Scritture, i quali cercarono di accordare quanto<br />
hanno scritto in proposito gli Evangelisti S. Marco<br />
e S. Giovanni. Si parla, naturalmente, di ore temporarie<br />
nel periodo della Passione del Signore,<br />
quindi non molto lontano dall'equinozio primaverile.<br />
S. Marco dice al cap. 15.25: Erat autem hora Tertia, et<br />
crucifixerunt eum. Mentre S. Giovanni, nel cap.<br />
19.14 scrive: erat hora quasi Sexta.<br />
I primi commentatori erano del parere che fosse in<br />
errore il testo di S. Giovanni, nel quale si doveva<br />
leggere "hora quasi Tertia". Al contrario, S.<br />
Girolamo (347-419 c.ca), scrivendo sopra il salmo<br />
77, si persuase che l'errore fosse in S. Marco, nel<br />
quale si doveva leggere "Erat autem hora Sexta".<br />
S. Eutìmio (377-473), stima che veramente Gesù<br />
fosse stato crocifisso all'ora Sesta, in accordo con S.<br />
Giovanni. S. Marco, invece, dice che fu chiesta la<br />
condanna all'ora Terza, perchè allora i Giudei gridarono<br />
"Crucifige, crucifige eum", ma che, in<br />
realtà, Gesù fu posto sulla croce solo all'ora Sesta;<br />
ed è questa anche l'esposizione di S. Agostino.<br />
163 Gesù fu condannato verso il 7 aprile del 30 , poco tempo dopo l'equinozio di primavera.<br />
Se le antiche ore Temporarie venivano distinte con<br />
le quattro ore cosiddette "minori", cioè con Prima,<br />
Terza, Sesta e Nona e che ognuna di queste, in<br />
appresso adottate come ore Canoniche, comprendevano<br />
tre ore temporali, possiamo risolvere il<br />
problema nel modo seguente.<br />
Dopo l'ora Prima (dalle 6 alle 9 circa) 163 viene<br />
subito l'ora Terza (9-12) e dopo questa viene subito<br />
l'ora Sesta (12-15), per cui Gesù fu crocifisso "hora<br />
Tertia", come scrive S. Marco, e "Hora quasi Sexta",<br />
come dice S. Giovanni, perchè già stava per cominciare<br />
l'ora Sesta, e finiva l'ora Terza. A dir meglio,<br />
dunque, Cristo fu crocifisso all'ora Terza perchè<br />
Pilato, ad istanza dei Giudei che gridavano<br />
"Crucifige, crucifige", lo destinò alla morte della<br />
Croce, ma è giusto anche dire che fu crocifisso<br />
all'ora quasi Sesta, perchè in quest'ora fu eseguita<br />
la sentenza. Tale conclusione trova conferma in S.<br />
Clemente Romano (sec. I d. C.), nel Lib. quinto<br />
delle Costituzioni Apostoliche, ove è scritto:<br />
"Ligno crucis hora quidem Sexta affixerunt, hora<br />
vero Tertia sententiam contra eum pronunciatam<br />
acceperunt", e nel Lib. 8 egli esorta a fare orazione<br />
all'ora Terza: "Tertia, quod ea hora Pilatus iudicium<br />
adversus Dominum pronunciavit. Sexta, quod<br />
ea hora in crucem actus est...".<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
108
fig. 34 L’obelisco eretto nel VII<br />
secolo nel Cimitero di Bewcastle.<br />
Nel cerchio si vede il piccolo<br />
orologio solare detto “canonico”,<br />
ma in realtà si tratta di un<br />
semplice orologio a ore temporali.<br />
fig. 35 La corrispondenza tra ore<br />
canoniche, italiche e astronomiche,<br />
nel libro De tempore horarum<br />
canonicarum, di Marcello<br />
Francolini, uno dei principali<br />
trattatisti del secolo XVI.<br />
(Biblioteca di Montecassino)<br />
fig. 36 Diversi modelli di meridiane ad ore canoniche rilevati sui muri di<br />
antiche abbazie d’Europa. Da un’opera di Ernst Zinner.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
109
fig. 37 Orologio ad ore canoniche di<br />
Bishopstone. Da The Archeological<br />
Journal, del 1854, t. XI, p. 60<br />
(Biblioteca di Montecassino).<br />
fig. 38 Orologio ad ore canoniche di un autore chiamato Lodan.<br />
Si trova sulla chiesa di Edstone, nello Yorkshire.<br />
(Biblioteca di Montecassino).<br />
fig. 39 Antiche meridiane canoniche.<br />
fig. 40 Meridiana canonica sulla pietra di<br />
Irischaltra e studiato da H. Leclerq<br />
(Biblioteca di Montecassino).<br />
fig. 41 Bellissima meridiana canonica. La più antica<br />
che ci sia pervenuta. Risale al III secolo d.C. Da<br />
Revue Biblique, 1903 (Biblioteca di Montecassino).<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
110
fig. 42 Questa è la Pietra del Tempo, dei Certosini della Certosa di Trisulti (Collepardo, Frosinone). Il grosso foro<br />
centrale fa pensare che un tempo dervì veramente da meridiana canonica. (Foto dell’autore).<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
111
IL MEDIOEVO E<br />
LA <strong>GNOMONICA</strong> ARABA<br />
44<br />
45<br />
46<br />
47<br />
48<br />
49<br />
50<br />
51<br />
52<br />
53<br />
54<br />
V CAPITOLO<br />
Il venerabile Veda<br />
I vasi oroscopi, orologi solari<br />
sconosciuti<br />
Il meteoroscopo tolemaico<br />
L’opera degli Arabi e i codici<br />
manoscritti<br />
La Gnomonica araba<br />
Un primo censimento delle<br />
meridiane turche<br />
Il manoscritto 1147 e 1148 di Aboul<br />
Hassan<br />
Ermanno Contratto: le origini della<br />
“meridiana del pastore”<br />
Gerberto D’Aurillac: un genio dell’anno<br />
1000<br />
Il più geniale degli strumenti:<br />
l’astrolabio<br />
I vari tipo di astrolabio<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
112
4L'adozione del computo detto Horarum<br />
Canonicarum da parte dei Monaci Benedettini,<br />
dalla metà del VI secolo d.C., non contribuì a far<br />
luce sul profondo oblio in cui era immersa la<br />
Gnomonica in quell'epoca. Tuttavia, si deve attentamente<br />
valutare la preziosa opera di preservazione<br />
dello scibile umano, che soprattutto nell'erudito<br />
ambiente monastico aveva avuto il suo<br />
principale sviluppo. Dobbiamo convenire che la<br />
costruzione di orologi solari canonici servì in<br />
qualche modo a riflettere su come misurare il<br />
tempo a mezzo delle ombre solari. La Gnomonica,<br />
quindi, era viva. Ma, purtroppo, non siamo a<br />
conoscenza di grandi opere sull'argomento, e gli<br />
unici monumenti che ci sono pervenuti li ho<br />
descritti alla fine del precedente capitolo, cioè<br />
qualche decina di orologi solari canonici.<br />
Alcuni autorevoli autori moderni, s'ingannano<br />
affermando che alcune opere di uno dei massimi<br />
eruditi dell'Alto Medioevo, il monaco inglese Beda<br />
il Venerabile, rappresentano il massimo traguardo<br />
raggiunto dalla Gnomonica di quel tempo. Egli<br />
nacque probabilmente nel 672, nei pressi dei due<br />
monasteri gemelli di Wearmouth e Jarrow, vicino<br />
ai fiumi Tyne e Wear. Le opere di Beda sono essenzialmente<br />
di carattere cronologico (quelle che più<br />
ci interessano). Il De natura rerum, composto<br />
attorno al 703, non è un trattato di Gnomonica,<br />
come si crede, ma è un trattato di cosmografia in<br />
51 capitoli, in cui la meteorologia viene trattata con<br />
particolare attenzione. Il materiale è poi ricavato in<br />
gran parte dagli scritti di Isidoro, Svetonio e<br />
Plinio, con un'esposizione però degna della sua<br />
grande erudizione.<br />
Il De temporibus liber, dello stesso periodo, in 22<br />
capitoli, sviluppa alcuni filoni cronografici dell'opera<br />
precedente: sul tempo astronomico come i<br />
minuti e le ore, i giorni e le notti; le settimane; i<br />
mesi; le stagioni; gli anni; le età del mondo, i movimenti<br />
degli astri, ma in particolare (5 capitoli)<br />
viene trattato uno dei problemi cronologici più<br />
44<br />
IL VENERABILE VEDA<br />
importanti dell'epoca: la datazione della Pasqua.<br />
Nel 725, a 52 anni di età, Beda scrisse l'opera che<br />
sarà materia di studio per tutte le scuole<br />
dell'Europa, fino alla fine del medioevo: il De temporum<br />
ratione, o De temporibus liber maior, in 71<br />
capitoli. Gli argomenti trattati sono il calcolo digitale,<br />
o indigitazione, un sistema empirico di<br />
numerazione già in uso nell'epoca romana; nei<br />
capitoli 8-10 parla della settimana, quindi dei mesi,<br />
con molte fonti storiche riportate; nei cap. 17-19 sui<br />
moti della Luna, e delle maree. Al cap. 30 della<br />
compilazione dei calendari e poi sulla lunghezza<br />
delle ombre, dei moti celesti e del ciclo di 19 anni<br />
(decennovennale) che è alla base dei suoi computi<br />
per la data della Pasqua, ecc.<br />
Gli argomenti più attinenti alla Gnomonica, che il<br />
dotto monaco inglese ci ha lasciato, sono un<br />
"Libellus de Astrolabio", due paginette in cui<br />
descrive rapidamente la costruzione dei circoli più<br />
importanti dello strumento e il "Libellus de mensura<br />
Horologii", che deluderebbe gli gnomonisti<br />
che si aspettano un grande trattato sulla<br />
Gnomonica. Infatti, si tratta di una breve<br />
descrizione, in due paginette, del quadrante<br />
chiamato orologio, con quale è possibile conoscere<br />
l'ora attraverso l'ombra del corpo umano misurata<br />
in "piedi" (un piede = c.ca 30 cm): HOROLOGIUM<br />
QUOD CONTRA UNUMQUEMQUE MENSEM<br />
HABET AD UMBRAM HUMANI CORPORIS<br />
PEDE SINGULARUM HORARUM DIEI.<br />
Questo "libellus" ci fornisce la prova che ai tempi<br />
di Beda non si usavano altre tipi di orologi solari,<br />
se non qualche meridiana canonica, e che questo<br />
metodo, che si può trovare anche in altri testi di<br />
autori coevi e di altri vissuti intorno all'anno Mille,<br />
doveva essere sicuramente il più popolare. Ad esso<br />
Beda fa seguire l'esposizione del modo di trovare<br />
la linea meridiana, che è praticamente identico al<br />
metodo famoso detto "dei giardinieri", o "delle<br />
altezze corrispondenti del sole sull'orizzonte".<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
113
45<br />
I VASI OROSCOPI,<br />
OROLOGI SOLARI SCONOSCIUTI<br />
Notizie veramente interessanti, invece, si ricavano<br />
dalla glossa et scolia, cioè un commento con delle<br />
note, aggiunto dal glossatore durante la compilazione<br />
delle prime copie dei codici di Beda. Nel<br />
cap. XXXI del De temporum ratione, Beda cita un<br />
passo di Plinio in cui si legge "Vasaque horoscopii".<br />
Il glossatore, che si firma Brideserto<br />
Ramesiensi, fa una breve ricapitolazione e specifica<br />
che "I vasi dell'oroscopo (vasa horoscopi), sono<br />
gli strumenti a forma di vaso concavo, simili a<br />
quelli che contengono l'acqua, per mezzo dei quali<br />
ci si può accertare dell'ora. Ce ne sono di diversi<br />
per ogni regione e così in greco sono chiamati "scopon"<br />
e in latino "intentio". L'oroscopo (horoscopus)<br />
è un nome composto da orologio e "scopon"; ma<br />
l'oroscopo (horoscopum) è pure l'intenzione orologica<br />
(horologica intentio) ed essi non hanno sempre<br />
lo stesso uso e cioè non sono uguali. Eratostene<br />
pose i vasi oroscopi a seconda degli intervalli locali<br />
(latitudini) e in un solo giorno fece osservare e<br />
notare in tutti gli oroscopi l'ombra del mezzogiorno..."<br />
164 . Questo passo ci offre l'occasione per<br />
fare una piccola digressione su questo misterioso<br />
"horoscopum".<br />
Sempre nello stesso capitolo e sullo stesso passo,<br />
segue uno "scholia" a firma di Joan. Nov., in cui si<br />
legge: "Presso Plinio si legge non "dell'oroscopo",<br />
ma appositamente "vasi oroscopi". Questi vasi oroscopi<br />
sono a forma di emisfero scavato e contengono<br />
nell'interno l'immagine di una sfera<br />
(proiezione, cioè, dei principali circoli celesti) adatta<br />
all'osservazione dei tempi e dei corsi celesti.<br />
Vitruvio ne attribuisce l'invenzione ad Aristarco di<br />
Samo, chiamandolo "scaphio", ed "haemisphaerium".<br />
Quando mi accingevo ad iniziare questa<br />
ricerca, alcuni anni fa, ricordo di averne realizzato<br />
uno per il Magnifico e onestissimo uomo Don<br />
Rheinardo, Conte di Westenburch, Decano maggiore<br />
della Chiesa di Colonia".<br />
Il glossatore ci offre una descrizione e un rarissimo<br />
disegno (fig.48) dello strumento da lui realizzato o<br />
restaurato, (figura davvero preziosa se si considera<br />
che è finora l'unica che si conosce pervenutaci da<br />
quella lontana epoca):<br />
"E' da interpretare che AB (fig. 48) è il labbro o l'orifizio<br />
piano superiore della materia scavata, FG lo<br />
stilo eretto la cui estremità G mostra il Polo artico,<br />
F l'antartico, C il centro della cavità interna, al<br />
quale corrisponde il punto sotterraneo che chiamiamo<br />
Nadir, DE lo zodiaco ornato di stelle, descritto<br />
attraverso i paralleli dei segni nella cavità interna,<br />
essendo adibito a ciò, si indica a guisa di un<br />
quadrante...". La figura di cui parliamo, è oltremodo<br />
interessante per una particolarità unica, finora<br />
mai riscontrata in altre immagini: l'emisferio orologio<br />
descritto dal glossatore, nella figura presenta lo<br />
stilo disposto, per la prima volta in uno strumento<br />
simile, parallelamente all'asse terrestre.<br />
Risulta evidente, dalla fonte riportata, che l'"horoscopum"<br />
era nell'antichità chiamato un orologio<br />
solare evidentemente equivalente all'emisfero di<br />
Aristarco. Anche su questo strumento abbiamo<br />
una erudita dissertazione di Claudio Salmasio che<br />
in buona parte riporto nella nota, in cui si legge<br />
che qualche autore antico identifica l'oroscopium<br />
con uno strumento del tipo astrolabio 165 .<br />
In un codice della Biblioteca Bodleiana si riportano<br />
schemi e diagrammi riguardanti il ciclo orario o<br />
oroscopo (horoscopium) il quale indica la lunghezza<br />
dell'ombra nelle singole ore, per i singoli mesi"<br />
164 Ecco il passo originale del glossatore: "Vasa horoscopi, id est, machinae quaedam in vasis ex aquis conchaque quo certam<br />
horam scire possint, similia non sunt in unaquaque regione. Scopo graece, intentio Latine. Horoscopus compositum nomen est<br />
ex horologio et scopon. Horoscopum est horologica intentio. Non eadem sunt usui, id est, non aequalia sunt. Eratosthenes<br />
geometra subtilissimus per intervalla locorum, vasa horoscopi posuit, atque una diei in omnibus umbram meridiani temporis<br />
observari notarique fecit, quantae esset longitudinis; et sic comperit quod ultra quingenta stadia, ad unius longitudinis gnomon<br />
umbra non respondit...".<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
114
(vedi bibliografia).<br />
Altre fonti ancora testimoniano l'uso di questo<br />
strumento. Ermanno Contratto, nel secolo XI (vedi<br />
oltre), riporta nella sua opera sull'Astrolabio:<br />
"Gradu Solis invento et in Alhancabuth annotato<br />
Nadair Ascemath, id est: oppositum Solis invenire<br />
debes, quod nos Horoscopon dicere possumus, eo<br />
quod inspiciendo horas designat" 166 .<br />
Andrea Cirino 167 scrisse: "E' testimoniato che anticamente<br />
Celio 168 trovò le ore grazie allo strumento<br />
chiamato "Horoscopion". Presso Manilio 169 si trova<br />
"Oroscopare", e presso Firmico 170 "Segni orosco-<br />
panti". E quindi Celio 171 , nelle osservazioni ai<br />
monumenti degli antichi dice, "sono detti vasi oroscopi<br />
con i quali si mostrano le ore".<br />
Mi viene in mente di mettere a confronto, se non<br />
tentare una identificazione, lo strumento descritto<br />
dal glossatore, che ha lo stilo parallelo all'asse terrestre,<br />
e che chiama "vas horoscopum", con il<br />
"polos" dell'antichità sul quale Democrito scrisse il<br />
famoso, quanto sconosciuto, trattato, che si differenzierebbe<br />
dagli "scaphen" o dagli "hemisphaerium"<br />
citati da Vitruvio, anche solo per la<br />
diversa disposizione dello stilo.<br />
165 Claudio Salmasio, Plinianae exercitationes in Caii Julii Solini Polyhistoria, pag.458 G, A,B,C,D,E,F,G:<br />
"Vasa horoscopa appellat (tà oroscopia). Et vasa quidem vocat, quia erant ad instar vasis concava, utpote scaphiis, sive (scaphia)<br />
similia. Unde et scaphia Martiano Capella: Scaphia, inquit, dicuntur rotunda ex aere vasa, quae horarum ductus, etc. Idem et<br />
horoscopa ibidem vocat, ubi Plinii locum imitatur: denique ipsa vasa, quae horoscopa, vel horologica memorantur, pro locorum<br />
diversitatibus immutata componuntur, alioque gnomone ultra quingenta stadia discernuntur umbris, pro polorum aut elationibus<br />
celsis, aut inclinationibus infimatis.<br />
Ita distinguendum, ac legendum. Ut vasa horologica sunt (tà orologia), sic horoscopa vasa (tà oroscopia). Tertullianus, qui<br />
Plinium diligenter lectitarat, horoscopa similiter appellat (tà orologia) ut ante biennium ad Pallium ejus docuimus, ubi "araneorum<br />
horoscopa" eleganter vocitavit telas araneorum multis lineis, ac filis à centro ductis, ad circumferentiam distinctas, quia ad<br />
hanc formam lineis plurifariam ductis à medio, ubi est gnomon, descripta sunt horoscopa vasa. (...) Male in scriptis Plinii exemplaribus<br />
"horospica vasa" vocantur. Fortasse scripserat, "horoscopica", (tà oroscopica) (...).<br />
Hephaestion lib II ...astrolabum vocat (oroscopion)...Alia omnia horoscopia praeter astrolabum improbat...(...).<br />
Vocat (eliaca) solaria, et (sciotera), sive gnomonica horoscopia...<br />
166 Hermanno Contratto, De mensura astrolabi liber, Lib. II, cap. IV De utilit. Astrolabii. Edizione R.P. Pezii Thesauri Anecdot.<br />
Novis. Tom. III, Parte II.<br />
167 A. Cirino, De urbe Roma, 1735, cap. 54, pag. 594<br />
168 Celio Antipatro Lucio, storico romano della seconda metà del secolo II a. C.<br />
169 Marco Manilio, scrittore latino vissuto probabilmente nell'epoca di Augusto imp., scrisse il poema Astronomicon.<br />
170 Firmico Materno Giulio, scrittore latino del IV secolo d.C.<br />
171 Caelius, Lib. XII, cap. IX<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
115
Infine vorrei parlare di un certo Prof. Impseri che,<br />
nel 1549, scrisse un volume sulla composizione di<br />
uno strumento chiamato "Meteoroscopo" tolemaico,<br />
sulla base delle descrizioni, o le opinioni, di<br />
Giovanni Regiomontano. Non si sa nulla di preciso<br />
sulla natura di questo antico strumento costruito<br />
da Tolomeo nel secolo II d. C., per mezzo del<br />
quale, l'astronomo raccolse una buona parte dei<br />
dati delle osservazioni scritte nelle sue opere. Al<br />
tempo di Regiomontano si ebbero delle forti dispute<br />
tra i matematici, sulla possibile composizione,<br />
o struttura dello strumento di Tolomeo.<br />
Munsterus scrisse "Non è chiaro quale strumento<br />
fosse il Meteoroscopio di Tolomeo", e in seguito si<br />
pronunciarono Pietro Apiano, Regiomontano.<br />
Willebrordus, J. Wernerus, J. Schonerus ed altri.<br />
Lo strumento descritto da Impseri, consta di XVII<br />
parti e lo definisce uno strumento "armillare", le<br />
46<br />
IL METEOROSCOPO TOLEMAICO<br />
cui funzioni principali sono quelle di determinare<br />
la posizione del Sole, la sua declinazione, l'ora del<br />
giorno col Sole, la latitudine, la longitudine, ricercare<br />
l'ora notturna attraverso l'osservazione delle<br />
stelle fisse, trovare la linea meridiana di giorno e di<br />
notte ed altre cose ancora.<br />
Inoltre, il Prof. Impseri, sempre nel 1549, ha composto<br />
un "meteoroscopium planum", altrimenti<br />
chiamato "Horometrum pensile", adatto a qualsiasi<br />
latitudine. Esso è utile a ricavare l'ora<br />
equinoziale, o astronomica, col sole e la linea<br />
meridiana, in qualsiasi regione; lo stesso per l'elevazione<br />
polare in qualsiasi ora ecc. Quindi sembra<br />
che questo sia il meteoroscopio di Tolomeoin formato<br />
ridotto, reso portatile. In un altro volume egli<br />
parla della realizzazione pratica della sfera con<br />
tutti i circoli, e in un altro della costruzione di un<br />
Astrario, Astrolabi e vari altri strumenti.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
116
47<br />
L’OPERA DEGLI ARABI<br />
E I CODICI MANOSCRITTI<br />
Abbiamo visto, nelle pagine precedenti che,<br />
nonostante la vastità degli argomenti trattati da<br />
Beda, la sua opera non ha svolto un ruolo decisivo<br />
nella storia della Gnomonica. I suoi scritti furono<br />
copiati per oltre due secoli e costituirono l'unico<br />
punto di riferimento della cultura europea, fino a<br />
quando non cominciò lopera di divulgazione dei<br />
manoscritti orientali, trasmessi all'occidente cristiano<br />
attraverso le traduzioni di personaggi come<br />
Ermanno Contratto, Adelardo di Bath, Burgundio<br />
da Pisa, Aristippo di Palermo, Ermanno il<br />
Dalmata, Gerardo da Cremona e tanti altri. Gli<br />
Arabi, quindi, furono i veri eredi della scienza<br />
alessandrina e della gnomonica, e i loro studi scientifici<br />
costituirono la palestra della cultura occidentale<br />
fino al XV secolo.<br />
Lo sviluppo della cultura araba può farsi iniziare<br />
con il califfato di Harum al Raschid, verso la fine<br />
del secolo VIII. Ma già dal VII secolo, a seguito<br />
delle grandi conquiste territoriali, i popoli orientali<br />
furono soggetti ad un lento, quanto importante,<br />
rimescolamento di arti, tradizioni e tendenze religiose<br />
e intellettuali, delle più varie ed opposte.<br />
L'intensa attività intellettuale di quell'epoca e in<br />
particolare a cominciare dal califfato di Al Mamun,<br />
figlio di Al Raschid, è riscontrabile già nella<br />
grande ed inestimabile opera di traduzioni che<br />
impegnò per secoli gli eruditi arabi: Thabet Ebn<br />
Korrab, medico, matematico e filosofo arabo vissuto<br />
nel 900, fu tra i primi a tradurre dal greco<br />
Autolico, Euclide e Archimede; mentre Costa Ebn<br />
Luca eliopolitano, insigne filosofo cristiano che<br />
nacque nell'864, tradusse Teodosio, Aristarco ed<br />
Asclepio; Abulphetaho spagnolo fu il primo a<br />
tradurre in arabo i libri di Apollonio di Pergamo<br />
sulle sezioni coniche, sotto il califfato di Al-<br />
Mamun, nell'anno 825 di Cristo; altri insigni<br />
matematici e filosofi impegnarono la loro esistenza<br />
per tradurre tutti gli altri autori antichi, i cui manoscritti<br />
furono conservati nelle biblioteche delle<br />
172 C. Heilbronner, Op. cit. pag. 426, par. 375<br />
scuole musulmane. Alcuni dei commentatori<br />
curarono le traduzioni delle opere di Claudio<br />
Tolomeo: Teone alessandrino e Proclo nell'antichità.<br />
Nel periodo arabo le "epitome"<br />
all'Almagesto a cura di Hazemii e Averroè; come<br />
quelle al "Centiloquio" e al "Quadripartito" a cura<br />
di Haly e del figlio Eli, nel 1100; la traduzione dall'arabo<br />
in latino dell'Almagesto a cura di Giorgio<br />
Trapezuntio e il commento di Ermanno Contratto,<br />
nel sec. XI, sullo strumento chiamato Wallachora,<br />
usato da Tolomeo per le sue osservazioni astronomiche.<br />
Infine il commentario all'Almagesto di<br />
Nassireddino Tusensi, vissuto nel 1290.<br />
Questo, è il caso di dire, astronomico impegno di<br />
traduzione, in particolare delle opere scientifiche,<br />
costituì lo slancio principale per l'approfondimento<br />
delle ricerche nell'Astronomia, la base di partenza<br />
per le nuove osservazioni astronomiche che<br />
furono effettuate in grandiosi osservatori appositamente<br />
costruiti, come quello di Damasco e di<br />
Bagdad. Questi "opifici di sapienza", erano forniti<br />
di eccellenti strumenti scientifici, del tutto simili a<br />
quelli greci di mille anni prima, ma di migliore fattura<br />
e precisione, che servirono agli astronomi per<br />
migliorare le loro osservazioni, necessarie per la<br />
compilazione delle "Tavole" contenenti i dati astronomici.<br />
Quasi sempre, le opere di astronomia<br />
scritte dagli studiosi arabi, comprendono capitoli,<br />
più o meno estesi, riguardanti il computo del<br />
tempo e la descrizione di strumenti astronomici e<br />
gnomonici, come quadranti, astrolabi, sfere armillari,<br />
meridiane, globi celesti, e via dicendo.<br />
Certamente più rare delle opere di astronomia,<br />
furono quelle di Gnomonica, anche se non siamo<br />
in grado di dire con precisione quante ne furono<br />
scritte e quante stampate e pubblicate. Possiamo,<br />
comunque, attestare sulla base di quanto si è potuto<br />
trovare in questa limitata ricerca storica, che i<br />
trattati di gnomonica e, in genere, sugli orologi<br />
solari scritti dagli arabi nel periodo compreso tra il<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
117
IX e il XIV secolo, superano tranquillamente la<br />
cinquantina (vedi bibliografia generale sulla gnomonica).<br />
Tra i primi e più celebri astronomi arabi è da<br />
annoverare Ahmad Ibn Muhammad Al Fargagni,<br />
latinizzato in Alfraganus, che visse nel IX secolo.<br />
Circa nell'anno 820 trovò la massima declinazione<br />
del sole stimandola in 23 gradi e 35 primi; scrisse<br />
un'opera molto importante: "Elementi di astronomia",<br />
che fu tradotta in latino nel XII secolo, e un<br />
libro sugli orologi solari e sulle forme dei planisferi,<br />
cioè sui globi celesti 172 . Guglielmo Pastregico<br />
(sec. XVI) riferisce di un'altra opera, un manoscritto<br />
conservato nella Biblioteca Medicea: "Il libro<br />
dell'insieme della scienza delle stelle e dei principi<br />
dei moti celesti"; mentre nella Bodleiana è conservato<br />
un altro codice di Alfragano: "Cosmografia".<br />
Di qualche anno più giovane è un altro grande<br />
della scienza araba: Muhammed Al Battani, noto<br />
come Albategno, morto nel 929. Egli dimostrò in<br />
quale modo si possono costruire gli orologi solari a<br />
ore ineguali e fino a quale latitudine. L'eclisse di<br />
sole dell'8 agosto 891, fu da lui osservata e indicò<br />
che l'evento vi fu all'"hora una temporali posto<br />
meridiem", lasciandoci così una delle ultime, e più<br />
autorevoli, testimonianze dell'uso delle ore temporali<br />
173 .<br />
Sempre verso la fine del secolo IX, l'arabo Bethem,<br />
lasciò cinquecento aforismi sull'astrologia<br />
Judiciaria e un libretto sulle ore planetarie tradotto<br />
e stampato a Venezia nel 1493 174 .<br />
Un altro grande astronomo fu al-Hasan Ibn Alì<br />
'Umar al-Marrakuschi, vissuto nel XIII secolo. Egli<br />
scrisse un trattato dal titolo Jami al-mabadi' wa 'lghayat,<br />
sulla costruzione ed uso di alcuni strumenti<br />
astronomici e matematici, in cui sono esposti<br />
per la prima volta i canoni per disegnare le linee<br />
orarie su superfici cilindriche. Per questo, alcuni<br />
autori hanno creduto che il famoso orologio del<br />
pastore, cioè la meridiana portatile cilindrica,<br />
risalisse a quest'epoca. Ma come vedremo più<br />
avanti, le radici di quest'orologio affondano ancora<br />
più indietro nel tempo.<br />
Muhammad Ibn Ahmed al-Biruni, è un'altra stella<br />
del firmamento scientifico arabo che ha sicuramente<br />
trattato anche di Gnomonica in una delle<br />
sue opere di Astronomia. Per un elenco delle opere<br />
di Gnomonica degli arabi si rimanda a una consultazione<br />
dell'approfonditissima bibliografia riportata<br />
alla fine.<br />
173 Idem, pag. 430, par. 386<br />
174 Idem, pag. 431, par. 392. Ristampato a Basilea da Hervagius nel 1533, con Julio Firmico ed altri. Anche Giovanni Stofflerino<br />
conferma tale notizia nel suo libro "Elucidatio Fabricae ususque astrolabi", Lutetiae, 1553: "... Et praecipué Bethem, qui de horis<br />
planetarum compsuit tractatum, cuius principium est: cum fuerit hora saturni, etc...".<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
118
Fu durante la spedizione napoleonica in terra<br />
d'Egitto, nel 1798, che uno degli studiosi del corpo<br />
scientifico, un certo M. Marcel, trovò ai piedi di un<br />
muro del minareto attiguo alla Moschea di Ahmed<br />
ben-Thouloun, nella città del cairo, alcuni frammenti<br />
di una pietra recante misteriose incisioni.<br />
Egli ne fece subito un disegno, anche abbastanza<br />
preciso, delle incisioni che aveva sotto gli occhi, e<br />
decise che sarebbe ripassato a riprenderla al più<br />
presto. Senonchè, al suo ritorno le pietre erano<br />
inspiegabilmente scomparse.<br />
Per fortuna ci è rimasto il disegno di Marcel, pubblicato<br />
nella grande opera Description de l'Egypte,<br />
a testimonianza del primo incontro della gnomonica<br />
araba con gli studiosi del secolo XVIII. Infatti, si<br />
deve tener presente che le opere degli Arabi, e<br />
quindi i manoscritti di Astronomia e di<br />
Gnomonica, erano già patrimonio culturale degli<br />
uomini eruditi vissuti in Occidente fra il X e XIII<br />
secolo. Per cui, direi, che quella di Marcel non è<br />
una scoperta, ma una "riscoperta" della<br />
Gnomonica araba. Inoltre, la sua premura di fare<br />
subito un disegno delle incisioni, ci ha regalato la<br />
bellissima immagine di quei frammenti che<br />
insieme formavano una stupenda meridiana,<br />
ormai scomparsa per sempre, con un tracciato<br />
orario tanto bello ed elegante, quanto insolito ed<br />
originale. La pietra su cui era incisa la meridiana<br />
araba era lunga circa 27 pollici e larga 21. Vi erano<br />
riportati i quattro punti cardinali, come nell'orologio<br />
orizzontale, chiamato "basithah", di Aboul<br />
Hasan 175 , e disposti nello stesso modo. La latitudine<br />
per la quale fu costruita la meridiana era<br />
quella del Cairo, cioè circa 30 gradi e risalirebbe<br />
all'anno 696 dell'Egira, cioè al 1296 dell'era cristiana<br />
176 . E' presente anche un motto scritto in carat-<br />
48<br />
LA <strong>GNOMONICA</strong> ARABA<br />
teri karmatici, cioè delle antiche dottrine religiose<br />
dell'India, con punti diacritici di una bellezza ed<br />
eleganza che Marcel incontrò in altri importanti<br />
monumenti ritrovati in Egitto. Si notano principalmente<br />
due fasci di linee ben distinti, formato ciascuno<br />
di sei segmenti di cerchio, o meglio da sei<br />
curve paraboliche, in cui si distinguono due gruppi<br />
di tre linee, sopra e sotto, con al centro una<br />
lunga linea diritta comune ai due fasci che s'incrociano.<br />
Queste curve paraboliche sono contrassegnate<br />
dai nomi dei segni zodiacali e vengono tagliate<br />
trasversalmente da altre sei linee rette destinate<br />
a marcare le ore. La numerazione oraria è riportata<br />
sulla curva inferiore dei due fasci "zodiacali",<br />
dalla parte Nord. Sul fascio occidentale ci sono le<br />
ore dalla sesta alla undicesima; sul fascio orientale<br />
vanno dalla sesta alla prima. Tra la nona e la decima<br />
ora si trova una curva che denota l'importante<br />
momento dell'Asr, cioè della siesta e della<br />
preghiera, che era compreso fra tre e quattro ore<br />
dopo il mezzodì. Per trovare la spiegazione del<br />
funzionamento di questo orologio solare, si è supposto<br />
che esso fosse stato dotato di due stili paralleli<br />
situati leggermente sopra alle linee indicanti la<br />
sesta ora, sulle due rotture che si vedono nella<br />
figura, ai fianchi della pietra. Uno, quindi, serviva<br />
per il mattino e l'altro per il pomeriggio. Dopo aver<br />
marcata la prima ora del giorno, (la più lunga sulla<br />
destra), l'ombra del sole, raccorciandosi man mano<br />
che la sua altezza sull'orizzonte aumentava, andava<br />
ad indicare il resto delle ore fino alla sesta, per<br />
poi passare nell'altro fascio orario dov'era proiettata<br />
dal secondo gnomone a cominciare da dopo il<br />
mezzodì. La linea delle 12 ore (la sesta ora della<br />
sera ) non è riportata essendo questa troppo allungata<br />
perchè possa essere indicata dallo gnomone 177 .<br />
175 Aboul Hasan, trad. di J.J. Sedillot, t. II, p. 488 e pl. XV.<br />
176 M.L.A.M. Sédillot, Memoire sur les instruments astronomiques des Arabes, in Memoires des Inscriptions et belles-Lettres de<br />
L'Institut de France, Parigi, 1844, Serie prima, Tomo I, pag. 56.<br />
"Il a été construit ...en l'année 696 de l'hégire (1296 de l'ere chrétienne)...En 1296 le sultan mamlouk Melik-al-Naser-Mohammed<br />
régnait en Egypte; mais, comme cette meme année deux usurpateurs parurent sur le trone ...on ne sait auquel de ces princes on<br />
doit attribuer le don fait à la mosquée d'Ahmed ben-Thouloun de ce cadran solaire.<br />
177 M.L.AM. Sédillot, Op. cit., pag. 58-59<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
119
Gli Arabi e i Turchi chiamavano gli orologi solari<br />
col termine ROCHAMAH, in quanto essi venivano<br />
incisi sopra lastre di pietra o di marmo. In particolare,<br />
gli Arabi usavano il nome BASSITHAH, a<br />
causa dell'estendersi del tracciato orario sopra una<br />
superficie piana 178 .<br />
Ciò che conosciamo della gnomonica araba deriva<br />
in parte dalle ricerche effettuate direttamente sulle<br />
meridiane trovate sulle facciate di alcune moschee<br />
e palazzi antichi, in parte dagli studi approfonditi<br />
da parte di alcuni studiosi sui rari codici manoscritti<br />
arabi e turchi, in buono stato di conservazione,<br />
in cui si trovano descritti, o comunque<br />
menzionati, i vari tipi di strumenti astronomici e<br />
matematici comunemente in uso nel XIII secolo.<br />
Come le meridiane servirono ai Monaci<br />
Benedettini per scandire il ritmo delle Ore<br />
Canoniche, gli orologi solari degli Arabi e, in generale,<br />
gli strumenti per la misurazione del tempo,<br />
servirono nella vita civile di questo popolo a indicare,<br />
oltre al tempo civile, il tempo delle cinque<br />
preghiere che insieme costituivano il Salat, raccomandate<br />
dal Corano.<br />
Ed è proprio per adempiere a questo importante<br />
ufficio religioso che in Anatolia esiste, a cominciare<br />
dall'espansine dei Turchi, una bellissima<br />
tradizione. Si vedono, nei grandi e piccoli<br />
agglomerati urbani, degli orologi solari sospesi ai<br />
muri, o meglio, posati su delle superfici piane<br />
murarie, che recano, a seconda dei casi, delle<br />
diverse suddivisioni orarie. In alcuni di essi si distinguono<br />
principalmente i momenti della<br />
preghiera del mezzogiorno, chiamata Zuhr, e della<br />
merenda, o della sera, cioè l'Asr.<br />
Non sono rari gli orologi solari turchi che indicano<br />
tutte le linee corrispondenti ai momenti delle<br />
preghiere e, a volte, viene impiegato un apposito<br />
gnomone, sotto l'orologio solare stesso, per leggere<br />
più chiaramente l'ombra che marca le linee delle<br />
preghiere. Un'altra caratteristica che contraddistingue<br />
le meridiante arabe e turche sono i segni<br />
usati per la numerazione delle ore. Fin dai tempi<br />
antichi gli Arabi usavano delle abbreviazioni dei<br />
caratteri nei libri che scrivevano, fino al XV secolo.<br />
Per queste abbreviazioni essi si servirono dei caratteri<br />
Indù che furono conosciuti in Occidente solo<br />
nel secolo XIII.<br />
Il primo orologio solare turco fu installato a<br />
Istanbul nell'anno dell'Egira 878 (era cristiana<br />
1473) nel cortile principale dell'Università fondata<br />
dal Sultano Fatih Mehmet, dopo aver incaricato<br />
Ali Kouchdji, anche per l'insegnamento<br />
dell'Astronomia e della Matematica 179 . In seguito<br />
ne seguirono molti altri di cui però è difficile stabilire<br />
la data di costruzione e gli autori. Gli orologi<br />
solari costruiti a Istanbul nel XVII secolo furono,<br />
per la maggior parte, opera di Yéni Djami (1671),<br />
da allora in poi i nomi degli autori vennero scolpiti<br />
su tutte le meridiane. Takiyy Uddin, fondatore<br />
dell'Osservatorio Astronomico di Istanbul, costruì<br />
un certo numero di orologi solari, così pure Mirim<br />
Tchelebi, figlio di Ali Kourchdji, ed altri ancora.<br />
Come si può vedere, la maggior parte degli orologi<br />
solari arabi e turchi, sono incisi su una pietra di<br />
forma triangolare avente un angolo retti, installati<br />
per le strade delle città, sui quali c'era aggiunto un<br />
altro gnomone più piccolo per l'indicazione dei<br />
momenti delle principali preghiere. Le cifre indù<br />
che indicano le rispettive ore sono incise sul lato<br />
dell'ipotenusa.<br />
178 D'herbelot, Bibliotheque Orientale, Maestricht, 1776, p. 709<br />
179 D'A. Suheyl Unver, Professore Ordinario all'Università di Istanbul, Sur les cadrans solaires horizontaux et verticaux en<br />
Turquie, in Archives Internationales d'Histoire del Sciences, Nouvelle Serie d'Archeion, Academie Internationale d'Historie des<br />
Sciences, Septieme Année, n, 28-29, Luglio-Dicembre 1954, pag. 254-268.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
120
49<br />
UN PRIMO CENSIMENTO<br />
DELLE MERIDIANE TURCHE<br />
Il prof. Suheyl Unver, nell'articolo citato alla nota<br />
16, riporta una sorta di primo censimento delle<br />
meridiane turche che per l'elevato interesse vorrei<br />
trascrivere per intero. Egli, tuttavia, ravvisa che l'elenco<br />
non comprende le eventuali meridiane che<br />
possono trovarsi su una ventina di moschee e ville<br />
che non ebbe modo di visitare.<br />
LUOGO NUMERO MERIDIANE E ALTRE NOTIZIE<br />
Moschea del Sultano Selima Istanbul 1<br />
Moschea Bayézid a Istanbul 3 di cui una reca inciso Osman, 1155 (1742).<br />
" Fatih a Istanbul 1 fatta da Ali Kouchdji nel 878 (1473).<br />
" Edirnèkapisi, Istanbul 1<br />
" YéniDjami a Istanbul 3 di Ridvan, 1082 (1671), di<br />
uno reca scritte arabe<br />
" Sultano Ahmet, " 4 di cui una è di Huseyin Chami.<br />
" Suleymanié, Istanbul 1 di Hafiz Abdurrahman, 1186 (1772)<br />
" Hekimoglou Alipacha e la biblioteca 2 sulla base del minareto della Moschea. Fatto<br />
da Ismail Halifé zadè nel 1177 (1763).<br />
Scuola Taschin efendi ad Ankara Caddesi 1<br />
Palazzo del Tunnel, ad Ankara Caddesi 1 reca l'iscrizione latina "Sine Sole Sileo".<br />
Moschea di Laleli a Istanbul 1 di Mouvakkit Ismail, 1193 (1779)<br />
" di S. Sophie, " 2 di cui uno è molto antico.<br />
Médressé di Bayézit " 2 nuovo ed orizzontale<br />
Moschea YéniDjami a Uskudar. 1<br />
" Mihrimah Soutan Uskudar 1<br />
" EskiDjami, Sult. Eyoup 1<br />
Serraglio di Topkapi, Istanbul 3 di cui uno orizzontale.<br />
Moschea Kurkdjubachi a Chehremini 1 917 (1511)<br />
" Ahmetpacha. Topkapi 1 di Hekimbachi Gevrek zadé Hasan efendi,<br />
1207 (1792-93).<br />
" Atik Validé Djami a Uskudar 2<br />
" Beylerbey 3 di cui 2 orizzontali, uno del 1192 (1778).<br />
Cortile dell'Ospedale Zeynep Kiamil 1<br />
Accademia delle Belle Arti 1 del pittore Ahmet Ziya bey, professore di<br />
questa Accademia e gnomonista, nel 1931<br />
Nel Cortile della Direzione dell'Ospedale degli<br />
Alienati di Bakirkeuy 1<br />
Moschea di Chehzade 1<br />
e inoltre:<br />
Museo di Brousse 1 di epoca romana<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
121
LUOGO NUMERO MERIDIANE E ALTRE NOTIZIE<br />
" di Pergamo 1 Romana con caratteri illegibili<br />
" d'Efeso 1 di 1 metro di diametro con segni<br />
e caratteri ellenici.<br />
Koniah: all'esterno dell'altare della Moschea<br />
HadjiHasan Djami (KadiMursel) 1 812 (1409)<br />
Base del minareto della Moschea<br />
Cheyhulislam d'Erzeroum 1<br />
Sulla facciata del cortile dello Hotel di Villa di Koniah. 1<br />
Su un fianco del minareto di Selimiyé, Andrinopoli 2<br />
Via Aluphaca, a Kutahya 1 del 1212 (1797).<br />
Del primo orologio segnalato dal prof. Unver,<br />
quello della Moschea del Sultano Selim a<br />
Costantinopoli, sono riuscito a trovare l'autore,<br />
attraverso un manoscritto dal titolo: "Taschil<br />
Almicat Fi E'lm Alaoucat". Un libro turco che tratta<br />
degli orologi e il modo di misurare il tempo,<br />
composto da Mostafa Ben Ali, e che ha per titolo<br />
"Maouakket Belgiamé al-Selimi", vale a dire il<br />
modo di tracciare le ore sulla Moschea del Sultano<br />
Selim a Costaninopoli. Deve quindi trattarsi proprio<br />
della meridiana situata sulla parete SO della<br />
Moschea, che si può ammirare tutt'ora. Essa reca<br />
anche la suddivisione delle ore italiche.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
122
50<br />
IL MANOSCRITTO 1147 E 1148<br />
DI ABOUL HASSAN<br />
Gli strumenti astronomici e matematici, tra cui gli<br />
orologi solari, comunemente in uso attorno al secolo<br />
XIII, ci sono stati tramandati attraverso vari<br />
codici, due dei quali, il n. 1147 e 1148 dell'Antica<br />
Biblioteca Reale di Parigi, furono oggetto di approfonditi<br />
studi da parte di autori vissuti nel secolo<br />
scorso, come J.J. Sédillot, che pubblicò il manoscritto<br />
n. 1147 di Aboul-Hassan, col titolo "Traité<br />
des instruments astronomiques des Arabes".<br />
Gli orologi solari descritti in questo importante<br />
manoscritto sono:<br />
1) l'hhafir;<br />
2) l'elice;<br />
3) l'orologio cilindrico per tutte le latitudini;<br />
4) l'orologio conico;<br />
5) il sakke al-jeradah, ovvero la "zampa di cavalletta",<br />
un orologio molto simile al "prosciutto di<br />
portici" dei Romani.<br />
6) la bilancia "fezarie", o oraria.<br />
Naturalmente gli Arabi usavano molti altri tipi di<br />
strumenti, oltre a questi orologi solari, per determinare<br />
astronomicamente le ore di giorno e di<br />
notte. I principali sono:<br />
1) Il quadrante destour;<br />
2) la sfera, sia armillare che solida;<br />
3) i quattro astrolabi chiamati<br />
· Settentrinale<br />
· Chamilah<br />
· Shafiah di Arzachele<br />
· astrolabio lineare, detto anche "baguette de<br />
Thousi".<br />
Sul quadrante destour, o meglio su una delle sue<br />
due facce, veniva incisa la rete di linee, per la maggior<br />
parte riportate anche sui normali orologi<br />
solari, che fornivano le seguenti informazioni:<br />
180 M.L.AM. Sédillot, Op. cit. pag. 28.<br />
181 rmanno Contratto, De mensura astrolabi liber<br />
182 Op. cit., cap. 54, pag. 594<br />
183 Ermanno Contratto, op. cit. cap. XVIII, pag. 128 ed. Petz, secolo XVIII.<br />
1) l'arco di altezza;<br />
2) l'ombra;<br />
3) l'inclinazione, o obliquità;<br />
4) le ore dei tempi;<br />
5) il quadro delle due ombre che possono supplire<br />
il tracciato dell'ombra;<br />
6) il seno "fadhal";<br />
7) l'Ashr;<br />
8) le ore proprie a una latitudine determinata;<br />
9) le linee dell'inizio e della fine dell'Ashr;<br />
10) la quantità dell'aurora e del crepuscolo detta<br />
hhissa<br />
11) le linee d'altezza dell'azimut della "Kiblah",<br />
cioè la direzione della Mecca;<br />
12) le linee delle ore eguali 180 .<br />
Sédillot, nella nota a piè di pagina, riporta che<br />
furono gli Arabi i primi a tracciare sugli orologi<br />
solari le ore eguali, che essi chiamano Muzzewine,<br />
in sostituzione delle ore ineguali chiamate<br />
Ezzemenie 181 . Le ore equinoziali erano già in uso<br />
nei primi secoli dell'era cristiana, almeno tra gli<br />
uomini di scienze. Infatti, Andrea Cirino 182 , su testimonianza<br />
di Sinesio di Cirene, vissuto attorno al<br />
370 d. C., riporta che le ore equinoziali erano già<br />
studiate da Tolomeo, il quale le incise, assieme alle<br />
ore temporali, sull'astrolabio d lui costruito.<br />
Inoltre, sempre Ermanno Contratto ci informa che<br />
Marciano Capella, nel V secolo, oltre all'opera<br />
"Sulle nozze di Mercurio e Filosofia", scrisse anche<br />
sulle ore equinoziali 183 .<br />
La seconda faccia della quarta di cerchio, cioè del<br />
quadrante, ha un tracciato che viene chiamato<br />
"quarta del destour", che contiene il quadrante dei<br />
seni, l'arco dell'obliquità dell'eclittica, e il tracciato<br />
delle stelle fisse e dell'Ashr.<br />
L'autore, inoltre, elenca tutta una serie di oper-<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
123
azioni possibili da effettuare con tale strumento, di<br />
cui cito solo le seguenti:<br />
1) Il modo di trovare l'azimut della Kiblah;<br />
2) I quattro punti cardinali;<br />
3) La posizione della Kiblah da una qualsiasi longitudine;<br />
4) L'obliquità e l'aumento dell'arco di rivoluzione<br />
quando sono noti l'azimut e l'altezza;<br />
5) I coascendenti dei segni nella sfera retta;<br />
6) l'arco di orizzonte compreso tra l'inizio<br />
dell'Ariete e l'orizzonte orientale;<br />
7) i quattro punti dell'eclittica, cioè il mediateur,<br />
l'occase, al-rabi, e l'ortif;<br />
8) i passaggi al meridiano delle stelle, e tutte le<br />
informazioni relative alla loro posizione sulla sfera<br />
celeste, in un tempo qualunque;<br />
9) la declinazione di un muro;<br />
10) L'estremità dell'ombra proiettata su un piano<br />
parallelo all'orizzonte in un dato momento;<br />
11) La grandezza dell'ombra proiettata su un piano<br />
parallelo all'equatore, l'azimut di quest'ombra, i<br />
quattro punti cardinali, e il tracciato su questo<br />
piano delle linee del complemento dell'arco di rivoluzione<br />
(queste linee sono quelle che coincidono<br />
con la proiezione dell'ombra, nel tempo corrispondente<br />
ai diversi complementi dell'arco di rivoluzione)<br />
184 ;<br />
12) l'estensione dell'ombra proiettata su un piano<br />
parallelo a uno verticale qualunque;<br />
13) l'estensione dell'ombra proiettata su un piano<br />
inclinato;<br />
14) il hhissahs, cioè la quantità dell'aurora e del<br />
crepuscolo, e moltissime altre cose, matematiche e<br />
astronomiche.<br />
Un lunghissimo commentario di 66 pagine riporta<br />
tutta la gnomonica piana per le ore eguali e<br />
ineguali, con delle tavole e delle figure incomplete.<br />
Mentre la parte finale è consacrata al metodo di<br />
trovare il centro e la lunghezza di uno gnomone<br />
per un piano qualunque, sul quale sono tracciate le<br />
ore; l'altezza del sole; la lunghezza di uno gnomone<br />
verticale e la distanza al piede di uno gnomone<br />
di cui si conosce la lunghezza, ecc.<br />
Più in generale, nell'opera sono contenuti 50 capitoli,<br />
tra cui di interesse gnomonico troviamo:<br />
· Determinare l'altezza dell'Ashr in un giorno<br />
qualunque;<br />
· determinare approssimativamente l'ora temporaria<br />
relativa alla parte del giorno già trascorsa;<br />
· Conoscendo l'ombra meridiana e la sua ora temporaria,<br />
determinare l'altezza del sole corrispondente<br />
a questa ora temporaria;<br />
· Conoscendo il numero delle ore temporarie<br />
trascorse del giorno e l'altezza attuale del sole,<br />
determinare l'ombra meridiana;<br />
· Conoscendo le ore temporarie già trascorse del<br />
giorno, il luogo del sole e la sua altezza, determinare<br />
la latitudine del luogo;<br />
· Conoscendo la latitudine del luogo, l'altezza del<br />
sole a una data ora temporaria in un giorno qualsiasi,<br />
nello stesso luogo, determinare il grado del<br />
sole e la sua declinazione per lo stesso giorno;<br />
· Determinare la "fadhlah" di una linea d'ombra;<br />
· Trovare l'arco semidiurno per mezzo della tavola<br />
di proporzione sulla "bilancia oraria";<br />
· Determinare il tempo trascorso del giorno in ore<br />
eguali o temporarie, secondo l'arco di rivoluzione;<br />
· Tracciare la linea meridiana con la "bilancia<br />
oraria" come con il "cerchio indiano" 185 .<br />
Nel manoscritto si trova spesso la dicitura "hisab'<br />
al-djoumali", al posto di "hisab' al-hindi". Questa<br />
espressione tecnica serve ad indicare la sostituzione<br />
delle lettere dell'alfabeto con le cifre indiane,<br />
come abbiamo detto prima. Il manoscritto<br />
1148 contiene, oltre alla descrizione di numerosi<br />
strumenti puramente astronomici, una spiegazione<br />
dettagliata dell'uso degli orologi solari<br />
descritti nel n. 1147.<br />
La bilancia oraria, doveva essere uno strumento<br />
usato oltre che come orologio, anche per operazioni<br />
di rilievi topografici, come la determinazione<br />
dell'altezza di un muro, di un obelisco o<br />
colonna e di tutti gli oggetti verticali. Era quindi<br />
anche uno strumento portatile. Per riconoscere<br />
facilmente il tempo dell'Ashr e quello in cui il Sole<br />
ha l'Azimut della Kiblah, essi usavano principalmente:<br />
1) L'orologio orizzontale (di cui ne parla Albategno<br />
nel capitolo LVI della sua opera - dice il manoscritto).<br />
2) L'orologio orientale e occidentale sul piano del<br />
184 Manoscritto arabo 1103, fol. 186<br />
185 Evidentemente il "cerchio indiano" dev'essere il noto metodo delle altezze corrispondenti del sole sopra l'orizzonte, chiamato<br />
anche "dei giardinieri".<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
124
meridiano;<br />
3) Gli orologi sul piano del primo verticale, quindi<br />
gli orologi verticali orientati a sud e a nord.<br />
4) Gli orologi verticali declinanti;<br />
5) Gli orologi su piani inclinati rispetto all'orizzonte;<br />
6) Gli orologi in cui il gnomone invece di essere<br />
perpendicolare al piano, è parallelo all'orizzonte;<br />
7) Gli orologi paralleli a degli orizzonti qualunque;<br />
8) Gli orologi orizzontali per le ore eguali senza<br />
l'impiego di azimut e senza altri paralleli, oltre a<br />
quello dell'ariete (linea equinoziale);<br />
9) Gli orologi cilindrici perpendicolari all'orizzonte;<br />
10) Orologi cilindrici perpendicolari a un piano<br />
verticale;<br />
11) Gli orologi in un emisfero incavato, di tipo orizzontale<br />
o verticale;<br />
12) Gli orologi su delle lastre di paravento (?) come<br />
quelle che Lord Elgin ha riportato da Atene.<br />
Questi sono gli orologi solari più importanti<br />
descritti nel manoscritto 1147.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
125
51<br />
ERMANNO CONTRATTO:<br />
LE ORIGINI <strong>DELLA</strong><br />
“MERIDIANA DEL PASTORE”<br />
Intanto le grandi opere degli scienziati arabi del IX<br />
e X secolo vengono trasmesse all'Occidente, come<br />
abbiamo detto, tradotte da uomini come Adelardo<br />
di Bath, Gerardo da Cremona, Ermanno Contratto,<br />
ed altri. Si è visto che negli orologi citati nel manoscritto<br />
1147 c'è anche quello cilindrico, cioè il<br />
famoso orologio detto "del pastore". Questo fatto<br />
ha tratto in inganno gli autori moderni i quali<br />
hanno pensato che fu Aboul Hasan a dare i canoni<br />
per la costruzione degli orologi cilindrici e quindi<br />
della meridiana del pastore 186 . In realtà questo<br />
orologio affonda le sue radici almeno all'inizio del<br />
XI secolo, quando cioè Ermanno Contratto ne dà<br />
una completa descrizione e spiegazione nella sua<br />
opera "De mensura astrolabii liber". Dobbiamo<br />
tener presente, però, che egli traduceva i manoscritti<br />
arabi del suo tempo e che non è improbabile<br />
un'ipotesi secondo cui l'orologio poteva essere<br />
descritto in un'opera di qualche autore sconosciuto<br />
e trasmessa al mondo occidentale con questa<br />
sua traduzione che, tra l'altro, è specifica sugli<br />
astrolabi arabi ed è impregnata di quei termini<br />
arabi che verranno adottati, in seguito, in tutto il<br />
mondo cristiano. A dire il vero, mi sembra anche<br />
piuttosto strano che questa descrizione dell'orologio<br />
del pastore, anche se rudimentale essendo di<br />
sicuro una delle prime, possa essere sfuggita agli<br />
studiosi di Gnomonica.<br />
Ritengo, quindi, molto importante riportare il<br />
passo originale dall'opera del monaco Ermanno.<br />
Il "De mensura astrolabii liber", fu scritto nei primi<br />
decenni del secolo XI, e l'opera originale è attualmente<br />
conservata nella Biblioteca del Monastero di<br />
S. Pietro a Salisburgo. Nel primo libro l'autore<br />
descrive la teoria e la pratica degli astrolabi arabi,<br />
conservando tutta la terminologia originale, trattando<br />
dello strumento inventato da Tolomeo e<br />
184 Lo stesso viene riportato nell'Enciclopedia Italiana "Treccani", alla voce "meridiana".<br />
chiamato "Walzachora", cioè "una sfera piana,<br />
chiamata astrolabium, con i principali circoli<br />
celesti". Il libro II si articola nei seguenti capitoli:<br />
I. De utilitate astrolabii.<br />
II. Descriptio ejus perigraphiarum.<br />
III. De colligendo signo et gradu Solis.<br />
IV. De inveniendo Nadair Solis.<br />
V. De concipienda Solis altitudine et certis horis<br />
diei.<br />
VI. De altitudine stellarum et horis nocturnis.<br />
VII. De distinctione horarum per quatuor plagas.<br />
VIII. De horis aequinoctialibus et inaequalibus.<br />
IX. De partibus inaequalium horarum diei.<br />
X. De partibus inaequalium horarum noctis.<br />
XI. De indaganda quantitate Orbis diei.<br />
XII. De quantitate orbis nocturni.<br />
XIII. Quot sint horae aequinoctialis diei et noctis;<br />
XIV. De percipienda vicinitate Aurorae.<br />
XV. De percipiendo quolibet tempore cujusque<br />
signi ortum et occasum.<br />
XVI. In quo signo sint stellae.<br />
XVII. De vocabulis stellarum Arabicis et Latinis.<br />
XVIII. De discretione climatum et eorum invenienda<br />
latitudine.<br />
XIX. De divisione orbis per VII. climata et initiis et<br />
terminis eorum.<br />
XX. Ut scias, si restat vel praeterit Meridies.<br />
XXI. De inveniendis in dorso Astrolabii horis.<br />
Un ulteriore "Liber Secundus", suddivisione<br />
esistente nel manoscritto originale, costituisce la<br />
parte finale dell'opera che contiene la descrizione<br />
dell'orologio del pastore:<br />
CAPUT I<br />
Demonstratio componendi cum convertibili<br />
Sciothero horologici viatorum instrumenti.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
126
Componitur quoddam simplex et parvulum viatoribus<br />
horologicum instrumentum, quod in<br />
modum teretis et aequalis grossitudinis pali seu<br />
cylindri formatum atque suspesum in summitate<br />
transversim orthogonaliter affixum, et circumvertibilem<br />
habet sciotherum. Quo per gyrum in latere<br />
lineatas per singula 12. signa vel menses umbra<br />
sua certas attingat et determinet horas. Cujus mensuram,<br />
prout Astrolabii ratione potui invenire,<br />
sicut jussisti charissime frater Werinheri, dilucidè,<br />
ut possum tentabo describere 187 .<br />
Il dotto monaco ci lascia anche due parole sull'uso<br />
dell'orologio:<br />
"Hoc modo mensuratum horologii hujus instrumentum<br />
verso ad instantis mensis et signi lineam<br />
sciothero ad Solis radium suspende, et quamcunque<br />
horam summitas gnomonicae tetigerit<br />
umbrae, ipsam non dubites adesse".<br />
In una delle note che accompagnano il testo, si fa<br />
riferimento alla "Geometria" di Gerberto<br />
d'Aurillac. Evidentemente Ermanno scriveva<br />
qualche anno dopo l'uscita del libro di Gerberto, in<br />
cui non si fa alcuna menzione della meridiana "del<br />
pastore". Possiamo concludere, quindi, che quella<br />
di Ermanno Contratto è forse la prima descrizione<br />
di questo orologio, almeno in lingua latina,<br />
trasmessa all'Occidente Cristiano.<br />
187 La fonte riportata è tratta dall'Ed. R.P. Pezii Thesauri. Anecdot. Noviss. Tom. III. Pars II, pag. 131. Ecco una possibile traduzione<br />
di questo passo: "Viene costruito un semplice e piccolo strumento orologico per i viandanti, il quale è formato a modo di un palo<br />
di eguale diametro, rotondo e liscio, cioè come un cilindro, ha lo 'sciotero' (gnomone) 'circumvertibile', cioè girevole intorno al<br />
cilindro impiantato in posizione trasversale e ortogonale per cui vengono determinate le ore tramite l'ombra che gira lungo le<br />
linee orarie situate lateralmente che girano intorno al cilindro, con dodici segni che rappresentano i mesi...Così, come posso,<br />
carissino fratello Werinheri, tenterò di descriverti la teoria di questo strumento con l'aiuto dell'astrolabio...".<br />
La descrizione continua, e comprende una tavola con la corrispondenza delle ore del giorno in relazione ai segni dello zodiaco:<br />
"Inprimis itaque circuitum ejus in sena intervalla ductis à summo deorsum lineis divido, et his senis signis, in quibus dies crescunt,<br />
id est: Capricorno, Aquario, Piscibus, Ariete, Tauro et Geminis inscribo, et inde revertens reliqua decrescentium itidem<br />
signa sibi in quantitate diebus comparibus compleo, Cancrum videlicet Geminis, Tauro Leonem, Virginem Arieti, Piscibus<br />
Libram, Aquario Scorpium, Sagittario Capricornum. Deinde quia in medio singulorum menses ordiuntur, praefata signorum sex<br />
intervalla in duo itidem ductis, ùt priùs, lineis singula divido, et ita 12. in toto circuitu intervallis eflectis primum horum, quod<br />
videlicet Sagittarii postrema et Capricorni principia continet, decimo mensi, in cujus medio Solstitium hyemale contingit,<br />
deputo. Sequenti bina intervalla Januario, ejusque compari Novembri tribuo. Quartum cum quinto Februario et Octobri: sextum<br />
et septium Martio et Septembri; in quorum medietatibus bina aequinoctia veniunt, Arisque et Libra initium sumunt. Dehinc<br />
octavum cum nono Aprili et Augusto: cum decimo undecimum, quod restat, quod videlicet et Geminorum extrema et Cancri<br />
prima gestat, Junium cum aestivo in medio sui Solstitio accipiat.<br />
His duodecim intervallis hoc modo per signa et menses distributis finales singularum diei horarum lineas juxta ascensum vel<br />
discensum Solis diurnum seu menstruum debes invenire. Sed ut laborem tibi hic scrupolosè quaeritanti adicam, quot gradus in<br />
fine cujuslibet horae in climate nostro Sol in uniuscujusque signi vel mensis initio ascendat, breviter, sicut per astrolabii experientiam<br />
comprehendere poteram, in formula subjecta describam.<br />
La descrizione è troppo lunga per essere riportata integralmente, per cui rimando il lettore all'edizione Petz, consultabile nelle<br />
grandi Biblioteche.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
127
52<br />
GERBERTO D’AURILLAC:<br />
UN GENIO DELL’ANNO MILLE<br />
Citando il dotto monaco Gerberto d'Aurillac, mi è<br />
venuto in mente che anche lui si occupò di<br />
Gnomonica durante i suoi approfonditissimi studi<br />
interdisciplinari. Infatti, alcuni autorevoli autori<br />
del passato, lo ricordano per aver inventato gli<br />
orologi a ruote, come Agostino Calmet 188 :<br />
"L'invenzione poi degli orologi a ruote si<br />
attribuisce comunemente al celebre Gerberto<br />
Arcivescovo di Rheims, poi Arcivescovo di<br />
Ravenno, e finalmente Papa sotto il nome di<br />
Silvestro II, morto nel 1003. Quant'unque non vi<br />
sia veruna prova sicura di questo fatto, è però<br />
certo, che d'allora in avanti si cominciò a vederne<br />
de' fatti a questa foggia" 189 .<br />
Altre notizie interessanti sono fornite da Ditmaro<br />
di Merseburgo, cronista dell'XI secolo, il quale<br />
narra che "Gerberto fu sin da fanciullo ammaestrato<br />
nelle arti liberali; che superò in dottrina tutti gli<br />
uomini del suo tempo; che nella città di<br />
Magdeburgo costruì un orologio solare, spiando a<br />
traverso a una canna, la stella 'che guida i marinai'",<br />
cioè la stella polare.<br />
Mentre lo storico inglese Guglielmo di<br />
Malmesbury, accingendosi nella prima metà del<br />
secolo XII, a narrare la storia di Gerberto, ci ricorda<br />
che l'orologio solare che il pontefice costruì a<br />
Magdeburgo, fu da questi trasformato in orologio<br />
meccanico per la cattedrale di Reims.<br />
Infine, Ditmaro parla ancora di un orologio solare.<br />
L'anonimo autore di certi "Gesta episcoporum<br />
Halberstadensium, il quale scriveva nei primi anni<br />
del secolo XIII, si contenta di dire che Gerberto<br />
costruì in Magdeburgo un orologio abbastanza<br />
ammodo (horologium quoddam honestum satis);<br />
ma Guglielmo di Malmesbury vuole fosse un<br />
orologio meccanico, e Sant'Antonino dice molto<br />
più tardi, nelle sue Historie, che Gerberto fece un<br />
orologio meccanico mirabile 190 .<br />
Ad ogni modo, di Gerberto non ci sono pervenute<br />
opere specifiche di Gnomonica. Egli scrisse una<br />
"Geometria", in cui accenna ad alcuni metodi per<br />
trovare la linea meridiana, e tratta dei quadranti; e<br />
ancora, un libro sull'astrolabio, redatto sempre<br />
sulla base delle dottrine degli arabi di quel tempo.<br />
Dopo l'avvento delle Crociate, comincia a comparire<br />
un pò ovunque, in Europa, la meridiana con lo<br />
stilo polare, cioè parallelo all'asse terrestre, oggi<br />
chiamato "assostilo", dal francese "style-axe".<br />
Naturalmente, anche questa innovazione, come<br />
tutta la gnomonica di quell'epoca, era stata "importata"<br />
in Europa dai paesi arabi, appunto dai popoli<br />
che parteciparono alle Crociate. Adottato definitivamente<br />
lo stilo polare, gli orologi solari murali<br />
cominciarono a diffondersi rapidamente in tutte le<br />
città, e con essi il nuovo sistema di computo del<br />
tempo: le ore "eguali", chiamate ore "equinoziali"<br />
in quanto la suddivisione del giorno e della notte<br />
viene fatta sul circolo equinoziale, e nel periodo<br />
degli equinozi la durata del giorno è uguale a quella<br />
della notte e pareggiano anche la durata delle<br />
ore temporarie; furono dette ore "civili" perchè<br />
vennero adottate negli usi civili di ogni nazione,<br />
da cui deriva anche il nome di ore "europee", e in<br />
particolare "tedesche", o "oltramontane".<br />
In seguito all'espandersi dell'egemonia francese,<br />
esse furono chiamate pure "ore francesi" e gli<br />
orologi si diceva che erano regolati "alla francese"<br />
e vennero chiamati orologi "oltramontani", o<br />
"francesi". Infine, vengono dette "astronomiche".<br />
Ma le nazioni che adottarono questo sistema non<br />
tutte si trovarono sulla scelta del momento della<br />
giornata dal quale cominciare a computare le ore.<br />
Così, gli Umbri, computavano il tempo a comin-<br />
188 Commentario Letterale, sulla Regola Benedettina, pag. 126<br />
189 La fonte che cita Calmet, dalla quale ha tratto la notizia, è la seguente: "Vincent. Belluac. Specul. Histor. l. 24. c. 98. Arnold.<br />
Uvion Ligni vitae l. 5: c. 72.<br />
190 Arturo Graf, Miti, leggende e superstizioni del Medio Evo, Oscar Mondadori, 1990, pag. 198, 202, 203, 207.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
128
ciare dal mezzogiorno, mentre i Babilonesi facevano<br />
iniziare il nuovo giorno dal sorgere del sole;<br />
per gli Italici, invece, e i "boemi", il nuovo giorno<br />
cominciava al tramonto del sole, e durava fino al<br />
tramonto successivo. Il monaco G. B. Vimercato,<br />
scrive: "Sogliono molti in Italia cavar non poca<br />
dilettazione dall'orologio solare Boemico, che<br />
s'usava anticamente presso i Babiloni, e al presente<br />
in Norimbergo: e appresso li Balleari, come<br />
Federico Commandino sopra l'analemma di<br />
Tolomeo scrivendo testifica, qual addimandano<br />
"ab ortu solis", perchè con l'uso d'esso si conoscono<br />
quant'hore sieno che'l Sole è fuori dell'horizonte, le<br />
quali congiunte con il restante di 24 che l'horologio<br />
nostro Italiano dimostrerà mancarli à finire,<br />
continuamente costituisce la quantità del giorno<br />
artificiale. Perchè si come à noi da un tramontar<br />
del Sole all'altro gli horologi nostri finiscono le<br />
ventiquattro hore, in modo che la mattina si<br />
conosce la quantità del giorno".<br />
Così, dal 1600 in poi diventano sempre più popolari<br />
quei grandi orologi murali, verticali, sui quali<br />
si vedono i due tracciati orari intrecciarsi fino a formare<br />
una specie di abaco a prima vista incomprensibile.<br />
Ma le ore italiche, dette anche ore "peregrine"<br />
da Giovanni Galluccio e dal Vimercato nel<br />
1500, furono già usate dagli arabi, come abbiamo<br />
già detto, attorno al XIII secolo, per i loro uffici religiosi.<br />
Ma anche in Europa gli orologi meccanici da<br />
torre, che in quel secolo comparivano sulle torri<br />
civiche e sulle cattedrali di tutte le più grandi città,<br />
cominciarono a "suonare" le ore italiche soprattutto<br />
per l'uso della chiesa, insieme a quelle "oltramontane",<br />
ad uso civile.<br />
Infatti, Galvano della Fiamma, ci descrive un<br />
orologio nuovo che entrò in funzione nel 1335,<br />
nella Chiesa della Beata Vergine a Milano, che fu<br />
poi chiamata di S. Gottardo a Palazzo. Quel nuovo<br />
orologio suonava da uno a ventiquattro: "...est ibi<br />
Horilogium admirabile...quod percuit unam campanam<br />
XXIII vicibus secundum numerum XXIII<br />
horarum diei, et noctis, ita quod in prima hora noctis<br />
dat unum, in secunda duos ictos, in tertia tres,<br />
et in quarta quatuor, et sic distinguit horas ab<br />
horis..." 191 .<br />
Ricordo, infine che, a cominciare dalla metà del<br />
'600, l'ora italica 24 non coincise più con il tramonto<br />
del sole, ma per una nuova ufficiatura della<br />
Chiesa, la preghiera dell'Ave Maria alla sera,<br />
venne spostata a mezz'ora dopo il tramonto, da cui<br />
si cominciava a contare il nuovo giorno. Da quel<br />
momento si costruirono orologi solari murali con<br />
questa innovazione, e con le ore italiche tutte<br />
spostate in avanti di mezz'ora, così che la diciottesima<br />
ora italica, che prima incontrava la linea<br />
meridiana sulla linea equinoziale, in seguito si<br />
trovava spostata di mezz'ora in avanti.<br />
191 Antonio Simoni, Orologi italiani dal '500 all''800, ed. Vallardi, 1965. Notizia segnalatami gentilmente da Giovanni Batistini di<br />
Volterra.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
129
53<br />
IL PIÙ GENIALE DEGLI STRUMENTI:<br />
L’ASTROLABIO<br />
Fra tutti gli strumenti astronomici, matematici, e<br />
quindi gnomonici, l'astrolabio merita senza dubbio<br />
un posto di primissimo rilievo, sia per le sua<br />
versatilità di impiego, sia per la genialità con la<br />
quale fu concepito dagli antichi astronomi e i successivi<br />
miglioramenti effettuati dalle fulgide menti<br />
degli scienziati arabi. Ma una trattazione completa<br />
dell'astrolabio richiederebbe un volume a parte.<br />
Ho scelto, quindi, un brano particolarmente interessante<br />
della letteratura scientifica del secolo scorso,<br />
che sintetizza in poche pagine la storia dello<br />
strumento nell'antichità. La lettura è tratta dall'articolo<br />
del matematico canonico Giuseppe Settele,<br />
"Illustrazione di un antico Astrolabio", che l'autore<br />
presentò all'Accademia Romana di Archeologia<br />
nell'adunanza del 22 maggio del 1817.<br />
"...Tolomeo nel Lib. 5. dell'Almagesto al Capitolo I.<br />
ci descrive una macchina da lui costruita per<br />
trovare la posizione del Sole, della Luna, e degli<br />
altri astri, e per seguire il modo degli stessi: era<br />
questa una specie di sfera armillare, perchè composta<br />
di più circoli 192 , aveva i suoi traguardi, che<br />
allora facevan le veci di telescopio, e si chiamava<br />
Astrolabio, parola che deriva da astrum, e consequor.<br />
Nell'Enciclopedia metodica, all'articolo<br />
"Astrolabe", nel tomo I, pag. 567 della "Storia<br />
dell'Astronomia" di Bailly, e nella "Storia della<br />
matematica" di Montucla, tomo I, pag. 306, si<br />
riporta che la macchina, in seguito chiamata<br />
Astrolabio, è quella descritta da Tolomeo nel Lib. I,<br />
cap. II dell'Almagesto. Ma quella non era che un<br />
circolo di metallo diviso in 360 gradi, con un'altro<br />
circolo concentrico mobile con due pinnule, che<br />
collocata verticalmente nel piano del meridiano,<br />
serviva per determinare l'obliquità dell'ecclittica e,<br />
in genere, per misurare le altezze degli astri.<br />
Questa macchina non credo che potesse dare origine<br />
a quella che poi, per antonomasia, fu chiamata<br />
Astrolabio, perchè l'Astrolabio, nei tempi posteriori,<br />
era propriamente la proiezione della sfera sul<br />
192 Cfr. quanto si è detto a proposito delle opere del Prof. Impseri sul Meteoroscopo di Tolomeo.<br />
piano, come può rilevarsi da diversi passi della lettera<br />
di Sinesio del Dono Astrolabii ad Paeonium.<br />
Perciò, credo che piuttosto la macchina descritta<br />
da Tolomeo nel lib. 5, cap. I, e che era una specie<br />
delle nostre macchine equatoriali, e non quella di<br />
cui parla nel Lib. I al Cap. II, e che ha quella<br />
somiglianza con i Circoli moltiplicatori, sia quella<br />
da cui han preso l'idea i costruttori degli Astrolabj.<br />
Diversi autori sostengono che Vitruvio nomini<br />
pure l'Astrolabio, come era quello di Tolomeo (Lib.<br />
5 Cap. i), mentre altri lo negano. - Nel passo di<br />
Vitruvio, al cap. 7, del Lib. 9 - si legge "Quorum<br />
inventa secuti, syderum et occasus, et ortus, tempestatumque<br />
significatus, Eudoxus, Eudemon,<br />
Callixtus, Melo, Philippus, Hipparchus, Aratus,<br />
caeterique ex Astrologià, parapegmatum disciplinis<br />
invenerunt, et eas posterius explicatas reliquerunt".<br />
In cui la parola "parapegmatum" ha dato<br />
filo da torcere agli interpreti di molte epoche, ed<br />
ecco come il Settele espone la disputa -:<br />
...Il Baldi appresso il Filandro, ed il Barbaro dice:<br />
certè de astrolabiis, dioptris, armillis, radiis, et<br />
coeteris ejuscemodi intelligi debere (Parapegma,<br />
nulli est dubitandum. Tradit Laertius Lib. 8<br />
Democritum scripsisse astronomia (parapegmata...),<br />
Suidas verò: (parapegma....).<br />
Il Perrault nella nota al detto passo di Vitruvio<br />
vuole che la frase "parapegmatum disciplinis"<br />
debba intendersi per l"l'uso degli strumenti che<br />
servono nelle osservazioni astronomiche", secondo<br />
l'opinioni comuni, benchè il Salmasio creda che<br />
"parapegma" significhi una lastra di rame sulla<br />
quale fosse inciso il nascere, ed il tramontare delle<br />
stelle, e le stagioni dell'anno: perchè altrimenti il<br />
Parapegma sarebbe l'effetto, e la produzione della<br />
scienza, che è stata trovata con i "mezzi" cge sono i<br />
"parapegmi: che l'opinione comune è più conforme<br />
al testo, al quale si rileva, che gli astronomi<br />
hanno trovato la scienza degli astri con i<br />
Parapegmi: che sebbene Parapegma sia una voce<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
130
greca, la quale significa una cosa inchiodata, e fermata,<br />
come sono le lastre di rame, sulle quali sono<br />
grafite le leggi, significa anche l'unione di più<br />
pezzi, il che conviene bene agli strumenti astronomici.<br />
Il Galiani finalmente traduce: "colla scienza degli<br />
Astrolabii", le parole "Parapegmatum disciplinis".<br />
Gli autori fin qui riportati, sono quelli che identificano<br />
l'Astrolabio nella parola "Parapegma"; sentiamo<br />
ora quelli che sono di parere contrario.<br />
Il Vossio, nell'Etimologico latino, scrive:<br />
"Parapegma propriè erat tabula aenea quae columnae<br />
adfigitur, cujusmodi tabulis leges inscribebantur<br />
(....) Astrologi etiam sic dixere tabulas, quibus<br />
inscriberent canonem astronomicum, sive predictiones<br />
siderum, eclipsium, aliarumque rerum<br />
coelestium. Meminit et parapegmatum ejusmodi<br />
Vitruvius Lib. 9 Cap. 7. At errant, qui eà voce<br />
Astrolabium, simileve instrumentum astronomicum<br />
intelligunt".<br />
Il Salmasio, nel Tom. I, pag. 740, delle Esercitazioni<br />
Pliniane, dice: "Parapegma (Vitruvius) dixit pro<br />
canone ortus et occasus siderum, cum tabula, in<br />
qua descriptus esset ille canon, ita propriè diceretur.<br />
Riporta il testo di Teone (Petav. Auctar. p. 98),<br />
o chiunque sia l'autore degli Scoli ad Arato<br />
(Fabricii Bibl. Graec. Lib. 3, Cap. 18, par. 4, e Lib. 5,<br />
Cap. 22, par. 3) il quale racconta che gli astronomi<br />
in queste tavole segnavano il cielo decennovale,<br />
indicando per ciascun anno quali sarebbero stati<br />
l'inverno, la primavera, l'estate e l'autunno, quali<br />
venti avrebbero dominato, e molte altre cose necessarie<br />
a sapersi per gli usi della vita: e conchiude<br />
che a torto il "Parapegma" s'interpreta "instrumentum,<br />
ut est astrolabium, quo coeli ratio, curcus<br />
siderum, sedes, et intervalla cognoscentur; ma che<br />
era soltanto una lamina su cui erano grafite queste<br />
cose; alterna poi la definizione del "Parapegma"<br />
data da Suida, e altera anche il testo di Vitruvio<br />
scrivendo "parapegmatum disciplinis infixerunt",<br />
invece di "invenerunt", come leggono tutti, e come<br />
richiede il senso delle parole di Vitruvio.<br />
Altri autori ancora, sebbene non del tutto apertamente,<br />
ma tacitamente, evitano di identificare il<br />
Parapegma con l'Astrolabio: così il Petavio<br />
(Auctar. Lib. 2, Cap. 8) chiama "parapegmata"<br />
quelle tabelle sulle quali erano registrate le osservazioni<br />
celesti e meteorologiche. Il Bianchini (de<br />
Kalend. et cyclo Caesaris, Cap. 3 etc.) dà pure il<br />
nome di Parapegma al Calendario cesariano che<br />
illustra. Il Montucla (to. i, pag. 149) rammentando<br />
Democrito, dice che pubblicò uno, o più effemeridi,<br />
o "parapegmi", come fecero in appresso<br />
Eudosso, Ipparco e Tolomeo.<br />
Premesse le diverse opinioni, esaminiamo adesso<br />
che cosa fosse il "Parapegma", e se nel senso di<br />
Vitruvio possa dirsi Astrolabio. Il Filandro e il<br />
Vossio ne derivano l'etimologia dal verbo greco<br />
paraphguiw "idest adpingo, sive affigo": era<br />
dunque il Parapegma una macchina risultante da<br />
più pezzi riuniti, e sovrapposti l'uno all'altro: perciò<br />
"Pegmata" furono chiamate anche le scene, ed<br />
altre macchine teatrali: "et crescunt media "pegmata"<br />
celsa vià (Mart. Epig. 2 de Spect.), etc. Gli<br />
antichi, dunque, chiamavano col nome di<br />
"Parapegma", o semplicemente "Pegma", le macchine<br />
propriamente dette, e non le semplici<br />
lamine, su cui erano incise le osservazioni, o i<br />
decreti; e difatti, Teone nomina piuamax queste<br />
lastre, e non "Parapegmata", eppure Teone è l'autore<br />
che adducono in loro favore quegli scrittori i<br />
quali escludono l'Astrolabio dai Parapegma. E poi<br />
la stessa frase "parapegmatum disciplinis" indica il<br />
maneggio dei Parapegmi secondo i precetti<br />
del'arte. (....). Il "Siderum et occasus et ortus", che<br />
gli astronomi trovarono secondo Vitruvio, poteva<br />
ottenersi appunto con delle macchine che facilitassero<br />
l'osservazione, la quale doveva farsi prima<br />
che si registrasse sulle tabelle. Da tutto ciò, pare<br />
che si deduca che il Parapegma di Vitruvio fosse<br />
uno strumento astronomico. Che fosse però proprio<br />
l'Astrolabio Tolemaico, ne ho qualche dubbio:<br />
perchè, sebbene le armille, di cui era composto,<br />
vantino una certa antichità, attribuendone già l'uso<br />
ad Aristillo (Bailly, Astr. med. To. I, pag. 58), e ad<br />
Eratostene (Montucla, tom. I, pag. 355, ed<br />
Heilbronner, pag. 255), sappiamo che Tolomeo ne<br />
parla come di una macchina da lui fatta costruire;<br />
onde se non è stato il primo che ne abbia avuto<br />
l'idea, l'hà di molto ampliata e perfezionata (...) Il<br />
mio sentimento è che sotto il nome di "Parapegma"<br />
debba assolutamente intendersi uno strumento<br />
qualunque col quale potesse seguirsi il moto degli<br />
astri, e mai le tabelle, sulle quali le osservazioni si<br />
registravano 193 .<br />
Ma questa semplice e ben ragionata macchina -<br />
continua il Settele riferendosi ora all'astrolabio -<br />
divenne col decadere dell'Astronomia uno strumento<br />
il più complicato e la sua costruzione formò<br />
una delle principali occupazioni dei geometri fino<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
131
al secolo XVI. Per renderla più comoda, volle<br />
farsene la proiezione du si un piano, e se ne moltiplicarono<br />
gli usi; doveva questa indicare non la<br />
sola posizione degli astri, ma anche doveva servire<br />
di orologio, doveva dare le ore eguali, ed ineguali,<br />
la larghezza dei giorni, e delle notti, le declinazioni,<br />
le altezze, il levare ed il tramontare delle<br />
stelle, e tante altre cose; aggiungerò soltanto per<br />
far conoscere quanto fosse degenerata<br />
l'Astronomia in certi tempi, che doveva dare anche<br />
le "magioni" celesti per uso dell'Astrologia giudiciaria.<br />
Da ciò ben si vede quanto doveva riuscire<br />
imbarazzata, e quindi inesatta una tal macchina;<br />
eppure giunse a tal segno la presunzione dei suoi<br />
ammiratori, che Sinesio non ebbe difficoltà di dire<br />
che debba condonarsi qualche cosa ad Ipparco, ed<br />
a Tolomeo, se avevano lasciata imperfetta questa<br />
macchina, perchè allora la Geometria era come una<br />
tenera bambina, che ancora poppava! 194 (....)<br />
Uno speciale tracciato orario, che consentiva di<br />
ottenere in ore equinoziali le ore civili, e le civili in<br />
equinoziali, del giorno e della notte, per i giorni di<br />
cui si sono tracciati i circoli, fu già descritto da<br />
Proclo Diacono, Astronomo nel V secolo, il quale<br />
ci ha lasciato un lungo, e ben intralciato, trattato<br />
sull'Asrolabio, con la presunzione anche di aver<br />
illustrato quello che su di ciò avevan scritto<br />
Ipparco e Tolomeo. Noi però non sappiamo qual<br />
fosse il trattato di Ipparco sull'astrolabio. Montucla<br />
(to. I, pag. 264), è d'opinione che egli immaginasse<br />
di proiettare sopra un piano la sfera, allorchè fece<br />
il catalogo delle stelle fisse; ma questi planisferi<br />
non avrebbero niente a che fare, allora, con gli<br />
astrolabi".<br />
Ma i veri innovatori della dottrina sull'astrolabio<br />
furono gli Arabi. Secondo Monsieur D'Herbelot<br />
(Bibliot. Orient., del 1776), il primo arabo a costruire<br />
professionalmente gli astrolabi, o come dice lui<br />
questi strumenti matematici, fu il Musulmano<br />
Ibrahim Ben Habib al-Ferari, il quale scrisse anche<br />
un trattato. Un suo coetaneo, costruttore di astrolabi<br />
e trattatista, fu Aboul Cassem Absa Ben<br />
Mohammed al-Garnathi, che significa originario<br />
della Villa de Granade in Spagna. Questi morì nell'anno<br />
dell'Egira 426 (A.D. 1034).<br />
Ma egli si sbagliava però, perchè trattati sull'astrolabio<br />
furono scritti ancor prima degli autori da lui<br />
citati. Eccone alcuni tra i più importanti, fino al<br />
secolo XV. Dell'antichità voglio ancora ricordare i<br />
grandi Giovanni Filopono che scrisse "De<br />
Astrolabio" e "De astrolabii usu", conservate nella<br />
Biblioteca Vaticana, e sempre del VI secolo (570<br />
circa), il trattato sull'astrolabio del filosofo<br />
Ammonio di Alessandria. Quindi, venne Beda, con<br />
"Libellus de Asrolabii" e il primo noto trattato di<br />
uno scienziato arabo: Messahala, che nell'anno 890<br />
circa scrisse "La composizione dell'astrolabio e sui<br />
quadranti antichi secondo Giovanni da<br />
Montepessone (o Montepessulano). Ancora un<br />
grande della scienza dell'astrolabio: Arzachel, che<br />
nel 1070 inventò l'astrolabio universale, divulgato<br />
dagli scrittori latini con il nome di "Saphea". Poi<br />
vengono Gerberto e Contratto, di si è già detto.<br />
Verso il 1200 Nasir Tusi ideò l'astrolabio lineare,<br />
simile ad un regolo calcolatore. Altri autori famosi<br />
che scrissero sull'astrolabio sono: Aben Efro,<br />
Adelardo di Bath, Roberto Grossatesta, <strong>Nicola</strong><br />
Sofiano, Giordano Nemorario, Pietro Aponense,<br />
Abilcacim da Macherit, Jean Fusoris, Mardochio,<br />
Abrahamo, Chaucer, Macelorama, Chozia Nazir,<br />
Gjiali, Alkabitium, Giovanni da Gmunden,<br />
Ratecumbo, Sabloneta, e tanti altri ancora che è<br />
impossibile riportare.<br />
193 Su di una nave greca, affondata circa 100 prima di Cristo presso l'Isola di Cerigotto (tra il Peloponneso e Creta), si rinvennero<br />
molte statue e oggetti d'uso quotidiano, tra cui alcuni frammenti di bronzo. Gli studi approfonditi di alcuni scienziati, tra cui<br />
Pericles Rediadis e il prof. Derek J. de Solla Price, si capì che lo strumento doveva servire per la navigazione, poichè definiva<br />
anche il sorgere e il tramontare di date stelle. L'oggetto era formato da una quindicina di lamine dentate come ruote con scale<br />
divise in gradi e quattro cerchi concentrici movibili separatamente. Tutto sommato, uno strumento simile potrebbe avere qualche<br />
similitudine con il nostro "Parapegma"<br />
194 Frase tratta dal Ser. de Dono Astrolabii ad Poeonium. Non era tanto bambina la Geometria in quei tempi, come crede il buon<br />
Sinesio.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
132
Nel XIII secolo sono noti, in Oriente:<br />
1) l'astrolabio settentrionale;<br />
2) l'astrolabio "Chamilah", composto da una semisfera<br />
cava; il centro della superficie convessa è lo<br />
stesso di quella concava, di cui la circonferenza<br />
esterna è un grande cerchio, il cerchio dell'orizzonte,<br />
da un anello a quattro facce che coincide con<br />
il cerchio dell'orizzonte, da un "shafiah" di rame, di<br />
forma rotonda e di una circonferenza uguale a<br />
quella del cerchio dell'orizzonte.<br />
3) l'astrolabio "Shafiah", o Saphea d'Arzachele;<br />
4) l'astrolabio lineare;<br />
5) l'astrolabio sferico: composto da due due "sfere<br />
inscritte" in modo che la superficie convessa dell'una<br />
tocchi la superficie convaca dell'altra. Sulla<br />
prina superficie, quella circonscritta, si trovano<br />
incise l'eclittica, l'equatore, le stelle fisse, le ore, gli<br />
almucantarat e gli azimut.<br />
6) l'astrolabio planisferico propriamente detto, che<br />
è una proiezione dei cerchi della sfera su un piano<br />
e che permette di trovare le ascensioni rette, le dec-<br />
54<br />
I VARI TIPI DI ASTROLABI<br />
linazioni, le amplitudini, le altezze, ecc.<br />
Inoltre, Aboul Hasan, nel manoscritto di cui abbiamo<br />
parlato prima, cita ancora:<br />
7) l'astrolabio meridionale;<br />
8) l'astrolabio nello stesso tempo settentrionale e<br />
meridionale che Aboul Hasan attribuisce al<br />
Albirouni;<br />
9) l'astrolabio "zaourakhi" (le Scaphée);<br />
10) l'astrolabio "al-kamil", o "il perfetto", che reca,<br />
inoltre il cerchio "dell'equazione del sole"<br />
11) l'astrolabio "chekasiah" e la saphea di<br />
Arzachele<br />
Vi sono inoltre gli "Astrolabium solipartium"<br />
dotati di 90 circoli di un grado ciascuno; gli "astrolabium<br />
bipartium" con 45 cerchi di due gradi ciascuno,<br />
e il "tripartium", con 30 cerchi, infine un<br />
"quinpartium" con 18 cerchi.<br />
Aboul Hasan , alla fine, fa qualche considerazione<br />
su:<br />
12) l'astrolabio cilindrico;<br />
13) l'astrolabio conico.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
133
fig. 44 Pietra con orologio solare trovato<br />
nella tomba del cimitero di Aubigny<br />
nell’Artois. (Biblioteca di Montecassino)<br />
fig. 43 Orologio solare verticale dellla<br />
Moschea Fatih (Istanbul), sulla<br />
base del minareto (sec. XV). Si può<br />
scorgere che a parte veniva realizzato<br />
un piccolo orologio solare appositamente<br />
per l’osservazione delle ore<br />
delle preghiere. (Biblioteca di<br />
Montecassino)<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
134
fig. 45 Orologio solare verticale<br />
della Moschea Suleymaniye<br />
(Istanbul) inciso nella pietra da<br />
Abdurrahman nel 1772. (Biblioteca<br />
di Montecassino).<br />
fig. 48 Un altro orologio solare sempre<br />
sulla moschea del Sultano Selim<br />
fig. 46 Orologio portatile doppio<br />
siriano, a cerciera, detto di<br />
“Aleppo”, sec. XIV. Era fornito di<br />
un sistema di mira per trovare la<br />
direzione della Mecca (Qibla).<br />
fig. 47 Orologio solare verticale della<br />
Moschea del Sultano Selim a<br />
Istanbul. (Biblioteca di Cassino)<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
135
fig. 49 Orologi solari portatili (da Storia della Tecnologia, Boringhieri)<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
136
fig. 51 a e b Tavole della lunghezza delle ombre<br />
del corpo umano misurate in unità dette “piedi”.<br />
Dall’opera “De temporum ratione” di Beda.<br />
fig. 50 Vas horoscopum descritto dal glossatore<br />
dell’opera “De Temporum Ratione” di<br />
Beda. Potrebbe essere simile all’antico<br />
“Polos”.<br />
fig. 51 a<br />
fig. 51 b<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
137
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
138
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
139
LA RINASCITA <strong>DELLA</strong> <strong>GNOMONICA</strong><br />
IN OCCIDENTE NEL SECOLO XVI<br />
55<br />
56<br />
57<br />
VI CAPITOLO<br />
Il Rinascimento<br />
Il XVI secolo<br />
La Gnomonica oggi<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
140
L'abbagliante splendore della scienza araba non si<br />
attenua col passare dei secoli. E in tutta l'Europa i<br />
titoli delle grandi opere degli arabi echeggiano tra<br />
le possenti mura della preservazione del sapere: le<br />
abbazie.<br />
I trattati sull'astronomia di Alfragano, Albategno,<br />
Albirouni, Armiuni, insieme alle traduzioni delle<br />
antiche pergamene greche, costituiscono il banco<br />
di lavoro delle più fungide menti del medioevo.<br />
Giovanni Anglico, Roberto Grosthead, Bacone,<br />
Giovanni di Sacro Bosco ( o Busto), tanto per<br />
citarne qualcuno, ripubblicano libri sull'astrolabio<br />
che gli arabi scrissero molto prima, facendoli<br />
conoscere all'intera comunità scientifica<br />
dell'Occidente.<br />
Bisogna attendere il XV secolo per sentire l'alito<br />
fresco di una nuova corrente di scienziati che portano<br />
un importante contributo alla Gnomonica,<br />
con innovazioni che, finalmente, non<br />
appartenevano già alle acquisizioni arabe.<br />
Dalla metà del XV secolo, in tutta Europa, ma particolarmente<br />
a Norimberga e a Basilea, si diffuse<br />
l'uso degli orologi solari portatili, quali strumenti<br />
principali della misurazione del tempo.<br />
L'inventiva, la grazia e la precisione con la quale<br />
questi oggetti furono costruiti, è facilmente osservabile<br />
ancora nei numerosi modelli pervenutici e<br />
conservati attualmente in alcuni musei.<br />
Tra i costruttori più famosi si potrebbe ricordare<br />
Riccardo di Wallingford (sec XIII), Jean de Linièrs<br />
(secolo XIV), poi Lovaio, Walter Arsenio, Gemma<br />
Frisius, Mercatore, e soprattutto il Bavarese<br />
<strong>Nicola</strong>s Kratzer, i cui strumenti furono immortalati<br />
nel celebre ritratto di Holbein, gli "Ambasciatori" e<br />
in un altro dipinto dello stesso autore. Altri artigiani<br />
fioriti nel XVI secolo furono John Dee,<br />
Leonard Digges, Thomas Gemini, Humfray Cole,<br />
ed altri.<br />
Come abbiamo visto, gli orologi solari portatili<br />
non sono una novità del XVI secolo. La loro storia<br />
affonda le radici nell'antichità, a cominciare<br />
almeno dal II secolo a.C. Citati da Vitruvio come<br />
"pensili da viaggio", hanno subito, nel corso di<br />
1500 anni, una evoluzione tutt'oggi in massima<br />
55<br />
IL RINASCIMENTO<br />
parte sconosciuta. Stando alle poche fonti storiche<br />
e ai ritrovamenti archeologici, possiamo ipotizzare<br />
che essi erano ancora largamente usati all'epoca<br />
dell'imperatore Commodo, per sparire completamente<br />
poi fino all'epoca della rinascita araba.<br />
Tuttavia, una scoperta avvenuta nel 1939, evidenzia<br />
le nostre scarse conoscenze in materia, perchè<br />
in quell'anno fu trovato nella cattedrale di<br />
Canterbury un orologio solare portatile d'"altezza",<br />
un modello assolutamente unico, di squisita<br />
fattura sassone, risalente al IX o al X secolo. Molto<br />
probabilmente questo orologio era destinato ad<br />
indicare le ore del computo anglosassone, praticamente<br />
le principali ore canoniche, del giorno<br />
chiaro, facilmente leggibili su uno strumento, cioè<br />
la terza, la sesta e la nona. Si tratta, quindi, dell'unico<br />
esemplare di orologio solare portatile a ore<br />
"canoniche" che si conosca.<br />
Nell'XI secolo troviamo l'orologio "del pastore" in<br />
una descrizione di Ermanno Contratto, e in alcuni<br />
codici arabi del XIII secolo, in cui compare un altro<br />
orologio solare, o strumento astronomico con funzioni<br />
di orologio solare, a noi sconosciuto: la bilancia<br />
oraria. Nel mondo islamico era diffuso, già dal<br />
XII secolo, l'uso di orologi solari portatili d'altezza.<br />
Nella fig. 65 (C) si può vedere un esemplare di<br />
quadrante portatile islamico, simile all'orologio<br />
sassone, con la stessa caratteristica dello gnomone<br />
estraibile, per poter essere posizionato sulla scala<br />
relativa ai mesi dell'anno. Si può notare che anche<br />
questo strumento è, in effetti, la realizzazione in<br />
piano verticale dell'orologio del pastore, concepito<br />
su superficie cilindrica con lo gnomone girevole.<br />
L'orologio musulmano è databile al 1159-60 e fu<br />
costruito per il sultano Nur al-Din. Ancora al XIV<br />
secolo risale l'orologio solare portatile della fig. 64<br />
detto di Aleppo che è costituito da un quadrante di<br />
altezza per conoscere l'ora e da un quadrante di<br />
direzione, che viene disposto lungo il meridiano<br />
girandolo finchè segna correttamente la direzione<br />
della Kibla, ovvero la direzione della Mecca come<br />
si è visto nel codice 1148 195 . Fra i portatili d'altezza<br />
che ebbero maggior diffusione, troviamo il quadrante<br />
classico. Nel mondo islamico rivestiva<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
141
grande importanza per la sua versatilità come<br />
strumento di osservazione degli astri, per misure<br />
di rilevamento terrestre, ma soprattutto per la<br />
comodità di conoscere l'ora attraverso il suo facile<br />
uso.<br />
Un personaggio, tra i più celebri, del firmamento<br />
scientifico del XIV secolo, è senza dubbio Giovanni<br />
Muller di Koenigsberg, latinizzato in Giovanni<br />
Regiomontano, o da Monteregio. Egli scrisse il<br />
Kalendarium Magistri nel 1474, un incunabulo<br />
prezioso, stampato in varie edizioni, in cui per la<br />
prima volta si vede la teoria di un nuovo strumento<br />
d'altezza che egli chiama "Quadratum horarum<br />
generale", dotato di una scala delle latitudini che<br />
ne fa uno strumento "universale". Inoltre, nella<br />
stessa opera viene descritto "Lo strumento de le<br />
hore inequale", che è un quadrante d'altezza a ore<br />
ineguali; un "quadrans horologii orizontalis", simile<br />
ad un quadrante d'altezza, con una scala per le<br />
latitudini e con le ore ineguali; infine, "Lo instrumento<br />
del vero moto de la luna".<br />
Tra gli strumenti portatili più caratteristici ed originali,<br />
troviamo la serie degli orologi detti "rettilinei"<br />
tra cui quello illustrato da Regiomontano,<br />
un altro che diventò famoso col nome di "Navicula<br />
de Venetiis", cioè la Navicella Veneziana, e quello<br />
che sembra essere il perfezionamento dell'orologio<br />
di Regiomontano, chiamato "cappuccino", per via<br />
della rassomiglianza del tracciato orario col cappucio<br />
dei monaci.<br />
192 C. Singer, E.J. Holmyard, T.I. Williams, Storia della Tecnologia, Boringhieri, vol. I pagg. 606-607 e pag. 609.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
142
L'opera scientifica di Giovanni Regiomontano era<br />
destinata ad esercitare una buona influenza sulla<br />
gnomonica rinascimentale. Il XVI secolo si apre,<br />
gnomonicamente, con quello che viene considerato<br />
il primo libro "a stampa", cioè impresso con la<br />
nuova invenzione della stampa, sugli orologi<br />
solari. Si tratta di un volume dal titolo "Horarii<br />
cylindri canones" a firma di Giovanni Schonero,<br />
datato 1515, in cui si insegna la costruzione degli<br />
orologi solari cilindrici.<br />
Le opere poi di Sebastiano Munster e di Oronzio<br />
Fineo furono il punto di riferimento di tutti gli<br />
gnonomisti, almeno fino al 1550. In questi volumi,<br />
vanno delineandosi per la prima volta quelle<br />
metodologie geometriche che costituiranno in<br />
seguito i canoni matematici della gnomonica e che<br />
saranno insegnati per tutti i secoli a venire, fino ai<br />
tempi moderni.<br />
Possiamo tranquillamente affermare che nei libri<br />
di questi primi autori si trova quasi tutta la gnomonica<br />
classica, o almeno tutto ciò che fino ad allora<br />
era stato inventato nel campo degli orologi<br />
solari. Ma il grosso doveva ancora venire. Intanto,<br />
si ebbe finalmente la pubblicazione del primo libro<br />
sugli orologi solari stampato in italiano, ovvero in<br />
"volgare", e non in latino, dal titolo "Dialogo de<br />
gl'horologi solari", a firma del certosino Giovanni<br />
Battista Vimercato. Questo volume ebbe un tale<br />
successo che venne ristampato una decina di volte<br />
solo in quel secolo (e precisamente nel 1556, 1565,<br />
1566, 1567, 1581, 1586 e 1587). Nel frattempo vennero<br />
pubblicate anche le opere, fondamentali, di J.<br />
Bullant, in Francia, di Giovanni Padovano, di<br />
Giambattista Benedetti, di Egnazio Danti, di Pedro<br />
Roiz, in Spagna, e di Schmid in Germania.<br />
Il vero capolavoro gnomonico però spetta ad uno<br />
dei più grandi gesuiti della storia. Un uomo che, al<br />
suo tempo, venne definito l'Euclide del XVI secolo:<br />
Padre Cristoforo Clavio. Il suo libro, ancor oggi,<br />
dopo quasi mezzo millennio, incute timore nello<br />
gnomonista ed obbliga a colui il quale pensa che la<br />
gnomonica sia ormai terra battuta da tempo, a profonde<br />
riflessioni su quanto poco si sappia in<br />
proposito rispetto ai nostri antenati.<br />
56<br />
IL XVI SECOLO<br />
I libri di gnomonica sono migliaia e sparsi in tutti i<br />
maggiori centri culturali dell'Occidente Cristiano e<br />
del Medio ed Estremo Oriente. Possiamo dire con<br />
certezza che, nei tempi moderni, sono stati esaminati<br />
un numero molto limitato di tutti questi volumi<br />
e che moltissime sorprese dobbiamo attenderci<br />
dalla visione dei rimanenti. A cominciare dagli<br />
imperscrutabili codici manoscritti turchi, ai volumi<br />
che affollano gli scaffali delle prestigiose biblioteche<br />
europee. Gli gnomonisti sono pochi. Gli<br />
storici della scienza si sono interessati solo relativamente<br />
agli orologi solari, trattandone in forma<br />
generale nelle loro opere. E dai pochi studi specifici<br />
relativi a questo argomento non si può pretendere<br />
di avere una visione globalmente chiara di<br />
tutta la gnomonica.<br />
Ritornando a Clavio, dobbiamo dire che la sua<br />
opera, fondamentale per tutti gli studiosi che<br />
seguirono, offre non solo un corpus di studi originali,<br />
eseguiti dall'autore, ma un vero e proprio<br />
compendio delle principali metodologie dei libri<br />
più importanti che erano preceduti. Naturalmente<br />
solo Clavio poteva emendare gli errori dichiarati<br />
che aveva commesso anni prima Oronzio Fineo<br />
nelle sue opere e sui quali si era sempre taciuto a<br />
causa della sua autorità nel campo accademico<br />
universitario di quel tempo. Ovviamente, per<br />
amor del vero, egli emenda anche gli errori di altri<br />
autori, propone le giuste soluzioni e loda il lavoro<br />
di altri colleghi. Ma soprattutto si ricollega spesso<br />
alle metodologie, evidentemente originali e scientificamente<br />
valide, di Giovanni Schonero pubblicate<br />
precedentemente.<br />
Purtroppo, il rigoroso latino, l'acutezza delle osservazioni,<br />
la prolissità di particolari, le lunghissime<br />
metodologie, accompagnate da eccellenti figure<br />
geometriche, ma intricatissime di linee, fanno di<br />
quest'opera (che in stampa moderna equivarrebbe<br />
ad una piccola enciclopedia) un trattato di gnomonica<br />
solo per latinisti e soprattutto per esperti<br />
matematici e gnomonisti. Tant'è vero che ancora<br />
nel XVIII secolo, uno studioso che aveva redatto<br />
un articolo su un'enciclopedia inglese, ebbe a<br />
lamentarsi della difficoltà di lettura relativa al libro<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
143
di Clavio e scrisse che, secondo lui, probabilmente,<br />
quel libro non l'aveva letto nessuno.<br />
Noi possiamo solo aggiungere che qualcuno l'ha<br />
letto, tra l'altro, anche noi seppure limitatamente.<br />
Ma più precisamente possiamo dire che l'hanno<br />
letto i grandi personaggi della gnomonica.<br />
Athanasius Kircher e Jaques Ozanam, per esempio,<br />
riportano nei loro libri alcuni metodi e figure<br />
tratti dall'opera del gesuita.<br />
In effetti il lavoro matematico di Clavio nella gnomonica<br />
fu fondamentale. E verso la fine della sua<br />
esistenza pubblicò i primi metodi per realizzare gli<br />
orologi solari "col concorso delle tangenti" e solo<br />
quasi cento anni dopo vennero pubblicate le<br />
"analogie" di J. Ozanam in ordine a problemi di<br />
astronomia sferica e gnomonica: era arrivato il<br />
tempo in cui gli orologi solari venivano realizzati,<br />
come oggi, con il metodo trigonometrico.<br />
Si ha notizia, infatti, di un certo Clapies che attorno<br />
al primo decennio del XVIII secolo, divulgò alcuni<br />
metodi di costruire orologi solari murali di grandi<br />
dimensioni con l'ausilio del metodo trigonometrico,<br />
calcolando le coordinate cartesiane dei punti<br />
orari di ciascuna retta oraria. Tali risultati, evidentemente<br />
molto importanti allora (anche se gli<br />
astronomi arabi li avevano raggiunti già mezzo<br />
millennio prima) vennero pubblicati nelle<br />
Memorie della Reale Accademia di Scienze di<br />
Parigi, nel 1707. Da quell'anno cominciarono a pullulare<br />
i trattati di gnomonica trigonometrica, come<br />
quelli di Gruber, Weidler, Ozanam, Deparcieux, e<br />
via dicendo.<br />
Nello stesso tempo, anzi, a cominciare già dalla<br />
fine del XVI secolo, i costruttori di orologi solari<br />
andavano sempre più specializzandosi nella realizzazione<br />
di particolari strumenti gnomonici che<br />
permettevano un più facile ed empirico tracciamento<br />
delle linee orarie e delle curve di declinazione,<br />
senza stare a fare troppi calcoli o a<br />
rompersi il cervello su tediosi metodi geometrici.<br />
Una necessità, questa, che era molto sentita soprattutto<br />
a cavallo tra il XVI e il XVII secolo, tempo in<br />
cui nascuero straordinari strumenti di costruzione<br />
quali quello denominato "Strumento di Giovanni<br />
Ferrerio Spagnolo", già descritto da Clavio, e in<br />
seguito i fantastici strumenti realizzati da<br />
Athanasius Kircher che addirittura concepisce veri<br />
e propri "banchi di lavoro" gnomonici. Alcuni dei<br />
libri popolari oggi più famosi sulla gnomonica,<br />
come quello del di <strong>Nicola</strong> Bion (sec. XVIII), riportano<br />
le descrizioni, di uno strumento denominato<br />
"Sciatere" che costituisce una semplice modifica a<br />
quello precedente di Ferrerio Spagnolo. Moltissimi<br />
sono gli altri strumenti gnomonici, come il declinatorio,<br />
l'inclinatorio, l'archipendolo, le squadre, i<br />
"regoli" gnomonici, ecc.<br />
Ma tale sviluppo della strumentaria gnomonica<br />
subì un arresto con l'avvento del XIX secolo.<br />
Oramai, quasi tutte le possibilità di costruzione<br />
degli orologi solari erano state sondate e perciò, gli<br />
studiosi preferirono buttarsi di più sugli sviluppi<br />
matematici, alla ricerca di metodi originali che<br />
venivano poi regolarmente pubblicati ed a volte<br />
integrati in testi universitari come quelli sulla<br />
geometria proiettiva, geometria analitica, geometria<br />
descrittiva.<br />
Ma tutto ciò, nonostante avesse contribuito se non<br />
ad un ulteriore progresso, almeno a mantenere<br />
viva la memoria di questa disciplina, ebbe come<br />
conseguenza una produzione di artigianato, relativo<br />
agli orologi solari, che non è in nessun modo<br />
paragonabile allo spirito artistico e filosofico della<br />
Rinascenza. Eppure gli orologi solari si costruivano<br />
dappertutto.<br />
Il progresso tecnologico che favoriva lo scambio<br />
commerciale internazionale attraverso i potenti<br />
mezzi di comunicazione e di corrispondenza, grazie<br />
soprattutto al crescente sviluppo delle reti ferroviarie<br />
e telegrafiche, crearono, verso la metà del<br />
secolo scorso, la necessità di istituire in ciascun<br />
paese un sistema che uniformasse adeguatamente<br />
il tempo dei chierici, dei laici e dei commercianti:<br />
in poche parole un sistema che adottasse in una<br />
sola nazione, di estensione non troppo grande, una<br />
sola ora legale statale: l'ora nazionale.<br />
Così, ciascuna nazione adottò l'ora del meridiano<br />
della propria capitale, ed esattamente quella riferita<br />
al meridiano passante per il principale osservatorio<br />
astronomico. Per esempio, la Francia adottò<br />
l'ora del meridiano di Parigi e l'Italia, nel 1866,<br />
adottò 196 l'ora del meridiano passante per l'osservatorio<br />
di Monte Mario in Roma. Ciò si tradusse,<br />
nella popolare gnomonica, ossia nell'arte di ogni<br />
comune persona di disegnare orologi solari, nel<br />
196 Più precisamente, fu stabilito l'entrata in vigore dell'ora di Roma per le poste, i telegrafi , le ferrovie e la navigazione in data<br />
22 settembre 1866.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
144
appresentare spesso sul quadro dell'orologio la<br />
retta oraria del mezzodì di Roma e la relativa "lemniscata"<br />
ad essa riferita.<br />
Ma in questo modo, le cose sarebbero andate benino<br />
se ogni nazione avesse fatto uso del tempo<br />
locale senza considerare i rapporti internazionali.<br />
Infatti, i disagi per chi intrattenevano relazioni<br />
internazionali erano evidenti: un'italiano che si<br />
recava in Francia si trovava con l'orologio avanti<br />
quasi tre quarti d'ora rispetto all'ora di Roma e chi<br />
arrivava dall'Austria era obbligato a portare indietro<br />
di 15 minuti la propria "pendula".<br />
Si pensi al disagio esistente in America dove 75<br />
società ferroviarie di 75 confederazioni avevano<br />
adottato ognuna la propria ora con lo spaventoso<br />
risultato, per un passeggero, di confrontare 75<br />
orari diversi!<br />
Furono, infatti, proprio gli Stati Uniti ed il Canada<br />
che introdussero per primi il nuovo sistema di<br />
misura del tempo regolato sul "meridiano del<br />
fuso". Seguirono, nel 1879, la Svezia e la Norvegia<br />
e quindi quasi tutte le nazioni d'Europa. L'italia<br />
adottò tale sistema il 1° novembre 1893. L'idea,<br />
alquanto geniale, prevede il globo terrestre affettato<br />
a spicchi come un melone. Più esattamente, la<br />
Terra viene suddivisa in 24 spicchi, o fusi, di 15° di<br />
estensione in longitudine, pari esattamente ad<br />
un'ora astronomica ciascuno. Ogni spicchio è<br />
delimitato geograficamente da due meridiani. Il<br />
primo meridiano, o fuso di partenza, è il meridiano<br />
0° passante per l'osservatorio di Greenwich in<br />
Inghilterra.<br />
E' stabilito che tutti i luoghi compresi fra i meridiani<br />
7° 30' ad est e 7° 30' ad ovest di Greenwich<br />
adottino l'ora di quell'osservatorio in modo tale<br />
che tutte le città poste ai margini di questi due<br />
meridiani abbiano una differenza fra l'ora locale e<br />
l'ora adottata non più grande di mezz'ora. Per<br />
esempio in Italia, tra l'ora locale di Torino e quella<br />
del fuso vi è una differenza di circa 30 minuti.<br />
La conseguenza di ciò è che ogni nazione può<br />
finalmente regolare la propria ora nazionale su tutto<br />
il territorio compreso nel proprio fuso. L'Europa<br />
Centrale ha adottato il 15° meridiano, che corrisponde<br />
al 2° fuso, ed è distante un'ora da quello<br />
di Greenwich. Tale meridiano, denominato M.E.C.,<br />
è compreso fra i meridiani 7° 30' e 22° 30 ' ad est di<br />
Greenwich passa per la vetta del monte Etna ed è<br />
perciò detto anche meridiano Etneo. Tutti i luoghi<br />
compresi in questo "spicchio", o fuso, adottano<br />
l'ora del 15° meridiano.<br />
Prima di concludere questi brevi cenni storici<br />
riguardanti l'adozione del tempo medio del fuso,<br />
vorrei riportare quanto scrisse in proposito un<br />
autore di gnomonica in un libro pubblicato verso<br />
la fine del secolo scorso. Le sue osservazioni sono<br />
molto interessanti per noi perchè furono scritte "a<br />
caldo", cioè appena un paio d'anni dopo che fu<br />
adottato in Italia il sistema del tempo medio. Nelle<br />
sue parole, infatti possiamo sentire tutto il "dramma"<br />
degli gnomonisti e degli uomini semplici.<br />
"...e questo sistema (del tempo medio del fuso) fu adottato<br />
con grave incomodo della grande maggioranza che<br />
fornita di orologi comuni, non ne trovava certo uno su<br />
mille che fosse capace di segnalare questa differenza (tra<br />
tempo locale e tempo medio) che ha un massimo di 20"<br />
e ciò per due soli mesi dell'anno, mentre per gli altri<br />
dieci vi è sempre inferiore; chi può credere che un orologio<br />
comune, anche dei buoni, non isbagli ben di più col<br />
variare delle temperature?..."<br />
E a questo punto l'autore inserisce una simpatica<br />
nota che recita così:<br />
"Io sono convintissimo che se in uno dei giorni in cui<br />
l'equazione del tempo è nulla o poco più fosse possibile<br />
passare d'improvviso e senza dirlo dal sistema del tempo<br />
medio a quello del tempo vero (sempre dell'Europa<br />
Centrale), forse i soli astronomi se ne accorgerebbero<br />
abbastanza presto, tutti gli altri, coi soli orologi meccanici,<br />
non lo avvertirebbero né presto né mai; soltanto un<br />
orologio solare potrebbe farli accorti in capo a quindici o<br />
venti giorni almeno dell'avvenuto cangiamento".<br />
Un fatto curioso è che forse anche oggi, per buona<br />
parte della popolazione, questa osservazione<br />
potrebbe essere più che valida! Ma vediamo come<br />
continua il nostro autore:<br />
"Ma questo cangiamento senza pratica utilità ebbe un<br />
altro gravissimo inconveniente, quello cioè di rendere<br />
assai complicato il tracciamento degli orologi solari,<br />
unico modo che avevano per registrare i loro orologi i<br />
paesi lontani dagli osservatori, dalle città e dalle<br />
stazioni ferroviarie. La linea meridiana che prima era<br />
una semplice retta, prese la forma di un 8 dovendo segnare<br />
il mezzodì talora in anticipazione, talora in ritardo<br />
fino a 15' in confronto del mezzogiorno vero; e riusciva<br />
poi quasi impossibile segnare le diverse ore giacchè tutte<br />
le linee orarie assumendo la stessa forma produrrebbero<br />
una indecifrabile confusione. Nè con questo veniva<br />
almeno tolto il precedente disturbo di dovere all'ora<br />
locale togliere od aggiungere quel numero costante di<br />
minuti richiesti dalla differenza del meridiano; chè anzi<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
145
le due difficoltà si venivano a sommare.<br />
Solo modo di rimediare a questo inconveniente rimaneva<br />
pei paesi lontani dai centri quello di fondarsi sul<br />
mezzogiorno vero locale e formarsi una tabella la quale<br />
giorno per giorno suggerisse la differenza tra il mezzogiorno<br />
vero locale ed il mezzogiorno medio del punto<br />
(fuso) centrale. E questo rimedio sarebbe riuscito assai<br />
difficile, non bastando l'acquistare una tabella stampata<br />
della così detta equazione del tempo, ma dovendo ai<br />
numeri dati da quella aggiungere o sottrarre quel tal<br />
numero costante di minuti corrispondenti alla differenza<br />
tra il meridiano dell'osservatore e quello della<br />
stazione adottata (costante locale).<br />
Queste frasi, scritte peraltro da uno gnomonista,<br />
danno un'idea delle difficoltà cui dovettero far<br />
fronte tutti quegli uomini che non fossero astronomi<br />
o naviganti, subito dopo l'adozione del tempo<br />
medio dell'Europa Centrale. Voglio calarmi per un<br />
attimo nei panni di uno gnomonista di allora, ma<br />
sento già lo sconforto che mi prende se penso alla<br />
mia bella linea meridiana locale, a cui tanto sono<br />
affezionati tutti i compaesani, d'improvviso<br />
trasformata in un serpente a forma di 8 allungato...<br />
Ma tant'è il prezzo da pagare per il "progresso" e, a<br />
distanza di 103 anni, e dopo che tutti si sono assuefatti<br />
al nuovo sistema, pare che le cose funzionino<br />
abbastanza bene.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
146
57<br />
LA <strong>GNOMONICA</strong> OGGI<br />
Una breve scorsa ad un elenco bibliografico rende<br />
subito chiara la situazione della gnomonica nel XX<br />
secolo. I libri stampati sull'argomento diminuiscono<br />
man mano che si va verso la metà del 1900. In<br />
compenso rimane una vasta produzione di articoli<br />
scientifici, ma soprattutto popolari, sulla gnomonica.<br />
In campo internazionale si fanno strada,<br />
all'inizio del secolo, i libri di Alfred Gatty, Suter,<br />
Cozza, Drecker, Schoy, Diels, Bigourdan, ecc.,<br />
mentre in Italia si hanno i favolosi trattati di<br />
Claudio Pasini (ancor oggi uno dei migliori),<br />
Andreini, Barzizza e Pandolfi. Era il periodo in cui<br />
la casa editrice Hoepli pubblicava spesso manuali<br />
sulla costruzione degli orologi solari, soprattutto<br />
verso la fine del XIX secolo. L'ultimo lavoro importante<br />
sulla gnomonica, pubblicato in Italia, sempre<br />
da Hoepli, nel 1938 è quello del famoso matematico<br />
Garnier, dal titolo "Gnomonica. Teoria e pratica<br />
dell'orologio solare". E' inutile nasconderlo, anche<br />
noi abbiamo cominciato da quello, sebbene fosse<br />
reperibile oramai solo nelle grandi biblioteche.<br />
Anche questo, però, è prevalentemente un trattato<br />
matematico, della serie "recreations...". Ossia<br />
curiosità gnomoniche: applicazioni di metodi<br />
matematici alla gnomonica. Ma allora era giustificabile.<br />
In un periodo in cui tutto oramai sembrava<br />
essere stato detto sulla gnomonica (come il Garnier<br />
stesso lascia intendere nella prefazione), a cosa<br />
sarebbe servito un nuovo trattatello sulla<br />
costruzione degli orologi solari secondo gli antichi<br />
canoni? Ecco di nuovo, quindi, la gnomonica intesa<br />
non nel suo pieno significato filosofico, artistico,<br />
scientifico, ma solo come passatempo matematico.<br />
Lo sterile libro di Garnier (limitatissimo negli argomenti)<br />
infatti, oltre ai matematici curiosi, non serve<br />
proprio a nessuno, nonostante l'ambizioso titolo<br />
"Gnomonica. Teoria e pratica dell'orologio solare"<br />
sembri promettere all'ignaro lettore un trattato<br />
completo di gnomonica, rigoroso (per l'autorità<br />
della firma del suo autore), ma facile a comprendersi<br />
e utile nelle applicazioni pratiche.<br />
E neanche a farlo apposta, questo libro, nonostante<br />
avesse conosciuto una immediata ristampa, fu l'ultimo<br />
a vedere la luce prima che si chiudessero le<br />
porte dell'editoria, almeno quella italiana, alla<br />
gnomonica, considerata ormai generalmente argomento<br />
chiuso.<br />
Il tempo passa, ed ogni tanto si legge e si sente<br />
qualche nome. Sono appassionati che si prodigano<br />
nella costruzione di orologi solari. Studiosi che<br />
ricominciano a rispolverare i vecchi testi. Ed ecco<br />
che compaiono i primi lavori, seppure sotto forma<br />
di semplici articoli. Tra i più importanti quelli di<br />
Peisino, Mottoni e Marianeschi sulla celebre rivista<br />
"Coelum". Quasi nello stesso tempo, la rivista<br />
"Sapere" pubblicava sulle sue pagine autorevoli, e<br />
sfiziosi, articoli popolari (ma non troppo) di<br />
Garnier. Poco dopo veniva pubblicato da<br />
Gauthiers.Villars, a Parigi, il libro "Le Cadrans<br />
Solaires" di R.R.J. Rohr, destinato a divenire un<br />
"best-seller" della gnomonica. Oggi, tutti gli appassionati<br />
ne conservano gelosamente una copia di<br />
una delle tante ristampe (edizioni in diverse<br />
lungue) nella propria biblioteca gnomonica.<br />
Da allora, sembra ci sia stato un vero e proprio<br />
"risveglio" da parte della popolazione di studiosi,<br />
ed appassionati di storia della scienza, verso gli<br />
orologi solari. I volumi e gli articoli si sono moltiplicati<br />
e soprattutto si sono sviluppati in diversi<br />
rami. I lavori prettamente matematici da una parte<br />
venivano compendiati da quelli su specifiche<br />
ricerche storiche, mai prima effettuate.<br />
In Italia i singoli appassionati che più o meno si<br />
conoscevano per nome solo attraverso gli sporadici<br />
articoli pubblicati su riviste nazionali e di associazioni<br />
amatoriali, si sono ritrovati grazie ad una<br />
iniziativa per la prima volta intrapresa dall'Unione<br />
Astrofili Italiani (U.A.I.): la costituzione di una<br />
Sezione di ricerca denominata "Sezione Quadranti<br />
Solari". Era il 1978, ed il promotore di questa<br />
iniziativa è Francesco Azzarita. Da allora, uno<br />
degli obiettivi principali della Sezione, è stato<br />
quello di realizzare il censimento nazionale degli<br />
orologi solari italiani e radunare, in incontro annu-<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
147
ali, tutti gli studiosi ed appassionati della gnomonica<br />
italiani.<br />
Nel 1988, si ha il primo Seminario di Gnomonica,<br />
organizzato dalla Sezione.<br />
Nel 1996 si è concluso, alla fine di marzo, il VII<br />
Seminario Nazionale di Gnomonica. La sezione, e<br />
i Seminari, continuano a far proseliti, e gli obiettivi,<br />
possiamo dirlo, sono stati raggiunti. Il censimento<br />
nazionale degli orologi solari sarà forse<br />
pronto quando questo volume verrà pubblicato.<br />
La qualità ed il numero degl iinterventi, supera<br />
ogni aspettativa, e dimostra quanto ci sia ancora<br />
da imparare, e da discutere sull'argomento.<br />
Infine, la gnomonica è da qualche tempo approdata<br />
in Internet. E' un passo questo della massima<br />
importanza. E gli effetti di questa innovazione in<br />
parte possono essere già riscontrati attraverso gli<br />
innumerevoli scambi di idee, studi, materiale stori-<br />
co, che avviene in tempo reale tra studiosi ed<br />
appassionati. Ma l'evoluzione che un sistema di<br />
comunicazione del genere impone al progresso<br />
gnomonico, è un dato che potrà essere valutato<br />
solo tra qualche anno. E' incredibile, avere già a<br />
portata di mano i lavori effettuati da molti degli<br />
gnomonisti che "navigano in rete". Internet è un<br />
favoloso strumento di comunicazione che permetterà<br />
a tutti gli appassionati di incontrarsi "virtualmente"<br />
in qualunque momento ed in qualsiasi<br />
posto e di conoscere in tempo reale i progressi , gli<br />
sviluppi degli studi effettuati da tutti, in ogni<br />
angolo del mondo.<br />
A dire il vero, questo nuovo aspetto di una gnomonica<br />
"globale", non era previsto, né ce lo<br />
immaginavamo...<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong><br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
148
fig. 52 Metodo geometrico esposto da valentino Pini nel suo libro Fabrica de gl’horologi solari, per la costruzione di<br />
orologi solari sul piano meridiano, con i vari sistemi di numerazione.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
149
fig. 53 Orologio equatoriale portatile<br />
con aggiunta di un analemmatico.<br />
Disegno di N. Bion.<br />
fig. 55 Il Trigono dei segni. strumento<br />
usato nella pratica della<br />
costruzione degli orologi solari<br />
murali, per facilitare il tracciamento<br />
delle linee orarie, ma soprattutto<br />
delle curve di declinazione.<br />
fig. 56 Il Radio orario illustrato da<br />
Paolo Galluccio, usato per delineare<br />
facilmente gli orologi solari murali.<br />
fig. 54 Un declinometro per trovare<br />
la declinazione dei muri, usato nel<br />
sec. XVI<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
150
fig. 57 Uno strumento gnomonico che apporta miglioramenti nell’uso del Radio orario, concepito nel XVII secolo.<br />
Fu ideato dal gesuita Mario Bettini.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
151
fig. 58 Parte di una tavola di N. Bion, in cui si vede un orologio portatile ad anello, un equatoriale ed il<br />
progetto per un analemmatico.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
152
fig. 59 Tavola gnomonica da un’opera del XVIII secolo.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
153
fig. 60 Un complicato progetto di Cristoforo Clavio<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
154
fig. 61 Frontespizio del libro di Valentino Pini.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
155
fig. 62 Tavole dal libro di Pierre De S. M. Magdleine.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
156
fig. 63 Il grande erudito Athanasius Kircher<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
157
fig. 64 e 65 Orologi solari arabi<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
158
fig. 66 Un altro intricato progetto di Clavio, in cui appena si riesce a scorgere la forma di un orologio verticale<br />
declinante a oriente.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
159
fig. 67 Stupenda immagine di V. Pini che ci descrive gli orologi solari portatili a forma di coltello e di croce.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
160
fig. 70 Caratteristica rappresentazione dell’orologio<br />
cappuccino, come fu disegnato per l’Enciclopedia<br />
Britannica del secolo scorso.<br />
fig. 71 La Navicella veneziana di Oronzio Fineo (sec. XVI)<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
161
fig. 72 Disegno dell’orologio solare su cilindro con sovrastante meridiana a globo, da Recreation mathematique et<br />
phisyque di Ozanam (sec. XVIII)<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
162
fig. 73 Bellissima immagine di orologio portatile del tipo @dittico di Norimberga@, dall-opera di V. Pini..<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
163
fig. 74 Bellissima e rarissima *se non<br />
unica( immagine di orologio solare in<br />
miniatura. Nella foto si vede il cilindro,<br />
o meridiana del pastore. Si trova in<br />
Geografia di Tolomeo, nell-edizione del<br />
1525. Nell-opera vi sono altre miniature<br />
che illustrano altri due o tre tipi di orologi<br />
solari, tra cui quelli murali.<br />
fig. 76 Lo strumento di Ferrerio Spagnolo<br />
divulgato da Clavio in Italia.<br />
fig. 75 Orologio equatoriale portatile in uso nel XVI secolo.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
164
fig. 77 Orologio polare in un breviario per monaci. Unica illustrazione ideata da<br />
Valentino Pini nel 1598.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
165
APPENDICE<br />
Tavole fuori testo<br />
Frontespizi gnomonici XVI secolo<br />
Frontespizi gnomonici XVII secolo<br />
Frontespizi gnomonici XIII secolo<br />
Frontespizi gnomonici XIX e XX secolo<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
I
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
II
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
III
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
IV
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
V
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
VI
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
VII
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
VIII
Frontespizi<br />
gnomonici<br />
secolo XVI<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
IX
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
X
Frontespizi<br />
gnomonici<br />
secolo XVII<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
XI
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
XII
Frontespizi<br />
gnomonici<br />
secolo XVIII<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
XIII
Frontespizi<br />
gnomonici<br />
secoli XIX<br />
e XX<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
XIV
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Storia della Gnomonica<br />
XV