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27.05.2013 Views

nelle ricerche di Ammerman a Piana di Curinga, in prossimità di un’abitazione a pianta rettangolare (4,5x3,5 m circa) 184. I dati faunistici di Capo Alfiere mostrano una netta predominanza di ovicaprini, seguiti da alte percentuali di bovini. Sono invece scarsi i suini, forse a causa anche della deforestazione o, comunque, dell’assenza di querceti, indicata anche dal record pollinico. Sono altresì documentate varie specie selvatiche (cervo, lupo, volpe, talpa, scoiattolo, uccelli, tartaruga etc.), nonché resti di pesce e molluschi. Questi ultimi non sono molto numerosi ma occorre ricordare che, a causa di fenomeni di eustatismo a livello generale e di microsubsidenza su scala locale, la linea di costa è notevolmente arretrata rispetto al Neolitico e che, dunque, il villaggio neolitico di Capo Alfiere non si trovava direttamente sul mare. A livello botanico è invece da segnalare la prevalenza dell’orzo rispetto al farro, e una consistente quantità di legumi, forse indicativi di pratiche di rotazione delle colture. Secondo Jon Morter, il complesso di Capo Alfiere rivestiva una funzione non solo abitativa ma anche cultuale, per la presenza di un muro di recinzione, di un ripostiglio di cinque asce in pietra levigata, interpretato come “deposito di fondazione”, e di un frammento forse pertinente a una piccola statuina. Una figurina muliebre plasmata in argilla e frammentaria è stata recuperata anche nel sito di Casa Soverito. L’ultima fase del Neolitico dell’Italia meridionale (compresa tra la fine del V e l’inizio del IV millennio in cronologia calibrata) vede instaurarsi una sorta di koiné rappresentata da una cultura evidenziata per la prima volta da L. Bernabò Brea in Contrada Diana 185 nell’isola di Lipari e a Masseria Bellavista presso Taranto e indicata come Diana-Bellavista. Nell’abitato di Contrada Diana sono state evidenziate le principali fasi evolutive di tale cultura, inquadrabile nel IV millennio a.C. 186 ; altre stratigrafie di riferimento sono quelle della Chiusazza (livello V), del Castello di Lipari e della Grotta del Kronio (livello III). Le ceramiche di Diana sono per lo più inornate, caratterizzate da forme standardizzate in argilla di colore rosso corallo brillante, spesso munite delle inconfondibili anse a rocchetto 187. Quelle di Bellavi- 184 AMMERMAN et all. 1976. 185 Nel corso della fase di Serra d’Alto l’abitato di Lipari si sposta progressivamente dall’acropoli verso la piana, sino ad occupare la Contrada Diana con un villaggio di grande estensione. A questo si associano abitati più piccoli, spesso insediamenti agricoli, sugli altipiani e sulle isole minori. Solo verso la fine del Neolitico e l’inizio dell’Età del Rame (facies Diana-Spatarella), si osserva una rioccupazione delle zone ben difese del Castello. 186 Le date radiocarboniche disponibili sono quelle dell’Acropoli di Lipari (4135÷3375 BC cal.), di Contrada Diana (3875÷3390 BC cal.) e della Grotta della Madonna (4115÷3670 BC cal.). 187 Secondo L. Bernabò Brea queste prese a rocchetto deriverebbero dalle anse a nastro della ceramica di Serra d’Alto, mentre secondo Tiné potrebbero 131

sta sono del tutto analoghe ma l’impasto è di colore grigiastro o bruno. Nella fase più antica, denominata “Diana A” e posta in continuità stratigrafica con la facies di Serra d’Alto, le ceramiche sono di qualità migliore mentre nella fase “Diana B” le superfici appaiono più opache e si assiste, da un lato, alla riduzione del repertorio delle forme vascolari e, dall’altro, all’aumento di forme carenate con pseudo-anse a rocchetto. La facies di Diana-Bellavista (da Cipolloni Sampò) L’industria litica appare ora decisamente laminare e caratterizzata da una notevole circolazione di ossidiana, non solo sotto forma di prodotti finiti ma anche di nuclei. Sono molto diffuse anche le a- avere analogie con i vasi in marmo dell’area egeo-cicladica, dalla quale sarebbero riprese anche le tombe ipogee. 132

nelle ricerche di Ammerman a Piana di Curinga, in prossimità di<br />

un’abitazione a pianta rettangolare (4,5x3,5 m circa) 184.<br />

I dati faunistici di Capo Alfiere mostrano una netta predominanza<br />

di ovicaprini, seguiti da alte percentuali di bovini. Sono invece scarsi<br />

i suini, forse a causa anche della deforestazione o, comunque,<br />

dell’assenza di querceti, indicata anche dal record pollinico. Sono<br />

altresì documentate varie specie selvatiche (cervo, lupo, volpe,<br />

talpa, scoiattolo, uccelli, tartaruga etc.), nonché resti di pesce e<br />

molluschi. Questi ultimi non sono molto numerosi ma occorre ricordare<br />

che, a causa di fenomeni di eustatismo a livello generale e di<br />

microsubsidenza su scala locale, la linea di costa è notevolmente<br />

arretrata rispetto al <strong>Neolitico</strong> e che, dunque, il villaggio neolitico di<br />

Capo Alfiere non si trovava direttamente sul mare.<br />

A livello botanico è invece da segnalare la prevalenza dell’orzo<br />

rispetto al farro, e una consistente quantità di legumi, forse indicativi<br />

di pratiche di rotazione delle colture.<br />

Secondo Jon Morter, il complesso di Capo Alfiere rivestiva una<br />

funzione non solo abitativa ma anche cultuale, per la presenza di<br />

un muro di recinzione, di un ripostiglio di cinque asce in pietra levigata,<br />

interpretato come “deposito di fondazione”, e di un frammento<br />

forse pertinente a una piccola statuina. Una figurina muliebre<br />

plasmata in argilla e frammentaria è stata recuperata anche<br />

nel sito di Casa Soverito.<br />

L’ultima fase del <strong>Neolitico</strong> dell’Italia meridionale (compresa tra la<br />

fine del V e l’inizio del IV millennio in cronologia calibrata) vede instaurarsi<br />

una sorta di koiné rappresentata da una cultura evidenziata<br />

per la prima volta da L. Bernabò Brea in Contrada Diana 185<br />

nell’isola di Lipari e a Masseria Bellavista presso Taranto e indicata<br />

come Diana-Bellavista. Nell’abitato di Contrada Diana sono state<br />

evidenziate le principali fasi evolutive di tale cultura, inquadrabile<br />

nel IV millennio a.C. 186 ; altre stratigrafie di riferimento sono quelle<br />

della Chiusazza (livello V), del Castello di Lipari e della Grotta del<br />

Kronio (livello III).<br />

Le ceramiche di Diana sono per lo più inornate, caratterizzate da<br />

forme standardizzate in argilla di colore rosso corallo brillante, spesso<br />

munite delle inconfondibili anse a rocchetto 187. Quelle di Bellavi-<br />

184 AMMERMAN et all. 1976.<br />

185 Nel corso della fase di Serra d’Alto l’abitato di Lipari si sposta progressivamente<br />

dall’acropoli verso la piana, sino ad occupare la Contrada Diana con un<br />

villaggio di grande estensione. A questo si associano abitati più piccoli, spesso insediamenti<br />

agricoli, sugli altipiani e sulle isole minori. Solo verso la fine del <strong>Neolitico</strong><br />

e l’inizio dell’Età del Rame (facies Diana-Spatarella), si osserva una rioccupazione<br />

delle zone ben difese del Castello.<br />

186 Le date radiocarboniche disponibili sono quelle dell’Acropoli di Lipari<br />

(4135÷3375 BC cal.), di Contrada Diana (3875÷3390 BC cal.) e della Grotta della<br />

Madonna (4115÷3670 BC cal.).<br />

187 Secondo L. Bernabò Brea queste prese a rocchetto deriverebbero dalle<br />

anse a nastro della ceramica di Serra d’Alto, mentre secondo Tiné potrebbero<br />

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