Neolitico - ArcheoServer
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5. Il NEOLITICO in ITALIA<br />
5.1 Italia meridionale e Sicilia<br />
Il primo <strong>Neolitico</strong> dell’area sudorientale della penisola compare<br />
già pienamente sviluppato (con presenza di tutte le componenti:<br />
agricoltura, allevamento, villaggi sedentari, ceramica) e lo studio<br />
dei meccanismi e delle tappe della neolitizzazione di quest’area risente<br />
delle scarse conoscenze disponibili per il Mesolitico locale e,<br />
in particolare, per la sua fase più recente 148 .<br />
La presenza di<br />
elementi di tradizioneepipaleolitica<br />
(es. armature<br />
litiche trapezoidali)<br />
nei livelli<br />
neolitici delle<br />
grotte (a volte<br />
imputata a fenomeni<br />
di “inquinamento”<br />
o<br />
Industria microlitica dal sito di Torre Sabea (Puglia): trapezi<br />
e microbulini.<br />
(da Cremonesi e Guilaine)<br />
100<br />
alla scarsa chiarezza<br />
delle stratigrafie<br />
di questo<br />
tipo di depositi)<br />
o in insediamenti<br />
all’aperto caratterizzati da un’economia già pienamente produttiva<br />
149 è stata interpretata come indizio della persistenza di tale tradizione<br />
nelle regione meridionali, laddove al Nord si afferma un vero<br />
e proprio Mesolitico.<br />
L’esigua attestazione di complessi sicuramente ascrivibili al tardo<br />
Mesolitico potrebbe essere dovuta a una lacuna nella documentazione<br />
in nostro possesso; tuttavia, una situazione significativamente<br />
148 Elementi mesolitici sono stati riconosciuti in alcuni siti costieri del Salento (es.<br />
Santa Foca, Torre Testa etc.), in alcune grotte lungo la costa tirrenica (grotta della<br />
Madonna di Praia a Mare, grotta della Serratura di Camerota), nell’area di<br />
Crotone (loc. Semaforo di Campione), nella Basilicata nordorientale (al Riparo<br />
Ranaldi presso Tuppo dei Sassi. Questa attestazione è tuttavia controversa in<br />
quanto vi sono indizi che porterebbero a datare i reperti al <strong>Neolitico</strong> piuttosto<br />
che al Mesolitico: tra questi la presenza di decorazioni parietali analoghe a quelle<br />
neolitiche di Porto Badisco e il rinvenimento di manufatti neolitici in superficie<br />
nei pressi del riparo). In ambito tirrenico va segnalata anche la grotta 3 di Latronico<br />
ove livelli mesolitici a denticolati e trapezi sono stati identificati al di sotto di<br />
strati neolitici a ceramica impressa e dipinta.<br />
149 È il caso, per esempio, dei siti di Torre Sabea, di Fontanelle etc. In<br />
quest’ultimo sito sono stati rinvenuti numerosi resti di cereali all’interno dei noduli<br />
di argilla dell’intonaco delle capanne. Uno di questi reca l’impronta completa di<br />
una spiga di Triticum dicoccum.
analoga è stata riscontrata anche in Grecia, dove questo periodo<br />
è noto per poche attestazioni, come quella della grotta Franchthi in<br />
Argolide, di altre grotte costiere e di un solo sito all’aperto localizzato<br />
nell’isola di Corfù. Questo dato porta dunque a ritenere plausibile<br />
che le comunità mesolitiche locali non fossero molto consistenti.<br />
Diversa è la situazione per la Sicilia, dove la grotta dell’Uzzo ha restituito<br />
una sequenza stratigrafica che consente di leggere la continuità<br />
e il passaggio graduale tra Mesolitico e <strong>Neolitico</strong> antico. Le<br />
datazioni radiometriche disponibili per questo sito sono quelle di un<br />
livello mesolitico (8120±90), di un livello di transizione Mesolitico/<strong>Neolitico</strong><br />
(5960±70) e, infine, di una fase non iniziale del <strong>Neolitico</strong><br />
antico (4800±70) 150 . La continuità stratigrafica consente di leggere<br />
l’evoluzione non solo nella cultura materiale ma anche nelle diverse<br />
strategie economiche: nei livelli immediatamente precedenti le<br />
prime manifestazioni neolitiche si registra infatti un forte incremento<br />
di attività collaterali alla caccia, come la pesca e la raccolta di<br />
frutti spontanei. Tra la fine del VI millennio e l’inizio del V subentra<br />
poi la domesticazione delle piante e degli animali.<br />
Questa differenza tra area orientale e occidentale sembra riflettere<br />
quella già riscontrata a livello generale a proposito della neolitizzazione<br />
dei Paesi mediterranei, con la diffusione da una parte<br />
della Ceramica Impressa e, dall’altra, del Cardiale.<br />
Le nostre conoscenze sul <strong>Neolitico</strong> dell’Italia meridionale derivano<br />
da fonti piuttosto eterogenee: si dispone infatti di collezioni di<br />
materiali ceramici e litici frutto di vecchi scavi, di raccolte di superficie<br />
o di recuperi fortuiti, ma anche di dati più complessi derivanti<br />
da moderni scavi pluridisciplinari. Questi ultimi mirano soprattutto a<br />
colmare molte lacune riguardo i caratteri e le funzioni delle varie<br />
strutture riconoscibili, gli aspetti paleoambientali e paleoconomici,<br />
nonché a definire meglio la griglia cronologica a disposizione.<br />
La periodizzazione del <strong>Neolitico</strong> dell’Italia meridionale si basa<br />
principalmente su alcune sequenze stratigrafiche di riferimento (per<br />
esempio Rendina, Trasano, Masseria Valente, Foggia-Villa Comunale,<br />
Lipari) e sull’avvicendarsi di differenti tecniche e stili nella decorazione<br />
del vasellame: da ceramiche con impressioni eseguite a<br />
crudo e coprenti si passa a decorazioni impresse più varie, organizzate<br />
secondo sintassi decorative geometriche, a decorazioni graffite.<br />
Segue poi la comparsa di ceramiche figuline (cioè realizzate<br />
con argilla depurata) dipinte con motivi a bande brune, bianche o<br />
rosse. Nelle più antiche ceramiche dipinte le bande non sono mar-<br />
150 I livelli mesolitici all’interno della grotta hanno restituito le date 10.070±90;<br />
9300±100; 9180±100; 9030±100 BP; quelli esterni alla grotta: 8330±80; 7910±70 BP<br />
MEULENGRATH et all. 1981. Due datazioni sono state effettuate con il metodo della<br />
racemizzazione degli aminoacidi sui resti di inumati della tomba Uzzo I (8600) e<br />
Uzzo IV (9500), BELLUOMINI & DELITALIA 1981. Altre datazioni radiocarboniche per il<br />
Mesolitico della Sicilia si hanno per la Grotta della Molara (8000±100 BP, AA. VV.<br />
1996), per i livelli inferiori del Riparo di Perriere Sottano (8700±150 e 8460±70 BP,<br />
ARANGUREN & REVEDIN 1989-90).<br />
101
ginate e, contrastando con il colore della superficie di fondo, creano<br />
effetti di bicromia (ceramica cd. “bicromica”); successivamente<br />
appariranno ceramiche cd. “tricromiche”, in cui i motivi a bande<br />
sono marginati da linee di contorno più scure. Dopo uno sviluppo di<br />
sintassi decorative particolarmente complesse, con motivi dipinti di<br />
struttura meandro-spiralica e motivi plastici articolati, la facies finale<br />
del <strong>Neolitico</strong> vedrà la diffusione di un vasellame di forma piuttosto<br />
standardizzata, monocromo e a superfici lucide.<br />
Per la regione del Tavoliere foggiano, particolarmente ricca di testimonianze<br />
neolitiche, S. Tinè ha elaborato una tabella di successione<br />
di questi stili ceramici, suddividendo il <strong>Neolitico</strong> in varie fasi:<br />
rientrano nel <strong>Neolitico</strong> Inferiore le fasi denominate Prato Don Michele,<br />
Guadone, Lagnano da Piede e Masseria La Quercia; nel <strong>Neolitico</strong><br />
Medio quelle di Passo di Corvo, Scaloria Bassa, Cassano Ionio,<br />
Scaloria Alta e nel <strong>Neolitico</strong> Superiore quella di Diana-Bellavista. La<br />
sostanziale unitarietà di sviluppo del <strong>Neolitico</strong> dell’Italia meridionale<br />
ha fatto sì che questo schema, originariamente elaborato per<br />
l’area specifica del Tavoliere, sia stato spesso usato come falsariga<br />
per lo studio del <strong>Neolitico</strong> di tutto il settore meridionale della penisola.<br />
Gli scavi più recenti permettono di definire meglio questa cronologia<br />
relativa, da un lato associando datazioni assolute ai diversi stili<br />
ceramici, dall’altro evidenziando come essi non debbano essere<br />
considerati alla stregua di veri e propri paradigmi o “fossili guida”<br />
indicatori di fasi diverse. Le nuove scoperte mettono infatti in luce<br />
significative differenziazioni locali e altrettanto importanti associazioni<br />
tra vari stili, che non risultano dunque specifici ed esclusivi di<br />
un’unica fase cronologica. I più recenti scavi stratigrafici e le analisi<br />
statistiche condotte sui materiali recuperati, per esempio, mostrano<br />
all’interno del medesimo contesto stratigrafico una convivenza di<br />
ceramiche di stili diversi, i cui rapporti percentuali possono variare in<br />
senso diacronico, evidenziando dunque come le sequenze di stili<br />
siano definite da variazioni quantitative piuttosto che qualitative<br />
delle classi ceramiche, delle tecniche e dei motivi decorativi 151.<br />
151 MUNTONI 2000.<br />
102
La successione degli stili ceramici nella regione del Tavoliere<br />
(da Tiné)<br />
103
Come si è detto, le più antiche testimonianze di insediamenti neolitici<br />
sono quelle dell’area sudorientale della penisola, caratterizzate<br />
dalla cultura della Ceramica Impressa.<br />
Nel suo momento iniziale questa cultura ha un’estensione geografica<br />
che comprende principalmente il Tavoliere, la valle del fiume<br />
Ofanto, la costa della Puglia centrale, le Murge baresi e il Materano,<br />
con attestazioni anche nell’area salentina e intorno al Golfo<br />
di Taranto. Una facies a ceramiche impresse arcaiche affine a quella<br />
del Tavoliere è riscontrabile anche in Calabria e Sicilia, regioni<br />
che, per la loro peculiarità verranno trattate più avanti.<br />
L’ambiente risulta piuttosto diversificato, con ecosistemi che vanno<br />
dalle lagune costiere, determinatesi per innalzamento del livello<br />
del mare e favorite dalla presenza di cordoni dunari, agli altipiani<br />
calcarei delle Murge, attraversati da un reticolo di solchi erosivi (lame)<br />
e digradanti verso il mare.<br />
I dati paleoambientali, ricavati soprattutto dall’esame dei macroresti<br />
vegetali o dall’analisi dei resti antracologici e, in minor misura,<br />
da analisi palinologiche, evidenziano una certa estensione del<br />
querceto misto e di specie termofile mediterranee, che indicano un<br />
aumento della piovosità invernale e dell’umidità (favorevole alla<br />
coltivazione dei cereali), con periodi di aridità prolungata nei mesi<br />
estivi. Il paesaggio doveva dunque essere aperto e poco forestato,<br />
ricco di specie selvatiche (cervidi e bovidi) e particolarmente favorevole<br />
alle pratiche agricole.<br />
104<br />
Carta di distribuzione<br />
dei siti a<br />
Ceramica Impressa<br />
dell’Italia<br />
meridionale<br />
(prima metà del<br />
VI millennio):<br />
1. Isole Tremiti (Prato<br />
Don Michele) 2.<br />
Coppa Nevigata 3.<br />
Masseria Candelaro<br />
4. Pulo di Molfetta 5.<br />
Monteverde di Terlizzi<br />
6. Scamuso 7. Torre a<br />
Mare 8. Polignano a<br />
Mare, Grotta del<br />
Guardiano 9. Torre<br />
Canne 10. Rendina<br />
11. Trasano 12. Torre<br />
Sabea 13. Latronico<br />
14. Praia a Mare,<br />
Grotta della Madonna<br />
15. Favella di Sibari<br />
16. Capo Alfiere<br />
17. Curinga<br />
(da Cipolloni<br />
Sampò)
La dislocazione dei villaggi di questo periodo mostra una predilezione<br />
per la fascia costiera e per le valli, indiziando un’occupazione<br />
selettiva di territori caratterizzati dalla disponibilità di fonti idriche da<br />
un lato e, dall’altro, dalla presenza di terreni leggeri e ben drenati,<br />
particolarmente adatti alla<br />
cerealicoltura. Mentre gli abitati<br />
di maggiori dimensioni e di<br />
più lunga durata sono generalmente<br />
dislocati nei fondovalle<br />
o lungo la costa, sui terrazzi<br />
fluviali si nota la presenza<br />
di siti minori.<br />
L’economia di questi villaggi<br />
è incentrata sulla coltivazione<br />
Carta di distribuzione dei primi<br />
insediamenti agricoli nella Valle<br />
dell’Ofanto.<br />
(da Cipolloni Sampò)<br />
105<br />
di diverse specie di cereali<br />
(principalmente farro 152 e, in<br />
minor misura, orzo) e, in alcuni<br />
casi, delle leguminose, oltre<br />
che sull’allevamento degli o-<br />
vicaprini, con percentuali inferiori di bovini e suini (forse oggetto di<br />
una domesticazione secondaria, in loco 153 ). L’ampia variabilità delle<br />
specie coltivate può essere interpretata come una strategia per<br />
garantire il successo produttivo e limitare i danni in caso di condizioni<br />
climatiche sfavorevoli. Allo stesso modo può essere letta la diversificazione<br />
delle risorse animali: l’incidenza della fauna selvatica<br />
è generalmente scarsa e circoscritta alle zone a maggiore copertura<br />
boschiva ma, soprattutto nei siti costieri, l’economia produttiva<br />
risulta integrata dalla pesca, dalla raccolta di molluschi e, in generale,<br />
da uno sfruttamento delle risorse spontanee locali.<br />
A questo proposito vale la pena di citare l’importante sito di<br />
Coppa Nevigata, ubicato nell’area dell’antica laguna di Siponto,<br />
nel golfo di Manfredonia. Le prime indagini risalgono all’inizio del<br />
Novecento e sistematiche campagne di scavo sono state condotte<br />
a più riprese da S. Puglisi tra gli anni ’50 e ’70. Fu così portata alla<br />
luce una lunga stratigrafia, con fasi di occupazione che dal <strong>Neolitico</strong><br />
antico si susseguono sino alla fine dell’età del Bronzo.<br />
L’occupazione neolitica fu giudicata molto arcaica, per la presenza<br />
di punte microlitiche (industria cosiddetta “sipontiniana”), in<br />
152 Il farro è attestato nelle varianti a granella vestita Triticum monococcum, Tr.<br />
dicoccum e Tr. spelta e, molto più sporadicamente, in quelle a granella nuda Tr.<br />
aestivum e Tr. durum, peraltro già disponibili. Le ragioni di questa preferenza sono<br />
con ogni probabilità da individuare nella maggiore robustezza e resistenza dei<br />
frumenti vestiti. PERRINO et all. 2000.<br />
153 Le analisi archeozoologiche evidenziano infatti la presenza, accanto a individui<br />
di taglia medio-piccola sicuramente domestici, di soggetti di grossa taglia<br />
con caratteri tipici dell’uro (Bos primigenius). Questi elementi inducono a ipotizzare<br />
che i bovidi fossero in corso di domesticazione localmente già dalla fine del<br />
Mesolitico. WILKENS 1987; BÖKÖNY 1988-1989.
ase ai dati paleoconomici, che indicavano uno sfruttamento intensivo<br />
di molluschi e di risorse acquatiche e l’apparente assenza di<br />
attività agricole, e in virtù della data di 6200 BC ottenuta applicando<br />
il metodo del radiocarbonio a una conchiglia. La ripresa degli<br />
scavi negli anni Ottanta ha in parte modificato il quadro delle conoscenze:<br />
la scoperta di un fossato di recinzione e di semi di cereali,<br />
unitamente a nuove datazioni radiocarboniche, rendono infatti il sito<br />
di Coppa Nevigata del tutto analogo ai villaggi pienamente agricoli<br />
del Tavoliere.<br />
Villaggi trincerati del Tavoliere<br />
(da Bagolini)<br />
106<br />
Gli intensi lavori agricoli<br />
condotti in quest’area della<br />
penisola hanno purtroppo intaccato<br />
i depositi archeologici,<br />
decapitandone il piano<br />
di calpestio: gli abitati sono<br />
dunque noti soprattutto per<br />
le loro strutture negative<br />
(cioè sottoescavate), particolarmente<br />
visibili nelle foto<br />
aeree degli anni Quaranta<br />
raccolte da Bradford. Si tratta<br />
di villaggi circondati da<br />
fossati e caratterizzati da<br />
strutture interne a loro volta<br />
delimitate da fossati a forma<br />
di “C” (compounds), che saranno<br />
impiantati o utilizzati<br />
anche in fasi successive del<br />
<strong>Neolitico</strong> 154 .<br />
Gli scavi più recenti stanno<br />
producendo nuovi dati che<br />
integrano le scarse informazioni<br />
sinora disponibili sulle<br />
singole strutture abitative: nel<br />
sito di Balsignano (Murgia), per esempio, si sono messe in luce due<br />
capanne a pianta rettangolare, impostate su un vespaio costituito<br />
154 Il più celebre dei villaggi trincerati, quello di Passo di Corvo, individuato mediante<br />
foto aeree, sorge in prossimità di due abitati minori più antichi, Campo dei<br />
Fiori e Podere Fredella e fu occupato ininterrottamente per un periodo che va<br />
dalle fase di Masseria La Quercia a quella della ceramica tricromica stile Scaloria.<br />
Il fossato perimetrale principale delimita un’area di 130 ettari mentre l’area cinta<br />
da fossati concentrici, vero e proprio nucleo dell’abitato, ha un’estensione di 40<br />
ettari. Situazioni analoghe si riscontrano in altri villaggi del Tavoliere ed è probabile<br />
che buona parte dello spazio delimitato dal fossato principale fosse adibita alla<br />
coltivazione. Le strutture interne di questi villaggi sono costituite da pozzetti e<br />
da piccoli fossati a C, che forse circondavano le singole unità abitative, purtroppo<br />
poco conosciute. A Passo di Corvo, peraltro, è stata messa in luce una capanna<br />
di forma absidata.
da pietre di piccola pezzatura e delimitate da muretti di blocchi<br />
calcarei. Le pareti erano state realizzate con la tecnica<br />
dell’”incannucciato”, cioè con un’intelaiatura di elementi lignei e<br />
un intreccio di rami e fibre vegetali rivestiti da uno strato di intonaco<br />
argilloso, di cui si sono recuperate ingenti quantità 155.<br />
Ceramica impressa (da Cipolloni Sampò)<br />
155 Lo studio degli intonaci è di fondamentale importanza per la ricostruzione<br />
delle strutture abitative e delle dinamiche di abbandono e di crollo. Spesso il rivestimento<br />
argilloso è stato sottoposto a processi di combustione, volontaria o accidentale,<br />
che lo hanno indurito e che hanno preservato le impronte degli elementi<br />
vegetali che costituivano l’intelaiatura delle abitazioni. Mentre la quantità<br />
e la distribuzione dei noduli di intonaco (concotto) crollati possono aiutare a ricostruire<br />
la pianta e l’alzato delle strutture abitative, le analisi archeometriche forniscono<br />
interessanti indicazioni di dettaglio: la caratterizzazione dei componenti<br />
permette di identificare le materie prime impiegate e la loro provenienza, mentre<br />
la misurazione del termomagnetismo residuo (TMR), attraverso l’esame<br />
dell’orientamento degli elettroni degli ossidi di ferro, permette di stabilire la posizione<br />
originaria dell’intonaco rispetto alla struttura e l’epoca di incendio. TOZZI &<br />
TASCA 1989; FIORENTINO et all. 2000.<br />
107
Per quanto concerne la cultura materiale, nello stile di Prato Don<br />
Michele accanto alla caratteristica ceramica di impasto grossolano,<br />
decorata a impressioni di vario tipo (unghiate, pizzicature, conchiglia)<br />
sono talora presenti forme inornate in ceramica d’impasto<br />
o in ceramica fine ben depurata, a superfici lisce o brunite.<br />
Gli scavi in siti pluristratificati (come Rendina o Trasano) mostrano<br />
come, nella sua fase più antica, la decorazione impressa tenda a<br />
essere organizzata in sintassi semplici che coprono tutta la superficie<br />
del vaso mentre successivamente si organizzeranno in schemi più<br />
articolati (stile del Guadone).<br />
Lo stile del Guadone (che prende nome dal villaggio omonimo,<br />
presso San Severo, scavato da S. Tiné durante gli anni Sessanta) è<br />
stratigraficamente associato a livelli che si sovrappongono a quelli<br />
a Ceramica Impressa arcaica e che precedono la comparsa della<br />
ceramica dipinta. Le datazioni al 14 C ottenute per il sito di Rendina<br />
sono 5160±140 e 4490±150 bc. La ceramica di questo periodo presenta<br />
forme decorate con motivi complessi e organizzati sintatticamente<br />
sulla superficie del vaso (es. motivi a zig-zag, triangoli, losanghe,<br />
figure antropomorfe stilizzate etc.) e sono documentate<br />
anche nuove tecniche come il tremolo e il micro-rocker.<br />
Il rituale funerario prevede l’inumazione del cadavere in posizione<br />
rattratta sul fianco sinistro. Le sepolture erano costituite da fosse<br />
ovali prive di corredo, scavate nell’area dell’abitato. È attestato<br />
l’uso dell’ocra. Sono riconducibili alla sfera rituale anche le figurine<br />
muliebri in terracotta, solitamente frammentate.<br />
Ceramiche di stile Guadone da<br />
Lama Marangia<br />
(da Geniola)<br />
108<br />
Figurina fittile femminile da Rendina<br />
(da Cipolloni Sampò)
Ceramica Impressa evoluta<br />
(da Cipolloni Sampò)<br />
L’areale geografico comprende ora anche il Molise, l’Abruzzo<br />
meridionale e la fascia nordorientale della Campania. In Puglia ha<br />
inizio una penetrazione verso l’interno, sino ai primi contrafforti della<br />
Murgia e si intensifica l’occupazione del Salento e del Golfo di Taranto<br />
dove, tuttavia, i villaggi hanno un’estensione inferiore rispetto<br />
a quelli del Tavoliere.<br />
109
Carta di distribuzione<br />
dei siti della<br />
facies del<br />
Guadone (seconda<br />
metà del<br />
VI millennio):<br />
1.Guadone 2. La Defensola<br />
3. Ripa Tetta<br />
4. Masseria Candelaro<br />
5. Casalbore 6. La<br />
Starza 7. Lagnano da<br />
Piede 8. Rendina 9.<br />
Oliveto 10. Molfetta<br />
11. Monteverde di<br />
Terlizzi 12. Lama Marangia<br />
13. Scamuso<br />
14. Matera.<br />
(da Cipolloni<br />
Sampò)<br />
Gli scavi di Rendina, nella media valle dell’Ofanto, sono stati<br />
condotti a partire dal 1970 e, grazie alla loro estensione, hanno<br />
messo in luce un villaggio trincerato con diversi livelli di occupazione<br />
riferibili a varie fasi della Ceramica Impressa. Nella fase più antica<br />
(Rendina I – metà del VI millennio circa) il villaggio era delimitato<br />
sul lato orientale da un ampio fossato, che, oltre al vero e proprio<br />
nucleo abitativo, recintava spazi aperti, forse destinati alla coltivazione<br />
o all’allevamento. I dati paleoconomici permettono, del resto,<br />
di evidenziare la pratica di agricoltura e allevamento sin dalle<br />
fasi più antiche, con scarsa incidenza della caccia. Le abitazioni<br />
avevano una pianta rettangolare, a volte absidata; un solo edificio<br />
risulta diviso in due ambienti e presenta al suo interno un focolare<br />
presso il quale è stata rinvenuta una statuina fittile femminile frammentaria.<br />
Sono inoltre presenti pozzetti foderati di intonaco<br />
all’interno o all’esterno delle abitazioni e alcune sepolture rannicchiate<br />
senza corredo ma con tracce di ocra intorno al cranio e alle<br />
spalle. Una di queste sepolture, appartenente a un individuo adulto,<br />
era collocata al centro del villaggio e coperta da una struttura<br />
lignea. Le ceramiche di questa fase comprendono recipienti di<br />
forma semplice e di impasto grossolano, con decorazioni a impressioni,<br />
e scodelle di impasto semifine inornate o con decorazioni plastiche.<br />
Nelle successive fasi di occupazione il fossato viene colmato e le<br />
capanne presentano dimensioni sempre più piccole. La fase Ren-<br />
110
dina II (con date radiocarboniche collocate tra 5160±150 e<br />
4490±150) presenta materiali inquadrabili nello stile del Guadone:<br />
continua la produzione di ceramica impressa grossolana, a cui si<br />
aggiungono ceramiche semifini ornate a rocker e micro-rocker con<br />
motivi decorativi nuovi 156.<br />
Un’analoga successione si riscontra nel villaggio di Trasano, segnalato<br />
da D. Ridola negli anni Venti e oggetto di scavi sistematici<br />
e in estensione condotti tra 1984 e1991 da un’équipe italo-francese<br />
diretta da G. Cremonesi e J. Guilaine. Ubicato nel Materano, tra<br />
Murgia Timone, Serra d’Alto e Tirlecchia, Trasano è uno dei più antichi<br />
villaggi agricoli dell’Italia meridionale, il cui impianto è inquadrabile<br />
nella facies della ceramica impressa arcaica. Tra i resti strutturali<br />
più importanti si segnalano due forni in terracotta a pianta circolare<br />
con copertura a cupola e tratti di muri in calcare e calcarenite<br />
locale delimitanti recinti circolari del diametro di 20 m circa,<br />
probabilmente adibiti a contenere il bestiame. Il villaggio fu occupato<br />
per un lungo arco di tempo e, oltre a un’importante serie stratigrafica<br />
per l’orizzonte a Ceramica Impressa, ha restituito anche<br />
materiali riferibili alla ceramica bicromica a bande rosse e allo stile<br />
di Serra d’Alto. La sequenza stratigrafica ha permesso di articolare<br />
lo sviluppo delle ceramiche impresse in una serie di fasi: in quella più<br />
antica (per la quale si hanno date radiocarboniche comprese tra<br />
6255 e 5310 a.C.) predomina una decorazione impressa coprente,<br />
con modeste presenze di motivi a rocker e a sequenze 157 e con un<br />
progressivo aumento delle decorazioni a conchiglia dentellata<br />
(Cardium e Glycimeris); successivamente (nella fase II) si affermano<br />
un trattamento più accurato delle superfici, motivi a sequenza e a<br />
rocker a solco liscio(con date comprese tra 6325 e 5250 a.C.), poi<br />
motivi a linee dentellate e graffite (6090÷5325 a.C), talora associate<br />
a bande brune dipinte all’interno, infine, nell’ultima fase (5230÷3955<br />
a.C.), sono presenti le ultime ceramiche impresse associate a ceramica<br />
d’impasto dipinta a bande non marginate e graffita 158 .<br />
L’industria litica dei siti della Ceramica Impressa è prevalentemente<br />
su scheggia e il ruolo del substrato è ancora molto significativo<br />
(sino al 60%). Dopo le fasi più antiche si diffonde l’industria cd.<br />
“Campignana”, caratteristica dell’area garganica dove, a partire<br />
dalla fine del VI millennio, era già sfruttata la miniera di selce della<br />
Defensola 159: si tratta di strumenti bifacciali probabilmente destinati<br />
156 CIPOLLONI SAMPÒ 1982: CIPOLLONI SAMPÒ 1988-89.<br />
157 Con questa espressione si indicano motivi decorativi praticati su recipienti<br />
essiccati (a “consistenza cuoio”) mediante piccole impressioni fortemente serrate<br />
o parzialmente sovrapposte a formare una linea.<br />
158 GUILAINE & CREMONESI 1987; GUILAINE, CREMONESI, RADI & COULAROU 1990; RADI &<br />
GRIFONI CREMONESI 1985; RADI et all. 2000.<br />
159 La miniera della Defensola, ubicata lungo la costa settentrionale del Gargano,<br />
nei pressi di Vieste, è stata scoperta nel 1981 ed è tuttora oggetto di scavi<br />
e ricerche. È stato possibile individuare due piani sovrapposti scavati in strati calcarei<br />
di età eocenica. Il livello superiore, in corso di scavo, risulta riempito di detriti<br />
e attraversato da corridoi delimitati da muretti a secco, lungo i quali è stato pos-<br />
111
al diboscamento e al taglio del legno, in uso sino all’età del Bronzo.<br />
Sono inoltre presenti strumenti in pietra levigata (pestelli, macine<br />
etc. in roccia vulcanica) e manufatti in ossidiana, più frequenti nei<br />
siti legati alla Calabria (es. Latronico 3, Torre Sabea) 160 .<br />
Per molto tempo l’inquadramento cronologico della cultura della<br />
Ceramica Impressa si è basato sulla dibattuta cronologia del sito<br />
foggiano di Coppa Nevigata: come si è visto, una data molto precoce<br />
(6200 a.C.) sembrava compatibile con una fase di passaggio<br />
dal Mesolitico al <strong>Neolitico</strong>, che si riteneva comprovata anche<br />
dall’economia del villaggio, ancora ampiamente basata sulla raccolta<br />
(es. quella dei molluschi). Le datazioni effettuate in anni più<br />
recenti su semi carbonizzati e mediante acceleratore di particelle<br />
hanno invece fornito esiti diversi: alla data radiocarbonica di<br />
5830±320, con deviazione standard molto ampia, si aggiungono<br />
date ottenute con il metodo della termoluminescenza che si attestano<br />
tra 6380±1670 e 5500±1500 161 . Un’ulteriore serie di datazioni<br />
radiometriche ottenute per i siti di Scamuso, Rendina, Trasano, Torre<br />
Canne 162 , Santa Tecchia, Grotta della Madonna di Praia a Mare<br />
conferma che la fase iniziale di questa cultura deve essere collocata<br />
tra la seconda metà del VI millennio a.C. e l’inizio del V.<br />
In una fase avanzata della Ceramica Impressa fa la sua comparsa<br />
anche la ceramica graffita, spesso associata a quella dipinta. Le<br />
sintassi decorative, a volte incrostate di pasta bianca, appaiono<br />
ora molto diversificate e organizzate in fasce orizzontali collocate<br />
sotto l’orlo.<br />
Questo stile ceramico, talora indicato come “Matera-Ostuni”, è<br />
caratteristico della Puglia centro-meridionale e della Basilicata orientale<br />
(Murge baresi e Materano). In generale, si osserva una occupazione<br />
anche delle aree più interne, con sfruttamento di zone<br />
ecologiche diversificate e sono attestate anche occupazioni in<br />
grotta, a scopo rituale o funerario (es. Grotta S. Angelo di Ostuni 163 ).<br />
sibile recuperare ceramiche, strumenti litici e lucerne. Nei pressi dell’ingresso è invece<br />
stata individuata un’area di scheggiatura<br />
160 In questo periodo nei siti calabresi (più aperti agli influssi occidentali e,<br />
quindi, ai contatti con le fonti di approvvigionamento di ossidiana) i manufatti in<br />
ossidiana costituiscono l’80% dell’industria.<br />
161 WHITEHOUSE 1987. CASSANO & MANFREDINI 1985. CASSANO, CAZZELLA, MANFREDINI &<br />
MOSCOLONI 1987.<br />
162 Gli scavi del 1971 a Torre Canne hanno messo in luce resti di capanne con<br />
ceramiche impresse, incise e graffite, industria litica laminare, asce in pietra levigata,<br />
macine e macinelli e vari resti botanici. Questi ultimi hanno fornito una datazione<br />
radiocarbonica al 6900±80 BP non cal. COPPOLA 1987.<br />
163 La cavità carsica della grotta S. Angelo fu utilizzata a scopo di culto sia nel<br />
<strong>Neolitico</strong> che nell’età del Rame. Le ricerche del 1984 hanno messo in luce, al di<br />
sopra del deposito pleistocenico dello strato III, un focolare circondato di pietre e<br />
un’area cosparsa di semi carbonizzati di Triticum dicoccum datati con il metodo<br />
del radiocarbonio a 6890±70 BP. Il livello successivo consiste in un piano di pietre<br />
su cui furono allestiti altri focolari e buche contenenti cereali carbonizzati (datati<br />
6530±70 BP). Tra i resti rinvenuti si segnalano ceramiche impresse evolute e cera-<br />
112
Ceramica graffita<br />
(da Cipolloni Sampò)<br />
miche graffite con motivi geometrici lineari, industria litica e resti di animali domestici.<br />
COPPOLA 1995.<br />
113
L’aspetto successivo è quello di Lagnano da Piede (dal sito omonimo<br />
del Tavoliere scavato verso la fine degli anni Settanta). Caratteristica<br />
di questa facies è la ceramica dipinta con motivi geometrici<br />
a bande strette che, nelle sequenze stratigrafiche, appare sporadicamente<br />
in associazione con la ceramica stile Guadone 164 per<br />
poi affermarsi autonomamente. Le date radiocarboniche attualmente<br />
disponibili collocano la fase Guadone/Lagnano intorno a<br />
4750±100 e 4840±225 bc (Lagnano da Piede). Una data analoga<br />
(4860±150) proviene dal sito di Trasano dove ceramica tipo Lagnano<br />
è associata a ceramica graffita.<br />
L’areale geografico è compreso tra il Tavoliere e il Materano e<br />
coincide con quello del Guadone, mentre nella Puglia centrale<br />
questa ceramica risulta sempre associata a vasellame decorato<br />
con uno stile differente (es. ceramica graffita). La continuità rispetto<br />
alle fasi precedenti è segnata anche dal proseguire<br />
dell’occupazione di villaggi trincerati con strutture a C.<br />
In alcune sequenze stratigrafiche (es. Masseria Valente) la fase di<br />
Lagnano da Piede è seguita da quella di Masseria La Quercia che,<br />
a sua volta, in altre sequenze risulta precedere lo stile di Passo di<br />
Corvo (es. Foggia-Villa Comunale, Passo di Corvo, Campo dei Fiori).<br />
164 La parziale contemporaneità di questi due stili è confermata dalla decorazione<br />
mista di alcuni recipienti, con decorazione impressa tipo Guadone sulla superficie<br />
esterna e dipinta tipo Lagnano da Piede su quella interna.<br />
114<br />
Gruppo delle ceramiche<br />
graffite<br />
(seconda metà<br />
del VI millennio):<br />
1.Guadone 2. Ripa<br />
Tetta 3. Monteverde<br />
di Terlizzi 4. Scamuso<br />
5. Ostini 6. Trasano 7.<br />
Matera (Tirlecchia e<br />
Serra d’Alto) 8. Masseria<br />
Le Fiatte 9. Oria<br />
10. Francavilla Fontana<br />
11. Grotta della<br />
Trinità.<br />
(da Cipolloni<br />
Sampò)
Le date radiometriche disponibili per questa fase (che prende<br />
nome dall’omonimo sito trincerato del Tavoliere Foggiano, già individuato<br />
dal Bradford mediante foto aeree) non sono molto numerose.<br />
A Foggia-Villa Comunale risalgono a questo periodo i livelli basali<br />
del riempimento del fossato, datati 4800±220 bc 165. Le due date<br />
ottenute per Scaramella di San Vito (5050±100 e 4590±65 bc) sembrerebbero<br />
indicare una lunga durata di questa fase.<br />
Lo stile di Masseria La Quercia è localizzato soprattutto nel Tavoliere,<br />
con sporadiche attestazione in contesti diversi della valle<br />
dell’Ofanto, delle Murge Barese e Materana. Gli abitati sono spesso<br />
di ampie dimensioni, cinti da uno o più fossati concentrici e caratterizzati<br />
da strutture a C. In alcuni siti è stato possibile riconoscere anche<br />
la forma di alcune capanne (subcircolari o rettangolari).<br />
165 I primi ritrovamenti nell’area della Villa Comunale di Foggia risalgono agli<br />
anni Settanta quando, a seguito di lavori pubblici, furono portate alla luce alcune<br />
sepolture neolitiche. Gli scavi sistematici condotti successivamente su un’area di<br />
20 x 10 m hanno invece messo in evidenza un tratto di fossato a sezione trapezoidale,<br />
con una larghezza massima di 2,5 m e una profondità di 2,1 m, nel cui riempimento<br />
si sono riconosciuti due livelli (strati I e II). Sono inoltre presenti buche di<br />
palo e strutture a fossa, una delle quali interpretata dagli Autori come silos. Le ceramiche<br />
sono in parte riconducibili allo stile di Masseria la Quercia, mentre predominano<br />
quelle a bande rosse della cultura di Passo di Corvo. TUNZI SISTO 1993 e<br />
1994.<br />
115<br />
Carta di distribuzione<br />
dei siti della<br />
facies di Masseria<br />
La Quercia (seconda<br />
metà del VI<br />
millennio):<br />
1. Santa Tecchia 2.<br />
Campo dei Fiori 3. Foggia,<br />
Villa Comunale 4.<br />
Masseria Candelaro 5.<br />
Monte Aquilone 6. Passo<br />
di Corvo 7. Scaramella<br />
di San Vito 8.<br />
Masseria La Quercia.<br />
(da Cipolloni<br />
Sampò)
La facies di Masseria La Quercia<br />
(da Cipolloni Sampò)<br />
116
La ceramica è realizzata in argilla più o meno depurata e sono<br />
documentate varie tecniche. Accanto alle impressioni (soprattutto<br />
a tremolo) e alle incisioni, sono presenti decorazioni dipinte a motivi<br />
geometrici (triangoli, scacchiere, zig-zag) o antropomorfi stilizzati.<br />
Questi ultimi sembrano confrontabili con alcune pitture parietali,<br />
probabilmente coeve, della Grotta dei Cervi di Porto Badisco.<br />
L’interesse per la figura umana è documentato anche da protomi<br />
fittili e da un frammento di figurina femminile in terracotta da Passo<br />
di Corvo. La novità più significativa si coglie tuttavia nell’analisi delle<br />
industrie litiche che, per la prima volta, presentano una significativa<br />
componente laminare (es. Scaramella di San Vito).<br />
Come si è visto, nella stratigrafia del fossato di Foggia-Villa Comunale<br />
alla ceramica tipo Masseria La Quercia segue una ceramica<br />
figulina (cioè particolarmente depurata) dipinta con motivi<br />
realizzati in bianco, che caratterizza la fase più antica dello stile di<br />
Passo di Corvo (definizione coniata da A. Radmilli e derivante<br />
dall’omonima masseria 166 .<br />
117
La facies di Passo di Corvo (da Cipolloni Sampò)<br />
Nella sequenza proposta da Tiné per il Tavoliere questo stile ricade<br />
nella fase IV A; i motivi, dipinti sul fondo naturale dei vasi o su<br />
una ingabbiatura rossa, si organizzano in fasce orizzontali di sintassi<br />
geometriche.<br />
La fase successiva (Passo di Corvo tipico o IV A2) è invece caratterizzata<br />
da ceramica figulina dipinta a bande rosse. Le datazioni<br />
radiocarboniche collocano questo stile tra il V millennio e l’inizio del<br />
IV 167 .<br />
Questo stile ceramico risulta talora esclusivo, ma più spesso accompagna<br />
ceramiche impresse o graffite di tipo evoluto; è diffuso<br />
su un areale che comprende il Tavoliere, la valle dell’Ofanto, Materano<br />
e Murgia barese (il sito più occidentale è costituito dalla grotta<br />
3 di Latronico).<br />
167 Il livello con ceramiche dipinte di bianco rilevato nel fossato di Foggia-Villa<br />
Comunale ha una datazione di 4800±220 bc. Per la fase “classica” dello stile di<br />
Passo di Corvo si hanno le seguenti date: 4900±130 (Foggia-Villa Comunale livelli<br />
7-8-9), 4190±120 (Passo di Corvo), 3900±55 (Porto Badisco), 4370±80 e 3870±70<br />
(Scamuso).<br />
118<br />
Carta di distribuzione<br />
dei siti della<br />
facies di Passo<br />
di Corvo (V millennio):<br />
1. Passo di Corvo 2. S.<br />
Tecchia 3. Foggia,<br />
Villa Comunale 4.<br />
Olivento 5. Leonessa<br />
6. Molfetta 7. Scamuso<br />
8. Trasano 9. Matera<br />
(Murgecchia,<br />
Murgia Timone, Setteponti,<br />
Serra d’Alto,<br />
Trasanello) 10. Rutigliano<br />
11. Grotta Pacelli<br />
12. Oria 13. Avetrana<br />
14. Grotta delle<br />
Veneri 15. Porto Badisco<br />
16. Cetrangolo<br />
17. Latronico 18. Cassano<br />
Ionio 19. Grotta<br />
Pavolella 20. Grotta<br />
della Madonna di<br />
Praia a Mare<br />
(da Cipolloni<br />
Sampò)
Le sepolture di questo periodo seguono lo stesso rituale evidenziato<br />
nelle fasi precedenti (inumazione rattratta sul fianco sinistro e<br />
assenza di corredo) e sono collocate all’interno dei villaggi (es. a<br />
Passo di Corvo) o di grotte frequentate a scopo di culto (es. Grotta<br />
Funeraria presso Matera). A pratiche rituali rimanda anche la porzione<br />
superiore di una figurina fittile femminile da Passo di Corvo.<br />
La ceramica di Passo di Corvo è impropriamente definita bicro-<br />
119<br />
Il villaggio trincerato<br />
di Passo di<br />
Corvo<br />
(da Tinè)<br />
Le strutture a “C”<br />
di Passo di Corvo<br />
in fase di scavo<br />
(da Tinè)
mica 168 e viene distinta dalla ceramica tricromica della fase successiva.<br />
Con questa espressione vengono raggruppate facies in parte differenti,<br />
accomunate da decorazioni di colore rosso con margini neri<br />
organizzate secondo stili diversi:<br />
Scaloria Bassa: (dal nome di una grotta della Puglia settentrionale)<br />
con bande marginate da frange nere ottenute in negativo (analoghe<br />
a quelle della ceramica del sito abruzzese di Catignano)<br />
Capri: con bande rosse e caratteristici motivi a “fiamma” marginati<br />
di nero, fasci di linee brune e file di punti. Si tratta di uno stile<br />
molto caratteristico e diffuso soprattutto in contesti funerari. Ceramiche<br />
di questo tipo compaiono anche in Sicilia, in una fase evoluta<br />
della ceramica impressa tipo Stentinello.<br />
Scaloria Alta: con motivi a bande rosse marginate organizzate in<br />
meandri, spirali, semilune, motivi a fiamma etc.<br />
Queste ceramiche, che per la loro<br />
raffinatezza costituivano senza<br />
dubbio un bene di prestigio 169 prodotto<br />
da artigiani specializzati, hanno<br />
una distribuzione soprattutto costiera<br />
e sembrerebbero indicare la<br />
presenza di scambi commerciali. A<br />
conferma di questa ipotesi si può citare<br />
anche l’incremento nella circolazione<br />
di ossidiana che in alcune<br />
grotte (es. Grotta delle Felci a Capri)<br />
risulta preponderante.<br />
Vaso dipinto nello stile della Scaloria<br />
Bassa, dalla grotta eponima<br />
(da Tinè)<br />
Questo periodo vede un generale spopolamento dei grandi villaggi<br />
trincerati del Materano e un incremento nella complessità delle<br />
pratiche rituali: si intensifica la frequentazione di grotte, anche a<br />
scopo funerario.<br />
Come si è detto, nella Grotta delle Felci (Capri) si osserva la deposizione<br />
di vasi dipinti all’interno delle sepolture e si sono recuperati<br />
ciottoli dipinti in ocra con raffigurazioni antropomorfe. Nella grotta<br />
Pavolella di Cassano Ionio (Cosenza) si sono trovati resti di almeno<br />
168 In realtà il colore utilizzato è uno solo e l’impressione di una bicromia è conferita<br />
soltanto dal contrasto delle figure dipinte rispetto allo sfondo rossiccio della<br />
ceramica.<br />
169 Si veda, a tale proposito, la caratterizzazione prevalentemente funeraria<br />
dei contesti che hanno restituito ceramiche tricromiche dello stile “Capri”.<br />
120
venti individui, per lo più di giovane età, parzialmente combusti. Più<br />
di venti individui (prevalentemente donne e bambini) erano stati inumati<br />
in una fossa comune all’imboccatura della grotta Scaloria.<br />
In questa stessa cavità, ma nella zona più profonda, è documentato<br />
anche il culto delle acque: vasi dipinti destinati alla raccolta delle<br />
acque di stillicidio erano infatti stati disposti al di sopra di un letto<br />
di stalagmiti appositamente spezzate.<br />
121
Con l’orizzonte della ceramica tricromica inizia l’occupazione<br />
dell’acropoli di Lipari, il “Castello”, una roccia di origine vulcanica<br />
che sorge isolata in riva al mare e in prossimità di buoni approdi, naturalmente<br />
difesa da rupi verticali alte sino a 45 m e in posizione<br />
dominante su una fertile piana retrostante. Gli scavi hanno messo in<br />
luce una stratigrafia che raggiunge la potenza considerevole di 10<br />
m e che comprende livelli che dal <strong>Neolitico</strong> Medio si susseguono sino<br />
al periodo ellenistico e romano.<br />
La ceramica tricromica<br />
(da Cipolloni Sampò)<br />
Nella sequenza stratigrafica di Lipari tra i livelli caratterizzati da<br />
ceramiche dipinte nello stile di Capri (3250 a.C.), che poggiano direttamente<br />
sulla roccia sterile, e quelli con ceramiche tipo Diana<br />
(3050 a.C.) si colloca la fase di Serra d’Alto, che prende nome<br />
dall’omonimo sito del Materano scavato all’inizio del Novecento da<br />
U. Rellini. Altre date radiocarboniche collocano questo insieme nel<br />
V millennio a.C. (in cronologia calibrata).<br />
Lo stile di Serra d’Alto, documentato soprattutto in contesti fune-<br />
122
ari, è caratterizzato da recipienti di foggia elaborata ed elegante,<br />
piuttosto standardizzata, realizzati in ceramica figulina. Le decorazioni<br />
sono plastiche (con applicazioni e protomi zoomorfe) o dipinte<br />
con motivi meandro-spiralici. Come per la ceramica tricromica tipo<br />
Capri, la caratterizzazione funeraria e l’alta qualità di questi prodotti<br />
fanno pensare a beni di prestigio.<br />
Anche la diffusione al di fuori dell’areale tipico (individuabile nella<br />
costa Salentina e nella Murgia Materana, ove spesso le ceramiche<br />
Serra d’Alto si rinvengono in contesti funerari che rioccupano<br />
antiche sedi della Ceramica Impressa) sembra avvalorare questa<br />
ipotesi e conferma l’esistenza di intensi scambi commerciali. Oltre<br />
che in Puglia, Basilicata, Calabria, Campania, isole Eolie, Sicilia e<br />
Malta, ceramiche tipo Serra d’Alto sono state occasionalmente rinvenute<br />
in Lazio, Toscana e nell’Italia settentrionale: molto significativa,<br />
a questo proposito, l’olletta che faceva parte del corredo di<br />
una tomba della necropoli della Vela di Trento, della cultura dei<br />
Vasi a Bocca Quadrata.<br />
Lo stile di Serra d’Alto<br />
(da Cipolloni Sampò)<br />
123
L’economia della cultura di Serra d’Alto, oltre che da traffici a<br />
lunga distanza, è caratterizzata dall’agricoltura e dalla comparsa di<br />
pratiche pastorali: alcuni manufatti fittili (es. colini) sembrano suggerire<br />
una lavorazione del latte e le occupazioni in grotta (non più solo<br />
a scopo funerario o cultuale) sono talora interpretate come indizi<br />
della pratica della transumanza, che prevedeva soggiorni in tappe<br />
diverse.<br />
I rituali funerari appaiono ora maggiormente formalizzati: sono<br />
presenti vere e proprie necropoli (Serra d’Alto, Pulo di Molfetta 170 ),<br />
grotte adattate all’uso funerario (es. Cala Colombo 171 e Cala Sciz-<br />
170 Il Pulo di Molfetta è una grande dolina di origine carsica formatasi nel Calcare<br />
di Bari. I primi ritrovamenti risalgono addirittura al XVIII secolo, epoca nella<br />
quale fu impiantata nell’area una miniera per l’estrazione del salnitro, ma ricerche<br />
sistematiche si sono avute solo nel corso del Novecento, con il ritrovamento<br />
di un importante insediamento del <strong>Neolitico</strong> antico. L’occupazione sembra aver<br />
avuto inizio nel VI millennio, come documentano vari recipienti ceramici decorati<br />
a impressioni, ed essersi protratta nel V e nel IV millennio: sono infatti attestate ceramiche<br />
dipinte bicromiche (stile Passo di Corvo), tricromiche (stile Scaloria), nello<br />
stile di Serra d’Alto e, infine, di tipo Diana. Mentre non si dispone di dati precisi riguardo<br />
la planimetria dell’insediamento nelle varie fasi, si hanno informazioni<br />
maggiori riguardo una vera e propria necropoli, costituita da 56 tombe a inumazione<br />
rattratta entro fosse foderate con massi di calcare con corredi riconducibili<br />
alla fase di Serra d’Alto. RADINA 1983.<br />
171 A Cala Colombo è stata rinvenuta una piccola necropoli allestita nella calcarenite.<br />
Uno degli ipogei, di forma allungata, conteneva i resti di almeno 24 in-<br />
124<br />
Carta di distribuzione<br />
delle ceramiche<br />
tipo Serra<br />
d’Alto (V millennio)<br />
(da Cipolloni<br />
Sampò)
zo) e vere e proprie tombe ipogee(es. Santa Barbara – ipogeo<br />
Manfredi 172). Nel sito di Trasano, poi, i livelli dello stile di Serra d’Alto<br />
sono caratterizzati dalla presenza di numerosi silos a campana, con<br />
imboccatura sigillata da blocchi di pietra, uno dei quali adibito a<br />
cella funeraria per due inumati accanto ai quali erano stati deposti<br />
un cranio di bue e una ciotola.<br />
Le cavità naturali continuano ad essere frequentate a scopo rituale,<br />
come la Grotta Pacelli, presso Bari, dove, in un settore delimitato<br />
da un muro di blocchi calcarei formanti una struttura absidata,<br />
è stata rinvenuta un’elegante testina fittile in terracotta.<br />
Di particolare importanza, a questo proposito, è la Grotta dei<br />
Cervi di Porto Badisco: parte di un sistema carsico formatosi nei depositi<br />
calcarei dell’Oligocene, fu scoperta da un gruppo di speleologi<br />
nel 1970 e indagata negli anni successivi da F. G. Lo Porto. I materiali<br />
recuperati nei depositi di riempimento documentano<br />
un’occupazione della grotta dal <strong>Neolitico</strong> all’età del Rame. Il livello<br />
inferiore, direttamente poggiante sullo sterile, comprendeva ceramiche<br />
dipinte a bande rosse e ceramiche graffite. A questo seguiva<br />
un livello con ceramiche Serra d’Alto e Diana e, infine, un livello<br />
con resti eneolitici riferibili alla cultura di Piano Conte. L’importanza<br />
della grotta è tuttavia legata soprattutto alle pitture parietali che<br />
decorano tre dei suoi corridoi interni, la cui pianta è stata artificialmente<br />
regolarizzata dall’uomo. Le pitture sono realizzate prevalentemente<br />
a monocromo con un pigmento di colore bruno di tonalità<br />
più o meno intensa, ricavato dal deposito di guano fossile di uno<br />
dei corridoi, ma sono attestate anche figure realizzate con un colore<br />
rosso più brillante, ricavato da ossido di ferro ed ematite. I soggetti<br />
raffigurati sono di carattere sia figurativo che non-figurativo,<br />
con varie gradazioni intermedie a seconda della maggiore o minore<br />
stilizzazione delle immagini. Il repertorio figurativo comprende<br />
immagini antropomorfe e zoomorfe, spesso assemblate a definire<br />
scene di caccia, o rappresentazioni di oggetti d’uso, mentre quello<br />
dividui associati a strumenti in pietra e a ceramiche dipinte nello stile di Serra<br />
d’Alto e di Diana-Bellavista.<br />
172 L’ipogeo Manfredi è ubicato ai margini del sito neolitico di S. Barbara ed è<br />
stato scavato in una formazione di calcarenite a ridosso di un fossato più antico,<br />
in parte rimaneggiato proprio durante i lavori di escavazione. La pianta, piuttosto<br />
articolata, è imperniata intorno a un corridoio di accesso inclinato (dromos), lungo<br />
6 m, che attraversa l’antico fossato (appositamente sbarrato con muri a secco)<br />
e conduce a un ingresso di forma squadrata attraverso il quale si accede a<br />
un vestibolo di forma ellissoidale. Lungo le pareti di quest’ultimo sono stati rinvenuti<br />
crani di cervidi muniti di corna. Un corridoio in asse con l’entrata conduce<br />
poi alla grande camera sepolcrale, anch’essa ricca di resti faunistici di cervidi. La<br />
sepoltura a inumazione era collocata nella parte sudoccidentale della camera e<br />
lungo le pareti si osservano segni cruciformi incisi e nicchie scavate nella roccia,<br />
interpretate come “poggia-lucerne”. Tra i resti culturali sono documentate ceramiche<br />
dipinte nello stile di Serra d’Alto e strumenti litici o in osso. Le datazioni radiocarboniche<br />
sono comprese tra 3850±120 e 3670±130 a.C. GENIOLA 1987.<br />
125
non-figurativo si articola in motivi di ispirazione antropomorfa, zoomorfa<br />
o in motivi del tutto astratti (definiti anche “emblematici”).<br />
La progressiva stilizzazione delle figure umane produce come esiti<br />
figure a bastone, a clessidra, a losanga, a croce greca e, addirittura,<br />
a spirale, con una tendenza alla proliferazione barocca di motivi<br />
spiraliformi o a meandro che trova confronto nelle decorazioni della<br />
ceramica di Serra d’Alto e in quelle parietali dell’ipogeo maltese<br />
di Hal Saflieni. Le figure animali stilizzate si presentano invece soprattutto<br />
sottoforma di semplici motivi “a pettine”.<br />
Il processo di Neolitizzazione della Sicilia non è ancora ben conosciuto,<br />
anche a causa della natura del record archeologico disponibile:<br />
si conoscono infatti collezioni di ceramiche e di industria litica<br />
recuperate in superficie già a partire dal secolo scorso in occasione<br />
di lavori agricoli, mentre sono ancora pochi gli scavi sistematici<br />
condotti con metodo pluridisciplinare. Inoltre, le attestazioni delle<br />
fasi più antiche del <strong>Neolitico</strong> appaiono piuttosto sporadiche, se<br />
confrontate con quelle delle successive fasi del <strong>Neolitico</strong> medio e<br />
recente. Un ulteriore problema per l’inquadramento della transizione<br />
all’agricoltura è costituito dalla difficile enucleazione di un vero<br />
e proprio Mesolitico siciliano, evidenziato da particolari forme di<br />
economia di sussistenza o da datazioni assolute, piuttosto che da<br />
industrie francamente mesolitiche. Una certa continuità tra livelli epipaleolitici/mesolitici<br />
e neolitici è peraltro ravvisabile al riparo di<br />
Perriere Sottano, presso Catania, e alla Grotta dell’Uzzo, in provincia<br />
di Trapani, di cui già si è trattato in precedenza.<br />
Lo stato della documentazione attualmente disponibile non permette<br />
di formulare una trattazione articolata sul carattere degli abitati,<br />
sulle scelte insediative, sull’economia o sulle manifestazioni rituali,<br />
mentre è possibile tracciare un quadro generale<br />
dell’evoluzione della cultura materiale, soprattutto attraverso<br />
l’esame della ceramica.<br />
S. Tiné e R. Maggi hanno recentemente riconosciuto sull’isola una<br />
facies occidentale a ceramica impressa, denominata Kronio (dal<br />
monte omonimo, nell’Agrigentino, dove negli anni Sessanta-<br />
Settanta è stata scavata la grotta S. Calogero) 173, che nelle stratigrafie<br />
di riferimento precede quella di Stentinello 174 (un tempo ritenuta<br />
la più antica) e che sarebbe più arcaica anche rispetto alle<br />
più antiche attestazioni ceramiche del Tavoliere e delle Tremiti (stile<br />
Prato Don Michele).<br />
La fase del Kronio è attestata in pochi siti in grotta dell’area occidentale<br />
(Grotta dell’Uzzo, Grotta del Kronio, Antro Fazello), ma<br />
173 TINÉ 1971; MAGGI 1977.<br />
174 La grotta di S. Calogero contiene un deposito pluristratificato in cui ai livelli<br />
con ceramiche impresse arcaiche si sovrappongono livelli pienamente stentinelliani<br />
con la progressiva comparsa di ceramiche tricromiche (stile di Capri), Serra<br />
d’Alto e Diana.<br />
126
ceramiche impresse arcaiche sono segnalate anche in siti nel territorio<br />
orientale, sia all’aperto che sotto riparo.<br />
Il vasellame di questa facies è costituito da recipienti di impasto<br />
grossolano con decorazione impressa coprente a unghiate, a strie<br />
o a pizzicato e da recipienti di impasto semi-depurato con decorazione<br />
cardiale, talora organizzata in motivi a bande o a triangoli.<br />
Non sono ancora presenti in questa fase le ceramiche dipinte, che<br />
appariranno invece in quella successiva. L’industria litica è laminare<br />
e presenta ancora alcuni elementi geometrici di tradizione mesolitica.<br />
Questa arcaicità è riscontrabile anche sul piano economico,<br />
dove l’agricoltura sembra essere adottata solo a integrazione di<br />
forme di sussistenza ancora mesolitiche, che comprendono la caccia,<br />
la pesca e la raccolta di molluschi. L’unica datazione radiocarbonica<br />
attualmente disponibile, effettuata su un campione dalla<br />
Grotta dell’Uzzo, è quella di 8130±80 BP.<br />
La facies di Stentinello è meglio documentata, anche grazie alla<br />
grande esuberanza e alla raffinatezza decorativa delle sue ceramiche,<br />
che, essendo molto appariscenti, hanno spesso condizionato<br />
le attività di raccolta di superficie.<br />
La cultura prende nome dall’omonimo villaggio scavato alla fine<br />
dell’Ottocento da Paolo Orsi nei pressi di Siracusa e fu identificata<br />
anche in ricerche successive dello stesso Orsi, sempre nel Siracusano,<br />
nei siti di Matrensa e di Megara Hyblaea. Allo stato attuale delle<br />
conoscenze lo stile di Stentinello, benché particolarmente radicato<br />
nel territorio tra Siracusa, l’Etna e Messina, risulta diffuso in tutta la Sicilia<br />
e compare anche nelle Eolie, al Castellaro Vecchio di Lipari.<br />
L’interesse per tale isola sembra collegato soprattutto allo sfruttamento<br />
dell’ossidiana che fa ora la sua comparsa nelle industrie litiche.<br />
Dal punto di vista delle strategie insediative e delle scelte economiche<br />
si possono osservare alcune significative differenze tra<br />
l’area orientale e quella occidentale: mentre nella prima il popolamento<br />
è organizzato soprattutto in grandi villaggi all’aperto a economia<br />
pienamente agricola, spesso impiantati su terrazzi e cinti<br />
da fossati, nella seconda restano molto frequenti le occupazioni in<br />
grotta e la pratica di un’economia mista.<br />
Le ceramiche stentinelliane si possono ripartire in classi diverse,<br />
una costituita soprattutto da recipienti di forma aperta realizzati<br />
con un impasto grossolano e con superfici scabre e una con vasi di<br />
forma chiusa realizzati in impasto più fine, a superfici lisciate.<br />
L’aspetto più caratteristico è costituito dalle ricche decorazioni impresse,<br />
incise o excise, costituite da tratti, linee parallele, zig-zag,<br />
triangoli, punti etc., organizzati in bande o in forme geometriche<br />
ordinate e talora messi in risalto da un riempimento con pasta di colore<br />
diverso. Queste ceramiche sono talvolta associate a rari frammenti<br />
dipinti a bande rosse e, negli strati superiori delle serie stratigrafiche<br />
di riferimento, a rare ceramiche dipinte tricromiche o meandro-spiraliche<br />
importate dall’area apulo-materana (stili di Capri e<br />
127
di Serra d’Alto).<br />
Ancora più articolata è la situazione della Calabria che, in virtù<br />
della sua posizione geografica, costituisce un’area di cerniera e di<br />
parziale sovrapposizione tra la cultura della Ceramica Impressa peninsulare<br />
e quella siciliana di Stentinello 175.<br />
Le scelte insediative delle comunità neolitiche della Calabria non<br />
si discostano molto da quelle evidenziate per la regione del Tavoliere<br />
e prediligono i margini di pianori, separati tra loro da valli radiali,<br />
a breve distanza dalla costa 176. I siti possono essere raggruppati o<br />
isolati e la distanza tra le singole aree varia da 1 a 4 km. Una delle<br />
principali concentrazioni insediative è quella registrata nei pressi del<br />
villaggio pluristratificato di Capo Alfiere, dove si contano ben 24 siti,<br />
che spesso distano tra loro meno di 200 m e che probabilmente costituiscono<br />
tappe di successivi spostamenti di un medesimo abitato.<br />
Considerazioni analoghe valgono per i siti stentinelliani del territorio<br />
di Stilo, della Locride, o dell’area di Acconia, nella Calabria tirrenica.<br />
Nell’area di Crotone e di Stilo i siti sono impiantati su suoli ben<br />
drenati a componente sabbiosa, facilmente lavorabili e adatti alla<br />
cerealicoltura, mentre quelli della Locride erano sicuramente più<br />
adatti al pascolo di ovini e caprini.<br />
Come si è detto, sono presenti due diverse tradizioni culturali, che<br />
in alcuni casi si fondono tra loro: nell’area orientale, infatti, sono documentati<br />
elementi tipici della Ceramica Impressa di Puglia e Basilicata<br />
(es. Favella di Sibari, Praia a Mare), mentre in quella occidentale<br />
si osservano<br />
complessi stentinelliani<br />
(es. Piana<br />
di Curinga) 177 .<br />
Nel primo caso<br />
si hanno le tipiche<br />
decorazioni a<br />
conchiglia, a unghiate,<br />
zig-zag<br />
etc., mentre nel<br />
Ceramiche stentinelliane da Piana di Curinga<br />
(da Ammerman)<br />
128<br />
secondo sono<br />
presenti decorazioni<br />
divise in<br />
175 Per il primo <strong>Neolitico</strong> della Calabria si veda MARINO 1996.<br />
176 Si è calcolato che la distanza massima degli insediamenti rispetto al mare è<br />
di circa 4 km, con una significativa concentrazione di siti entro una fascia profonda<br />
2 km.<br />
177 Ricognizioni sistematiche di superficie condotte nell’area crotoniate hanno<br />
messo in evidenza 31 siti con ceramica impressa di tipo arcaico, analoga a quella<br />
della Puglia e della Basilicata, 29 siti con ceramica stentinelliana (più diffusi<br />
nell’area verso Nord, Sud e Ovest) e 3 siti con ceramiche “miste”, sia impresse<br />
tradizionali che stentinelliane.
ande orizzontali, campite da impressioni o incisioni allineate a formare<br />
motivi estremamente variegati. Si riscontrano sintassi organizzate<br />
a zig-zag, losanghe, cerchi, reticoli, motivi “a occhio” etc.,<br />
spesso configurate in modo da creare schemi antropomorfi e sottolineate<br />
da incrostazioni con paste di diverso colore (calcare bianco,<br />
ocra rossa etc.). Questa tendenza alla policromia potrebbe essere<br />
interpretata come tentativo di imitazione locale della ceramica<br />
dipinta dell’area sudorientale della penisola.<br />
L’impressione di una maggiore arcaicità delle ceramiche impresse<br />
“tradizionali” (o “pre-stentinelliane”, secondo la definizione di S.<br />
Tusa) rispetto a quelle decorate nello stile di Stentinello sembrerebbe<br />
confermata dalla successione stratigrafica del sito di Capo Alfiere,<br />
ma occorre rilevare che le date radiocarboniche disponibili per i<br />
diversi stili ceramici non si discostano molto: il complesso stentinelliano<br />
di Curinga è infatti datato a 5950÷5910 BC cal., e quello a ceramiche<br />
impresse arcaiche di Favella di Sibari a 5940÷5910 BC.<br />
Quest’ultimo villaggio 178 è stato oggetto di scavi sistematici dal<br />
1990 al 1998, che hanno fatto seguito ad alcuni sondaggi condotti<br />
negli anni ’60. Sono stati riconosciuti due orizzonti cronologici, il primo<br />
dei quali (datato 5860÷5630 BC cal.) è riferito alla ceramica impressa<br />
arcaica. L’abitato era stato impiantato su un terrazzo fluviale,<br />
in un ambiente palustre delimitato da un paleolaveo del Crati e<br />
circondato da aree forestate. I semi sono malamente conservati<br />
ma è attestata la presenza di orzo e di malerbe infestanti delle coltivazioni<br />
cerealicole, come la verbena e il papavero. Il record faunistico<br />
vede invece una netta prevalenza dei caprovini, con percentuali<br />
scarse di bovini e suini.<br />
Le strutture individuate consistono in una quarantina di fosse escavate<br />
nel terreno sabbioso, spesso ricolme di elementi di intonaco<br />
con impronte di legni e ramaglie e, pertanto, interpretate come<br />
“fondi di capanna” 179 .<br />
Le ceramiche possono essere suddivise in due distinte classi: una<br />
di impasto grossolano, con superfici ruvide o lisciate e decorazioni<br />
impresse, prevalentemente strumentali ma mai a punzone, che avvolgono<br />
tutta la superficie del recipiente e una di impasto più fine,<br />
a superfici levigate, con decorazioni prevalentemente cardiali che<br />
risparmiano la fascia sotto l’orlo.<br />
L’industria litica di Favella di Sibari è costituita da elementi caratteristici<br />
del primo <strong>Neolitico</strong> della penisola (geometrici, becchi perforatori,<br />
elementi di falcetto) ed è ricavata da supporti silicei di qualità<br />
piuttosto scadente o da quarzite microcristallina, mentre risulta<br />
del tutto assente l’ossidiana.<br />
178 TINÉ, NATALI & STARNINI 2000.<br />
179 Secondo un’interpretazione, per la verità abbastanza controversa, si tratterebbe<br />
di abitazioni costruite su tavolati lignei posti a coprire fosse a funzione drenante.<br />
TRAVERSO 1994; SIMONE& TINÉ 1990.<br />
129
Un forte interesse per l’ossidiana lipariota si registra invece nei siti<br />
stentinelliani, ove raggiunge percentuali comprese tra il 37% e il<br />
45%. È probabile che il commercio di questa materia prima sfruttasse<br />
la “stretta”di Catanzaro e altre direttrici, come le fiumare. Il ritrovamento<br />
di ossidiana anche nell’area della Sila, nella località di<br />
Timpa del Gigante, a 1050 m di quota, documenta la presenza di<br />
vie di comunicazione tra lo Jonio e il Tirreno, lungo le valli dei fiumi<br />
Neto e Savuto e quella del lago Ampollino. È attestata anche<br />
un’industria in selce e, in mancanza di supporti di qualità migliore,<br />
anche in quarzite, calcare e marmo. Sono poi documentati macine,<br />
macinelli e pestelli, nonché scalpelli e asce in pietra verde levigata,<br />
a volte deposte in veri e propri ripostigli (a Capo Alfiere e a<br />
Casa Soverito).<br />
Un altro sito indagato stratigraficamente è quello di Capo Alfiere<br />
180, purtroppo danneggiato da fenomeni di erosione, da lavori<br />
agricoli e da sbancamenti moderni: una missione di scavo americana,<br />
intrapresa dal 1987 e diretta da C. Carter e J. Morter, ha messo<br />
in luce due tratti di muri perimetrali di fasi diverse, il più recente<br />
dei quali delimitava un’area di circa 100 mq, e due livelli insediativi<br />
riferibili a un orizzonte pre-stentinelliano (datato tra la fine del VI e<br />
l’inizio del V millennio a.C. in cronologia calibrata)e a uno pienamente<br />
stentinelliano (seconda metà del V millennio a.C. cal.) 181. In<br />
quello inferiore si è individuata un’area pavimentata in ciottoli 182 e<br />
in quello superiore è stato messo in luce un lembo di capanna con<br />
analoga pavimentazione e con focolare rivestito da lastrine in arenaria,<br />
accanto al quale erano stati incassati una macina e un mortaio<br />
in calcarenite 183. Informazioni ulteriori sulle strutture abitative<br />
provengono dai noduli di intonaco con impronte di pali a sezione<br />
squadrata, travetti, incannucciato e legacci. Una quantità davvero<br />
ingente di concotto (più di 1000 kg) è stata messa in luce anche<br />
180 Per Capo Alfiere si vedano MORTER 1990a, MORTER 1990b, MORTER 1992,<br />
MARINO 1992-93.<br />
181 La frequentazione del villaggio di Capo Alfiere risulta posteriore rispetto a<br />
quella del sito di Acconia, per il quale si dispone di una serie di date comprese tra<br />
5190±50 bc e 3910±60 bc (5750÷4550 BC cal.).<br />
182 Per questo livello inferiore si dispone di una datazione radiocarbonica, effettuata<br />
su un campione faunistico, di 4000±100 bc (5210÷4710 BC cal.).<br />
183 La cenere del focolare ha restituito la data di 3700±70 bc (4681÷4358 BC<br />
cal.); un livello di argilla concotta al di sopra del livello a ciottoli, forse pertinente<br />
a una fase di riutilizzo della struttura, è stato datato a 3500±60 bc (4459÷4222 BC<br />
cal.), mentre da una buca tagliata nel crollo derivante dal collasso delle strutture<br />
si ha la data 3460±80 bc (4369÷4040 BC cal.). Le date più recenti sembrerebbero<br />
indicare un certo attardamento della facies di Stentinello nel territorio di Capo<br />
Alfiere, che potrebbe essere confermato anche dalla cultura materiale. Non è<br />
infatti attestato vasellame dipinto nello stile di Serra d’Alto e nel livello superiore,<br />
oltre alle caratteristiche ceramiche stentinelliane, sono presenti recipienti inornati<br />
in ceramica fine con superfici rossastre o color crema lisciate, che, secondo D.<br />
Marino, sembrano preludere alla ceramica tipo Diana. MARINO 1996.<br />
130
nelle ricerche di Ammerman a Piana di Curinga, in prossimità di<br />
un’abitazione a pianta rettangolare (4,5x3,5 m circa) 184.<br />
I dati faunistici di Capo Alfiere mostrano una netta predominanza<br />
di ovicaprini, seguiti da alte percentuali di bovini. Sono invece scarsi<br />
i suini, forse a causa anche della deforestazione o, comunque,<br />
dell’assenza di querceti, indicata anche dal record pollinico. Sono<br />
altresì documentate varie specie selvatiche (cervo, lupo, volpe,<br />
talpa, scoiattolo, uccelli, tartaruga etc.), nonché resti di pesce e<br />
molluschi. Questi ultimi non sono molto numerosi ma occorre ricordare<br />
che, a causa di fenomeni di eustatismo a livello generale e di<br />
microsubsidenza su scala locale, la linea di costa è notevolmente<br />
arretrata rispetto al <strong>Neolitico</strong> e che, dunque, il villaggio neolitico di<br />
Capo Alfiere non si trovava direttamente sul mare.<br />
A livello botanico è invece da segnalare la prevalenza dell’orzo<br />
rispetto al farro, e una consistente quantità di legumi, forse indicativi<br />
di pratiche di rotazione delle colture.<br />
Secondo Jon Morter, il complesso di Capo Alfiere rivestiva una<br />
funzione non solo abitativa ma anche cultuale, per la presenza di<br />
un muro di recinzione, di un ripostiglio di cinque asce in pietra levigata,<br />
interpretato come “deposito di fondazione”, e di un frammento<br />
forse pertinente a una piccola statuina. Una figurina muliebre<br />
plasmata in argilla e frammentaria è stata recuperata anche<br />
nel sito di Casa Soverito.<br />
L’ultima fase del <strong>Neolitico</strong> dell’Italia meridionale (compresa tra la<br />
fine del V e l’inizio del IV millennio in cronologia calibrata) vede instaurarsi<br />
una sorta di koiné rappresentata da una cultura evidenziata<br />
per la prima volta da L. Bernabò Brea in Contrada Diana 185<br />
nell’isola di Lipari e a Masseria Bellavista presso Taranto e indicata<br />
come Diana-Bellavista. Nell’abitato di Contrada Diana sono state<br />
evidenziate le principali fasi evolutive di tale cultura, inquadrabile<br />
nel IV millennio a.C. 186 ; altre stratigrafie di riferimento sono quelle<br />
della Chiusazza (livello V), del Castello di Lipari e della Grotta del<br />
Kronio (livello III).<br />
Le ceramiche di Diana sono per lo più inornate, caratterizzate da<br />
forme standardizzate in argilla di colore rosso corallo brillante, spesso<br />
munite delle inconfondibili anse a rocchetto 187. Quelle di Bellavi-<br />
184 AMMERMAN et all. 1976.<br />
185 Nel corso della fase di Serra d’Alto l’abitato di Lipari si sposta progressivamente<br />
dall’acropoli verso la piana, sino ad occupare la Contrada Diana con un<br />
villaggio di grande estensione. A questo si associano abitati più piccoli, spesso insediamenti<br />
agricoli, sugli altipiani e sulle isole minori. Solo verso la fine del <strong>Neolitico</strong><br />
e l’inizio dell’Età del Rame (facies Diana-Spatarella), si osserva una rioccupazione<br />
delle zone ben difese del Castello.<br />
186 Le date radiocarboniche disponibili sono quelle dell’Acropoli di Lipari<br />
(4135÷3375 BC cal.), di Contrada Diana (3875÷3390 BC cal.) e della Grotta della<br />
Madonna (4115÷3670 BC cal.).<br />
187 Secondo L. Bernabò Brea queste prese a rocchetto deriverebbero dalle<br />
anse a nastro della ceramica di Serra d’Alto, mentre secondo Tiné potrebbero<br />
131
sta sono del tutto analoghe ma l’impasto è di colore grigiastro o<br />
bruno. Nella fase più antica, denominata “Diana A” e posta in continuità<br />
stratigrafica con la facies di Serra d’Alto, le ceramiche sono<br />
di qualità migliore mentre nella fase “Diana B” le superfici appaiono<br />
più opache e si assiste, da un lato, alla riduzione del repertorio delle<br />
forme vascolari e, dall’altro, all’aumento di forme carenate con<br />
pseudo-anse a rocchetto.<br />
La facies di Diana-Bellavista<br />
(da Cipolloni Sampò)<br />
L’industria litica appare ora decisamente laminare e caratterizzata<br />
da una notevole circolazione di ossidiana, non solo sotto forma<br />
di prodotti finiti ma anche di nuclei. Sono molto diffuse anche le a-<br />
avere analogie con i vasi in marmo dell’area egeo-cicladica, dalla quale sarebbero<br />
riprese anche le tombe ipogee.<br />
132
sce in pietra verde e, in almeno un paio di contesti, è documentata<br />
una precoce lavorazione del rame.<br />
L’estensione geografica di questo orizzonte copre tutta l’Italia<br />
meridionale peninsulare e la Sicilia e ha un’ampia diffusione anche<br />
nell’area adriatica centro-settentrionale (sino alla Romagna). Ceramiche<br />
nello stile di Diana, inoltre, si rinvengono anche nell’isola di<br />
Malta e testimoniano una continuità di contatti con l’Italia meridionale,<br />
che risale ai tempi della cultura di Stentinello.<br />
Il popolamento dell’Italia meridionale vede un incremento nel<br />
numero dei siti, sia all’aperto che in grotta, frutto di un evidente incremento<br />
demografico e risulta meno selettivo rispetto alle fasi precedenti,<br />
occupando sia la fascia costiera che le aree più interne,<br />
comprese le alture. Solo nel Salento si registra una contrazione tanto<br />
nella concentrazione quanto nell’ampiezza dei villaggi.<br />
Il rituale funerario è ben documentato da necropoli con tombe<br />
singole a cista litica o a pozzetto e, nella fase finale, da tombe collettive<br />
megalitiche. Significativa è la tomba di Arnesano, che si caratterizza<br />
come un vero ipogeo scavato nelle sabbie argillose plioceniche,<br />
con pozzetto d’accesso e lastra di chiusura della cella:<br />
entro quest’ultima, a pianta ellittica e di piccole dimensioni, era sepolto<br />
un giovane adulto di sesso maschile rattratto sul fianco sinistro,<br />
accompagnato da tre vasi con anse a rocchetto e da una statuetta<br />
antropomorfa in calcare locale.<br />
133<br />
Carta di distribuzione<br />
dei siti<br />
della cultura di<br />
Diana-<br />
Bellavista (fine<br />
del V-inizio del<br />
IV millennio)<br />
1. Isole Tremiti 2. Scaramella<br />
di S. Vito 3. La<br />
Starza 4. Mulino S.<br />
Antonio 5. Capri,<br />
grotta delle Felci 6.<br />
Latronico 7. Cassano<br />
Ionio, grotta S. Angelo<br />
III 8. Favella di Sibari<br />
9 grotta del Romito<br />
10. Siti dell’Ofanto 11.<br />
Bisceglie 12. Cala<br />
Scizzo 13. Cala Colombo<br />
14. Grotta Pacelli<br />
15. Rutigliano 16.<br />
Altamura 17. Grotta<br />
Morelli 18. Matera 19.<br />
Cetrangolo 20. Taranto<br />
21. Masseria Le<br />
Fiatte 22. Oria 23. Arnesano<br />
24. Grotta del<br />
Fico 25. Grotta delle<br />
Veneri
Allo stesso orizzonte culturale si possono riferire la grotticella artificiale<br />
di Cala Scizzo e l’ipogeo di Cala Colombo, sull’Adriatico.<br />
Secondo l’interpretazione tradizionale, questo genere di sepoltura<br />
sarebbe stato introdotto nel Mediterraneo centrale solo all’inizio<br />
dell’età dei metalli, da popolazioni del Vicino Oriente. I dati che<br />
emergono per il <strong>Neolitico</strong> italiano sembrano invece avvalorare<br />
l’ipotesi di Ruth Whitehouse, secondo cui le deposizioni in grotte artificiali<br />
avrebbero avuto in quest’area un’origine autonoma. In effetti,<br />
da quanto sopra esposto, emerge come l’utilizzo o la creazione di<br />
strutture ipogee sia stato in Italia piuttosto precoce e si possa far risalire<br />
alla facies di Serra d’Alto, con le inumazioni nel silos a grotticella<br />
di Trasano e, soprattutto, con le grandi tombe di Cala Colombo<br />
e dell’Ipogeo Manfredi. Tuttavia, mentre per questa fase si tratta<br />
di sepolture ancora in qualche modo “eccezionali”, che vanno ad<br />
accostarsi a rituali più tradizionali, nella fase di Diana-Bellavista si registra<br />
un incremento nell’uso di strutture ipogee, che si inserisce in<br />
una tendenza che culminerà nell’età del Rame.<br />
134