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I l vaso spezzato<br />

Fatima, la bellissima <strong>figli</strong>a del sultano Ahmed, aveva <strong>qui</strong>n<strong>di</strong>ci anni quando la sua anziana<br />

bambinaia, che le sedeva accanto sul <strong>di</strong>vano <strong>di</strong> velluto rosso applicando un delicato pizzo a un<br />

fazzoletto <strong>di</strong> seta, le raccontò una storia che non avrebbe mai <strong>di</strong>menticato. Era una storia<br />

misteriosa fatta <strong>di</strong> desideri irrealizzabili, <strong>di</strong> impotenza e <strong>di</strong> quella saggezza che consiste nel<br />

lasciar <strong>per</strong>dere ciò che è irraggiungibile. Per <strong>di</strong>rla in breve, era una storia sulla vita. Tanto<br />

tempo fa, molto prima che Ahmed <strong>di</strong>ventasse sultano in Oriente, ai suoi antenati Mehmet e<br />

Leila era stato offerto uno splen<strong>di</strong>do vaso come regalo <strong>di</strong> nozze. Il vaso è davvero molto bello:<br />

si innalza leggero e slanciato su un' ampia base dorata, ha due manici arcuati ai lati e si chiude<br />

con un cerchio <strong>per</strong>fetto attorno alla piccola imboccatura.<br />

Entrambi i suoi lati sono <strong>di</strong>pinti in oro, azzurro e rosso purpureo, ma con motivi così <strong>di</strong>fferenti<br />

che pur assomigliandosi appaiono totalmente <strong>di</strong>versi. Chi possiede il vaso è tenuto a un<br />

impegno: ogni mattina, al sorgere del sole, deve portarlo su una rupe dall' altra parte del<br />

fiume, <strong>di</strong> modo che durante il giorno esso si impregni <strong>di</strong> luce e <strong>di</strong> calore e <strong>di</strong> notte possa<br />

allietare la giovane coppia con lo splendore <strong>di</strong> cui è ripieno. Per alcuni anni Mehmet e Leila<br />

vivono una vita felice, fatta <strong>di</strong> tenerezza e <strong>di</strong> affetto, che è anche rallegrata dalla nascita <strong>di</strong> una<br />

bimba, la piccola Lucia. Poi, una sera, tra Mehmet e Leila scoppia un litigio: a chi tocca quel<br />

giorno andare a prendere il vaso sulla rupe? Ognuno dei due sostiene che tocca all' altro,<br />

ognuno asserisce <strong>di</strong> aver ragione e <strong>di</strong>ce che sarà colpa dell' altro se durante la notte succederà<br />

qualcosa al vaso. I due coniugi si addormentano infuriati. In piena notte sono svegliati da un<br />

lampo abbagliante e da un tuono spaventoso.<br />

Entrambi sanno che cosa ciò significhi. Corrono fuori nel buio della notte e, quando arrivano<br />

alla rupe su cui si trovava il vaso, non ne vedono che una metà, il fulmine ha spaccato in due il<br />

prezioso recipiente. Per quanto cerchino, non riescono a ritrovare l'altra metà: dev' essere<br />

caduta nel fiume. E sono inutili anche le ricerche fatte nel letto del fiume durante i successivi<br />

giorni e settimane. Leila piange amaramente, Mehmet tace stringendo le labbra. I due<br />

prendono a <strong>di</strong>scutere su che cosa fare della metà del vaso che è rimasta. Mehmet trova che<br />

non serve più a nulla e un giorno, credendosi non visto da Leila, la butta via. Ma Leila ha visto,<br />

va a riprendere <strong>di</strong> nascosto il pezzo <strong>di</strong> vaso che le ricorda il tempo dell' amore e della<br />

tenerezza e lo nasconde nella sua cassapanca. Per anni nessuno parla più del vaso. Mehmet<br />

inizia una nuova vita piena <strong>di</strong> impegni, Leila è spesso silenziosa e triste, e Lucia nel frattempo<br />

cresce.


Pochi giorni prima che Lucia compia sette anni, Leila si ricorda <strong>di</strong> una moneta d'oro <strong>di</strong> grande<br />

valore che conserva nella vecchia cassapanca e decide <strong>di</strong> comprare con essa un bel regalo alla<br />

<strong>figli</strong>a in occasione del suo compleanno. Per la prima volta dopo tanti anni Leila apre la<br />

cassapanca e vicino alla moneta trova la metà del vaso <strong>di</strong> cui quasi si era <strong>di</strong>menticata. Lucia,<br />

che è stata a osservare la mamma, comincia a farle domande e viene a conoscenza della storia<br />

del vaso. Da bambina coraggiosa e curiosa qual è, corre subito al fiume, si toglie scarpe e<br />

calze, entra nell' acqua poco profonda e, fatti pochi passi, sente sotto i pie<strong>di</strong> qualcosa <strong>di</strong> duro.<br />

Disseppellisce con circospezione l'oggetto rinvenuto e vede che si tratta dell'altro pezzo del<br />

vaso. Tutta contenta ed eccitata, lo prende e corre dalla mamma. Quando Leila vede la metà<br />

del vaso che credeva <strong>per</strong>duta, si sente <strong>per</strong>corsa da un brivido <strong>di</strong> emozione e si mette subito a<br />

pulire la porcellana dalla sabbia e dal fango che il fiume vi ha lasciato sopra. Lucia si accorge<br />

dell' eccitazione e del turbamento della mamma. Infine Leila pone una accanto all' altra le due<br />

metà del vaso. Soltanto allora si accorge <strong>di</strong> come sono <strong>di</strong>ventate <strong>di</strong>verse. La metà che è<br />

rimasta <strong>per</strong> sette anni immersa nell'acqua ha solo più tracce sbia<strong>di</strong>te <strong>di</strong> azzurro, giallo e rosso,<br />

la ghiaia e la sabbia hanno levigato i margini della spaccatura e lasciato dei segni sulla<br />

porcellana. Piena <strong>di</strong> tristezza, Leila si accorge che i due pezzi del vaso non si adattano più l'uno<br />

all' altro. Allora or<strong>di</strong>na alla sua domestica <strong>di</strong> buttarli via imme<strong>di</strong>atamente. Ma Lucia segue la<br />

donna e la convince <strong>di</strong> lasciarle le due metà del vaso, <strong>di</strong>cendole <strong>di</strong> voler giocare con esse.<br />

In realtà <strong>per</strong>ò la bambina ha deciso <strong>di</strong> riparare il vaso spezzato a qualsiasi costo. I repentini<br />

cambiamenti d'espressione sul volto <strong>di</strong> sua madre le hanno fatto capire quanto dev' essere<br />

importante <strong>per</strong> lei quel vaso. Lucia ama sua madre più <strong>di</strong> ogni altra cosa, e nelle settimane<br />

seguenti si sforza <strong>di</strong> riparare <strong>di</strong> nascosto il vaso, notte dopo notte. Tuttavia, <strong>per</strong> quanti<br />

materiali la bambina utilizzi <strong>per</strong> rimettere insieme le due parti ,colla, stucco, argilla, <strong>per</strong>sino<br />

calcare conchilifero sciolto nel miele, il mattino seguente le due metà si trovano sempre<br />

separate l'una dall'altra. Lucia, che vede la mamma ricadere in balia dell'antica tristezza, non<br />

abbandona il suo proposito. Dorme pochissimo, <strong>di</strong> notte s<strong>per</strong>imenta un miscuglio <strong>di</strong> colle dopo<br />

l'altro ed è fermamente convinta che il vaso non stia insieme solo a causa della sua im<strong>per</strong>izia.<br />

Poiché <strong>di</strong> notte lavora, <strong>di</strong> giorno spesso dorme e sempre più raramente gioca con gli amici. Un<br />

giorno il suo amico Giilhan la sveglia alle tre del pomeriggio e la sgrida: «Con te non si riesce a<br />

combinare più niente, ci si stufa soltanto!». Lucia gli piace, e allora va avanti a parlare, le mani<br />

sprofondate nelle tasche rigonfie: «Ti ho portato un po' <strong>di</strong> noci e <strong>di</strong> nocciole. La notte scorsa<br />

c'è stata una gran bufera. Ho visto come le piante resistevano alla tempesta con tutte le loro<br />

forze e come scuotevano le chiome <strong>per</strong>ché non volevano lasciar andare i loro frutti, e ho u<strong>di</strong>to<br />

la bufera ululare: "Lasciali! Lasciali! Lasciali!". È stata una lotta furiosa e ha vinto la tempesta.<br />

Stamattina sotto le piante c'erano tantissime noci e nocciole: sono mature, e l'anno prossimo<br />

ne cresceranno delle altre. Dammi due tazze, Lucia, in una metteremo le noci e nell'altra le<br />

nocciole». Mentre Lucia cerca le tazze nell' arma<strong>di</strong>o senza trovarle, Giilhan vede i due pezzi <strong>di</strong><br />

vaso e li riempie <strong>di</strong> noci e <strong>di</strong> nocciole. Quando Lucia se ne accorge, sulle prime vorrebbe<br />

sgridare l'amico, ma poi il bel marrone dei frutti nei preziosi recipienti le piace, e va a prendere<br />

uno schiaccianoci. «E com'è finita la storia?». chiese Fatima, quando l'anziana bambinaia ebbe<br />

terminato il racconto. «Oh», rispose costei, «in vita sua Lucia ha riempito <strong>di</strong> frutti tante altre<br />

tazze, alcune <strong>di</strong> more, altre d'uva, altre ancora <strong>di</strong> funghi, <strong>di</strong> ghiande e <strong>di</strong> semi <strong>di</strong> girasole».<br />

P er i <strong>genitori</strong>: « I l vaso spezzato» , ovvero il tentativo <strong>di</strong> un bambino <strong>di</strong> riconciliare i<br />

suoi <strong>genitori</strong>.<br />

Antefatto<br />

Franziska è una bambina <strong>di</strong> otto anni che cerca <strong>di</strong>s<strong>per</strong>a tamente <strong>di</strong> riconciliare i suoi <strong>genitori</strong>,<br />

<strong>di</strong>vorziati già da tempo (il padre si è risposato e ha avuto un' altra <strong>figli</strong>a). In occasione della<br />

causa che era stata intentata <strong>per</strong> regolare il <strong>di</strong>ritto da parte dei <strong>genitori</strong> <strong>di</strong> avere rapporti con<br />

lei, Franziska aveva notato che sua madre continuava a provare affetto <strong>per</strong> suo padre.<br />

Obiettivo


Obiettivo della storia è quello <strong>di</strong> liberare la bambina dalla responsabilità che si è assunta nei<br />

confronti della madre e dagli atteggiamenti innaturali che ne derivano, affinché possa tornare a<br />

vivere una vita infantile piena e autentica.<br />

I l re che uccise il drago<br />

Nel paese <strong>di</strong> Ga<strong>di</strong>r vivono un re e una regina. Hanno un'unica <strong>figli</strong>a, bellissima e molto<br />

assennata: la principessa Bocca <strong>di</strong> Miele. Ha riccioli d'oro che le arrivano fino alle spalle e che<br />

si ad<strong>di</strong>cono al colore della sua corona. Tutti i giorni la principessa legge con piacere un libro<br />

d'avventure. Naturalmente sa anche inventare e raccontare bellissime storie, suona<br />

meravigliosamente il piano e il violino; sa cavalcare ed è un'ottima nuotatrice. Tutti nel regno<br />

vogliono bene alla principessa. La vita al castello si svolge secondo ritmi regolari: il re governa<br />

e la regina si occupa della casa con l'aiuto delle domestiche. Il mattino <strong>di</strong> buon' ora il re esce<br />

sul suo nero destriero e torna , stanco e affamato, solo alla sera, quando anche la regina è<br />

sfinita <strong>per</strong> i molti impegni cui ha dovuto far fronte.<br />

Spesso <strong>di</strong> sera il re e la regina litigano: entrambi <strong>di</strong>cono <strong>di</strong> essere stanchi, entrambi affermano<br />

che il proprio lavoro è stato più faticoso e più importante del lavoro svolto dall'altro coniuge.<br />

Quando sente che i <strong>genitori</strong> litigano la principessa Bocca <strong>di</strong> Miele <strong>di</strong>venta molto triste: quelle<br />

sere va a letto presto. La principessa vuol bene a sua madre, con cui trascorre molto tempo e<br />

che <strong>per</strong> lei è una bella donna; e vuol bene anche a suo padre, forte, virile e affascinante. Per<br />

lei quelle <strong>di</strong>spute sono sciocche. Un giorno <strong>di</strong> prima mattina un messaggero a cavallo arriva al<br />

galoppo al castello e grida:<br />

«Maestà, maestà, venite subito! Ai confini del regno c'è un drago enorme che sputa fiamme<br />

dalle fauci, solo voi potete ucciderlo e salvare la vita a tutti noi! ». Il re sella il suo cavallo,<br />

cinge la spada e parte al gran galoppo. Per qualche giorno la regina si sente sollevata: non<br />

deve più lavare e cucinare tanto, e la sera può starsene tran<strong>qui</strong>lla, senza più litigare. La<br />

principessa Bocca <strong>di</strong> Miele invece è triste: il padre le manca. Dopo un mese il re non è ancora<br />

tornato e non ci sono notizie <strong>di</strong> lui; la regina comincia a sentirsi a <strong>di</strong>sagio. La principessa si fa<br />

sempre più triste e tutti al castello appaiono preoccupati. Una mattina la regina siede al telaio<br />

e, mentre sta tessendo un filo rosso, il suo pensiero corre al marito, che forse ormai ha ucciso<br />

il drago.


Le si avvicina la cameriera, si siede accanto a lei e incomincia a <strong>di</strong>re: «Mia regina, se ci penso,<br />

devo <strong>di</strong>re che il re era una <strong>per</strong>sona davvero stravagante. Per quanto gli sistemassi sempre i<br />

calzini bene in or<strong>di</strong>ne nel cassetto del guardaroba, lui se li metteva sempre spaiati: in genere<br />

ne aveva uno rosso e uno azzurro. E le camicie! Le ho sempre stirate benissimo, ma ogni volta<br />

che ne indossava una lui sbagliava ad abbottonarsi e, pur con la più bella camicia addosso,<br />

aveva sempre un' aria quanto mai trasandata».<br />

Uscita la cameriera, ecco arrivare lo stalliere; vede la regina tanto triste e le <strong>di</strong>ce: «Ah, mia<br />

regina, il re non era davvero un es<strong>per</strong>to cavaliere. Quando doveva montare a cavallo occorreva<br />

che gli dessi sempre una mano, e quando doveva smontare il più delle volte si slogava una<br />

caviglia. Perciò gli ho sempre fatto cavalcare soltanto i ronzini più docili e mansueti.<br />

Andatosene lo stalliere, si presenta il giar<strong>di</strong>niere, che <strong>di</strong>ce alla regina: «Maestà, il suo stimato<br />

sposo non sapeva <strong>di</strong>stinguere neppure i girasoli dai ravanelli!». La principessa Bocca <strong>di</strong> Miele,<br />

seduta al telaio accanto alla madre, ascolta in silenzio quanto i servi vanno <strong>di</strong>cendo. Sulle<br />

prime non riesce a credere che essi stiano parlando del suo caro papà, del quale lei ha tutt'<br />

altri ricor<strong>di</strong>, ma quando si accorge che quante più cose negative vengono dette nei confronti<br />

del re, tanto più sua madre riprende animo, cominciando a sorridere e ad ammiccarle, ecco<br />

che la ragazza inizia a vedere suo padre in una luce <strong>di</strong>versa. Un giorno si avvicina anche lei al<br />

telaio a cui è seduta sua madre e le <strong>di</strong>ce: "Cara mamma, il re mio padre era un uomo cattivo e<br />

sventato. Una volta che entrò in camera mia pestò con un piede Anna, la mia bambola<br />

preferita".<br />

A quelle parole la regina abbraccia la <strong>figli</strong>a ed entrambe piangono a lungo e amaramente. Tre<br />

giorni dopo si presenta al castello un messaggero a cavallo e annuncia alla regina che il re suo<br />

marito ha vinto il drago e tornerà quanto prima a casa. Che fa allora la regina, che fa la<br />

principessa, che fanno tutti i cortigiani? La bambina a cui ho raccontato la storia rispose così:<br />

«Non lo lasciano entrare, hanno deciso che è cattivo».<br />

P er i <strong>genitori</strong>: « I l re che andò a uccidere il drago» ovvero il padre estraniato<br />

Antefatto<br />

Karin aveva sei anni quando i suoi <strong>genitori</strong> si separarono ed è rimasta con la madre. Adesso ha<br />

otto anni e da quasi due non vede più suo padre. Questi a<strong>di</strong>sce le vie legali <strong>per</strong> poter avere<br />

rapporti con sua <strong>figli</strong>a. Karin <strong>di</strong>ce espressamente al funzionario che cura l'assistenza <strong>per</strong> i<br />

minorenni, al giu<strong>di</strong>ce e a me <strong>di</strong> non voler mai più vedere suo padre. La madre, appellandosi


alle parole della bambina, chiede che le relazioni tra padre e <strong>figli</strong>a siano rinviate a tempo<br />

indeterminato. Dice che prima della separazione Karin aveva un buon rapporto con il padre,<br />

che non riesce a spiegarsi il cambiamento <strong>di</strong> opinione della <strong>figli</strong>a, ma che neppure può<br />

obbligare la bambina ad avere relazioni con il padre. I nostri collo<strong>qui</strong> mettono in luce il fatto<br />

che la madre, <strong>per</strong> staccarsi dal marito, pone in evidenza soltanto le debolezze e i <strong>di</strong>fetti <strong>di</strong> lui.<br />

La <strong>figli</strong>a si accorge <strong>di</strong> quanto alla madre piaccia considerare il padre un fallito e, amando sua<br />

madre, accetta questa sua opinione e rimuove tutti i ricor<strong>di</strong> positivi che ha <strong>di</strong> suo padre.<br />

Questo fatto è normale <strong>per</strong> una bambina che vive con la madre e si identifica con lei.<br />

Obiettivo<br />

Obiettivo della fiaba, che racconto alla madre e alla <strong>figli</strong>a insieme, è far comprendere a un<br />

livello profondo <strong>di</strong> consapevolezza quanto è accaduto prima che Karin si allontanasse del tutto<br />

da suo padre.<br />

P roce<strong>di</strong>mento narrativo<br />

Il <strong>per</strong>sonaggio chiave della vicenda è la madre. La <strong>figli</strong>a non ha alcuna possibilità <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>ficare<br />

il suo comportamento fintanto che il suo modello, la madre, mantiene la sua posizione. Karin<br />

ha bisogno del <strong>per</strong>messo della madre <strong>per</strong> esprimere i propri sentimenti nei confronti del padre<br />

in riferimento ai tempi in cui la famiglia era ancora unita. Perciò la fiaba può servire alla madre<br />

come uno specchio in cui osservare il suo comportamento durante la fase della separazione. In<br />

questo modo può imparare a vedere non soltanto i lati negativi <strong>di</strong> suo marito. Poiché la fiaba si<br />

situa vicino all' es<strong>per</strong>ienza coscientemente vissuta dalla bambina, alla mia domanda: «Che fa<br />

la regina, che fa la principessa, che fanno i cortigiani?». Karin risponde: «Non lasciano entrare<br />

il re, hanno deciso che è cattivo». Questa risposta fa sì che la madre <strong>di</strong> colpo intuisca come<br />

stanno le cose. La donna smette <strong>di</strong> ostacolare il rapporto della <strong>figli</strong>a con suo padre e rende<br />

possibile in questo modo una nuova relazione tra padre e <strong>figli</strong>a.<br />

La lepre hops<br />

C'era una volta un leprotto <strong>di</strong> nome Hops che aveva un grosso problema. Era una lepre molto<br />

bella: aveva orecchie lunghissime, morbide come il velluto nella parte interna, e una grossa<br />

coda. Hops era furbo e quando correva sapeva fare salti improvvisi molto più rapidamente<br />

degli altri leprotti suoi amici. Ma ecco qual era il suo problema. Sapete che tutte le lepri hanno<br />

paura, paura della volpe, del cane, del cacciatore. È <strong>per</strong> questo che spesso, quando corrono,<br />

fanno dei salti improvvisi. Cominciano a correre <strong>di</strong>ritto poi, <strong>di</strong> colpo, balzano <strong>di</strong> lato, poi ancora<br />

<strong>di</strong> lato, infine si rifugiano in un campo <strong>di</strong> trifoglio, contente <strong>di</strong> essere ancora vive.<br />

Tutte le lepri correndo fanno bruschi salti, <strong>per</strong> poter continuare ad avere il piacere <strong>di</strong> vivere. Il<br />

nostro leprotto Hops aveva imparato a fare salti da papà lepre e da mamma lepre. Il papà era<br />

stato famoso <strong>per</strong> i suoi salti. Una volta che era braccato da un'intera muta <strong>di</strong> cani aveva fatto<br />

tanti <strong>di</strong> quei balzi che alla fine neppure lui sapeva più dove si trovasse. Anche mamma lepre<br />

era molto abile a saltare. I suoi balzi erano così eleganti e leggeri che i suoi inseguitori spesso<br />

credevano che si fosse <strong>di</strong>ssolta in aria, oppure pensavano <strong>di</strong> essersi sbagliati e <strong>di</strong> non aver<br />

visto nessuna lepre, in realtà. Il leprotto Hops imparava volentieri tutte queste cose dai suoi<br />

<strong>genitori</strong>, <strong>per</strong>ché si rendeva conto <strong>di</strong> quanto fosse necessario ingannare gli inseguitori <strong>per</strong><br />

potersi godere in pace il trifoglio prelibato e le tenere carote. Quando il leprotto Hops faceva i<br />

suoi salti, i <strong>genitori</strong> lo lodavano e lui aveva la sensazione che lo amassero in modo particolare.


Allora si sentiva sicuro e il trifoglio gli sembrava più buono che mai. La vita delle lepri<br />

trascorreva dunque tran<strong>qui</strong>lla, finché un giorno. . . Due uomini vestiti <strong>di</strong> verde con in mano<br />

una grossa rete attraversano il campo <strong>di</strong> trifoglio. Sono così silenziosi che le lepri si accorgono<br />

<strong>di</strong> loro quando ormai sono imprigionate nella rete. Gli uomini portano papà lepre, mamma<br />

lepre e il piccolo Hops nello zoo <strong>per</strong> bambini della vicina città. Dopo essersi riprese dallo<br />

spavento, le lepri si guardano attorno e notano che la loro nuova <strong>di</strong>mora è splen<strong>di</strong>da: trifoglio<br />

eccellente, carote a volontà, acqua pura e soprattutto nessun <strong>per</strong>icolo in vista! Ben presto<br />

papà e mamma lepre capiscono che d'ora in poi non servirà più fare tanti salti durante la<br />

corsa. Ricordando con orgoglio le antiche imprese, si concedono ancora alcuni balzi e salti fatti<br />

come si deve, lì sul prato, poi decidono che d'ora in avanti correranno sempre soltanto <strong>di</strong>ritto.<br />

Il leprotto Hops non capisce più niente. Tutto ad un tratto i <strong>genitori</strong> lo sgridano se, durante una<br />

corsa, si mette a saltare da una parte e dall' altra, e gli <strong>di</strong>cono che deve piantarla con quella<br />

mania. Hanno già quasi <strong>di</strong>menticato che una volta erano campioni nel fare salti. Hops <strong>per</strong>ò si<br />

sforza <strong>di</strong> fare salti ancor più veloci, più eleganti e più <strong>per</strong>fetti. S<strong>per</strong>a che i suoi <strong>genitori</strong> tornino<br />

a volergli bene come un tempo, ma è tutto inutile. Già le altre lepri adulte dello zoo cominciano<br />

ad ad<strong>di</strong>tarsi a vicenda Hops e a <strong>di</strong>rgli: «Togliti dai pie<strong>di</strong> con le tue stupide piroette, non<br />

vogliamo vederle più!».<br />

Anche i <strong>genitori</strong> gli fanno capire chiaramente che <strong>per</strong> loro è imbarazzante quel suo volersi<br />

presentare come una lepre piena <strong>di</strong> paura, con quel continuo saltare. Hops è davvero<br />

<strong>di</strong>s<strong>per</strong>ato! Una notte se ne sta tutto solo ai margini del grande campo <strong>di</strong> trifoglio, piange a<br />

calde lacrime e singhiozza forte. Ma ecco che all'improvviso sente accanto a sé una vocetta<br />

acuta <strong>di</strong>rgli: «Ciao, Hops!». È il grillo. «Si vede che hai dei <strong>di</strong>spiaceri», prosegue la voce, «vuoi<br />

che ti racconti una storia? Magari ti aiuta a cacciarli via». «Sì», risponde Hops piangendo e<br />

singhiozzando. Il grillo racconta: «C'era una volta un ranocchio verde che aveva sul dorso dei<br />

grossi punti rossi. Temeva sempre che gli altri non gli volessero bene, dato che gracidava in<br />

modo tanto sgradevole e appariva sempre tutto bagnato e scivoloso. Per farsi accettare dagli<br />

altri animali, prese l'abitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> raccontare a tutti le storie più inverosimili. Una volta <strong>di</strong>sse <strong>di</strong><br />

essere un coccodrillo verde, capace <strong>di</strong> mordere tutti. Poi raccontò <strong>di</strong> aver visto nel bosco<br />

cinquanta elefanti rosa, e infine <strong>di</strong>sse che il gelato alla fragola l'aveva mangiato il gattino nero,<br />

sebbene lui stesso se lo sentisse ancora freddo nello stomaco.<br />

All'inizio gli animali credevano alle sue storie e lo consideravano un tipo in gamba. E lui<br />

pensava che gli volessero bene. A poco a poco <strong>per</strong>ò incominciò a notare che alcuni animali


idevano <strong>di</strong> lui, altri non lo prendevano più sul serio e altri ancora lo evitavano. Allora il<br />

ranocchio si sentì colmo <strong>di</strong> tristezza; una notte si mise a gracidare rivolto alla luna, piangendo<br />

tutto il suo dolore. La luna, all'u<strong>di</strong>re il suo lamento, riunì in segreto tutti gli animali e sussurrò<br />

qualcosa all' orecchio <strong>di</strong> ciascuno. Quin<strong>di</strong> <strong>per</strong> alcuni minuti gli animali corsero qua e là tutti<br />

indaffarati, poi si ritrovarono <strong>di</strong> nuovo. Ognuno <strong>di</strong> essi aveva indosso il vestito più bello,<br />

ognuno teneva in mano una fiaccola. Con aria solenne si avvicinarono tutti al ranocchio. In<br />

silenzio lo misero dolcemente su una foglia <strong>di</strong> ninfea e lo posarono con delicatezza in mezzo al<br />

prato, dove i fiori addormentati emanavano un gradevole profumo. Tutti si <strong>di</strong>sposero poi in<br />

cerchio attorno al ranocchio e iniziarono a cantare in coro la canzone che la luna aveva loro<br />

insegnato. Le parole erano queste:<br />

Mi piaci così come sei,<br />

col tuo magnifico qua qua.<br />

Mi piaci così come sei,<br />

con il tuo colore verde.<br />

Mi piaci così come sei,<br />

con i tuoi sgargianti punti rossi.<br />

Mi piaci così come sei,<br />

con la tua pelle bagnata e scivolosa.<br />

Mi piaci così come sei,<br />

<strong>per</strong>ché sei l'unico al mondo.<br />

Mi piaci così...<br />

La canzone aveva molte strofe; gli animali, cantando, avevano sollevato un po' il bordo della<br />

ninfea su cui era seduto il ranocchio e avevano cominciato a cullarlo. Il ranocchio si<br />

addormentò felice e fece un sogno meraviglioso. Ma questo te lo racconterò un' altra volta».<br />

P er i <strong>genitori</strong>: « La lepre Hops il ranocchio Quak e la luna ovvero quando i<br />

bambini mentono <strong>per</strong>ché desiderano piacere.<br />

Antefatto<br />

Peter ha otto anni. Nel 1988 si era trasferito con i <strong>genitori</strong> e la sorellina da quella che allora era<br />

la Repubblica democratica tedesca alla Repubblica federale tedesca. I <strong>genitori</strong> mi raccontarono<br />

a quanti sotterfugi e imbrogli dovettero ricorrere <strong>per</strong> passare il confine tra le due Germanie.<br />

Quando tra i suoi <strong>genitori</strong> sorge il conflitto che li avrebbe portati al <strong>di</strong>vorzio, Peter incominciò a<br />

raccontare bugie alla madre, al padre, ai nonni, ai parenti e agli amici dei <strong>genitori</strong>. In questo<br />

modo egli non solo creò scompiglio, dando origine a risentimenti e contrasti, ma attirò anche<br />

su <strong>di</strong> sé l'ostilità <strong>di</strong> sua madre e <strong>di</strong> suo padre, e questo lo fece soffrire. Spesso accade che i<br />

bambini che subiscono il trauma del <strong>di</strong>vorzio raccontino bugie: lo fanno <strong>per</strong> accontentare tutti.<br />

Nel caso <strong>di</strong> Peter la causa del <strong>di</strong>sturbo nel comportamento sta tanto nel conflitto <strong>di</strong> lealtà del


ambino, quanto nell'imitazione della condotta dei <strong>genitori</strong>, che parecchie volte dovettero<br />

ricorrere a menzogne <strong>per</strong> potersi trasferire nella Germania federale e <strong>per</strong> sistemarsi nel nuovo<br />

paese.<br />

Obiettivo<br />

L' obiettivo è <strong>di</strong> far capire ai <strong>genitori</strong> che il loro <strong>figli</strong>o non mente intenzionalmente, ma che, da<br />

bravo bambino qual è, non fa altro che imitarli. In fondo <strong>per</strong> Peter sotterfugi, imbrogli e<br />

comportamenti similari hanno avuto una loro legittimità. Se i <strong>genitori</strong> capiranno il messaggio<br />

della fiaba, smetteranno <strong>di</strong> punire il <strong>figli</strong>o e riusciranno a volergli bene.<br />

P roce<strong>di</strong>mento narrativo<br />

Affinché chi mi ascolta non abbia la possibilità <strong>di</strong> indovinare troppo facilmente il senso della<br />

fiaba, introduciamo il ranocchio come secondo <strong>per</strong>sonaggio principale. Raccontiamo una storia<br />

nella storia, in cui la luna fa la parte del soccorritore. Diamo alla luna la capacità, che ci<br />

auguriamo abbiano i <strong>genitori</strong> <strong>di</strong> Peter, <strong>di</strong> guidare il bambino alla soluzione dei suoi problemi.<br />

Quando i <strong>genitori</strong> <strong>di</strong> Peter terminano il racconto, sentiamo che il bambino continua a ripetere<br />

piangendo una monotona cantilena: «Mi piaci così come sei.. .». Entrambi i <strong>genitori</strong> sono<br />

commossi....<br />

­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­<br />

I l rapimento<br />

Tanto tempo fa c'era una damigella che viveva in un castello; era una bionda e bella fanciulla.<br />

Il castello sorgeva alto su una rupe, sotto la quale c'era una gola in cui scrosciavano le acque<br />

<strong>di</strong> un torrente <strong>di</strong> montagna. Il posto era bello, ma la vita vi si svolgeva sempre uguale. I giorni<br />

trascorrevano senza che mai succedesse qualcosa <strong>di</strong> nuovo. Alla damigella non mancava<br />

niente, tuttavia sentiva spesso il desiderio <strong>di</strong> qualcosa che neppure sapeva nominare. Passava<br />

giorni interi sulle mura del castello a guardare giù nella gola, ma non vi vedeva altro che il<br />

torrente scorrere nel suo angusto letto. Un giorno dalle mura videro un cavallo al galoppo<br />

salire lungo lo stretto viottolo che portava al castello. In sella c'era un forestiero dalla pelle<br />

scura e dai capelli neri.<br />

Quando il cavaliere balzò <strong>di</strong> sella e bussò forte al portone del castello, la damigella sentì che il<br />

suo destino si stava compiendo: si era innamorata del forestiero. Tremando aprì il portone. Il<br />

cavaliere le <strong>di</strong>sse che veniva da lontano e cercava un rifugio <strong>per</strong> la notte. La damigella lo fece<br />

entrare e lo invitò a sedersi a tavola: gli mise davanti i cibi e le bevande più prelibate. I due<br />

stettero a lungo seduti l'uno accanto all'altra. Il cavaliere parlò alla damigella della sua terra,<br />

che aveva dovuto abbandonare <strong>per</strong>ché vi regnava la miseria più nera. Parlò del lungo e<br />

faticoso viaggio che aveva compiuto e dei progetti che pensava <strong>di</strong> realizzare in quel nuovo<br />

paese. Anche se a volte faticava a capire ciò che il cavaliere le <strong>di</strong>ceva, dato che questi aveva<br />

scarsa <strong>di</strong>mestichezza con la lingua del posto, tuttavia la ragazza pendeva dalle sue labbra e<br />

contemplava intenerita il suo volto, tanto <strong>di</strong>verso da quello degli uomini della sua terra. Non ci<br />

volle molto alla damigella <strong>per</strong> capire che lo straniero ricambiava il suo amore. Egli passò la<br />

notte al castello, si trattenne anche il giorno dopo e la notte successiva e infine fu convenuto<br />

che sarebbe rimasto <strong>per</strong> sempre. Poco tempo dopo la fanciulla e il cavaliere si sposarono.<br />

Erano così felici <strong>di</strong> stare insieme che non si accorsero che parecchia gente non approvava la<br />

loro unione. Quelli che maggiormente la osteggiavano erano i <strong>genitori</strong> della ragazza. Il giorno<br />

delle nozze sua madre non faceva che sospirare, e quando i due sposi si scambiarono gli anelli<br />

esclamò ad alta voce: «Guardate che belle mani bianche ha mia <strong>figli</strong>a! Questo matrimonio non<br />

potrà andare a buon fine: lei così bionda, fine e delicata, e lui così scuro e <strong>di</strong>verso!».


Il cavaliere e la sua sposa si trasferirono in un altro castello, dove vissero felici. E la loro<br />

felicità fu ancora più grande quando nacque loro una bambina. Era bellissima, con la pelle<br />

bianca della madre e i capelli neri del padre. Fu chiamata Belinda: i suoi <strong>genitori</strong> l'amavano<br />

molto ed erano <strong>di</strong>sposti a fare qualsiasi cosa <strong>per</strong> lei. Passarono gli anni. Belinda <strong>di</strong>ventava<br />

grande e <strong>per</strong> lei era naturale che i suoi <strong>genitori</strong> fossero l'uno <strong>di</strong>verso dall'altra. Le piaceva<br />

starsene sulle ginocchia <strong>di</strong> suo padre e farsi raccontare da lui le storie della sua terra natia. Più<br />

il tempo passava e più il cavaliere si sentiva a proprio agio in quel paese, che ormai era<br />

<strong>di</strong>ventato la sua patria. Ben presto prese a occuparsi delle proprie attività, come facevano i<br />

cavalieri originari <strong>di</strong> lì. C'erano <strong>per</strong>ò delle usanze a lui care che aveva portato dalla sua terra<br />

d'origine e alle quali non voleva rinunciare. Ad esempio, nessuno come lui teneva in conto<br />

l'ospitalità. Chiunque bussasse alla porta del castello veniva ricevuto con cor<strong>di</strong>alità e<br />

accompagnato nel salone, dove gli venivano offerti i cibi più prelibati. L'ospite aveva a sua<br />

<strong>di</strong>sposizione un alloggio <strong>per</strong> la notte, e sempre il cavaliere lo invitava a prolungare il suo<br />

soggiorno al castello. La damigella si era innamorata dello straniero anche <strong>per</strong> quel suo insolito<br />

modo <strong>di</strong> comportarsi. Però in seguito le idee della donna cambiarono: ella pretese che il marito<br />

lasciasse <strong>per</strong>dere quelle sue usanze. Ma il cavaliere non intendeva rinunciarvi, e così iniziarono<br />

i contrasti tra i due. La moglie gridava: «Se davvero mi amassi sarebbe facile <strong>per</strong> te farla finita<br />

con queste stupide abitu<strong>di</strong>ni! Senza contare che la gente si fa beffe <strong>di</strong> me, quando viene a<br />

sa<strong>per</strong>e che mio marito si comporta in questo modo!». E il cavaliere urlava <strong>di</strong> rimando: «Se<br />

davvero mi amassi non baderesti a quello che <strong>di</strong>ce la gente! Quando si trattava <strong>di</strong> sposarmi ti<br />

andavo bene com'ero, e adesso dovrei comportarmi agli occhi degli altri come se non fossi uno<br />

straniero! Mai e poi mai!». Così andavano le cose. E intanto i due avevano <strong>di</strong>menticato quanto<br />

erano stati felici l'uno con l'altra e con la loro <strong>figli</strong>a. Belinda non riusciva a capire come mai<br />

tutto fosse cambiato e soffriva molto. I litigi si fecero sempre più aspri e frequenti. Una<br />

mattina la mamma svegliò la <strong>figli</strong>a <strong>di</strong>cendole: «Alzati, Belinda: partiamo!». Belinda era<br />

sconcertata, nessuno le aveva parlato <strong>di</strong> un viaggio da farsi. Solo mentre stava <strong>per</strong> uscire dal<br />

portone del castello su una carrozza insieme a sua madre e a tutti i bagagli, la bambina si<br />

accorse che suo padre non era con loro. Si rivolse alla mamma, che le <strong>di</strong>sse: «Dobbiamo<br />

andarcene. Tuo padre e io siamo troppo <strong>di</strong>versi, non avremmo mai dovuto<br />

sposarci». Pronunciò queste parole con una tale risolutezza che Belinda non osò più fare<br />

domande.<br />

Il viaggio portò la carrozza al castello sulla rupe dove la mamma aveva vissuto prima <strong>di</strong><br />

sposarsi. Madre e <strong>figli</strong>a si sistemarono là. Adesso era Belinda a salire spesso sulle mura e<br />

guardare giù verso il torrente che scorreva in fondo alla gola. Sentiva la mancanza <strong>di</strong> suo<br />

padre, e stava a lungo a osservare se <strong>per</strong> caso non apparisse sul viottolo che portava al<br />

castello. Ed ecco che un giorno il padre si presenta davvero: arriva su un cavallo al galoppo,<br />

balza <strong>di</strong> sella e bussa con forza alla porta del castello. La madre <strong>di</strong> Belinda apre una finestra e<br />

gli grida: «Che vuoi <strong>qui</strong>? Vattene <strong>per</strong> la tua strada, questo non è il tuo castello né il tuo paese<br />

e io non sono più tua moglie!» . «Ma Belinda è mia <strong>figli</strong>a!», urla il cavaliere, «voglio vederla,<br />

voglio parlarle e stare con lei!».Anziché rispondergli, la donna chiude la finestra e fa uscire le<br />

guar<strong>di</strong>e <strong>per</strong>ché lo caccino via. Piena <strong>di</strong> tristezza, Belinda sta a guardare il padre che si<br />

allontana.


Egli tuttavia ritornò, portando altra gente con sé. Chiese nuovamente <strong>di</strong> poter vedere la <strong>figli</strong>a,<br />

e <strong>di</strong> nuovo ottenne un rifiuto. I cavalieri che erano venuti con lui cercarono <strong>di</strong> dare l'assalto al<br />

castello, ma furono respinti. E il cavaliere si presentò una terza volta davanti alla fortezza,<br />

gridando: «Voglio vedere mia <strong>figli</strong>a! Soltanto <strong>per</strong> un'ora! Lasciatemela vedere!». La damigella<br />

si affacciò a una finestra: «Vuoi portarla con te nella tua terra, lo so bene! Non ti darò mai mia<br />

<strong>figli</strong>a!». Col passare del tempo la contesa si fece sempre più aspra. Quanto più il padre cercava<br />

<strong>di</strong> penetrare nel castello <strong>per</strong> poter vedere la <strong>figli</strong>a, con un seguito sempre più numeroso <strong>di</strong><br />

cavalieri e scu<strong>di</strong>eri, tanto più il castello veniva fortificato, le mura elevate, il fossato<br />

approfon<strong>di</strong>to. Un giorno Belinda si fece coraggio e <strong>di</strong>sse alla madre: «Quando mio padre verrà,<br />

lasciami uscire! Mi piacerebbe tanto rivederlo, parlargli, stargli in braccio e ascoltare le sue<br />

storie!» . La madre si coprì il volto con le mani e rispose tra i singhiozzi: «Non posso, <strong>figli</strong>a<br />

mia! Ti rapirebbe, lo so! Se potesse averti nelle sue mani, ti porterebbe lontano e io non ti<br />

rivedrei più!». Belinda non riusciva a crederci: sapeva che suo padre non le avrebbe mai fatto<br />

del male. Tuttavia non poteva contrad<strong>di</strong>re sua madre, così afflitta e preda <strong>di</strong> un pregiu<strong>di</strong>zio<br />

tanto angoscioso.<br />

La vita della bambina al castello si faceva <strong>di</strong> giorno in giorno più <strong>di</strong>fficile e insopportabile. Sua<br />

madre era <strong>di</strong>ventata talmente ansiosa che non trascurava nulla <strong>per</strong> rendere il castello sempre<br />

più sicuro e inespugnabile. Le mura furono elevate e in cima ad esse furono collocati spuntoni<br />

aguzzi <strong>di</strong> ferro, il fossato fu reso più largo e profondo, pattuglie <strong>di</strong> sentinelle si alternavano <strong>di</strong><br />

continuo nei giri <strong>di</strong> ronda. Anche all'interno del castello molte cose cambiarono. Belinda non<br />

poteva quasi più lasciare la propria stanza, che era sempre più simile a una prigione. Non<br />

poteva più salire sulle mura e a malapena si ricordava <strong>di</strong> aver giocato nel bosco. Passava le<br />

sue giornate leggendo libri e si sfogava sognando una vita migliore <strong>di</strong> quella che le toccava<br />

sopportare. Un giorno trovò in uno degli scaffali della biblioteca un vecchio libro con una<br />

pesante rilegatura in pelle, che con gli anni aveva visto ingiallire le sue pagine e si era<br />

rico<strong>per</strong>to <strong>di</strong> polvere. Incuriosita, lo sfogliò e vi trovò una storia che la avvinse fin dalle prime<br />

righe.«Un ricco signore possedeva un frutteto, in cui crescevano dei bellissimi meli carichi <strong>di</strong><br />

frutti. Quando le mele furono mature, il proprietario tutto compiaciuto prese a passeggiare<br />

ogni tanto <strong>per</strong> il frutteto assaporandone qualcuna. Un giorno passò <strong>di</strong> lì un uomo, si fermò<br />

vedendo tutti quei bei frutti e <strong>di</strong>sse: "Per favore, datemi una <strong>di</strong> queste mele s<strong>qui</strong>site. Voi ne<br />

avete tante, e io ho una fame!". "Eh no", rispose il ricco signore, "tu vuoi derubarmi, conosco<br />

le tue intenzioni. Se ti dessi una mela, me le prenderesti tutte!". «Il riccone cacciò via il<br />

poveretto e lo minacciò, <strong>di</strong>cendogli che avrebbe sguinzagliato i cani se si fosse fatto rivedere.<br />

Ma quando il mattino dopo tornò nel giar<strong>di</strong>no, vide che sui suoi meli non c'era neanche più un<br />

frutto.


Sotto l'albero più grosso c'era un foglietto, su cui erano scritte queste parole: "Se mi avessi<br />

data una delle tue mele, me ne sarei andato contento. Ma la fame si faceva sentire, allora mi<br />

sono nascosto nelle vicinanze <strong>per</strong> riempirmi lo stomaco facendomi beffe <strong>di</strong> te. Mentre la notte<br />

scorsa mi stavo introducendo <strong>di</strong> nascosto nel tuo frutteto, pensavo: visto che sono un ladro,<br />

posso rubare quanto voglio. E così mi sono preso tutte le mele. Se me ne avessi regalata una,<br />

mi sarebbe bastata quella"». Belinda lesse più volte il racconto, poi prese il libro, andò da sua<br />

madre e le lesse ad alta voce la storia. Arrivata alla fine, <strong>di</strong>sse a voce bassa: «La stessa cosa<br />

vale <strong>per</strong> noi. Mio padre ha voglia <strong>di</strong> vedermi, e se il suo desiderio non sarà sod<strong>di</strong>sfatto mi<br />

rapirà. Quanto più grande è la sua voglia <strong>di</strong> vedermi, con tanto maggiore insistenza tenterà <strong>di</strong><br />

arrivare a me. Non c'è castello al mondo che sia in grado <strong>di</strong> opporsi a una tale brama. Per me<br />

ormai questo castello è <strong>di</strong>ventato una prigione da cui non posso uscire». La madre <strong>di</strong> Belinda<br />

tacque a lungo, poi mormorò: «Forse hai ragione. La mia paura <strong>di</strong> <strong>per</strong>derti è così grande che<br />

non ti credo al sicuro neppure protetta dalle mura più solide e dai fossati più profon<strong>di</strong>. Certo<br />

non riuscirò mai a costruire una muraglia che sia più alta della mia paura». Proprio allora da<br />

fuori si sentirono urla e strepito <strong>di</strong> armi: il castello veniva attaccato un' altra volta dal padre <strong>di</strong><br />

Belinda e dai suoi amici. «Vieni con me», <strong>di</strong>sse la madre a Belinda. Uscirono insieme dalla<br />

stanza, attraversarono il cortile e giunsero davanti alla porta del castello. La donna or<strong>di</strong>nò alle<br />

guar<strong>di</strong>e <strong>di</strong> aprirla: esse ubbi<strong>di</strong>rono incredule ed esterrefatte. Davanti alla porta si erano raccolti<br />

molti guerrieri a cavallo, guidati da un gagliardo cavaliere vestito <strong>di</strong> un' armatura scintillante,<br />

con la visiera abbassata. Quando la porta si aprì e Belinda e sua madre uscirono dal castello,<br />

ogni rumore cessò. Nessuno parlava, solo i cavalli sbuffavano piano e battevano gli zoccoli sul<br />

terreno.<br />

Il cavaliere che stava davanti a tutti gli altri alzò la visiera dell' elmo. Belinda riconobbe suo<br />

padre. «Ascolta», <strong>di</strong>sse la donna rivolta al cavaliere, «eccoti nostra <strong>figli</strong>a. Mi è molto <strong>di</strong>fficile<br />

vincere la paura che tu la rapisca <strong>per</strong> portarla nella tua terra. Ma ti crederò, se davanti a tutti<br />

questi cavalieri mi darai la tua parola d'onore che me la riporterai». «Davanti a tutti questi<br />

cavalieri ti do la mia parola d'onore», <strong>di</strong>sse solennemente il padre <strong>di</strong> Belinda levando la mano.<br />

«Vieni, Belinda, è da tanto tempo che aspetto <strong>di</strong> vederti, da troppo tempo! Questa sera ti<br />

riporterò a casa». Belinda corse da suo padre, che la issò a cavallo e si allontanò lentamente<br />

con lei. Felice, la bambina fece un cenno con la mano a sua madre, <strong>di</strong>cendo: «Stasera sarò a<br />

casa!». E sapeva che sarebbe stato così.<br />

Per i <strong>genitori</strong>: «lI presunto rapimento» ovvero la paura è una cattiva consigliera<br />

Antefatto


Belinda ha sette anni. Sua madre è tedesca, suo padre è uno straniero dalla pelle scura. Dopo<br />

che i due si sono <strong>separati</strong>, la donna sottrae la <strong>figli</strong>a al marito e giustifica il suo comportamento<br />

<strong>di</strong>cendo <strong>di</strong> temere che la bambina venga rapita dal padre. Quest'ultimo, non potendo più<br />

vedere la <strong>figli</strong>a, minaccia effettivamente <strong>di</strong> portarsela con sé al suo paese. La minaccia<br />

accresce il timore della donna, che tiene nascosta la <strong>figli</strong>a.<br />

Obiettivo<br />

La fiaba ha lo scopo <strong>di</strong> indurre Belinda a esprimere il suo desiderio <strong>di</strong> star vicina al padre. La<br />

madre deve riconoscere che il suo modo <strong>di</strong> comportarsi può aumentare il <strong>per</strong>icolo <strong>di</strong> un<br />

rapimento, se non ad<strong>di</strong>rittura favorirlo. Non esiste ostacolo che sia più <strong>di</strong>fficile da su<strong>per</strong>are<br />

della paura della madre. La bambina, al posto <strong>di</strong> una gradevole sensazione <strong>di</strong> sicurezza, prova<br />

un senso <strong>di</strong> oppressione e reclusione. In fondo occorre far capire alla donna che suo marito,<br />

pur minacciandola, gode, com'è giusto, della fiducia <strong>di</strong> sua <strong>figli</strong>a.<br />

Proce<strong>di</strong>mento narrativo<br />

La metafora rende evidente che con l'escalation il problema <strong>di</strong>venta apparentemente<br />

irresolubile. Può essere utile il consiglio offerto da una fiaba nella fiaba. La soluzione proposta<br />

è la seguente: «In una situazione che si è bloccata fa qualcosa <strong>di</strong> nuovo, e fallo fino in fondo».<br />

Tom in viaggio<br />

Tom è un appassionato boy scout, e un giorno parte con il suo gruppo <strong>per</strong> un lungo viaggio.<br />

Sarà un viaggio <strong>per</strong> mare, che porterà Tom e i suoi amici nel paese in cui si mangiano ottimi<br />

spaghetti e l'aria è profumata <strong>di</strong> cannella. Tom arriva puntuale al porto; il suo zaino è<br />

pesantissimo e i pie<strong>di</strong> gli fanno male.<br />

Sale più presto che può sulla nave <strong>per</strong> potersi riposare. Gli è appena stato assegnato un<br />

comodo letto in una cabina doppia quando sente il fischio della sirena: la nave salpa. Stanco<br />

morto com'è, Tom si addormenta. Appena sveglio sale in co<strong>per</strong>ta e, guardandosi intorno, si<br />

accorge <strong>di</strong> non conoscere nessuno <strong>di</strong> quelli che viaggiano con lui. Questo fatto lo sconcerta:<br />

dopotutto si era messo in viaggio con gli amici del suo gruppo. In quel momento <strong>per</strong>ò un<br />

aroma penetrante <strong>di</strong> cipolla fritta con il lardo gli solletica il naso. Lasciatosi guidare dal<br />

profumo, arriva alla cambusa dove trova il cuoco <strong>di</strong> bordo. «Ehi», gli <strong>di</strong>ce costui, «tu sei un<br />

buongustaio come me, abbiamo entrambi buon naso». E quel giorno Tom si trattiene parecchio<br />

in cambusa col simpatico cuoco. Alla sera, mentre attraversa il ponte della nave <strong>per</strong> tornare<br />

alla sua cabina, gli torna in mente la domanda: «Dove saranno i miei compagni?» e pensa:<br />

«Non ho ancora visto neanche uno scout a bordo». Non conosce neppure il giovane che <strong>di</strong>vide<br />

la cabina con lui. Costui <strong>per</strong>ò suona meravigliosamente l'armonica a bocca: a quel suono Tom<br />

si addormenta e <strong>di</strong>mentica i suoi dubbi. Il giorno dopo, sul ponte, quando si accinge a darsi da<br />

fare <strong>per</strong> venire a capo della sua situazione, ecco che gli si avvicina un vecchio signore con la<br />

barba, che si annoia visibilmente. Per ore costui gli parla dei suoi viaggi in terre lontane e delle<br />

avventure che ha vissuto. Quando infine si fa sera, il ragazzo torna alla sua cabina e pensa:<br />

«Ancora non so dove sono i miei amici e dove va questa nave; lo chiederò al mio compagno <strong>di</strong><br />

stanza». Ma questi dorme già. Tom resta a lungo sveglio: è triste e allo stesso tempo ha<br />

paura. Il mattino dopo, salito in co<strong>per</strong>ta, trova un giovanotto che lo invita a giocare a palla con<br />

lui.


Tom accetta e passa la giornata a giocare. E così ogni giorno, <strong>per</strong> settimane. Qualsiasi<br />

occasione fornisce a Tom il pretesto <strong>per</strong> non pensare ai suoi problemi. Ma <strong>di</strong> notte è sempre<br />

più spesso triste e ansioso, a volte ad<strong>di</strong>rittura furibondo. Ce l'ha con gli amici che non sono lì<br />

con lui, ce l'ha con la nave, ce l'ha con tutti. Al mattino <strong>di</strong> solito si sveglia furioso. Corre in<br />

co<strong>per</strong>ta e prende a calci le se<strong>di</strong>e a sdraio, tira la coda al cane <strong>di</strong> bordo e fa sobbalzare dallo<br />

spavento le vecchie signore che stanno facendo un pisolino. Gli altri passeggeri cominciano a<br />

evitarlo. Tom inizia a stare in cabina anche <strong>di</strong> giorno e cade sempre più in balia del suo cattivo<br />

umore. Si accorge che, se si rimpinza <strong>di</strong> cibo, si sente libero dai pensieri angosciosi, dai<br />

rimproveri verso se stesso e dalla rabbia impotente. Perciò passa il tempo a mangiare e<br />

<strong>di</strong>venta sempre più grasso e infelice. Una notte in cui non riesce a dormire <strong>per</strong>ché ha mangiato<br />

troppi spaghetti, sale <strong>di</strong> soppiatto in co<strong>per</strong>ta, ma lì si smarrisce. La notte è buia, fredda e<br />

umida. Tom ha un freddo cane. Cerca senza riuscirci <strong>di</strong> tornare alla sua cabina. Alla fine scorge<br />

una luce sul ponte e si <strong>di</strong>rige verso <strong>di</strong> essa. Con le ultime forze che gli rimangono apre una<br />

porta e si trova nella sala <strong>di</strong> comando della nave.<br />

Un vecchio signore dai capelli grigi solleva lo sguardo da un' apparecchiatura a cui sta<br />

lavorando e chiede con voce cavernosa: «Che vuoi <strong>qui</strong>, ragazzino?». Tom non riesce a<br />

rispondere <strong>per</strong> lo spavento; stanco morto, bagnato e infreddolito si accascia al suolo. Ma il<br />

vecchio urla: «Alzati, birbante, e aiutami piuttosto, visto che sei entrato senza chiedere il<br />

<strong>per</strong>messo!». Tom ubbi<strong>di</strong>sce tremando. Con poche, brusche parole il vecchio, che è l'ufficiale <strong>di</strong><br />

rotta, gli <strong>di</strong>ce quello che deve fare. Il suo compito è riconoscere determinati segni su uno<br />

strumento <strong>di</strong> misurazione e, appena li ha in<strong>di</strong>viduati, premere un pulsante. Questo lavoro<br />

richiede grande concentrazione. All'inizio Tom è troppo lento, e l'ufficiale urla insulti e<br />

parolacce. Ma poi il ragazzo si riprende e alla fine, quando ormai sta spuntando l'alba, riesce a<br />

svolgere il suo lavoro in modo <strong>per</strong>fetto. «Va' a dormire, ragazzino», brontola il vecchio, «potrai<br />

tornare, se vorrai». Stanco morto ma fiero e felicissimo, Tom si lascia cadere sul suo letto. Da<br />

allora torna ogni sera nella sala <strong>di</strong> comando. Con poche parole e tanti brontolii il vecchio<br />

marinaio gli insegna come si governa una nave. Affascinato, Tom impara il linguaggio del<br />

vento, delle onde, della luna e delle stelle. Egli ammira il suo maestro. Non ha più tempo né<br />

voglia <strong>di</strong> pensare a mangiare, e solo <strong>di</strong> rado gli vengono pensieri tristi.


Quando tre mesi dopo la nave arriva in un porto, Tom è ormai <strong>di</strong>ventato un buon ufficiale <strong>di</strong><br />

rotta. Il vecchio marinaio gli propone <strong>di</strong> continuare a lavorare con lui. Ma Tom scende a terra,<br />

prende servizio su un'altra grande nave e inizia un nuovo viaggio da solo.<br />

P er i <strong>genitori</strong>: « Tom in viaggio <strong>per</strong> mare» ovvero un ragazzo in conflitto <strong>di</strong> ruolo<br />

Antefatto<br />

Tom ha do<strong>di</strong>ci anni. Quando si è separata dal marito, sua madre lo ha preso con sé senza<br />

chiedergli nulla. Si è trasferita con lui in un' altra città, molto lontana da quella in cui vivevano<br />

prima. Il padre <strong>di</strong> Tom è rimasto con il fratello del ragazzo nella casa in cui abitavano prima<br />

della separazione. Entrambi i <strong>genitori</strong> desiderano occuparsi <strong>di</strong> Tom in modo esclusivo. Il<br />

ragazzo si sente come l'uomo che sta vicino alla madre e le fa da sostegno, ma si sente anche<br />

<strong>figli</strong>o <strong>di</strong> suo padre e compagno <strong>di</strong> giochi <strong>di</strong> suo fratello. Questa molteplicità <strong>di</strong> ruoli, assommata<br />

agli impegni e alle preoccupazioni <strong>di</strong> tutti i giorni ­ cambio <strong>di</strong> scuola, trasloco, vita nella grande<br />

città, mancanza <strong>di</strong> denaro ­ risulta troppo gravosa <strong>per</strong> Tom: è un <strong>di</strong>sadattato. Il suo umore<br />

passa dall' aggressione alla depressione. Quando è depresso, mangia in modo esagerato. Pur<br />

essendo un ragazzo dotato, a scuola va sempre peggio.<br />

Obiettivo<br />

Obiettivo della storia è motivare Tom a concentrare le proprie forze sulla soluzione dei suoi<br />

problemi scolastici, invece <strong>di</strong> ingarbugliarsi in conflitti <strong>di</strong> ruolo.<br />

P roce<strong>di</strong>mento narrativo<br />

Quale metafora <strong>per</strong> la vita <strong>di</strong> Tom ado<strong>per</strong>iamo un viaggio in nave. Quello che può essere<br />

d'aiuto al ragazzo <strong>per</strong> risolvere il suo problema è l'impegno nello stu<strong>di</strong>o. Così egli si assume la<br />

responsabilità <strong>di</strong> se stesso e trova il modo <strong>di</strong> liberarsi dai ruoli che i <strong>genitori</strong> gli assegnano.<br />

Perseguendo con coerenza un obiettivo, fa in modo che la sua vita ac<strong>qui</strong>sti nuovamente un<br />

senso stabilito da lui stesso.<br />

I l miele magico<br />

Ai margini del bosco, dove il prato <strong>di</strong>grada dolcemente verso il fiume, si erge un vecchio noce<br />

possente. Nella sua chioma ni<strong>di</strong>ficano cinciallegre e co<strong>di</strong>rossi. Uno scoiattolo marrone ha fatto<br />

la sua tana nella parte più alta del tronco. La corteccia dell' albero ospita innumerevoli<br />

coleotteri, bruchi e zanzare. Nelle parti fra<strong>di</strong>ce del tronco ci sono i favi <strong>di</strong> una grossa colonia <strong>di</strong><br />

api. Tra le ra<strong>di</strong>ci nel terreno, vicino a un grosso rospo verdastro, abita una famiglia <strong>di</strong> topi con<br />

tanti topolini irre<strong>qui</strong>eti. Lì nei pressi c'è l'ingresso alla tana degli orsi.<br />

Sotto, molto in basso, dove il terreno è caldo e soffice, sta mamma orsa con il suo<br />

orsacchiotto Borbottone. All' orsacchiotto piace molto la vita nel fondo della tana. Lì la luce<br />

arriva smorzata e c'è un profumo piacevole <strong>di</strong> pelle d'orso e naturalmente <strong>di</strong> miele, <strong>per</strong>ché<br />

mamma orsa ha sempre accanto a sé un grosso vaso <strong>di</strong> creta pieno del miele più s<strong>qui</strong>sito<br />

prodotto dalle api selvatiche. Sul vaso è incollata una vistosa etichetta con la scritta «Miele ­<br />

Marca Invulnerabile». Questo fatto è molto importante <strong>per</strong> Borbottone. Già alcune volte, in<br />

occasione delle sue esplorazioni ai confini del bosco, ha tentato <strong>di</strong> rubare il miele dai favi<br />

appesi al tronco del noce, ma ogni volta, guaendo e con il naso tutto punzecchiato dalle api, ha<br />

dovuto tornare <strong>di</strong> corsa da mamma orsa e dal suo vaso <strong>di</strong> miele. La mamma allora gli toglieva i<br />

pungiglioni dal naso, cosa che gli procurava un dolore tremendo, lo prendeva tra le sue zampe<br />

forti e pelose e gli dava da mangiare un po' del miele del suo vaso, finché il cucciolo non


tornava a sentirsi del tutto a suo agio. Sì, era davvero piacevole la vita nella tana sotto il<br />

vecchio noce. Ma un giorno, mentre mamma orsa è nel bosco in cerca <strong>di</strong> cibo e Borbottone<br />

dorme sognando scorpacciate <strong>di</strong> miele, ecco che accade qualcosa <strong>di</strong> terribile.<br />

La terra comincia a tremare e un violento fragore lacera l'aria. Si sentono rumori e brontolii<br />

minacciosi, schegge volano <strong>per</strong> ogni dove, una luce abbagliante penetra nella tana <strong>di</strong> solito in<br />

penombra. Quando Borbottone apre gli occhi spaventato, gli si presenta uno spettacolo<br />

tremendo: la terra è piena <strong>di</strong> fen<strong>di</strong>ture, dap<strong>per</strong>tutto ci sono mucchi <strong>di</strong> pietre e <strong>di</strong> detriti, la<br />

chioma del vecchio noce giace a terra tutta lacerata vicino al tronco spaccato in due. Gli<br />

animali sono agitatissimi, svolazzano qua e là e strepitano facendo una grande confusione:<br />

«Salvate il co<strong>di</strong>rosso, è rimasto bloccato sotto il ramo!». «Liberate i topolini, sono in mezzo alle<br />

pietre!». «Dov'è finito il nido che mi sono costruito con tanta fatica?». Le api ronzano <strong>di</strong>s<strong>per</strong>ate<br />

dap<strong>per</strong>tutto. Alla vista degli insetti così irritati, Borbottone fugge verso il punto in cui ancora<br />

pochi momenti prima c'era la sua amata tana. Dov' è il vaso del miele? Ahimè, una pietra lo ha<br />

mandato in frantumi. La massa gialla e appiccicosa scorre <strong>per</strong> terra e centinaia <strong>di</strong> api vi si<br />

stanno precipitando sopra. Borbottone corre via più veloce che può e si lamenta invocando<br />

mamma orsa. Ma non riceve risposta. La sua mamma se n'è andata in cerca <strong>di</strong> cibo. Ed ecco<br />

che l'orsacchiotto si ricorda <strong>di</strong> avere anche un papà e una sorella.<br />

Da tempo se ne sono andati e adesso hanno certamente una bella tana calda e sicura.<br />

Guaendo si mette in cammino <strong>per</strong> cercarli. Quando si sente tormentato dalla fame, si consola<br />

pensando: «Di certo papà avrà un bel po' <strong>di</strong> miele <strong>di</strong> quello buono!». Finalmente, dopo<br />

parecchi giorni,l'orsacchiotto arriva spossato alla <strong>di</strong>mora del padre e della sorella, che lo<br />

accolgono con affetto. Lì <strong>per</strong>ò Borbottone trova da mangiare soltanto della marmellata <strong>di</strong> ribes<br />

tutta piena <strong>di</strong> semi. Il terremoto ha a<strong>per</strong>to enormi crepe nella nuova tana, e papà orso ha il<br />

suo bel da fare a ripararle. Quando Borbottone si offre <strong>di</strong> aiutarlo, suo papà gli risponde<br />

corrucciato: «Lasciami in pace, farò prima da solo».


Così dopo qualche giorno Borbottone lascia il padre e la sorella e se ne va. Non sa bene dove<br />

andare e qualche volta, quando è da solo in mezzo al bosco, è preso dalla paura. Un giorno,<br />

sfinito dopo tanto camminare, fa una sosta su un prato verde. Si sente solo e abbandonato,<br />

ingiustamente castigato dal destino. Ad un tratto qualcuno lo pizzica sulla coda. Borbottone fa<br />

un balzo e grida: «Un'ape, un'ape!». Ma sul prato c'è qualcuno che ridacchia, e quando il<br />

nostro orsetto si gira si trova davanti un cucciolo d'orso che non conosce. «Non startene lì con<br />

le mani in mano, stor<strong>di</strong>to che non sei altro!», gli <strong>di</strong>ce quest'ultimo. «Aiutaci piuttosto a<br />

costruire la nostra zattera. Faremo un bel viaggio, sai!». Borbottone non capisce e, invece <strong>di</strong><br />

rispondere, spalanca gli occhi <strong>per</strong> la sorpresa.<br />

«Va là, imbranato!» gli fa l'altro, e corre via. Incuriosito, Borbottone si alza, smette <strong>per</strong> un<br />

momento <strong>di</strong> pensare al vaso del miele che non c'è più e segue le orme del cucciolo sull'erba.<br />

Pauroso com'è, ci mette parecchio a ritrovarlo. Ma l'orsetto non è più solo: in riva al fiume ci<br />

sono più <strong>di</strong> <strong>di</strong>eci cuccioli d'orso tutti indaffarati a raccogliere tronchi e grossi rami. Altri, a<br />

gruppi <strong>di</strong> tre o <strong>di</strong> quattro, trasportano lunghe liane dal margine del bosco fino al fiume. Tutti<br />

insieme stanno costruendo una zattera. Uno degli orsi vede Borbottone e gli <strong>di</strong>ce: «Vieni,<br />

aiutaci, navigherai con noi e ti <strong>di</strong>vertirai un sacco!». Zitto zitto, Borbottone si mette al lavoro.<br />

All'inizio, sentendosi debole, fa molta fatica a sollevare e a trasportare i tronchi, e quando lo<br />

mandano da solo nel bosco a prendere i rami la paura lo assale <strong>di</strong> nuovo. Gli altri orsetti invece<br />

fanno tutto insieme e mentre lavorano ridono allegri, si danno spintoni e fanno capriole<br />

all'in<strong>di</strong>etro. A Borbottone quell' atmosfera piace molto, e ogni giorno che passa si fa più forte e<br />

coraggioso. Lungo il fiume impara a pescare: come sono buoni i pesci! Un giorno Furbacchione,<br />

uno degli orsetti, gli insegna come procurarsi il miele senza farsi pungere dalle api:<br />

«Cammina adagio», gli <strong>di</strong>ce, «avvicinati alle api solo quando le ve<strong>di</strong> volare allegre al sole,<br />

cospargiti la pelliccia <strong>di</strong> polline e offriglielo in dono. Allora giocheranno volentieri con te,<br />

danzerete insieme sull' erba ed esse stesse ti offriranno il loro miele, <strong>per</strong>ché avranno capito<br />

che sei loro amico». Borbottone segue il consiglio e da allora può papparsi tutto il miele che<br />

vuole. Dopo poco tempo la zattera è pronta. Gli orsetti si preparano a partire <strong>per</strong> un lungo<br />

viaggio. Fin dove arriveranno?<br />

P er i <strong>genitori</strong>: « I l miele magico marca " Invulnerabile" » ovvero come staccarsi<br />

dalla simbiosi con la madre<br />

Antefatto<br />

La madre <strong>di</strong> Hans si è separata dal marito e si è trasferita in un' altra città con il <strong>figli</strong>o <strong>di</strong> sette<br />

anni e la <strong>figli</strong>a più grande. La sorella ha poi voluto tornare dal padre. Attualmente i <strong>genitori</strong><br />

sono in causa <strong>per</strong>ché ciascuno <strong>di</strong> essi riven<strong>di</strong>ca il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> prendersi cura <strong>di</strong> Hans. Il padre<br />

rinfaccia alla moglie <strong>di</strong> aver allattato Hans fino all' età <strong>di</strong> quattro anni. Per paura <strong>di</strong> «<strong>per</strong>dere» il<br />

<strong>figli</strong>o e <strong>di</strong> doverlo lasciare al marito, la madre si comporta nei confronti <strong>di</strong> Hans in un modo che<br />

denota insicurezza e paura. Il bambino cerca rifugio in comportamenti regressivi. Tali<br />

comportamenti danno al padre occasione <strong>di</strong> esercitare sulla madre una pressione ancora<br />

maggiore. Tuttavia il problema <strong>di</strong> Hans non è costituito dalle presunte profferte della madre,<br />

bensì dalla sua evoluzione sociale, non avvenuta in modo normale a causa della simbiosi con la<br />

madre stessa.


Obiettivo<br />

La fiaba ha lo scopo <strong>di</strong> aiutare Hans a liberarsi dalla simbiosi con la madre, a raggiungere<br />

l'autonomia dal punto <strong>di</strong> vista fisico e a sentirsi sicuro con il proprio corpo.<br />

P roce<strong>di</strong>mento narrativo<br />

Il proce<strong>di</strong>mento narrativo della fiaba è quello «classico». La trama del racconto inizia<br />

con il problema dell'atteggiamento eccessivamente protettivo tipico della simbiosi e, al<br />

<strong>di</strong> là della catastrofe rappresentata dalla separazione dei <strong>genitori</strong>, porta alla soluzione<br />

del problema: una vita felice grazie all' accettazione da parte dei coetanei. I cuccioli<br />

d'orso sono quelli che aiutano il ragazzo a risolvere il suo problema.<br />

Zippel Zappel Zuppel fanno cagnara<br />

In un laghetto <strong>di</strong> montagna limpido e azzurro vive Zippel, la trota. È scaltra e veloce. Nessuno<br />

dei pescatori che trascorrono le vacanze nel campeggio vicino è mai riuscito a prenderla all'<br />

amo. Un giorno arriva sul posto un circo ambulante. L'attrazione della piccola troupe è un<br />

elegante pinguino <strong>di</strong> nome Zappel: è l'unico pinguino che si conosca a non mangiare pesci.<br />

Ogni giorno il <strong>per</strong>sonale del circo gli da da mangiare panini al prosciutto e insalata. Se gli si<br />

mette davanti un pesce vivo, subito Zappel fa amicizia con lui. Morirebbe <strong>di</strong> fame piuttosto che<br />

mangiare un pesce. Una notte il custode <strong>di</strong>mentica <strong>di</strong> chiudere la gabbia in cui vive Zappel. Il<br />

pinguino esce e si <strong>di</strong>rige saltellando verso il lago: entra in acqua, ma la trova<br />

insopportabilmente calda. Zappel salta subito fuori dal lago, prima che la trota Zippel abbia il<br />

tempo <strong>di</strong> spaventarsi.<br />

Il pinguino sceglie allora <strong>per</strong> la sua passeggiata notturna una stra<strong>di</strong>na nelle vicinanze. Arriva a<br />

una fattoria e, attratto dall' odore, entra nella stalla. Lì trova un grazioso porcellino rosa. «Mi<br />

chiamo Zuppel», <strong>di</strong>chiara il porcellino, «e tu come ti chiami?». «Mi chiamo Zappel», risponde il<br />

pinguino, "vuoi che siamo amici? Vieni, an<strong>di</strong>amo giù al lago a giocare!". Zuppel sulle sue<br />

zampette rigide saltella così veloce giù <strong>per</strong> il pen<strong>di</strong>o che porta al lago, che Zappel non riesce a<br />

stargli <strong>di</strong>etro col suo passo lento e saltellante. Inciampa, rotola giù <strong>per</strong> la china, cade su<br />

Zuppel ed entrambi piombano insieme nell' acqua fredda del lago, proprio sulla trota Zippel.<br />

Quando tutti e tre si sono ripresi dallo spavento, il pinguino chiede educatamente scusa agli<br />

altri due. «Vi prego <strong>di</strong> scusarmi», <strong>di</strong>ce, continuando a inchinarsi nella sua lucente marsina<br />

bianca e nera, «oggi sono così agitato! Vi prego <strong>di</strong> scusarmi!». Ecco che d'un tratto il porcellino<br />

balza in pie<strong>di</strong> e comincia a sgambettare come un forsennato, in segno <strong>di</strong> simpatia <strong>per</strong> il suo<br />

amico pinguino. «Fate anche voi come me», <strong>di</strong>ce, «sgambettare così è davvero <strong>di</strong>vertente!». E<br />

subito Zippel inizia a <strong>di</strong>menarsi nell'acqua, poi spicca balzi in aria e si lascia ricadere nel lago<br />

con gran<strong>di</strong> tonfi. Zappel si agita sulla riva accanto a Zuppel. Batte le ali una contro l'altra,<br />

saltella, si sbellica dalle risa tentennando il capo. Però con tutto quel <strong>di</strong>menarsi e agitarsi i tre<br />

fanno un gran baccano. Grugniscono, fanno rumori <strong>di</strong> ogni genere: li si sente fin nel folto del<br />

bosco. Il frastuono sveglia il vecchio gufo, il maestro degli animali.<br />

Costui, irritato, si stropiccia gli occhi, vola silenzioso fino alla riva del lago e osserva dall' alto<br />

tutto quel trambusto. Poi chiama gli animali del bosco, da tempo svegli a causa del rumore, e<br />

<strong>di</strong>ce: «Giù in riva al lago ci sono tre animali, un pinguino, un porcellino e una trota, che fanno


un gran baccano. Se continuano così, finiranno <strong>per</strong> impazzire tutti e tre. Che degli uccelli<br />

facciano un tale frastuono è normale, ma che lo facciano tre animali come quelli non lo è <strong>per</strong><br />

niente. Dobbiamo fare qualcosa. Chi ha un'idea?». Un ragno nero e peloso con una macchia<br />

gialla sul dorso chiede la parola e <strong>di</strong>ce, con la sua vocina appena <strong>per</strong>cepibile: «lo ho un'idea,<br />

ma <strong>per</strong> adesso non ve la <strong>di</strong>co. Venite tutti domani mattina alle cinque e mezza giù in riva al<br />

lago, e portatemi anche qualcosa, <strong>per</strong>ché la mia idea è davvero geniale e vale un compenso».<br />

Sentito ciò, tutti gli animali se ne vanno alla svelta a dormire, <strong>di</strong> modo che alle cinque, quando<br />

il gallo come stabilito li sveglia con il suo chicchirichì, hanno riposato almeno un po'. Tutti<br />

insieme si procurano il compenso che il ragno aveva chiesto, due rane, tre topi e cinque<br />

lumache, e scendono pian piano verso il lago, aspettando che arrivino il ragno e il gufo.<br />

Nascosti <strong>di</strong>etro i cespugli, osservano Zippel, Zappel e Zuppel che continuano ad agitarsi come<br />

ossessi alla luce della luna, tanto che a malapena li si può <strong>di</strong>stinguere l'uno dall'altro. Sembra<br />

<strong>per</strong>sino che ormai non si stiano più <strong>di</strong>vertendo.<br />

Ed ecco che <strong>di</strong> colpo, <strong>per</strong> tre volte <strong>di</strong> seguito, si sente echeggiare un lugubre «Uhuuu!», e al<br />

tempo stesso si vede il ragno che si cala lentamente da un ramo attaccato al suo filo argenteo,<br />

proprio sulle teste dei tre che si stanno <strong>di</strong>menando come <strong>di</strong>s<strong>per</strong>ati. La macchia gialla sul dorso<br />

del ragno risplende minacciosa alla luce della luna. Quando Zippel, Zappel e Zuppel vedono<br />

l'insetto sopra le loro teste, spalancano gli occhi <strong>per</strong> lo stupore. Il ragno attaccato al filo<br />

comincia lentamente a oscillare avanti e in<strong>di</strong>etro, mentre il gufo lancia i suoi lamentosi<br />

«Uhuuu! Uhuuu! Uhuuu!». Dopo aver a lungo seguito con gli occhi la macchia gialla che si<br />

muove su e giù, i tre amici si sentono invadere da un' enorme stanchezza a cui non riescono a<br />

resistere. Si lasciano scivolare a terra tutti e tre e cadono in un sonno profondo. Anche gli altri<br />

animali si addormentano. Si risvegliano soltanto cinque ore più tar<strong>di</strong>, quando il sole è già alto<br />

nel cielo. «È stato un sogno», pensa Zippel.<br />

«Però è stato bello riuscire a smetterla <strong>di</strong> colpo con tutto quel <strong>di</strong>menarsi», pensa Zappel. «Ho<br />

fatto davvero una bella dormita, ci voleva», pensa Zuppel. E, cosa strana, tutte le volte che<br />

dopo quella notte a Zippel, Zappel e Zuppel capita <strong>di</strong> agitarsi tanto da non riuscire neppur più<br />

a <strong>di</strong>vertirsi, è come se davanti ai loro occhi apparisse una luminosa macchia gialla che oscilla<br />

avanti e in<strong>di</strong>etro, e alle loro orecchie risuonasse <strong>per</strong> tre volte un lungo «Uhuuu! Uhuuu!<br />

Uhuuu!».<br />

P er i <strong>genitori</strong>: « Zippel, Zappel e Zuppel fanno cagnara» , ovvero quando i<br />

bambini non riescono a stare calmi<br />

Antefatto<br />

Leo, Ludwig e Lena (i primi due sono fratelli gemelli <strong>di</strong> un<strong>di</strong>ci anni, mentre Lena, la loro sorella,<br />

ne ha <strong>di</strong>eci) dopo il <strong>di</strong>vorzio dei loro <strong>genitori</strong>, che hanno deciso <strong>di</strong> continuare a prendersi cura<br />

insieme dei <strong>figli</strong>, vivono a turno una metà della settimana con la madre e l'altra metà con il<br />

padre. Questo tipo <strong>di</strong> vita comporta <strong>per</strong> i ragazzi lunghi spostamenti <strong>per</strong> raggiungere la scuola<br />

e i luoghi <strong>di</strong> <strong>di</strong>vertimento. Inoltre essi devono continuamente cercare <strong>di</strong> raccapezzarsi e


adattarsi agli stili <strong>di</strong> vita opposti dei loro <strong>genitori</strong>. Tutti e tre soffrono <strong>di</strong> <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong><br />

concentrazione e hanno problemi scolastici.<br />

Obiettivo<br />

Obiettivo della storia è mostrare ai ragazzi come possono imparare ad allentare la tensione<br />

interiore e a calmarsi quando lo stress a cui sono sottoposti nella vita <strong>di</strong> tutti i giorni <strong>di</strong>venta<br />

troppo forte. Nella vita reale i tre fratelli praticano il training autogeno come terapia che può<br />

aiutarli a risolvere i loro problemi.<br />

P roce<strong>di</strong>mento narrativo<br />

Questa storia è stata inventata dai tre ragazzi. Leggendo ci si può rendere conto <strong>di</strong> come i tre<br />

abbiano svolto questa loro attività e <strong>di</strong> come sia possibile aiutare i bambini ad inventare storie,<br />

capendone il messaggio.<br />

Rosamunda<br />

Lontano da ogni altra <strong>di</strong>mora, in un punto in cui gli scogli si gettano ripi<strong>di</strong> nel mare<br />

tempestoso, si erge il castello <strong>di</strong> Rosamunda. In esso la donna abita da sola con poche fidate<br />

domestiche. Ma non è sempre stato così. Ancora pochi anni or sono Rosamunda viveva in città<br />

e ogni giorno passava <strong>per</strong> le strade ampie ed eleganti del centro in groppa al suo bianco<br />

cavallo. Indossava abiti <strong>di</strong> seta rossa ed era adorna <strong>di</strong> gioielli preziosi. «Ecco Rosamunda, la<br />

più bella <strong>di</strong> tutte le donne!», esclamavano gli abitanti della città, osse<strong>qui</strong>andola. Poi <strong>per</strong>ò un<br />

grande dolore colpì Rosamunda ed ella da un giorno all'altro abbandonò la città.<br />

Giurò che non sarebbe mai più tornata nel luogo in cui tanto male le era stato fatto. Oltre alle<br />

domestiche, la donna aveva portato con sé al castello un uccellino, il cui nome era Ugola d'Oro.<br />

Era un piccolo uccello, grazioso e allegro, dalle penne splendenti color bruno dorato e dal<br />

piumaggio <strong>di</strong> un giallo tenue sul petto. Ugola d'Oro cantava in modo meraviglioso e<br />

Rosamunda trascorreva le giornate in sua compagnia. Lo lavava in una bacinella dorata e poi<br />

gli asciugava le penne col fiato e lo accompagnava nel canto delle più belle canzoni. Spesso<br />

sedeva alla finestra accanto alla sua gabbia e lo guardava con affetto e tenerezza. Rosamunda<br />

amava il suo uccellino più <strong>di</strong> se stessa. Un giorno Rosamunda si accorse che Ugola d'Oro non<br />

cantava più allegro come prima. Soprattutto la sera, quando il sole si gettava nel mare,<br />

intonava canti malinconici in <strong>di</strong>rezione della città, il luogo in cui era nato. In un primo tempo<br />

Rosamunda non volle ammettere ciò che da tempo sospettava, ma siccome il suo amato<br />

uccellino si faceva sempre più debole e triste e lei capiva che cantava le sue allegre melo<strong>di</strong>e<br />

soltanto <strong>per</strong> farle piacere, sentì una voce inesorabile dentro <strong>di</strong> sé che le <strong>di</strong>ceva: «Ugola d'Oro<br />

ha nostalgia della città: lascia che voli fin laggiù!». Rosamunda fu presa dall' angoscia e sentì<br />

un brivido <strong>di</strong> paura <strong>per</strong>correrla tutta. La sua risposta fu imme<strong>di</strong>ata: «No, mai! La città è<br />

crudele e il mio uccellino è debole e in<strong>di</strong>feso; laggiù avrà soltanto da soffrire!». La voce<br />

interiore tacque, ma quella notte Rosamunda fece un sogno terribile. Le apparve una chiocciola<br />

chiusa nel proprio guscio, che non riusciva più a tirare fuori le antenne e che malgrado facesse<br />

sforzi penosi moriva miseramente <strong>di</strong> fame. La donna si svegliò terrorizzata e in un bagno <strong>di</strong><br />

sudore. La voce interiore le <strong>di</strong>ceva: «Lascia che Ugola d'Oro se ne vada!».


Rosamunda corse alla gabbia in cui il suo amato uccellino se ne stava triste e sconsolato, ma<br />

proprio allora le tornarono alla memoria i ricor<strong>di</strong> delle offese che aveva subito in città: le venne<br />

in mente che il suo caro uccellino avrebbe dovuto soffrire quello che lei aveva sofferto. «No,<br />

mai!», esclamò a voce alta. E si mise a lavare Ugola d'Oro nella bacinella dorata. La notte<br />

seguente un nuovo sogno la angustiò. Sognò una lepre che, <strong>per</strong> sfuggire a una volpe da cui<br />

era inseguita, scavava nel terreno un buco profon<strong>di</strong>ssimo. Ma, quando finalmente tornava alla<br />

luce, la bestiola era <strong>di</strong>ventata cieca. E nuovamente al risveglio la solita voce interiore le or<strong>di</strong>nò:<br />

«Lascia che Ugola d'Oro voli via!». Ma <strong>di</strong> nuovo il ricordo delle terribili es<strong>per</strong>ienze passate la<br />

sopraffece e un' angoscia tremenda la invase. E la donna <strong>di</strong>sse ancora una volta <strong>di</strong> no. La terza<br />

notte il sogno che la funestò fu ancora più tremendo dei precedenti. Sognò che una giovane a<br />

lei sconosciuta avvolgeva con amorevole sollecitu<strong>di</strong>ne il suo neonato in lunghe fasce can<strong>di</strong>de,<br />

partendo dai pie<strong>di</strong> <strong>per</strong> giungere fino alla testa. Fatto questo, la donna avviluppava con gran<br />

cura le fasce attorno al capo del bambino; alla fine <strong>per</strong>ò il piccolo corpo era immobile e da esso<br />

non usciva più alcuna voce. Rosamunda si svegliò urlando e si precipitò alla gabbia del suo<br />

uccellino.<br />

Tremando gli legò al collo una campanella d'argento e ne fissò una uguale al davanzale. Poi<br />

aprì la gabbia e la finestra: Ugola d'Oro rizzò le penne e volò via. La campanella che aveva al<br />

collo e quella fissata al davanzale risuonarono <strong>per</strong> un momento all'unisono. Ma soltanto <strong>per</strong> un<br />

attimo quel suono armonioso <strong>di</strong>ede a Rosamunda una sensazione <strong>di</strong> sicurezza, poi un' angoscia<br />

tremenda la colse. Ritornò nuovamente in sé solo quando si accorse che le due campanelle<br />

avevano ripreso a s<strong>qui</strong>llare all'unisono. Il <strong>di</strong>sco rosso del sole stava tramontando nel mare e<br />

Ugola d'Oro era <strong>di</strong> nuovo nella sua gabbia. Pazza <strong>di</strong> gioia Rosamunda corse da lui, ma lo trovò<br />

ridotto in uno stato pietoso. Aveva le penne tutte arruffate e il bel piumaggio sul petto era<br />

cosparso <strong>di</strong> macchie scure e unte: forse macchie <strong>di</strong> sangue!


Le ritornarono in mente i vecchi ricor<strong>di</strong> e tremò al pensiero che il suo uccellino potesse essere<br />

stato ferito. Durante la notte seguente Rosamunda non dormì, <strong>per</strong> paura <strong>di</strong> fare altri brutti<br />

sogni. «Mai più!», si <strong>di</strong>ceva, «mai più lo lascerò andare! Proprio non posso!». Ma quando, il<br />

mattino dopo, stanca <strong>per</strong> la notte insonne, si avvicinò alla gabbia <strong>di</strong> Ugola d'Oro, vide che<br />

l'uccello se ne stava già impaziente davanti all'usciolo, cantando il suo desiderio <strong>di</strong> rivedere la<br />

città. Non sembrava che la città natale gli avesse lasciato brutti ricor<strong>di</strong>. Ma Rosamunda non<br />

aprì l'usciolo della gabbia e cercò con le sue premure <strong>di</strong> <strong>di</strong>stogliere l'uccellino dal suo proposito.<br />

E <strong>per</strong> un po' ci riuscì. Però in certi pomeriggi Ugola d'Oro tornava a essere triste e apatico, una<br />

volta ad<strong>di</strong>rittura fu colto da un accesso d'ira e tentò <strong>di</strong> beccare la sua padrona. Allora<br />

Rosamunda con mani tremanti gli legò al collo la campanella e lo lasciò volare via. Rosamunda<br />

trascorse il resto della giornata oppressa dall'angoscia e da un senso d'impotenza. Al calar<br />

della sera le due campanelle presero a s<strong>qui</strong>llare all'unisono e Ugola d'Oro fece ritorno alla sua<br />

gabbia. Per un momento Rosamunda si sentì invasa da una piacevole sensazione <strong>di</strong> amore e <strong>di</strong><br />

sicurezza. Poi l'uccellino cominciò a cantare: erano melo<strong>di</strong>e citta<strong>di</strong>ne, melo<strong>di</strong>e che alla donna<br />

ricordavano le dolorose offese <strong>di</strong> un tempo. Alla mente <strong>di</strong> Rosamunda si riaffacciarono gli<br />

antichi fantasmi, i ricor<strong>di</strong> degli oltraggi i patiti. «No!» gridò, chiudendo l'usciolo della gabbia.<br />

Il giorno successivo la donna si ammalò gravemente. Supplicò Ugola d'Oro <strong>di</strong> non cantare<br />

almeno <strong>per</strong> quel giorno quei canti <strong>per</strong> lei così tristi e <strong>di</strong> stare serenamente in sua compagnia<br />

almeno <strong>per</strong> una volta. L'uccellino si sforzò <strong>di</strong> accontentarla, ma la sua nostalgia della città era<br />

troppo forte e alla fine Rosamunda, in lacrime, si rassegnò ad aprire la gabbia. Tanta era<br />

l'angoscia e la prostrazione che l'avevano invasa che <strong>di</strong>menticò <strong>di</strong> legare la campanella al collo<br />

dell'uccellino. Quando se ne accorse, venne meno: si sentiva abbandonata da tutti e <strong>di</strong>s<strong>per</strong>ata.<br />

Solo l'armoniosa melo<strong>di</strong>a <strong>di</strong> due campanelle che s<strong>qui</strong>llavano all'unisono la fece tornare in sé. Il<br />

suo caro uccellino aveva fatto ritorno alla gabbia e la guardava allegro e contento. Il suo canto<br />

armonioso imitava il suono della campanella. Dunque il suo uccellino era incolume! Le melo<strong>di</strong>e<br />

che cantava erano <strong>di</strong>verse dal solito, il modo curioso in cui spiegava il piumaggio le piaceva.<br />

Rosamunda prese a giocare con il suo tesoro e <strong>per</strong> la prima volta fu contenta della sua gioia.<br />

P er i <strong>genitori</strong>: « Rosamunda» , ovvero amare significa sa<strong>per</strong> lasciar andare<br />

Antefatto<br />

Oliver è un bambino <strong>di</strong> due anni e mezzo. Da poco il padre ha lasciato lui e la moglie, <strong>per</strong><br />

andare a vivere con un' altra donna. Il comportamento dell'uomo ha profondamente offeso la<br />

madre <strong>di</strong> Oliver, che si trasferisce con il <strong>figli</strong>o in un' altra città e non <strong>per</strong>mette al marito <strong>di</strong><br />

vedere il bambino. La donna giustifica il suo atteggiamento <strong>di</strong>cendo <strong>di</strong> non poter affidare il<br />

<strong>figli</strong>o a un uomo che ha tra<strong>di</strong>to la sua fiducia. Oliver reagisce alla separazione frignando e<br />

piagnucolando, ma la madre interpreta queste manifestazioni come reazioni al cambiamento <strong>di</strong><br />

residenza.<br />

Obiettivo<br />

La metafora vuole farle capire che suo <strong>figli</strong>o sente la mancanza del padre e che <strong>per</strong> questo<br />

soffre. Inoltre la metafora spiega che amare il <strong>figli</strong>o significa lasciarlo libero e <strong>per</strong>ciò lasciare<br />

che faccia le proprie es<strong>per</strong>ienze e instauri rapporti con altre <strong>per</strong>sone, in<strong>di</strong>pendentemente dalle<br />

es<strong>per</strong>ienze <strong>di</strong> sua madre.<br />

P roce<strong>di</strong>mento narrativo


Nel racconto si riproduce il <strong>di</strong>alogo interiore tipico <strong>di</strong> molte madri e <strong>di</strong> molti padri in situazioni<br />

simili a questa. Da una parte essi ammettono che i bambini hanno bisogno sia del padre che<br />

della madre <strong>per</strong> crescere sani, dall' altra <strong>per</strong>ò sostengono che <strong>per</strong> il loro bambino non è così,<br />

<strong>per</strong>ché il rapporto con l'altro genitore sarebbe nocivo <strong>per</strong> lui. La fiaba presenta la<br />

riven<strong>di</strong>cazione <strong>di</strong> possesso che si nasconde <strong>di</strong>etro questo modo <strong>di</strong> pensare come una<br />

sensazione <strong>di</strong> angoscia e <strong>di</strong> dolore legata al dover lasciare i <strong>figli</strong> liberi <strong>di</strong> vivere la propria vita.<br />

Nella fiaba l'aiuto è fornito dalla legge <strong>di</strong> natura, <strong>per</strong> cui crescere significa graduale <strong>di</strong>stacco e<br />

ac<strong>qui</strong>sizione <strong>di</strong> libertà.<br />

La vite e il Melo<br />

Solo le <strong>per</strong>sone molto anziane sanno che, in un tempo molto anteriore a quello della loro<br />

giovinezza, è esistita un' epoca in cui gli alberi non soltanto avevano un' ombra, ma anche un'<br />

anima e una voce, una voce che esprimeva i sentimenti della loro anima. Gli alberi più alti<br />

avevano una voce profonda, quelli piccoli l'avevano più acuta. La voce degli arbusti era un<br />

fruscio e quella della campanula si sentiva da lontano. Le erbe invece non facevano che un<br />

lieve ronzio, <strong>per</strong>ché la loro anima era così fine e delicata che occorreva un orecchio esercitato<br />

<strong>per</strong> u<strong>di</strong>rne la voce. Di giorno tutte le piante svolgevano il loro lavoro il compito più facile<br />

l'avevano i girasoli, che al mattino si limitavano a tendere i loro fiori verso il sole e ne<br />

seguivano il corso fino al tramonto, e le rose, che non dovevano fare altro che aprire i petali ed<br />

emanare tutt'intorno il loro profumo. Ben più duro era il lavoro <strong>per</strong> altri fiori, che dovevano<br />

produrre parecchio nettare <strong>per</strong> api e bombi.<br />

Però il compito più pesante era quello del melo, che doveva succhiare acqua in gran quantità<br />

dal terreno <strong>per</strong> farla giungere fino alla sua chioma. Ogni sua più piccola ra<strong>di</strong>ce era impegnata<br />

in questa mansione e la corteccia si era fatta callosa <strong>per</strong> lo sforzo. La pianta faceva fatica a<br />

sod<strong>di</strong>sfare le enormi richieste <strong>di</strong> zucchero, vitamine e sostanze odorose che le <strong>per</strong>venivano dai<br />

suoi frutti. Ugualmente <strong>di</strong>fficile era il compito che era toccato alla vite, i cui grappoli esigevano<br />

sempre più zucchero. Così capitava spesso che il melo e la vite continuassero a lavorare anche<br />

dopo il tramonto, quando le altre piante già si lasciavano piacevolmente cullare dalla brezza<br />

nel buio. La sorte comune li univa. Fecero amicizia, un'amicizia così profonda che indusse la<br />

vite ad avvolgere il suo germoglio più grande attorno al tronco del melo. Le due piante stavano<br />

a parlottare tra loro fino a notte alta, e quei momenti li ripagavano delle fatiche del giorno.<br />

Qualche volta a far visita alle piante arrivava il vento, soprattutto la sera, quando tutti, anche il<br />

melo e la vite, si lasciavano cullare in pace. Il vento giocava con le piante e <strong>per</strong>metteva che<br />

esse giocassero con lui. Si sentivano allora fruscii e mormorii, sussurri e bisbigli.


Quelle che ne facevano <strong>di</strong> cotte e <strong>di</strong> crude erano la nolimetangere e la sua amica castagnola,<br />

che non pensavano ad altro che a scherzare. Facevano tante <strong>di</strong> quelle stupidaggini che alla fine<br />

il garofano doveva richiamarle all' or<strong>di</strong>ne. Poi piano piano i suoni si facevano più fiochi e infine<br />

si spegnevano. Allora si <strong>di</strong>menticavano anche gli interminabili litigi della giornata, la lotta <strong>per</strong> il<br />

posto più soleggiato e <strong>per</strong> le più ricche sostanze nutritive da succhiare alla terra, come pure<br />

l'accesa rivalità esistente tra erbe commestibili ed erbacce. Per <strong>di</strong>rla breve, era una bella vita<br />

quella che si viveva nel regno delle piante. Ma un giorno arrivarono tre uomini con tanto <strong>di</strong><br />

occhiali e <strong>di</strong> camice bianco. Erano armati <strong>di</strong> cavalletti, microscopi, pinzette e parecchi altri<br />

strumenti. Prelevarono campioni, misurarono, fecero calcoli, ridussero, ampliarono, <strong>di</strong>scussero.<br />

Erano interessati soprattutto alla «mostosità», al contenuto zuccherino dei grappoli d'uva. Ma<br />

scoprirono una «mostosità» anche nelle mele, e anche questo li interessò parecchio.<br />

Trascurarono invece l'ortica e tutte le altre erbe <strong>di</strong> quel tipo, con loro grande gioia: esse non<br />

presentavano «mostosità» alcuna. Dopo una settimana i tre tecnici conclusero il loro lavoro,<br />

<strong>di</strong>segnarono un progetto e se ne andarono. Poco tempo dopo giunsero numerosi giar<strong>di</strong>nieri con<br />

tute da lavoro blu; avevano con sé asce, vanghe, seghe e piantatrici <strong>di</strong> ogni tipo.<br />

Parlavano poco, ma segavano, <strong>di</strong>ssodavano, sarchiavano e piantavano dalla mattina alla sera.<br />

Per tutto il giorno si sentivano schianti, cigolii e scricchiolii, mentre la zona era avvolta da un<br />

nugolo <strong>di</strong> polvere. Di tanto in tanto i giar<strong>di</strong>nieri confrontavano il loro lavoro col progetto<br />

<strong>di</strong>segnato dagli uomini in camice bianco, al quale si attenevano fedelmente. Poi un bel giorno<br />

lasciarono intendere <strong>di</strong> essere sod<strong>di</strong>sfatti, si misero in spalla i loro attrezzi e se ne andarono. In<br />

un primo momento il melo non osò credere che fosse tornata la pace. Quando infine aprì gli<br />

occhi, vide il suo mondo trasformato. La vegetazione intorno a lui si era fatta più rada, poteva<br />

chinarsi a destra e a sinistra e scuotere i rami finché voleva senza <strong>di</strong>sturbare nessuno. Sentiva<br />

crescere nel suo animo un senso <strong>di</strong> liberazione. Ma poi si guardò attorno. Non c'era più traccia<br />

alcuna dell'ortica e <strong>di</strong> altre erbe <strong>di</strong> quel genere. Non vedeva più neppure la nolimetangere,<br />

sempre così sbarazzina, né la sua amica castagnola. Poi guardò dall'altra parte, verso le rose e<br />

le campanule, e sentì il calore del sole sul suo tronco. Sul suo tronco? Soltanto allora si accorse<br />

che attorno al suo tronco non c'era più la vite, e nonostante il caldo dell' ora rabbrividì. Alla<br />

vite andò ancora peggio. I tecnici in camice bianco avevano deciso che poteva avere una<br />

«mostosità» più elevata e l'avevano <strong>per</strong>ciò trapiantata nel lato esposto al sole <strong>di</strong> un pen<strong>di</strong>o. Fu<br />

alimentata con calcio e fertilizzanti a base <strong>di</strong> trucioli <strong>di</strong> corno ed ebbe come sostegno un grosso<br />

palo <strong>di</strong> pino scortecciato. Inoltre i suoi germogli furono accuratamente sfrondati. Adesso i<br />

grappoli d'uva crescevano e maturavano quasi da soli. Per la vite la faticaccia <strong>di</strong> un tempo era<br />

finita. Ma tutte le volte che sentiva tra i suoi grossi grappoli la presenza del palo, si rendeva<br />

conto <strong>di</strong> quanto le mancassero la corteccia del melo e le chiacchiere notturne scambiate con<br />

l'amico. Sentiva un prurito, un formicolio nelle ra<strong>di</strong>ci, come se le fosse possibile <strong>di</strong>vellerle dalla<br />

terra e tornare a pie<strong>di</strong>, o meglio a ra<strong>di</strong>ci, dal suo melo.


Riuscì a liberare alcune delle ra<strong>di</strong>ci dal terreno soffice in su<strong>per</strong>ficie, ma il rizoma, interrato da<br />

tempo ormai, resistette. La vite, esausta, rinunciò alla lotta. Una pianta non può allontanarsi<br />

dal luogo in cui è stata collocata, neppure muovendosi lentamente come una chiocciola. La vite<br />

lo sapeva fin troppo bene. In momenti come quelli la nuova vita sembrava insopportabile.<br />

Arrivava poi la sera, il momento in cui il vento veniva a far visita alle piante e a giocare con<br />

esse. Al vento piacevano la vite e il melo. Ogni sera trasportava fruscii e mormorii dall'una all'<br />

altro e viceversa. Allora era come se i germogli della vite fossero ancora avvolti attorno alla<br />

corteccia del melo.<br />

P er i <strong>genitori</strong>: « La vite e il melo» ) ovvero i fratelli <strong>separati</strong><br />

Antefatto<br />

Quando i loro <strong>genitori</strong> si separano, Hans ha sette anni e Lotte ne ha nove. Siccome i due<br />

bambini bisticciano molto tra <strong>di</strong> loro e poiché Hans è il <strong>figli</strong>o pre<strong>di</strong>letto del padre, mentre la<br />

madre preferisce Lotte, i <strong>genitori</strong> decidono che Hans resti col padre e Lotte si trasferisca con la<br />

madre in casa del suo nuovo compagno.<br />

Obiettivo<br />

Obiettivo della fiaba è chiarire ai <strong>genitori</strong> che tra i due fratelli esiste un rapporto naturale, il cui<br />

mantenimento è più importante <strong>di</strong> tutti i vantaggi che potrebbero derivare da una separazione.<br />

Sia i <strong>genitori</strong> che i <strong>figli</strong> dovrebbero tornare a riflettere sulla loro decisione.<br />

P roce<strong>di</strong>mento narrativo<br />

Gli uomini vestiti <strong>di</strong> bianco e <strong>di</strong> blu interessati alla «mostosità» rappresentano gli<br />

adulti che progettano un nuovo or<strong>di</strong>ne, senza pensare che così facendo <strong>di</strong>struggono<br />

un mondo infantile, la crescita in comune da parte del melo e della vite. Il vento<br />

simboleggia la s<strong>per</strong>anza. I due fratelli resteranno legati l'uno all'altra: questo è certo,<br />

così come è certo che la sera il vento tornerà a spirare tra gli alberi..<br />

I l Topolino<br />

C'era una volta un topolino che viveva nella sua tana con la mamma. Era un topolino come<br />

tutti gli altri: non era né più piccolo né più grosso, né più coraggioso né più fifone, né più furbo<br />

né più sciocco <strong>di</strong> qualsiasi altro topolino. Tuttavia a suo modo era uno strano tipo, proprio<br />

come tutti noi. Questo topolino <strong>per</strong>ò aveva una particolarità tutta sua: <strong>di</strong>ceva che il suo papà<br />

era uno scoiattolo. Naturalmente non era vero, <strong>per</strong>ché, come tutti sanno, il <strong>figli</strong>o <strong>di</strong> uno<br />

scoiattolo è uno scoiattolo e il papà <strong>di</strong> un topo è un topo. Ma il nostro topolino era fermamente<br />

convinto che il suo papà fosse uno scoiattolo. Chiunque avesse visto anche solo una volta un<br />

topo e uno scoiattolo avrebbe potuto <strong>di</strong>rgli che il suo papà era un topo e non uno scoiattolo.<br />

L'unica cosa che il suo papà aveva in comune con gli scoiattoli era un brillio vagamente<br />

rossiccio del pelo. Per il resto il papà del topolino assomigliava a quello che era, vale a <strong>di</strong>re a<br />

un topo. Al nostro topolino avevano detto infinite volte che il suo papà era un topo: gliel'<br />

avevano ripetuto la mamma, la nonna, la maestra, lo zio, gli amici e tutti i compagni della<br />

squadra <strong>di</strong> calcio in cui giocava. Ma il topolino si ostinava ad affermare che il suo papà non era<br />

un qualsiasi topo, bensì uno scoiattolo. Perciò, <strong>di</strong>ceva, il suo papà era forte, svelto, intelligente<br />

e scaltro, sapeva spiccare salti altissimi e sapeva correre molto veloce, tutte cose queste che<br />

gli scoiattoli sanno fare benissimo. Il topolino continuava a ripetere questa filastrocca, a<br />

proposito e, ahimè, anche a sproposito. A lungo andare la storia <strong>di</strong> suo padre che era uno<br />

scoiattolo finì <strong>per</strong> scocciare tutti, e bastava che aprisse la bocca <strong>per</strong> <strong>di</strong>re: «Dunque, il mio<br />

papà.. .», che tutti prendevano a sbuffare e si mettevano a cantilenare in coro: «È il più forte,


il più svelto e il più intelligente scoiattolo che ci sia al mondo! Peccato solo che sia un<br />

topo!».Se il nostro topolino protestava, gli amici gli voltavano le spalle e non lo stavano più a<br />

sentire. Così con l'andare del tempo egli finì <strong>per</strong> trovarsi piuttosto solo: gli altri topolini<br />

giocavano con lui sempre più raramente. Questo fatto preoccupava molto la sua mamma:<br />

vedeva che il suo piccolo sempre più spesso restava da solo e che gli altri lo prendevano in<br />

giro. Sovente cercava <strong>di</strong> farlo ragionare e gli <strong>di</strong>ceva: «Il tuo papà è un topo, come tutti i papà<br />

dei tuoi amici. Lo sai bene, no?».Ma il topolino scuoteva il capo e rispondeva: «No, mamma, il<br />

mio papà è uno scoiattolo, e non un topo qualunque!».<br />

La mamma si lambiccava il cervello notte e giorno nel tentativo <strong>di</strong> venire a capo della<br />

faccenda. Da una parte sapeva bene che il papà del suo piccolo era un topo e non uno<br />

scoiattolo: e chi meglio <strong>di</strong> lei avrebbe potuto sa<strong>per</strong>lo? Dall' altra parte <strong>per</strong>ò credeva <strong>di</strong> sa<strong>per</strong>e<br />

quale fosse il motivo <strong>per</strong> cui suo <strong>figli</strong>o continuava a sostenere con tanta caparbietà una<br />

sciocchezza del genere. Il fatto era che il piccolo non vedeva quasi mai suo padre. Infatti i<br />

<strong>genitori</strong> si erano <strong>separati</strong> da molto tempo, e lui viveva da solo con sua madre. Il topolino aveva<br />

visto il papà soltanto un paio <strong>di</strong> volte in vita sua, e l'ultima volta era stato tantissimo tempo fa.<br />

Probabilmente non l'avrebbe neppure riconosciuto, se l'avesse incontrato <strong>per</strong> caso. La maggior<br />

parte dei suoi amici topolini viveva con entrambi i <strong>genitori</strong>. C'erano sì dei topolini i cui <strong>genitori</strong><br />

si erano <strong>separati</strong>: vivevano con la loro mamma, oppure con il loro papà, oppure un po' con<br />

l'uno e un po' con l'altra. Tutti conoscevano il loro papà e l'avrebbero riconosciuto anche in una<br />

notte buia in mezzo all'infuriare <strong>di</strong> una tempesta. La mamma credeva che il suo piccolo<br />

continuasse a raccontare quelle sciocchezze riguardo al padre scoiattolo <strong>per</strong>ché non conosceva<br />

bene il suo vero papà. Le sarebbe piaciuto cambiare le cose, ma non sapeva come fare.<br />

Frattanto il topolino era sempre più convinto <strong>di</strong> avere come padre uno scoiattolo. A scuola<br />

andava male: invece <strong>di</strong> stare attento e <strong>di</strong> partecipare attivamente alle lezioni, passava il tempo<br />

a <strong>di</strong>segnare scoiattoli. Quando andava a scuola adesso stava sempre <strong>per</strong> conto suo, mentre<br />

prima faceva chiasso e giocava a rincorrersi con gli altri.<br />

Stava a guardare le cime degli alberi, <strong>per</strong> vedere se c'erano degli scoiattoli sui rami. Il<br />

pomeriggio se ne stava a casa tutto solo, <strong>per</strong>ché i suoi amici ne avevano abbastanza delle<br />

solite storie su suo padre scoiattolo e non lo venivano più a chiamare. Una mattina, mentre<br />

faceva colazione, la mamma lo guardò tutta seria e gli <strong>di</strong>sse: «Oggi pomeriggio, quando<br />

tornerai a casa da scuola, troverai <strong>qui</strong> il tuo papà. Verrà a trovarti e potrete fare una gita<br />

insieme». Il nostro topolino si avviò a scuola tutto contento. Cantava ad alta voce e a tutti i<br />

topolini che incontrava gridava: «Oggi arriva il mio papà! Arriva il mio papà scoiattolo!». Ma gli<br />

altri non gli davano retta, troppo spesso avevano sentito parlare <strong>di</strong> quel suo papà scoiattolo. A<br />

scuola il topolino non vedeva l'ora che le lezioni finissero <strong>per</strong> poter correre a casa. Quando<br />

finalmente suonò la campanella, sfrecciò via come un lampo e giunse alla sua tana col fiatone.<br />

Trovò un topo seduto al tavolo <strong>di</strong> cucina. Era un topo come tutti gli altri: piccolo, con il pelo<br />

lucente vagamente rossiccio, i baffi tremolanti, gli occhi neri e un bel musetto appuntito.«Dov'<br />

è il mio papà?», chiese il topolino ad alta voce. «Mamma, hai detto che sarebbe venuto il mio<br />

papà!».«È lui», <strong>di</strong>sse la mamma in<strong>di</strong>cando il topo, i cui baffi ora tremavano ancora <strong>di</strong> più. Il<br />

topolino lo guardò e gridò: «Quello non è il mio papà! Quello non è che uno stupido topo!


Il mio papà è uno scoiattolo e non un topo qualunque!». I baffi del topo presero a tremare<br />

sempre <strong>di</strong> più e i suoi occhi luccicarono, come se stesse quasi <strong>per</strong> piangere. Fece una smorfia e<br />

<strong>di</strong>sse con un filo <strong>di</strong> voce: «È vero, piccolo mio, sono solo un topo e non uno scoiattolo. Ma sono<br />

il tuo papà, e desidero giocare con te nel parco». Al topolino l'idea non piacque. Non voleva<br />

avere niente a che fare con quel presunto padre. E ancor meno voleva essere visto in giro con<br />

lui. Cosa avrebbero pensato gli amici, dopo che lui aveva sempre detto che il suo papà era uno<br />

scoiattolo?Alla fine <strong>per</strong>ò si lasciò convincere. Andarono al parco, dove giocarono a nascon<strong>di</strong>no<br />

e a prendersi, mangiarono un pezzo <strong>di</strong> formaggio, bevvero qualcosa e tornarono a giocare a<br />

prendersi. Fu un bel pomeriggio e volò via senza che se ne accorgessero. Verso sera si<br />

sedettero sull'erba l'uno vicino all' altro e stettero a guardare il sole che tramontava <strong>di</strong>etro gli<br />

alberi.«È stato bello oggi, ragazzo mio», <strong>di</strong>sse il topo a bassa voce, «e soltanto adesso mi<br />

accorgo <strong>di</strong> quanto mi sei mancato.<br />

Mi piacerebbe vederti spesso, <strong>per</strong> fare con te quello che i padri fanno con i <strong>figli</strong>. Sei<br />

d'accordo?».«Sì, papà», <strong>di</strong>sse piano il topolino. Suo padre lo guardò con tenerezza, e si vedeva<br />

chiaramente che era contento che il topolino lo avesse chiamato «papà». Poi il topo<br />

accompagnò a casa suo <strong>figli</strong>o. Per strada incontrarono un compagno <strong>di</strong> scuola del topolino, che<br />

squadrò i due e poi esclamò: «Ehi, topolino, tuo padre non assomiglia <strong>per</strong> niente a uno<br />

scoiattolo. Non è che un topo!». Il topolino trasalì. Poi alzò la testa ed esclamò a sua volta:<br />

«Ma certo che è un topo! Però è forte, intelligente, scaltro, salta altissimo e corre veloce,<br />

proprio come uno scoiattolo! Hai qualcosa da <strong>di</strong>re?».Guardò in su verso il suo papà, poi i due si<br />

scambiarono una strizzatina d'occhi e proseguirono verso casa.<br />

Per i <strong>genitori</strong>: «Il topolino» ovvero il su<strong>per</strong>padre sognato<br />

Antefatto<br />

I <strong>genitori</strong> <strong>di</strong> Sven sono <strong>separati</strong> da tre anni e non hanno alcun interesse a incontrarsi <strong>di</strong> nuovo.<br />

Sensi <strong>di</strong> colpa e <strong>di</strong> pudore, oltre al ricordo <strong>di</strong> offese fattesi a vicenda, impe<strong>di</strong>scono loro <strong>di</strong> avere<br />

contatti. Tutti e due intraprendono una carriera professionale. Sven, ben inserito dal punto <strong>di</strong><br />

vista sociale, cresce con la madre. Colpisce il fatto che, quanto più a lungo stia lontano dal<br />

padre, tanto maggiori siano le fantasticherie che egli racconta sul suo conto. Le storie che il<br />

bambino racconta sono talmente irreali che i suoi amici cominciano a prenderlo in giro e a<br />

evitarlo. A tali comportamenti Sven reagisce ripiegandosi su se stesso e accentuando la sua<br />

tendenza alle fantasticherie.<br />

Obiettivo<br />

La fiaba è destinata a essere letta ad alta voce alla madre, che dei due <strong>genitori</strong> è quella che ha<br />

avuto il <strong>di</strong>ritto a prendersi cura del <strong>figli</strong>o. La madre dovrà fare tutto il possibile <strong>per</strong> inserire


nuovamente il padre nella vita del <strong>figli</strong>o, <strong>di</strong> modo che il ragazzo possa farsi <strong>di</strong> lui un'immagine<br />

obiettiva.<br />

P roce<strong>di</strong>mento narrativo<br />

La fiaba trasferisce il problema in una metafora avente come protagonisti degli<br />

animali, e resta in tal modo vicina alla consapevolezza del bambino. I mezzi stilistici<br />

ado<strong>per</strong>ati sono quelli dell' esagerazione e della ripetizione. Le molte fantasticherie che<br />

un bambino può crearsi riguardo al genitore assente vengono riunite in un unico<br />

motivo, e ciò conferisce forza alla metafora.<br />

I olanda e fiori azzurri<br />

C'era una volta una principessa <strong>di</strong> nome Iolanda, che viveva felice con i suoi <strong>genitori</strong> in uno<br />

splen<strong>di</strong>do castello. Suo padre era un re saggio e magnanimo ed era molto affezionato alla sua<br />

famiglia. Ogni tanto faceva un viaggio nelle sue terre, <strong>per</strong> controllare che tutto andasse <strong>per</strong> il<br />

meglio. Quando il re era assente, la regina sua moglie e la principessa Iolanda sentivano una<br />

grande nostalgia <strong>di</strong> lui e non vedevano l'ora che tornasse. La madre <strong>di</strong> Iolanda si impegnava<br />

nell' amministrazione della casa e curava gli interessi della famiglia.<br />

Si occupava con sollecitu<strong>di</strong>ne dell' educazione e della salute della <strong>figli</strong>a e, quando il marito<br />

tornava dai suoi viaggi, lo informava dei progressi da lei compiuti. Così ognuno aveva i suoi<br />

impegni, tutti erano contenti <strong>di</strong> fare quello che dovevano fare e lo facevano nel modo migliore.<br />

Genitori e <strong>figli</strong>a vivevano d'amore e d'accordo, e spesso nel castello si sentivano risuonare<br />

risate e canti. Iolanda era la principessa più felice che mai si fosse vista al castello, si <strong>di</strong>ceva<br />

ad<strong>di</strong>rittura che una bambina felice come lei non fosse mai esistita. Lei stessa non sarebbe stata<br />

capace <strong>di</strong> immaginare <strong>per</strong> sé una vita più bella. Un giorno <strong>per</strong>ò lo scontento riuscì a penetrare<br />

nel castello, e nessuno avrebbe saputo <strong>di</strong>re chi <strong>per</strong> primo gli avesse a<strong>per</strong>to la porta. Quel<br />

giorno Iolanda sentì che suo padre e sua madre stavano litigando. La regina, invece <strong>di</strong> essere<br />

contenta del ritorno del marito, gli rinfacciava i continui viaggi e le lunghe assenze. E il re<br />

faceva commenti sprezzanti sugli impegni della moglie, anziché mostrare <strong>di</strong> apprezzarli come<br />

fino ad allora aveva fatto. Nel castello si sentivano risuonare urli e imprecazioni anziché canti e<br />

risate. Neppure Iolanda rideva e cantava più, anzi appariva ogni giorno più silenziosa e<br />

abbattuta. Una notte la bambina fu svegliata da un baccano terribile. Tremando <strong>di</strong> paura si<br />

mise a sedere sul letto e ascoltò. I suoi <strong>genitori</strong> litigavano come mai avevano fatto prima <strong>di</strong><br />

allora. Iolanda non riusciva neppure a capire quello che si <strong>di</strong>cevano, tanto alte e concitate<br />

erano le loro voci. Alla fine le giunsero all' orecchio alcune frasi.«E allora vattene nel tuo regno,<br />

se non vuoi più stare nel nostro!», gridava la regina.«Stai pur sicura che lo farò!», gridava il re<br />

<strong>di</strong> rimando. Iolanda si tirò la co<strong>per</strong>ta fin sopra gli orecchi: avrebbe voluto non sentire niente.<br />

Quella notte pianse a lungo e si addormentò soltanto alle prime luci dell' alba. Quando il<br />

mattino dopo si svegliò, le sembrò che il castello fosse in preda a un sortilegio. C'era un<br />

silenzio <strong>di</strong> tomba e ovunque si avvertiva un senso d'abbandono. Tutti i servi, i garzoni <strong>di</strong> stalla<br />

e le cameriere che Iolanda incontrava passando da una stanza all' altra la salutavano a bassa<br />

voce, con lo sguardo rivolto a terra. li vecchio giar<strong>di</strong>niere, che stava potando i rosai, le <strong>di</strong>ede<br />

una leggera carezza mormorando: «Povera piccola!».Iolanda, sentendo l'angoscia crescerle<br />

dentro, si mise a cercare sua madre. La trovò nella cucina del castello e le si gettò tra le<br />

braccia.«Che cosa è accaduto?», chiese.


«Dov'è mio padre? E come mai questo silenzio?».La regina le <strong>di</strong>sse: «il nostro regno è<br />

<strong>di</strong>ventato troppo piccolo. Perciò tuo padre se n'è andato, <strong>per</strong> fondarne uno tutto suo. Noi<br />

invece resteremo <strong>qui</strong> e continueremo a vivere in questo». «Ma <strong>per</strong>ché?», chiese Iolanda. «Non<br />

è forse grande abbastanza? Non si è mica rimpicciolito! Come mai non è più sufficiente?». Ma<br />

la regina non rispose. Si volse dall' altra parte e, da come le sussultavano le spalle, Iolanda si<br />

accorse che piangeva. E vennero tempi tristi. Iolanda viveva con la madre in quel grande<br />

castello. Ora la regina aveva poco tempo <strong>per</strong> la <strong>figli</strong>a poiché oltre ai propri impegni doveva<br />

adempiere anche a quelli del re. Di rado Iolanda vedeva suo padre e ne sentiva molto la<br />

mancanza. Ogni tanto questi arrivava a cavallo al castello e ripartiva con la <strong>figli</strong>a: la portava a<br />

vedere il suo nuovo regno. Si trattava <strong>per</strong>ò <strong>di</strong> una terra inospitale, e il nuovo castello non era<br />

ancora ultimato. A Iolanda quel posto non piaceva, ma suo padre le <strong>di</strong>sse: «Vedrai, sarà<br />

bellissimo! Quando tutto sarà finito avrò più tempo <strong>per</strong> te e tu potrai venirmi a far visita<br />

spesso; potrai ad<strong>di</strong>rittura trasferirti <strong>per</strong> sempre <strong>qui</strong> con me!». Quando il re riportava Iolanda a<br />

casa, tra lui e la moglie scoppiavano furiosi litigi. Quasi sempre la causa della <strong>di</strong>sputa era il<br />

fatto che i due non erano d'accordo sul posto in cui la loro <strong>figli</strong>a sarebbe vissuta in futuro.<br />

«Non appena il mio nuovo castello sarà ultimato, Iolanda verrà ad abitare da me!», <strong>di</strong>ceva<br />

bruscamente il re. «Questo lo <strong>di</strong>ci tu!», gridava la regina. «Iolanda resterà <strong>qui</strong> con me, <strong>qui</strong><br />

dov'è sempre stata!». Quando era obbligata ad assistere a quei litigi, Iolanda si tappava le<br />

orecchie. Era quasi sempre triste e molte volte se ne stava <strong>per</strong> conto suo, da sola. Sedeva<br />

spesso alla finestra ricordando i tempi passati, quando <strong>di</strong> regni ce n'era uno solo. Pensava a<br />

come sarebbe stata la sua vita nel nuovo castello <strong>di</strong> suo padre. Di certo lui avrebbe avuto più<br />

tempo da de<strong>di</strong>carle.<br />

Ma quando parlava <strong>di</strong> queste cose a sua madre, vedeva che lei si rattristava. Iolanda voleva<br />

bene tanto a sua madre quanto a suo padre, ma in quel <strong>per</strong>iodo era <strong>di</strong>fficile riuscire a voler<br />

bene a tutti e due. Passò così molto tempo, durante il quale la principessa attese, s<strong>per</strong>ando e<br />

sognando. Finalmente arrivò il giorno in cui il nuovo castello fu pronto. Il padre <strong>di</strong> Iolanda<br />

venne a prenderla, <strong>per</strong> portarla a vedere la sua nuova <strong>di</strong>mora. La fece salire a cavallo <strong>di</strong>etro <strong>di</strong><br />

sé e partirono. Il nuovo castello era bello, ma Iolanda notò che dentro c'era un odore strano.<br />

Suo padre le <strong>di</strong>sse: «Le cose nuove hanno sempre questo odore. Ti ci abituerai, verrai spesso<br />

a farmi visita e forse presto verrai ad abitare <strong>qui</strong> con me». Iolanda non osò chiedere che cosa<br />

voleva <strong>di</strong>re quel «presto». A lei sarebbe piaciuto trasferirsi lì anche subito. Il tempo passò.<br />

Iolanda viveva con la madre e ogni tanto andava a far visita al padre. I due riprendevano a<br />

litigare tutte le volte che <strong>di</strong>scutevano della futura <strong>di</strong>mora della loro <strong>figli</strong>a. Un giorno il re venne<br />

come al solito a prendere Iolanda <strong>per</strong> portarla al suo castello, e le <strong>di</strong>sse con aria misteriosa:<br />

«Ho una sorpresa <strong>per</strong> te. Quando saremo a casa la vedrai» . La curiosità della fanciulla era<br />

grande: non vedeva l'ora <strong>di</strong> giungere al castello del padre. Quando arrivarono e suo padre la<br />

fece scendere da cavallo, vide che nel cortile c'erano una donna e una bambina.


«Questa è la mia nuova moglie, Iolanda», <strong>di</strong>sse il re, «e la bambina è sua <strong>figli</strong>a. Ha la tua<br />

stessa età. Adesso hai una sorellina! È una bella cosa, no?». Ma Iolanda non era felice. Al<br />

contrario, si sentiva stringere il cuore e gli occhi le si riempivano <strong>di</strong> lacrime. Aveva avuto tanto<br />

desiderio <strong>di</strong> vivere sola con il suo papà in quel nuovo regno! Ora <strong>per</strong>ò accanto alla nuova<br />

regina e a sua <strong>figli</strong>a si sentiva <strong>di</strong> troppo. Tuttavia celò il suo dolore. Ma ormai le visite al<br />

castello del padre non erano più allegre e piacevoli, erano invece penose, e spesso Iolanda<br />

tornava a casa triste e delusa. Passava molto tempo da sola alla finestra, guardando fuori e<br />

piangendo in silenzio. Un giorno che come al solito se ne stava alla finestra, sentì una voce alle<br />

sue spalle: «Principessa Iolanda, <strong>per</strong>ché piangi?».<br />

Iolanda si volse e vide il vecchio giar<strong>di</strong>niere. Allora dal cuore della bambina traboccarono tutti i<br />

sentimenti che vi teneva nascosti. «Nessuno mi vuole più bene!» singhiozzò <strong>di</strong>s<strong>per</strong>ata. «Mia<br />

madre non ha tempo <strong>per</strong> me. Mio padre si è preso in casa un' altra bambina. Mi aveva<br />

promesso che sarei potuta andare a vivere con lui, ma adesso ha un' altra <strong>figli</strong>a! » «Iolanda»,<br />

<strong>di</strong>sse il giar<strong>di</strong>niere, accarezzando dolcemente i capelli della bambina, «i tuoi <strong>genitori</strong> ti vogliono<br />

bene. Anche se tua madre ha poco tempo <strong>per</strong> te e tuo padre vive nel suo castello con un' altra<br />

donna. Nel suo cuore al primo posto ci sei tu e nessun' altra bambina potrà mai sostituirti».<br />

«Ma lei è sempre là, vicino a lui», <strong>di</strong>sse Iolanda tra le lacrime, «e io non ho mai il mio papà<br />

tutto <strong>per</strong> me! Mi <strong>di</strong>menticherà! Anche la mamma mi <strong>di</strong>menticherà, con tutti gli impegni che<br />

ha!». «Se è questo che ti tormenta», <strong>di</strong>sse il giar<strong>di</strong>niere, tentennando il capo, «ho io qualcosa<br />

che può esserti d'aiuto. Non potrà toglierti tutti i <strong>di</strong>spiaceri e neppure riuscirà a unire i regni dei<br />

tuoi <strong>genitori</strong>, <strong>per</strong>ò ti gioverà quando sarai in pena. Vieni con me!». Iolanda lo seguì in giar<strong>di</strong>no,<br />

in un angolo ombreggiato, dove sotto un albero crescevano molti piccoli fiori azzurri. «Questi<br />

fiori si chiamano non ti scordar <strong>di</strong> mé», <strong>di</strong>sse il giar<strong>di</strong>niere, «e sono i fiori <strong>di</strong> cui tu e i tuoi<br />

<strong>genitori</strong> avete bisogno.<br />

Te ne metto qualcuno in questo vaso, affinché non <strong>di</strong>mentichi che tante <strong>per</strong>sone ti vogliono<br />

bene. Ne darò qualcuno alla regina e le <strong>di</strong>rò quello che non deve mai <strong>di</strong>menticare. E anche al<br />

re ne darò qualcuno, e anche a lui <strong>di</strong>rò quello che non deve <strong>di</strong>menticare. Adesso va, abbi cura<br />

dei tuoi fiori e sta a vedere che cosa succederà». Iolanda se ne andò, portando con sé i fiori<br />

azzurri. In camera sua scelse <strong>per</strong> il vaso il posto più bello, poi si mise davanti ai fiori e stette a<br />

osservarli. Rimase lì a lungo, fino a che si fece sera. Quando in camera era ormai quasi buio, la<br />

porta si aprì adagio ed entrarono il re e la regina. Tutti e due avevano in mano un piccolo vaso<br />

pieno <strong>di</strong> fiori azzurri. Iolanda li guardò meravigliata, e sentì ridestarsi in lei una tenue<br />

s<strong>per</strong>anza.«No», <strong>di</strong>sse la regina, che sapeva leggere i pensieri sul volto della <strong>figli</strong>a, «tuo padre e<br />

io non riuniremo i nostri regni. Lui manterrà il suo regno e io il mio. Ma i nostri continui litigi ci<br />

hanno fatto <strong>di</strong>menticare una cosa importante. Abbiamo <strong>di</strong>menticato <strong>di</strong> pensare a te e alla tua<br />

vita. Oggi questi piccoli fiori azzurri che il nostro giar<strong>di</strong>niere ci ha regalati ci hanno ricordato<br />

questa verità. Davvero, Iolanda, mi <strong>di</strong>spiace tanto. In futuro mi prenderò maggiormente cura<br />

<strong>di</strong> te e ti de<strong>di</strong>cherò maggiori attenzioni».«Anche a me <strong>di</strong>spiace, Iolanda», <strong>di</strong>sse il re, «avrò<br />

molta più cura <strong>di</strong> te e in futuro trascorrerò con te più tempo. Ti farò capire che sei e resterai<br />

sempre mia <strong>figli</strong>a».«Ho deciso che non litigherò più con tuo padre riguardo alla tua futura<br />

<strong>di</strong>mora. Cercheremo una soluzione che sia sod<strong>di</strong>sfacente <strong>per</strong> tutti», <strong>di</strong>sse la regina, proprio nel<br />

momento in cui anche il re <strong>di</strong>ceva le stesse cose.


Per la prima volta dopo molto tempo i due si guardarono in faccia e poi scoppiarono in una<br />

risata. Iolanda guardava ora l'uno ora l'altro, e alla fine si mise a ridere anche lei. «E io»,<br />

<strong>di</strong>sse, «avrò la certezza che mi volete bene tutti e due». E così avvenne che la principessa<br />

Iolanda ebbe una casa sua in due regni <strong>di</strong>versi. Certo avrebbe preferito avere un'unica casa,<br />

tuttavia non era più così triste. Nei momenti <strong>di</strong>fficili, quando si sentiva smarrita e insicura, le<br />

bastava guardare i fiori azzurri che teneva in camera <strong>per</strong> ritrovare la serenità.<br />

P er i <strong>genitori</strong>: « I olanda e i fiori azzurri» ovvero <strong>per</strong> il bene del <strong>figli</strong>o occorre che tutti<br />

e due i <strong>genitori</strong> si prendano cura <strong>di</strong> lui<br />

Antefatto<br />

Jule è <strong>figli</strong>a unica <strong>di</strong> una coppia che si separa quando la bambina ha tre anni. Lei resta con la<br />

madre. Il padre lavora molto (anche a causa del maggiore fabbisogno finanziario della<br />

famiglia) e nel frattempo fa restaurare un vecchio e<strong>di</strong>ficio che ha ac<strong>qui</strong>stato. In questo <strong>per</strong>iodo<br />

vede <strong>di</strong> rado sua <strong>figli</strong>a. Quando le va a far visita, la porta con sé al cantiere dove si sta<br />

costruendo la sua nuova casa. L'uomo <strong>di</strong>ce alla <strong>figli</strong>a che questa nuova casa sarà bellissima e<br />

che, quando sarà ultimata, loro due vi andranno a vivere insieme. Questa prospettiva angoscia<br />

la madre: ella esclude in modo categorico che Jule possa un giorno andare a vivere col padre.<br />

In seguito a questo atteggiamento della donna, il padre chiede <strong>di</strong> avere il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> provvedere<br />

da solo all' educazione della <strong>figli</strong>a e riduce il sussi<strong>di</strong>o finanziario. La madre riprende a lavorare<br />

e <strong>per</strong> questo motivo ha meno tempo a <strong>di</strong>sposizione <strong>per</strong> la <strong>figli</strong>a. Siccome i <strong>genitori</strong> non<br />

riescono a mettersi d'accordo sui tempi <strong>di</strong> affidamento della <strong>figli</strong>a, i contrasti fra loro si fanno<br />

sempre più accesi. Jule incomincia a metterli l'uno contro l'altra. "Se non mi compri questa<br />

cosa che mi piace, vado da papà o resto dalla mamma". I rapporti tra i <strong>genitori</strong> sono troppo<br />

tesi <strong>per</strong> consentire loro <strong>di</strong> <strong>di</strong>scutere con serenità questo problema. Nel frattempo la casa del<br />

padre è ultimata e Jule, che ha ormai cinque anni, s<strong>per</strong>a <strong>di</strong> andare ad abitare da lui. Le sue<br />

pressioni sulla madre si fanno insistenti: visto che la donna non ha più tempo da de<strong>di</strong>carle, lei<br />

andrà a vivere con il padre. Ma intanto quest'ultimo ha una relazione con un'altra donna, che<br />

ben presto va a vivere con lui nella sua nuova casa, portando con sé la <strong>figli</strong>a <strong>di</strong> cinque anni.<br />

Adesso Jule si sente abbandonata da tutti e reagisce da una parte ripiegandosi su se stessa,<br />

dall' altra comportandosi in modo aggressivo nei confronti degli altri bambini che frequentano<br />

con lei la scuola materna.<br />

Obiettivo<br />

L'obiettivo della fiaba è quello <strong>di</strong> aiutare i <strong>genitori</strong> a rendersi conto delle <strong>di</strong>fficoltà che sta<br />

vivendo la <strong>figli</strong>a, affinché risolvano i loro contrasti in un modo che non nuoccia alla bambina e<br />

continuino tutti e due ad aver cura <strong>di</strong> lei.<br />

P roce<strong>di</strong>mento narrativo<br />

La storia racconta il problema <strong>di</strong> Jule con una metafora adatta alla sua età. Per i bambini <strong>di</strong><br />

quell' età è già sufficiente un piccolo straniamento della situazione <strong>per</strong> trasferirli dalla realtà al<br />

mondo della fiaba. Il proce<strong>di</strong>mento narrativo aiuta la bambina a identificarsi con la principessa,<br />

l'eroina della fiaba.<br />

Il clow n P opov<br />

Sibirsk è un villaggio nella lontana Russia, situato molto al <strong>di</strong> là della catena montuosa degli<br />

Urali, nella tundra co<strong>per</strong>ta <strong>di</strong> muschio e <strong>di</strong> licheni. A Sibirsk vive Igor, un bambino <strong>di</strong> cinque<br />

anni che da poco tempo va a scuola. Frequenta la scuola materna. Igor è biondo, piuttosto alto<br />

<strong>per</strong> la sua età, esile, e ha sempre un po' <strong>di</strong> sporcizia sotto le unghie. In poche parole, è un


ambino come tanti, con gli occhi chiari e svegli. In paese tutti lo conoscono: ci si conosce<br />

tutti, il villaggio è così piccolo. Il padre <strong>di</strong> Igor è il sindaco. È l'uomo più importante del paese,<br />

dato che è anche il proprietario dell'unica locanda <strong>di</strong> Sibirsk. Per questo non ha mai tempo da<br />

de<strong>di</strong>care al <strong>figli</strong>o.<br />

Un giorno d'improvviso <strong>per</strong> le vie del villaggio si nota un insolito movimento. Chi non ha altro<br />

da fare si precipita in strada <strong>per</strong> vedere che cosa è mai a causare tutto quel baccano. È<br />

arrivato un circo! Non certo un circo grande e famoso, comunque il primo circo che si sia mai<br />

visto a Sibirsk. In prima fila incede impettito il <strong>di</strong>rettore con il cappello a cilindro, accanto a lui<br />

c'è l'elefante, poi vengono tre carrozze variopinte e <strong>di</strong>etro cavalli, asini, cani e scimmie. Il<br />

corteo è chiuso da un clown col naso rosso, circondato da una schiera <strong>di</strong> galline che svolazzano<br />

all'intorno. Ogni volta che il clown fa un verso con la bocca, una delle galline depone un uovo,<br />

o <strong>per</strong> lo meno così sembra. Il giorno successivo è giorno <strong>di</strong> vacanza. Tutti quelli che sono in<br />

grado <strong>di</strong> camminare vanno al circo.<br />

All'inizio dello spettacolo un' acrobata vestita <strong>di</strong> bianco cavalca, ritta sulla sella, due cavalli<br />

appaiati, prima quello <strong>di</strong> destra, poi quello <strong>di</strong> sinistra, infine entrambi. Un cane esegue alcune<br />

o<strong>per</strong>azioni aritmetiche, come sanno fare abitualmente i cani del circo. Le scimmie fanno scherzi<br />

a tutti e si <strong>di</strong>vertono a fare,sempre il contrario <strong>di</strong> quello che devono. Le loro marachelle<br />

scatenano l'entusiasmo dei bambini presenti. Poi compare nuovamente l'acrobata, questa volta<br />

come trapezista, su in alto nella cupola del tendone, infine uno s<strong>qui</strong>llo <strong>di</strong> tromba annuncia il<br />

momento culminante dello spettacolo. Fanno il loro ingresso in pista Popov, «il clown dal naso<br />

rosso», e l'elefante Pipiv. «Popò e Pipì!», gridano i bambini, sbellicandosi dalle risa. Popov<br />

suona la tromba, si arrampica sui pali del tendone, inciampa, fa capriole e... giochi <strong>di</strong> prestigio.<br />

All'improvviso il circo è invaso da uova <strong>di</strong> gallina che compaiono dove nessuno se l'aspetta<br />

(Igor ad<strong>di</strong>rittura se ne trova una nella tasca dei calzoni) e poi spariscono <strong>di</strong> nuovo, non si<br />

riesce a capire dove. Nel frattempo due stallieri, senza che nessuno li noti, hanno collocato in<br />

mezzo alla pista una tinozza piena d'acqua. Subito l'elefante si riempie la proboscide d'acqua e<br />

la schizza con uno sbuffo addosso agli spettatori urlanti.


E Popov, che cerca d'impe<strong>di</strong>rglielo, è investito da un gran getto che lo infra<strong>di</strong>cia tutto. Per<br />

evitare un' altra doccia indesiderata, il clown cerca scampo arrampicandosi sulla proboscide<br />

dell' elefante. Ed ecco che le luci si spengono. L'unica cosa visibile è il naso del clown. Il<br />

puntino rosso luminoso sale sempre più in alto e alla fine scompare attraverso l'a<strong>per</strong>tura che<br />

c'è nella cupola del circo. Poi le luci si riaccendono. La pista è ormai vuota, lo spettacolo è<br />

finito. I bambini, fuori <strong>di</strong> sé <strong>per</strong> l'entusiasmo, applaudono, battono i pie<strong>di</strong> sulle assi del<br />

pavimento e acclamano a lungo. Poi, ancora stor<strong>di</strong>ti <strong>per</strong> quanto hanno visto, se ne tornano a<br />

casa. Quella notte Igor, come tutti gli altri bambini, sogna il circo. Lui è Popov: alla luce del<br />

suo naso color rosso ciliegia, suona la tromba e fa capriole e giochi <strong>di</strong> prestigio. Tutto si svolge<br />

esattamente come nel pomeriggio al circo. C'è <strong>per</strong>sino l'elefante, che con la sua proboscide lo<br />

bagna dalla testa ai pie<strong>di</strong>. Quando si sveglia, Igor si accorge che <strong>per</strong> l'agitazione ha fatto pipì<br />

nel letto, proprio come tutti i bambini <strong>di</strong> Sibirsk che quella notte hanno sognato Popov e<br />

l'elefante. Il mattino dopo la mamma sgrida Igor e gli proibisce <strong>di</strong> tornare al circo. Ma quando<br />

nel pomeriggio tutti gli altri bambini si <strong>di</strong>rigono nuovamente in massa verso il tendone, anche<br />

Igor si unisce ad essi.<br />

Come il giorno precedente, Popov fa comparire <strong>per</strong> incanto un uovo nella tasca dei calzoni del<br />

bambino, poi l'elefante infra<strong>di</strong>cia tutti col suo getto d'acqua. Igor si <strong>di</strong>verte talmente che<br />

decide che da grande farà il clown. Quando la mamma se lo vede tornare a casa rosso in viso<br />

<strong>per</strong> la gioia e l'emozione, lo manda a dormire senza cena <strong>per</strong>ché ha <strong>di</strong>sobbe<strong>di</strong>to e lo minaccia:<br />

«Se stanotte fai ancora pipì nel letto.. .». Per la paura Igor non riesce ad addormentarsi, ma<br />

alla fine cade in preda a un sonno profondo e agitato. Nel sogno lui è ancora Popov e l'elefante<br />

lo inonda un'altra volta con l'acqua schizzata dalla proboscide. E si sveglia ancora col letto<br />

bagnato. Questa volta la mamma lo accompagna dal me<strong>di</strong>co. Questi spiega che Igor non<br />

tollera le emozioni, prescrive al bambino delle gocce <strong>di</strong> valeriana e gli proibisce tassativamente<br />

<strong>di</strong> entrare ancora al circo. Per tutto il giorno Igor sta nascosto, nessuno dei suoi amici riesce a<br />

rintracciarlo. La notte seguente fa sogni brutti e confusi. A volte è l'elefante, a volte il clown,<br />

ma nessun gioco <strong>di</strong> prestigio gli riesce. Il mattino dopo si sente stanco come se non avesse<br />

dormito, ma il letto è asciutto. Per la prima volta in vita sua Igor si sente <strong>di</strong> cattivo umore.<br />

Quando nel pomeriggio gli amici come al solito vanno al circo, lui fa sa<strong>per</strong>e che non ci andrà:<br />

«Oggi non ne ho voglia», <strong>di</strong>ce. Pensa che, se ci andasse, si agiterebbe <strong>di</strong> nuovo, poi la sera<br />

bagnerebbe ancora il letto e la mamma lo porterebbe dal me<strong>di</strong>co un'altra volta. E il pensiero <strong>di</strong><br />

tornare dal me<strong>di</strong>co gli dà talmente fasti<strong>di</strong>o da fargli passare la voglia <strong>di</strong> andare al circo. Dopo<br />

una settimana il circo termina le sue rappresentazioni in paese. Congedandosi dalla gente,<br />

passa ancora una volta <strong>per</strong> le strade del villaggio con trombe e tamburi: davanti a tutti il<br />

<strong>di</strong>rettore con l'elefante, al termine del corteo Popov con il suo naso rosso, circondato da galline<br />

svolazzanti e starnazzanti. I bambini gridano e applaudono ai bor<strong>di</strong> della strada, ma Igor non è<br />

con loro. Nelle settimane che seguono a scuola i bambini fanno più giochi <strong>di</strong> prestigio che<br />

compiti ed esercizi. Igor conosce tutti i trucchi, ma è il primo a stufarsene. «La vita è una cosa<br />

troppo seria <strong>per</strong> bambinate del genere», <strong>di</strong>ce con aria grave. Quando il <strong>di</strong>scorso cade sul circo,<br />

scuote la testa <strong>di</strong>cendo: «Popò e Pipì! Chi si <strong>di</strong>verte ancora con queste storie si rende davvero<br />

ri<strong>di</strong>colo!».


L'anno scolastico finisce e Igor qualche mese dopo inizia a frequentare la scuola elementare.<br />

Adesso è un bravo scolaro, e farà strada nella vita. Qualche volta <strong>per</strong>ò sogna ancora Popov dal<br />

naso rosso e l'elefante Pipiv. Nel sogno gli sembra <strong>di</strong> star seduto nell'ultima fila della gra<strong>di</strong>nata<br />

del circo e <strong>di</strong> invi<strong>di</strong>are quei bambini che seguono lo spettacolo attenti ed entusiasti, e che la<br />

notte faranno pipì nel letto.<br />

P er i <strong>genitori</strong>: « I l clow n P opov» , ovvero i <strong>di</strong>sturbi nel comportamento sono normali<br />

Antefatto<br />

All' origine <strong>di</strong> questa fiaba non c'è un caso particolare, bensì una situazione standard: la<br />

separazione dei <strong>genitori</strong>. Uno dei due <strong>genitori</strong> se n'è andato <strong>di</strong> casa. I bambini, soprattutto i<br />

più piccoli, sentono questo fatto come una <strong>per</strong><strong>di</strong>ta. Il sentimento predominante in essi è la<br />

paura <strong>di</strong> <strong>per</strong>dere anche l'altro genitore. Ogni visita che fanno al genitore con cui non vivono più<br />

è <strong>per</strong> essi una doccia scozzese, <strong>per</strong>ché nel giro <strong>di</strong> poco tempo s<strong>per</strong>imentano <strong>per</strong> due volte una<br />

separazione e un nuovo incontro con uno dei loro <strong>genitori</strong>. I bambini normali reagiscono a<br />

questo logorio psichico con regressioni e <strong>di</strong>sturbi nel comportamento (bagnano il letto, se la<br />

fanno addosso, soffrono d'insonnia o d'inappetenza, hanno <strong>di</strong>fficoltà a scuola, ecc.). Il bambino<br />

che apparentemente non reagisce alla separazione dei <strong>genitori</strong> è un bambino malato. Il<br />

genitore con cui il bambino vive cerca <strong>di</strong> fare in modo che il <strong>figli</strong>o ritrovi la sua serenità e<br />

spesso attribuisce all' altro genitore la colpa dei <strong>di</strong>sturbi <strong>di</strong> cui il bambino soffre. La coincidenza<br />

temporale tra le visite e i <strong>di</strong>sturbi comportamentali sembra una prova sufficiente <strong>per</strong><br />

<strong>di</strong>mostrare il nesso causale.<br />

Obiettivo<br />

In realtà la causa è più profonda: va ricercata nella separazione dei <strong>genitori</strong>. Il fatto <strong>di</strong> istituire<br />

un rapporto col genitore assente non sana la ferita nel bambino. Certo i <strong>di</strong>sturbi si possono<br />

curare, i bambini ritrovano la loro serenità, ma il prezzo da pagare è alto, qualcosa in essi<br />

viene meno. La fiaba del clown Popov intende aiutare i <strong>genitori</strong> a capire queste cose.<br />

P roce<strong>di</strong>mento narrativo<br />

Il naso rosso e luccicante del clown è il simbolo della gioia <strong>di</strong> vivere, la doccia fredda è il<br />

simbolo delle <strong>di</strong>sgrazie. I sogni rappresentano le due possibilità tra le quali i <strong>genitori</strong> possono<br />

scegliere. I bambini possono <strong>di</strong>ventare il clown e s<strong>per</strong>imentare sulla propria pelle tanto le gioie<br />

quanto le <strong>di</strong>sgrazie, oppure sono condannati a rimanere spettatori in un' arena in cui altri sono<br />

protagonisti in veste <strong>di</strong> clown e <strong>di</strong> elefanti.<br />

L’Elefante I n<strong>di</strong>ano<br />

In una vecchia fattoria all' estremità del paese vive un topolino chiamato Mulinello <strong>per</strong>ché sa<br />

correre molto veloce. Per i suoi fratelli questo nome è troppo lungo: lo chiamano<br />

semplicemente Muli. La vita <strong>per</strong> i topi è meravigliosa. È vero che da lungo tempo ormai non c'è<br />

più neppure un chicco <strong>di</strong> frumento nelle fessure del granaio e che anche l'ultima traccia <strong>di</strong><br />

farina è stata <strong>di</strong>vorata, ma la padrona <strong>di</strong> casa è una vecchia dalla memoria corta e quasi<br />

sempre, quando la sera va a dormire, <strong>di</strong>mentica in cucina il formaggio, la salsiccia, il pane e il<br />

prosciutto. Quando poi anche il gatto è uscito a passi felpati <strong>per</strong> il suo abituale giro notturno,<br />

Muli con gli altri topolini si precipita in cucina attraversando <strong>di</strong> corsa tutte le stanze della<br />

fattoria.


Afferra un grosso pezzo <strong>di</strong> formaggio ­ se può <strong>di</strong> quello con i buchi ­ e lo trascina nel suo<br />

nascon<strong>di</strong>glio segreto <strong>per</strong> mangiarselo poi con tutto comodo. Una sera, proprio nel momento in<br />

cui Muli si accinge ad addentare il suo pezzo <strong>di</strong> formaggio, ecco arrivare zia Orecchio Fino,<br />

quella a cui il topolino è particolarmente affezionato. Entra agitatissima nel nascon<strong>di</strong>glio del<br />

topolino ed esclama: «Muli, Muli, vieni subito con me! Ho visto <strong>qui</strong> fuori l'elefante in<strong>di</strong>ano: è<br />

tutto rosso con dei puntini azzurri e <strong>di</strong>etro ha qualcosa <strong>di</strong> giallo!». Muli lascia <strong>per</strong>dere il<br />

formaggio e corre fuori nella notte <strong>di</strong>etro la zia. C'è la luna piena; quando i due arrivano<br />

ansimanti nel grande cortile <strong>di</strong>etro la casa, zia Orecchio Fino tutta agitata fa un cenno in<br />

<strong>di</strong>rezione del ruscello, dove i noccioli sono più folti, e sussurra: «Là, guarda, è là!». Muli si<br />

stropiccia gli occhi, gli sembra <strong>di</strong> vedere qualcosa: sì, c'è una cosa che si muove. Però è tutto<br />

così confuso, e forse non c'è niente che si muove. «Guarda, Muli, guarda, è rosso con i puntini<br />

azzurri e <strong>di</strong>etro ha qualcosa <strong>di</strong> giallo... Ecco, adesso è sparito...<br />

Comunque l'hai visto, no?». Siccome vuol bene alla zia e siccome ha una gran voglia <strong>di</strong> tornare<br />

a mangiarsi il formaggio, Muli risponde: «Sì, l'ho visto», e scappa a casa più presto che può.<br />

Corre al suo nascon<strong>di</strong>glio, ma... il formaggio non c'è più. Qualcuno se l'è <strong>di</strong>vorato! Muli,<br />

furibondo, va a dormire con lo stomaco che brontola. La sera seguente si arraffa un pezzo<br />

enorme <strong>di</strong> formaggio coi buchi. Deve sudare sette camicie <strong>per</strong> trascinarlo fino al suo<br />

nascon<strong>di</strong>glio, ma la fame è tanta e le forze gli si moltiplicano. Ecco <strong>per</strong>ò che arriva <strong>di</strong> gran<br />

carriera suo zio Dente Aguzzo. È un topo che Muli ammira tantissimo, <strong>per</strong>ché sa fare balzi<br />

pro<strong>di</strong>giosi. Gli altri topi <strong>di</strong>cono che quando salta sembra che voli. Lo zio grida a gran voce:<br />

«L'ho visto, l'elefante in<strong>di</strong>ano! Proprio <strong>qui</strong> fuori! Per noi topi questo è un momento storico. Devi<br />

venire a vederlo adesso, Muli, altrimenti rimpiangerai <strong>per</strong> tutta la vita <strong>di</strong> aver <strong>per</strong>so questa<br />

occasione!». Muli si fida molto dello zio, <strong>per</strong> cui lascia <strong>per</strong>dere il formaggio e segue il topo fuori<br />

nella notte. All' esterno è buio pesto. Spesse coltri <strong>di</strong> nubi celano allo sguardo la luna e le stelle<br />

e Muli fa fatica ad abituarsi all' oscurità. I due arrivano nel cortile, e lì zio Dente Aguzzo si<br />

<strong>di</strong>lunga a spiegare quanto sia importante l'elefante in<strong>di</strong>ano <strong>per</strong> i topi. Alla fine esclama:<br />

«Guarda là, Muli, osserva bene l'elefante! È tutto azzurro con dei puntini rossi e <strong>di</strong>etro ha<br />

qualcosa <strong>di</strong> giallo». Muli guarda fisso nel buio. Capisce quanto il momento sia importante e,<br />

sebbene non veda niente, <strong>di</strong>ce con voce rotta dall'emozione:<br />

«Fantastico!». Poi torna veloce alla sua tana. Ma... il formaggio non c'è più, altri topi se lo<br />

sono mangiato! Il nostro topolino è nero <strong>di</strong> rabbia. Ha una fame tremenda. Non sa se debba<br />

arrabbiarsi <strong>di</strong> più <strong>per</strong>ché il formaggio è sparito, <strong>per</strong>ché non ha potuto vedere l'elefante o<br />

<strong>per</strong>ché l'elefante non può essere azzurro con i puntini rossi e poi rosso con i puntini azzurri. Ad<br />

ogni modo si addormenta sfinito. Il giorno successivo non ha nessuna voglia <strong>di</strong> fare i soliti<br />

giochi con gli amici, non gli va neppure <strong>di</strong> giocare a guar<strong>di</strong>e e ladri o <strong>di</strong> unirsi a chi organizza<br />

una caccia al tesoro. Se ne sta accovacciato in un angolo al buio e pensa fra sé e sé: «Com'è<br />

possibile che la zia <strong>di</strong>ca che l'elefante è rosso, che lo zio <strong>di</strong>ca invece che è azzurro, che<br />

entrambi affermino che <strong>di</strong>etro ha qualcosa <strong>di</strong> giallo e che io non abbia visto niente? O racconta<br />

bugie lei, o le racconta lui, oppure <strong>di</strong>cono bugie tutti e due, ma questo non può essere, <strong>per</strong>ché<br />

entrambe sono <strong>per</strong>sone <strong>per</strong>bene. Forse c'è sotto un trucco che non riesco a capire!». Muli ha<br />

deciso: quella notte stessa vuol venire a capo della faccenda. Finalmente arriva la sera, e la<br />

fame si fa sentire più feroce che mai.


«Mi prenderò un pezzo <strong>di</strong> formaggio gigantesco e lo nasconderò meglio <strong>di</strong> quanto non abbia<br />

fatto ieri e ieri l'altro», pensa il topolino. Dopo lunga ed estenuante fatica, finalmente ha messo<br />

al sicuro il suo formaggio in un angolo buio. Ora può pensare a svelare il mistero dell' elefante.<br />

Ma ecco che gli arriva allettante alle narici il profumo del formaggio, e subito lo stomaco gli<br />

comincia a brontolare <strong>per</strong> la fame. Il topolino si vede con la zia nel cortile, <strong>di</strong> notte sotto la<br />

luna, con lo sguardo inutilmente fisso sui noccioli; poi si vede ancora nel cortile con lo zio, nella<br />

notte buia, a fissare inutilmente l'oscurità. Si sente girare la testa. Davanti ai suoi occhi ballano<br />

in tondo elefanti rossi con i puntini azzurri, elefanti azzurri con i puntini rossi, elefanti gialli con<br />

i puntini azzurri e rossi, zia Orecchio Fino e zio Dente Aguzzo. Finché non sente dentro <strong>di</strong> sé<br />

una voce che gli <strong>di</strong>ce:<br />

«Comincia a mangiare il formaggio, poi continuerai a vedere se c'è l'elefante». Muli si getta sul<br />

formaggio e, siccome è un pezzo davvero grosso, mastica e inghiotte a lungo e con grande<br />

voracità, fino a che la pancia non gli si fa tesa come un pallone gonfio. Poi si appoggia sulla<br />

schiena, incrocia le zampe anteriori sulla pancia ed esclama sod<strong>di</strong>sfatto: «Ho fatto proprio<br />

bene a mangiarmi subito il formaggio! Questa storia dell' elefante azzurro e dell' elefante rosso<br />

mi sembra davvero una faccenda che riguarda i topi adulti». E si addormenta contento.<br />

P er i <strong>genitori</strong>: « L' elefante in<strong>di</strong>ano» , ovvero affermazioni contrad<strong>di</strong>ttorie che creano<br />

scompiglio<br />

Antefatto<br />

Marc, un bambino <strong>di</strong> sette anni, è un <strong>figli</strong>o naturale. Vive con la madre nella casa dei nonni<br />

materni e non conosce suo padre. Sua madre si è separata quando Marc era molto piccolo. La<br />

madre e la sua famiglia hanno ban<strong>di</strong>to il padre dai loro ricor<strong>di</strong> e dalle loro conversazioni. Il<br />

nonno fa le veci del padre. Quando Marc chiede notizie <strong>di</strong> suo padre agli adulti <strong>di</strong> casa, riceve<br />

risposte ogni volta <strong>di</strong>verse e non corrispondenti al vero. Il bambino è turbato. Il padre, dopo<br />

essersi risposato, a<strong>di</strong>sce le vie legali <strong>per</strong> poter avere rapporti con suo <strong>figli</strong>o. Con l'assistenza <strong>di</strong><br />

un legale la famiglia della madre si oppone a questa pretesa.<br />

Obiettivo<br />

La fiaba ha lo scopo <strong>di</strong> indurre in modo inconscio Marc a sod<strong>di</strong>sfare le sue esigenze infantili e a<br />

non continuare a sprecare energie nel voler capire il modo <strong>di</strong> agire degli adulti. Con questa<br />

fiaba si prepara il bambino al primo incontro consapevole con suo padre.<br />

Il P iccolo Abete<br />

Dietro il villaggio, ai margini del bosco, dove il cacciatore ha il suo capanno, si innalza uno<br />

slanciato abete bianco. Dondola dolcemente i rami al vento e sembra che ti inviti a metterti a<br />

sedere tra le sue ra<strong>di</strong>ci, con la schiena appoggiata al suo tronco, <strong>per</strong> goderti la bella vista tutto<br />

intorno. Se osservi con attenzione il tronco dell' albero, puoi notare, circa tre metri sopra il<br />

livello del suolo, una grossa deformazione, un rigonfiamento, come se la pianta, malgrado le<br />

energie impiegate <strong>per</strong> crescere, non ce l'avesse fatta ad elevarsi maggiormente. Voglio<br />

raccontarti la storia <strong>di</strong> quell'abete. È la storia <strong>di</strong> un desiderio struggente.


Quando esso era ancora un alberello che cresceva ai margini del bosco al fianco <strong>di</strong> alti e vecchi<br />

abeti che lo riparavano dal vento, la stagione che pre<strong>di</strong>ligeva era l'inverno con la sua neve.<br />

Quando i giorni si facevano più corti e le rigide bufere d'autunno e i fred<strong>di</strong> piovaschi<br />

scuotevano gli alberi situati al margine del bosco, quando la chiocciola marrone seppelliva il<br />

suo guscio nel muschio scuro intorno alle sue ra<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> giovane pianta e si preparava al sonno<br />

invernale, quando la cinciallegra con le penne gonfie si stringeva al suo tronco, quando i vecchi<br />

abeti gemevano e scricchiolavano, il piccolo abete bianco esclamava tutto contento: «Evviva,<br />

arriva l'inverno! Evviva, presto nevicherà! I bianchi fiocchi <strong>di</strong> neve scenderanno allegri<br />

volteggiando dal cielo e mi copriranno con uno splen<strong>di</strong>do abito, scintillante e luminoso come<br />

mille <strong>di</strong>amanti. E quando arriverà Hops, quell'im<strong>per</strong>tinente <strong>di</strong> un leprotto che scava sempre le<br />

sue tane tra le mie ra<strong>di</strong>ci, anche se tante volte gli ho detto che non mi piace aver freddo ai<br />

pie<strong>di</strong>, darò una scrollatina ai rami e lui beccherà un bel mucchio <strong>di</strong> neve sulle orecchie.<br />

Evviva, presto la neve sarà <strong>qui</strong>!». Colpito da tanto entusiasmo, un vecchio abete che si<br />

trovava vicino a quello piccolo dondolò la chioma con aria <strong>di</strong> <strong>di</strong>sapprovazione: «La neve <strong>per</strong> me<br />

è troppo fredda. Il suo biancore abbaglia. La neve trae in inganno e fa apparire le cose <strong>di</strong>verse<br />

da come sono in realtà. lo la detesto proprio!». Il piccolo abete non capiva quelle parole e <strong>per</strong><br />

alcuni anni si godette con grande allegria l'inverno con la neve. Ma poi venne un inverno senza<br />

neve. Per quanto il piccolo abete aspettasse e s<strong>per</strong>asse, caddero solo pochi fiocchi larghi e<br />

bagnati che non restarono a lungo sul terreno. Quando l'abete si lamentò <strong>di</strong> questo fatto con<br />

l'albero più grande, quest'ultimo gli rispose: «Non sempre nevica d'inverno, mi ricordo che<br />

tempo fa <strong>per</strong> anni non cadde nemmeno un fiocco <strong>di</strong> neve. Fu una cosa molto piacevole. Non mi<br />

si ruppe neppure un ramo sotto il peso dei mucchi <strong>di</strong> neve». Ma quella risposta non sod<strong>di</strong>sfece<br />

<strong>di</strong> certo il piccolo abete. L'anno dopo cominciò a sognare la neve già all'inizio dell'autunno,<br />

quando i conta<strong>di</strong>ni del villaggio nelle giornate <strong>di</strong> sole ancora raccoglievano le mele rosse. Per<br />

tutto l'inverno l'abete non fece che pensare a scintillanti fiocchi <strong>di</strong> neve che scendevano<br />

volteggiando dal cielo e lo coprivano <strong>di</strong> un abito splendente. Ma la neve non venne. La<br />

primavera e l'estate con i loro fiori variopinti e con il cinguettio degli uccelli <strong>di</strong>stolsero l'abete<br />

dal suo struggente desiderio <strong>di</strong> neve. Quando in agosto i conta<strong>di</strong>ni iniziarono a portare il<br />

frumento nei granai, l'albero riprese a sognare notte e giorno la danza dei bianchi fiocchi <strong>di</strong><br />

neve e presto non pensò ad altro che al can<strong>di</strong>do vestito che avrebbe avuto in regalo.


Mentre gli altri abeti in quella stagione crescevano ancora parecchio, facendo maturare del<br />

tutto il legno e la corteccia, il nostro piccolo abete interruppe la sua crescita e non formò una<br />

corteccia protettiva attorno al germoglio che si era sviluppato in primavera e in estate.<br />

Continuava a lambiccarsi il cervello su come avrebbe potuto far arrivare la neve. Chiese<br />

consiglio alla chiocciola, che gli <strong>di</strong>sse: «Se ti sforzi <strong>di</strong> pensare sempre e soltanto alla neve<br />

senza fare altro, allora la forza del tuo pensiero la farà arrivare. lo faccio la stessa cosa ogni<br />

inverno con il sole. Mi chiudo nel mio guscio e penso soltanto all' estate. E sai bene che fino ad<br />

ora la cosa ha dato buoni risultati». Quelle parole convinsero il piccolo abete. L'anno dopo già<br />

all'inizio dell'estate, quando le ciliegie stavano maturando, cominciò a sognare la neve. Come<br />

la chiocciola gli aveva consigliato, concentrò tutte le sue energie a pensare ai bianchi fiocchi<br />

scintillanti. Ma la neve non arrivò. Il desiderio che il piccolo abete aveva <strong>di</strong> vederla crebbe più<br />

che mai. E siccome nel contempo il suo tronco non era cresciuto e gli mancava la protezione<br />

della nuova corteccia, quel desiderio smodato finì <strong>per</strong> fargli del male. In primavera chiese<br />

consiglio a parecchi animali.<br />

La cinciallegra gli <strong>di</strong>sse: «Se vuoi la neve, vai dove la puoi trovare». E il cuculo gli consigliò:<br />

«Devi solo chiamarla a voce alta, la neve ti sentirà e verrà». Il piccolo abete sapeva che quei<br />

consigli potevano andar bene <strong>per</strong> un uccello che sapeva volare o <strong>per</strong> chi era in grado <strong>di</strong><br />

chiamare a gran voce, ma che <strong>per</strong> lui non erano adatti. Infine il vecchio gufo gli <strong>di</strong>sse che<br />

doveva pregare con molta costanza e fervore il <strong>di</strong>o del tempo. Ma siccome già da mesi la<br />

nostra pianta aveva cercato <strong>di</strong> far arrivare la neve con la forza dei suoi pensieri e non ci era<br />

riuscita, non seguì neppure quel consiglio. Così non solo provò il dolore del desiderio che non si<br />

realizzava, ma finì anche <strong>per</strong> sentirsi abbandonato e impotente. Smise del tutto <strong>di</strong> crescere,<br />

lasciò pendere i suoi rami verso il basso, il suo rivestimento <strong>di</strong> aghi che un tempo era stato <strong>di</strong><br />

uno splen<strong>di</strong>do colore verdazzurro si fece smorto, poi <strong>di</strong>ventò scuro e cadde al suolo. Il vecchio<br />

guardaboschi, che ogni giorno girava <strong>per</strong> il bosco arrivando fino al capanno dei cacciatori, già<br />

da tempo aveva notato come il giovane abete si andasse alterando, ma aveva pensato:<br />

«Quella pianta ha una bella posizione ai margini del bosco, è ben riparata dagli altri abeti, il<br />

terreno su cui è piantata è buono e il tempo negli anni scorsi è stato favorevole alla crescita<br />

dei virgulti. Dunque ce la farà anch' essa». Quando <strong>per</strong>ò si accorse che l'abete <strong>per</strong>deva sempre<br />

più i suoi aghi, si grattò la barba e si <strong>di</strong>sse: «Deve trattarsi <strong>di</strong> una cosa davvero seria. Farò<br />

venire Beppe: lui sa parlare con gli animali e con le piante». Beppe era uno strano vecchio.<br />

Viveva da solo nel bosco, dove raccoglieva funghi ed erbe me<strong>di</strong>cinali. Aveva la pelle simile a<br />

quell' argilla scura che asciugando al sole si riempie <strong>di</strong> crepe profonde. I capelli assomigliavano<br />

a ciuffi grigi <strong>di</strong> lichene. Ci vedeva <strong>di</strong> notte come i gatti o le linci e sapeva arrampicarsi sugli<br />

alberi lesto come uno scoiattolo. Una notte, mentre ancora non riusciva a prendere sonno <strong>per</strong><br />

la tristezza, il giovane abete udì vicinissima al suo tronco, dove si trova il rigonfiamento <strong>di</strong> cui<br />

abbiamo parlato in precedenza, una voce profonda e suadente:


«Mio piccolo abete, si vede che sei malato e soffri. Invece <strong>di</strong> crescere slanciato, <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare<br />

più robusto col passare degli anni e <strong>di</strong> adornare il margine del bosco con i tuoi splen<strong>di</strong><strong>di</strong> aghi,<br />

sei tutto curvo e gli aghi li lasci cadere a terra. Presto nessuna cinciallegra cercherà più riparo<br />

tra i tuoi rami e nessuna chiocciola scaverà più il suo rifugio <strong>per</strong> l'inverno tra le tue ra<strong>di</strong>ci. Se<br />

mi <strong>di</strong>ci che cosa ti fa soffrire, potrò fare qualcosa <strong>per</strong> te. Forse riuscirò a esserti d'aiuto». Per<br />

tutta la notte il giovane abete confidò a Beppe la sua passione <strong>per</strong> la neve. Raccontò della gioia<br />

che aveva provato vedendo i fiocchi volteggianti nell' aria, raccontò <strong>di</strong> come si era sentito fiero<br />

quando si era trovato rivestito del can<strong>di</strong>do abito tutto rilucente e <strong>di</strong> come si era <strong>di</strong>vertito alla<br />

vista dei mucchi <strong>di</strong> neve bagnata che cadevano sulle orecchie <strong>di</strong> quel maleducato <strong>di</strong> un<br />

leprotto. E mentre raccontava ogni tanto sospirava: «Ah, quanto mi manca la neve!».Quando<br />

l'abete ebbe terminato il suo racconto, riprese a parlare Beppe: «Mio piccolo abete, fino a che<br />

vivrai ai margini <strong>di</strong> questo bosco, probabilmente non vedrai più la neve. Nella parte <strong>di</strong> terra in<br />

cui tu e io viviamo il clima si è fatto più caldo. Qui da noi ormai cade tutt' al più qualche fiocco<br />

<strong>di</strong> neve che non resta neppure sul terreno. Ciò è dovuto all'insensatezza degli uomini, e tu,<br />

piccolo albero, non puoi fare niente. Quello che puoi fare è scegliere: puoi continuare a<br />

desiderare una cosa che non tornerà più, oppure puoi cercare una ragione <strong>di</strong> vivere in te<br />

stesso, e la tua gioia in qualcosa che non sia la neve». Dopo che Beppe se ne fu andato, il<br />

giovane abete fu colto da un accesso <strong>di</strong> rabbia impotente: «Gli uomini, sciocchi e arroganti<br />

come sono, possono fare quello che vogliono e io devo sopportare ogni cosa senza poterci fare<br />

niente!». Pianse a lungo, poi, triste e spossato, cadde in un profondo dormiveglia.<br />

Arrivò la primavera, e con essa i fiori variopinti e il vivace cinguettio degli uccelli. Il piccolo<br />

abete si sentì <strong>per</strong>vaso da un senso <strong>di</strong> gioia <strong>per</strong> la vita che riprendeva. Quasi si spaventò, e gli<br />

vennero in mente le parole <strong>di</strong> Beppe. Pensò: «È la stessa sensazione che provavo quando i<br />

fiocchi <strong>di</strong> neve scendevano volteggiando dal cielo, forse solo un po' meno intensa. Magari mi<br />

sentirò ancora meglio se osserverò più attentamente i colori dei fiori e mi concentrerò <strong>di</strong> più<br />

sul canto degli uccelli». E da allora <strong>per</strong> l'abete fu come se i fiori avessero colori più vivaci e gli<br />

uccelli cinguettassero più allegri. Cominciò nuovamente a crescere, gli aghi ripresero a<br />

germogliare. Alla fine dell' estate era rico<strong>per</strong>to da un folto manto verdazzurro <strong>di</strong> aghi, che nella<br />

sua parte inferiore risplendeva <strong>di</strong> un bel colore grigio argento. In una notte <strong>di</strong> luna piena<br />

l'abete si vide a un tratto scintillare nella luce argentea, come se fosse rico<strong>per</strong>to da mille<br />

<strong>di</strong>amanti. Si rese conto con gioia <strong>di</strong> quanto era bello. Pieno d'emozione, notò che si trattava<br />

della stessa sensazione <strong>di</strong> fierezza che aveva provato un tempo, quando si era visto tutto<br />

rico<strong>per</strong>to <strong>di</strong> neve. Venne l'autunno, che con le sue raffiche <strong>di</strong> vento mosse le foglie avvizzite sui<br />

rami dell' albero.<br />

Le foglie restarono sui rami come un pesante fardello, fra<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> neve e <strong>di</strong> pioggia. E un giorno<br />

ecco che ai pie<strong>di</strong> del giovane abete si fa vedere la lepre. L'abete si scuote e ­ ciaf! ­la lepre si<br />

becca sulle orecchie un bel mucchio <strong>di</strong> foglie bagnate. La lepre starnutisce ­ eccì! eccì! ­ fa uno<br />

scarto improvviso e fugge via. «Ah, gliel'ho fatta proprio bella, non mi sono mai <strong>di</strong>vertito<br />

tanto!», fa l'abete ad alta voce. E poi continua: «Sì, ha proprio ragione Beppe, anche adesso<br />

provo le stesse sensazioni che provavo quando cadeva la neve. Devo solo rendermene conto!».


P er i <strong>genitori</strong>: « lI piccolo abete» , ovvero il desiderio del genitore assente<br />

Antefatto<br />

I <strong>genitori</strong> <strong>di</strong> Clara sono <strong>separati</strong> da tre anni. Non erano sposati. Il padre vive in un' altra città<br />

con una nuova compagna. Ha «rotto con il suo passato», paga gli alimenti <strong>per</strong> la <strong>figli</strong>a e non<br />

desidera avere ulteriori contatti con lei. La bambina, che ha nove anni, è affezionata al padre,<br />

vorrebbe stare con lui e fa quanto è in suo potere <strong>per</strong> richiamare su <strong>di</strong> sé l'attenzione del<br />

genitore. Ma le sue lettere, i suoi regali e le sue telefonate non ricevono risposta. Clara<br />

reagisce al rifiuto <strong>di</strong> incontrarla da parte del padre con mancanza <strong>di</strong> autostima, che si<br />

manifesta nei rapporti con gli altri e nel campo del ren<strong>di</strong>mento scolastico.<br />

Obiettivo<br />

La fiaba vuole aiutare Clara a rendersi conto che i suoi tentativi <strong>di</strong> avere rapporti con il padre<br />

sono vani e rischiano <strong>per</strong>ciò <strong>di</strong> bloccare il suo sviluppo. Clara deve imparare a trovare in<br />

contatti con altre <strong>per</strong>sone quelle sensazioni piacevoli che in precedenza provava stando con<br />

suo padre. I passi che possono portare Clara alla guarigione sono paragonabili a quelli che<br />

deve compiere una <strong>per</strong>sona colpita da un lutto. Tristezza e rabbia <strong>per</strong> la <strong>per</strong><strong>di</strong>ta fanno parte <strong>di</strong><br />

questo processo.<br />

P roce<strong>di</strong>mento narrativo<br />

La fiaba fa riferimento specifico a quelle sensazioni <strong>di</strong> cui la bambina sente la mancanza da<br />

quando il padre non è più con lei (gioia, spensieratezza, riconoscimento <strong>di</strong> sé). Quando Clara<br />

ricorda es<strong>per</strong>ienze particolarmente piacevoli, le vede luminose, scintillanti, coloratissime,<br />

piacevolmente movimentate e al tempo stesso fresche e tran<strong>qui</strong>lle. Per questo motivo, la<br />

metafora della neve ci fa capire i ricor<strong>di</strong> che Clara ha del padre. L'aiuto necessario alla<br />

bambina <strong>per</strong> risolvere il suo problema le è offerto da un <strong>per</strong>sonaggio magico che vive nel<br />

bosco.<br />

P enna Danzante<br />

Nella prateria, dove mandrie <strong>di</strong> bufali galoppano <strong>per</strong> steppe sconfinate e dove la volta del cielo<br />

è immensa, viveva un tempo una tribù in<strong>di</strong>ana, la tribù dei Corvi. Per quegli in<strong>di</strong>ani il corvo era<br />

un animale saggio e benevolo, e siccome erano gente assennata e cor<strong>di</strong>ale avevano deciso <strong>di</strong><br />

chiamarsi col nome <strong>di</strong> quell'uccello. I Corvi vagavano <strong>per</strong> la prateria con le loro tende, la loro<br />

vita era pacifica e serena. Ciascuno <strong>di</strong> essi portava un nome che rivelava una caratteristica<br />

importante della sua indole. Così «Penna Danzante»era un ragazzo che, anche se vigoroso e<br />

pieno <strong>di</strong> energia, sapeva muoversi con la leggerezza <strong>di</strong> una piuma mossa dal vento. Penna<br />

Danzante era benvoluto da tutti e tutti stimavano sua madre Lago Profondo. Anche lei portava<br />

quel nome a buon <strong>di</strong>ritto: la sua indole tran<strong>qui</strong>lla faceva pensare alle acque calme <strong>di</strong> un lago<br />

profondo. La donna e il ragazzo vivevano da soli, e <strong>per</strong> questo gli altri membri della tribù<br />

stavano loro molto vicini.<br />

Il padre <strong>di</strong> Penna Danzante già da molto tempo non viveva più con la tribù dei Corvi. Il suo<br />

nome era Due Volti, e l'uomo aveva in effetti due volti. Il primo era un volto sereno, come<br />

quello degli altri uomini della tribù. L'altro era pieno <strong>di</strong> paura e <strong>di</strong> rabbia. Chi vedeva il secondo<br />

volto non avrebbe potuto riconoscere il primo. Penna Danzante si ricordava del tempo in cui<br />

Due Volti viveva ancora con loro. Quando suo padre mostrava il primo volto, tutto andava<br />

bene e la vita trascorreva tran<strong>qui</strong>lla e serena. C'erano poi i momenti in cui compariva il<br />

secondo volto, ed erano momenti <strong>di</strong> preoccupazione e <strong>di</strong> angoscia. Penna Danzante era<br />

<strong>di</strong>s<strong>per</strong>ato e neppure sua madre Lago Profondo non sapeva che fare. Alla fine gli anziani della<br />

tribù si riunirono attorno al fuoco <strong>per</strong> decidere come aiutare Due Volti. Il mattino dopo il


consiglio, Penna Danzante si presentò al più autorevole degli anziani e gli chiese che cosa<br />

avesse suo padre. Il vecchio lo guardò a lungo e rispose: «Tuo padre è molto malato. Il suo<br />

secondo volto è quello della malattia che lo assale e lo afferra con i suoi artigli. Non sappiamo<br />

come aiutarlo e abbiamo deciso <strong>di</strong> mandarlo da uno stregone che vive molto lontano da <strong>qui</strong>».<br />

E così avvenne. Accompagnato da alcuni giovani guerrieri, Due Volti partì. Presto il gruppetto<br />

scomparve alla vista degli altri in<strong>di</strong>ani. Due Volti non si accomiatò da nessuno e non si voltò<br />

in<strong>di</strong>etro neppure una volta. Quella sera Penna Danzante e sua madre Lago Profondo piansero a<br />

lungo nella loro tenda. Ma in seguito si abituarono a vivere senza Due Volti. Qualche volta si<br />

sentivano sollevati, <strong>per</strong>ché i momenti pieni <strong>di</strong> paura e <strong>di</strong> rabbia erano scomparsi. Però avevano<br />

anche nostalgia <strong>di</strong> Due Volti. Soprattutto Penna Danzante sentiva moltissimo la mancanza del<br />

padre. A volte il ragazzo andava nei posti in cui il padre gli aveva insegnato a tirare con l'arco.<br />

Si ricordava <strong>di</strong> quando avevano dato la caccia ai bufali e quando Due Volti gli aveva spiegato il<br />

significato dei segnali <strong>di</strong> fumo. Se una figura compariva all' orizzonte, Penna Danzante<br />

pensava: «E' mio padre che arriva! Due Volti è <strong>di</strong> nuovo <strong>qui</strong>!». Ma non era mai lui. Quando la<br />

nostalgia del padre lo prendeva, il ragazzo si confidava con sua madre. Un giorno ella gli <strong>di</strong>sse:<br />

«Appena tuo padre starà meglio, ti invierà dei segnali <strong>di</strong> fumo. lo lo so. Aspetta». Da quel<br />

giorno Penna Danzante era in attesa dei segnali che suo padre gli avrebbe inviato. Non gli<br />

interessava più giocare alla caccia al bufalo con gli altri ragazzi della tribù o ascoltare storie<br />

attorno al fuoco dell' accampamento. Stava <strong>per</strong> ore seduto in mezzo alla prateria a fissare<br />

l'orizzonte. Teneva sempre pronta della legna <strong>per</strong> poter accendere un fuoco. Finalmente, una<br />

chiara mattina d'autunno, vide dei segnali <strong>di</strong> fumo.«Penna Danzante», lesse, «sono Due Volti».<br />

Seguirono poi molti altri segnali, ma Penna Danzante non li capì. Si affrettò ad accendere la<br />

legna che aveva e ad inviare a sua volta segnali: «Non ti capisco. Fai altri segnali!». Ma i<br />

segnali che suo padre inviava continuavano a essere incomprensibili. Penna Danzante se ne<br />

tornò triste all' accampamento. Un giovane guerriero lo vide e gli chiese <strong>per</strong> quale motivo era<br />

così mesto. «Due Volti mi ha mandato dei segnali <strong>di</strong> fumo», rispose a bassa voce il ragazzo,<br />

«ma ho capito solo i primi. Non riesco a interpretare bene i segnali <strong>di</strong> fumo». Il guerriero si<br />

offrì <strong>di</strong> aiutarlo. Il giorno dopo si recarono entrambi nella prateria, accesero un fuoco e si<br />

esercitarono tutto il giorno con i segnali <strong>di</strong> fumo.<br />

Alla sera il guerriero <strong>di</strong>sse a Penna Danzante: «Adesso conosci tutti i segnali che esistono. Non<br />

conosco nessuno che li sappia usare meglio <strong>di</strong> te». Però, quando ricevette da suo padre altri<br />

segnali <strong>di</strong> fumo, <strong>di</strong> nuovo Penna Danzante riuscì a decifrare soltanto i primi. Quelli che<br />

venivano dopo erano incomprensibili. E le cose continuarono così <strong>per</strong> parecchi giorni. Penna<br />

Danzante trascorreva tutte le ore <strong>di</strong> luce nella prateria a fissare l'orizzonte. Quando si levavano<br />

segnali <strong>di</strong> fumo, cercava <strong>di</strong>s<strong>per</strong>atamente <strong>di</strong> interpretarli. Alcuni li capiva: «Penna Danzante»,<br />

«Due Volti», «molto lontano», ma i più erano incomprensibili. Alla fine decise <strong>di</strong> chiedere<br />

nuovamente aiuto al guerriero suo amico. Questi andò con lui nella prateria, osservò a lungo i<br />

segnali e infine <strong>di</strong>sse: «Quei segnali sono confusi, nessuno riuscirebbe a decifrarli. Non è colpa<br />

tua se non ce la fai». Penna Danzante tornò triste all' accampamento. Alla sera parlò del suo<br />

cruccio a Lago Profondo.


Sua madre, <strong>di</strong> solito tran<strong>qui</strong>lla e controllata, quella volta si irritò e gli <strong>di</strong>sse: «Adesso basta.<br />

Non andrai più nella prateria da solo!». Da allora Penna Danzante passò le sue giornate nell'<br />

accampamento. I giochi con gli altri ragazzi non lo interessavano, continuava a scrutare<br />

l'orizzonte tra una tenda e l'altra. Per molto tempo non ebbe notizie <strong>di</strong> suo padre. Crebbe, si<br />

fece più alto e più forte, pur restando agile e leggero come una piuma. Spesso pensava a suo<br />

padre e ai segnali incomprensibili che gli aveva inviato. Una sera sua madre, mentre stavano<br />

accanto al fuoco dell'accampamento, gli <strong>di</strong>sse: «Tuo padre sta meglio. Pensa molto a te e<br />

vorrebbe inviarti ancora dei segnali <strong>di</strong> fumo. Sono d'accordo che tu li riceva, <strong>per</strong>ò se non li<br />

capisci me lo devi <strong>di</strong>re». Penna Danzante era felice. Il giorno successivo ancor prima che<br />

spuntasse il sole si recò nella prateria. Era una mattinata limpida e fresca. Il ragazzo aveva<br />

freddo, e l'erba umida <strong>di</strong> rugiada bagnava i suoi mocassini <strong>di</strong> cuoio. Poi il sole sorse e presto i<br />

suoi raggi riscaldarono Penna Danzante e asciugarono i suoi mocassini. Pieno d'impazienza, il<br />

ragazzo fissava lo sguardo lontano. Finalmente scorse il primo segnale <strong>di</strong> fumo. Subito accese<br />

un fuoco.«Sono contento <strong>di</strong> poter comunicare con te, Penna Danzante», lesse, «da quanto<br />

tempo aspettavo questo momento!».«Anch'io sono contento. Desideravo tanto sentirti», :<br />

rispose Penna Danzante. I segnali <strong>di</strong> fumo si intensificarono. Padre e <strong>figli</strong>o si raccontavano a<br />

vicenda quello che era accaduto. Due Volti <strong>di</strong>sse dove viveva e come trascorreva le giornate.<br />

Penna Danzante riferì quello che aveva imparato e <strong>di</strong>sse chi era il suo migliore amico. Si<br />

scambiarono a lungo i loro segnali. Al momento del congedo, Due Volti <strong>di</strong>sse: «il mattino che<br />

seguirà ogni notte <strong>di</strong> luna piena comunicheremo con i segnali <strong>di</strong> fumo».«D'accordo!», rispose<br />

Penna Danzante. Tornò all' accampamento pieno <strong>di</strong> felicità. Faceva salti <strong>di</strong> gioia e cantava i<br />

canti più allegri della sua tribù. Penna Danzante e Due Volti fecero come avevano convenuto. Il<br />

mattino che seguiva ogni notte <strong>di</strong> luna piena si scambiavano segnali <strong>di</strong> fumo. A volte a Penna<br />

Danzante sembrava che quei pochi segnali non bastassero. Gli sarebbe piaciuto comunicare più<br />

spesso con suo padre, e ancor <strong>di</strong> più gli sarebbe piaciuto vederlo. La cosa che desiderava<br />

maggiormente era che Due Volti tornasse a vivere con i Corvi.<br />

Però il ragazzo sapeva che ciò non sarebbe mai avvenuto. Perciò si accontentava dei segnali <strong>di</strong><br />

fumo ed era felice quando arrivava il plenilunio. Ora gli piaceva <strong>di</strong> nuovo giocare con gli altri<br />

ragazzi della tribù. Una mattina Penna Danzante lesse nei segnali <strong>di</strong> fumo <strong>di</strong> suo padre<br />

qualcosa che lo turbò profondamente: "Ti voglio talmente bene, Penna Danzante, che sento<br />

quanto la vita senza <strong>di</strong> te non abbia alcun valore. Voglio comunicare con te più spesso: quello<br />

che posso fare adesso non mi basta". Penna Danzante rispose imme<strong>di</strong>atamente: «Certo che<br />

possiamo comunicare più spesso. Ti voglio tanto bene, Due Volti!». Da quel giorno il ragazzo si<br />

allontanava spesso dall' accampamento <strong>per</strong> inviare messaggi a suo padre. Ogni volta questi<br />

voleva che il <strong>figli</strong>o si fermasse più a lungo e sempre più spesso inviava messaggi : «Se non<br />

posso comunicare con te», <strong>di</strong>ceva Due Volti, «la mia vita non ha alcun valore. ». Penna<br />

Danzante era sempre più abbattuto. Le parole del padre lo <strong>per</strong>seguitavano anche nel sonno.<br />

Aveva degli incubi e <strong>di</strong> notte si svegliava <strong>di</strong> soprassalto sognando che suo padre stava <strong>per</strong><br />

annegare in un fiume impetuoso. Lago Profondo lo teneva fra le braccia fino a che non aveva<br />

smesso <strong>di</strong> singhiozzare e le lacrime non si erano asciugate. Gli chiedeva che cosa lo avesse<br />

tanto spaventato, ma Penna Danzante non poteva <strong>di</strong>rle la verità. Mormorava qualche frase


sconnessa sugli orsi e poi si girava dall' altra parte, <strong>di</strong> modo che la madre non potesse vederlo<br />

in viso. Ogni mattina il ragazzo sgattaiolava via dall' accampamento, <strong>per</strong> mandare al padre i<br />

suoi segnali <strong>di</strong> fumo. Ma non era più felice, <strong>per</strong>ché a spingerlo era la paura. Per giocare era<br />

ormai troppo stanco. Una mattina, inaspettatamente, Penna Danzante trovò accanto al fuoco il<br />

guerriero che qualche tempo prima l'aveva aiutato con i segnali <strong>di</strong> fumo. Questi scrutò a lungo<br />

il ragazzo e poi gli <strong>di</strong>sse: «Ho visto i segnali che Due Volti ti ha mandato. Capisco che tu sia<br />

preoccupato e angosciato, ma ti voglio raccontare una storia:«C'era una volta un piccolo<br />

bufalo. Suo padre, che un tempo era stato grande e forte, era ormai debole e malato. Siccome<br />

era un buon <strong>figli</strong>olo, il bufalo stava accanto al padre e lo aiutava come poteva. Un giorno la<br />

mandria vagando <strong>per</strong> la prateria arrivò in riva a un grande fiume, e il vecchio bufalo <strong>di</strong>sse al<br />

<strong>figli</strong>o: "Portami sull' altra sponda". "Non posso farcela", rispose il piccolo bufalo, "sei troppo<br />

pesante e io so a malapena nuotare". «Ma il vecchio bufalo continuò a insistere, arrivò<br />

ad<strong>di</strong>rittura a minacciare <strong>di</strong> buttarsi nel fiume e <strong>di</strong> lasciarsi affogare. Allora il <strong>figli</strong>o cedette.<br />

Scesero insieme in acqua e il vecchio bufalo, pesante com' era, salì in groppa al giovane. Già<br />

dopo pochi metri al piccolo bufalo vennero meno le forze: si sentiva spinto sott' acqua e non<br />

riusciva più a respirare. Per fortuna gli altri bufali vennero loro in aiuto, altrimenti sarebbero<br />

entrambi annegati miseramente.<br />

Solo allora il vecchio bufalo si rese conto che gli altri animali del branco lo avrebbero potuto<br />

aiutare più <strong>di</strong> quanto non aveva fatto suo <strong>figli</strong>o, e il piccolo bufalo imparò che avrebbe fatto<br />

meglio a non cedere alle richieste del padre». Quando il guerriero ebbe terminato il suo<br />

racconto, stette a lungo a sedere accanto a Penna Danzante. I due tacquero <strong>per</strong> un po', poi il<br />

guerriero chiese al ragazzo: «Pensi che se i due bufali fossero annegati la colpa sarebbe stata<br />

del più piccolo?».«No», rispose subito Penna Danzante, «certo che no. Era così piccolo..<br />

.».«Adesso parliamo un po' <strong>di</strong> te», riprese il guerriero a bassa voce. «Tu sei ormai un ragazzo<br />

grande, <strong>per</strong>ò sei ancora giovane. Certo vuoi bene a tuo padre, <strong>per</strong>ò anche tu annegheresti con<br />

un bufalo sulle spalle». Quella notte Penna Danzante non riuscì a dormire. Pensava alla storia<br />

che aveva ascoltato. Il mattino dopo si alzò prima dell' alba e corse nella prateria. Accese il<br />

fuoco e aspettò. Il cielo era co<strong>per</strong>to e grigio. A un certo punto Penna Danzante vide i segnali <strong>di</strong><br />

fumo <strong>di</strong> suo padre. Non <strong>per</strong>se tempo a interpretarli, si affrettò invece a inviare i suoi: «D'ora in<br />

poi verrò meno <strong>di</strong> frequente. Ti manderò i miei segnali dopo ogni plenilunio. Ti voglio tanto<br />

bene». Poi volse le spalle al fuoco e tornò all' accampamento. Il sole era spuntato tra le nubi,<br />

l'erba e i fiori riac<strong>qui</strong>stavano il loro splendore e Penna Danzante sentiva addosso il calore dei<br />

raggi. Si unì al gruppo <strong>di</strong> ragazzi che stavano giocando tra le tende: si sentiva sereno e<br />

contento. Pensò che dopo il plenilunio avrebbe nuovamente scambiato segnali <strong>di</strong> fumo con suo<br />

padre, ma che fino ad allora avrebbe giocato con gli amici e sarebbe stato a sentire le storie<br />

che si raccontavano attorno al fuoco. E da allora in poi fece così.<br />

Per i <strong>genitori</strong>: «Penna Danzante, ragazzo in<strong>di</strong>ano»ovvero i bambini non sono<br />

responsabili <strong>per</strong> i loro <strong>genitori</strong><br />

Antefatto<br />

Alex è un ragazzo <strong>di</strong> nove anni che vive con la madre. Il padre soffre <strong>di</strong> depressione e le sue<br />

con<strong>di</strong>zioni sono peggiorate dopo che si è separato dalla moglie. I contatti <strong>di</strong> Alex col padre<br />

hanno talmente stressato il ragazzo da indurre sua madre a negare al <strong>figli</strong>o ogni rapporto col<br />

marito all'infuori delle conversazioni telefoniche. Siccome il padre <strong>di</strong> Alex non riesce ad avere<br />

rapporti normali con nessun' altra <strong>per</strong>sona, suo <strong>figli</strong>o è il solo in<strong>di</strong>viduo in grado <strong>di</strong> dargli una<br />

ragione <strong>di</strong> vita. In occasione delle conversazioni telefoniche con suo <strong>figli</strong>o l'uomo gli ricorda<br />

questo fatto, insistendo <strong>per</strong> avere con lui conversazioni più frequenti e rapporti più stretti.<br />

Obiettivo<br />

L'obiettivo della fiaba è quello <strong>di</strong> far capire ad Alex che egli non è responsabile del problema<br />

del padre, che è malato <strong>di</strong> depressione, e <strong>di</strong> fargli ritrovare il piacere <strong>di</strong> de<strong>di</strong>carsi ad attività più<br />

confacenti alla sua età.


P roce<strong>di</strong>mento narrativo<br />

La fiaba è ambientata nel mondo degli in<strong>di</strong>ani, vale a <strong>di</strong>re <strong>di</strong> uomini che da<br />

generazioni sono ammirati dai ragazzi <strong>per</strong> il loro valore e il loro coraggio. Alex ha<br />

bisogno <strong>di</strong> queste qualità <strong>per</strong> liberarsi dall' onere che il padre gli impone. La<br />

comunicazione con i segnali <strong>di</strong> fumo e il contenuto dei messaggi rappresentano il<br />

potere che un genitore può esercitare su un <strong>figli</strong>o che gli vuole bene. In simili<br />

situazioni solo l'intervento <strong>di</strong> una terza <strong>per</strong>sona può essere d'aiuto. La madre soffre<br />

con suo <strong>figli</strong>o e <strong>per</strong>tanto non ha la forza <strong>di</strong> prendere decisioni risolutive. Nella fiaba<br />

la terza <strong>per</strong>sona sono i ragazzi della tribù <strong>di</strong> P enna Danzante, il guerriero che<br />

conosce bene i segnali <strong>di</strong> fumo e gli altri bufali della metafora inserita nel racconto.<br />

La soluzione del problema consiste nel riconoscere che i ragazzi non sono obbligati a<br />

« salvare» un loro genitore, non ne hanno il <strong>di</strong>ritto e neppure sono in grado <strong>di</strong> farlo.<br />

Le 40 Anatre<br />

Azzurre, limpide e fresche sono le acque del fiume maestoso. Esso scorre tra montagne<br />

scoscese co<strong>per</strong>te <strong>di</strong> boschi, fino a un punto in cui si <strong>di</strong>vide in due rami <strong>di</strong> uguale larghezza. Là<br />

dove il fiume si biforca il paesaggio non è più scosceso e roccioso. La campagna tra i due rami<br />

è collinosa, soleggiata e assai fertile. Qui crescono alberi <strong>di</strong> cioccolato al latte e gli arbusti <strong>di</strong><br />

gelato alla vaniglia producono due volte all' anno le loro s<strong>qui</strong>site palline. In questo ridente<br />

angolo <strong>di</strong> mondo alcuni uomini hanno costruito un villaggio e si sono scelti un re <strong>per</strong> il quale<br />

hanno e<strong>di</strong>ficato un castello al centro del paese. Questo re ha due <strong>figli</strong>. Il primo è alto, ha i<br />

capelli neri e porta sempre un berretto verde: è il conte Chiaro <strong>di</strong> Luna. L'altro è più basso <strong>di</strong><br />

statura, ha i capelli bion<strong>di</strong> e ricci e porta un berretto rosso: è il conte Raggio <strong>di</strong> Sole. Quando il<br />

re ormai vecchio muore, i suoi <strong>figli</strong> iniziano a litigare. Ogni sera, quando è ora <strong>di</strong> accendere il<br />

televisore, tra i due esplode regolarmente una violenta <strong>di</strong>sputa: il conte Chiaro <strong>di</strong> Luna vuol<br />

vedere il telegiornale, il conte Raggio <strong>di</strong> Sole invece vuol seguire i programmi sportivi.<br />

Quando litigano i due fratelli urlano talmente forte che gli abitanti del villaggio non riescono a<br />

dormire. Una sera il conte Chiaro <strong>di</strong> Luna grida al fratello: «Adesso basta, non ce la faccio più a<br />

stare con te!». E il conte Raggio <strong>di</strong> Sole <strong>di</strong> rimando: «Pensa che io volevo andarmene già<br />

ieri!». Dette queste parole, entrambi sellano il cavallo e abbandonano il castello, l'uno in una<br />

<strong>di</strong>rezione e l'altro in quella contraria. Sono così furiosi che i loro cavalli lanciati al galoppo<br />

sollevano nuvole <strong>di</strong> polvere e fanno sprizzare scintille con gli zoccoli. Il conte Chiaro <strong>di</strong> Luna<br />

attraversa il braccio sinistro del fiume e si fa costruire una rocca sui monti, su cui innalza la<br />

sua antenna televisiva. Il conte Raggio <strong>di</strong> Sole invece cavalca oltre il braccio destro del fiume e<br />

si fa e<strong>di</strong>ficare un castello sulla roccia, sul quale anche lui colloca l'antenna. Allo stesso tempo<br />

entrambi fanno costruire imponenti postazioni d'artiglieria e ogni giorno si scambiano<br />

cannonate.<br />

Il rumore dei colpi sale al cielo con sbuffi <strong>di</strong> vapore, si sente odore <strong>di</strong> polvere da sparo e<br />

violenti rimbombi fanno tremare l'aria. I due fratelli si sparano a volte con polvere che fa<br />

starnutire, a volte con ravanelli, a volte invece con proiettili traccianti o bolle <strong>di</strong> sapone. Gli


abitanti del villaggio sono lieti che i due conti abbiano smesso <strong>di</strong> litigare nel loro paese.<br />

Raccolgono i frutti dagli alberi <strong>di</strong> cioccolato e si mangiano il gelato alla vaniglia che cresce sugli<br />

arbusti. Si godono la vita come meglio non potrebbero. In paese vive un ragazzo<br />

particolarmente sveglio che si chiama Cristoforo. Una mattina scopre che nel braccio destro del<br />

fiume c'è un punto in cui l'acqua è poco profonda, un guado. Lì evidentemente il fiume aveva<br />

depositato una gran quantità <strong>di</strong> sabbia. Cristoforo riesce a guadare quel braccio del fiume e a<br />

raggiungere la riva opposta. In un primo tempo tiene <strong>per</strong> sé la sua sco<strong>per</strong>ta e, col favore delle<br />

tenebre, si avventura <strong>di</strong> soppiatto fino al castello del conte Raggio <strong>di</strong> Sole. Ha paura che il<br />

conte Chiaro <strong>di</strong> Luna lo veda e lo rimproveri. E Cristoforo non vuole che una cosa del genere<br />

accada, ci tiene ad andare d'accordo con tutti e due i signori. Comunque il conte Raggio <strong>di</strong> Sole<br />

è contentissimo della visita <strong>di</strong> Cristoforo: fa entrare il giovane nel suo castello e chiacchiera a<br />

lungo con lui. Il giorno seguente Cristoforo racconta agli amici la sua avventura, e ben presto<br />

tutto il villaggio ne è a conoscenza. Siccome sembra che il conte Chiaro <strong>di</strong> Luna non si sia<br />

accorto <strong>di</strong> niente, gli abitanti del villaggio incominciano ad andare al castello del conte Raggio<br />

<strong>di</strong> Sole anche <strong>di</strong> giorno. Gli vendono cioccolato, gelato alla vaniglia, pomodori e polli allevati da<br />

loro.<br />

Spesso il conte Raggio <strong>di</strong> Sole scende in paese e trascorre qualche ora con la gente del posto<br />

nel castello in cui abitava una volta, ricordando i vecchi tempi. Un mattino <strong>di</strong> buonora<br />

Cristoforo si arrampica come al solito sul suo albero preferito <strong>di</strong> cioccolato: vuol vedere se <strong>per</strong><br />

caso durante la notte non sia spuntata una <strong>di</strong> quelle tavolette <strong>di</strong> cioccolato al latte <strong>di</strong> cui è<br />

particolarmente ghiotto. Lo sguardo gli cade come sempre sul castello del conte Chiaro <strong>di</strong><br />

Luna, ed ecco che d'un tratto nota una cosa straor<strong>di</strong>naria. A sinistra <strong>di</strong>etro al castello si profila<br />

qualcosa che assomiglia a una testa <strong>di</strong> anatra, pur essendo <strong>di</strong>versa da essa: è rossa, molto più<br />

grande <strong>di</strong> una normale testa <strong>di</strong> anatra ed è cinta da una corona d'oro. Poi la strana visione<br />

scompare. Cristoforo si stropiccia gli occhi, crede <strong>di</strong> aver sognato. Da quel giorno tutte le<br />

mattine si alza prestissimo e alle prime luci dell' alba si trova già arrampicato sul più alto degli<br />

alberi <strong>di</strong> cioccolato; <strong>di</strong> lassù punta attentamente lo sguardo in <strong>di</strong>rezione del castello del conte<br />

Chiaro <strong>di</strong> Luna. E una mattina ecco che da <strong>di</strong>etro le mura del castello avanza barcollando una<br />

grossa anatra. Sulla testa rossa porta una piccola corona d'oro e un paio <strong>di</strong> ali color verde<br />

smeraldo le coprono il corpo azzurro cupo. Dietro la prima anatra ne vengono altre trentanove,<br />

del tutto simili ad essa; alcune sono più piccole, altre più gran<strong>di</strong>. Mentre le anatre <strong>per</strong>corrono<br />

lentamente la <strong>di</strong>stanza che le separa dal fiume, Cristoforo vede le loro penne scintillare alla<br />

luce del primo sole e <strong>per</strong> lo stupore quasi cade dall'albero.<br />

In quel momento si sente il rumore <strong>di</strong> un colpo <strong>di</strong> cannone sparato dal castello del conte<br />

Chiaro <strong>di</strong> Luna verso quello del conte Raggio <strong>di</strong> Sole e il fumo grigio della polvere da sparo<br />

avvolge la valle. Cristoforo corre più svelto che può verso il paese e racconta a tutti quello che<br />

ha visto. I suoi compaesani corrono in riva al fiume e stanno a guardare a bocca a<strong>per</strong>ta le<br />

grosse anatre multicolori che si avvicinano all' acqua, vi scivolano dentro l'una dopo l'altra e si<br />

mettono a nuotare in <strong>di</strong>rezione del villaggio. Tutti, come Cristoforo, sono affascinati dallo<br />

splendore degli animali sotto il sole e dalle loro corone dorate. Tuttavia, non appena la prima<br />

anatra tocca terra, tutti sono presi dalla paura. Corrono svelti alle loro case, chiudono la porta<br />

a chiave, tirano giù le tapparelle e accendono il televisore. Anche Cristoforo fa come gli altri.<br />

Ma dopo un po' capisce che si sta comportando come uno sciocco. E oltretutto la curiosità lo<br />

rode. Allora alza un po' le tapparelle e tra una stecca e l'altra guarda che succede nella piazza.<br />

Quello che vede è più <strong>di</strong>vertente che in<strong>qui</strong>etante: le quaranta anatre, le gran<strong>di</strong> come le piccole,<br />

girano in tondo al suono <strong>di</strong> una musica che non si riesce a <strong>di</strong>stinguere; sorridono, tentennano


leggermente il capo e levano in alto le ali cangianti, come se ciascuna volesse mostrare alle<br />

altre la propria bellezza. Cristoforo esce e si avvicina alle bestie. A poco a poco anche gli altri<br />

abitanti del villaggio, visto che le anatre sono tran<strong>qui</strong>lle, escono <strong>di</strong> casa e arrivano in piazza.<br />

All'imbrunire a uno dei paesani viene in mente <strong>di</strong> portare un' anatra al conte Raggio <strong>di</strong> Sole. Sa<br />

che al conte piacciono i polli, ma quelle anatre sono più grosse dei polli e la loro carne è<br />

sicuramente migliore.<br />

Ne afferra una ma, vedendola così bella, non ha il coraggio <strong>di</strong> ucciderla, e la porta viva al<br />

conte Raggio <strong>di</strong> Sole. Questi accetta tutto contento il regalo e chiude la bestia nel suo pollaio,<br />

notando compiaciuto quanto grande e pesante essa sia. Però durante la notte anche molti altri<br />

abitanti del villaggio pensano che regalando una bella anatra al conte potrebbero entrare nelle<br />

sue grazie e così, al mattino dopo, tutte e quaranta le bestie si trovano nel pollaio del conte<br />

Raggio <strong>di</strong> Sole. Dopo una notte tanto agitata, il conte si sveglia a giorno fatto. Va al pollaio <strong>per</strong><br />

esaminare i regali che gli hanno portato e <strong>per</strong> decidere col capocuoco come fare <strong>per</strong> surgelare<br />

quaranta anatre tutte in una volta. Alla vista <strong>di</strong> quegli uccelli dal piumaggio multicolore e<br />

cangiante che girano in tondo con movimenti tanto aggraziati, il conte resta a bocca a<strong>per</strong>ta.<br />

Dice a una delle anatre: «Metterti in padella certo non posso, ma che altro mi resta da fare?».<br />

Ed ecco che gli viene in mente un'idea brillante. Giunta la notte, fa scendere le quaranta<br />

anatre al fiume, nel punto in cui le acque scorrono tra le rocce prima <strong>di</strong> <strong>di</strong>vidersi in due rami,<br />

proprio <strong>di</strong> fronte al luogo in cui sull' altra riva si erge il castello del conte Chiaro <strong>di</strong> Luna, e le<br />

spinge nell' acqua. Se oggi ti arrampichi con Cristoforo sull' albero del cioccolato, puoi vederle<br />

le quaranta anatre multicolori... o sono forse <strong>di</strong>ventate <strong>di</strong> più?<br />

Da quando hanno imparato ad attraversare il fiume e i suoi due rami, alcune <strong>di</strong> esse stanno<br />

tra il villaggio e il castello del conte Chiaro <strong>di</strong> Luna, altre tra il villaggio e il castello del conte<br />

Raggio <strong>di</strong> Sole, altre ancora tra i due castelli, e poi ci sono quelle che continuano a nuotare in<br />

circolo. I due conti hanno smesso da un pezzo <strong>di</strong> tirarsi cannonate: temono <strong>di</strong> colpire qualcuna<br />

<strong>di</strong> quelle bellissime anatre dai vivaci colori.<br />

P er i <strong>genitori</strong>: « Le quaranta anatre con la testa rossa» , ovvero la bellezza<br />

su<strong>per</strong>a i contrasti.<br />

Antefatto<br />

I <strong>genitori</strong> <strong>di</strong> Daniela, un'intelligente bambina <strong>di</strong> nove anni, si sono <strong>separati</strong> dopo violenti<br />

contrasti e da tre anni litigano ininterrottamente, facendo ricorso a istanze giu<strong>di</strong>ziarie. Gli atti<br />

giu<strong>di</strong>ziari registrano minuziosamente gli errori e le mancanze dell'uno e dell' altro genitore.<br />

Daniela, che vive con la madre e incontra regolarmente il padre, è al corrente delle accuse che<br />

i <strong>genitori</strong> si scambiano reciprocamente. Esse <strong>per</strong>ò non corrispondono <strong>per</strong> niente alle sue<br />

impressioni <strong>per</strong>sonali e ai suoi sentimenti. La bambina, che è in sovrappeso, non manifesta all'<br />

esterno le proprie tensioni.<br />

Obiettivo<br />

La soluzione che la fiaba offre a Daniela e ai suoi <strong>genitori</strong> consiste nel convincerli che <strong>per</strong> ogni<br />

<strong>per</strong>sona esistono cose che essa ritiene più importanti e più valide del conflitto. La storia <strong>di</strong>ce a<br />

Daniela che un giorno, inaspettatamente, la bellezza trionferà sulla cattiveria e la voglia <strong>di</strong><br />

vivere sul conflitto.

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