ilpodologo 156:ilpodologo 156 - AIP
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naletto che fotocopiavamo e distribuivano all’interno della<br />
scuola con il titolo “La sgorbia”, che goliardicamente (vignette,<br />
battute) ma anche seriosamente (articoli), si occupava<br />
di problemi didattici e podologici. Quando il primo numero<br />
arrivò nelle mani del presidente, si udì il frastuono di un<br />
pugno sul tavolo della scrivania della segreteria: ma fu un<br />
pugno di entusiasmo, in quanto l’iniziativa venne considerata<br />
come un segno di vitalità. L’anno seguente io e Nico fummo<br />
chiamati ad occuparci della rivista associativa “Il<br />
Podologo” che passò da quadrimestrale a bimestrale, assumendo<br />
una nuova veste grafica.<br />
La scuola doveva durare tre anni e sarei dovuto rientrare a<br />
Torino, rimasi invece a Roma per altri otto anni e sempre<br />
con Nico rimasi a lavorare presso l’Istituto Podologico<br />
Italiano. Furono anni molto importanti, formativi, ricchi di<br />
esperienze: insegnai presso la scuola che disponeva finalmente<br />
di una bella sede presso la nuova struttura in via dei<br />
Berio, rappresentai l’associazione alla FIP e presso altre<br />
Istituzioni locali e nazionali, tenni vari relazioni ai congressi<br />
dell’Aip e due relazioni ai congressi internazionali della<br />
FIP a Saragozza e Londra.<br />
Un ricordo molto lieto è legato agli incontri del giovedì sera<br />
presso la vecchia sede di via Tuscolana, dove si svolgeva<br />
la settimanale riunione associativa: tutti coloro ricoprivano<br />
un incarico o semplicemente chi voleva passare per<br />
avere notizie o informazioni erano certi che il giovedì, immancabilmente,<br />
si facevano le ore piccole. Era proprio in<br />
queste circostanze che ho potuto apprezzare la semplicità<br />
e l’umanità di Vittorio Berardi; egli, in modo particolare, si<br />
occupava dell’organizzazione del progetto dell’assistenza<br />
domiciliare che vedeva i podologi dell’Aip impegnati in una<br />
convenzione con il comune di Roma.<br />
Vittorio, che era stato mio insegnante e di cui mai potrò dimenticare<br />
la perizia podologica, era allora il vicepresidente<br />
dell’Aip. Fu con un certo imbarazzo che ne presi il testimone<br />
nel 1993, ma fu lui a dirmi che i tempi stavano<br />
cambiando e che l’associazione aveva bisogno di<br />
forze nuove. Anche per questo non potrò mai scordarlo.<br />
È stato docente in podologia. Cosa ci può raccontare<br />
di quell’esperienza?<br />
Come insegnate di podologia, la mia esperienza è<br />
soprattutto legata alla scuola regionale di Roma e<br />
in parte a quella di Napoli, poi miseramente naufragata<br />
(anche quella comunque fu un’esperienza eccezionale<br />
sul piano umano).<br />
La docenza del corso di laurea è stata più breve, anche<br />
perché risiedevo già a Torino ed accollarsi il<br />
viaggio a Roma diveniva oneroso. Io ho vissuto,<br />
quindi, la fase di transizione tra le due realtà formative<br />
e da questo punto di vista, proprio perché alle<br />
battute iniziali, le differenze non erano significative<br />
sul piano didattico, ma lo erano dal punto di vista<br />
ilPodologoinmedicina<br />
parlano i podologi<br />
simbolico, per ciò che rappresentava il riconoscimento formazione<br />
universitaria per tutto il movimento podologico italiano.<br />
Infatti il tirocinio pratico che si svolgeva nelle scuole regionali,<br />
ma soprattutto quella di Roma che gestiva direttamente<br />
la scuola, era ben organizzato e, a sentire le voci dei<br />
docenti di podologia degli attuali corsi di laurea, ancora oggi<br />
potrebbe essere un modello da seguire. È anche un problema<br />
di costi, certamente: un corso di podologia, proprio<br />
per la specificità della disciplina, richiede un investimento<br />
economico iniziale, ma fino a quando la politica sanitaria<br />
non si renderà conto dell’importanza e delle potenzialità<br />
della nostra professione, sarà difficile anche dare spessore<br />
ai corsi universitari.<br />
Quando ha aperto il suo studio e quali ostacoli ha incontrato?<br />
Credo di aver incontrato gli stessi problemi che hanno dovuto<br />
affrontare anche altri miei colleghi, soprattutto quelli<br />
che hanno intrapreso l’attività lontano dal Lazio. Infatti,<br />
mentre la legge regionale della Regione Lazio bene o male<br />
offriva qualche appiglio normativo, nelle altre regioni la situazione<br />
era veramente difficile: nel mio caso, e mi riferisco<br />
al 1994, si sapeva chi era il podologo, ma non si sapeva chi<br />
dovesse occuparsene dal punto di vista normativo, per cui i<br />
vari Enti Locali si passavano la patata bollente. Alla fine tuttavia,<br />
anche grazie all’esperienza accumulata presso l’Aip a<br />
Roma sono riuscito a superare gli ostacoli.<br />
Che tipo di struttura è il suo studio?<br />
Il mio studio lo definirei normale, non molto sofisticato, arioso<br />
e razionale: sala d’aspetto non piccola, segreteria perfino<br />
troppo grande, una sala visita ampia, una seconda sala<br />
visita meno grande e una sala ortesi sufficientemente funzionale.<br />
È collocato al primo piano di un caseggiato degli<br />
anni ’70, in una zona<br />
periferica di Torino,<br />
comunque ben servita<br />
dai mezzi pubblici<br />
e dotata di par-<br />
Nome: Antonio Aldo<br />
Cognome: D’Amico<br />
Data e luogo di nascita:<br />
9 agosto 1954 - Torino<br />
Sposato e/o figli: Sposato<br />
con due figlie<br />
Iscritto all’Aip dal: 1987<br />
Laurea I livello: 2002<br />
Studio: Corso Sebastopoli<br />
306/2 - Torino<br />
Hobby: filosofia, astronomia,<br />
cinema, sport<br />
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