ilpodologo 156:ilpodologo 156 - AIP
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ordinamenti professionali a livello europeo. Le lauree triennali<br />
delle professioni sanitarie devono realmente rappresentare<br />
una parte di un percorso formativo che, nella misura<br />
in cui viene completato, permetta l’attività medica. È<br />
impensabile che ad un podologo venga impedito, con altri<br />
due o tre anni di studi, di laurearsi in medicina ed esercitare<br />
la professione di medico.<br />
Per quale ragione ritiene ancora valido il sistema ordinistico?<br />
Ci sono esponenti importanti delle istituzioni,<br />
come il presidente dell’Autorità garante della concorrenza,<br />
Antonio Catricalà, che ritengono, invece, che<br />
“azzerare” gli Ordini professionali potrebbe dare dei<br />
benefici all’economia del Paese.<br />
Chi vuole cancellare gli Ordini in Italia basandosi sulle leggi<br />
europee dovrebbe studiarsi meglio la normativa: eviterebbe,<br />
così, di fare affermazioni meno improprie.<br />
La direttiva europea sulle liberalizzazioni n.123 del 2006,<br />
la “Bolkestein”, a cui fa riferimento spesso Catricalà, all’articolo<br />
3 prevede che le professioni regolamentate, individuate<br />
dalla direttiva 23/2005, non possono essere liberalizzate.<br />
Lo ripeto, a tutela dei cittadini, che si rivolgono ad<br />
un professionista sanitario, deve esserci un soggetto pubblico<br />
che abbia il compito di controllare e verificare che lo<br />
stesso professionista sia in possesso di una qualifica di<br />
partenza, abbia svolto un percorso formativo adeguato e<br />
che si aggiorni continuamente. E questo soggetto non può<br />
che essere lo Stato centrale. Possiamo decidere che questa<br />
verifica, poi, assuma la forma di un esame di Stato o di<br />
una prova diversa, così come lo strumento di controllo può<br />
essere un Ordine oppure un Collegio, ma l’importante è<br />
che lo Stato si assuma la responsabilità di controllare che<br />
una persona abbia tutti i requisiti previsti dalla legge per<br />
esercitare un’attività che è di grande impatto sulle vite dei<br />
cittadini.<br />
Lei, in passato, ha più volte richiamato l’attenzione delle<br />
professioni a creare una piattaforma comune per definire,<br />
a livello europeo, i profili delle varie professioni al<br />
fine di facilitare la circolazione dei lavoratori sul territorio<br />
continentale. Non le sembra che le professioni italiane<br />
su questo fronte siano poco sensibili?<br />
La direttiva 36/2005 è entrata in vigore in Italia nel 2007,<br />
e il Governo dell’epoca ha fatto di tutto per evitare di recepirla<br />
correttamente. Oggi il quadro è un po’ più chiaro. La<br />
direttiva prevede già al suo interno otto professioni delle<br />
quali sono chiare e definite le qualifiche, i percorsi formativi<br />
e le attività che devono svolgere (ndr avvocati, ingegneri,<br />
ecc.). Le piattaforme comuni servono per armonizzare le<br />
altre professioni regolamentate che, con il tempo, saranno<br />
in grado di organizzarsi. Certo il percorso non è facile.<br />
Occorre studiarsi la legislazione vigente che regola quella<br />
specifica professione nei ventisette paesi membri<br />
dell’Unione; metterne insieme diciotto che presentano pro-<br />
ilPodologoinmedicina<br />
i personaggi<br />
fili già armonizzati, tra loro coerenti, e con elevati standard<br />
qualitativi; proporre ipotesi di vario tipo. Però la sfida è importante<br />
è bisogna accettarla fino in fondo per ottenere dei<br />
risultati importanti per tutti i vari professionisti sanitari.<br />
Onorevole, ora una domanda un po’ provocatoria: è<br />
più facile fare riforme in Europa o in Italia?<br />
Sicuramente in Europa. È più facile lavorare al futuro di un<br />
soggetto istituzionale e politico che ha solo cinquant’anni<br />
di storia, che cercare di cambiare dall’interno delle singole<br />
comunità nazionali, certamente più piccole, ma portatrici<br />
di esperienze e retaggi vecchi di oltre duemila anni e,<br />
dunque, più difficili da superare. ■<br />
Celebrata a Parigi la giornata<br />
europea della Podoiatria<br />
L o<br />
scorso 27 marzo si è svolta a Parigi, organizzata dalla Fip,<br />
la Federazione internazionale di podologia, la Giornata europea<br />
della Podoiatria. Nell’occasione, a rappresentare la podologia<br />
italiana è stato delegato il vicepresidente dell’Aip, Arcangelo<br />
Marseglia.<br />
L’incontro aveva lo scopo di fare il punto della situazione della podologia<br />
a livello dei paesi aderenti all’Unione europea. È stato così<br />
delineato un quadro che vede i paesi mediterranei all’avanguardia<br />
per ciò che riguarda la preparazione universitaria necessaria<br />
all’accesso alla professione.<br />
Infatti, sia il Portogallo, dove da anni l’università prevede il rilascio<br />
di una laurea in podologia, che la Spagna, dove tra un anno inizieranno<br />
i nuovi corsi di laurea quadriennali, che sostituiranno i<br />
vecchi diplomi triennali, possono vantare un sistema formativo<br />
che consente ai professionisti di svolgere un’ampia gamma di attività<br />
di cura, comprese l’anestesia e gli interventi chirurgici relativi<br />
a determinate patologie podaliche.<br />
In Spagna, inoltre, la laurea quadriennale permetterà ai podologi<br />
di proseguire gli studi e di accedere ai master e ai dottorati e,<br />
dunque di sviluppare interessanti filoni di ricerca scientifica sulle<br />
patologie del piede e sui trattamenti.<br />
Una disamina che ha collocato l’Italia in una posizione “medio-alta”,<br />
considerando che in Lussemburgo, ad esempio, la figura del<br />
podologo è vista ancora come quella del chiropodista, così come<br />
in Romania e Norvegia. Se l’obiettivo, però, è di migliorare, la strada<br />
che la professione nel nostro paese deve intraprendere è quella<br />
della nascita di cliniche universitarie di podologia, veri centri di<br />
eccellenza della cura del piede, dove far crescere la cultura della<br />
scienza e della ricerca.<br />
L’esempio della Spagna, dove recentemente un Decreto ha reso<br />
obbligatoria la figura del podologo nei centri di diabetologia, è<br />
chiaro: dimostrare di ottenere risultati nelle cure e nei trattamenti,<br />
attraverso la ricerca e la divulgazione scientifica, per ottenere<br />
un riconoscimento da parte della comunità medica e delle istituzioni<br />
sanitarie. ■<br />
<strong>156</strong>marapr09<br />
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