L'ombra perduta delle paure [pdf - 1,26 MB] - Friuli Occidentale
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L’ombra <strong>perduta</strong><br />
<strong>delle</strong> <strong>paure</strong>.<br />
“la sessualità infantile e l’arte della fiaba”<br />
a cura di<br />
Lorena Fornasir
Consultorio Familiare Distretto Sud A.S.S.n.6 “<strong>Friuli</strong> <strong>Occidentale</strong>”<br />
Provveditorato agli Studi di Pordenone<br />
Comitato Tecnico Provinciale per l’Educazione alla Salute<br />
L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong>.<br />
“la sessualità infantile e l’arte della fiaba”<br />
a cura di<br />
Lorena Fornasir
ISBN 88 900235 5 4<br />
Proprietà letteraria e artistica riservata.<br />
Riproduzione e traduzione anche parziali VIETATE.<br />
si ringrazia per aver reso possibile questa pubblicazione:<br />
TEND Marketing e Comunicazione<br />
Graphic Group - Feltre<br />
ed inoltre:<br />
Comitato Tecnico per l’Educazione alla Salute Provveditorato di Pordenone<br />
Banca FRIUL ADRIA di Pordenone<br />
VI<br />
VII<br />
IX<br />
XXV<br />
XXXVII<br />
5<br />
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30<br />
31<br />
indice<br />
a<br />
b<br />
A<br />
B<br />
C<br />
D<br />
E<br />
F<br />
PRESENTAZIONE<br />
Anna Furlan<br />
PRESENTAZIONE<br />
Antonella Venerus<br />
PREFAZIONE<br />
“PSICHE ED EROS”<br />
Renzo Mulato<br />
INTRODUZIONE A UN QUESTIONARIO DIFFICILE PERCHÉ<br />
RIGUARDANTE LUOGHI POCO INDAGATI NON CONTAMINATI<br />
DAL LOGOS<br />
Luigina Perosa<br />
PREMESSA AL QUESTIONARIO: INTIMITÀ COME EVENTO,<br />
SETTE PERCORSI DELL’ANIMA AL FEMMINILE<br />
commentati da Lorena Fornasir<br />
QUESTIONARIO E RISPOSTE ELABORATE DALLE INSEGNANTI<br />
Luigina Perosa<br />
IL PERCORSO FORMATIVO: L’IMMAGINAZIONE PENSANTE<br />
Lorena Fornasir<br />
PARTE PRIMA<br />
“L’O<strong>MB</strong>RA PERDUTA DELLE PAURE” – INTRODUZIONE<br />
Lorena Fornasir<br />
L’O<strong>MB</strong>RA E L’INCONSCIO<br />
LA CHIAVE DEL PENSIERO<br />
LE CRIPTE DELL’IDENTITÀ<br />
I FANTASMI DELL’ORALITÀ<br />
• la casa di marzapane e il corpo materno<br />
il lupo mannaro<br />
•<br />
LE BOCCHE DELL’ORALITÀ<br />
• “bouquet”<br />
• discarica<br />
• foresta<br />
• sandwich<br />
LE TRAPPOLE DELL’ORALITÀ<br />
• le stanze del claustrum<br />
Pelle d’Asino<br />
•
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g<br />
h<br />
i<br />
l<br />
m<br />
TEORIE SESSUALI INFANTILI<br />
• essere il proprio padre con la propria madre<br />
• la pulsione epistemofilica<br />
• fecondazione orale<br />
• la bocca dello stomaco<br />
• “si nasce mangiando certe cose”<br />
• la nascita dall’ombelico<br />
• teoria della cloaca<br />
• confusione zonale<br />
ESITI DELL’EDIPO INFANTILE IN PUBERTÀ<br />
• la sessualità e il triangolo edipico: nascita con rastrello<br />
• sessualità e genitalità: nascita nel bidone <strong>delle</strong> immondizie<br />
SENTIERI DELLE TEORIE SESSUALI INFANTILI E LORO DESTINI<br />
• l’aspetto di pensiero della teoria della cloaca<br />
• la cloaca e l’uso del “contenitore”<br />
• l’evacuazione del pensiero e la teoria della cloaca<br />
• le armi letali e le teorie sessuali infantili in un pensiero sull’oralità<br />
EDIPO ALL’INCROCIO TRA SESSUALITÀ E IDENTITÀ<br />
i volti dell’identità sessuata<br />
GLI ENIGMI DELLA SFINGE<br />
LE TRE FASI DELLA SESSUALITÀ INFANTILE<br />
• La conoscenza tra fantasia e realtà ovvero la fase orale<br />
• L’origine erotica della creatività ovvero la fase anale<br />
• Il piccolo Hans ovvero la fase edipica in una rilettura del saggio di Freud<br />
STRUMENTI E METODI<br />
Undici tavole di lavoro<br />
PARTE SECONDA<br />
INTRODUZIONE AL LAVORO DIDATTICO<br />
Gianna Stellino<br />
L’INCONSCIO, IL BOSCO IL MISTERO<br />
Laura Altan, Flavia Bidoia, Ornella Galluzzo<br />
IL MISTERO<br />
Maria Elena Della Pietra<br />
LA FIABA DI HANSEL E GRETEL.<br />
FINALI DI TIPO DIVERSO<br />
Laura Altan, Flavia Bidoia, Ornella Galluzzo<br />
131<br />
143<br />
155<br />
165<br />
173<br />
185<br />
193<br />
197<br />
INCONTRI CON L’O<strong>MB</strong>RA<br />
Chiara Del Fabbro, Paola Fontana, Sonia Benvenuto<br />
SENTIERI DI O<strong>MB</strong>RE E DI LUCE<br />
Teresa Tassan Viol<br />
LE BOCCHE CHE MANGIANO<br />
Mirella Trevisiol, Marilena Quaia<br />
L’ESPLORAZIONE DEL CORPO<br />
Tiziana De Bortoli<br />
IL VIAGGIO DEL PENSIERO<br />
Gianna Stellino<br />
LA MATERIA DELL’ORIGINE<br />
Adriana Ronchi<br />
LE FANTASIE SULLA NASCITA<br />
Laura Altan, Ornella Galluzzo<br />
LA STORIA IMPOSSIBILE<br />
Maria Grazia Russo, Marina Zanzot
Presentazione Presentazione<br />
La stampa di questo libro rappresenta l’esito<br />
finale di un intenso ed impegnativo lavoro che ha<br />
trovato modo di concretizzarsi grazie ad una convinta<br />
e partecipata collaborazione tra il mondo<br />
della Sanità e quello della Scuola.<br />
Collaborazione convinta e partecipata al punto da<br />
riuscire a superare divergenze, resistenze e difficoltà<br />
che inevitabilmente sono emerse nel<br />
momento in cui ci si è avviati nella progettazione<br />
e nella realizzazione di un percorso formativo<br />
inteso a modificare in maniera radicale la situazione<br />
esistente, senz’altro più agevole sia per gli<br />
insegnanti sia per gli operatori sanitari.<br />
L’impegno comune ha dunque consentito di passare<br />
da un contesto caratterizzato da interventi di<br />
”Educazione Sessuale”, validi, ma non strutturati<br />
e comunque condotti nelle classi da operatori<br />
esterni, alla attuazione di un “Corso per<br />
Insegnanti <strong>delle</strong> Scuole Elementari sulla tematica<br />
della Sessualità Infantile” in grado di fornire ai<br />
docenti stessi gli strumenti di conoscenza teorici<br />
sulle principali caratteristiche psico - evolutive<br />
della prima e della seconda infanzia, unitamente<br />
alla acquisizione di una didattica sperimentale<br />
finalizzata a favorire una crescita relazionale -<br />
affettiva del bambino.<br />
Alla base di questa “rivoluzione” vi è il profondo<br />
convincimento che la sessualità non può essere<br />
trattata solo come un dato biologico, ma come ele-<br />
mento integrante dello sviluppo dell’intera personalità<br />
di un bambino.<br />
Per raggiungere questo ambizioso obiettivo formativo<br />
agli operatori della Scuola e della Sanità non basta<br />
certo essere solo bene preparati sotto il profilo<br />
tecnico - specialistico, ma diventa necessario anche<br />
essere adeguati, vale a dire saper coniugare assieme<br />
al sapere anche una profonda motivazione.<br />
Ritengo che questo “Lavoro”, frutto di tanto<br />
impegno e partecipazione, sia un’esemplare dimostrazione<br />
di “adeguatezza”, che può servire da<br />
stimolo, da spunto e da guida per tutti gli insegnanti<br />
che sentiranno di doversi impegnare in<br />
prima persona per affrontare un argomento tanto<br />
delicato, quanto cruciale, nello sviluppo della<br />
personalità del bambino.<br />
L’opportunità di questa presentazione, infine, mi<br />
consente di poter rivolgere un sentito complimento<br />
agli insegnanti che in questa “Fatica” hanno<br />
saputo dimostrare tutta la loro adeguatezza, oltre<br />
a fornirmi la possibilità di esprimere in maniera<br />
esplicita tutta la mia stima ed il mio personale<br />
ringraziamento alla dott.ssa Lorena Fornasir, che<br />
oltre al suo notevole impegno come psicologa<br />
e responsabile del Consultorio Familiare del<br />
Distretto Sud, è riuscita a dedicare tanto impegno<br />
e tenacia, prima nella conduzione del corso e poi<br />
nella realizzazione di questa valida pubblicazione.<br />
Dott.ssa Anna Furlan<br />
Direttore del Distretto Sud<br />
Azienda per i Servizi Sanitari<br />
n.6 “<strong>Friuli</strong> <strong>Occidentale</strong>”<br />
La quotidianità di chi vive oggi in grandi istituzioni<br />
in cambiamento si concretizza in un continuo<br />
confronto con la complessità.<br />
Rendere comunicabile un’esperienza presuppone<br />
un percorso invisibile ma articolato di azioni, approfondimenti<br />
ed elaborazioni successive.<br />
Con queste poche righe desidero esprimere, a<br />
nome dell’Ufficio Studi del Provveditorato e del<br />
Comitato Tecnico per l’Educazione alla Salute,<br />
un sentito apprezzamento a quanti hanno reso<br />
possibile l’esperienza del corso di formazione<br />
“La sessualità infantile e l’arte della fiaba” e<br />
questa pubblicazione.<br />
Riconoscere al bambino il diritto ad un benessere<br />
che si esprime a partire dallo sviluppo armonico<br />
della sua personalità, significa attribuire alla<br />
sessualità un ruolo essenziale.<br />
Approfondire la preparazione specifica dell’insegnante<br />
su un tema di così grande delicatezza è il<br />
motivo all’origine del percorso.<br />
Le insegnanti coinvolte hanno espresso una notevole<br />
sensibilità educativa che accompagnata<br />
dalla profonda professionalità della dott.ssa<br />
Lorena Fornasir ha reso possibile intessere un<br />
dialogo complesso e reciproco tra due culture, due<br />
competenze che utilizzano linguaggi e metodi non<br />
sempre reciprocamente comprensibili.<br />
La sapiente scelta di utilizzare la fiaba, codice che<br />
affonda sul mito e tocca in profondità l’essere, ha<br />
contribuito ad arricchire e facilitare il confronto.<br />
Nel farmi partecipe di tutti coloro che hanno<br />
contribuito a questo lavoro, auguro che sia un<br />
utile strumento di attività e di stimolo per ulteriori<br />
espressioni sul tema.<br />
Dott.ssa Antonella Venerus<br />
Referente per l’Ufficio Studi<br />
del Provveditorato<br />
Comitato Tecnico per l’Educazione<br />
alla Salute
Prefazione<br />
a cura di<br />
Renzo Mulato<br />
“Psiche ed Eros”<br />
La scuola come dimora problematica.<br />
1. Prologo.<br />
*Sulla differenza tra spiegare e comprendere.<br />
Va detto, in via preliminare, che il lavoro compiuto nel Corso di formazione è ammirevole<br />
per una sua peculiare dimensione etica e deontologica. Chi ha avuto la possibilità di<br />
osservare da vicino il dipanarsi della ricerca ha avvertito nei docenti la presenza costante del<br />
senso del limite e del rispetto per la presenza dell’ignoto. Hanno lavorato con allieve ed<br />
allievi su un tema complesso, fascinoso, delicato, senza compiere intrusioni e senza soggiacere<br />
a quella malattia pedagogica che possiamo denominare ‘epistemofilia’.<br />
Questo è già un evento, e di notevole rilievo, se si considera che è stato accompagnato dalla<br />
parsimonia con cui si sono usate le categorie dedotte dalla psicoanalisi di modello freudiano<br />
e dalla psicologia analitica di derivazione junghiana.<br />
L’ansia della spiegazione è stata rovesciata e si è trasformata in metodo di ricerca.<br />
Dobbiamo a Karl Jaspers, nella Psicopatologia generale (1913), una distinzione netta tra due<br />
percorsi: lo spiegare ed il comprendere. Con il primo si tende a trovare e trasmettere <strong>delle</strong><br />
relazioni causali, <strong>delle</strong> equazioni il cui nesso ci riveli le regole e le leggi del campo di<br />
indagine. Le scienze naturali sono all’origine di questa tendenza, che si è poi rovesciata sulla<br />
società intera: tutto deve essere catalogato, misurato, spiegato e quindi reso pronto all’uso,<br />
al consumo. Le società odierne sembrano essere dominate da una bronzea legge dell’accumulo<br />
<strong>delle</strong> nozioni, oltre che dei mezzi, e la scuola non poteva sfuggire a questo influsso.<br />
Avere resistito alla tentazione è un merito e aver scelto la via della comprensione equivale a<br />
percorrere una via più tortuosa, dove domina l’analogia più che la univocità, ma più<br />
adeguata ad avvicinarsi con circospezione al nocciolo oscuro della vita psichica di coloro che<br />
ci sono stati affidati. Diciamo avvicinarsi per escludere subito ogni presunzione di poter<br />
svelare l’ignoto che abita la sfera della sessualità e che va trattato come la dimensione del<br />
sacro per un credente. Comprendere, per Karl Jaspers, implica riconoscere che la oggettività<br />
dei processi che indaghiamo in questo campo resta sempre incompleta. Comprendere la<br />
realtà di un singolo processo equivale sempre ad interpretarlo, quindi ad agire intellettualmente<br />
in uno stato di perenne mescolanza tra l’indagante e l’indagato.<br />
* Renzo Mulato – Filosofo - Docente di discipline filosofiche presso il C.I.S.P.P. di Venezia, diretto da S. Resnik - Presidente della<br />
Associazione Culturale Metamorphosis.<br />
IX
Psiche ed Eros Renzo Mulato Psiche ed Eros Renzo Mulato<br />
Da qui la necessità di possedere uno spiccato senso del limite, che introduce nella ricerca<br />
una ineliminabile dimensione etica, capace di contenere la pulsione ad andare oltre l’orizzonte<br />
intravisto, che inevitabilmente si scatena ogniqualvolta un limite si interponga tra il<br />
singolo, o il gruppo, e l’orizzonte desiderato.<br />
*Ignoto, invisibile, indicibile.<br />
Il filo conduttore della ricerca non poteva essere più complesso: conduce direttamente nella<br />
sfera dell’ignoto, in quell’area della nostra esistenza, che si ostina a sfuggire alle reti tese<br />
dalla razionalità. Ad ogni strato che la ragione illumina, ne corrispondono altri che rendono<br />
più profondo l’abisso: l’atto di sporgersi dentro dà le vertigini.<br />
A volte pare di essere nella condizione di quell’antico cacciatore che trova tracce numerose<br />
di una misteriosa selvaggina. La sente, la intravede, addirittura la vede muoversi, vicino,<br />
molto vicino, anche troppo, si direbbe. Ma quando crede di averla afferrata ecco che deve<br />
constatare il suo ennesimo scacco. Trascorre tutta la vita in una caccia ostinata e alla fine<br />
della esistenza non sa se sia realmente esistita fuori di lui, o se, piuttosto, non sia stato niente<br />
altro che una sua eco interiore che si proiettava fuori, nel mondo.<br />
Si racconta, a proposito, che i grandi cacciatori si guardino poco allo specchio, mai prima<br />
di una battuta, nel timore di intravedere dentro i propri lineamenti una testa di cervo, o<br />
lepre, o falco. In questo caso perderebbero ogni capacità di cacciare.<br />
Accade poi che l’ignoto emerga all’improvviso e si sveli come l’essenza di una verità che era<br />
stata occultata da noi stessi: vicina, ma paradossalmente lontana. È il risultato di una tipo di<br />
indagine troncata, mancata, che consegue alla azione dello sguardo abrasivo. Non tutti gli<br />
sguardi permettono all’occhio di percepire l’oggetto che è di fronte. Ve ne sono alcuni che<br />
cancellano, piuttosto che svelare l’essenza che la ragione insegue con tenacia. Quando si<br />
scopre l’ignoto che stava accanto a noi ci domandiamo: come mai non ho visto quello che<br />
era da sempre davanti ai miei occhi? Dipende dalla intenzione riposta, segreta ed indicibile,<br />
di un Io che non vuole o non può ammettere l’esistenza di un perturbante che lo assilla, lo<br />
tormenta dal di dentro, e che dunque deve essere celato. Troppo grande sarebbe il dolore<br />
conseguente al riconoscimento o troppo gravosa la assunzione di responsabilità. Se emerge<br />
alla luce del sole, non si può più fingere di ignorarlo. Sigmund Freud gli ha dato il nome<br />
di ciò che è familiare, ma non può essere svelato nella immediatezza della esperienza.<br />
*Exempla.<br />
Attingendo alla esperienza sul campo, in qualità di educatore e formatore, mi sovvengono<br />
numerosi ricordi di cecità individuale e collettiva.<br />
Immaginate un folto gruppo di studenti, adolescenti di un Liceo Scientifico, accompagnati<br />
dai propri docenti, in visita alla città di Vienna. Dopo varie peripezie il gruppo sta davanti<br />
alla cattedrale di Santo Stefano, intento a decifrare i vari elementi che compongono la<br />
facciata dell’edificio. Si accende una discussione sull’anno di fondazione della cattedrale,<br />
poiché le guide canoniche non paiono concordare sul momento esatto in cui la costruzione<br />
avrebbe avuto inizio. Un docente tenta di introdurre un ulteriore dubbio, forse nella<br />
speranza di indicare un metodo: tutti possono osservare che il portale è di stile romanico,<br />
il resto della facciata è di stile gotico. Fanno eccezione due orologi che testimoniano<br />
interventi più recenti. Come si fa a stabilirne l’origine con assoluta precisione? Forse è il<br />
momento di cambiare radicalmente l’ordine ed il senso della ‘quaestio disputata’.<br />
Momento di sconcerto.<br />
Silenzio.<br />
Nell’interstizio si introduce una terza persona, che si definisce incuriosita dal metodo<br />
X<br />
d’indagine e che risulterà essere una guida viennese: conosce quasi tutto della città di<br />
Vienna ed è in grado di parlare numerose lingue, ivi compresa quella friulana. Di cui dà<br />
prova immediata.<br />
Gli studenti vengono invitati ad utilizzare questa opportunità, dovuta ad un incontro<br />
fortuito: la guida appare un profondo conoscitore della città, le sue conoscenze vengono da<br />
dentro ed è abituato ad incontrare stranieri, a dialogare con chi proviene da altri mondi.<br />
L’invito è accolto e, dopo che il gioco domanda-risposta si è prolungato, finalmente una<br />
allieva chiede: “Perché quelle due modanature che salgono su per la facciata non sono sullo<br />
stesso asse dei due orologi che le sovrastano?”. Tutti aguzzano lo sguardo e riconoscono<br />
che i due orologi, collocati in alto sulla facciata, non coincidono con la sommità <strong>delle</strong> due<br />
semicolonne, che a prima vista sembravano far loro da piedistallo: come due lunghi steli che<br />
reggano due fiori.<br />
La guida viennese sorprende tutti, affermando perentoriamente che i due orologi non<br />
hanno nulla a che fare con le modanature: sono stati immessi in epoca successiva.<br />
Invita tutti a guardare meglio la sommità <strong>delle</strong> due nervature: qualcosa c’è e potrebbe<br />
illuminare circa la antica funzione di ciascuna.<br />
Tutti guardano. Scrutano. Intensificano ancora lo sguardo: nulla!<br />
Inizia a serpeggiare un certo smarrimento. Non è agevole prender atto della propria<br />
incapacità di vedere. Assume le vesti di una menomazione permanente.<br />
Infine, mossa da una sorta di compassione, la guida svela l’arcano: in cima alle due<br />
semicolonne stanno gli organi genitali maschile e femminile. Per indicare, rispettivamente,<br />
da quale ingresso gli uomini e le donne dovessero entrare, separatamente, nel duomo.<br />
La differenza più evidente tra i sessi, posta in bella evidenza, a significare la separatezza tra<br />
gli uomini e le donne nell’area del sacro! Una differenza appartenente alla sfera ontica,<br />
scelta per significarne altre: sociale, ontologica, teologica.<br />
Sublime potere della metonimia!<br />
Finalmente tutti ‘vedono’: gli occhi di ciascuno si aprono su una realtà antica, che si<br />
manifesta nuovamente quando cade il velo molto spesso che la copriva. È un velo che non<br />
è posato sugli oggetti, ma radicato nell’occhio del vedente: un tenace sipario interiore che<br />
si apre a fatica e solo se una guida esterna ne mette in moto i meccanismi.<br />
Quello che non doveva esserci, era là.<br />
Evidente.<br />
Solare.<br />
Visibile agli occhi degli uomini e <strong>delle</strong> donne medioevali, che appaiono del tutto innocenti<br />
a paragone dei nostri. Eppure invisibile ai nostri occhi di Europei moderni ed acculturati,<br />
forse velati da una sedimentazione lunga secoli e presumibilmente deformati da molte false<br />
liberazioni e da un voyeurismo pervasivo. In un lampo ho immaginato che anche Sigmund<br />
Freud sia spesso passato di là e si sia allontanato senza vedere alcunché, ma non ne sarei così<br />
sicuro.<br />
Si può dire, comunque, che quel che risulta essere posto in superficie non è altro che il fondo<br />
di un abisso rovesciato. Difficilissimo da essere decifrato, od anche semplicemente intravisto.<br />
Altre esperienze si sono ripetute in Italia ed in Spagna, ad esempio con la rana che è<br />
collocata in un atrio del Barrìo gotico di Barcellona. Mostro anfibio, la cui duplice funzione<br />
rimane invisibile ad un occhio velato dalla routine. Visibile ad un occhio esercitato a seguire<br />
tracce nella foresta della esistenza, anche le più lievi.<br />
* Esperienze sul campo.<br />
Affinché riemergano spezzoni di esistenza celati negli abissi interiori è necessario un lungo<br />
XI
Psiche ed Eros Renzo Mulato Psiche ed Eros Renzo Mulato<br />
lavoro. All’origine vi è un processo di rimozione <strong>delle</strong> contraddizioni, che è di natura<br />
ambivalente: assume il significato negativo, quando si tende a respingere lontano proprio<br />
ciò di cui si è responsabili; ha anche un significato positivo, quando preserva le esperienze<br />
più intime e profonde dalla profanazione e dalla dissacrazione di chi vuol sapere tutto.<br />
Vi sono <strong>delle</strong> sfere della esistenza, come quello della sessualità e della sensualità, che<br />
appartengono all’indicibile. Proprio mentre vengono indagate vanno difese dagli sguardi<br />
intrusivi, nostri ed altrui, tipici dello scientismo contemporaneo e del tentativo di ridurre<br />
ogni espressione umana ad elemento di spettacolo.<br />
La esperienza vissuta in questo Corso di formazione ha mostrato che è possibile condurre<br />
l’indagine con un metodo specifico; può anche avvenire una cauta contaminazione tra<br />
discipline diverse, l’azione didattica, la riflessione.<br />
Il gruppo ha attuato un confronto di tipo orizzontale: interno, tra i docenti <strong>delle</strong> diverse<br />
Scuole Elementari, ed esterno, con la presenza di persone non appartenenti al gruppo<br />
stesso. A questo si è affiancato un confronto di tipo verticale: ‘in giù’ con gli allievi ed ‘in<br />
su’ con l’acquisizione di elementi teorici mutuati da diverse discipline, la psicoanalisi fra<br />
queste, e dal mondo della fiaba che ricollega adulti e bambini alle dimensioni arcaiche della<br />
esistenza.<br />
Si segnala qui, da un punto di vista metodologico, la importanza di una riflessione che parta<br />
dalla lettura semiologica del testo: sia esso costituito dai disegni, dai testi <strong>delle</strong> favole, dai<br />
dialoghi, dalla narrazione di una esperienza particolare. Innanzitutto perché il testo, in<br />
quanto tessitura che rappresenta dal vivo il lavoro compiuto, àncora la riflessione alle<br />
esperienze sul campo e dunque consente di sfuggire alla trappola dell’eccesso di astrazione.<br />
In secondo luogo perché consente agli attori di traguardare il proprio lavoro da un altro<br />
punto di vista. Senza un punto di vista dialettico si finisce per assomigliare a Polifemo, colui<br />
che parla troppo – come dice il suo nome- perché possiede una vista monoculare. Ogni<br />
riflessione ulteriore non può che confermare la intenzione originaria e nulla può impedire<br />
che si precipiti negli automatismi della routine, anche se interrotta qua e là da qualche<br />
empito creativo. È là che lo sguardo abrasivo produce lentamente forme pervicaci di cecità.<br />
*Se il filosofare abbia un senso.<br />
Non solo nella vostra esperienza l’importanza di un terzo punto di vista è emersa con forza.<br />
Ogni struttura dialogica della ricerca lo esige. Lo mostra la stessa storia del pensiero<br />
occidentale. Nella agorà greca, nella sinagoga ebraica, sono lo studio e la discussione collettiva<br />
il centro della vita intellettuale, ma anche politica, giuridica e religiosa della città o di un<br />
popolo. Nella fase più creativa della cultura medioevale, origine del pensiero europeo<br />
moderno, domina la quaestio disputata: autentica sintesi dialogica di teoria e prassi. Il magister<br />
regens <strong>delle</strong> Università, degli Studi e <strong>delle</strong> infinite Scuole medievali che sorgono ovunque, è<br />
obbligato ad affiancare alla lectio vera e propria <strong>delle</strong> pubbliche discussioni tematiche ed anche<br />
<strong>delle</strong> discussioni in cui è il pubblico a decretare l’ordine e la natura <strong>delle</strong> questioni da discutere:<br />
rispettivamente denominate quaestiones disputatae, quaestiones quodlibetales.<br />
Tra docente e discente si distende una relazione in cui l’orizzonte della discussione,<br />
pubblica e non prefissata, instaura un terzo punto di vista che conferisce alla intera indagine<br />
la impronta della dialetticità.<br />
Che cosa è mai il filosofare se non la introduzione di un terzo punto di vista in una relazione<br />
che si vuole per lo più duale? Tra maestro ed allievo, tra docenti, nella interiorità<br />
interrogante-si del singolo. A patto che la riflessione e la meditazione introdotte dalla<br />
filosofia nascano dal campo della esperienza e non costituiscano un sapere separato, difeso<br />
dalle barriere dei linguaggi specialistici e dunque incomunicabile ed infecondo.<br />
XII<br />
Nella mia personale elaborazione la riflessione filosofica non produce un sapere in possesso<br />
di un piccolo numero di iniziati, cui attingere dopo lunghe e umilianti anticamere e<br />
nemmeno l’oggetto di una professione specifica. Esiste anche questa forma neosofistica di<br />
filosofare, ma è propria <strong>delle</strong> accademie ed è immediatamente riconoscibile. Osservatene il<br />
linguaggio: è oscuro, criptico, dunque escludente e presuntuoso. Se non temessi malintesi<br />
la definirei quasi una vocazione. Essa nasce piuttosto da un bisogno del tutto particolare e<br />
si manifesta come esigenza esistenziale ed ontologica, che non si dà nella norma: insorge,<br />
letteralmente, quando nel corso della vita accade qualcosa che eccede i mezzi di<br />
comprensione della realtà che ciascuno di noi possiede. Quando nella nostra professione o<br />
nella vita familiare accade qualcosa che implica il significato intero della esistenza, di<br />
ciascuno di noi o di chi ci è affidato, allora è necessario rispondere ad una domanda radicale,<br />
che ha bisogno di strumenti più solidi e raffinati di quelli di cui si dispone nella norma.<br />
Bisogna nominare l’indicibile.<br />
Urge il reperimento di strumenti e forze che non sono alla mano.<br />
È necessario usare un metodo particolarmente rigoroso per affrontare una questione che si<br />
presenta come vitale.<br />
Si impone una scelta drammatica, i cui effetti superano ogni soglia: quella della norma<br />
giuridica, quella <strong>delle</strong> convenzioni sociali; persino il grado di tollerabilità che usualmente<br />
possiamo mettere in campo per affrontare i quotidiani quesiti della vita.<br />
Quando ne va dell’intero: da qui insorge il bisogno di filosofare, ovvero la necessità di<br />
andare alla radice <strong>delle</strong> aporie che ci hanno investito. Il filosofare si rende necessario ex<br />
contingentia et indigentia mundi. Se infine avremo raggiunta una qualche vetta, o modesto<br />
colle, da cui traguardare in modo più felice la aporia incontrata, dobbiamo però sapere che<br />
il cammino è arduo, problematico, irto di impedimenti.<br />
2. Psiche ed Eros.<br />
* Le metamorfosi dello spirito e del corpo.<br />
Nella storia della cultura occidentale ed europea, un ostacolo è frapposto da quelle categorie<br />
analitiche che in origine erano state costruite quali strumenti adeguati a raccogliere<br />
brandelli sparsi di esperienza, utili ad accostare i livelli di realtà in modo sensato. Di seguito,<br />
invece di risultare categorie della esistenza, sono divenute strumenti rigidi diretti al dominio<br />
sugli aspetti problematici della realtà, pregiudizi, stereotipi.<br />
Uno di essi è senz’altro il dualismo anima/corpo. In principio polarità dialettica che<br />
interpreta le oscillazioni e le diverse funzioni nella vita del singolo, diventa poi polarità<br />
antidialettica che conduce al negazionismo, vuoi di una parte, vuoi dell’altra.<br />
Primato dello spirito sulla materia, dell’anima sul corpo, o viceversa?<br />
Invece di indulgere ad una sua ricostruzione storica, vi propongo come indicazione metodologica<br />
l’esercizio continuo del dubbio, poiché i pregiudizi vengono introiettati per tempo ed<br />
agiscono più tardi come modelli strutturanti di cui non si è esattamente consapevoli, rafforzati<br />
nella loro azione quando forze esterne stimolino una reazione e dagli abissi interiori risuonino<br />
corde perturbanti. C’è bisogno della loro capacità sedativa? Eccole pronte a deviare, sopire,<br />
rimuovere, ingabbiare: insomma ad esorcizzare il pericolo che viene da dentro.<br />
Se vi è un insieme che scatena reazioni molteplici questa è la sessualità e la sua compagna<br />
più intrigante: la sensualità.<br />
XIII
Psiche ed Eros Renzo Mulato Psiche ed Eros Renzo Mulato<br />
Superare l’ideologia dualistica nella ricerca appare necessario ed in via preliminare va sgombrato<br />
il campo da ogni concettualizzazione rigida: ciò che appare sotto forma di impasto<br />
pulsionale va mantenuto nella sfera dell’enigma, dove il non detto e l’indicibile hanno una<br />
parte preponderante. E debbono conservala in modo permanente, contro ogni profanazione.<br />
Se invece si attuasse la pretesa di definire ogni lato della esistenza, il pensiero si<br />
smarrirebbe a causa della eccessiva distanza tra i concetti stessi e poi tra di essi e la realtà<br />
magmatica che dovrebbero esprimere. Ce lo ricorda Haegel, nella Introduzione della<br />
Enciclopedia <strong>delle</strong> Scienze Filosofiche in compendio, con fulminea precisione: l’intelletto<br />
(Verstand) si smarrisce tra la rigida separatezza dei pensieri e precipita nella disperazione di<br />
trovare una qualche connessione tra ciò che egli stesso ha prodotto.<br />
La prova della impotenza ad esprimere ciò che è latente viene dal paradossale rapporto tra<br />
sessualità e comunicazione nell’epoca attuale. Ad una manipolazione impietosa dei mezzi<br />
di comunicazione, che fruga in tutte le pieghe della vita intima <strong>delle</strong> persone, squadernandone<br />
pretesi segreti e ammiccando con mirabolanti provocazioni, consegue una caduta<br />
della forza dell’éros e la sua deviazione verso forme varie di perversione. Le forme di<br />
violenza sui bambini si moltiplicano, ad esempio, ma hanno padri noti, molto noti.<br />
Incredibile destino di una presunta libertà, divenuta licenza e commercio: mostra qui il suo<br />
volto gorgonico, speculare al tentativo plurisecolare di comprimere e reprimere ogni<br />
manifestazione <strong>delle</strong> autentiche libertà dell’uomo. Che sia la sua ultima maschera?<br />
Forse nel nostro lavoro dobbiamo sovvertire il percorso conoscitivo che tradizionalmente<br />
prevede un moto ascensionale: dal vissuto, alle fantasie, al concetto, ovvero fino al livello<br />
raggiungibile pienamente con la ‘età della ragione’.<br />
Suggerisco invece di assegnare alle varie tappe un valore crescente a livello gnoseologico,<br />
ma contemporaneamente un valore decrescente a livello etico ed estetico, assegnando al<br />
vissuto il primato in questo campo. Man mano che si accumulano conoscenze si contragga<br />
eticamente ed esteticamente il campo di azione.<br />
Vi è una difficoltà di cui dobbiamo tener conto nel lavoro: la nostra cultura ha una antica<br />
propensione a procedere in modo dicotomico, per antitesi nette, per coppie di contrari.<br />
Dal primo punto di vista, quello gnoseologico, appare chiaro che le coppie di contrari debbano<br />
essere usate in costante rapporto dialettico: come strumenti di una dimensione somatopsichica<br />
ove nulla è distinto per sempre e tutto ritorna sempre in gioco. Come è possibile usare qui la<br />
coppia regina “vero/falso”, derivata dal principio di non contraddizione? Cosa è vero e cosa è<br />
falso, non diciamo nella sessualità, ma nelle fantasie ad essa connesse?<br />
Accanto a questa coppia primigenia molte altre ve ne sono: buono/cattivo, giusto/ingiusto<br />
definibile/ineffabile, visibile/invisibile, palese/nascosto.<br />
È lo strumento (organon per Aristotele) a doversi piegare al vissuto e non viceversa.<br />
Salvo che non si preferisca la spiegazione alla comprensione.<br />
A volte ci si è chiesti se lo stesso pensiero sia sessuato ed una risposta sembra venire dalla<br />
distinzione dei generi dei nomi: il maschile ed il femminile. Anche qui, però, la complessità<br />
è in agguato, come ci mostra la presenza del neutro (ne-utrum: né l’uno, né l’altro) nelle<br />
lingue greca e latina ed in molte altre. Molte sono le parole che segnalano una originaria<br />
in-differenza. Si rammenti il lavoro di Sigmund Freud sul duplice significato <strong>delle</strong> parole<br />
primordiali.<br />
Dal secondo punto di vista, ovvero della necessità di stabilire una soglia etica e canoni<br />
estetici contingenti soprattutto al conoscere del docente, ci sembra che si debba procedere<br />
con lentezza crescente, fino ad arrestarsi ben prima di varcare la soglia della intimità<br />
dell’essere. Man mano che si abbandona la sfera concettuale e si scende attraverso le fantasie<br />
XIV<br />
ai livelli del vissuto, l’importanza di un’éthos condiviso è essenziale, se non altro per lo jato<br />
temporale ed esperienziale che divide l’adulto dal bambino. Il primo, rispetto al secondo, è<br />
semplicemente smisurato e dunque può consentirsi solo uno sguardo da lontano, attento ma<br />
discreto e distante. Sottoposto alla ferrea legge del principio dialettico di proporzionalità.<br />
Non si colma uno scarto, che oserei definire ontologico, manipolando i concetti; neppure<br />
se desunti da altri saperi. Tanto meno lasciandosi trascinare dalla curiosità intrusiva.<br />
Bisogna, all’opposto, tenere sempre vigile l’attenzione sui diversi livelli di realtà che si<br />
incontrano su un terreno così problematico, implicante, avvolgente, perturbante.<br />
Familiare.<br />
Troppo familiare.<br />
Vicino alla vita intima del docente.<br />
Dentro di essa.<br />
*Meraviglioso e mostruoso.<br />
Il tema dell’éros riporta alla memoria la favola di AMORE E PSICHE che lo scrittore latino<br />
Apuleio ha voluto introdurre nel suo romanzo “L’Asino d’oro”, in cui racconta le<br />
vicissitudini di chi si accosta ingenuamente alla arte della magia, allora molto in voga.<br />
Apuleio coniuga l’umor nero presente in gran parte del romanzo con il mondo<br />
meraviglioso della fiaba, quasi a voler rappresentare la relazione tra due facce di una unica<br />
dimensione. O forse ne ha voluto mostrare la contiguità e la reversibilità. Non a caso nello<br />
scrivere ha usato a piene mani l’arma dell’ironia: strumento affilato e maneggevole, atto a<br />
mettere in relazione ciò in apparenza in relazione non è.<br />
Ci riferiamo al legame tra il mostruoso ed il meraviglioso, che intesse la vita di ogni essere<br />
umano, salvo che non si sia ridotto ad un automa.<br />
A me sembra che proprio questa relazione abbia vertebrato il vostro lavoro su ‘la sessualità<br />
e la fiaba nei bambini’.<br />
Che cosa sia mai il monstrum lo suggerisce la molteplice radice della parola. È un deverbale<br />
che contiene il verbo latino moneo (ammonisco’, ‘avverto’, ‘indico’), più il suffisso –strum.<br />
A sua volta collegato alla parola mens (‘carattere’, ‘animo’, ‘ragione’). Indica dunque<br />
l’indole, il carattere riposto, la natura più intima <strong>delle</strong> cose. Per questo gli aspetti mostruosi<br />
della realtà non sono altro che la proiezione di ciò che è nascosto e celato nella quotidianità,<br />
o coperto dalla abitudine: portato alla luce del sole assume aspetti abnormi di essa, ma non<br />
per questo essi sono meno reali.<br />
Ancora una volta siamo spinti a comprendere ciò che era là da tempo, ma velato dalla nostra<br />
cecità. L’emergere del mostruoso alla luce del sole dà espressione al nascosto, ma in forma<br />
obliqua, asimmetrica e comunque espressa per cenni da interpretarsi con una particolare<br />
ermeneutica, che di solito riserviamo al mondo dei simboli.<br />
Il meraviglioso è strettamente connesso al primo, perché indica la reazione che si ha di fronte<br />
all’emergere del mostruoso: esso desta sorpresa, stupore, trasalimento. Ha la stessa funzione<br />
del miraculum nel rapporto religioso col mondo, oltre ad avere la stessa radice, miror.<br />
Nella storia del pensiero filosofico e scientifico uno stadio così indefinibile ed imprevedibile<br />
della vita e della conoscenza umana ha assunto la dignità di autentico ‘cominciamento’ del<br />
filsofare: thaumàzein per Platone, Aristotele; admiratio per i filosofi medioevali e Tommaso<br />
d’Aquino.<br />
Senza una apertura sul mondo, che si rinnovi di volta in volta, non è possibile intraprendere<br />
alcuna ricerca, né si dà un sistema organico di pensiero; né si costruisce un sapere scientifico<br />
fondato sulla verifica.<br />
In assenza di questa pre-disposizione si solidificano dogmi, si generano pre-giudizi.<br />
XV
Psiche ed Eros Renzo Mulato Psiche ed Eros Renzo Mulato<br />
È una questione di particolare rilievo per chi si occupa dell’arte di educare nello spazio<br />
scolastico. In primo luogo perché la scansione dei tempi e la ripartizioni degli spazi scolastici<br />
assegnano ruoli predefiniti, che la istituzione fatica a veder messi in questione dal mostruoso<br />
e dal meraviglioso. Comprendo bene la autentica disperazione di quei docenti che vedono<br />
la creatività ridotta a routine burocratica, dove tutto deve essere previsto, codificato, in<br />
definitiva anestetizzato.<br />
Come dare spazio al lato creativo e disciplinarlo senza ucciderlo?<br />
Mi piace pensare al modo con cui avete risposto al quesito ed avete fatto emergere un<br />
argomento ‘mostrum’ per la istituzione: attraverso la fiaba. Spesso viene presentato come<br />
un modo ingenuo di narrare le vicissitudini della esistenza ma, per fortuna, tutti noi<br />
sappiamo molto bene che l’innocente e quieto mondo <strong>delle</strong> fiabe nasconde abissali mostruosità<br />
e sublimi meraviglie.<br />
In secondo luogo perché il tema della sessualità, ovvero di una primordiale differenza che<br />
segna il destino del genere umano, qualunque sia il percorso individuale, assume aspetti<br />
nuovi e particolari nelle Istituzioni Scolastiche della nostra epoca. Ci si scontra con una<br />
condizione ineliminabile di chi si occupa della educazione dei bambini, a livello di Scuola<br />
Primaria. La declinazione al femminile della maggioranza assoluta dei docenti propone un<br />
quesito su cui forse non si è riflettuto abbastanza.<br />
Tra docente e discente passano infiniti stimoli, domande espresse ed inespresse, indicazioni,<br />
esperienze.<br />
Di che segno sarà la relazione tra loro se il mondo adulto si presenta sotto il segno della nondifferenza,<br />
mentre quello infantile fa esperienza, orizzontalmente, della differenza? Questa<br />
si presenta certamente come diversità tra mondo adulto e mondo infantile, ma anche come<br />
esperienza della diversità tra maschi e femmine all’interno del mondo infantile. Tale<br />
differenza non ha echi equivalenti, né referenti, nel rapporto tra docenti ed allieve/allievi.<br />
Vi sarà la consapevolezza nei docenti di rappresentare sia la funzione materna, che quella<br />
paterna? Quali echi abbia tale condizione ‘monocromatica’ nel campo della esperienza<br />
infantile è nostro compito indagare ed è una felice aporia che discende dal tema guida del<br />
vostro lavoro. La felicità, poi, consiste nell’aver individuato un ulteriore filone di ricerca.<br />
A livello di concettualizzazione non vi sono grandi problemi da risolvere: il maschile ed il<br />
femminile sono, ancora, generi perfettamente distinguibili. Un intero apparato linguistico<br />
adempie quotidianamente alla propria funzione ed è presente omogeneamente in ogni<br />
spazio occupato dai bambini. Il dramma giunge, semmai, quando si dimostra inadeguato a<br />
contenere una realtà diveniente e dirompente.<br />
La quaestio disputata insorge prepotentemente quando si toccano le fantasie ed il vissuto.<br />
La immaginazione e la qualità estetica <strong>delle</strong> percezioni infantili hanno bisogno di specchiarsi<br />
e confrontarsi sempre con la differenza, per acquisire misura e potersi esprimere felicemente,<br />
senza effetti devastanti.<br />
Nelle condizioni che si sono create nelle istituzioni negli ultimi decenni vi è una omogeneità<br />
che può sconfinare nella omologazione, inevitabile in un universo declinato solo al<br />
femminile. Naturalmente e specularmene la stessa osservazione vale per un universo<br />
esclusivamente al maschile. A me pare che sia necessario un ripensamento, e il vostro lavoro<br />
ne fa già parte, visto che avete introdotto come grande mediatrice l’arte della fiaba, appartenente<br />
alla sfera del simbolico, la cui funzione pontica è a voi ben nota.<br />
Se connettiamo questo fenomeno ad un’altra grande mutazione, che segna la vita infantile,<br />
l’atto del riflettere acquista il carattere di assoluta urgenza. Mi riferisco alla questione della<br />
percezione e della sensorialità in bambini che vivono in un mondo sempre più artificiale,<br />
dove la natura è sempre più rappresentata e non vissuta, il corpo deprivato di esperienze<br />
fondamentali.<br />
XVI<br />
Ci dobbiamo interrogare dunque su che cosa stia avvenendo negli strati più profondi della<br />
psiche ed è inevitabile che il dubbio si carichi di ulteriore potenza se assumiamo che éros è<br />
essenzialmente corpo. Il corpo non occupa solo uno spazio, non ha solo un peso: è ritmo,<br />
danza, strumento musicale, sprigiona energie e le assorbe, è corpo vivo. Se poi il corpo è la<br />
maschera visibile dell’Inconscio, come Salomon Resnik, ci insegna, il nostro campo di<br />
indagine si dilata. Comprende certamente le rappresentazioni che l’immaginario e la<br />
espressività dei vostri allievi ci regalano, ma investe direttamente la loro concreta e viva<br />
corporeità. Le sue cangianti espressioni. Le facce. Le posture. Secondo i grandi mimi<br />
europei di questo secolo (Marceau, Fo, Decroux) il corpo proprio di ciascuno ne sa più di<br />
quanto ne sappia il suo proprietario. Si pone il problema di quanto noi siamo in grado di<br />
comprendere i segnali che vengono emessi da un corpo-bambino, vero ‘monstrum’ di<br />
espressività. Meraviglioso ed inquietante ad un tempo.<br />
3. Il bambino terrifico.<br />
* Esser-ci.<br />
Colpisce una contraddizione ‘mostruosa’ dell’epoca presente, pervasa da una ansia generale<br />
di trasformare ogni evento in spettacolo, in pura rappresentazione scenica dove dominano<br />
l’enfasi, le affermazioni gridate, la finzione. La esistenza di ogni singolo, nella sua terrena<br />
concretezza e nella sua evoluzione, spesso magmatica ed oscura, viene respinta ai margini e<br />
fatta riemergere solo se trasformata in notizia adatta a rivitalizzare spettatori catatonici, dai<br />
quali risucchiare un briciolo di attenzione.<br />
Sorge improvviso il sospetto che sia Dracula il fantasma che presiede all’universo della<br />
comunicazione nella forma odierna. È noto che il vampiro sostituisce il proprio vuoto<br />
risucchiando dalla vittima l’energia necessaria a sopravvivere, ma inocula in essa un vuoto<br />
che dovrà essere a sua volta riempito.<br />
Nel mondo della finzione sembra che non ci sia più tempo, né spazio, per pensare. Esercizio<br />
certamente faticoso, come ogni attività creativa, ed anche pericoloso. Soprattutto si riduce<br />
il tempo dei pensieri da dedicare ai bambini, salvo che non rientrino nello schema di una<br />
seduzione di stampo puramente commerciale. Allora irrompe una imponente stereotipia,<br />
ripetitiva, ossessiva: vengono presentati esclusivamente bambini sorridenti, imbozzolati in<br />
involucri luccicanti, preconfezionati nel corso di un processo di mercificazione che sembra<br />
non aver confini. Che ne è del bambino in carne ed ossa, corpo e psiche, nell’habitat<br />
familiare e sociale? Che ne è <strong>delle</strong> sue sensazioni e fantasie primarie? In troppi casi la sua vita<br />
oscilla tra la condizione di seduzione e quella di abbandono: a volte coperto di oggetti<br />
sostitutivi della presenza ‘corposa’ paterna e materna, a volte affidato a mani estranee. Non<br />
mi riferisco qui alle famiglie che abbandonano di fatto i figli e che riguardano la patologia,<br />
desidero solo sottolineare che quella sommariamente indicata è una condizione oggettiva<br />
derivata dalla organizzazione del lavoro e del paesaggio urbano odierno: dunque in grado<br />
di influire indirettamente sull’intero habitat familiare e sociale. Non bisogna mai dimenticare<br />
che nella istituzione giungono con esperienze predefinite e con una intera storia sulle<br />
spalle. A volte felice, a volte meno: in particolare per ciò che attiene alla ricerca ed alla fatica<br />
del pensare.<br />
Un modo rozzo ed eccessivamente pragmatico imperversa in ampi strati della società di<br />
questa parte del mondo: la scuola è un parcheggio; una volta terminata la sua provvisoria<br />
XVII
Psiche ed Eros Renzo Mulato Psiche ed Eros Renzo Mulato<br />
funzione lasci spazio al primato del fare, dell’imprendere, del produrre. Ne è prova la scarsa<br />
considerazione sociale dell’insegnante e dell’intellettuale in genere, cui fa da complemento<br />
una concezione merceologica della cultura e della stessa ricerca scientifica.<br />
La velocità, assieme alla aggressività, è cifra dell’epoca attuale e prodotto della legge<br />
bronzea dell’accumulo, come già sostenevano i Futuristi nel manifesto redatto da Marinetti<br />
nel lontano 1909. Essa pervade i rapporti sociali ed impedisce soprattutto che i riti familiari<br />
e sociali contemplino il momento della pausa, della sedimentazione <strong>delle</strong> esperienze, del<br />
confronto, del dialogo e paradossalmente anche del conflitto.<br />
Di conseguenza molti genitori tendono a velare l’impatto con il mondo esterno, vissuto<br />
come delirante e minaccioso. Nei confronti del quale è bene costruire muri di riparo,<br />
intercapedini, dietro cui attestarsi ‘armi in pugno’. Salvo poi introdurlo di soppiatto<br />
attraverso gli strumenti invasivi della comunicazione massificata, televisione e giochi<br />
elettronici in testa, che finiscono per occupare un posto di rilievo perfino nella disposizione<br />
degli oggetti familiari in una casa. La distrazione è tale che molti adulti non si rendono<br />
conto dell’orrore che entra tra le mura domestiche, mescolato a spettacoli e messaggi diretti<br />
indistintamente a tutti.<br />
Perché, allora, attutire sempre l’impatto <strong>delle</strong> vicissitudini della esistenza? Per compensare<br />
forse la frettolosità dei rapporti parentali? Per evitare traumi? Non pare che le favole<br />
elaborate nel passato narrassero di un mondo tenero e dolce: sono popolate di genitori che<br />
mandano i figli a morire nei boschi, orchi capaci di pasti cannibalici, matrigne che<br />
avvelenano le figlie, bambini che bruciano vecchie donne cattive. Dopo, molto dopo,<br />
giunge il lieto fine: quasi ad addolcire la ricostruzione veritiera del mondo esterno.<br />
Perché non ripristinare invece la narrazione diretta ed a viva voce di esperienze forti, la<br />
azione educativa capace di alternare rigore e dolcezza, l’esercizio della competizione? Nel<br />
senso indicato dall’etimo, naturalmente: cum-petere indica l’atto di cercare assieme un<br />
comune obiettivo.<br />
Vi è qualcosa di sfuggente in questa visione del mondo. Ho la percezione che dietro<br />
l’immagine trasmessa dagli operatori del ‘mercato dell’infanzia’, che ci presenta lo<br />
stereotipo di un esserino imbambolato, si nasconda per molti il fantasma di un bambino<br />
terrifico. Mi appare una sorta di esorcismo mediatico che tenta di coprire ossessivamente<br />
una realtà che inquieta proprio loro.<br />
Ogni bambino è già persona.<br />
Qualcuno che ci chiede di essere là.<br />
Sempre.<br />
Che ci guarda e ci giudica.<br />
Segnalo che Pier Paolo Pasolini ha avuto il coraggio di ammettere una verità troppo spesso<br />
oscurata: il bambino sfida l’adulto con il suo solo venire al mondo. Considerarlo un tassello<br />
ed un segmento del gran mercato <strong>delle</strong> cose e <strong>delle</strong> idee non muta gli effetti della sua<br />
irruzione nel teatro della esistenza.<br />
Quando nasce niente è più come prima.<br />
Nel prologo del film EDIPO RE vi è una scena che merita di essere qui rammentata.<br />
L’ambiente rievocato è quello familiare, proprio nel momento in cui viene alla luce un<br />
bambino. La madre lo culla ed ha dei presentimenti, ma è felice, balla canta, ama. Il padre,<br />
un militare di carriera, è felice di quell’evento lieto, ma un giorno si ferma ad osservare il<br />
figlio che riposa nella culla. Lo fissa, in silenzio, mentre in sovrimpressione scorrono terribili<br />
parole con le quali il padre esprime il suo odio per il figlio: perché con la sua nascita gli ha<br />
rubato l’amore della donna che riteneva fosse solo sua; è venuto poi a prendere il suo posto<br />
nel mondo e così lo ha messo innanzi all’abisso della morte. Pasolini ha rievocato la formazione<br />
del triangolo edipico ed ha fornito la sua interpretazione del conflitto con il padre,<br />
XVIII<br />
ma ha anche individuato un elemento che accompagna la gioia della nascita di un figlio. In<br />
inizio essa sovrasta tutto, se il figlio è desiderato, ma inesorabilmente alla crescita del figlio<br />
si accompagna un acuto sentore del tempo che passa e della esistenza che declina. Se la<br />
irruzione del figlio genera a sua volta un nuovo rapporto, la coppia parentale forma una<br />
famiglia autentica e la fecondità fisica diventa fecondità spirituale, come Platone fa dire a<br />
Socrate nel Simposio. Nel caso contrario la rottura è un evento annunciato, come dolorosamente<br />
apprendiamo di continuo dalla cronaca e dalla nostra esperienza diretta, soprattutto<br />
quando vi sia il rifiuto ad assumersi la responsabilità, e la fatica, di creare un rapporto<br />
nuovo, diverso da quello che si era immaginato. La felicità di un rapporto non si impone,<br />
si conquista con personale fatica.<br />
Ancor più arduo è l’esercizio di pensare la morte ed altrettanto difficile tollerare il declino<br />
fisico e psichico, dietro il quale essa fa capolino. Tutti loro ricorderanno come impietosamente<br />
lo specchio ponga la REGINA CRIMILDE di fronte al proprio inesorabile<br />
declino: il rifiuto è istintivo e netto, di conseguenza costei diventerà la matrigna di<br />
Biancaneve.<br />
Esattamente qui si situa un bivio di tipo parmenideo: bisogna decidere se accettare la strada<br />
della finitudine e convivere con il senso del limite, oppure negarla e conseguentemente<br />
precipitare in una spirale regolata dal delirio di onnipotenza e dai suoi démoni. Nel primo<br />
caso i figli avranno una guida che li accompagna e li addestra in modo da permettere loro,<br />
un giorno, di camminare con le proprie gambe. Nel secondo nessun spazio vi sarà per i figli,<br />
come ci ricorda la tragedia che precede quella di Edipo. Sono infatti le scelte del padre<br />
LAIO a dare origine ad una infinita catena di dolori.<br />
Mi ha sempre colpito, a proposito di selezione di miti e favole, il fatto che i testi riguardanti<br />
Edipo siano stati conservati e tramandati, mentre sono del tutto scomparsi quelli riguardanti<br />
Laio. Esiste solo qualche frammento. Si sa tutto della reazione del figlio, poco o nulla<br />
dell’azione del padre; come se questa per il mondo adulto appartenesse ad un rimosso che<br />
non deve assolutamente riemergere. Nel mondo simbolico, come in quello reale, è<br />
importante quello che è presente, ma ancor di più quello che è assente ed invece dovrebbe<br />
esserci. Eraclito, il sapiente di Efeso che amava giocare con i bambini sulle scalinate del<br />
tempio invece di dedicarsi ad altre occupazioni più serie, afferma che la connessione<br />
nascosta è più forte di quella manifesta!<br />
*L’arte dell’ascolto.<br />
L’azione paterna, quale asse e punto di confronto, sembra affievolirsi non solo nella<br />
tradizione letteraria, ma anche nell’esercizio concreto dell’arte di educare. ‘Non c’è tempo’,<br />
‘non ci sono gli spazi adeguati’ ci sentiamo ripetere spesso, e l’apparente oggettività della<br />
espressione indica che la rinuncia ad esser-ci si maschera sotto forma di realistica presa d’atto<br />
dello stato <strong>delle</strong> cose presenti. Che si suppone immodificabile. Allargano le braccia in segno<br />
di impotenza, ma coprono malamente la loro resa e la fuga dalle proprie responsabilità. La<br />
razionalità viene qui piegata alla esigenza di preparare il terreno alla piena autoassoluzione.<br />
La conseguenza è duplice: si priva il bambino e l’adolescente di un asse, di un punto di<br />
riferimento; d’altro canto l’adulto perde ogni capacità di comprendere quel che si agita nelle<br />
profondità dell’essere: diventa incapace di ascoltare i segnali che pur gli vengono inviati.<br />
Ascoltare non è un semplice atto che investe la fisicità. È piuttosto un’arte che implica la<br />
presenza attiva dell’adulto nell’orizzonte del bambino.<br />
L’arte di cui parliamo ha bisogno innanzitutto di tempo e di uno spazio accoglienti, che<br />
conservino traccia dei segnali che salgono dal basso. È necessario prendere tempo e dunque<br />
opporsi al meccanismo sociale che trascina con sé chiunque tenti di interporsi o<br />
semplicemente di fermarsi a lato, di trovare una radura ove prender fiato. È urgente farsi<br />
XIX
Psiche ed Eros Renzo Mulato Psiche ed Eros Renzo Mulato<br />
spazio in mezzo alla pletora di oggetti ed impegni che ingombrano l’esistenza, di cui parla<br />
speso un grande poeta che ci è familiare, Andrea Zanzotto. Con quale scopo fare una fatica<br />
quotidiana così dura? Semplicemente per allargare quei piccoli interstizi spazio temporali,<br />
che interrompono il flusso della routine, e che sono la premessa per la creazione di un<br />
grande spazio, radura o agorà, in cui un lògos prenda forma e sia trasmissibile. Sbrigate le<br />
incombenze preliminari non resta che disporsi ad ascoltare, ma subito nuove aporie si<br />
affollano dinanzi a noi. Vediamo di individuarle attraverso un breve esercizio filologico.<br />
Nella lingua italiana abbiamo un gruppo di verbi che riguardano l’ascoltare sia a livello<br />
senso percettivo, che a livello conoscitivo più complesso: udire, ascoltare, sentire. Una prima<br />
radice è latina (audio) e greca (aìo, aisthànomai): condensa in sé l’aspetto senso percettivo<br />
e quello della intuizione e della comprensione. Il deverbale aìsthesis genera i sostantivi<br />
sensazione, estetica ed il verbo sentire. Una seconda radice risale egualmente al latino<br />
(ausculto) ed al greco (acoùo). Inizialmente esprime una maggiore vicinanza alla fisicità,<br />
usando metonimicamente l’organo di senso, l’orecchio (oùs), per cui vale: ‘apprendo<br />
attraverso l’orecchio’. In seguito dà luogo a costruzioni molto interessanti, perché si<br />
delineano due disposizioni simmetriche e complementari: una ci fa intravedere colui che<br />
percepisce immediatamente e con sicurezza ciò che è prossimo; l’altra si riferisce invece ad<br />
una capacità percettiva più sottile, riguardante ciò che non è prossimo; quindi percepibile<br />
in modo indiretto e distante. Immediatezza della percezione e mediazione intellettiva si<br />
mescolano.<br />
Vogliamo mostrare che fin dalle origini l’arte dell’ascolto esclude ogni tipo di passività, anzi<br />
qui si postula la necessità di una estrema vigilanza nei confronti dei messaggi che le fonti<br />
inviano attraverso l’etere. Quella situata fuori di noi, proveniente dal singolo o dal gruppo<br />
di coloro che ci sono stati affidati; quella che parla dai nostri abissi interiori; quella che<br />
prende forma dalla relazione tra gli uni e gli altri e che viene denominata Eco nel mito di<br />
origine cretese di Narciso.<br />
La possiamo definire una triangolazione originaria, che sempre si rinnova; uno spazio<br />
quadridimensionale, dove chi è investito del compito di educare sia capace di accogliere e<br />
trattenere per il tempo necessario tutto ciò che cade nell’ambito della esperienza, al fine di<br />
distinguere l’essenziale dall’inessenziale.<br />
Compito arduo, complicato dalla plastica abilità del bambino a mimetizzarsi dietro le<br />
maschere che indossa di volta in volta, mutuandole da quelle che il mondo adulto prepara<br />
per ogni occasione a sé stesso e creandone di nuove. Bisogna correre il rischio di lasciar<br />
sedimentare ciò che accade (cade dentro e addosso) in noi.<br />
Chi ha avuto il privilegio di poter osservare da vicino il vostro lavoro sa che è stato costellato<br />
di lunghe attese, ascolti, aspettative, silenzi. Un pensiero accogliente sta sempre in vigile<br />
attesa, come il cacciatore che aspetta il momento giusto per catturare la preda che in un<br />
momento a venire passerà proprio là dove egli si è appostato.<br />
L’immagine è di Platone, ma voi sapete bene che le vostre allieve ed allievi, dietro la<br />
apparente semplicità e plasticità, nascondono una personalità polimorfa, complessa, ricca di<br />
sfaccettature. Essa si mostra, di quando in quando, a causa di una capacità, che definirei<br />
arcaica e imperturbabile, di ricondursi sempre all’essenziale, ma anche di celarla in modi<br />
impensabili.<br />
Di fronte a questa disposizione proteiforme si tratta di essere vigili per poter cogliere il<br />
momento giusto (kairòs), che spesso coincide con il momento in cui giocano e si esprimono<br />
attraverso i reticoli dell’immaginario.<br />
XX<br />
4. La Scuola come dimora problematica.<br />
* Del silenzio.<br />
La dimensione adeguata perché si stabilisca una relazione significante appare essere il<br />
silenzio, più che l’esercizio della parola. I corpi e le immagini parlano, dicono molto di più<br />
all’occhio che scruta ogni dettaglio per cogliere l’essenziale: che mai vorrà dirci quell’immagine,<br />
quella espressione, quel silenzio significativo? La assenza di qualcosa nel dialogo<br />
educativo pesa quasi di più che la presenza. È la istituzione scolastica preparata e disposta<br />
ad essere anch’essa dotata di plasticità? O non saremo anche noi travolti dal primato<br />
ossessivo del fare, che permea l’epoca attuale?<br />
Forse dobbiamo rovesciare la prospettiva e porci nella dimensione del silenzio. Dal punto<br />
di vista ‘ontico’ esso consente che gli echi del mondo infantile giungano in una radura, in<br />
uno spazio libero dagli strepiti, per cui ogni parola enfatica si sgonfia: il silenzio è l’arma<br />
acuminata che ne rivela la cacofonia e l’insensatezza. Solo allora si può esercitare l’arte della<br />
distinzione, come Platone suggerisce nel dialogo de “Il Sofista”.<br />
Il silenzio in sé non è qualcosa di determinato e misurabile, non appartiene all’ordine della<br />
quantità e questo aggiunge aporie su aporie alla istituzione scolastica. È piuttosto una precondizione<br />
perché qualcosa parli, prenda forma, acquisti voce e senso. Da un punto di vista<br />
gnoseologico ed ontologico il silenzio consente la nascita del pensiero e la apertura<br />
all’essere: stadio aurorale dove gli enti acquistano lentamente visibilità e reciproco senso.<br />
Un pensiero accogliente, che Aristotele denominava noùs patheticòs, rende permanente<br />
quell’apertura originaria che ha consentito per una volta lo svelarsi della essenza. Abbiamo<br />
già visto che per altre culture essa coincide con la capacità di meravigliarsi (thaumàzein,<br />
admiratio). Se tale condizione si dà, allora il pensiero produttivo e creativo (noùs poieticòs)<br />
può svolgere la propria funzione ordinatrice.<br />
Come sappiamo vi è un rischio, connesso intimamente a questa vera e propria avventura<br />
dello spirito. Aprire gli spazi interiori ed aprirsi al mondo importa la assunzione al massimo<br />
grado di quella ‘capacità negativa’ che il poeta inglese Keats riteneva essenziale per<br />
affrontare l’ignoto. Nell’incontro con la Alterità siamo sempre, potenzialmente, di fronte<br />
alla emersione di ciò che si agitava negli abissi interiori propri ed altrui e che era stato (con<br />
buona ragione?) dimenticato, rimosso.<br />
Non tutte le risonanze sono positive e gli echi tollerabili.<br />
È difficile rigirare l’abisso sul palmo di una mano, come suggerisce un apologo taoista. Lo<br />
spazio aperto è una pre-condizione, ma non è ancora divenuto uno ‘spazio etico dello<br />
scambio’, che è sempre il frutto di un lungo cammino condiviso. Vi è una osservazione di<br />
Aristotele negli scritti sulla psiche che trovo pertinente al nostro discorso. Indagando sul<br />
rapporto tra sensorialità e fantasia egli rileva che nel sentire vi è comunque trasformazione:<br />
“qualcosa avviene in noi per mutamento” ed il suo nome è “alterazione”.<br />
Ogni apertura comporta una alterazione, in particolare se siamo in presenza di quel campo<br />
che voi avete indagato ed agito.<br />
* Morari secum.<br />
Conoscere nel nostro campo è dunque atto complesso, non soggetto esclusivamente alla<br />
verticalità dei processi. C’è bisogno di un luogo della connessione dove prevalga la<br />
orizzontalità, il dialogo IO, TU. Abbiamo già individuato questo luogo, radura ed agorà,<br />
che si identifica dapprima con il silenzio e quindi con lo spazio accogliente perché più lògoi<br />
si possano incontrare. Vi si possono distinguere due movimenti: di discesa e di ascesa.<br />
XXI
Psiche ed Eros Renzo Mulato Psiche ed Eros Renzo Mulato<br />
Vi è un lavoro di immersione nel campo preso in esame, strato per strato, livello dopo<br />
livello, toccando aspetti sempre più ignoti che esigono da noi quella prudenza etica ed<br />
estetica che abbiamo già assunto come indispensabile. Le mani si immergono nel magma<br />
della esistenza, consapevoli che ne verranno intrise ed alterate. Inevitabili le contraddizioni,<br />
prezioso l’esercizio del dubbio, elemento essenziale del metodo e premessa all’arte di<br />
ascoltare. Possiamo condensare questa fase in un verbo di forma riflessiva: interrogarsi.<br />
Vi è un secondo lavoro, di tipo ascensionale, che raccoglie, differenzia e seleziona ciò che<br />
emerge dal ‘vasto mar dell’essere’. Una prima e originaria differenziazione e connessione si<br />
colloca a livello di creazione del simbolo, che si perfezionerà poi a livello concettuale. Che<br />
cosa è il simbolo se non una forma di integrazione tra ciò che si presenta opposto eppur<br />
connesso? Il rigore della ricerca e l’arte della distinzione riammettono nel pensiero quelle<br />
definizioni, che da principio costituivano un impedimento ed una chiusura.<br />
Le categorie della esistenza e quelle del pensiero ora corrispondono e costituiscono quel<br />
bagaglio teorico che ci consente di pensare anche la realtà più sfuggente. Usiamo la parola<br />
teoria nel senso indicato dall’etimo: sguardo capace di cogliere la connessione nella sua<br />
interezza ed essenza, visione panoramica.<br />
Il duplice movimento non è finalizzato tanto ad accumulare conoscenze, quanto a<br />
mantenere aperta la nostra mente alla Alterità, che si concretizza per noi in quegli allievi, in<br />
quella classe, con cui ora si sta lavorando seguendo la traccia del Corso di Formazione. Per<br />
questo è necessario un luogo dove indugiare, fermarsi, studiare, poter contemplare, senza<br />
l’assillo <strong>delle</strong> incombenze quotidiane. Non è solo un luogo fisico, quanto uno spazio<br />
mentale ed una disposizione dell’animo che consente l’ascolto di cui abbiamo parlato.<br />
Sulla scorta <strong>delle</strong> ‘Lettere a Lucilio’ e del pensiero di Seneca lo possiamo definire come quel<br />
luogo in cui è possibile ‘morari secum’, ovvero poter fermarsi a riflettere, ricordare, progettare.<br />
Comprendo come sia difficile accettare una simile prospettiva in un mondo che è<br />
segnato dalla velocità ed in una istituzione che aumenta di anno in anno il peso degli<br />
adempimenti, soprattutto di tipo formalistico. Lo scetticismo è d’obbligo. Né in Italia vi è<br />
ancora la istituzione di momenti di pausa e studio come l’anno sabbatico, da tempo previsti<br />
presso altre istituzioni europee. Eppure la creazione di un luogo altro, dove esercitarsi a<br />
traguardare le cose da un altro punto di vista e dove vi sia il primato del riflettere su quello<br />
del fare, appare una questione di sopravvivenza: per il singolo, prima ancora che per il gruppo.<br />
Che cosa è stato questo Corso, in definitiva? Un laboratorio di idee e indicazioni che è stato<br />
reso possibile da un gruppo di esperti e docenti che hanno fatto una scelta coraggiosa con la<br />
complicità di due Istituzioni. Esso comunque è di natura itinerante, indispensabile a reggere<br />
il peso di un lavoro così difficile come quello sulla sessualità e le fiabe. Se astraiamo per un<br />
momento dalle condizioni concrete in cui avete lavorato (presumibilmente irripetibili) appare<br />
chiaro che i luoghi, gli strumenti, le strutture usuali sono largamente inadatte allo scopo.<br />
Forse anche incapaci di concepirlo: una struttura rigida e fredda può accettare una forza<br />
dinamica, anche se nella forma della complementarità? Ne sarebbe devastata.<br />
Forze fredde e forze calde vi sono ovunque: non è un mistero che nella Scuola esse si combattano<br />
da molto tempo e che questo sia in generale un momento cruciale. Voi avete<br />
indicato nei fatti una via d’uscita che ha implicazioni teoriche e pratiche.<br />
* Dimora.<br />
Vi sono numerose implicazioni, a fronte di grandi trasformazioni che riguardano la società<br />
nel suo complesso. Una riguarda il tipo di allievi con cui lavoriamo. L’infanzia non ha<br />
subito trasformazioni sconvolgenti in questi ultimi decenni: i sommovimenti nella storia<br />
dell’uomo sono lenti ed ancora più quelli della natura e del cosmo. Sono invece cambiate<br />
XXII<br />
radicalmente le condizioni attorno ad essa: la famiglia, il numero degli figli, l’habitat italiano<br />
ed europeo.<br />
Esaminiamone in breve un aspetto. La maggioranza <strong>delle</strong> allieve e degli allievi frequenta<br />
classi poco numerose, se paragonate a quelle frequentate dai loro padri; ma soprattutto<br />
proviene da famiglie mononucleari dove ci sono pochissimi bambini. Ne conseguono<br />
numerose solitudini: in casa, per la eccessiva preponderanza di adulti, quando sono presenti;<br />
nel borgo, nel quartiere, nel palazzo, per la assenza della vita di gruppo, dove avvenivano<br />
le prime forme di iniziazione alla vita. Il luogo privilegiato dove avviene l’incontro con altri<br />
esseri umani della stessa età ed altezza è la Scuola ed è anche quello dove dimorano per più<br />
tempo: dai tre ai diciotto anni.<br />
Ne consegue che la Scuola è divenuta una dimora problematica. È investita oggettivamente<br />
di funzioni e compiti, desideri ed aspettative, che mai aveva dovuto sopportare. Certamente<br />
non è un luogo dove esclusivamente ci si istruisce. Sappiamo che è necessaria una nuova<br />
arte di educare: una autentica paidèia, alla cui creazione concorrano molte forze.<br />
Non sappiamo ancora in che direzione volgerà il suo destino. Esso dipende molto da quelle<br />
‘forze’ calde su citate, dalla loro capacità di istituire laboratori dove si coniughino prassi e<br />
teoria, dove sia possibile il pensare assieme ed il progettare assieme, prima che ciascuno<br />
faccia i conti con la sua specifica realtà. Un luogo a cui tornare ogni volta che lo si ritenga<br />
necessario.<br />
5. Epilogo<br />
* Un viaggio.<br />
La parola che più colpisce nelle vostre pubblicazioni è itinerario, forse perché in sintonia<br />
con queste riflessioni. Rappresenta con efficacia il lavoro che avete fatto ed introduce l’idea<br />
del lungo viaggio che la Istituzione scolastica in Italia deve ancora fare, ma soprattutto<br />
individua una grande metafora che ne sottolinea il carattere presente e futuro.<br />
Un pensiero itinerante si impone per noi che ci siamo assunti il compito arduo di ‘educare’<br />
nel tempo presente; tanto più che il suo esercizio è più vicino allo statuto di un’arte che a<br />
quello di una scienza. Singolare assonanza con l’arte di raccontare fiabe e con l’uso degli<br />
strumenti offerti dalla psicoanalisi, sapere che non ha lo statuto di una vera e propria<br />
scienza.<br />
D’altro canto non si può rispondere con il meccanicismo dei piccoli saperi alle domande<br />
radicali che ci vengono spesso rivolte.<br />
Con il formalismo <strong>delle</strong> burocrazie, poi, si può solo sopravvivere a sé stessi in modo grigio<br />
ed anonimo.<br />
Ogni viaggio comprende il periodo dell’andare alla ventura, dove l’imprevisto e le prove<br />
difficili sono la norma, dove sono necessari una grande preparazione ed un grande rigore.<br />
I viaggiatori medioevali, come Marco Polo e Odorico da Pordenone, si preparavano a lungo<br />
prima di affrontare gli spazi abitati dal meraviglioso e dal mostruoso. Prevede anche il<br />
momento del ritorno, come Odisseo alla sua Itaca, al porto dove si ritrova la identità<br />
originaria, e si riassume il ruolo che si era lasciato per un certo tempo, con le difficoltà<br />
inerenti alla osservanza del principio etico di responsabilità.<br />
Un pensiero itinerante deve, infine, usare più registri.<br />
Accanto al pensiero razionale va posto quello simbolico. Il primo assicura la distanza e la<br />
XXIII
Psiche ed Eros Renzo Mulato<br />
misura; il secondo la vicinanza con il vissuto e con lo stato di meraviglia in cui il pensiero<br />
nasce. Se un lògos razionale e discorsivo mostra i suoi limiti di fronte all’incommensurabile,<br />
il secondo consente di superare la contraddizione senza negarla, anzi dando ad essa una<br />
qualche espressione.<br />
Il bambino e l’artista la aggirano attraverso il gioco: la dimensione ludica permette loro di<br />
sporgersi dentro l’abisso senza precipitarvi; attraverso intuizioni folgoranti attraversano<br />
spazi che non sono consentiti ad un pensiero che proceda solo per rigide definizioni. Il loro<br />
sguardo obliquo sulle cose getta un ponte tra realtà diverse e lontane come due rive di un<br />
fiume. Che cosa è il simbolo se non un ponte tra realtà presente ed assente, una forma di<br />
integrazione della diversità? L’armonia nascosta di cui parla Eraclito si esprime anche<br />
attraverso immagini, simboli. Il luogo privilegiato, dove questa azione pontica si dispiega,<br />
è il mito, è la favola. Del resto vi è un’eco del mondo più in una forma di narrazione che<br />
in un discorso ben fatto. Al pensiero razionale compete la individuazione dei nessi della<br />
esistenza, ma per altra via.<br />
L’uso dei due registri, in modo combinato, è presente nelle favole, che hanno sempre una<br />
loro perspicua forma di logicità. Costruiscono una foresta di simboli, ma non a caso.<br />
Mi piace concludere, a proposito, con l’enigma nascosto nelle prime righe di una favola<br />
famosa, nella versione inventata da Perrault: Pollicino.<br />
“C’erano una volta un boscaiolo ed una boscaiola, che avevano sette figli, tutti maschi; il<br />
maggiore aveva dieci anni ed il più giovane soltanto sette. È presto spiegato come mai avessero<br />
avuto tanti bambini in così poco tempo: erano nati due per volta.”<br />
XXIV<br />
a cura di<br />
Luigina Perosa<br />
«Introduzione<br />
a un questionario difficile<br />
perché riguardante luoghi poco indagati<br />
non contaminati dal logos».<br />
Proprio perché donne il percorso ha potuto avere luogo.<br />
Un percorso che “facendosi si fa”, da noi singole donne, con Lorena, nel riconoscimento<br />
della parzialità, verso una soggettività, dimora sempre in divenire. Costruendoci quasi<br />
nell’atto concreto del nostro ricercare.<br />
Un passo avanti, due indietro: procedere per retrocedere a cercare, a indagare quei<br />
pezzetti di noi che cadono fuori dall’ordine simbolico, per riappropriarci di quei segni, di<br />
quei frammenti di sensazioni, di quelle rappresentazioni che soli forse potranno condurci<br />
ad un nostro sentire, ad un nostro percepire, ad un’altra possibile relazione fra noi e il<br />
mondo, ad un linguaggio fatto di parole che tutto ciò incorpora.<br />
Proprio l’accesso a questo sentire e a questo linguaggio, mette in grado di accogliere<br />
l’aggressività, la rabbia, le ferite affettive, la provocazione, il bisogno potente di cercare<br />
un posto nella tua testa, che ha un bambino per sentire che esiste.<br />
In tale terra di confine e in tale contaminazione, mi addentro tutti i giorni e forse proprio<br />
la mia NOSTALGIA ha saputo diventare un movimento verso il futuro, una passione per<br />
una nuova partenza.<br />
Questo il corso di formazione mi ha dato e ha dato a chi, come me, cercava.<br />
Le risposte al questionario lo attestano; le risposte non pervenutemi, attestano semplicemente<br />
la difficoltà e la sofferenza che la passione per la partenza porta con sé.<br />
* Perosa Luigina - docente di scuola elementare – insegna matematica, storia e musica<br />
XXV
“Intimità come evento”<br />
Sette percorsi dell’anima al femminile<br />
commentati da Lorena Fornasir*<br />
Premessa<br />
Un’insegnante** del 1° corso ha proposto a conclusione del biennio, un questionario da lei<br />
elaborato. La formulazione <strong>delle</strong> domande riprende i temi principali su cui si è basata la<br />
formazione ma, non solo. L’intenzione era forse quella di dar voce alle intime corde che<br />
alcuni argomenti hanno toccato, facendo risuonare o vibrare accordi di pensieri, accenti di<br />
emozioni, insaputi accompagnamenti.<br />
Sei colleghe hanno risposto.<br />
A loro tutte va il mio commento, con gratitudine.<br />
Introduzione<br />
Per comprendere le domande del questionario, al fine di evitare malintesi teorici, è necessario<br />
trasferire alcuni contenuti su cui si è basata la formazione <strong>delle</strong> insegnanti. Uno degli aspetti<br />
principali ha riguardato la funzione della holding e della rêverie nell’insegnante. La capacità<br />
di sognare, immaginare, dare forma e figura ai nuclei protomentali che il bambino esprime<br />
come rappresentazioni interne buie e insondabili, serve a ri-creare il “paesaggio” psichico dove<br />
lo spazio mentale diventa ponte, sponda, articolazione. Rêverie, dunque, come forma di pensiero<br />
e condizione per costruire quell’unità che è, al tempo stesso, senso ed integrazione del soggetto.<br />
L’altro aspetto ha riguardato il grado <strong>delle</strong> proiezioni che il bambino fa sull’insegnante<br />
e che questa, a sua volta, riflette sul bambino. Il nodo di questa complessa tematica si è concentrato<br />
sulla capacità di tollerare il contenuto <strong>delle</strong> proiezioni. Il prototipo di questa funzione<br />
è rappresentato dalla relazione madre-bambino e dalla sua rêverie intesa come possibilità<br />
di trasformazione dei contenuti intollerabili in emozioni pensabili. Quando queste capacità<br />
** Perosa Luigina - docente di scuola elementare – insegna matematica, storia e musica<br />
* Lorena Fornasir, psicologa clinica, conduttrice del corso di formazione<br />
XXVII
Sette percorsi dell’anima al femminile Luigina Perosa<br />
non sono minate, la mente della madre o dell’insegnante svolge il ruolo di “levatrice della<br />
mente” del bambino grazie alla possibilità - secondo il modello proposto da Meltzer - di generare<br />
amore/ promuovere speranza/contenere la sofferenza depressiva/pensare. Quando dunque la<br />
mente della madre (maestra) è contenitrice, ella consente che il suo bambino (alunno) provi la<br />
sofferenza mentale (frustrazione-pena) poiché lei stessa gli fornisce la base per tollerare la pena<br />
e trasformare il dolore in immagine (allucinare il seno assente), in pensiero (sostituire l’assenza<br />
concreta con la presenza simbolica), in parola (la parola “mamma” è presenza di un’assenza).<br />
È la nascita al pensiero ed anche la base del processo evolutivo. Attorno a questi due assi<br />
concettuali si è svolta principalmente la formazione <strong>delle</strong> insegnanti.<br />
Commento<br />
Mi ha colpito, anche se non è strano, che solo sette insegnanti abbiano risposto al questionario<br />
proposto dalla loro collega.<br />
Sembra che in una fase primitiva del rapporto tra cultura orale e cultura scritta, quest’ultima<br />
fosse considerata segno che uccide, che porta la rovina, che scrive la morte. L’inchiostro, la<br />
pece della deltos (tavoletta) era la stregua di un liquido sessuale (i pharmaka <strong>delle</strong> donne) e<br />
quindi pericoloso, simile alle sostanze spalmate sui vestiti da Deianira e da Medea. La<br />
scrittura contamina chi la riceve, non chi la porta. Il segno pertanto deve appartenere al<br />
dominatore che, solo, può solcare, segnare, iscrivere, arare, seminare quella terra che è il<br />
corpo della donna. Sul palcoscenico della tragedia le donne hanno avuto voce solo<br />
attraverso la loro maschera indossata da uomini, cioè attraverso la mimesi maschile del<br />
femminile. La loro esistenza, tramandata dai testi della tragedia si è condensata, per secoli,<br />
nella riproduzione della passività che esse interpretavano come ruolo culturale.<br />
Il pensiero femminile dopo tanta storia, sembra ancora, a volte, vivere più nei recessi<br />
dell’anima che nei luoghi della parola in cui dirsi. La donna, storicamente estromessa dal<br />
perimetro della polis, quando vi accede entra nell’ordine del discorso assumendo del<br />
codice maschile le sue formule: la logica, la razionalità, la concettualità.<br />
Le parole che le appartengono appaiono relegate negli spazi dell’invisibile, dell’empatia,<br />
dell’emozione, del maternale, trovando in essi la manifestazione per radicarsi come<br />
presenza senziente ma, si può dire, anche con assenza di logos.<br />
Qual è la difficoltà dell’anima femminile a mostrarsi, a manifestarsi ed assumere visibilità?<br />
A tradurre cioè in pensiero compiuto di forma, l’universo recettivo che la abita?<br />
Forse perché il logos è solo maschile? O forse perché esiste un pericolo che la parola in sé<br />
trasporta?<br />
“La natura ama nascondersi” - recita un frammento di Eraclito: physis kryptesthai philèi.<br />
Se il gesto di coprirsi è gesto femminile di pudore, quello di aprirsi è la nascita.<br />
Come Fedra, la luminosa creatura di Afrodite, che sigilla nella sua deltos (tavoletta ma<br />
anche triangolo pubico simile a una delta) le scritture più nascoste, così ogni donna chiude<br />
in sé l’intimità e ne teme la scoperta. Portarla alla luce del sole è il coraggio di chi, come<br />
Fedra, non teme la propria rovina anche se nella parola genera il suo segreto. Gesto che<br />
apre, gesto di luce che fonda un dire, diverso da quello maschile, che viene dal “fuori”,<br />
dal sociale; l’“intimità” - oscura chora del sentire - che diviene parola è donazione di<br />
senso in quanto incontro, non nel nome dell’identità, rigido principio maschile, ma nel<br />
XXVIII<br />
Sette percorsi dell’anima al femminile Luigina Perosa<br />
nome della singolarità, mera femminile capacità di dono che non pretende riconoscimento<br />
ma che è felice di portare vita. Non sottrazione, perdita e neanche affermazione<br />
di sé, ma evento di un puro darsi, che sorge e si dona agli altri nella visibilità del dirsi,<br />
non dell’affermazione identitaria, che sempre si erige contro un nemico.<br />
È una scelta forte che, come Fedra ci dimostra, può evocare il caos dell’inizio ma anche<br />
la differenza quale nascita alla propria singolare esistenza. Esplorare, entrare nell’arché,<br />
comporta un rischio emozionale dovuto ad una componente ontologica originaria: c’è<br />
un tempo ed uno spazio all’origine di ogni cosa, di ogni esperienza, di ogni gruppo,<br />
intesa come caos, come disordine che si oppone all’ordine. Dal caos originario nasce il<br />
cosmo, dal disordine nasce l’ordine. Ri-cercare, conoscere, è un modo di trasgredire il<br />
velato, d’insinuarsi nel celato. Il dubbio, la crisi, sono i frutti di questo cammino. Il<br />
dubbio nasce laddove l’unità originaria si sdoppia, si divide, s’interroga, si scopre<br />
ambivalente. È il momento più alto della propria ricerca, è tempo e tensione dell’anima<br />
che osa uscire dalle frontiere dell’interdetto e migrare verso orizzonti di luce. Trovare sé<br />
stessi, creare lo spazio per il pensiero, richiede fatica psichica. Bion diceva che bisogna<br />
assumere come dato ontologico l’esperienza dell’angoscia (della nascita-separazioneindividuazione-differenza),<br />
quale pre-condizione di ogni sviluppo. L’angoscia può essere<br />
considerata una <strong>delle</strong> spinte organizzatrici <strong>delle</strong> forze psichiche, e la funzione del dolore<br />
- come riconosce l’antica sapienza: to pathai mathos (Eschilo, Agamennone, 177) -<br />
permette al soggetto di sperimentare la propria capacità a crescere.<br />
Chi lavora con i bambini ha spesso la sensazione di non sapere, di non riuscire ad offrire<br />
aiuto, di essere impotente, di avere difficoltà a recuperare la propria funzione. Martha<br />
Harris ci ha lasciato queste sue parole:<br />
…(chi si occupa di bambini)…<br />
deve riuscire a tollerare di sentirsi piccolo e al buio<br />
perché è così che spesso i bambini si sentono ed è così<br />
che il bambino in noi si deve continuare a sentire<br />
se si vuole rimanere aperti alle meraviglie<br />
e alle avventure del mondo così come ai suoi rischi<br />
Chi, inoltre, lavora non solo con bambini ma con correnti di vita confuse, magmatiche,<br />
stolide, disturbate, sente una verità profonda ma scomoda: il compimento terapeutico è<br />
quello di raggiungere il dolore sottostante… tenere lontano il dolore è un modo di<br />
tenere lontano il bambino stesso.<br />
XXIX
Sette percorsi dell’anima al femminile Luigina Perosa<br />
Questionario e risposte<br />
elaborate dalle insegnanti<br />
❑ Il corso “La sessualità infantile e l’arte della fiaba” ha dato molto rilievo alla rêverie<br />
(“immaginare” e “pensare” il bambino dentro di sé) e alla capacità da parte dell’adulto<br />
di “contenere” ciò che nel bambino è irrapresentabile al fine di trasformare il non<br />
pensiero in pensiero, l’informe in forma. Ritieni che il lavoro di questi due anni ti abbia<br />
aiutato ad identificare ed esprimere funzioni di “contenimento”? In quali situazioni?<br />
Per quali aspetti?<br />
A. Sicuramente il lavoro di questi due anni ha contribuito in maniera forte a far meglio<br />
precisare me e me stessa. L’aver meglio identificato le funzioni di contenimento che<br />
quotidianamente in classe, e a casa come madre, mi trovo a mettere in atto, ha fatto<br />
sì che mi rendessi conto in modo più chiaro e cosciente, di quanto ciò mi sia difficile<br />
e di quanto poco io riesca a trasformare ciò che i bambini - e mi riferisco soprattutto<br />
a quelli che esprimono un maggior disagio e una maggior sofferenza - mi scaricano<br />
addosso. Ora credo di sapere meglio cosa un bambino cerca in me quando mi<br />
provoca, esprime la sua aggressività, “disturba”, è terrorizzato dal caos che ha dentro<br />
di sé. Tuttavia, il fatto che riconosco meglio le sue angosciose richieste, non mi porta<br />
sempre a rispondere in modo adeguato. È su questo che vorrei lavorare ancora.<br />
Credo che la funzione contenitrice che è insita nel mio essere insegnante/madre, sia<br />
l’aspetto più difficile del mio lavoro e anche quello che maggiormente mi “stanca”.<br />
La mia difficoltà più grossa, non è tanto quella di accogliere le ansie e le sofferenze<br />
di un bambino con cui, purtroppo, entro anche troppo facilmente in relazione<br />
empatica; la vera difficoltà è emergere entrambi da questo pantano fusional-empatico,<br />
per aiutarlo a liberarsi dall’incontenibile, per poterlo trasformare in ciò che può<br />
contenere-pensare-riconoscere<br />
B. Quando ho riletto (e non una, ma diverse volte) il questionario, non avevo dubbi:<br />
potevo rispondere alle richieste. Nel momento in cui ho deciso di prendere carta e<br />
penna sono andata in crisi (profonda). Ho riflettuto ancora sui significati di “rêverie”<br />
e “contenitore”: generare amore, promuovere la speranza, contenere la sofferenza,<br />
trasformare in pensiero ciò che nel bambino non è pensabile (evitando la confusione),<br />
essere contenitore. Ho messo giù gli “attrezzi” e ho preso a sbrigare altre<br />
faccende… stavo però pensando a loro, agli alunni: quelli di quest’anno e degli anni<br />
precedenti. Ho deciso di riprendere la penna. Ci sono state situazioni in cui sono<br />
XXX<br />
Sette percorsi dell’anima al femminile Luigina Perosa<br />
stata (mi sono sentita) maggiormente in contatto con i bambini: li ho “ascoltati”<br />
quando “evacuavano” problemi, sogni, <strong>paure</strong>, incubi, preoccupazioni, bugie, sfide…<br />
Li ho veramente “ascoltati”?, sono stata in grado di cogliere il vero messaggio che mi<br />
comunicavano?, ho saputo riconoscere le emozioni che mi trasferivano?, ho trasmesso<br />
confusione? Quanti dubbi!! Forse qualche volta sono riuscita a fargli sentire che c’è<br />
una persona che prende in considerazione i loro “grandi” problemi ma, a volte,<br />
soprattutto alcuni bambini con i loro comportamenti di sfida, hanno scatenato in me<br />
sentimenti di rabbia, di rifiuto. Alla fine eccomi in crisi.<br />
C. Il lavoro di questo corso mi ha aiutato a chiarire alcuni dubbi, o quanto meno mi ha<br />
dato qualche risposta rispetto a comportamenti strani e non consueti di alcuni<br />
bambini. Ho sentito in alcune situazioni di essere riuscita nella funzione di “contenimento”<br />
ed in particolare con un alunno. Il percorso però non è semplice e non<br />
sempre riesco ad autocontrollarmi, ma dopo un anno e mezzo di lavoro, nonostante<br />
il mio atteggiamento forte sono riuscita a stabilire con lui un rapporto di fiducia.<br />
D. Penso che la funzione di contenimento non possa essere riconosciuta a sé stante… la<br />
senti, la agisci nella quotidianità e forse non ti accorgi neanche. Personalmente, posso<br />
tentare di riconoscerla come situazione di benessere, solo dopo aver agito. E non<br />
sempre questo momento ha una valenza affettiva uguale all’altra ma, forse, è troppo<br />
riduttivo. Non posso così rigidamente schematizzarla perché esistono, a mio parere,<br />
livelli diversi di contenimento a seconda della situazione che ti trovi a dover gestire,<br />
ai bambini con cui stai relazionando. Mi è difficile riconoscerla, o meglio, descriverla.<br />
Non sono sicura che una determinata azione possa essere riconosciuta come funzione<br />
di contenimento. Penso di poterla percepire come sensazione, ma penso che mi serva<br />
altro tempo per poterla possedere in modo del tutto consapevole.<br />
E. Il corso ha rappresentato, per me, un momento di riflessione rispetto al mio ruolo<br />
come donna, come madre e come insegnante. Non sempre mi è facile vivere questi<br />
ruoli con equilibrio e in modo appagante, perché diversi sono i livelli di coinvolgimento<br />
emotivo. Un maggior coinvolgimento emotivo, infatti, mi comporta una<br />
maggiore difficoltà nell’accogliere e contenere il disagio dell’altro, mentre se riesco<br />
ad essere al “di sopra e al di fuori”, separando le situazioni dalle emozioni, mi riesce<br />
più facile accogliere il disagio dell’altro. Credo che, rispetto alla funzione di contenitore,<br />
le cose siano andate così. Ad un certo punto della mia vita ho scoperto a<br />
livello più o meno cosciente, di possedere questa funzione e l’ho utilizzata nella<br />
relazione con me stessa e con gli altri. Questo esercizio l’ha fatta crescere in un processo<br />
continuo e non concluso, attraverso prove, riprove, traguardi raggiunti,<br />
retrocessioni. A mano a mano che s’affinava la capacità di “contenere” me stessa e gli<br />
altri, aumentava di pari passo la coscienza del possesso di questa funzione e della sua<br />
ricchezza come risorsa. D’altro canto mi è anche chiaro che essa non è un “bene” da<br />
tenere solo per sé ma va messo al servizio degli altri per un benessere reciproco. In<br />
sintesi, il fatto di essere donna mi garantisce il possesso del “contenitore”, di essere<br />
madre e insegnante quello dell’esercizio di questa funzione; il fatto poi che sia in<br />
continuo contatto con me stessa e con gli altri, mi garantisce, attraverso una serie di<br />
relazioni, la verifica continua della “bontà” della mia funzione “contenitrice”. Le<br />
emozioni che giornalmente mettono a dura prova il mio ruolo di “contenitore” sono<br />
soprattutto le provocazioni verbali o mimico gestuali, la rabbia, ilrancore… Nel<br />
XXXI
Sette percorsi dell’anima al femminile Luigina Perosa<br />
momento in cui qualcuno trasferisce, su di me, queste emozioni, generalmente sono<br />
in grado di distinguerle dalle mie, ma capita, anche, che le confonda con le mie se,<br />
in quell’istante, sono emotivamente coinvolta. Nel momento in cui accolgo il disagio<br />
del bambino sono sicura che troverò il momento adatto in cui restituirgli in maniera<br />
accettabile ciò che poco prima era per lui impensabile. Nel momento in cui, invece,<br />
confondo e mescolo le sue emozioni con le mie, sarà solo dopo una riflessione<br />
“postuma” e un’auto-analisi della situazione e del relativo comportamento, che<br />
subentrerà una presa di coscienza di ciò che è avvenuto. Qui, allora, nascono due<br />
esigenze: da una parte il desiderio immediato di una “riparazione” e dall’altra un<br />
impegno ad affinare quel “rifiuto” che permetterà di individuare, in futuro, situazioni<br />
di questo secondo tipo per poterle, quindi, affrontare, dopo aver sgombrato l’animo<br />
dalle emozioni. Il primo a trovare vantaggio dall’esercizio della funzione contenitrice<br />
è senz’altro il soggetto che la esercita. Posso affermare di trovare una grossa carica di<br />
benessere dentro di me, a mano a mano che questa capacità cresce e s’affina; sento<br />
di averne bisogno per trovare entusiasmo, gusto di vivere, resistenza e perseveranza<br />
nell’affrontare tutte le situazioni di vita quotidiana. Inoltre, ho bisogno di conferme<br />
positive rispetto a questo ruolo, anche dalle persone con cui entro quotidianamente<br />
in relazione. Certamente lo sforzo di far chiarezza dentro di sé per disporsi in<br />
atteggiamento di ascolto e di accoglienza dell’altro, è costante, faticoso, e viene<br />
messo continuamente in discussione ma, ci vuole anche una buona dose di ottimismo<br />
per permettere di perseverare nel cammino intrapreso, anche in presenza di<br />
sconferme.<br />
F. L’esperienza di questi due anni mi ha insegnato soprattutto ad essere più attenta e<br />
“presente” nelle situazioni in cui mi è difficile rispondere a dei bisogni che non siano<br />
in corrispondenza con i miei. Riconosco facilmente situazioni che anch’io ho provato<br />
ed “empatizzato” con l’alunno, rivelando comprensione e solidale complicità<br />
allorché senta di percepire le sue <strong>paure</strong>, l’insicurezza, il bisogno di essere accolto nel<br />
momento critico. Mi accorgo che i bambini, soprattutto i più difficili, sanno trasferire<br />
in me i sentimenti che loro stanno provando. So, teoricamente, che questo è<br />
funzionale alla loro crescita, ma non riesco a non irritarmi, esplicitando la mia arrabbiatura,<br />
quando mi pongono di fronte al sentimento di disistima o di inutilità di ciò<br />
che propongo. Ciò avviene in particolare quando mi arriva il messaggio implicito:<br />
“non mi piaci”. Il lavoro fatto in questi anni, mi fa capire che questa disistima di sé,<br />
è ciò che muove quel bambino a comportarsi in modo da essere rimproverato,<br />
persino castigato, in nome di un gioco che ha appreso e che gli permette, ripetendolo<br />
infinite volte, di affermare, per ora, il suo essere in quello spazio e in quel tempo, in<br />
rapporto con gli altri. Capisco che la sua richiesta fondamentale è quella di sperimentare<br />
di sentirsi amato, ma non so in quali e quanti modi si possa dimostrarglielo e<br />
quante siano le volte che possano bastare per rassicurarsi. Penso che sarà lui l’attore<br />
principale del suo teatro interiore e che molte volte, forse, deluderò le sue aspettative<br />
di quel momento. Dovrà riprovare ancora, fino a quando gli basterà. Questa<br />
affermazione mi fa toccare il mio limite e la consapevolezza che certi malesseri”,<br />
hanno la loro ragione di esistere, senza voler ogni volta stabilire i confini tra ciò che<br />
è bene e ciò che non è bene sentire. Ho imparato che stanno a bada di qualcos’altro<br />
che ancora non è in grado di affrontare e che in questo modo, sono salutari. Il lavoro<br />
ha reso più complesso il precedente concetto di SALUTE e, soprattutto, ho capito<br />
che per ogni individuo, tale concetto, assume <strong>delle</strong> sfumature diverse, in relazione al<br />
XXXII<br />
Sette percorsi dell’anima al femminile Luigina Perosa<br />
suo essere Persona Integrata e perciò, a sua volta Integrante. In questo percorso ho<br />
fatto i conti con il desiderio di onnipotenza, ossia di mettere tutte le cose a posto a<br />
modo mio, secondo il pensiero logico e razionalizzante di un’adulta che vorrebbe far<br />
funzionare le cose al meglio possibile, come se bastasse un’unica esperienza umana<br />
per riprodurre e moltiplicare i successi. Questo sarebbe possibile se ogni persona<br />
fosse intercambiabile, mentre ognuno di noi è unico. Ora sono più propensa a<br />
pensare che a quella bambina che sono stata e che porto ancora dentro in me, tutto<br />
è servito per essere quello che ora sono, e che il tempo di cui ho avuto bisogno è<br />
stato tutto giusto per portarmi dove sono, senza accelerazioni o spinte che non<br />
provenissero unicamente da decisioni mie. Ho capito che se si vuole, si può far sbocciare<br />
un fiore o maturare un frutto prima del suo tempo. Si può… mangiare una<br />
fragola a gennaio… ma, ha lo stesso sapore e profumo di quella maturata al sole di<br />
maggio? Potrò far sentire la mia vicinanza senza farla diventare intrusione? Riconoscere<br />
questo delicato confine?<br />
G. Penso che questo corso mi abbia dato l’opportunità di comprendere la natura <strong>delle</strong><br />
ansie che assalgono i bambini, la confusione e il caos che li pervade di fronte alla<br />
paura di essere derisi, criticati, minacciati, rifiutati, sentimenti questi che gli stessi<br />
adulti-insegnanti possono provare quando si trovano davanti un gruppo classe con<br />
ogni tipo di background, con classi difficili, turbolente, insomma impossibili… Di<br />
fronte a queste situazioni, ho colto che è necessario capire il significato del comportamento<br />
dei bambini, imparare ad osservare ed ascoltare come questi ultimi cerchino<br />
di trovare una risposta dall’insegnante per poter porre fine a tali angosce, trasferendo<br />
tutto nell’insegnante sia con messaggi verbali che mimico-gestuali. Questo cammino<br />
mi ha reso più ricettiva all’ascolto e all’osservazione sul comportamento dei bambini,<br />
più cosciente di poter essere e diventare “il contenitore” di sentimenti forti che i<br />
bambini possono proiettare dentro di noi. Di fronte ad un bambino difficile che<br />
comunica con me per sbarazzarsi di una parte della sua personalità che genera il lui<br />
conflitti e angosce, mi rendo conto (solo ora) che solo quando sono in contatto con<br />
i suoi sentimenti e se partecipo emotivamente ai suoi stati d’ansia posso comprenderlo<br />
e rispondere ai suoi bisogni. D’altra parte non mi è sempre facile, anzi mi risulta<br />
spesso difficile tollerare sentimenti come il panico, la colpa, la disperazione e la<br />
depressione. Non mi è stato sempre facile sopportare l’esperienza emotiva suscitata<br />
in me dai bambini, ma è stata ed è un’esperienza interessante perché mi ha permesso<br />
e mi permette di riflettere sui sentimenti e sulla natura del mio dolore e mi rende<br />
capace di capire meglio me stessa e gli altri; ciò, credo, mi porterà ad una crescita<br />
personale e ad una maggiore abilità nel tollerare il dolore emotivo degli altri. Solo<br />
comprendendo il significato della comunicazione mi è possibile rispondere ed agire<br />
in modo più opportuno nei confronti dei bambini, e solo con queste esperienze<br />
significative io e i bambini possiamo sviluppare una maggiore capacità di tolleranza.<br />
L’essere consapevole che posso/potrei essere usata come contenitore, talvolta mi<br />
spaventa perché non sono ancora abbastanza forte per liberarmi dai miei problemi<br />
con i quali è già abbastanza difficile lottare per poter prendermi carico dei problemi<br />
degli altri senza sentirmi un mero cestino di spazzatura, sentimento questo che<br />
impedirebbe al bambino di mettermi di fronte e combattere un conflitto doloroso.<br />
Ci vuole un atto di vero coraggio per agire responsabilmente come contenitore e iniziare<br />
a compiere un duro lavoro mentale per crescere come persone aperte e pronte<br />
all’ascolto. La funzione di contenimento, come capacità di tollerare il dolore messo<br />
XXXIII
Sette percorsi dell’anima al femminile Luigina Perosa<br />
dentro di noi senza venirne oppressi, di trasmettere al bambino la sensazione che<br />
esiste qualcuno capace di contenere questa temuta parte di sé senza andare in pezzi,<br />
permette al bambino di interiorizzare un modello di adulto-contenitore capace di<br />
contenere questo aspetto di sé, rendendo più accettabile il suo mondo emotivo. È per<br />
questo che ritengo che il compito dell’insegnante sia anche quello di agire come<br />
contenitore temporaneo <strong>delle</strong> angosce dei bambini nei momenti difficili.. Dobbiamo<br />
tutti, perciò, acuire la nostra capacità di osservazione, comprendere il significato dei<br />
comportamenti dei bambini, essere più ricettivi, più aperti nei confronti <strong>delle</strong><br />
comunicazioni emotive degli altri. Questo ci dà modo di rielaborare l’esperienza<br />
emotiva della nostra fanciullezza, di riflettere sulle esperienze dolorose che i bambini<br />
evocano in noi, e coglierne il significato. Compito arduo ma necessario, perché il fine<br />
dell’educazione consiste nel promuovere personalità capaci di realizzare <strong>delle</strong><br />
esistenze libere, coscienti, responsabili, sviluppare in loro atteggiamenti di rispetto, di<br />
tolleranza, di impegno, realizzare l’autonomia personale dei bambini. È in questo<br />
obiettivo educativo-formativo che si declina il ruolo della fiaba da noi usata per<br />
esorcizzare incubi, <strong>paure</strong>, inquietudini sepolte nell’inconscio per mettere il bambino<br />
di fronte alle sue insicurezze, alle sue reali difficoltà della vita, con un linguaggio<br />
fantastico, quello della fiaba che è l’unico da lui raggiungibile e livello profondo. Un<br />
mondo che mi ha fatto rivivere esperienze ed emozioni forti, forse lontane, ma<br />
ancora vive in me perché significative e cariche di valore.<br />
❑ Trasformare ciò che nel bambino è poco contenibile e rappresentabile, ti ha aiutato a<br />
definire meglio il tuo e suo mondo emotivo?<br />
C. A volte ci riesco dipende molto anche da come mi sento io in quel preciso momento<br />
in cui il “fatto” accade. Se non sono stanca fisicamente o preoccupata e nervosa per<br />
motivi che possono essere i più vari, mi rendo conto di riuscire ad accogliere disagio<br />
ed aggressività. Altrimenti, il più <strong>delle</strong> volte rispondo con altrettanta aggressività,<br />
cercando di recuperare poi quando mi sono calmata, so che non è produttivo, ma<br />
penso che sia umano.<br />
❑ Senti di essere in grado di accogliere, a volte, l’aggressività, la rabbia di un bambino?<br />
A. Sento di essere, molto spesso, in grado più di accogliere disagio, aggressività, rabbia<br />
di un bambino, che di dare a queste emozioni la forma di pensiero. Molte volte<br />
restano in me e in lui, uniti in una sofferenza condivisa. Quasi che le parole che uso<br />
per colmarle, io stessa per prima le ritenessi “non abbastanza” o inadeguate per poter<br />
calmare o trasformare una sofferenza così grossa.<br />
C. Alcuni bambini cercano di attirare l’attenzione su di sé perché non si sentono ascoltati<br />
nell’ambito familiare. L’insegnante diventa una persona da sfidare e allo stesso<br />
tempo un punto fermo a cui far riferimento. Queste sono le situazioni che mi è più<br />
facile individuare e in cui cerco di avere una funzione di trasformazione. Non è<br />
semplice comunque staccarsi dalle proprie emozioni e non essere coinvolta emotivamente<br />
dal “gioco” che il bambino ti impone.<br />
XXXIV<br />
Sette percorsi dell’anima al femminile Luigina Perosa<br />
D. Non penso, ripeto, che possa essere identificabile con una sola azione, ma con un<br />
PROCESSO, riconducibile per il bambino, ad un processo di crescita consapevole e<br />
trasparente. Non penso che sia così automatica la trasformazione in una forma più<br />
completa di pensiero, è sempre un processo in evoluzione, mai fermo e sempre<br />
arricchito ogni giorno nella quotidianità di elementi che fanno parte <strong>delle</strong> due o più<br />
persone che entrano in relazione.<br />
❑ Tenendo presente il ruolo del “contenitore”, quali sono le emozioni dei bambini che<br />
maggiormente ti richiamano ad una funzione di trasformazione? Ti è facile riconoscere<br />
le emozioni che il bambino ti trasferisce distinguendole dalla tue?<br />
A. Premetto che non sempre mi è più facile distinguere le mie emozioni da quelle di un<br />
bambino, come emerge dalle mie risposte precedenti. Ciò con cui mi trovo più in<br />
difficoltà, sono le emozioni, sempre manifestate in modo forte, provocatorio e<br />
doloroso, di quei bambini che vivono esperienze di separazione, di perdita, di<br />
lontananza. Mi è successo, alcune volte, di piangere con loro. So che un “buon<br />
contenitore2 quale dovrei essere, non fa così; so che ci dovrebbe essere l’esperienza<br />
escatologica della trasformazione, ma anch’io vivo ancora la stessa angoscia. Anch’io<br />
in quei momenti, evidentemente, mi rappresento nel mio teatro psichico, le mie<br />
separazioni ancora sanguinanti, evidentemente mai trasformate, mai elaborate. Come<br />
posso aiutare un bambino?<br />
C. Il corso mi ha chiarito alcuni dubbi e mi ha aiutato a relazionare in modo più<br />
consapevole con alcuni elementi problematici, soprattutto ad affrontare l’anno scorso<br />
con la classe V argomenti di tipo “sessuale” con maggiore serenità.<br />
D. Tutte le situazioni di conflitto con sé o con gli altri in cui un bambino si trova quotidianamente<br />
a confronto, sono degne di attenzione per una funzione di contenimento<br />
da parte nostra o del bambino stesso per sé. Sta a noi vedere quando e come intervenire,<br />
pensando all’autonomia del bambino o al bisogno dell’intervento dell’adulto.<br />
Non sempre è facile distinguere le proprie emozioni da quelle degli altri, però questo<br />
fa parte del “gioco”. Con questo voglio dire che se vuoi esserci nella relazione devi<br />
metterti nell’altro attraverso le sue emozioni. Importante è sapersi fermare, osservare<br />
e ascoltare.<br />
❑ Ti sembra che il corso ti abbia aiutato a ESSERE maggiormente in contatto con te stessa<br />
e con i bambini?<br />
A. Credo che il corso mi abbia aiutato ad essere maggiormente in contatto con me<br />
stessa; me ne rendo conto quando mi pongo il problema di come rispondere a ciò<br />
che un bambino mi chiede. Cerco di far chiarezza dentro di me su quelle che sono<br />
le mie emozioni e quelle che sono le sue. Per me, più che un lavoro su “viaggio del<br />
cibo” o “viaggio del pensiero”, come emerge dai lavori di molte colleghe, è stato un<br />
viaggio dentro di me, in cui la dott.ssa Fornasir mi ha accompagnata. Si è sempre<br />
troppo soli in questi viaggi. Per fortuna questa volta non è stato così. Vorrei che tutte<br />
le insegnanti, visto il ruolo che abbiamo quotidianamente, potessero avere la possibilità<br />
di riflettere su questi aspetti.<br />
XXXV
Sette percorsi dell’anima al femminile Luigina Perosa<br />
C. Si più volte e anche con il piacere di ricevere risposte ad interrogativi sui miei<br />
comportamenti da bambina e sul mio rapporto con i genitori.<br />
D. Un grande merito ha avuto questo corso, mi ha aiutata ad essere maggiormente<br />
consapevole <strong>delle</strong> dinamiche che entrano in gioco nella relazione con gli altri e<br />
nell’ascolto di me stessa e dell’altro<br />
❑ Credi, in questo percorso, di essere riuscita almeno qualche volta, ad esplorare aspetti<br />
della tua personalità e a rivisitare luoghi della tua infanzia?<br />
Credo proprio che questa esplorazione di aspetti della mia personalità, sia stato<br />
l’aspetto dominante del lavoro di questi due anni. Indirettamente, spesso mi è<br />
successo di rivisitare luoghi della mia infanzia, poiché sempre più mi è chiaro, quanto<br />
quella bambina che sono stata giochi ancora nel mio rapporto con i bambini e nelle<br />
mie relazioni.<br />
D. Spesso ho lavorato interiormente, confrontandomi con il mio modo di agire, penso<br />
che sia l’unico modo per essere consapevoli. È stato un bel viaggio e mi piacerebbe<br />
esplorare ancora.<br />
XXXVI<br />
Parte Prima<br />
a cura di<br />
Lorena Fornasir<br />
Il percorso formativo:<br />
“l’immaginazione pensante” *<br />
Metodologia della Formazione<br />
Il Progetto del I (a.sc. 1997/1998 e 1998/1999) e II Corso (a.sc.1998/1999) per<br />
insegnanti <strong>delle</strong> scuole elementari sulla tematica della sessualità infantile ha inteso<br />
rispondere ad alcuni obiettivi:<br />
❑ riconoscere al pensiero infantile la peculiarità della sua competenza percettiva e di<br />
giudizio stabilendo, di conseguenza, in modo imprescindibile questo punto come<br />
partenza per qualsiasi “costruzione” teorica;<br />
❑ trasmettere strumenti di conoscenza teorici sulle principali caratteristiche psicoevolutive<br />
della prima e seconda infanzia<br />
❑ formulare una didattica che valorizzi l’immaginazione come forma di pensiero,<br />
rapportando la creatività alla dimensione comunicativa e di relazione fra i soggetti<br />
Inquadramento teorico del Progetto<br />
L’aspetto della sessualità infantile è stato trattato come parte integrante dello sviluppo<br />
dell’intera personalità del bambino, in modo da evitare quella separatezza tra corpo e<br />
mente che la frammentazione dei vari saperi propone, inducendo una scissione <strong>delle</strong><br />
componenti relative alla sfera evolutiva. La sessualità, infatti, non può essere considerata<br />
un dato biologico poiché non coincide con il corpo ma dovrebbe rappresentare<br />
l’integrazione della psiche con il soma, dell’emozione con il comportamento, della realtà<br />
psichica interna con la realtà esterna.<br />
Per meglio comprendere i significati di questa ottica d’intervento in riferimento ai vari<br />
modelli pedagogici, è opportuno illustrare le tendenze che tuttora caratterizzano gli<br />
orientamenti in merito alla sessualità.<br />
Tendenze relative alla pedagogia sessuale<br />
❑ Nell’ambito della pedagogia sessuale, la visione biologico meccanicistica appartenente<br />
ad alcune scienze quali la biologia, l’anatomia, la fisiologia, la medicina, ha<br />
creato l’equivoco di trattare il corpo come una funzione di apparati.<br />
* Lorena Fornasir, psicologa clinica, psicoterapeuta, conduttrice del I e II corso di Formazione su “La sessualità infantile e l’arte della<br />
fiaba”<br />
XXXVII
Il percorso formativo: l’immaginazione pensante Lorena Fornasir<br />
Dalle tavole anatomiche sempre più perfette, agli schemi fisiologici sempre più<br />
complessi, il corpo umano è stato “oggettivato” e studiato, quindi relegato fra gli<br />
“oggetti”, come se esso non avesse nulla da dividere con l’essere umano che “abita”<br />
dentro quel corpo ed in esso vive e si esprime. Per lungo tempo, inoltre, il corpo è<br />
stato considerato la fonte del peccato originale, sede di tutte le pulsioni e poiché la<br />
sessualità è una <strong>delle</strong> forze maggiormente avvertite come tentazione al male,<br />
l’indegno e lo sporco sono stati accentrati sulla sfera genitale. Ogni cultura si è difesa<br />
dalla sessualità edificando tabù e stabilendo regole comportamentali, andando a<br />
rafforzare la concezione del corpo come “cosa” vergognosa ed impura. La scienza<br />
stessa ha risentito di tale clima tanto che fino al XVII sec. i libri di anatomia non<br />
parlavano di come fossero conformati genitali. La tendenza generale è consistita nel<br />
ridurre il corpo ad “oggetto” di semplice materiale di studio ed ancor oggi, quando<br />
in sede di educazione sessuale si parla dei genitali, i più si preoccupano di essere<br />
rigorosamente scientifici finendo per spiegare un corpo-apparato che nessuno riesce<br />
a riconoscere come proprio.<br />
❑ Accanto alla posizione meccanicistica si è consolidata una concezione della corporeità<br />
definita antropo-fenomenologica. I suoi maggiori esponenti (Husserl, Heiddeger)<br />
hanno trasmesso una idea del corpo fusa alla psiche. Anima e corpo sono intimamente<br />
compenetrati fra loro e rendono l’uomo “carne pensante”. La presenza corporea si<br />
traduce in un “essere nel mondo” che è la manifestazione del soggetto nella globalità<br />
della propria esistenza. In tale ottica, ad es., le lacrime non sono il risultato somatico<br />
della tristezza, ma sono l’emozione stessa che si manifesta. La fenomenologia ha<br />
dunque avuto il merito di concepire la persona come “carne pensante” anche se tale<br />
concezione era ed è implicitamente presente nei proverbi e nel lessico parlato tessuto<br />
di modi di dire. Infatti, per indicare una persona coraggiosa si dice che “ha fegato”,<br />
chi possiede buoni sentimenti è “una persona di cuore”; al contrario se è cattiva “ha<br />
un cuore di pietra”. Se qualcuno è antipatico “non lo possiamo digerire” oppure “ci<br />
sta sullo stomaco”. La fenomenologia suggerisce dunque che i sentimenti sono una<br />
maniera di sperimentare e comprendere il mondo: il mondo “vissuto” ed anzi,<br />
misurano la disponibilità del soggetto nei confronti <strong>delle</strong> cose.<br />
❑ Tutti gli studi della psicologia e <strong>delle</strong> scienze relazionali hanno attinto alla fenomenologia<br />
individuando la possibilità di rifondare la comprensione sull’uomo anche<br />
attraverso l’interpretazione del codice corporeo (per Freud l’Io è innanzitutto un Io<br />
corporeo) e del suo manifestarsi quale presenza nel mondo.<br />
È nota la centralità che nella psicoanalisi occupa la sessualità. La teoria freudiana pone<br />
alcuni postulati:<br />
1 esistenza della sessualità infantile<br />
2 distinzione tra sessualità e genitalità<br />
3 le diverse fasi dello sviluppo psicosessuale sono legate a particolari zone del corpo,<br />
dette zone erogene<br />
4 i sintomi sono il risultato della rimozione degli impulsi e le più diverse forme di<br />
nevrosi (fissazioni - regressioni) sono riconducibili ad alterazioni dello sviluppo<br />
psicosessuale.<br />
La teoria freudiana ha tentato di stabilire una continuità processuale tra la formazione<br />
della personalità del soggetto, nei primi momenti della sua vita, e le modalità con cui<br />
questi stabilisce determinati rapporti con le figure significative della prima infanzia,<br />
XXXVIII<br />
Il percorso formativo: l’immaginazione pensante Lorena Fornasir<br />
inizialmente, e con gli altri partners in seguito. Si tratta di un corpus teorico imponente<br />
in cui assumono molta importanza alcuni concetti:<br />
1 l’organizzazione <strong>delle</strong> tendenze istintuali<br />
2 i processi mentali inconsci<br />
3 il principio di piacere e il principio di realtà<br />
4 il concetto di trauma e di complesso<br />
5 l’aspetto topico dell’apparato psichico<br />
6 il ruolo del conflitto, dell’ansia e della difesa<br />
7 l’aspetto dinamico tendente all’equilibrio <strong>delle</strong> forze psichiche.<br />
Da queste linee di riferimento si può arguire come, per la psicoanalisi, la sessualità di cui<br />
essa tratta è sostanzialmente la sessualità psichica. Gli stadi dello sviluppo sono così<br />
intimamente intrecciati con la loro origine psichica, tanto da determinarne l’evoluzione,<br />
la fissazione, l’arresto, la regressione.<br />
In tal senso, e come esempio, una <strong>delle</strong> tappe evolutive della pubertà segnata dalla<br />
comparsa del menarca, è - sempre secondo la psicoanalisi - un evento che richiede interi<br />
processi: lutto del corpo infantile, perdita dell’infanzia, assunzione della genitalità,<br />
accettazione o al contrario negazione della femminilità. Dall’elaborazione di questi<br />
aspetti dipenderà la capacità di “abitare” il corpo e di vivere nel corpo la dimensione<br />
comunicativa e relazionale.<br />
IL NODO DELL’EDUCAZIONE SESSUALE<br />
L’“educazione della sessualità” fa riferimento all’intento pedagogico di trasmettere il<br />
“dover essere” della sessualità, richiamandosi a regole che dettano la norma del<br />
comportamento. In tal senso, tutto ciò che non rientra nella norma è automaticamente<br />
deviante. Essa, inoltre, presume l’esistenza di una verità predefinita, cioè di un modello<br />
determinato a priori che stabilisce ciò che è sano e ciò che è malato, il normale e<br />
l’anormale, la salute e la malattia.<br />
Seguendo tale modello, la pedagogia sessuale ricorre solitamente a tecniche passivizzanti<br />
basate sulla trasmissione dell’informazione e dell’educazione le quali, insieme, rappresentano<br />
la realizzazione di un modello cognitivo/comportamentale.<br />
Distinguere tra informazione ed educazione, è un’operazione che suddivide lo stesso<br />
gesto educativo in parti specialistiche dove lo psicologo, il medico, il sociologo, non<br />
possono far altro che proporre, ognuno dal mondo della propria scienza, una visione<br />
tecnico/specializzata. La sessualità rischia allora di diventare solo contraccezione, o solo<br />
fantasia, o solo condotta, o solo funzione fisiologica, o solo morale, cioè frammento<br />
estrapolato dalla globalità e dall’interezza della persona. Ma, elemento fondamentale, il<br />
bambino rimane nello sfondo come oggetto destinato ad essere educato, e non come<br />
soggetto che possiede una propria competenza di giudizio e di sapere. Le teorie sessuali<br />
infantili che egli elabora durante la sua infanzia sono considerate, in quest’ottica,<br />
esclusivamente <strong>delle</strong> idee sbagliate da correggere.<br />
PROPOSTA DI FORMAZIONE SULLA SESSUALITÁ<br />
UNA POSSIBILE DIDATTICA ORIENTATA DALLA PSICOANALISI<br />
L’alternativa ai classici interventi di “educazione sessuale” - proposta nei due corsi di<br />
XXXIX
Il percorso formativo: l’immaginazione pensante Lorena Fornasir<br />
Formazione ai docenti - è rintracciabile nell’intento di “formare sulla sessualità” (non<br />
educare la sessualità) partendo dal riconoscimento del pensiero e <strong>delle</strong> competenze di<br />
giudizio che il bambino esprime.<br />
Si tratta di un atteggiamento che considera la sessualità una possibilità dell’essere umano,<br />
la cui realizzazione non parte da verità precostituite e non si propone una mete<br />
predefinite. Formare alla sessualità esclude l’imposizione di modelli e favorisce, invece,<br />
l’acquisizione di strumenti per lo sviluppo <strong>delle</strong> proprie potenzialità e l’espressione della<br />
propria individualità.<br />
Ciò è possibile attraverso la trasmissione di linguaggi, gesti, atteggiamenti, conoscenze,<br />
capacità relazionali, tutte variabili che potrebbero consentire a ciascuno di riconoscersi<br />
nel suo essere uomo o donna e ad assumere la propria identità sessuata.<br />
In tutto ciò il ruolo della Scuola è centrale rispetto la trasmissione di una pedagogia e di<br />
un metodo che realizzi l’osmosi tra sfera affettiva e sfera conoscitiva. L’educazione<br />
emotiva e socio-affettiva, riunita in un unico gesto pedagogico di cui può essere portatrice<br />
l’insegnante, è lo strumento più indicato per lo sviluppo adeguato della personalità<br />
del bambino. “Si educa con l’affettività e all’affettività” ma, qualora il gesto pedagogico<br />
si frammenti in troppi saperi specialistici, la stessa affettività sarebbe scissa nelle sue<br />
componenti. Proprio per evitare tale separazione e nell’intento di realizzare una cultura<br />
dell’unità impedendo la frammentazione, è indispensabile la presenza di un’unica figura<br />
pedagogica in formazione permanente.<br />
La psicoanalisi è in grado di orientare una didattica psico-affettiva possedendo ormai specifiche<br />
competenze sull’inconscio, lo sviluppo affettivo, le relazioni oggettuali. Essa non è un sapere<br />
della domanda, non traduce immediatamente la richiesta in una risposta, in una prescrizione<br />
didattica, non offre il “cosa fare”, ma costituisce un quadro di orientamenti interessanti e notevoli<br />
in grado di indirizzare l’“agire educativo” e la valutazione dei suoi effetti.<br />
CARATTERISTICHE DELLA “FORMAZIONE SULLA SESSUALITÀ”<br />
Obiettivo<br />
Gli obiettivi dei corsi di “formazione sulla sessualità infantile” rivolti ai docenti, sono stati<br />
articolati in:<br />
A. Parte Teorica:<br />
1 sensibilizzare alle tematiche dello sviluppo psicosessuale<br />
2 trasmettere strumenti di conoscenza teorica sulle tappe evolutive della prima e seconda<br />
infanzia, ponendo come punto di partenza l’attenzione al pensiero del bambino<br />
3 trasmettere strumenti di conoscenza per comprendere quanto la sessualità sia origine<br />
e fonte della struttura d’identità<br />
B. L’intervento Psicopedagogico<br />
è stato prescelto lo strumento della fiaba e della tecnica immaginativa in base ai quali<br />
raggiungere l’obiettivo di:<br />
1 favorire l’espressione della singola personalità del bambino attraverso una dinamica<br />
ludica di gruppo che si avvalga di precisi strumenti di conduzione da parte dell’insegnante<br />
(il gioco immaginativo e la fiaba) elaborati ed organizzati durante la costruzione<br />
di lavoro teorico previsto nella prima parte;<br />
2 consentire al bambino di sperimentare le proprie emozioni (gioia - aggressività -<br />
indifferenza - eccitabilità - …) dentro una cornice ludica organizzata (funzione contenitrice/organizzatrice<br />
del pensiero del bambino da parte del docente);<br />
XL<br />
Il percorso formativo: l’immaginazione pensante Lorena Fornasir<br />
3 favorire la trasformazione <strong>delle</strong> componenti emotive meno controllate (rabbia -<br />
aggressività - ira - invidia - gelosia) in stati mentali più consapevoli (funzione trasformativa<br />
dell’emozione in pensiero favorita dal docente).<br />
Finalità<br />
Riunire all’interno di un unico gesto pedagogico la dimensione psicorelazionale che<br />
caratterizza il rapporto tra il bambino e l’insegnante, rivolgendosi alla unità della sua<br />
persona nell’unità del sapere educativo.<br />
Metodologia<br />
Sono state proposte o trattati i nuclei di tre fiabe che per i loro contenuti sessuali e simbolici<br />
rievocano figure psichiche e rappresentazioni inconsce che abitano il mondo<br />
interiore, secondo tre tematiche centrali:<br />
1 l’origine (la sessualità rimanda sempre all’origine come nucleo dell’identità)<br />
2 l’amore e l’odio, l’invidia e la gelosia, come pulsioni primitive della sessualità umana<br />
3 l’organizzazione pulsionale.<br />
Valutazione<br />
Per verificare la validità della parte didattica e notare gli eventuali cambiamenti intervenuti<br />
a livello della affettività ed emotività degli alunni, le docenti sono stati poste in<br />
grado di utilizzare degli strumenti di rilevazione: il sociogramma di Moreno e il<br />
Questionario per la valutazione nel gruppo di M. Comoglio.<br />
ARGOMENTI<br />
A. PARTE TEORICA – ARGOMENTI<br />
La parte teorica ha previsto lo sviluppo dei seguenti argomenti:<br />
a Le fasi della sessualità infantile e la loro importanza nello sviluppo dell’apparato<br />
psichico:<br />
1 fase orale e suoi significati<br />
2 fase anale ed il suo rapporto con la creatività<br />
3 fase fallica o edipica in rapporto all’identità<br />
b La differenza tra mondo animato e mondo inanimato instaurano il “luogo della<br />
fobia” come tappa psichica evolutiva e come propedeutica alle regole.<br />
Il “luogo della fobia” non sono le fobie.<br />
Esso è invece quella tappa evolutiva definibile in termini di “barriera” che contrasta la<br />
fantasia onnipotente del bambino di non possedere regole o divieti che gli impediscano<br />
l’unione fantastica con il genitore edipico da lui amato.<br />
Le forme che può assumere questa barriera sono le più svariate: una porta, un tramezzo,<br />
una corda, un ruscello, una finestra…<br />
L’articolazione di tale tematica è stata organizzata attorno alla lettura e discussione in<br />
gruppo del saggio di:<br />
XLI
Il percorso formativo: l’immaginazione pensante Lorena Fornasir<br />
S. Freud “Analisi della fobia di un bambino di cinque anni (caso clinico del piccolo Hans)”<br />
(1908), in Opere vol. V, Boringhieri, Torino 1989.<br />
c L’angoscia dell’animale e le <strong>paure</strong> infantili<br />
Nella mappa psichica del “luogo della fobia” appare l’animale quale custode e garante che<br />
non sia varcata la barriera in direzione di qualcosa che è avvertito come pericoloso (il<br />
godimento edipico). Il “luogo della fobia” si presta perciò ad essere una risposta teorica<br />
all’angoscia.<br />
d Il romanzo familiare e le teorie sessuali infantili: un sapere falso ma vitale<br />
Alle teorie sessuali infantili (teoria fallica - teoria della cloaca - concezione sadica del<br />
coito) viene affidato il compito di risolvere l’enigma della nascita, in una direzione che<br />
esclude per il momento la sessualità genitale, il coito, la penetrazione.<br />
Le teorie sessuali infantili sono definite da Freud come una “conoscenza geniale”: egli le<br />
paragona ai “tentativi geniali degli adulti per risolvere i problemi più ardui che l’universo<br />
pone all’intelletto umano”<br />
e Dalle teorie sessuali infantili alla pulsione epistemofilica<br />
Dall’elaborazione <strong>delle</strong> teorie sessuali, il bambino si “costruirà” una propria teoria del<br />
mondo e dei suoi misteri che lo aiuterà a sviluppare il pensiero creativo.<br />
È stata proposta la lettura e discussione del saggio di:<br />
M. Klein “Lo sviluppo di un bambino” (1921) in Scritti 1921-1958, Boringhieri, Torino<br />
1978, pp. 17/28; 36/45<br />
f La sessualità e lo sviluppo intellettuale: ruolo della fantasia e inibizioni dell’apprendimento<br />
L’associazione tra attività apparentemente neutre e fantasie sessuali è, nella scuola,<br />
particolarmente evidente per il difficile compito che la scuola stessa impone ai suoi alunni:<br />
sublimare le pulsioni libidiche - sottrarle cioè alla soddisfazione immediata - per indirizzarle<br />
verso risultati desessualizzati ma socialmente valorizzati. Poiché nell’apprendimento<br />
sono in gioco forti energie libidiche, spesso, dall’analisi <strong>delle</strong> difficoltà scolastiche appare<br />
la presenza dell’angoscia di castrazione (trasposta nella paura dell’interrogazione, dell’esame,<br />
nella fobia della scuola…)<br />
È stata proposta la lettura e discussione del saggio di:<br />
M. Klein, “La scuola nello sviluppo libidico del bambino” (1923), in Scritti 1921-1958,<br />
Boringhieri, Torino 1978, pp. 80/83<br />
B. L’INTERVENTO PSICOPEDAGOGICO – ARGOMENTI<br />
Nella parte della formazione tesa alla realizzazione dell’intervento psicopedagogico, è<br />
stata posta particolare attenzione all’esistenza <strong>delle</strong> condizioni adatte, fra cui la maturità<br />
degli alunni coinvolti, per proporre il percorso attraverso l’uso <strong>delle</strong> fiabe. Inoltre, è stato<br />
considerato:<br />
a composizione del gruppo classe;<br />
b dinamiche del gruppo classe;<br />
c dinamiche del gruppo con l’insegnante.<br />
d tempi di realizzazione<br />
e variabili soggettive dell’insegnante<br />
XLII<br />
Il percorso formativo: l’immaginazione pensante Lorena Fornasir<br />
Il tema della fiaba in relazione al percorso di formazione sulla sessualità infantile è stato<br />
appositamente prescelto per i seguenti motivi:<br />
• le fiabe rappresentano un linguaggio universale che, al pari dei miti, esprimono<br />
attraverso le parole ciò che succede nel mondo interno;<br />
• esse parlano <strong>delle</strong> figure inconsce, dei fantasmi che abitano la nostra psiche e che non<br />
sono accessibili alla coscienza se non in forma affabulatoria la quale ha valore catartico<br />
(liberazione/purificazione mediante la trasformazione e “rappresentazione”)<br />
• la fiaba è il sillabario mediante il quale il bambino impara a leggere la propria mente<br />
nel linguaggio <strong>delle</strong> immagini;<br />
• le fiabe, al pari del gioco, possiedono un’eredità “primitiva” che permette ai contenuti<br />
magici, latenti, misteriosi, di mantenersi inalterati senza deformazioni o variazioni<br />
individuali;<br />
• le fiabe sono forse il residuo di un antichissimo passato che risale alle religioni<br />
druidiche. Tramandate oralmente, sono sopravvissute storie sfuggite alla censura<br />
mentre altre versioni rispondono alla revisioni rifatte e corrette nel MedioEvo da<br />
monaci e teologi. I loro contenuti nascondono un patrimonio di simbolismo sessuale,<br />
immagini intatte di un tempo in cui la dicotomia corpo-sesso, anima-vita spirituale<br />
non era ancora stata sancita.<br />
Le fiabe proposte, o alcuni nuclei trattati ai fini dell’attività pedagogica, sono state appositamente<br />
prescelti ed appartengono al ciclo dei racconti dei F.lli Grimm:<br />
1 “Hänsel e Gretel”<br />
2 “Gian Porcospino”<br />
3 “Tremotino”<br />
Il nesso che le ha riunite in un unico discorso può essere così espresso:<br />
1 dai fantasmi della sessualità orale, preedipica, così presente in tante vicende della<br />
libido anche adulta; dalla rappresentazioni degli impulsi più primitivi quali l’avidità e<br />
la distruttività personificati dalla cattiva strega (fiaba di Hansel e Gretel)<br />
2 il bambino impara, attraverso il superamento di una serie di “prove”, a rinunciare alla<br />
gratificazione immediata degli impulsi. Il “principio di realtà” lo pone di fronte alle<br />
regole del mondo a cui deve accedere per non rimanere un “Porcospino”;<br />
3 le forme attraverso cui egli costruisce la sua individuale personalità, lo pongono di<br />
fronte ai misteri della vita che sempre rimandano all’origine da cui proviene. Il regno<br />
dell’origine è anche la natura in cui Tremotino avrebbe rischiato di restare catturato,<br />
se il mondo della cultura non lo avesse accolto fra le sue “leggi”. La sessualità e, più<br />
precisamente l’identità sessuale - che non è l’identità di genere - pone al bambino,<br />
verso la fine del tempo della latenza, l’irrinunciabile e non più procrastinabile<br />
questione del “luogo” da cui egli proviene, e a cui egli può fare riferimento come<br />
fonte d’identificazione per la costruzione amorevole della sua persona.<br />
Metodologia della “formazione” ai fini dell’intervento psicopedagogico<br />
Fra gli strumenti operativi individuati all’interno di una psicopedagogia relazionale, è<br />
stata privilegiata in modo particolare la tecnica del circle-time. In una traslitterazione<br />
della formazione tra conduttrice e docenti e tra questi e gli alunni:<br />
XLIII
Il percorso formativo: l’immaginazione pensante Lorena Fornasir<br />
1 le fiabe sono state raccontate dall’insegnante in situazione di circle time ed in tempi<br />
non lineari ma progressivi.<br />
2 ogni fiaba, secondo il giudizio del docente, poteva essere interrotta nel suo decorso<br />
convenzionale quando nel Gruppo Classe si fosse creata una tensione (ansia - attesa<br />
- curiosità - paura - risate…) relativa ad un “passaggio” significativo;<br />
3 a quel punto gli alunni, seduti in cerchio, potevano darsi la mano l’uno con l’altro e<br />
da un bimbo del cerchio si sarebbe potuto proseguire con la “costruzione immaginaria”<br />
della storia. Chi gli era accanto avrebbe continuato il racconto da dove il suo<br />
compagno l’aveva lasciato, così via fino a quando la favola non si fosse ritenuta<br />
conclusa;<br />
4 in seguito l’Insegnante avrebbe potuto riprendere la fiaba convenzionale e confrontarla<br />
- assieme ai bambini - alla fiaba da loro “inventata”;<br />
5 tutto il materiale è stato elaborato e supervisionato durante la fase teorica in modo<br />
che il docente si sentisse sostenuto nella sua attività e potesse acquisire gli strumenti<br />
teorici per approfondirla e continuarla;<br />
6 il metodo della fiaba con la tecnica immaginativa, poteva essere ulteriormente<br />
supportato dall’inserimento di altre attività ludiche che avrebbero potuto impegnare<br />
ii bambini in “storie di pittura”. Es.: “disegna la strega della fiaba” o “l’animale che<br />
vorresti essere”. O in “storie” di psicomotricità. Es: gioco del serpente, della pantera<br />
rosa, dell’orco, la lotta, la prigione, la culla… Anche questo materiale è stato oggetto<br />
di discussione e supervisione nella fase teorica.<br />
La modalità proposta ha inteso favorire nel bambino l’espressione <strong>delle</strong> rappresentazioni<br />
inconsce e, nel docente, la consapevolezza ed il riconoscimento del pensiero infantile<br />
come fonte di teorie e di creatività. Inoltre, il ricorso alla tecnica del circle-time e alla<br />
rêverie è stato appositamente individuato al fine di:<br />
• tecnica del circle-time<br />
1 aiutare i bambini ad acquisire consapevolezza dei loro sentimenti, utilizzando sia il<br />
linguaggio verbale che non verbale, l’assenso ed il dissenso;<br />
2 infondere fiducia in sé ed autostima<br />
3 favorire l’integrazione in gruppo ed il superamento degli stereotipi sessuali<br />
4 far scoprire il valore dell’impegno scolastico, come strumento di conoscenza, di<br />
maturazione ed anche di divertimento<br />
5 attivare modalità di autoaiuto<br />
• tecnica della rêverie:<br />
1 sviluppare il pensiero creativo<br />
2 “leggere” i simboli (attività indispensabile per la lettura, scrittura, attività logico matematiche)<br />
3 rendere più consapevole l’immagine di sé<br />
4 sviluppare l’autonomia personale<br />
5 rendere la creatività una pratica di relazione e di scambio fra soggetti.<br />
XLIV<br />
Parte Seconda<br />
a cura di<br />
Lorena Fornasir<br />
Un percorso di formazione<br />
non terminabile *<br />
Considerazioni finali<br />
Una considerazione finale sulla formazione con le docenti da cui è scaturito il “laboratorio”<br />
<strong>delle</strong> immagini quale sottile trama di relazioni tessuta fra saperi diversi, non può non riprendere<br />
il punto iniziale a cui risale l’ordito.<br />
Siamo partite da molto lontano, da quel passo del Timeo (89b) dove Platone diceva:<br />
“…tenendo sospesa la nostra testa,<br />
ossia la nostra radice,<br />
dio tiene sospeso l’intero nostro corpo<br />
che perciò è eretto”<br />
È stato tracciato un itinerario tipicamente femminile, dall’interiore all’esteriore, elevando<br />
lo sguardo dallo spazio ctonio all’altezza del cielo, alla ricerca della conoscenza e della<br />
differenza come categoria fondante il pensiero (in contrapposizione al caos e alla<br />
confusione che contraddistinguono il non-pensiero, le relazioni simbiotiche e/o fusionali<br />
dove appunto manca lo spazio della separazione e della differenza)<br />
È stato un “viaggio” tipicamente femminile, poiché l’intento non si è indirizzato verso la<br />
costruzione di teorie. Queste, infatti, si riferiscono più ad uno sguardo che fin<br />
dall’antichità è stato maschile. Theorein significa infatti “guardare, vedere, osservare, essere<br />
spettatori di giochi pubblici” e, nell’antica Grecia, era patrimonio dei theoroi (ambasciatori<br />
o testimoni) i quali venivano inviati ai giochi olimpici o all’oracolo di Delfi come rappresentanti<br />
dello stato. Sia gli uomini che le donne hanno sempre guardato il mondo, ma<br />
solo ai theoroi era data possibilità di parola (mentre la donna, assieme al crematista e al<br />
tiranno, figure dell’eccesso, era esclusa dalla polis, cioè dall’ordine del discorso). Da<br />
questo terreno tuttavia, altri saperi si sono configurati secondo uno sguardo - quello<br />
cresciuto nell’ambito dell’etnologia femminile - che è andato alla ricerca della radice<br />
come memoria che sente ma anche come memoria del futuro (secondo Bion). Si tratta di un<br />
discorso che recupera l’immagine quale intelligenza del cuore, anzi è “pensare con il<br />
cuore” (Etty Hillesum) che fa parlare le figure che internamente ci abitano.<br />
* Lorena Fornasir, psicologa clinica, psicoterapeuta, conduttrice del I e II corso di Formazione su “La sessualità infantile e l’arte della<br />
fiaba”<br />
XLV
Il percorso formativo: l’immaginazione pensante Lorena Fornasir Il percorso formativo: l’immaginazione pensante Lorena Fornasir<br />
Questo sguardo particolare (o la formazione usando il linguaggio tecnico) ha consentito<br />
d’evocare quel corteo <strong>delle</strong> immagini che popolano il teatro psichico interiore e che sono<br />
in grado di parlare per noi, di noi, attraverso le maschere di altri personaggi, trasposizione<br />
di figure della fantasia, fantasmi che ci abitano con la voce <strong>delle</strong> emozioni ed i suoni di<br />
“accordi” rimossi. Le fiabe, quest’ “orditura incessante di attimi d’infanzia illimitata,<br />
inafferrabile, che risalgono con la loro lingua segreta e indelebile a parlarci parole smarrite<br />
nel tempo” 1 sono state il magico sillabario con il quale narrare le scene d’un teatro che<br />
cela icone depositate nello strato arcaico della psyché.<br />
Non si è trattato d’un “percorso” facile poichè la sessualità si presta facilmente ad essere<br />
interpretata secondo uno dei tanti dispositivi che Foucault ha magistralmente esaminato 2 .<br />
Nella concezione teorica di questa “formazione”, la sessualità è stata trattata come un<br />
divenire, in cui l’appartenenza all’identità di genere è solo il punto di partenza mentre il<br />
punto d’arrivo è rappresentato da un processo, da un percorso il cui esito può essere<br />
tutt’altro. Si può nascere maschi o femmine ma divenire uomini o donne fa parte del<br />
destino psichico di ogni persona.<br />
È stato dunque importante trovare e proporre un’angolazione adatta per “osservare” e per<br />
assumere l’“osservazione” come strumento di approccio al pensiero del bambino,<br />
evitando la riduzione a schemi di teoria dello sviluppo psicosessuale. Non solo.<br />
All’interno della formazione non è sufficiente valorizzare o meglio “formare” all’ascolto<br />
della mente cui questo sguardo dell’osservazione va a coincidere. È necessaria la capacità<br />
trasformativa, l’arte della rêverie, ossia la possibilità d’immaginare e ricreare un<br />
“paesaggio”; il “paesaggio” psichico che permetta all’altro (alunno) di ritrovarsi, riconoscersi<br />
e sentirsi “pensato” da una mente creativa e “contenitrice”.<br />
L’ipotesi di lavoro si è basata sulla scelta teorico-clinica di riconoscere al bambino le sue<br />
competenze, il suo pensiero, le sue immagini, il suo patrimonio evocativo ricco <strong>delle</strong><br />
tante teorie con cui egli cerca una risposta ai più grandi quesiti della vita: il mistero della<br />
nascita e della morte.<br />
Con Freud, riconosciamo alle teorie sessuali infantili una “conoscenza geniale” paragonabile<br />
ai “tentativi geniali degli adulti per risolvere i problemi più ardui che l’universo<br />
pone all’intelletto umano” 3 . La loro importanza è tale che, sempre Freud, parla di una vera<br />
e propria resistenza infantile alle spiegazioni sessuali e paragona i bambini a quei primitivi<br />
“cui è stato imposto il cristianesimo, che però continuano in segreto ad adorare i loro vecchi<br />
idoli” 4 .<br />
Ritornando al pensiero del bambino, la formazione si è indirizzata sulla scelta precisa di:<br />
❏ non trattare il pensiero infantile - a cui il mondo dell’infanzia è assimilato - secondo<br />
schemi psicoevolutivi ben noti;<br />
❏ bensì riconoscere che il bambino possiede la propria competenza di pensiero basata<br />
sulla capacità di giudicare la “degnità” dell’amore che l’adulto proclama nei suoi<br />
confronti;<br />
❏ ricordandoci, come Margaret Mahler 5 fa notare, che vari problemi relativi allo<br />
sviluppo (e alla patologia), si formano proprio a partire da questo giudizio, non<br />
formulato, che il bambino esprime sulle qualità dell’amore da parte dell’adulto;<br />
1 C.Campo, Gli imperdonabili, Adelphi, Milano 1987<br />
2 M.Foucault, La volontà di sapere, Feltrinelli, Varese 1978<br />
3 S.Freud, Teorie sessuali dei bambini, 1908,vol 5, Boringhieri, Torino 1989, p.456<br />
4 S.Freud, Analisi terminabile e interminabile, 1937<br />
5 M.Mahler, La nascita psicologica del bambino, Boringhieri, Torino, 1978<br />
XLVI<br />
❏ nel campo della sessualità, a maggior ragione, non si possono tracciare percorsi<br />
stabiliti, né si può affermare che la “cruna è fatta per l’ago” o che nascere femmine<br />
significa diventare donne. Sarà il bambino, se gli riconosciamo la sua competenza di<br />
pensiero, a guidarci dentro il suo percorso psicosessuale.<br />
Fu Freud, per primo, nel suo ben noto saggio del 1908 a restituire al “piccolo Hans” un<br />
ascolto ed un sapere ritenuti fino ad allora, di pertinenza esclusiva dell’adulto.<br />
Come dire tutte queste cose? Come evocare immagini, figure, fantasmi, dare voce al<br />
pensiero del bambino, aprire lo scenario di queste tracce che risiedono nello strato arcaico<br />
della mente e sono suscitate dall’esperienza del piacere e del dispiacere.<br />
C’è stato bisogno del coraggio di dimenticare le certezze. Scegliere l’avventura di penetrare<br />
in un paesaggio poco conosciuto, forse “perturbante”, di figure e di ombre, ha<br />
implicato un viaggio, una ricerca del bambino vero, autentico, non quello dei manuali.<br />
Ha significato cercare in luoghi meno comuni e trovarlo là dove non ci aspettavamo che<br />
egli fosse.<br />
Il mondo poetico di Luigi Riceputi 6 ha accompagnano questo discorso.<br />
Ma altre due poesie, così distanti e così unite nel loro tema, possono rendere la complessità<br />
di questo “viaggio”.<br />
La prima è di Meister Eckhart, il grande mistico tedesco del XIII secolo<br />
è luminoso e chiaro<br />
è completa tenebra,<br />
è senza nome,<br />
è sconosciuto<br />
senza inizio né fine<br />
se ne sta in pace<br />
nudo senza veste<br />
La seconda è una canzone kosovara cantata da bambini in quest’epoca di grandi conflitti<br />
identitari, che la televisione più volte ha fatto ascoltare e che i giornali hanno riportato:<br />
chi sei tu?<br />
il mio nome è Kosovo<br />
mio padre e mia madre sono nati là<br />
vieni qui, amica mia, non piangere più,<br />
siamo sangue, corpo e carne<br />
siamo albanesi<br />
la nostra bandiera<br />
ha il colore rosso del sangue e nero della morte<br />
(corrispondenza da Tirana, maggio ’99)<br />
Pur sembrando così distanti, queste due poesie sono unite nel tema dell’identità.<br />
Nella prima, l’identità svanisce nel divino, nella seconda s’irrigidisce nella morte.<br />
L’identità ha in sé un potere di vita e di morte, senza di essa non si può vivere e<br />
comunque il suo prezzo è la rinuncia.<br />
6 Luigi Riceputi, L’ombra <strong>perduta</strong>”, edizione per il momento privata<br />
XLVII
Il percorso formativo: l’immaginazione pensante Lorena Fornasir<br />
L’acquisizione dell’identità sessuale in adolescenza, per esempio, implica la perdita della<br />
bisessualità che caratterizza il bambino della latenza; nascere alla genitalità implica la<br />
rinuncia alla sessualità parziale, infantile, e così via. D’identità comunque si può anche<br />
morire come ci ricorda la canzoncina kosovara. Quando l’identità si fissa, l’individuo si<br />
pietrifica, la sua anima svanisce e il suo essere si rompe sotto il peso della troppa rigidità.<br />
L’identità non è data pur essendo la condizione ad esistere; essa deve padroneggiare<br />
l’identico e il suo contrario, il sì e il no, i versanti opposti <strong>delle</strong> sponde, farsi ragione e<br />
luce di ciò che lo abita.<br />
Tutto ciò, seguendo le orme del “percorso”, ha significato lasciarsi errare alla ricerca della<br />
propria singolarità o del singolare pensiero che ogni bambino reca come competenza<br />
nascosta. Questa “formazione” così come è stata proposta, è stata soprattutto un viaggio<br />
di ricerca tra le varie identità che un bambino, venendo al mondo, si trova gettate<br />
addosso: identità sociale, di genere, personale, identità sessuale. Sono state evitate le<br />
verità precostituite, gli assiomi dati, abbiamo cercato il bambino dentro di noi per<br />
conoscere il bambino fuori di noi, abbiamo cercato un volto alla nostra identità e<br />
all’identità del bambino, senza dimenticare la nostra e la sua singolarità.<br />
Questa formazione ha dato due risultati: il primo era già visibile alla conclusione del<br />
primo anno del I Corso ed è riconfermata dai lavori presentati nell’“L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong><br />
<strong>paure</strong>”.<br />
Il secondo risultato proviene dalle insegnanti stesse ed è visibile dal materiale che hanno<br />
prodotto, analizzato sotto il titolo “percorsi dell’anima al femminile”. È stato un<br />
cammino guidato dall’intelligenza del cuore, verso la “memoria” evocata da insoliti suoni<br />
ed accordi dell’anima. Per molte insegnanti si è trattato d’un “viaggio” alla ricerca di sé<br />
per trovare il bambino che abita in loro, come in ognuno di noi. Solo così, forse, è<br />
possibile ri-accostarsi al bambino reale. Una poesia di Luigi Riceputi 7 riassume l’ultimo<br />
tratto di questo cammino:<br />
7 L. Riceputi, L’ombra <strong>perduta</strong>, edizione privata, p. 15<br />
XLVIII<br />
i veri filosofi sono i bambini<br />
che pongono la domanda<br />
e “che cosa vuol dire” chiedono sovente<br />
come Platone, perché sono alla ricerca dell’essenziale.<br />
solo loro possiedono il problema e la soluzione,<br />
la chiave del sapere, della vita<br />
ma per aprire hanno bisogno dei grandi<br />
che l’hanno smarrita.<br />
Parte Prima
Occorre molta fede<br />
per riconoscere simboli<br />
in ciò che è avvenuto realmente<br />
soprattutto in ciò che avverrà più tardi<br />
perché l’oggi è il sempre<br />
tutte le linee di fuga dell’esistenza<br />
ne partono<br />
aghi magnetici da ogni lato oscillanti<br />
sensibili ad ogni vento<br />
Cristina Campo
L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />
L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong>. *<br />
Introduzione ai disegni e al loro commento.<br />
“L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong>” è una variante del titolo suggeritomi dalle poesie di<br />
L. Riceputi intitolate appunto “L’ombra <strong>perduta</strong>” 1 .<br />
“…<strong>delle</strong> <strong>paure</strong>…”, la parte che segue il titolo originario, traduce un itinerario teorico<br />
realizzatosi nel corso di una formazione ai docenti <strong>delle</strong> scuole elementari sul tema della<br />
sessualità infantile. La sessualità di cui si è trattato è stata ovviamente quella psichica mentre<br />
le parole per dirla sono risalite da quella lingua segreta che le fiabe racchiudono in sé. I<br />
bambini, protagonisti dei disegni di questa raccolta, sono stati anche gli artefici di altri<br />
racconti in cui fate e streghe, orchi e lupi sono i personaggi che vivono nel tempo del bosco<br />
a guardia del loro reame.<br />
Come nei sogni, strane figure hanno calcato la scena dell’infanzia lasciando apparire l’ombra<br />
di antichi fantasmi che sembravano svaniti senza lasciar traccia.<br />
Questo testo finale è stato raccolto secondo una linea di pensiero che, trasferito sul piano<br />
formativo con i docenti e ludico-didattico tra questi ed loro alunni, commenta la sessualità<br />
dall’infanzia all’adolescenza.<br />
Il lavoro che lo ha preceduto si è basato sull’ipotesi teorica che le figure del mondo interno,<br />
presenti nei primitivi scambi sensoriali tra madre e bambino, forniscano la base alle future<br />
vicende della psiche. Nella sessualità, i fantasmi d’un tempo sono gli attori d’adesso, chiamati<br />
a rispondere sotto costumi diversi, ai volti dell’identità. In questo testo, i disegni dei bambini<br />
raccontano l’importanza <strong>delle</strong> relazioni con gli “oggetti” internalizzati liberati, attraverso le<br />
proiezioni pregenitali ed arcaiche, sotto i molteplici travestimenti del lupo, o dell’orco, o<br />
della strega. In effetti, tutti questi personaggi parlano della scena primaria, dell’amore<br />
cannibale, di brame inappagate, e formano una rapsodia di “pezzi” interiori che si decantano<br />
nei vari tempi e ritmi della sessualità.<br />
Data questa ipotesi di partenza, la scelta si è orientata nel riesumare ed esplorare le teorie<br />
sessuali infantili stratificate nel terreno della personale ricerca creativa. Ma per entrare<br />
nell’intimo scenario del teatro interno, un po’ come sa fare Tonky 2 , il bambino della fiaba<br />
<strong>delle</strong> ombre, era importante trovare una chiave magica. Diversamente dal piccolo Dick 3 ,<br />
porte e serrature non avrebbero schiuso stanze da violare, talami da usurpare, bensì fantasmi<br />
da liberare, scenari da fantasticare, corpi da esplorare, alla ricerca di un quesito indissolubile<br />
che il mistero racchiude e l’enigma solo accenna.<br />
Qual’é la domanda impossibile a cui tenta di rispondere il bambino nella costruzione geniale<br />
<strong>delle</strong> sue teorie sessuali? E qual’è la prima rappresentazione somatopsichica attraverso cui<br />
egli già nasce ad una individuale elaborazione? Dall’interrogativo primigenio “da dove<br />
vengo” e “dove vado”, l’intento è stato di costruire un’operazione di equivalenza tra stato<br />
mentale e sessualità. Se la prima fecondazione è quella orale, quando il cibo/mamma<br />
* Lorena Fornasir, psicologa clinica, psicoterapeuta<br />
1 Trattasi di poesie ancora inedite. Luigi Riceputi è un poeta contemporaneo in cui il tema dell’ombra e dell’anima ricorrono frequentemente come<br />
ermeneutica del profondo. Di lui, è già stato pubblicato Quel che manca (1982), Non il cerchio o la linea (1985), In ogni punto/In ogni frammento (1989),<br />
Come un alato amico (1993), L’angelo parallelo (1994). Le poesie raccolte sotto il titolo “L’ombra <strong>perduta</strong>” hanno accompagnato questo percorso dedicato<br />
al pensiero del bambino come tentativo di restituire all’infanzia il suo mondo gravido di competenze dis-conosciute<br />
2 Laszlo Varvasovszky, “Tonky e le ombre”, Emme edizioni, Milano 1981<br />
3 Caso trattato da M.Klein in Scritti, L’importanza della formazione dei simboli nello sviluppo dell’Io, 1930, Boringhieri, Torino 1978<br />
5
L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />
“feconda” il suo bambino permettendogli di introiettare tanti cibi od oggetti interni, la<br />
seconda risiede nella possibilità che lo spazio interno, occupato dalle identificazioni<br />
introiettive, generi, attraverso la famosa equivalenza pene/bambino, il grembo alla fertilità<br />
del pensiero. Tra la fecondazione orale e la nascita del pene/bambino si stagliano, come in<br />
uno schermo, due bocche ed uno spazio di transizione in cui il cibo/“oggetto” viaggia e si<br />
trasforma. Fantasie predatorie, aggressive, di penetrazione e di rapina 4 accompagnano, unite<br />
ad altre sensazioni, questo strano passaggio da una bocca all’altra, da un’apertura all’altra.<br />
Nella prima, l’incorporazione permette di acquisire e possedere le qualità dell’“oggetto”,<br />
nella seconda di perdere e “mettere al mondo” (per il bambino è il dono che regala alla<br />
mamma) l’oggetto fecondato dall’amore. La bocca, inoltre, come cavità primaria, apertura<br />
od orifizio ma, soprattutto, “bouquet di sensazioni eccitanti ed appaganti” 5 , al servizio del<br />
legame, del pensiero e del linguaggio. Nel bagno di suoni e di oggetti concreti che la<br />
riempiono, si apre un teatro 6 in cui le pulsioni trovano i loro punti d’appoggio e le fantasie<br />
gli spazi scenici in cui rappresentarsi. Tra una bocca e l’altra si schiudono diversi palcoscenici,<br />
in cui i personaggi interiori recitano i ruoli a loro già destinati dall’introiezione che hanno<br />
saputo fare dell’“oggetto”. Ancora, tra incorporazione, introiezione, identificazione, proiezione<br />
ed espulsione, ogni figura di questo teatro psichico occupa un luogo preciso che<br />
corrisponde ad uno spazio nella mente in cui, forse, essa è contenuta e pensata. Il “viaggio”<br />
dal seno alla testa o dalla bocca all’ano si configura così come culla per una nascita al pensiero<br />
(quello introiettivo), o come il “claustrum” nel corpo in cui il pensiero stesso va ad occupare<br />
rimanendone inprigionato, “zone” rifiutanti senza uscita 7 .<br />
“Da dove vengo” e “dove vado” è dunque la storia di questo itinerario raccontato per<br />
immagini seguendo come nelle fiabe, non strade che non ci sono o sentieri che di rado<br />
portano a un punto; bensì quella meta che dentro di sé è come lo specchio vicino alla<br />
sorgente, in quel limitare tra tempi dove nasce l’arcana lingua dell’infanzia.<br />
Il tema della fiaba è stato appositamente prescelto per l’eredità primitiva che possiede ed i<br />
cui contenuti magici, latenti e misteriosi, formano quel sillabario della mente attraverso cui<br />
il bambino impara a leggere le immagini che lo abitano. La scelta di tre fiabe: Hansel e<br />
Gretel, Pierino Porcospino e Tremotino, hanno segnato dei punti di passaggio nel tentare<br />
un’opera d’integrazione tra la sessualità infantile e quella genitale: dai fantasmi della<br />
sessualità orale e preedipica, dalla rappresentazione degli impulsi più primitivi quali l’avidità<br />
e la distruttività personificati dalla strega del bosco, il bambino impara - attraverso il<br />
superamento di una serie di prove – a rinunciare alla gratificazione immediata degli impulsi<br />
e ad inoltrarsi nella foresta del mondo se non vuol rimanere un “Porcospino”. Le forme<br />
attraverso cui egli costruisce il suo individuale percorso, lo pongono di fronte ai misteri della<br />
vita che sempre rimandano all’origine da cui proviene. Il regno dell’origine è anche la natura<br />
in cui Tremotino rischierebbe di rimanere catturato se su di lui non ricadesse la Legge della<br />
cultura. La sessualità pone al bambino, verso la fine della latenza, l’irrinunciabile e non più<br />
procastinabile questione del “luogo” da cui egli proviene e a cui può fare riferimento come<br />
riconoscimento all’ordine del nuovo cosmo della genitalità.<br />
Questa cornice teorica assieme alle fiabe prescelte, è stata la stoffa di pensieri che ha<br />
permesso di parlare del bambino, della sua sessualità e della sua competenza di pensiero.<br />
Le varie fasi che hanno accompagnato la costruzione del testo finale sono sintetizzate negli<br />
schemi sottostanti e riflettono, in una estrema sintesi concettuale, l’elaborazione dei passaggi<br />
tra i tempi della sessualità psichica: dalla nascita al pensiero, alla nascita all’identità sessuale.<br />
4 M. Klein, ibidem<br />
5 F. Tustin, Stati autistici nei bambini, Armando editore, Roma 1983<br />
6 D. Meltzer parla di “teatro della bocca” come di uno spazio intermedio fra pensiero e mondo esterno in cui si sviluppa il linguaggio<br />
7 D. Meltzer, Exposé à propos de l’identification projective, in Le bulletin du groupe d’études et de recherches psychanalytiques pour le développement de<br />
l’enfant et de nourisson, vol 16, 1988<br />
6<br />
Schema Riassuntivo<br />
di un possibile uso di categorie teoriche in ordine sequenziale<br />
per un discorso sulla sessualità infantile<br />
NASCERE AL PENSIERO<br />
La “nascita al pensiero” non è la “nascita del pensiero”<br />
LA “NASCITA DEL PENSIERO”<br />
riflette l’aspetto funzionale della mente: dai pensieri pre-operatori ai pensieri logico-formali<br />
LA “NASCITA AL PENSIERO”<br />
riflette la capacità di trasformare, creare simboli là dove c’era solo concreta realtà, realtà<br />
fattuale, realtà resa cosa<br />
IL SI<strong>MB</strong>OLO<br />
La “nascita al simbolo” separa il prima (mondo interno fatto di cose regno della natura,<br />
della pulsione, degli istinti disordinati, del caos) dal dopo (mondo interno abitato dall’ordine<br />
del kosmo, della parola, del simbolo, dell’immaginario)<br />
LA NASCITA AL SI<strong>MB</strong>OLO<br />
è il crinale tra la follia e la ragione; grazie alla rimozione pulsionale avviene il passaggio dal<br />
caos al cosmo che permette al soggetto di accedere dal regno della natura al mondo della<br />
cultura.<br />
Con la rimozione nasce l’inconscio<br />
COS’È L’INCONSCIO?<br />
Per capire cos’è l’inconscio bisogna essere preparati a rispondere a quest’altra domanda:<br />
“cos’è un carciofo”? Freud ne parla nel “Sogno della monografia botanica” chiedendosi:<br />
cos’è un carciofo se non la struttura che tiene assieme tutte le foglie e che sfogliandola ci<br />
lascerà tra le mani non più un carciofo, e neanche l’essenza di un carciofo, ma lo sparpaglio<br />
di foglie morte? L’inconscio è come un carciofo: si lascia evocare ma non sviscerare.<br />
7
L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />
DAI PROTOPENSIERI ALLA SI<strong>MB</strong>OLIZZAZIONE<br />
quando il bambino impara a simbolizzare, cioè ad utilizzare il pensiero simbolico al posto<br />
del pensiero concreto e della rappresentazione pittografica, egli nasce all’apparato psichico 8<br />
esempi di operazioni simboliche:<br />
❑ la parola “mamma” sostituisce la mamma reale, il succhiotto sostituisce il capezzolo, il<br />
lembo del lenzuolino “consola” e “sta” al posto della mamma<br />
❑ il cappello del Piccolo Principe 9 sta al posto del boa che ha ingoiato l’elefante<br />
quindi la parola “mamma”, il lenzuolino, il ciuccio, il cappello sono presenze simboliche<br />
di una assenza reale<br />
PENSIERI DI FANTASIA<br />
Il pensiero del bambino è un pensiero per immagini. Il bambino impara a pensare per<br />
immagini. Le sue immagini, all’inizio, hanno la “forma” di “fantasie”. Le “fantasie” sono<br />
una forma di proto pensieri: esse risiedono nello strato arcaico della mente ed accompagnano<br />
tutte le vicende della psiche.<br />
QUAL’È IL DESTINO DELLE “FANTASIE”?<br />
Innanzitutto essere appaiono nel gioco (la salute di un bambino si coglie dalla sua capacità<br />
di saper giocare); riemergono nei sogni, nei miti personali, nelle teorie soggettive, o anche<br />
nei sintomi, ed accompagnano le vicende della libido; esse sono il sillabario della mente<br />
umana attraverso cui il bambino impara a leggere il suo mondo interiore. La fiaba e i miti<br />
narrano sotto forma di immagini le scene del teatro psichico interiore, le icone depositate<br />
nello strato arcaico della psyché.<br />
8 si veda al proposito A. Cicone – M. Lhopital, La nascita alla vita psichica”, Borla, Citta di Castello 1994<br />
9 Antoine De Saint-Exupéry, Il piccolo Principe, pag. 7-8, Bompiani editore, Milano 1996<br />
8<br />
Fantasie e Fantasmi<br />
IL FANTASMA DEL BA<strong>MB</strong>INO<br />
È un fantasma che nasce da quel terreno di un tempo passato fatto di scambi psicosensoriali<br />
fra mamma e bambino.<br />
Il fantasma più arcaico si basa sull’esperienza di poter divorare senza essere divorato: ciò<br />
conduce all’esperienza della soddisfazione e del piacere.<br />
LA SODDISFAZIONE E IL PIACERE<br />
sono resi possibili in quanto l’esperienza di mangiare e divorare (il seno/mamma) non è<br />
associato al sentimento di essere divorati; cioè l’“attacco” non è seguito dalla “ritorsione”<br />
(sentimento persecutorio della posizione schizoparanoide) e quindi dall’angoscia di<br />
annichilimento: angoscia di essere divorato a propria volta, di “essere fatto fuori”, di<br />
“andare a pezzi”, “a frammenti” 10<br />
LE ANGOSCE E IL “CONTENITORE”<br />
All’inizio della vita, le angosce del bambino sono<br />
❑ pensieri non mentalizzabili<br />
❑ emozioni grezze } elementi beta 11<br />
❑ stati mentali intollerabili e da “evacuare”<br />
❑ non sono a disposizione del pensiero, per loro non c’è né rimozione né repressione né<br />
apprendimento<br />
Il bimbo ha dunque bisogno di un contenitore psichico (madre / mente / ambiente) che<br />
accolga le sue proiezioni e le trasformi in una forma mentalizzabile e pensabile attraverso<br />
un’opera di integrazione e unione della sua personalità sorretta dalla funzione α della mente<br />
della madre.<br />
L’ARTE DEL CONTENITORE<br />
È l’arte della rêverie, della holding, del contenimento, del pensiero alfa che restituisce al<br />
bambino gli elementi non pensabili, i non pensieri, gli elementi beta, trasformati in contenuto<br />
tollerabile e rappresentabile. Il “contenitore” ha la funzione di “grembo mentale”, è<br />
“l’utero della mente”.<br />
Seguendo la clinica di Meltzer, le potenzialità del contenitore (madre/ambiente) si caratterizzano<br />
per la loro “funzione sfinterica” ossia per le capacità di organizzare nel bambino la<br />
sua mente ed i suoi sfinteri psichici (orifizi mentali: eiezioni, “buttare fuori” con il pianto,<br />
con le grida, con la motricità...). Allora gli elementi grezzi, i non pensieri, chiamati anche<br />
elementi beta, possono essere trasformati grazie appunto alla “funzione sfinterica” del<br />
“contenitore” (madre/ambiente).<br />
10 questo tipo di angosce sono state descritte molto bene da M. Klein in: La psicoanalisi dei bambini, Martinelli editore, Firenze, 1970 e in Scritti, Sulla teoria<br />
dell’angoscia e senso di colpa, Boringhieri, Torino, 1978<br />
11 W.R.Bion, Apprendere dall’esperienza, Armando editore, Roma 1972<br />
9
L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />
L’ARTE DEL CONTENITORE secondo Meltzer 12<br />
la base del processo evolutivo risponde alla capacità da parte del contenitore di modulare le<br />
emozioni secondo <strong>delle</strong> funzioni, di cui le otto principali sono disposte in quattro paia<br />
contrapposte:<br />
1 - 2 generare amore ↔ suscitare odio<br />
3 - 4 promuovere speranza ↔ seminare disperazione<br />
5 - 6 contenere la sofferenza depressiva ↔ trasmettere ansia persecutoria<br />
7 - 8 pensare ↔ creare confusione<br />
Questo modello è alla base di ogni relazione affettiva. L’esperienza del piacere e del dispiacere<br />
affonda le sue radici sul bisogno “incorporativo” che regola il primitivo “scambio” tra<br />
madre e bambino. In questo scambio, il bambino utilizza la nutrizione come appoggio nella<br />
relazione affettiva con la madre<br />
LA BOCCA<br />
È l’organo di questo “scambio”, è il primo organo di “contatto”. La bocca è una zona<br />
“erogena”, essa si comporta autoeroticamente, sessuale è il piacere ottenuto succhiando” (S.<br />
Freud “Vita sessuale umana”)<br />
“La prima organizzazione sessuale è la fase orale” (S. Freud)<br />
L’eccitazione sessuale si localizza nell’istinto di nutrizione.<br />
❑ ne è una prova la anoressia <strong>delle</strong> adolescenti che esprime un rifiuto della sessualità.<br />
❑ ne è un segno il desiderio d’amore che si esprime paradossalmente con la frase tipica “ho<br />
voglia di mangiarti”<br />
❑ una bella donna è “appetitosa”, una ragazza graziosa “tutta da sgranocchiare”<br />
Mangiare l’“OGGETTO” del proprio amore significa conservarlo:<br />
l’incorporazione permette di acquisire, possedere le qualità dell’“oggetto” :<br />
❑ ne sono una prova i riti d’incorporazione cannibalica del capo<br />
❑ ma anche la comunione: “Prendete e mangiate, questo è il mio corpo; prendete e<br />
bevete, questo è il mio sangue<br />
IL CONTATTO BOCCA SENO<br />
rappresenta il prototipo di ogni relazione affettiva, è la “relazione”, “il legame” che, attraverso<br />
la nutrizione, stabilisce l’organizzazione dello schema affettivo.<br />
10<br />
RIEPILOGO IN SCHEMA<br />
B O C C A<br />
è la sede del<br />
nutrimento – piacere – soddisfacimento<br />
↕<br />
l’azione che porta al soddisfacimento è il mangiare<br />
↕<br />
mangiare<br />
è un’azione che implica degli atteggiamenti<br />
↕<br />
gli atteggiamenti<br />
sono indotti dalle<br />
“fantasie”<br />
azioni fantasie<br />
succhiare esplorare<br />
leccare rubare<br />
ciucciare penetrare<br />
ingoiare depredare<br />
masticare rapinare<br />
morsicare attaccare<br />
sono all’origine del<br />
SENSO DI COLPA - ANGOSCIA<br />
per aver “aggredito” in fantasia l’“oggetto” fonte di piacere e amore<br />
↕<br />
l’angoscia<br />
è la fonte della creatività, dell’impulso a riparare<br />
è il terreno d’origine della conoscenza<br />
da essa trae origine la formazione dei simboli13 12 D. Meltzer, M. Harris, Il ruolo educativo della famiglia - un modello psicoanalitico dei processi d’apprendimento, Centro Scientifico editore, 1986 13 M. Klein, Scritti - L’importanza della formazione dei simboli nello sviluppo dell’Io, 1930, Boringhieri, Torino 1978<br />
↵<br />
↵<br />
11
L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />
IL PASSAGGIO SUCCESSIVO È DALLA BOCCA ALL’ANO<br />
TEORIE SESSUALI INFANTILI<br />
Le teorie sessuali infantili sono il patrimonio creativo del bambino attraverso cui egli tenta<br />
di costruire un pensiero sull’origine del mondo e della vita, cercando una risposta<br />
all’impossibile domanda che da sempre si è posta l’umanità: “da dove vengo - dove vado”.<br />
Esse sono definite da Freud come una “conoscenza geniale”; egli le paragona ai “tentativi<br />
geniali degli adulti per risolvere i problemi più ardui che l’universo pone all’intelletto umano”.<br />
La loro importanza è tale che, sempre Freud, parla di una vera e propria resistenza infantile<br />
alle spiegazioni sessuali e paragona i bambini a quei primitivi “cui è stato imposto il<br />
cristianesimo che però continuano in segreto ad adorare i loro vecchi idoli 14 ” in uno stato<br />
di pervicace idolatria.<br />
14 S. Freud, Analisi terminabile e interminabile, 1937, Boringhieri, Torino 1979<br />
12<br />
BOCCA<br />
“prende”-“riceve”<br />
qualcosa dall’altro<br />
(incorporazione)<br />
↵<br />
“fecondazione orale”<br />
nella pancia diventa un bambino<br />
il bambino “entra” ed “esce”<br />
attraverso questi orifizi<br />
ANO<br />
⇓ ⇓<br />
“perde”-“elimina”<br />
qualcosa di proprio<br />
(primo lutto)<br />
La principale <strong>delle</strong> teorie sessuali infantili si basa sulla convinzione che “i bambini si<br />
concepiscono mangiando certe cose e si partoriscono con l’intestino come le feci”.<br />
(S. Freud)<br />
↵<br />
TEORIA DELLA CLOACA<br />
per il bambino piccolo la “cacca” è il primo grande prezioso dono che egli regala alla mamma,<br />
nel suo significato simbolico primario la “cacca” è assimilabile al “bambino”.<br />
“Come “regalo” assume poi il significato di “bambino” che, secondo una <strong>delle</strong> teorie sessuali<br />
infantili, viene acquisito mangiando e partorito attraverso l’intestino”.<br />
“…La defecazione è la prima situazione in cui il bambino deve decidere fra un atteggiamento<br />
narcisistico ed un amore oggettuale. O cede di buon grado gli escrementi, li “sacrifica” come<br />
pegno d’amore, oppure li ritiene per soddisfare un impulso autoerotico, e in seguito per<br />
affermare la propria volontà…”.<br />
(S. FREUD “Trasformazioni pulsionali particolarmente dell’erotismo anale”, Opere vol. 8,<br />
pag. 185)<br />
Equivalenza tra stato mentale e sessualità<br />
la cacca<br />
in<br />
bambino<br />
(fase anale)<br />
in<br />
pene<br />
(fase edipica)<br />
❏ Capacità di possedere il pene,<br />
per il bambino<br />
❏ “Dare” un bambino,<br />
“Fare” un bambino<br />
per la bambina<br />
↵<br />
IL NUTRIMENTO CIBO PSICHICO<br />
necessita di un buon<br />
⇓<br />
“c o n t e n i t o r e”<br />
(madre / ambiente)<br />
che possegga le funzioni di<br />
⇓<br />
rêverie<br />
holding<br />
contenimento<br />
capaci di<br />
T R A S F O R M A R E<br />
⇓ ⇓<br />
Processo di Mascolinità<br />
Processo di Femminilizzazione<br />
=<br />
Identità Sessuale<br />
emozioni,<br />
non-pensieri<br />
(stato bidimensionale<br />
della mente)<br />
in<br />
pensiero<br />
creatività<br />
(stato tridimensionale<br />
della mente)<br />
in<br />
generatività<br />
(stato quadridimensionale<br />
della mente)<br />
↵<br />
13
L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />
Dopo l’esposizione dei nuclei teorici di riferimento sintetizzati schematicamente per punti<br />
ed elaborati per un approccio alle tematiche dell’identità sessuale, è possibile approfondire i<br />
contenuti che li sostengono.<br />
Uno degli aspetti principali che consente un dire sulla sessualità, dovrebbe partire dal<br />
pensiero del bambino come mappa <strong>delle</strong> sue vicende libidiche. Una simile esplorazione in<br />
“territori” non esplorati richiede, tuttavia, capacità di holding e di rêverie. La possibilità di<br />
sognare, immaginare, dare forma alle figure che risiedono negli strati arcaici della mente<br />
infantile aiuta a ri-creare il “paesaggio” psichico dove lo spazio mentale diventa ponte,<br />
sponda, articolazione. Rêverie, dunque, come forma di pensiero e condizione per costruire<br />
quell’unità che è, al tempo stesso, senso ed integrazione del soggetto.<br />
Sollecitare queste immagini può stimolare aspetti proiettivi che richiedono non solo di<br />
trovare forma ai contenuti espulsi e gettati nello spazio (somatico o extracorporeo), ma<br />
anche la presenza di una mente capace di contenerli e trasformarli.<br />
Il nodo di questa complessa tematica richiede una condizione irrinunciabile: quella di<br />
tollerare il contenuto <strong>delle</strong> proiezioni. Il prototipo di questa funzione è rappresentato dalla<br />
relazione madre bambino e dalla sua rêverie 15 intesa come possibilità di trasformazione dei<br />
contenuti intollerabili in emozioni pensabili. Quando queste capacità non sono minate, la<br />
mente della madre o dell’insegnante svolge il ruolo di “levatrice della mente” del bambino<br />
grazie alla possibilità - secondo il modello proposto da Meltzer - di generare amore/<br />
promuovere speranza/contenere la sofferenza depressiva/pensare. Quando dunque la<br />
mente della madre (maestra) è contenitrice, ella consente che il suo bambino (alunno) provi<br />
la sofferenza mentale (frustrazione-pena) poiché lei stessa gli fornisce la base per tollerare la<br />
pena e trasformare il dolore in immagine (allucinare il seno assente), in pensiero (sostituire<br />
l’assenza concreta con la presenza simbolica), in parola (la parola “mamma” è presenza di<br />
un’assenza). È la nascita al pensiero ed anche la base del processo evolutivo. Attorno a questi<br />
assi concettuali, e alla condizione di riconoscere al pensiero del bambino la sua centralità, è<br />
ipotizzabile costruire un discorso sulla sessualità infantile. A partire da tali presupposti, la<br />
dimensione ludica e creativa può, infine, essere suggellata da una coreografia del fantastico,<br />
ossia una pittura della mente che dipinga un mondo di scene anteriori nell’intreccio di<br />
immagini insondabili e figure dicibili.<br />
Il percorso che si condensa nelle pagine di questi disegni, inizia in un bosco e incrocia un<br />
bimbo atterrito dalla sua ombra. Una grande bocca lo seduce a sé catturandolo in un viaggio<br />
che condurrà ad altre bocche. La bocca dello stomaco, antri dentati, grotte insidiose rivelano<br />
il fruscio di strane figure che parlano e vibrano nel corpo per svanire nella psiche. Alla fine<br />
del tragitto un’altra grotta sta a guardia e limite di quell’uscita che è anche imbocco,<br />
apertura, entrata, simile alla rocca di Alì Babà e i quaranta ladroni: come nella parola magica<br />
“apriti o Sesamo”, il bimbo s’impossessa della chiave del pensiero che gli annuncia la<br />
soluzione ma che lo rimanda all’enigma. Tra una bocca e l’altra s’inscena dunque la sessualità<br />
che, come vuole una <strong>delle</strong> più note teorie infantili, comincia con la fecondazione orale e<br />
termina con la nascita del pene/bambino. Il ricorso all’equivalenza tra stati mentali e<br />
sessualità ha seminato il sentiero di spazi prospettici. Tra giochi di specchi, il bambino esce<br />
dal fitto buio in cui s’era inoltrato dentro la pancia del bosco e ritrova, come Hansel e Gretel,<br />
la via di casa.<br />
Inoltrarsi nel sentiero del bosco, esplorare, entrare nell’arché, comporta il rischio emozionale<br />
d’evocare voci lontane, frammenti d’un tempo ora ricomposti dentro le lucide armature che<br />
i bimbi indossano come cavalieri alle loro prime crociate nella vita. Ma i loro corpi armati di<br />
fragili corazze, non sono riusciti a nascondere le fantasie che scorazzano nelle dimore interne<br />
15 W.R.Bion, Apprendere dall’esperienza, Armando editore, Roma 1972<br />
14<br />
in uno iato tra il fuori che appare integro e il dentro che si scherma. Fantasie che colte come<br />
fiori in un prato, parlano da un luogo in cui ogni petalo è il cuore d’un pensiero, ogni stelo,<br />
ogni germoglio, una gemma di luce che riflette la qualità d’amore che l’ha nutrito 16 . Se<br />
l’amore coincide, come potrebbe, con il riconoscere al pensiero infantile la sua competenza<br />
nel giudicare, allora ogni figura e ogni fantasma acquista un senso. Altrimenti si apre uno<br />
scenario di rebus indecifrabili, e l’immagine rimane l’unica garante di un giudizio non<br />
espresso che il bambino cattura nelle cripte <strong>delle</strong> sue difese, quando la qualità di questo<br />
amore è, per lui, non degno o indegno alla sua cura. Ogni orco o ogni fata, un tappeto<br />
volante o un principe ranocchio, Pollicino o Pelle d’Asino, sono dunque non solo eroi d’un<br />
testo s-pensierato, ma precise e distillate figurine della psiche chinate sulla propria infanzia a<br />
raccogliere pensieri sconfessati, forclusi o denegati, rimossi o rifiutati da chi per primo<br />
l’appello all’amore non è stato capace di cogliere o donare.<br />
Vale la pena accennare, anche se parzialmente, il gioco d’intenti che ha guidato i bimbi<br />
nelle pitture dei loro scenari: a) disegno di un sogno o del mistero o di personaggi <strong>delle</strong><br />
fiabe; b) disegno dei fantasmi che vivono nel bosco; c) libere associazioni sugli orchi e le<br />
streghe del bosco e invenzione di una storia; d) invenzione della storia della bocca che<br />
mangia; e) costruzione e disegni di un viaggio: il viaggio del cibo dentro la bocca; f) libere<br />
associazioni e disegni sul cibo e sul viaggio del cibo come metafora della fecondazione<br />
orale, della gravidanza, della nascita; g) le trasformazioni del cibo come metafora della<br />
nascita: evacuazione (come la cacca) o nascita (come il bambino)?; h) fantasie sulla nascita:<br />
le teorie sessuali infantili; i) disegno della nascita ricostruendo la memoria <strong>delle</strong> individuali<br />
credenze d’un tempo; l) uso dello scarabocchio per l’invenzione di storie sulla nascita;<br />
m) uso del mito di Platone sull’uomo primordiale tratto dal Simposio.<br />
16 v. M. Mahler, Le psicosi infantili, Boringhieri, Torino 1972; La nascita psicologica del bambino, Boringhieri, Torino, 1975 alla luce dell’interpretazione<br />
sull’amore di E.Perrella, Per una clinica <strong>delle</strong> dipendenze, Franco Angeli, Milano 1998<br />
15
L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />
La raccolta dei disegni e il loro commento non è casuale ma segue un ordine di pensiero.<br />
Nel commentarli, ho soprattutto cercato di rendere evidenti i nuclei teorici affrontati che<br />
sorreggono le interpretazioni ai disegni stessi, avendo come riferimento i modelli della<br />
clinica psicoanalitica.<br />
SCHEMA DI LETTURA<br />
A Le ombre perdute <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> annunciano l’inconscio Pag. 17<br />
B Per accostarsi all’inconscio bisogna possedere la “chiave del pensiero” » 19<br />
C Solo così si può entrare nel palcoscenico interiore e trovare insoliti volti,<br />
strane figure » 20<br />
D Nella “casa di marzapane” troviamo i primi fantasmi » 21-22<br />
E E le bocche dell’oralità: “bouquet”, “discarica”, “foresta”,<br />
“sandwuich” » 23-25-27-29<br />
F Ma anche le trappole dell’oralità e la sessualità di “Pelle d’Asino” » 30-31<br />
G Ritroviamo i fantasmi <strong>delle</strong> teorie sessuali infantili » 33-35-37-38<br />
39-40-41-42<br />
H Che si riedificano all’inizio della pubertà » 43-45<br />
I c’è un pensiero che circonda le antiche teorie sessuali:<br />
1- l’aspetto di pensiero della teoria della cloaca » 46<br />
2- l’aspetto di pensiero della teoria della cloaca e l’uso del “contenitore” » 47<br />
3- l’evacuazione del pensiero e la teoria della cloaca » 48<br />
4- le armi letali e le teorie infantili in un pensiero sull’oralità » 49<br />
L l’esplodere della sessualità riporta il “caos” come nel volto<br />
“messo tutto male” » 50<br />
M l’enigma della Sfinge e l’edipo infantile sono il punto d’incrocio<br />
tra sessualità e identità » 51<br />
16<br />
L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />
A<br />
L’ombra e l’inconscio.<br />
La fiaba di Italo Calvino “Giovannin senza paura” sollecita<br />
la domanda: “ma perché Giovannin, che non ha paura<br />
di nulla, muore di spavento vedendo la sua ombra?”<br />
Il bambino di V elementare disegna l’ombra e risponde:<br />
"per me Giovannino si è spaventato perché la sua ombra<br />
era riflettuta su tre chiodi e una spaccatura del muro,<br />
lui solo al buio ha creduto che fosse un mostro"<br />
L’ombra di questo bambino sembra essere l’espansione di quella parte del suo Sé a lui<br />
più sconosciuta e pur così potentemente presente nel suo immaginario. È, ovviamente,<br />
l’ombra di una rappresentazione interna che travolge il suo piccolo Io, minuscola creatura<br />
all’ingresso di un grande buco bocca tutto bianco, figurina rimpicciolita ed insignificante<br />
in contrasto con le forze buie impigliate tra pulsioni estreme (vita/morte) ed estreme<br />
istanze (Es, Super Io). Il mondo pulsionale, lo abita e lo aggredisce, è la cosa senza nome<br />
che dovrebbe rimanere segreta, nascosta, rimossa. Freud la fa coincidere con l’inconscio e<br />
il perturbante, spingendolo ad affermare “…è quella sorta di spaventoso che risale a quanto<br />
ci è noto da lungo tempo, a ciò che ci è familiare… 1 ”. La parte oscura, buia, irrapresentabile<br />
di sé, si proietta sullo schermo del suo spazio mentale come mostro gigantesco,<br />
sovraumano. Tre chiodi: i due occhi e il naso iniettati di sangue, trattengono questo lato<br />
inquietante del suo essere. La fessura marrone disegna il ghigno di una bocca che<br />
sadicamente sa di avere in trappola lo spirito del bambino. Eppure, ogni bambino di<br />
questo mondo sembra andare in cerca della paura, quasi spavaldo e sfrontato di fronte ai<br />
pericoli, come un piccolo alfiere sicuro di sconfiggere il drago dei suoi sogni e diventare<br />
così un eroe. Perché i bambini sono attratti dalle <strong>paure</strong>? Cosa li spinge a cercarle? Come<br />
comprendere la loro mancanza di paura se non pensando che essi, di fatto, si slanciano<br />
impavidi verso i pericoli, sicuri di trovare un adulto che li sa governare, orientare,<br />
precedere e quindi salvare? Le <strong>paure</strong> dei bambini sono forse una sorta di appello all’Altro,<br />
un modo di chiedere di essere contenuto e pensato nella testa di una madre o di un padre;<br />
sono l’esigenza di trovare un limite, una barriera, un confine. Nel loro esprimersi, esse<br />
incontrano l’angoscia. L’angoscia si colloca sull’orlo di un vuoto di sapere, è il venir<br />
meno di qualcosa che si sa, è il muoversi pericoloso dell’inanimato verso l’animato, è un<br />
rapporto che chiama in causa ciò che è vivo e ciò che è morto. L’angoscia, che per la<br />
clinica kleiniana è fonte di creatività, è anche dato buio della vita in cui l’immagine svanisce,<br />
perde la forma, ed avanza il vuoto, la non forma (ombra) o fondamento psicotico<br />
del soggetto. L’angoscia che il bambino incontra è angoscia del nulla, del vuoto, dell’ine-<br />
1 S. Freud, Opere, “Il perturbante”, pag. 82, ed. Boringhieri, TO 1989<br />
17
L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />
sprimibile, angoscia di annichilimento, di sparire, di svanire. Tutto questo è ciò che evoca<br />
l’ombra a “Giovannin senza paura” al quale “un giorno successe che voltandosi, vide la sua<br />
ombra e se ne spaventò tanto che morì” 2 . Ma, più di qualsiasi commento, valgono queste<br />
stupende pagine di Michelstaedter tratte da “La persuasione e la rettorica” 3 :<br />
“come quando affievolendosi la luce nella stanza, l’immagine <strong>delle</strong> care cose, onde il vetro<br />
vela l’oscurità esterna, si fa più tenue, e più visibile si fa l’invisibile; così quando la trama<br />
dell’illusione s’affina, si disorganizza, si squarcia, gli uomini, fatti impotenti, si sentono in<br />
balia di ciò che è fuori della loro potenza, di ciò che non sanno: temono senza saper che<br />
temano. Si trovano a voler fuggire la morte senza più aver la via consueta che finge cose<br />
finite da fuggire, cose finite cercando.<br />
I bambini - quasi vite in provvisorio - hanno molto meno definita la trama, molto più varia<br />
e disordinata, qui densa e luminosa, lì sottile e oscuro-trasparente. Essi hanno gioie vive che<br />
gli uomini non conoscono più, e molto più spesso che gli uomini sono in balìa di questi terrori.<br />
Nelle tregue <strong>delle</strong> loro imprese, dei loro piani, quando sono soli, e da nessuna cosa di ciò che<br />
li attornia sono attratti o a frugare, o a rubare, o a rompere, o a discorrere o a tutte quelle<br />
altre loro occupazioni, si trovano con la piccola mente a guardare l’oscurità. Le cose si<br />
sformano in aspetti strani: occhi che guardano, orecchi che sentono, braccia che si tendono, un<br />
ghigno sarcastico e una minaccia in tutte le cose. Si sentono sorvegliati da esseri terribilmente<br />
potenti, e che vogliono il loro male. Non fanno più un gesto senza riflettere ad “Essi”. Se lo<br />
fanno con una mano, lo devono far anche con l’altra. […]. Quando passano una camera<br />
oscura, sembra ai bambino che questi “Essi” gridino mille voci, che con mille mani li<br />
abbranchino, che in mille guizzi ghigni il sarcasmo nell’oscurità, si sentono succhiati<br />
dall’oscurità; fuggono folli di terrore e gridano per stordirsi. Poi la vita s’incarica di<br />
stordirli; l’esser vivi si fa un’abitudine - le cose che non attraggono non si guardano più, le<br />
altre sono strettamente concatenate, la trama si fa uguale - il bambino si fa uomo - le ore<br />
degli spaventi sono ridotte al sordo continuo misurato dolore che stilla sotto a tutte le cose. Ma<br />
quando per ragioni che non stanno in loro, il lembo della trama si solleva, anche gli uomini<br />
conoscono le spaventevoli soste. Li visitano i sogni nel sonno – quando rilassato l’organismo<br />
vive l’oscuro dolore <strong>delle</strong> singole determinazioni impotenti ognuna per sé di fronte a ogni<br />
contingenza, per cui, fatta più sottile la trama dell’illusione, più minacciosa appare<br />
l’oscurità.[…] Si destano dal sonno, sbarrano gli occhi nell’oscurità… e il soccorrevole<br />
fiammifero ridona loro la pace […] E rassicurati rifanno l’oscurità; ma le immagini<br />
rimaste negli occhi si scompongono, l’uomo si trova nuovamente senza nome e senza cognome,<br />
senza consorte e senza parenti, solo, nudo, con gli occhi aperti a guardare l’oscurità[…] Ogni<br />
sensazione si fa infinita; sembra loro che davanti ai loro occhi dei punti s’allontanino<br />
infinitamente, che cose piccole diventino infinitamente grandi e che l’infinito li beva…”.<br />
2 Italo Calvino, Fiabe italiane, vol I, pag. 3, Mondadori, 1999<br />
3 Carlo Michelstaedter, “La persuasione e la rettorica”, pag. 56-58, ed. Adelphi., 1990<br />
18<br />
L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />
B<br />
La chiave del pensiero<br />
Figura che Tobia, II elementare, disegna alla fine del sentiero<br />
dopo aver percorso un viaggio tra scena e realtà senza che<br />
prima d’ora fosse riuscito, neppure a scuola, a trovare un<br />
collegamento.<br />
Lo intitola “la chiave del pensiero”<br />
L’inconscio ha le sue cripte e dimore segrete. Bisogna trovare la chiave giusta per poter<br />
entrare tra leggiadri personaggi di un palcoscenico fantastico e i fantasmi arcaici che<br />
abitano il loro castello interiore.<br />
La “chiave del pensiero” è il disegno di Tobia alla fine del percorso sulla “Sessualità<br />
infantile e l’arte della fiaba”. È un dono che “regala” alla sua maestra affinché lei lo possa<br />
aiutare ad entrare nella scissione della sua testolina. Un giorno le ha mostrato il giardino<br />
del suo reame accompagnandola per mano fra tanti scenari, gli uni scollegati dagli altri,<br />
ma fra tutti imperava un bambino senza volto.<br />
19
C<br />
L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />
Le cripte dell’identità<br />
20<br />
figura che Tobia, II elementare, rappresenta<br />
come primo disegno all’inizio del percorso e scrive:<br />
“questo è un bambino senza volto”<br />
LE CRIPTE DELL’IDENTITÀ E LA CHIAVE DEL PENSIERO<br />
TRA SCENE DEL “CASTELLO INTERIORE”<br />
“Il bambino senza volto” è il disegno che Tobia traccia come raffigurazione di sé stesso<br />
all’inizio del percorso su “La sessualità infantile e l’arte della fiaba”.<br />
Si tratta di un sentiero non facile ma alla cui fine, dopo aver incontrato uno spazio di<br />
pensiero che l’ha contenuto e calmato, il bambino farà trovare la CHIAVE DEL<br />
PENSIERO per entrare nel suo reame.<br />
L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />
D<br />
I fantasmi dell’oralità.<br />
Illustrazione tratta dalla fiaba<br />
di “Hansel e Gretel”1<br />
LA CASA DI MARZAPANE E IL CORPO MATERNO<br />
I fantasmi della sessualità risiedono negli strati arcaici della psiche ed accompagnano tutte<br />
le vicende della libido. Hansel e Gretel in preda alla fame, cioè agli impulsi dell’oralità,<br />
vorrebbero divorare la casa di marzapane, metafora figurata del corpo materno. La casa<br />
di marzapane è un’immagine che non si dimentica. Essa rappresenta l’avidità orale e<br />
l’irresistibile impulso ad assecondarlo. Mangiando la casa di marzapane, Hänsel e Gretel<br />
mangiano la madre che nutre e divorano la madre che frustra, che invidiano perché il suo<br />
corpo è pieno di tutti i frutti e tesori del mondo che tiene solo per sé e non divide con i<br />
suoi figli. Ecco allora, dopo il banchetto d’ingordigia, comparire la strega vorace, che è<br />
la personificazione degli aspetti distruttivi dell’oralità. La strega del bosco dagli occhi<br />
rossi, come quella creata dalla fantasia aggressiva, è il fantasma che perseguita i bambini.<br />
Ma una strega che può essere bruciata nel forno, è una strega di cui il bambino può<br />
liberarsi quando si libera dalla sua avidità orale.<br />
1 Fratelli Grimm, Hänsel e Gretel, edizioni C’era una volta, Pordenone, 1988<br />
21
D<br />
L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />
I fantasmi dell’oralità.<br />
22<br />
Nel sentiero della ricerca, la dimensione dell’oralità viene<br />
esplorata assieme ai fantasmi che abitano il bosco, metafora<br />
dell’inconscio e <strong>delle</strong> figure che vi dimorano.<br />
Da un disegno e testo di un alunno di scuola elementare:<br />
“è un lupo che mangia le iene e mi sembra molto cattivo”<br />
IL LUPO MANNARO<br />
Il lupo mannaro, nell’immaginario dei bambini che la fiaba di Cappuccetto Rosso racconta<br />
così bene, è la rappresentazione concreta, animalesca dell’istinto distruttivo ed<br />
incorporativo. Cappuccetto rosso insegna in modo esemplare come la grande paura di<br />
essere mangiato dal lupo mannaro, sia invece la vendetta che si ritorce contro di lui per<br />
aver desiderato e fantasticato di aggredire tutto il cibo buono che, in ultima analisi, è il<br />
cibo/mamma. Egli scopre, davanti al lupo travestito (è la pulsione sadico-orale ad essere<br />
travestita da lupo), che la tanto amata nonna non c’è più ed ora lui è rimasto solo con il<br />
suo istinto incorporativo che ha assunto la forma del lupo. In questo disegno il lupo<br />
divora le iene, personaggi animaleschi amplificati dalla fantasia incorporativa.<br />
L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />
E<br />
Le bocche dell’oralità.<br />
La bocca è organo, “cavità primaria” e dimora psichica in cui<br />
avvengono gli scambi del nutrimento che danno luogo<br />
all’esperienza del piacere e del spiacere. La bambina di questo<br />
disegno racconta la storia della sua bocca:<br />
“in un paese lontano viveva un mostro cattivissimo che<br />
terrorizzava gli abitanti e mangiava tutto ciò che capitava<br />
dentro al suo raggio d’azione. Una volta fece un<br />
pranzo…mangiò persino i sentimenti degli abitanti del<br />
paesino. Dopo che mangiò i loro sentimenti, tutti si sentirono<br />
benissimo perché aveva mangiato i sentimenti d’odio,<br />
rancore e dispiaceri. Così scoperto questo, gli abitanti lo<br />
ringraziarono e gli diedero il potere magico del paese e il<br />
simbolo dei maghi: la bacchetta e il cappello da fata”.<br />
“BOUQUET”<br />
La bocca, questa “apertura” al mondo in cui avviene lo scambio tra il dentro e il fuori,<br />
attraverso cui passa il soffio, la parola, il nutrimento, è una sorta di “cavità primaria”<br />
(Spitz, 1965) che consente al neonato prima, al bimbo poi, di sperimentare, esplorare e<br />
conoscere il mondo/mamma. All’inizio, la bocca, è il centro organizzatore della<br />
“consensualità” tanto che essa è attratta, come afferma Meltzer verso il “[...] il seno<br />
materno, in quanto oggetto di alta attrattiva consensuale, che sembra funzionare come<br />
l’amante o la fonte che assomiglia al self [...] forzando, potremmo anche dire requisendo,<br />
l’attenzione”.<br />
Nella bocca dei bambini vi sarebbe una sorta di “bouquet di sensazioni eccitanti ed<br />
appaganti”, secondo la felice espressione della Tustin (1981), dove tutto ciò che entra o<br />
esce forma <strong>delle</strong> “rappresentazioni” molto arcaiche e dei legami con gli “oggetti interni”.<br />
L’esistenza di un’equazione che tende a stabilire tali legami tra rappresentazione psichica<br />
dell’“oggetto” e la parte del corpo in cui la sensazione dell’oggetto si forma, fa pensare<br />
come questi stessi “legami” siano al servizio del pensiero. Lo stesso balbettio musicale dei<br />
lattanti con il capezzolo ancora in bocca che, sazi, non lasciano andare il seno, introduce<br />
l’idea di come le vibrazioni musicali che riempiono la bocca (involucro sonoro),<br />
annuncino e preparino l’imminente separazione del bambino dalla mamma. Questo<br />
“bouquet” di oggetti e i giochi che con essi avvengono (giochi di lingua, bollicine di<br />
saliva...) mettono in scena nel “teatro della bocca” (Meltzer 1985) rappresentazioni presimboliche<br />
o simboliche dei legami che esistono con gli oggetti del mondo interno. Per<br />
il bambino è importante aver ottenuto una buona identificazione con una madre capace<br />
di contenere e trasformare le sue angosce permettendogli la costruzione di “una barriera<br />
di contatto”. Tale barriera gli consentirà di mangiare senza essere invaso dal fantasma di<br />
svuotare e depredare il corpo della madre stessa. Nel disegno di questa bambina, la bocca<br />
appare come un “bouquet” pieno di oggetti, dove la possibilità di “fare barriera” contro<br />
il mostro che tutto divora, è rappresentata dalla capacità di operare una scissione tra<br />
23
L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />
“oggetti buoni” ed “oggetti cattivi”, evacuando gli aspetti troppo pericolosi: l’odio - il<br />
rancore - i dispiaceri (v. costruzione della storia). L’espulsione fuori di sé e dentro il<br />
mostro, fa riapparire una ben nota scena del teatro psichico interiore: il bambino evacua<br />
gli elementi intollerabili che, se contenuti dentro di sé, lo potrebbero annichilire, e trova<br />
un “seno gabinetto” (Meltzer) - il mostro del disegno - che raccoglie la sua proiezione.<br />
Alla fine, il mostro riappare come trasfigurazione della figura materna quando la bambina,<br />
grata per essersi potuta liberare dalle sue angosce, gli dona la bacchetta magica e il<br />
cappello da fata, rievocando l’antico fantasma annunciato da Winnicott “...la buona<br />
madre è colei che si lascia attaccare senza sentirsi divorare”.<br />
24<br />
L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />
E<br />
Le bocche dell’oralità.<br />
DISCARICA<br />
Disegno e storia della “bocca che mangia”<br />
Quella che segue è la rappresentazione figurata corredata dalla<br />
storia che una alunna di V elementare ha costruito attorno al suo<br />
disegno.<br />
Il testo è mantenuto inalterato con gli errori:<br />
“ Questa signora è davero un maiale, è un ingorda. Povera<br />
quella pizzetta. Questa signora non sa fare altro che<br />
mangiare, andare al bagno, dormire. Sono sicuro che se<br />
entrassi nel suo corpo mi sembrerebbe di essere in una<br />
discarica”.<br />
I vissuti della sessualità e la loro connessione<br />
con i fantasmi dell’oralità<br />
I vissuti legati ad un corpo che sta cambiando e nascendo alla sua maturazione sessuale,<br />
possono indurre una percezione sporca della sessualità e a quanto ad essa connesso.<br />
In questo disegno è manifesto il desiderio intrusivo di entrare nel corpo che è l’espressione<br />
traslata di una penetrazione sessuale rappresentata, d’altronde, dal cono di pizzetta<br />
che s’introduce nella bocca in una sorta di godimento orale. Appare evidente come il<br />
disgusto che quest’atto di fantasia comporta, sia nient’altro che la controreazione pudica<br />
alla fantasia penetrativa. L’“essere un maiale, un ingorda, come uno scualo, essere in una<br />
discarica” sono epiteti che caratterizzano la bocca quasi fosse un organo sessuale e<br />
pornografico. Essa è offerta in prima vista, è la parte che prevale sul tutto, anzi sul niente,<br />
essendo il viso una macchia rosa evanescente ed il corpo completamente assente. Si<br />
potrebbero persino ipotizzare dei disturbi alimentari nel racconto di questa<br />
rappresentazione. Tuttavia, anche altri elementi sono degni d’attenzione: i denti da<br />
pirana (scualo dice il bambino) che circondano la bocca e la discarica all’interno del corpo.<br />
Il primo aspetto richiama gli aspetti dell’oralità cannibalica con tutto il suo carico di<br />
sadismo diretto contro l’“oggetto d’amore”. Va ricordato che il sadismo orale è sollecitato<br />
dalla frustrazione orale, dall’invidia e dall’avidità. Il secondo aspetto fa riferimento<br />
al destino <strong>delle</strong> pulsioni orali. L’onnipotenza del pensiero infantile rende possibile questi<br />
fantastici attacchi: da un lato il bambino possiede un rapporto realistico con i suoi<br />
“oggetti d’amore” (i genitori), dall’altra pensa che avendoli mangiati, li ha realmente<br />
feriti e distrutti. È una fantasia cannibalica che gli permette di “inghiottire” nel mondo<br />
interno l’immagine dei genitori. Infatti, mangiare l’oggetto del proprio amore significa<br />
innanzitutto poterlo conservare. Nella comunione cristiana, quando il fedele “mangia”<br />
l’ostia di Cristo, metaforicamente egli s’impossessa, grazie all’incorporazione, <strong>delle</strong> sue<br />
25
L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />
qualità, sostenuto dal rituale che recita: “prendete e mangiate, questo è il mio corpo;<br />
prendete e bevete, questo è il mio sangue. Tuttavia la dinamica tra proiezione dell’aggressività<br />
ed introiezione, può dar luogo al vissuto che i genitori siano rimasti rovinati dal<br />
divoramento. Il cibo/mamma (o genitori) che d’ora in poi sarà mangiato e su cui si<br />
condensa questo conflitto, s’installerà dentro di sé agendo come un persecutore interno<br />
o “oggetto vendicatore”. La discarica del racconto serve proprio a questo: poiché la<br />
pizzetta ingoiata è rovinata dall’ingordigia, la bambina non può riconoscere la bontà<br />
dell’“oggetto” mangiato. Esso assume le vesti di un potenziale persecutore interno che<br />
la può attaccare dal di dentro con la virulenza microbica dei cibi guasti <strong>delle</strong> discariche.<br />
Il risalto comunque dato in questo disegno alle componenti introiettive e penetrative<br />
permette di associare il cibo al piacere orgastico e la bocca all’orifizio sessuale. “La bocca<br />
è una zona erogena, essa si comporta autoeroticamente… sessuale è il piacere ottenuto<br />
succhiando” (Freud, “Vita sessuale umana”). Le fantasie sollecitate dall’oralità, inducono<br />
l’associazione con i vissuti della sessualità presenti in adolescenza, e percepiti da questa<br />
bambina come sporchi, lordi, ripugnanti. Il suo corpo le “parla” i rumori di una sessualità<br />
nascente ma la sua voce per ora e per controreazione, le proviene dalla discarica del suo<br />
grembo.<br />
<strong>26</strong><br />
L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />
E<br />
Le bocche dell’oralità.<br />
“Il mio incubo più frequente è che io mi trovo nella foresta degli<br />
alberi viventi che mi vogliono catturare. I personaggi sono degli alberi<br />
viventi molto brutti che fanno molta paura, e il loro capo ha le gambe<br />
e può camminare, diversamente dagli altri. Gli alberi hanno le mani<br />
cinque dita proprio come noi, hanno una bocca grandissima e<br />
profonda come un pozzo perdente, con molti denti aguzzi e taglienti<br />
da poter tranciare un cavo elettrico, dalle radici molto sporgenti e<br />
grosse in avanti per poter far cadere le persone che passano e poi<br />
con le loro braccia allungabili le catturano, per poterle imprigionare,<br />
torturare e, se non vogliono collaborare con loro, ucciderle. Hanno<br />
anche grossi occhi con una pupilla nera al centro, dei rami<br />
apparentemente pochi e corti che poi si trasformano, da pochi e<br />
corti, a tanti e lunghi. Gli alberi possono mutarsi come e quando fa<br />
loro comodo, in avanti, indietro, a destra, a sinistra, in alto e in<br />
basso. I personaggi mi fanno paura solo quando si trasformano<br />
perché all’inizio sembrano degli alberi qualunque. Mi fanno paura<br />
soprattutto i loro denti perché sono molto taglienti”.<br />
FORESTA<br />
disegno e commento di un bambino di V elementare.<br />
I fantasmi della sessualità risiedono negli strati arcaici della psiche ed accompagnano tutte<br />
le vicende della libido. I primitivi scambi sensoriali fra la madre e il bambino si stratificano<br />
sotto forma di tracce indelebili anticipando, come staffette, gli umori della vita sessuale<br />
adulta. Questi precursori pregenitali sono suscettibili di molteplici variazioni, e creano la<br />
differenza tra la creatività e il destino nevrotico, segnato quest’ultimo dalla “coazione a<br />
ripetere” nell’attuale ciò che a livello pre-rappresentativo ed anche fantasmatico, è stato<br />
vissuto nelle relazioni primordiali. Uno dei fantasmi principali che abita la mente del<br />
bambino fin dall’inizio, riguarda la fantasia cannibalica di “divorare” la madre per<br />
depredarla di tutto il suo latte. Ne consegue una fantasia persecutoria, per cui il bambino<br />
teme che la vendetta per il danno arrecato con il suo “furto” si ritorca contro di lui. La<br />
libido, che sostiene gli stati primitivi dell’oralità lo spinge, infatti, ad appropriarsi di tutti<br />
i doni preziosi contenuti nel corpo materno, mentre la pulsione epistemofilica gli induce<br />
la curiosità di conoscere, di sapere cosa c’è dentro. Aggredendo il corpo materno,<br />
c’insegna la Klein (1933), il bambino va incontro ad un percorso gravido di conseguenze.<br />
La soddisfazione e il piacere legati al nutrimento saranno possibili solo se il<br />
bambino, la cui oralità è appunto guidata da fantasie cannibaliche, può provare l’esperienza<br />
di mangiare e divorare (il seno/mamma) senza subire, a livello fantastico, il sentimento<br />
di essere a sua volta divorato. Tuttavia, il pericolo di venire attaccato dalla pulsione<br />
aggressiva (da lui proiettata inizialmente nel corpo materno) può provocare nel bambino,<br />
o meglio al suo Io, uno stato di tensione avvertita come angoscia. Se la dinamica<br />
pulsionale tra aggredire ed essere aggredito non troverà un equilibrio, il fantasma che<br />
sopravviverà nelle vicende della psiche tenderà a riprodurre il problema esattamente nella<br />
sua trama anteriore. L’eterno dilemma dell’amore ripropone il quesito di come amare<br />
senza distruggere con l’amore, o come amare senza distruggere con l’odio.<br />
Nell’adolescenza di cui questo alunno disegna la trama, il tema dell’angoscia riappare con<br />
le soluzioni escogitate dall’edipo infantile. Il piacere risultante dalla soddisfazione degli<br />
impulsi orali d’un tempo (difficilmente sublimabili a differenza di quelli anali dominati<br />
27
L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />
dal controllo) ritorna ora in scena combinato all’aggressività. Quale dei due trionferà<br />
sull’altro: l’erotismo orale o l’aggressività orale; quale tra gli impulsi: erotico-anale o<br />
sadico-anale, riuscirà a prevalere? Sapranno combinarsi armoniosamente?<br />
La foresta degli alberi viventi disegnata da questo bambino, è la rappresentazione<br />
antropomorfica dell’antico conflitto tra amore e odio. Il capo degli alberi, il potente ES<br />
disegnato in rosso, è il richiamo della pulsione al godimento. Ma è anche un “pozzo<br />
perdente”. L’immagine che lo specchio interiore distorce, rendendo gli alberi improvvisamente<br />
mutevoli e carichi di aggressione come esattamente sa fare la pulsione<br />
mascherandosi e travestendosi, parla del pericolo nascosto nell’ES. Se il bambino vi fa<br />
ritorno sordo ad ogni barriera, troverà la vorace bocca dai denti taglienti che lo ingloberà<br />
nel suo buco. Ma quelle braccia così aperte quasi in un avvertimento, anche se terrifico,<br />
e quel bimbo così spaventato dalla minaccia del suo mondo pulsionale, sembrano essere<br />
un richiamo o un appello ad un divieto che gli sbarri la strada del ritorno. La sua paura<br />
di essere ingoiato da quei terribili alberi mostra come gli sia quasi impossibile opporsi al<br />
loro divorante richiamo. Simile a “Cappuccetto Rosso”, potrebbe andare incontro al lupo<br />
senza uno schermo protettivo se nel sentiero della suo bosco non saprà riesumare antiche<br />
soluzioni, nuovi compromessi. Con i suoi dieci anni, questo bimbo dovrà scendere a patti<br />
tra “lasciarsi divorare” o lasciarsi “castrare” (i denti a sega dell’albero fanno pensare al<br />
bisogno di una Legge ma anche, secondo una nota equivalenza, ad una vagina dentata).<br />
Un nuovo scenario si apre: tra nostalgia del grembo e spinta genitale si giocherà ora la<br />
sua adolescenza.<br />
28<br />
L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />
E<br />
Le bocche dell’oralità.<br />
SANDWICH<br />
Storia della bocca che mangia:<br />
“Un bambino di nome Bart dopo aver rubato da un fast food<br />
un sandwich ora è intento a mangiarselo non sapendo che è<br />
fatto di granito”<br />
disegno e commento di un alunno di V elementare<br />
Uno degli aspetti principali che riguardano la crescita e che, in particolare, caratterizzano<br />
la relazione genitori/figli, è la conoscenza. I bambini fantasticano che la conoscenza sia<br />
qualcosa di concreto e che essa sia da loro posseduta interamente. Nel pensiero più<br />
primitivo tale conoscenza viene sentita come contenuta, concretamente, dentro il corpo<br />
della madre. Si tratta di una fantasia ampiamente trattata da Freud, il quale ha dimostrato<br />
come le teorie sessuali dei bambini, sono un’eredità filogenetica che si manifesta già nel<br />
primissimo stadio dello sviluppo sadico-orale, attraverso l’uso di “manovre” quali “aprirsi<br />
un varco nel corpo della madre” e che riappaiono, più avanti, nelle analisi degli adulti e<br />
<strong>delle</strong> loro fantasie. Nell’inconscio del bambino piccolo, ogni fonte di ricchezza, di gioia e<br />
di bellezza è sentita come il seno materno che ama e che nutre. Penetrare nel corpo della<br />
mamma per “rubare” la sua conoscenza ed appropriarsi del suo tesoro, è fantasia comune<br />
che sorge soprattutto di fronte alla poca tolleranza verso la limitazione della gratificazione<br />
orale. Dopo una prima fase di totale soddisfazione, avanza il momento in cui la<br />
frustrazione dell’oralità induce nel bambino il bisogno di vendicarsi del seno/mamma<br />
castigante. Quando la vendetta (sadismo) giunge al suo culmine, le fantasie di “rapina” e<br />
“furto” sono il naturale corollario del desiderio di depredare la madre per impossessarsi<br />
di tutta la sua conoscenza. La grande bocca dai denti a sega raffigurata dal bambino di<br />
questo disegno, tenta di confondere i suoi intenti mascherandosi come uno dei personaggi<br />
dei Simpson. Ma rubare un sandwich è la riedizione elaborata dell’antica fantasia<br />
di rubare alla madre i beni e la conoscenza che ella conserva all’interno del suo<br />
corpo/Fast Food. La punizione per la sua trasgressione, tuttavia, arriva sotto forma di<br />
panino di granito. Le fantasie aggressive di un tempo sono le figure dell’oralità di adesso,<br />
abitata dalle pulsioni trasformate e mascherate.<br />
29
F<br />
L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />
Le trappole dell’oralità.<br />
LE STANZE DEL CLAUSTRUM<br />
Il movimento della mente del bambino parte da una concezione ampia e indifferenziata<br />
dello spazio corporeo materno - una sorta di madre Terra che tutto contiene - per<br />
giungere ad una suddivisione geografica, per zone ed aree dello stesso corpo interno della<br />
madre. Questa suddivisione in territori geografici accompagna, nel bambino, il suo<br />
processo di distacco da una relazione totalizzante con la madre per una relazione più<br />
parziale con il suo “oggetto” d’amore ed è determinante nelle costruzioni immaginative.<br />
Al bambino, o meglio alla sua fantasia, è richiesta una forma di “consensualità” (ad es. la<br />
testa del bambino sarà attratta verso la testa-seno - testa concepita come un seno perché<br />
nutre di pensieri -), che lo porterà a “viaggiare”, a salire e scendere scale come nel sogno<br />
rappresentato in questo disegno; ad entrare ed uscire da una casa o da una macchina<br />
come in altri sogni. Tutti movimenti che rappresentano i cambiamenti di uno stato<br />
d’animo che oscilla tra paura, rifugio, intrappolamento, fuga… Il territorio in cui avviene<br />
tutto questo sono le stanze, i corridoi, un teatro, un palazzo, tipici dei sogni ma metafore<br />
del corpo materno e <strong>delle</strong> sue zone geografiche. In questo disegno che parrebbe la<br />
rappresentazione di un intestino e che può corrispondere all’idealizzazione di tale parte<br />
interna, le stanze si susseguono l’una dopo l’altra, tutte abitate da oggetti. La mancanza<br />
di finestre e il sentimento di essere intrappolato in un sotterraneo con stufette che<br />
bruciano, rimandano alla fantasia intrusiva e segreta di penetrare in quel luogo per<br />
derubare la madre (Abraham, 1921) e depredarla dei suoi beni (i tanti oggetti assimilati<br />
nella fantasia del bambino ad altrettanti bambini rivali). La conseguenza è l’ansia<br />
claustrofobica di rimanere chiuso dentro. È come dire che il Sé “entra” fantasticamente<br />
negli spazi corporei della madre interna e si disloca in un “territorio” prescelto, che può<br />
essere il seno, la testa, l’ano. In tal modo, lo stato mentale del bambino esperisce nuove<br />
tonalità emotive: maniacali, claustrofobiche, ipocondriache. Cogliere il luogo in cui egli<br />
si proietta e s’identifica, si rifugia e vi abita, pur anche nel sogno, aiuta a comprendere<br />
dove il Sé o una sua parte si ferma a “soggiornare” dall’infanzia condizionando i suoi<br />
futuri vissuti.<br />
30<br />
Il percorso continua nelle dimore del corpo, metafore di altre<br />
stanze dove si sono insidiati i fantasmi dell’oralità<br />
Disegno e testo di un bambino<br />
“Il mio sogno ricorrente, quasi un incubo è:<br />
ho sognato che sono andato da mia nonna per vedere la casa<br />
nuova. Mia nonna non c’era, così l’ho visitata da solo. La casa<br />
era molto grande, non finiva più, allora correvo, ma non finiva.<br />
C’era una stanza dietro l’altra, in ogni stanza c’era un divano,<br />
una TV, una scrivania e dei mobili e qualche volta una scala<br />
normale per passare da una stanza all’altra, oppure una scala<br />
a chiocciola. In una stanza c’era la cucina, con un tavolo, un<br />
forno che occupava metà stanza. C’erano persino stufette molto<br />
piccole che, se le lasciavi accese per tanto tempo, sembrava di<br />
essere in estate. Non c’erano molte finestre, quasi nessuna, e<br />
sembrava di essere in un sotterraneo”.<br />
L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />
F<br />
Le trappole dell’oralità.<br />
Le figure che popolano le dimore dei sogni, salgono e<br />
svaniscono tra incubo e realtà.<br />
Questa alunna di V elementare disegna un personaggio<br />
ricorrente che la tormenta nel suo sonno:<br />
“nei miei sogni brutti appare un personaggio fatto così: è<br />
vestito con un gilé di pelle di caprone e con pantaloni fatti<br />
di pelle scura. Indossa scarponi da montagna, legate ai<br />
fianchi ci sono due campane. Nella tasca del gilé ha sempre<br />
la pistola pronta per sparare. In testa ha due corna da<br />
diavolo; dalla bocca sputa molto sangue. Nel sogno il mostro<br />
fa paura quando mi rapisce e mi porta in Trentino nella sua<br />
catapecchia. Fa paura perché arriva all’improvviso,<br />
sputando sangue e urlando con voce spaventosa. Questo<br />
sogno si è ripetuto più volte, quando la giornata mi era<br />
andata storta”.<br />
“PELLE D’ASINO”<br />
La sessualità e l’involucro pelle<br />
La pelle di cui è rivestito il mostro, cioè l’altra parte di sé temibile e sconosciuta, rappresenta<br />
la superficie psichica su cui si depositano le tracce <strong>delle</strong> sensazioni, i piaceri ed i<br />
dispiaceri, le gioie e le <strong>paure</strong>. Solitamente, ci educe Anzieu 1 , “la pelle è una superficie<br />
fornita di sacche, di cavità in cui sono alloggiati gli organi di senso diversi dal tatto. L’Iopelle<br />
è una superficie psichica che collega tra loro sensazioni e le fa risaltare come figure…<br />
L’Io-pelle svolge la funzione di superficie di sostegno della eccitazione sessuale… l’Io-pelle<br />
capta l’investimento su tutta la propria superficie e diventa un involucro di eccitazione<br />
sessuale globale. Tale configurazione è alla base della teoria sessuale infantile più arcaica per<br />
cui la sessualità si riassume nei piaceri del contatto pelle a pelle e la gravidanza è il frutto<br />
della semplice stretta corporea e del bacio”<br />
Gli elementi di una sessualità schermata 2 da caprone o di una para eccitazione a livello della<br />
superficie corporea, ci provengono in questo disegno, dalla condensazione di caratteristiche<br />
maschili e femminili combinate. Segni di una bisessualità (l’essere maschio e<br />
femmina contemporaneamente come il mostro del disegno) che dovrebbe essere abbandonata,<br />
le campane e le corna ma anche la pistola dentro la tasca-involucro, evocano seni<br />
sanguinanti o sadicamente appuntiti (le corna: seni o capezzoli eretti) e un fallo (la pistola)<br />
più esibito che nascosto. Lo stupore degli occhi quasi ipnotizzati, è la paura della bambina<br />
di fronte alla sua sessualità che emerge con la pubertà. I fantasmi di un tempo ricompaiono<br />
diffusamente travestiti con gilé e pantaloni in pelle scuri, stimolati dall’eccitazione arcaica<br />
non ancora assurta a sessualità. Il sangue della bocca e il sangue dei seni/campane<br />
richiamano l’intenzionalità sadica sottesa al nutrimento del cibo/mamma. Quale introiezione<br />
della figura femminile, quale attaccamento agli aspetti sadici dell’analità (tutto il<br />
1 D. Anzieu, L’Io pelle, Borla, Roma 1985<br />
2 V. in Laplanche-Pontalis, Enciclopedia della psicanalisi, Laterza, Bari 1984 la definizione di “schermo antistimolo”<br />
31
L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />
marrone del suo rivestimento), quale soluzione all’edipo infantile? Quale pistola/pene<br />
dismettere e quali attributi assumere? La domanda d’identità in adolescenza non permette<br />
vie di fuga: ogni tratto della sessualità infantile deve riconoscere ed assoggettarsi al primato<br />
della genitalità; il bambino e la bambina non possono più eludere il loro corpo. Essi lo<br />
abitano e l’essere maschi o femmine deve d’ora in poi coincidere con il sentimento di<br />
sentirsi uomini o donne. La pelle marrone di caprone del mostro di questo disegno,<br />
ricopre col suo manto d’eccitazione una bambina ancora troppo arcaica. Come farà la sua<br />
pelle così rosea, quasi da neonata, ad indossare la ruvida pelle del caprone e a sottomettersi<br />
agli imperativi della sessualità?<br />
Di quale pelle dunque vestirsi? Ritorna alla memoria la fiaba di “Pelle d’asino” la cui pelle<br />
proteggeva la principessa dall’incesto e contemporaneamente la rivestiva della parte più<br />
istintuale, bestiale e rimossa che da sempre gli uomini hanno allontanato da sé per riporla<br />
nei luoghi del rimosso (la porcilaia della principessa). E quando il rimosso riemerge esso<br />
ha gli occhi di una bimba atterrita di fronte alle immagini del suo mondo primordiale.<br />
32<br />
L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />
G<br />
Teorie sessuali infantili.<br />
esperienza dalla conduzione psicologica di un corso di<br />
preparazione al parto a cui partecipano anche M. e il suo papà<br />
assieme alla mamma inserita nel gruppo di lavoro <strong>delle</strong> gravide<br />
M. 6 anni, il bambino di questo disegno, traccia sé stesso<br />
nella pancia della mamma che si trova al sesto mese di<br />
gravidanza. Il papà interviene facendogli notare che quello<br />
non può essere lui ma eventualmente il fratellino che deve<br />
nascere, e disegna il suo primogenito fra i due genitori. M.,<br />
con impeto di rabbia, sottrae il pennarello al papà, cancella<br />
con uno scarabocchio la figura al centro e riafferma con forza<br />
che lui è il bambino dentro la pancia. Per rafforzare le sue<br />
parole, aggiunge due grandi braccia alla mamma, disegnandole<br />
sul e dentro il suo volto, quasi in un abbraccio totale.<br />
ESSERE IL PROPRIO PADRE CON LA PROPRIA MADRE<br />
Le teorie sessuali infantili rappresentano un patrimonio incredibile dell’immaginario<br />
infantile. Oltre a costituire la base di fissazioni primitive, esse, anche quando saranno<br />
scomparse, avranno un effetto inconscio di notevole peso in tutta la sessualità adulta.<br />
Con Freud, riconosciamo al bambino un certo sapere inconscio che gli proviene dalla<br />
filogenesi, in cui rientrano idee vaghe e confuse, sul rapporto sessuale e la nascita. Dopo<br />
la primissima fase orale pre-ambivalente, i successivi stadi di sviluppo corrispondenti al<br />
sadismo orale e al sadismo anale creano nel bambino dei nessi tra nutrizione ed espulsione<br />
e le rappresentazioni fantasmatiche di questa stessa attività. Il rapporto sessuale viene<br />
concepito principalmente come un atto in cui entrano il mangiare, il cucinare, lo scambio<br />
di feci, di pipì, ed ogni sorta di azioni sadiche. L’analisi dei bambini permette di osservare<br />
il legame tra queste fantasie e la sessualità. Alcuni esempi della concezione infantile del<br />
rapporto sessuale, si ritrovano nei giochi di sventrare, fare a pezzi, tagliare,<br />
apparentemente un bambolotto reale, inconsciamente il corpo della madre, o il padre<br />
dentro la madre, o i fratellini rivali che gli portano via il latte tutto suo. Invidia e avidità<br />
(M. Klein “Invidia e gratitudine”) sostengono il tratto predatore <strong>delle</strong> fantasie orali.<br />
L’avidità porta a svuotare, a prosciugare e a divorare (M. Klein 1928) mentre l’invidia<br />
mira ad entrare intrusivamente dentro il corpo della madre per danneggiarlo ed<br />
impadronirsi di tutti i tesori che, il bambino pensa, ella vuole tenere solo per sé. Questi<br />
tratti distruttivi <strong>delle</strong> fantasie vengono compensati dal bisogno di “riparare” che il<br />
bambino prova di fronte al danno che fantasticamente teme di averle arrecato per<br />
assecondare i suoi impulsi. La “riparazione” restituisce al bambino l’integrità dei suoi<br />
sentimenti ad amare.<br />
Le teorie sessuali infantili più “piccole” (v. disegno in questa pagina) incontrano spesso il<br />
sogno onnipotente di un ritorno al grembo materno, di un accoppiamento con i genitori<br />
interni, come anche di una partonogenesi, un nascere da soli che esclude la sessualità. A<br />
questo proposito Freud afferma: “...egli desidera poter tornare nel ventre, non semplicemente<br />
per poter essere di nuovo messo al mondo, ma per poter lì essere accoppiato con il<br />
33
L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />
padre...”. I fantasmi che accompagnano queste intenzionalità fantastiche, esprimono la<br />
difesa del bambino contro le angosce di separazione ed anche il desiderio regressivo di<br />
rimanere l’unico bambino “facendo fuori” i fratellini rivali.<br />
Le teorie sessuali tradizionali, da cui derivano le innumerevoli variazioni soggettive,<br />
fanno riferimento al saggio di Freud del 1908 in cui teorizza:<br />
1. l’ipotesi dello stesso genitale (virile) in tutte le persone è la prima <strong>delle</strong> teorie sessuali<br />
infantili<br />
2. si hanno bambini mangiando certe cose (come nelle favole), ed essi vengono partoriti<br />
dall’intestino come un’evacuazione<br />
3. …i bambini…non possono fare a meno di concepire l’atto sessuale come una specie di<br />
maltrattamento o di sopraffazione, dunque in senso sadistico… poiché all’esplorazione<br />
infantile restano ignoti 2 elementi, la funzione del seme fecondativo e l’esistenza<br />
dell’orifizio sessuale infantile…<br />
34<br />
L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />
G<br />
Teorie sessuali infantili.<br />
Esperienza tratta dalla conduzione psicologica di un corso di<br />
preparazione al parto in cui sono presenti alcuni bambini che<br />
giocano a disegnare le loro mamme:<br />
Paolo, 5 anni, disegna la propria mamma incinta<br />
LA PULSIONE EPISTEMOFILICA<br />
Esiste nel bambino l’arte di fantasticare l’esperienza sottraendola ai principi della realtà.<br />
Oltre al pensiero animistico, egli si dota di un insieme di istruzioni che gli servono a<br />
padroneggiare magicamente il mondo. Spinto dalle sue urgenze vitali, si lancia con sete<br />
di sapere, in un’assidua ricerca tesa a rispondere alla domanda che fin dai primordi si è<br />
posta l’intera umanità: da dove vengo e dove vado? Le teorie sessuali infantili dovrebbero<br />
risolvere questo enigma in una direzione che, tuttavia, esclude la sessualità genitale, il<br />
coito, la penetrazione. Esse sono state definite da Freud come una “conoscenza geniale”<br />
paragonabile ai “tentativi geniali degli adulti per risolvere i problemi più ardui che<br />
l’universo pone all’intelletto umano”. La loro importanza è tale che, sempre Freud, parla<br />
di una vera e propria resistenza infantile alle spiegazioni sessuali tanto da spingerlo a<br />
paragonare i bambini a quei primitivi “cui è stato imposto il cristianesimo che però<br />
continuano in segreto ad adorare i loro vecchi idoli” 1<br />
Come per incantesimo, in questo disegno Paolo s’insinua nel grembo della madre sotto<br />
le sembianze di un pene che, invece, dovrebbe rappresentare il fratellino rivale che sta per<br />
nascere. Lo stretto legame tra processo di pensiero e pulsione di ricerca asseconda, qui,<br />
la fantasia edipica di essere il proprio padre con la propria madre. Egli, come il piccolo<br />
Hans 2 insegna, dovrà incontrare il luogo dell’interdizione, la barriera che ridisegna i<br />
confini della mappa psichica, sorta di territorio che restituisce al bambino il limite proibito<br />
che non può varcare (l’incesto). Solo così, egli potrà riconoscere al padre il suo<br />
attributo di grande ed assumere su di sé quello di piccolo, garantendosi quella “sproporzione”,<br />
quella dis-misura che lo preserverà dalla fantasia onnipotente di essere il “pene<br />
della madre”. Le teorie sessuali infantili (il pene alla madre, l’ano da cui nascono i<br />
bambini) rappresentano la costruzione dello spazio che viene sbarrato al godimento<br />
illimitato che il bambino fantastica immaginandosi, al posto del padre, la vera coppia con<br />
1 S. Freud, Analisi terminabile e interminabile, 1937<br />
2 S. Freud, Il piccolo Hans – Analisi della fobia di un bambino di cinque anni, 1908<br />
35
L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />
la madre. Sarà la risposta sbagliata, la ricerca impossibile, la teoria impropria ma salvifica<br />
a ridisegnare il triangolo edipico, creando quel compromesso tra un’origine impossibile<br />
da pensare e l’origine a cui invece il bimbo può risalire (sorta di accertamento della<br />
paternità) e quindi appropriarsene.<br />
36<br />
L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />
G<br />
Teorie sessuali infantili.<br />
Le teorie sessuali infantili sono state esplorate e valorizzate<br />
come il patrimonio creativo che il bambino possiede e che<br />
non sempre gli è riconosciuto. I bambini di questi disegni<br />
hanno ripercorso sentieri dimenticati rivisitando dimore di<br />
fantasie dimenticate<br />
FECONDAZIONE ORALE<br />
Marta, V elementare, disegna la sua fantasia sulla nascita e racconta:<br />
“pensavo che quando mamma e papà si davano un affettuoso bacio, dal corpo del papà<br />
entravano in quello della mamma tanti e piccoli insettini. Dopo entravano in una stanza<br />
calda questi piccoli insetti entravano in una grande palla: ERO IO !!!”<br />
“… si hanno bambini mangiando certe cose come nelle favole …” (S. Freud)<br />
37
G<br />
L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />
Teorie sessuali infantili.<br />
38<br />
L’esplorazione fra le teorie che i bambini si costruiscono per<br />
trovare una risposta ai loro quesiti sulla nascita, prosegue dalla<br />
bocca verso il dentro del corpo<br />
LA BOCCA DELLO STOMACO<br />
Elena, alunna <strong>delle</strong> elementari, così commenta il suo disegno:<br />
“Quando ero dentro la pancia della mia mamma, provavo un sentimento molto bello.<br />
Speravo che mia madre mi accogliesse con affetto e fu così, io a vedere la mia mamma<br />
scoppiai in lacrime.<br />
Così fu la mia nascita”<br />
L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />
G<br />
Teorie sessuali infantili.<br />
Ogni teoria sulla nascita è una “scoperta geniale” anche se<br />
essa è palesemente errata<br />
disegno di una alunna di V elementare<br />
NASCITA DENTRO IL CAVOLO<br />
“la conoscenza <strong>delle</strong> teorie sessuali dei bambini […] rimane indispensabile per giungere a<br />
capire le nevrosi stesse, nel cui ambito queste teorie fanciullesche sono ancora valide e<br />
acquistano un influsso determinante sulla forma via via assunta dai sintomi” 1<br />
“…si hanno bambini …come nelle favole…” (S. Freud)<br />
1 S.Freud, Trasformazioni pulsionali particolarmente dell’erotismo anale, pag. 185, OSF vol. 8<br />
39
G<br />
L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />
Teorie sessuali infantili.<br />
DISEGNO E TESTO DI UNA ALUNNA<br />
40<br />
le fantasie sulla nascita riproducono in questo disegno una<br />
<strong>delle</strong> teorie più amate dai bambini<br />
disegno di una alunna di V elementare<br />
NASCITA DALL’O<strong>MB</strong>ELICO<br />
“Io pensavo che i bambini nascessero dalla pancia cioè che ad un certo punto il bambino<br />
bucasse la pancia e uscisse, dopo la pancia si sarebbe sgonfiata e ricucita in pochi secondi”.<br />
L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />
G<br />
Teorie sessuali infantili.<br />
Nella inesauribile ricerca dei misteri della nascita, il bimbo<br />
scopre, come il “Piccolo Hans” di Freud, che può venire al<br />
mondo sottoforma di un “mucchietto di feci”<br />
TEORIA DELLA CLOACA<br />
disegno e testo di un alunno:<br />
“Io sono nato prima dalla testa poi dalle gambe, ma prima di nascere in pancia vedevo<br />
(g)lobuli e anche il cuore”<br />
da S. Freud:<br />
“… si hanno bambini mangiando certe cose (come nelle favole), ed essi vengono partoriti<br />
dall’intestino come un’evacuazione”<br />
“… la “cacca” è il primo grande e prezioso dono che il bambino regala alla sua mamma<br />
[…] come “regalo” assume poi il significato di bambino che secondo una <strong>delle</strong> teorie sessuali<br />
infantili, viene acquisito mangiando e partorito attraverso l’intestino […] la defecazione è<br />
la prima situazione in cui il bambino deve decidere fra un atteggiamento narcisistico ed un<br />
amore oggettuale. O cede di buon grado gli escrementi, li “sacrifica” come pegno d’amore,<br />
oppure li ritiene per soddisfare un impulso autoerotico, e in seguito per affermare la propria<br />
volontà” 1 .<br />
41
G<br />
L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />
Teorie sessuali infantili.<br />
42<br />
Disegno di un alunno <strong>delle</strong> elementari<br />
Oltre alla fantasia di nascere dal cavolo e dall’ombellico, il<br />
bambino nutre spesso l’immaginazione di “uscire” dalla<br />
bocca. Ma di quale bocca si tratta?<br />
CONFUSIONE ZONALE<br />
La bocca è simile ad una vagina dentata<br />
Il vissuto del proprio corpo spesso prevale sulla sua conoscenza anatomica, tanto che ai<br />
bambini può capitare di scambiare un’apertura con l’altra o una vagina con la bocca<br />
disegno testo di alunno di V elementare:<br />
“quando sentii uno scatto vidi <strong>delle</strong> scalette e mi arrampicai, quando ero a metà strada<br />
sentii in un orecchio il silenzio e nell’altro un grande rumore; quando sono uscito mi hanno<br />
tagliato il cordone e ho visto una luce verde, mi sono sentito molto osservato”<br />
L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />
H<br />
Esisti dell’Edipo infantile in pubertà.<br />
Disegno di un bambino di V elementare che riflette una teoria<br />
sulla propria nascita<br />
DESTINO DELLE FANTASIE<br />
NEL SECONDO TEMPO DELLA SESSUALITÀ INFANTILE<br />
La sessualità e il triangolo edipico<br />
Nascita con rastrello<br />
La strutturazione dell’identità sessuale durante la pubertà trova un suo fondamento<br />
nell’inconscio, in quella immagine criptica che il bambino trattiene dentro di sé della<br />
relazione sessuale altamente complicata dei genitori interni. Egli è capace di una ricca<br />
identificazione introiettiva sia nei ruoli maschili che in quelli femminili ma, alla fine della<br />
latenza, deve abbandonare la bisessualità che lo ha caratterizzato fino ad allora, e<br />
addivenire alla irrinunciabile domanda d’identità sessuale che la sua maturazione gli richiede.<br />
Egli, ancora, deve compiere “il lutto” del proprio corpo infantile ed infertile per<br />
assumere la sessualità genitale e riproduttiva che è la forza unificante di tutte le pulsioni<br />
parziali della sessualità infantile. Riemergono gli esiti dell’edipo infantile con le varie<br />
soluzioni che il bimbo si è dato, e le vecchie identificazioni sono chiamate all’appello<br />
dall’identità di genere (quella a cui ognuno appartiene), la quale può non coincidere con<br />
l’identità sessuale. Freud approfondisce questo concetto asserendo che “la decisione sul<br />
comportamento sessuale definitivo avviene solo dopo la pubertà ed è il risultato di una<br />
complessa serie di fattori [...] nella pubertà si produce la subordinazione di tutte le<br />
eccitazioni pulsionali al primato della zona genitale [...] la pulsione sessuale si pone adesso al<br />
servizio della funzione procreativa”. Nella scelta della definizione sessuale intervengono<br />
dunque, con tutto il loro peso, i residui del complesso edipico, la cui risoluzione avvenuta<br />
negli anni della prima infanzia, attendeva solo il tempo della genitalità per riproporre il<br />
teatro dei suoi fantasmi interiori. Primo fra tutti quello della “castrazione”, cicatrice<br />
immaginaria che s’instaura laddove il bambino ha potuto vivere la duplice esperienza della<br />
delusione e dell’interdetto. La delusione: cioè non essere colui che colma la mancanza della<br />
madre; l’interdetto: cioè non porsi al posto e nel luogo del padre ma ricevere la sua legge.<br />
43
L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />
Le teorie sessuali infantili (il pene alla madre, l’ano da cui nascono i bambini), s’instaurano<br />
proprio a garantire l’esistenza di questi spazi del triangolo edipico, dove ognuno sa<br />
riconoscere il proprio posto e collocarsi in un’origine certa che lo preservi dall’eccesso<br />
(l’onnipotente fantasia incestuosa). Gli sforzi dei bambini, come il piccolo Hans di Freud<br />
c’insegna, sono tesi a sanzionare proprio tale riconoscimento.<br />
Il bambino di questo disegno ci comunica con esattezza quanto sia per lui importante<br />
riconoscere l’attributo di grande al padre ed assumere su di sé quello di piccolo,<br />
garantendosi che ognuno, padre e figlio, occupi il posto giusto. Posto che naturalmente<br />
deve coincidere con l’identità, di modo che il figlio non possa mai prendere il posto del<br />
padre ed essere, immaginativamente, il “padre di se stesso”. L’accettazione su di sé della<br />
“castrazione”, è simboleggiata da un rastrello dai dieci denti che fanno da monito a<br />
qualsiasi trasgressione d’infrangere il divieto (il tabù dell’incesto). In questo disegno gli<br />
attributi riconosciuti al padre sono tanti, ed un cane assieme ad un grande uccello stanno<br />
a guardia che tutto si compia regolarmente. Il bambino neonato possiede la stessa<br />
muscolatura da Braccio di Ferro del padre: l’identificazione con la sua figura virile è<br />
avvenuta ma egli rimane ad occupare il suo posto di piccolo assumendosi la fatica di<br />
crescere nel confronto e nella misura.<br />
44<br />
L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />
H<br />
Esisti dell’Edipo infantile in pubertà.<br />
disegno di un alunno di V elementare che immagina d’essere<br />
nato, per caso, tra le immondizie, o “scovazze” seguendo il<br />
linguaggio dialettale con cui ha espresso il suo concetto<br />
SESSUALITÀ E GENITALITÀ<br />
Nascita nelle immondizie<br />
Fra i derivati della teoria sessuale infantile secondo cui i bambini nascono mangiando certe<br />
cose e vengono partoriti attraverso l’ano, c’è la fantasia di essere raccolti nel bidone <strong>delle</strong><br />
immondizie. L’associazione che questo alunno in età puberale fa tra bambino e cacca non<br />
è una immagine neutra, tanto più se essa viene selezionata a proposito. Si può desumere<br />
in lui, la presenza di vissuti espulsivi, non essendo la nascita di cui si tratta quella reale e<br />
neppure quella cronologica, bensì la nascita psicologica del bambino che entra nella sua<br />
maturità sessuale. In questo disegno, il riaffiorare <strong>delle</strong> angosce edipiche in adolescenza<br />
sono depositate nel lungo camino nero dalla testa rossa di cui il padre spazzacamino si sta<br />
preoccupando. La dismisura tra la potenza paterna e l’ancora piccolo e forse infertile pene<br />
del bambino, non permette a quest’ultimo di reggere il confronto. La sessualità genitale<br />
infatti, per essere assunta, si misura costantemente con le componenti aggressive e sadiche<br />
come capacità di tollerarle e contenerle o, non sapendo usare in modo sano e buono la<br />
stessa aggressività per crescere e competere, come paura di rimanere annichiliti. La difesa<br />
che il bambino di questo disegno sembra mettere in atto, è la negazione del conflitto e<br />
l’idealizzazione del proprio sé infantile che, come dono, si offre alla madre ma, tra i rifiuti.<br />
L’aggressività che circonda questa tematica, viene circuita; il bambino si assimila agli<br />
scarti, alle immondizie, sovrastato forse da un ideale dell’Io troppo grande e troppo<br />
distante, esattamente come il padre è proiettato lassù sul tetto a mostrare il suo enorme<br />
attributo che lo rappresenta per intero, essendo lui visibile in figura dimezzata. L’ideale<br />
paterno, con il suo occhio solare (il sole all’angolo del disegno), sovrasta e controlla che<br />
tutte le “misure” siano a posto e che la triangolazione edipica non sia stata infranta. Al<br />
bambino, catturato nel proprio “romanzo familiare”, resta il compito di nascere alla sua<br />
nuova identità sessuata che il corpo maturo reclama in modo radicale.<br />
45
I<br />
L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />
46<br />
Sentieri <strong>delle</strong> teorie sessuali infantili<br />
e loro destini.<br />
Disegno di un alunno di II elementare. Da libere associazioni sul<br />
viaggio del cibo dentro il corpo, metafora della fecondazione,<br />
gravidanza, nascita.<br />
Il suo commento è: “io penso che il pensiero faccia lo stesso<br />
viaggio del cibo”<br />
Le teorie sessuali infantili vengono interpretate alla luce <strong>delle</strong> trasformazioni puberali. Gli<br />
assunti teorici si basano prevalentemente sulla clinica psicoanalitica di Bion e di Meltzer<br />
riguardo la genesi e lo sviluppo del pensiero. La nascita all’apparato psichico e la strutturazione<br />
dell’identità sessuata prendono le mosse dai processi d’introiezione, proiezione,<br />
espulsione, evacuazione, chiamando in causa il ruolo e le funzioni del “contenitore”.<br />
L’ASPETTO DI PENSIERO DELLA TEORIA DELLA CLOACA<br />
Pensiero cacca<br />
antica teoria della cloaca<br />
“…si hanno bambini mangiando certe cose (come nelle favole)<br />
ed essi vengono partoriti dall’intestino come un’evacuazione”<br />
S. Freud<br />
In questo disegno prevale l’evacuazione del pensiero. Se non c’è “trasformazione” dentro<br />
di sé, il pensiero va in “cacca” ma può anche diventare un persecutore interno e quindi<br />
da eliminare, da espellere. Tuttavia, in questa rappresentazione il bambino disegna il<br />
water. La cacca, dunque, non sparisce nel nulla ma trova un gabinetto. L’espulsione è<br />
allora possibile proprio perché c’è un contenitore che la raccoglie. A livello mentale ciò<br />
può essere espresso così: il bambino evacua da sé i contenuti non mentalizzabili o non<br />
tollerabili, ma riconosce la funzione del “contenitore” (madre/ambiente). Per usare la<br />
clinica di Meltzer, il contenitore è, in questo caso, un “seno gabinetto”: “…la funzione<br />
del seno gabinetto consiste nel contenere la proiezione della sofferenza, sofferenza che è<br />
all’origine del bisogno di un oggetto esterno che accolga e che contenga”.<br />
L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />
I<br />
Sentieri <strong>delle</strong> teorie sessuali infantili<br />
e loro destini.<br />
Dal disegno e dal testo di un alunno:<br />
“Il viaggio di un sadwich che non ci vedeva niente a causa<br />
del ket ciuPelo (non ci capiva dov’era il culo e dov’era la<br />
testa).<br />
12 maggio1998 ore 14.19. Murch Simpson senza saperlo<br />
manda giù l’ultimo pezzo del sandwich col ketciuPpelo. Dopo<br />
essere entrato nel divisore viene accoltellato da Jack lo<br />
squartatore; la coca cola bevuta viene spalata nel pene che<br />
la manda nel CESSO! Il mangiare invece si trasforma in<br />
(cacca) che poi viene butata dentro il buco del cesso da dove<br />
omini con un martellone gigante….”<br />
L’ASPETTO DI PENSIERO DELLA “CLOACA”<br />
E L’USO DEL CONTENITORE<br />
Il viaggio del sandwich<br />
È interessante notare come in questo disegno ci sia l’idea dell’evacuazione ma manca il<br />
gabinetto esterno (il water del disegno precedente). L’ultimo pezzo di sandwich - si<br />
potrebbe pensare l’ultimo boccone - viene subito “accoltellato”; mentre “la coca cola<br />
viene spalata nel pene che la manda nel cesso”. Il “cesso” è concepito come una cloaca che<br />
si trova dentro il corpo, territorio psichico abitato da Jack lo squartatore e da due uomini<br />
con il martellone. Questi personaggi del teatro interno appaiono dotati di caratteristiche<br />
virili e distruttive (“accoltellato da Jack”, “…uomini con il martellone”) che impediscono<br />
qualsiasi “trasformazione” del cibo introdotto. Sembra che tutto vada subito in “cacca”<br />
o in “pipì”, secondo una fantasia anale di vendetta che “uccide” qualsiasi “legame” tra<br />
dentro e fuori e all’interno del corpo stesso. Corpo che, tra l’altro, si esibisce in una sorta<br />
di trasformismo bisessuale.<br />
47
I<br />
L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />
48<br />
Sentieri <strong>delle</strong> teorie sessuali infantili<br />
e loro destini.<br />
Libere associazioni suscitate dal viaggio del cibo dentro il corpo<br />
Disegno e commento di un alunno di V elementare:<br />
IL VIAGGIO DEL CIBO<br />
«Il cibo arriva, le macchine sono in funzione, il cibo viene<br />
macinato, poi passa ai trasportatori che lo fanno andare in<br />
ogni parte del corpo. E il resto va a finire nel sedere dove un<br />
povero lavoratore è costretto a subire le pene dell’inferno, la<br />
madre di tutti i tempi: CIOÈ LA CACCA».<br />
L’EVACUAZIONE DEL PENSIERO E LA TEORIA DELLA CLOACA<br />
In questo disegno e nel testo della storia, emerge un sentimento di frammentazione<br />
dentro il corpo (“…il cibo…passa ai trasportatori che lo fanno andare in ogni parte del<br />
corpo”) che si deposita nelle giunture <strong>delle</strong> braccia e <strong>delle</strong> gambe che hanno lo stesso<br />
colore marrone della “cacca”. Il bambino sembra identificarsi con degli aspetti masochistici<br />
(“…un povero lavoratore costretto a soffrire le pene dell’inferno”) e subire la vendetta<br />
del persecutore “cacca” che egli, comunque, “trattiene, tiene dentro, non espelle.<br />
La mancanza di contenitori esterni o di un “seno gabinetto” rende l’idea della complessità<br />
legata all’“evacuazione”.<br />
L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />
I<br />
Sentieri <strong>delle</strong> teorie sessuali infantili<br />
e loro destini.<br />
Disegno e testo di un alunno<br />
«Racconto una breve storia: un giorno cinque ragazzi mentre<br />
stavano camminando, vedono su un garage una scritta:<br />
DANGER-PERICOLO-NON ENTRARE. I cinque ragazzi comunque<br />
entrarono. Dopo mezz’ora di camminata qualcosa di viscido<br />
e ruvido assalì i cinque bambini. Era un terribile mostro che<br />
divorava tutto quello che incontrava. I ragazzi furono avvolti<br />
da una terribile puzza e subito furono ingoiati e il mostro<br />
disse: “i primi due avevano un buon cervello, gli altri due<br />
sangue acquoso e l’ultimo un fegato ottimo. I corpi dei<br />
cinque ragazzi risalirono sul corpo dell’alieno. I corpi furono<br />
sciolti e furono cacciati via sotto forma di liquido dalla<br />
testa».<br />
LE ARMI LETALI E LE TEORIE SESSUALI INFANTILI<br />
IN UN PENSIERO SULL’ORALITÀ<br />
“…è un’idea terrificante, per non dire incredibile, per la nostra mentalità, quella di un<br />
bambino dai sei ai dodici mesi che tenti di distruggere la madre con tutti i mezzi che le sue<br />
tendenze sadiche gli mettono a disposizione, con i denti, le unghie, gli escrementi e con tutto<br />
il corpo trasformato fantasticamente in ogni sorta di armi letali…nella prima parte della<br />
fase orale, ad esempio, in cui domina la violenza aperta, gli escrementi vengono considerati<br />
strumenti di attacco diretto mentre in seguito, invece, essi assumono il significato di tipo<br />
esplosivo e venefico…” (M. Klein)<br />
La trasgressione del divieto di penetrare il corpo/garage, fa avanzare il “viscido e ruvido<br />
mostro” che avverte la presenza dei cinque ragazzi come una violazione ai suoi luoghi.<br />
Figura fantasma su cui è proiettato l’“attacco”, essa si ritorce contro i bambini che hanno<br />
cercato la paura infrangendo il limite imposto. Strani sentieri o, forse, inusitati pensieri<br />
quelli del bambino che creano il rumore, la presenza, l’annunciarsi del “terribile”. Forse<br />
l’appello è rivolto all’adulto, ad un grande che lo sappia accogliere e pensare nella sua<br />
testa, offrendogli il dono di precederlo nei pericoli prima che di questi egli ne soccomba.<br />
Ma se questo Altro non compare nel corteo <strong>delle</strong> immagini, il bimbo rimane solo con la<br />
sua aggressività e le sue <strong>paure</strong> e, infine, con il sentimento di esplodere, liquefarsi sotto<br />
“forma di liquido dalla testa”. Vissuti, questi ultimi, che hanno avuto una prima dimora<br />
nell’arcaico e iniziale sentimento di vivere quando, tuttavia, “terrori senza nome” (Bion)<br />
scorrazzavano nella sua psiche e lo rendevano preda <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> primordiali di svanire,<br />
sparire, liquefarsi, spezzettarsi.<br />
49
L<br />
L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />
50<br />
L’Edipo all’incrocio tra sessualità e<br />
identità.<br />
Immagine di un bambino di II elementare che, a partire<br />
dall’associazione del viaggio del cibo - metafora della<br />
gravidanza e nascita - per strane vie-teorie interne, ha invece<br />
compiuto il “viaggio del pensiero” disegnadolo sotto forma di<br />
caos<br />
commento del bambino:<br />
“il cervello con la faccia messa male: che ha tutto in<br />
disordine, che ha tutto un caos”<br />
I VOLTI DELL’IDENTITÀ SESSUATA<br />
“Dunque per primo fu Caos…” (Esiodo)<br />
La ricerca dell’identità è il percorso dal caos al cosmo, dal disordine all’ordine, dalla<br />
natura alla cultura. È importante che il bambino trovi chi, fuori di lui, lo contenga come<br />
un grembo e con la sua mente gli sappia donare il tocco del pensiero. Allora la magia della<br />
trasformazione dell’insensato in senso, dell’irrapresentabile in conoscibile, percepibile,<br />
visibile, gli permetterà di non rimanere catturato nel trame oscure della natura e nascere<br />
invece all’ordine della cultura e della propria singolare esistenza.<br />
L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />
M<br />
Gli enigmi della sfinge.<br />
“…La sfinge con i suoi canti ambigui<br />
ci rendeva pensosi del male più scoperto<br />
e indolenti di quello ch’era oscuro”<br />
Sofocle<br />
IDENTITÀ E SESSUALITÀ<br />
l’enigma della sfinge<br />
“Non sono interessi teorici bensì pratici quelli che mettono in essere nel bambino l’attività<br />
esplorativa… Il primo problema che lo occupa non è la questione della differenza di sesso,<br />
bensì l’enigma: da dove vengono i bambini?” (S. Freud 1905)<br />
“…dove il dire s’interrompe e la regola non basta a portare la parola ad espressione, si apre<br />
lo sfondo buio del presagio e dell’enigma. La sessualità appartiene all’enigma e l’enigma alla<br />
follia (mania)…Anche la follia è per Platone un’esperienza dell’anima…l’anima sente che<br />
la totalità è sfuggente, che il non senso contamina il senso, che il possibile eccede sul reale.” 1<br />
La sessualità continuamente rimanda all’origine (da dove vengo?) e al suo superamento<br />
(dove vado?). L’origine pone il problema dell’identità che l’edipo, in quanto fase<br />
evolutiva dei processi psichici, rappresenta. Accedere all’edipo, significa accedere alla<br />
cultura e alle sue regole che s’impongono sul vortice caotico della natura, dove non c’è<br />
distinzione né differenza. L’incontro tra sessualità e identità è un passaggio obbligato per<br />
la nascita dell’uomo a soggetto della cultura, per l’addivenire dal caos dell’apertura<br />
originaria (madre di tutte le cose) all’ordine della legge e dei suoi limiti (primo fra tutti<br />
il tabù dell’incesto). L’edipo è dunque il punto d’incrocio tra identità e sessualità. È<br />
soglia, limite. Tutto viene scelto lì: la normalità, la nevrosi, la fobia, la perversione; in<br />
ultima analisi il destino nevrotico del soggetto.<br />
1 U. Galimberti, “Gli equivoci dell’anima”, Pag. 171, ed. Feltrinelli, MI, 1987<br />
la rappresentazione dell’icona è tratta da un quadro di Gustave Moreau “Œdipe et le Sphinx”<br />
51
Le tre fasi della sessualità infantile
La conoscenza tra fantasia e realtà<br />
ovvero la fase orale*.<br />
Uno degli aspetti principali che riguardano la crescita e che, in particolare, caratterizzano<br />
la relazione genitori/figli, è la conoscenza. La conoscenza chiama in causa, per contrapposizione,<br />
la confusione ossia l’elemento più nocivo per la mente.<br />
I bambini fantasticano che la conoscenza sia qualcosa di concreto. Quando imparano il<br />
nome di una cosa, credono di sapere tutto su quella cosa: se un bambino piccolo vede un<br />
oggetto che vola ed impara che si chiama aereoplano, egli non solo immagina di volare<br />
ma crede di poter essere o fare esattamente come l’aereoplano. Ricorre spesso nei ricordi<br />
infantili l’evocazione di episodi in cui il bimbo che era l’adulto di oggi, si è lanciato a<br />
“volo” dall’alto di una terrazza o di un tetto nella profonda convinzione di “essere”<br />
capace di guidare e volare come un aereo. I bambini hanno poi la profonda convinzione<br />
che i genitori possiedano tutta la conoscenza del mondo e, nel pensiero più primitivo,<br />
tale conoscenza viene sentita come contenuta, concretamente, nel corpo della madre.<br />
Nell’esempio tratto dal tema scritto di una bambina di V elementare, la fantasia degli<br />
oggetti contenuti dentro il corpo della madre, si estende anche al pene: “…devo dire che<br />
si sta proprio bene dentro la pancia della mamma e che mi diverto tantissimo perché ci sono<br />
tanti vermiciattoli dalla coda lunga che mi fanno il solletico e ce n’è uno in particolare che<br />
è una peste e che continua a spingere, spingere oh,oh,oh, è entrato!! Però adesso non gli passa<br />
la coda che gli si è incastrata, che disastro!?…”.<br />
Si tratta di una fantasia molto comune ampiamente trattata da Freud, il quale ha dimostrato<br />
come le teorie sessuali dei bambini siano un’eredità filogenetica che si manifesta già<br />
nel primissimo stadio dello sviluppo sadico orale, attraverso l’inconsapevole uso di<br />
“manovre” quali “aprirsi un varco nel corpo della madre” e che riappaiono, più avanti,<br />
nelle analisi degli adulti e <strong>delle</strong> loro fantasie (es.: fantasma sessuale della vagina dentata o<br />
fantasie del pene temibile del padre dentro il grembo della madre, proiettate ad es. nel<br />
divieto ad avere rapporti sessuali durante la gravidanza per paura di “rovinare il feto).<br />
Per il bambino piccolo, la conoscenza significa essenzialmente conoscenza del corpo della<br />
madre, nel quale - egli pensa - siano contenuti e custoditi tutti i segreti e i beni del mondo.<br />
Nell’inconscio ogni fonte di ricchezza, di gioia e di bellezza è sentita come il seno materno<br />
che ama e che nutre. Penetrare nel corpo della mamma per “rubare” la sua conoscenza ed<br />
appropriarsi del suo tesoro è dunque fantasia comune che sorge soprattutto dalla<br />
privazione del “buon seno” che si ritrae e non dona tutti i suoi frutti. Dopo una prima fase<br />
di totale soddisfazione, avanza il momento in cui la frustrazione dell’oralità induce nel<br />
bambino il bisogno di vendicarsi del seno castigante. Quando il sadismo giunge al suo<br />
culmine, le fantasie di “rapina” ed “aggressione” diventano particolarmente intense: “È<br />
un’idea terrificante per non dire incredibile, per la nostra mentalità, quella di un bambino<br />
dai sei ai dodici mesi che tenti di distruggere la madre con tutti i mezzi che le sue tendenze<br />
* Lorena Fornasir, psicologa clinica, psicoterapeuta<br />
55
La conoscenza tra fantasia e realtà Lorena Fornasir<br />
sadiche gli mettono a disposizione, con i denti, le unghie, gli escrementi e con tutto il proprio<br />
corpo trasformato fantasticamente in ogni sorta di armi letali…[…]…Il prepotente bisogno<br />
di succhiare e dissecare il seno ingenera nel bambino il desiderio di succhiare e divorare tutti<br />
i liquidi e le altre sostanze che i suoi genitori (o, piuttosto i loro organi) contengono…<br />
l’invidia orale è una <strong>delle</strong> forze motivanti la spinta che i bambini dei due sessi sentono ad<br />
aprirsi un varco nel corpo della madre, spinta che è anche alla base dell’istinto<br />
epistemofilico… Nella prima parte di tale fase, ad esempio, in cui domina la violenza aperta,<br />
gli escrementi vengono considerati strumenti di attacco diretto mentre in seguito, invece, essi<br />
assumono il significato di tipo esplosivo o venefico…” 1 .<br />
La rappresentazione psichica del piacere e del dispiacere è all’origine della formazione di<br />
fantasie e di fantasmi che si depositano nell’inconscio per essere evocati ogniqualvolta<br />
eventi reali inducano la rappresentazione di eventi immaginari (es. “mangiare con gli<br />
occhi” - “mordere di rabbia”). È questo il mondo interno. Secondo Resnik, il mondo<br />
interno costituisce un’esperienza teatrale e caleidoscopica in cui tutti i personaggi detti<br />
“oggetti interni” assumono varie funzioni e tentano di parlare fra loro, di esprimere il<br />
loro accordo e disaccordo o anche di dissociarsi o scontrarsi come in un conflitto.<br />
All’inizio della vita, il bambino ama la madre nel momento in cui ella soddisfa il suo<br />
bisogno di nutrimento alleviandogli la sensazione di fame e procurandogli quel piacere<br />
sessuale che egli sperimenta nel contatto bocca/capezzolo. Questa gratificazione è una<br />
parte essenziale della sessualità infantile. Quando tuttavia il bambino è affamato ma i suoi<br />
desideri non vengono soddisfatti, oppure quando prova dolori e disagi fisici (spasmicoliche-contrazioni),<br />
il seno diventa improvvisamente cattivo. Odio e sentimenti<br />
aggressivi si risvegliano dirigendosi contro la madre e quanto a lei è collegato:<br />
nella fiaba di Cappuccetto Rosso, il lupo mannaro è la rappresentazione concreta,<br />
animalesca dell’istinto distruttivo ed incorporativo. Cappuccetto rosso c’insegna in modo<br />
esemplare, come la grande paura di essere mangiato dal lupo mannaro, sia infine la<br />
vendetta che si ritorce contro di lui per aver desiderato, fantasticato di aggredire tutto il<br />
cibo buono che, in ultima analisi, è il cibo/mamma. Egli scopre, davanti al lupo travestito<br />
(è la pulsione sadica orale ad essere “travestita”, cioè non ammessa alla coscienza se non<br />
in forma mascherata), che la tanto amata nonna non c’è più e che ora lei è rimasta sola<br />
con il suo bisogno incorporativo che ha assunto la forma del lupo divoratore 2<br />
La fiaba di Cappuccetto Rosso è, secondo Fairbairn, la tragedia del bambino piccolo nella<br />
fase orale precoce. Egli invita a distinguere la situazione di questo primo momento,<br />
caratterizzata da un amore orale preambivalente legato al succhiare, dalla fase orale più<br />
tardiva in cui la tendenza a mordere riflette il sadismo è l’impulso alla distruzione (una<br />
forma di amore con odio).<br />
Tutte queste fantasie che popolano il mondo interno ed immaginario del bambino, non<br />
possono essere “contenute” solo dal bambino. Quando l’intensità del sadismo o la<br />
pulsione aggressiva è troppo forte, esse vengono espulse, rigettate, proiettate fuori di sé,<br />
altrimenti il bambino stesso rischierebbe di rimanere annichilito. Esistono pianti<br />
inconsolabili del neonato che fanno pensare come egli sia preda ad una “perdita di sé”,<br />
o ad un “terrore senza nome”, o ad un dissolvimento di sé. Nei momenti in cui urla, si<br />
contrae agitandosi disordinatamente (altri esempi provengono dalle crisi isteriche o<br />
acting out…), si può anche immaginare che se non vi fosse la madre ad accogliere e<br />
soccorrere questo bimbo, trasformando in proiezioni a lei dirette queste iniziali eiezioni,<br />
egli andrebbe “a pezzi” o in frammenti di Sé.<br />
1 M. Klein, La psicoanalisi dei bambini,”Primi stadi del conflitto edipico”, p. 185-188, Nartinelli, Firenze 1984<br />
2 W. Ronald D. Fairbairn, Studi psicoanalitici sulla personalità, p. 47, Boringhieri, Torino 1992<br />
56<br />
La conoscenza tra fantasia e realtà<br />
Lorena Fornasir<br />
Il meccanismo della proiezione è fondamentale non solo perché il contenuto intollerabile<br />
può essere espulso ma anche perché presuppone l’esistenza di un “contenitore” che<br />
“contenga”, doni “forma” e restituisca in pensiero quello che poteva essere un nonpensiero<br />
o un’angoscia non mentalizzabile. Bion parla, a questo proposito, di elementi beta.<br />
Nella poesia di Micail, 17 anni, studente <strong>delle</strong> superiori, la rappresentazione terribile<br />
dell’amore e odio intrecciati in un impasto di pulsioni, cadono proiettate nel foglio di<br />
carta che resterà appeso alla bacheca della scuola come testo poetico. Poco prima di<br />
Natale, Micail lascia la vita o la vita lascia lui:<br />
Natale<br />
Mentre lo spirito del natale / apre il cuore di tutti / entra nella mia testa un canto funebre<br />
/ voglio accendermi / immolarmi a me stesso / finire in uno splendido / infernale / rogo<br />
natalizio<br />
Amore e odio lottano dunque nella mente del bambino accompagnati dalla più primitiva<br />
<strong>delle</strong> attività mentali: l’elaborazione fantastica o il pensiero per immagini.<br />
Per es.: se il bambino avverte un forte desiderio per il seno materno quando questo è<br />
assente, egli lo può immaginare allucinandone la presenza. In tal modo si crea quella<br />
gratificazione di cui nella realtà è privato. Anche in questo caso l’esperienza reale del<br />
piacere è fonte di fantasie piacevoli. Quando invece la frustrazione, non essendo ben<br />
tollerata, si accompagna a sentimenti aggressivi, le fantasie sono di tipo distruttivo. Se il<br />
bambino si sente frustrato dal seno, può usare le sue fantasie per attaccare, mordere,<br />
lacerare questo stesso seno così castigante (morsi della fame)<br />
Nel disegno di Paolo, 7 anni, le fantasie di un’oralità frustrata emergono dagli aghi/denti<br />
che cuciono la bocca del leone come punti di sutura su una ferita larga e aperta. La<br />
maestra 3 aveva chiesto ai bimbi della classe di disegnare l’animale in cui avrebbero voluto<br />
trasformarsi e rivoltasi a Paolo gli aveva domandato: “Se tu fossi veramente un leone cosa<br />
faresti ?”: Paolo rispose gestualmente simulando il gesto di graffiare e ruggire e mentre<br />
colorava il disegno disse spontaneamente: “il leone mangia la maestra e i bambini, perché<br />
lui mangia la carne”.<br />
La testa sembra una ruota dentata dipinta di quella tinta marrone che evoca il colore della<br />
cacca. Un’interpretazione clinica si rifarebbe al sadismo tipico della fase anale (il colore<br />
cacca trattenuto) associato alle fantasie dell’oralità cannibalica: “mangiare”, divorare,<br />
segare con i denti della testa (la maestra). Si potrebbe ora aprire un breve parentesi in<br />
riferimento al destino <strong>delle</strong> proiezioni. Basti per ora pensare che, nel nostro caso,<br />
l’espulsione <strong>delle</strong> fantasie distruttive da parte di Paolo cadono in grembo alla mente della<br />
sua maestra la quale, senza rimanerne distrutta, le accoglie e trasforma grazie alla rêverie<br />
che ha saputo sviluppare nei confronti del bambino. L’esperienza di poter divorare senza<br />
essere divorati (Paolo/leone mangia la maestra… perché lui mangia la carne), consente<br />
che la soddisfazione degli istinti - l’oralità cannibalica di Paolo - non sia associata a livello<br />
fantasmatico, all’angoscia di annichilimento e di frammentazione del Sé.<br />
Quanto riferito trova molti riferimenti nelle esperienze di osservazione del lattante. Oltre a<br />
notare diversi atteggiamenti da parte del neonato nel succhiare al seno, spesso, le madri 4<br />
3trattasi di materiale pubblicato da L. Fornasir, Sessualità e Soggetto in adolescenza, tip. Provincia di PN, Pordenone 1997<br />
4 Materiale tratto dai corsi di post partum tenuti da L.Fornasir<br />
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La conoscenza tra fantasia e realtà Lorena Fornasir<br />
riescono a definire precisamente caratteristiche che, clinicamente, riflettono degli “attacchi”,<br />
<strong>delle</strong> “aggressioni”, <strong>delle</strong> “<strong>paure</strong> incontrollate” a livello di fantasia, come si può notare da<br />
questi esempi 5 :<br />
“quando succhia mi morde, sembra temere che le portino via il latte<br />
“succhia in un modo vorace”<br />
“ho paura di restare senza latte perché lui mi svuota tutto”<br />
“i primi tempi era molto avido, inghiottiva tanta aria; ora non è costante nei tempi”<br />
“è velocissima ma, nell’ansia di inghiottire, mangia tantissima aria”<br />
“sembra che il latte la bruci dentro, forse per questo ha le coliche”<br />
Nell’esempio che segue il capezzolo appare come il precursore dell’oggetto intero,<br />
all’interno di un gioco di “attacco” e “distacco”, “unione” e “separazione”<br />
“Lui è velocissimo, mangia,poi gioca con il capezzolo: lo prende e lo stacca, lo prende e lo stacca,<br />
ci sbatte la testina e ride, lo prende anche con le manine. A me piace tanto, è favoloso”.<br />
Questi traduzioni vive da parte <strong>delle</strong> mamme che interpretano il “modo” con cui si<br />
sentono svuotate, mangiate, morsicate, ma anche felicemente appagate, mettono in<br />
luce come il bambino sia spinto (nella fase sadico orale e sadico-anale) a desiderare di<br />
appropriarsi di ciò che è contenuto nel corpo materno. La pulsione espistemofilica, gli<br />
indurrà in seguito la curiosità di sapere cosa c’è dentro, com’è fatto il corpo della<br />
mamma.<br />
“In tal modo la pulsione epistemofilica e il desiderio di possesso si collegano intimamente fra<br />
loro…” 6 . Invidia e avidità sostengono il tratto predatore <strong>delle</strong> fantasie orali. L’avidità<br />
porta a svuotare, a prosciugare e a divorare il seno materno (incorporazione distruttiva) 7<br />
mentre l’invidia, mira ad entrare intrusivamente dentro il “seno” o il corpo della madre<br />
per danneggiarlo ed impadronirsi di tutti i tesori che, il bimbo pensa, ella vuole tenere<br />
solo per se. Queste fantasie sono sostenute dal sadismo uretrale ed anale, a cui si aggiunge<br />
quello orale e muscolare. Nelle fantasie sadico-orali il bambino rivolge la sua aggressione<br />
al seno materno attraverso i mezzi a sua disposizione: denti e mascelle. Nelle fantasie<br />
uretrali e anali “… gli escrementi diventano strumenti micidiali: orinare equivale a<br />
tagliare, pugnalare, bruciare, annegare; le masse fecali equivalgono ad armi e<br />
proiettili…in una fase più avanzata gli escrementi sono immaginati come sostanze<br />
velenose… ” 8 . “L’analisi del gioco mostra che quando le pulsioni aggressive del bambino sono<br />
al loro culmine, egli non si stanca mai di strappare, fare a pezzi, rompere, bagnare o dar<br />
fuoco ad ogni sorta di oggetti - carta, fiammiferi, scatolette, giocattolini - che rappresentano<br />
i suoi genitori, i suoi fratelli e sorelle, il corpo e il seno materno; e mostra che a questa furia<br />
distruttiva si alternano crisi di angoscia e senso di colpa”.<br />
Il sadismo orale e muscolare: mordere-strappare-fare a pezzi, e il sadismo uretrale e anale:<br />
tagliare-pugnalare-bruciare-annegare, trasformano le funzioni del corpo (fare la pipì -<br />
fare la cacca - “fare” le lacrime 9 ) in azioni distruttive, ed i suoi contenuti in armi micidiali.<br />
L’onnipotenza del pensiero infantile è ciò che rende possibile questi attacchi di fantasia.<br />
Il bimbo vive la realtà secondo un duplice aspetto: da un lato ha un rapporto realistico<br />
con i suoi genitori che rappresentano l’“oggetto” della sua percezione, dall’altra pensa di<br />
averli veramente feriti e distrutti.<br />
5 Esempi tratti dal corso post partum del 9 febbraio 1998<br />
6 M. Klein, Scritti 1921-1958, p. 217, Boringhieri, Torino 1986<br />
7 M. Klein, Invidia e gratitudine, Martinelli, Firenze1969<br />
8 M. Klein, Scritti 1921-1958, p. 249, Boringhieri, Torino 1986<br />
9 vedi a proposito <strong>delle</strong> lacrime come il Lambertini nel testo di Anatomia Umana definisce, nella prefazione, la mestruazione come pianto dell’utero per<br />
non aver concepito. Anche Bergeret parla di un passaggio dalla primitiva fase passiva del sadismo uretrale in cui l’urina è usata per “sporcare”,<br />
“avvelenare”, alle lacrime in cui prevale l’intento di “far uscire” senza sporcare.<br />
58<br />
La conoscenza tra fantasia e realtà Lorena Fornasir<br />
È una fantasia cannibalica secondo cui egli “inghiotte” (introietta) nel mondo interno<br />
l’immagine dei genitori rovinati dal divoramento i quali, d’ora in poi, agiranno come<br />
persecutori interni o “oggetti vendicatori”.<br />
Potrebbe apparire molto ipotetico parlare di oralità cannibalica e d’immagini aggressive<br />
nella mente dei bambini se la clinica dell’infanzia non sostenesse questo “materiale”.<br />
M. Klein, in una <strong>delle</strong> sue comunicazioni alla Società Psicoanalitica di Berlino, aveva<br />
trovato un’analogia tra due orrendi delitti e certe fantasie riscontrabili nelle analisi di<br />
bambini molto piccoli. Nei fatti di cronaca dell’epoca, Harmann era un criminale che<br />
prima intratteneva rapporti omosessuali con dei giovani e poi li decapitava bruciandone<br />
il corpo o eliminando le parti in vari modi; l’altro assassino sopprimeva invece le sue<br />
vittime e fabbricava salsicce con le parti dei cadaveri. La Klein riscontrò l’analogia nelle<br />
fantasie di gioco di Peter, un bimbo fra i quattro e cinque anni, molto inibito e timido,<br />
incapace di giocare se non per rompere i propri giocattoli. Durante una seduta<br />
terapeutica iniziò a “giocare” con due pupazzi e ne decapitò uno vendendo poi il suo<br />
corpo ad un macellaio immaginario affinché lo facesse a pezzetti e li rivendesse. Per sé<br />
teneva la testa, esattamente come il criminale del primo caso 10 .<br />
Anche la clinica dell’adulto è ricca di proiezioni attinenti a vissuti primordiali, che si<br />
radicano sotto forma di potenti fantasie: un paziente con una forte inibizione della sfera<br />
sessuale, sintomi ipocondriaci e d’impotenza, il quale da neonato aveva sofferto d’una<br />
grave forma allergica al latte che gli aveva impedito d’allora in poi di nutrisi anche dei suoi<br />
derivati, durante una seduta riferisce di aver sfiorato casualmente il seno di una donna,<br />
cadendo preda di una reazione emotiva molto intensa con forti sensi di colpa. Per alcune<br />
ore dopo l’accaduto, ha “fatto la pipì” così tante volte, da sentirsi incontinente. La sua<br />
angoscia lo aveva impegnato ad “espellere” il pericolo di una terribile punizione.<br />
Tuttavia, l’episodio da lui vissuto in modo così negativo gli fa dire “c’è un aspetto positivo<br />
in tutto questo perché ho fatto l’esperienza che il seno (sfiorato con la mano) non mi morsica,<br />
non mi mangia”.<br />
Queste ultime parole traducono la fantasia riposta dentro il seno e latente nella sfera<br />
sessuale di questo uomo, che il seno stesso si ritorca e si vendichi dell’aggressività con cui<br />
il bambino (dentro l’adulto) sadicamente lo attacca. L’allergia al latte/seno del neonato<br />
che egli è stato, è stata anche la prima manifestazione di difesa contro la paura dal proprio<br />
sadismo orale.<br />
Sappiamo che il sadismo è suscitato dalla frustrazione che il bambino incontra nella<br />
limitazione dell’appagamento dei suoi desideri.<br />
Esso però genera l’angoscia che la distruzione si ritorca nei suoi stessi confronti: “Le<br />
fantasie sadiche dirette contro l’interno del corpo materno costituiscono quindi il primo<br />
rapporto fondamentale con il mondo esterno e con la realtà. La misura in cui il soggetto<br />
acquisirà in seguito un rapporto con il mondo esterno conforme alla realtà dipende da<br />
quella del successo con il quale egli supera questo stadio. La primissima realtà del bambino,<br />
dunque, è totalmente di fantasia; egli è circondato da un mondo di oggetti d’angoscia e, per<br />
quanto riguarda la loro capacità d’angoscia, escrementi, organi, oggetti, cose animate e<br />
inanimate si equivalgono. Un rapporto autentico con la realtà si istituisce gradualmente,<br />
a partire da questa realtà illusoria, a mano a mano che l’Io si sviluppa. Lo sviluppo dell’Io<br />
è capace di tollerare, in un’età precocissima, la pressione <strong>delle</strong> primissime situazione<br />
d’angoscia…” 11 .<br />
10 M. Klein, Scritti 1921-1958 “Tendenze criminali nei bambini normali”, cap. 7° p. 204/205, Boringhieri ed., TO 1986<br />
11 M.Klein, Scritti 1921-1958,pag. 249-251, Boringhieri, Torino 1986<br />
59
La conoscenza tra fantasia e realtà Lorena Fornasir<br />
L’Io del bambino molto piccolo, è dunque esposto a <strong>delle</strong> correnti fortissime senza che<br />
esso possieda ancora la forza necessaria ad operare un’energica rimozione degli impulsi<br />
orali e anali. Ogni sua fantasia sadica specifica richiama in lui una fantasia di angoscia<br />
identica in cui egli subisce quanto fa subire ai suoi “oggetti” maltrattati che, secondo la<br />
legge biblica “occhio per occhio” o legge del taglione, si trasformano in “oggetti vendicatori”.<br />
Peter, ad esempio, possedeva un Io troppo debole per sopportare il senso di<br />
colpa proveniente dal suo Super-Io che minacciava di punirlo attraverso le stesse azioni<br />
sadiche che egli drammatizzava nel gioco.<br />
Il bambino piccolo è inoltre pervaso da interrogativi che precedono la stessa comprensione<br />
del linguaggio e che rimangono, proprio a causa di questo limite, senza risposta. Il<br />
risentimento che ne deriva origina quelli che saranno i futuri sentimenti di ostilità. Nelle<br />
analisi degli adulti questo “stato di acredine e risentimento” si rende facilmente visibile e<br />
spesso si accompagna all’inibizione della pulsione epistemofilica, come accade per es. nel<br />
rifiuto o incapacità ad apprendere le lingue straniere, o l’ostilità per chi “possiede” una<br />
lingua diversa. La curiosità del bambino che sfocia verso i quattro/cinque anni nei famosi<br />
“perché” altro non è che la fase finale di questo processo iniziato con le fasi sadico orale<br />
ed anale.<br />
Riprendendo il tema centrale <strong>delle</strong> fantasie, i sentimenti di colpa che derivano dagli<br />
attacchi di fantasia e l’angoscia ad essi collegata, sono la fonte e lo stimolo verso la<br />
creatività e il desiderio di “riparare” il danno inferto. Quest’ultimo desiderio così<br />
fortemente collegato alla persona amata ed al timore per la sua morte, può trasformarsi<br />
in un’attività costruttiva e creativa. L’impulso a “riparare” è una <strong>delle</strong> fonti maggiormente<br />
creative. Il bambino realizza attraverso il gioco, il più grande tentativo di<br />
“restaurare” ciò che egli ha danneggiato ed aggredito nella fantasia od anche nella realtà<br />
come accade per i giocattoli.<br />
Un’opera intitolata “La parola magica” di Sidome-Gabrielle Colette (1873-1954) famosa<br />
autrice francese del ‘900, musicata da Ravel sotto il titolo “Il bambino e i sortilegi” è<br />
stata ripresa interamente da M. Klein per sviluppare, nel famoso saggio del 1929 12 , il<br />
concetto di “riparazione”. Si tratta di un racconto in cui un bambino, preda della sua<br />
accidia, si ribella alla mamma e distrugge gli oggetti della propria stanza.<br />
La Klein si sofferma, in un primo tempo, sul piacere di distruggere che il bambino prova<br />
devastando la camera, metafora del corpo materno, e quanto in esso vi è contenuto (il<br />
pene paterno simboleggiato dallo scoiattolo chiuso in gabbia, cioè nel grembo<br />
femminile). Il suo sadismo si manifesta nella furia con cui egli fracassa, strappa, insudicia,<br />
esattamente come fa il bimbo piccolo con le unghie, con i denti, con le feci. I brandelli<br />
della tappezzeria strappata rappresentano il corpo materno fatto a pezzi, gli animali ostili<br />
sono le varie rappresentazioni del padre che è stato aggredito e che ora si vendica.<br />
In un secondo tempo, la Klein richiama l’attenzione sulla prefigurazione di una fase più<br />
avanzata dell’amore oggettuale che s’instaura con lo sviluppo verso la fase genitale. In<br />
questo tempo, il bambino di Colette, così come ogni altro bimbo, è capace di provare<br />
compassione e pietà per lo scoiattolo che cade a terra ferito: egli impara ad amare ed a<br />
credere in un mondo che non è più ostile. La parola “mamma” è la parola magica che<br />
“restaura” il mondo degli “oggetti” rotti così che la colpa possa essere riparata e l’amore<br />
prevalere sulla distruzione.<br />
Il sadismo del bambino era stato sollecitato dalla frustrazione orale: “…voglio mangiare<br />
tutte le torte del mondo!” gridava, ma la mamma invece lo minacciò di dargli il tè senza<br />
12 M.Klein, Scritti, “Situazioni d’angoscia infantile espresse in un’opera musicale e nel racconto di un impeto creativo”, p. 16, Boringhieri, Torino 1986<br />
60<br />
La conoscenza tra fantasia e realtà Lorena Fornasir<br />
zucchero e pane secco. Improvvisamente la “madre buona” che nutre con tutte le sue<br />
sostanze preziose, diventa la “madre cattiva” che frustra ed infligge castighi.<br />
Nella fiaba di Hansel e Gretel, questo scenario si mostra fin dall’inizio come realtà<br />
immaginaria che si svolge tra mondo interno e mondo esterno.<br />
Infatti: “al limitare di un grande bosco (concetto limite tra psichico e somatico) viveva<br />
una volta un taglialegna con la moglie e i suoi due bambini Hansel e Gretel …”<br />
La fiaba di Hansel e Gretel non racconta le cattiverie reali di una madre reale ma, con<br />
l’artifizio del fantastico, ci parla della fantasia della cattiva madre che ogni bimbo<br />
possiede nel proprio immaginario (frutto della frustrazione della madre-seno cattivo) e<br />
che non è riferita alla madre reale ma a quella immaginaria ed interna. Questa immagine<br />
di fantasia è il fantasma che risiede e si accompagna alle vicende della libido. La madre,<br />
per la psiche di ogni bambino e del bambino che è in noi, rappresenta la fonte di ogni<br />
sazietà, di ogni gratificazione. Quando essa si sottrae all’esigenza della vorace fantasia da<br />
parte del bambino di avere tutto, il bambino stesso prova una profonda ansia e delusione<br />
e pensa che la mamma si sia disamorata, sia divenuta egoista e frustrante. In questo senso<br />
non è più la mamma buona, ma diventa una mamma cattiva che fa nascere sentimenti di<br />
odio e di aggressività.<br />
Alcuni esempi tratti da temi di bambine di V elementare mettono in risalto questa dinamica:<br />
“Sono dentro alla pancia della mamma, qui il clima è molto caldo. Mi annoio, non dormo<br />
mai, perché mia mamma si muove sempre. Ho fame, ho sete e mia mamma non mi dà<br />
niente. Qui intorno vedo tutto rosa e ogni volta, se guardo in alto, mi vengono le vertigini;<br />
mi è sempre appiccicato un tubo. Non vedo l’ora di uscire da qui per giocare, per dormire<br />
tranquillamente nel mio letto e non avere più questo tubo e non vedere più tutto rosa.”<br />
“Sono dentro la pancia della mamma. C’è un silenzio dolce, c’è una piccola luce chiara. Io<br />
adesso sto piangendo perché ho fame, anzi molta fame; sto cercando di addormentarmi …<br />
Il latte mi arriva con una specie di tubo dalla bocca della mamma, il latte è caldo, anzi<br />
bollente. Ogni giorno mi metto a giocare tirando calci alla pancia, sicuramente quella<br />
mamma che mi tiene dentro di lei dirà “mi fa male, mi fa male” …” 13<br />
Tuttavia, poiché il bambino non può tollerare di nutrire sentimenti ostili verso la propria<br />
madre (in quanto si sentirebbe aggredito dalla sua stessa aggressività) egli può – con la<br />
fantasia – trasformarla in una strega. E difatti, in Hansel e Gretel, la madre buona non<br />
c’è. Al suo posto esiste una matrigna cattiva che, a causa della carestia (cioè a causa della<br />
voracità dei due bambini), vorrebbe far morire i bambini, ed una strega del bosco che li<br />
vorrebbe divorare. Ambedue rappresentano il fantasma dell’aggressività che dopo aver<br />
aggredito la “buona madre” tramite i sentimenti di rabbia-odio-disperazione, si ritorce<br />
poi sul bambino che questi stessi sentimenti ha emanato. L’attacco (di Hanesl e Gretel<br />
nel caso della fiaba) implica sempre una ritorsione, se non altro a livello immaginario. La<br />
potenza di questa ritorsione sarà determinata dalla capacità della “buona madre” di poter<br />
contenere i sentimenti ostili e restituirli depurati della loro aggressività.<br />
Meltzer definisce la “potenzialità di un buon contenitore” secondo la sua “capacità<br />
sfinterica”, ossia attraverso il controllo (dei suoi orifizi) dell’emotività che può avvenire<br />
grazie alla “continenza mentale”. La “buona madre” sarebbe dunque colei che si lascia<br />
aggredire senza esserne divorata, non attaccando perché attaccata, ma restituendo la<br />
capacità di “tollerare” l’attacco e quindi il sentimento che quell’aggressività non è così<br />
aggressiva da essere distruttiva, ma invece la calma, la trasforma (un esempio si può trarre<br />
da quegli episodi in cui le mamme prima di dare il cibo ai loro bambini, lo assaggiano per<br />
13 materiale tratto da un corso di educazione sessuale tenuto da assistenti sanitarie ad alunni <strong>delle</strong> elementari<br />
61
La conoscenza tra fantasia e realtà Lorena Fornasir<br />
saggiarne la bontà, ovvero per depurarlo inconsapevolmente dalle impurità o dai veleni<br />
immaginari della mente).<br />
La capacità di tollerare le angosce del bambino è, almeno all’inizio della vita, legata<br />
all’interazione tra la mente della madre e quella del bambino. Così tutto quello che il<br />
bambino non può tollerare dentro di sé e che egli evacua con il pianto, l’agire muscolare,<br />
l’urina, le feci, può essere accolto dalla capacità di rêverie della madre che lo trasforma in<br />
emozioni, in fantasie, rendendolo riconoscibile e pensabile. Ciò che il bambino ha<br />
proiettato dentro la madre può a questo punto essere ripreso o reintroiettato dal<br />
bambino stesso, che a sua volta mette in atto la stessa funzione trasformativa materna. Se<br />
la madre non è in grado di assolvere a questa funzione contenitrice, ella potrà essere<br />
presente, nella mente del bambino, non come un “buon seno assente”, ma solo come un<br />
“cattivo seno presente”.<br />
Hansel e Gretel (fin dall’inizio della fiaba espulsi da casa a causa della loro voracità) in<br />
preda alla fame, cioè agli impulsi dell’oralità, vorrebbero divorare la casa di marzapane.<br />
La casa di marzapane è un’immagine che non si dimentica. Essa rappresenta l’avidità orale<br />
e l’irresistibile impulso ad assecondarlo; simboleggia il corpo stesso della madre.<br />
Mangiando la casa di marzapane, Hansel e Gretel mangiano la madre che nutre e<br />
divorano la madre che frustra, che invidiano perché è piena di dolci e di frutti (cioè il suo<br />
corpo è pieno di “peni”, di “bambini”, secondo la Klein), che tiene solo per sé e non<br />
divide con i suoi figli. Ecco allora presentificarsi la strega, che è la personificazione degli<br />
aspetti distruttivi dell’oralità:<br />
“Oh cari bambini, chi vi ha portato fin qui? Entrate pure e restate con me, non vi succederà<br />
nulla di male. E prendendoli per mano li fece entrare.. servì loro una cenetta squisita: latte<br />
e frittata con zucchero, mele e noci, poi preparò loro due bei lettini candidi, Hansel e Gretel<br />
vi s’infilarono e credettero di essere in Paradiso: anche se si era mostrato così gentile, la<br />
vecchia era in realtà una strega cattiva che adescava i bambini e aveva costruito la casetta<br />
di marzapane solo per attirarli … Le streghe hanno gli occhi rossi e non vedono a un palmo<br />
dal loro naso, hanno però un fiuto sottile come gli animali, e sentono subito se un essere<br />
umano si avvicina..<br />
Queste immagini di fiaba raccontano le vicende del mondo interiore del bambino. Esse<br />
sono però lo specchio in cui sia il bambino che la madre si possono riflettere, cioè<br />
identificare. Se l’aggressività o le <strong>paure</strong> del bambino incontrano una madre che<br />
s’identifica con la propria aggressività e le proprie <strong>paure</strong>, l’incontro può essere<br />
traumatico. C’è bisogno di un “ritmo” che accompagni l’incontro, quello che la Tustin<br />
chiama il “ritmo della salvezza” 14 , in cui le difficoltà del bambino nel mettersi in contatto<br />
con la madre vengano accolte e trasformate dalla sua rêverie. Per usare la metafora del<br />
seno e del nutrimento, la difficoltà del neonato nel trovare il giusto ritmo respiratorio tra<br />
suzione e pausa, è un’esperienza difficile che spesso non coincide. Così come il bambino<br />
può sentirsi soffocare, anche la mamma può sentirsi rifiutata. Tuttavia, se la mamma non<br />
s’identifica con questa sua paura, con la paura di essere una cattiva madre, piano piano si<br />
fa strada il ritmo della salvezza, fatto di sensazioni, di aggiustamenti, di magie, che creano<br />
una sincronia, un’armonia, un’adattabilità attraverso quella che Bion ha chiamato la<br />
rêverie cioè la capacità d’identificarsi nei bisogni del bambino. Allora quelli che sono solo<br />
dati grezzi e sensoriali (elementi beta) ricevono una loro pensabilità, un ordine dentro<br />
l’emozione, che può così essere assunto ed introiettato dal bambino stesso.<br />
Come egli coglie sé stesso attraverso il volto della madre, altrettanto coglie, “mette<br />
14 F. Tustin, Barriere autistiche in pazienti nevrotici, Borla, Città di Castello 1990<br />
62<br />
La conoscenza tra fantasia e realtà Lorena Fornasir<br />
dentro”, assorbe, le proiezioni che i genitori fanno su di lui. Il ruolo di queste proiezioni<br />
è incisivo e strutturante nello sviluppo e nella organizzazione della sua personalità.<br />
L’esperienza dell’identità, infatti, si costruisce attraverso una sequenza continua d’interiorizzazioni<br />
(o identificazioni introiettive).<br />
Ovviamente, ci sono proiezioni normali e proiezioni che creano quel sintomo di cui il<br />
bambino si fa portatore, essendo portatore innanzitutto della proiezione che il genitore<br />
ha “fatto” dentro di lui (sappiamo come spesso il sintomo del bambino serve a curare il<br />
sintomo del genitore). Uno dei sintomi più visibili si esprime nei disturbi del sonno e<br />
dell’alimentazione. Spesso, in questi casi, c’è una carenza nel cogliere i bisogni del<br />
bambino, compensata dall’eccessiva importanza che la madre o i genitori assegnano alle<br />
prestazioni, assumendo il compito educativo in termini di addestramento. Per questo<br />
tipo di madri, la difficoltà maggiore consiste nel mentalizzare il disturbo del loro<br />
bambino. Accanto ai sintomi visibili, che comunque si prestano ad essere letti per il valore<br />
di messaggio, ci sono altri messaggi più criptici che si riverberano nel mondo psichico<br />
interiore esattamente come l’immagine di una persona si riverbera, frammenta, moltiplica<br />
e distorce, all’interno della sala degli specchi di un luna park. Siamo nel mondo <strong>delle</strong><br />
proiezioni (da pro-iacere: gettare fuori) o, appunto, degli specchi. Una <strong>delle</strong> proiezioni<br />
più comuni è quella che la madre fa sul proprio bambino aspettandosi che lui, il bambino,<br />
possa essere o avere tutto quello che lei non ha mai potuto essere o avere. Una mamma<br />
che avrebbe voluto essere una bambina affettuosa, simpatica, gentile, ed ha avuto una<br />
madre anaffettiva, dura, esigente, severa, può tentare di fare una proiezione sul proprio<br />
figlio di ciò che lei avrebbe voluto essere. Contemporaneamente s’identifica con la madre<br />
ideale che avrebbe voluto avere. In questo caso si assiste al tentativo di annullare tutta la<br />
situazione conflittuale che questa madre ha vissuto nella propria infanzia e nella propria<br />
adolescenza, nel desiderare di creare e vivere con il proprio bambino una relazione<br />
immaginata ma soprattutto ideale. Al tentativo di negazione del conflitto corrisponde la<br />
negazione dell’aggressività: aggressività del bambino e aggressività della mamma nei<br />
confronti del bambino. In particolare, è l’aggressività del bambino che non viene<br />
riconosciuta. La sua sintomatologia è sovente la conseguenza del senso di colpa che si<br />
accompagna al desiderio di autonomia e di affermazione di sé stesso che, in qualche<br />
modo, trasgredisce l’immagine idealizzata riposta in lui. Chi sta accanto ai bambini, si<br />
rende conto facilmente come alcune competenze nuove, quali il camminare, giocare in<br />
modo diverso, possa provocare una conflittualità molto intensa, proprio perché dietro c’è<br />
l’incapacità della madre o dell’ambiente di accettare quell’aggressività necessaria ad un<br />
bambino per staccarsi, per crescere, per assumere un’identità che deborda da quella che<br />
la madre ha proiettato su di lui.<br />
Un esempio mi giunge indirettamente da parte di una bimba tramite un tema che le<br />
assistenti sanitarie hanno fatto svolgere ad una classe in preparazione di un corso di<br />
educazione sessuale:<br />
“giovedì 29 febbraio, <strong>delle</strong> dottoresse vengono a farci lezione di ed. sessuale. Ho paura perché<br />
facciano punture perché mi fanno male. Quando queste signore verranno li chiederò di<br />
alcuni miei diffetti. Certe volte mi vengono dei forti dolori all’interno del sedere, per questo<br />
motivo ho provato a chiedere a mia mamma cosa potrebbe essere, ma lei mi rispose che non<br />
lo sapeva e che le veniva anche a lei qualche volta. Vorrei anche sapere se sanno distinguere<br />
i calli dalle verruche perché ce ne ho due nel piede…<br />
Sembra trattarsi di <strong>paure</strong> interne, sia legate alla sessualità sia legate all’installazione dentro<br />
e nel corpo, in modo specifico nel sedere, di rappresentazioni intrusive e violente. La<br />
63
La conoscenza tra fantasia e realtà Lorena Fornasir<br />
mamma, a quanto riferisce questa bambina, offre una risposta che appiattisce e nega<br />
questa rappresentazione così forte deviandola da una verità (con le mestruazioni i<br />
“dolori” sono di pancia e non di sedere) e negandone l’evidente aggressività anale.<br />
Aggressività che repressa nel “sedere” ritorna fuori nelle verruche del piede le quali,<br />
attualmente, trattengono tutto il male. Inoltre, c’è il desiderio della bambina di conoscere,<br />
fare differenza, apparentemente tra calli e verruche, sostanzialmente tra sessualità<br />
cloacale (teoria sessuale infantile) e sessualità genitale.<br />
Il desiderio di autonomia che necessita di un movimento, di una spinta o aggressività<br />
positiva, la si può invece rintracciare in questi pensierini di una bimba di IV elementare<br />
“Io quando ero nella pancia della mamma davo parecchi calci, o perché mi muovevo o perché<br />
mi stavo preparando per uscire fuori dall’utero. Quando ero nella pancia della mamma,<br />
non mi posso ricordare, però immagino che stavo bene lì dentro, e penso che faceva anche<br />
abbastanza caldo. Io ero legata alla pancia della mamma con il cordone unbelicare e<br />
quando mi hanno tirata fuori hanno tagliato il cordone unbeligare”<br />
Riprendendo il punto che ci introdotto a questi esempi, e cioè la tematica <strong>delle</strong> proiezioni,<br />
riusciamo a scorgere come nel caso dei calli e verruche, esse inducano uno stato di<br />
fissazione allo stadio anale. Il secondo esempio invece, ci riporta a Hansel e Gretel, a quel<br />
movimento che oscilla tra l’“unbelicare” (risuona ancora la lallazione) e l’“unbeligare”<br />
cioè “ligare”, “tagliare la corda”, “andarsene e crescere”.<br />
La grande pancia della mamma, con il suo cordone “unbelicare” e con quello<br />
“unbeligare”, è il proscenio di quanto avviene nella casa dei genitori prima ed in quello<br />
della strega poi, luoghi separati di un’unica esperienza totale.<br />
All’inizio la strega è una figura materna, tenera ed affettuosa, che “li prese per mano e…”.<br />
Alla fine Hansel e Gretel si coricano pensando di essere in Paradiso. Il risveglio invece è<br />
traumatico. Dopo il paradiso dell’ingordigia e della gola, l’ES arretra difronte alla<br />
punizione che avanza con gli occhi rossi che le streghe hanno nel buio.<br />
Per sopravvivere Hansel e Gretel dovranno imparare a riconoscere i pericoli della<br />
dipendenza orale, rinunciare ai loro sogni di beatitudine ed escogitare quegli artifizi che<br />
li libereranno dalla cattiva strega.<br />
Solo quando i pericoli insiti nel rimaner fissati all’oralità primitiva saranno superati,<br />
Hansel e Gretel riusciranno a trovare la strada del loro ulteriore sviluppo. Allora, e solo<br />
allora, potrà ricomparire la “madre buona”, gratificante, nascosta in fondo a quella<br />
cattiva, dove sono trattenuti i gioielli da conquistare. Questo significa che, non appena i<br />
bambini rinunciano alla soddisfazione orale, possono liberarsi dalla cattiva madre - la<br />
strega - e riscoprire i buoni genitori, la loro saggezza, ossia i loro gioielli. Nella loro<br />
dipendenza Hansel e Gretel erano un peso per la famiglia, al loro ritorno sono essi che<br />
sostengono i genitori, portando a casa i tesori che si sono guadagnati. Questi tesori<br />
rappresentano l’autonomia in pensieri ed azioni e la fiducia in sé stessi che è l’opposto<br />
della dipendenza passiva.<br />
Una strega dagli occhi rossi, come quella creata dalla fantasia aggressiva, è il fantasma che<br />
perseguita i bambini; ma una strega che può essere bruciata nel forno, è una strega di cui<br />
il bambino può liberarsi. Più difficile sarà liberarsi dalle proiezioni depositate in noi e che<br />
accompagnano il destino della nostra singolarità.<br />
64<br />
L’origine erotica della creatività*<br />
ovvero la fase anale.<br />
La fase orale, durante la quale si struttura lo schema della funzione nutritiva, è dominata<br />
dal piacere del bambino di usare la bocca. Essa è l’organo più importante per la<br />
conoscenza del “mondo mamma”, mondo che è il rappresentante della realtà esterna e<br />
degli scambi di relazione. Con la bocca, il bimbo è dentro un “bagno di suoni”: succhia,<br />
mangia, inghiotte, morde, divora, si “aggrappa” al capezzolo, gioca con i gorgheggi, con<br />
il seno, con il latte che gli sgorga. Ancora, con la bocca il bimbo “mette dentro” di sé od<br />
incorpora nel suo Sé il “nutrimento” che riceve dall’esterno sviluppando, se tutto avviene<br />
in modo adeguato, quella fiducia primaria nell’“oggetto” mamma che rende possibile la<br />
sua interiorizzazione come base della vita psichica.<br />
La complessità di questa esperienza rappresenta il prototipo di ogni relazione affettiva:<br />
infatti, l’esperienza del piacere e del dispiacere affonda le sue radici nel bisogno<br />
incorporativo che regola il primitivo “scambio” tra la realtà esterna e la realtà interna. La<br />
bocca, organo di contatto ma anche cavità (orale), ingloba il cibo nel suo antro, lo<br />
trattiene in sé e quindi lo cede ad altri organi dopo averlo succhiato o gustato o masticato<br />
o triturato o sciolto... Questi aggettivi che sembrerebbero designare <strong>delle</strong> operazioni<br />
meccaniche e quasi fisiche evocano, invece, il mondo pantagruelico dell’oralità goduriosa<br />
e sadica. Entrambi, sia il cibo che la bocca, vengono infatti investiti di energia sessuale<br />
essendo la nutrizione legata alla gratificazione orale ed alla soddisfazione di un piacere<br />
primario (fame e sete).<br />
Il cibo che dalla “cavità” della bocca scende lungo i “luoghi” interni dell’organismo, fra<br />
gli antri della digeribilità, subisce varie trasformazioni e metamorfosi, andandosi infine a<br />
depositare nell’ultima cavità: quella anale. Fare una “buona cacca” è per il neonato il<br />
risultato di un “buon pasto”, mentre per la madre è il segnale che il proprio bambino sta<br />
bene. Il legame tra la sensazione di piacere nell’aver evacuato e la soddisfazione della<br />
mamma, dona alle feci un particolare significato.<br />
Esse sono il dono prezioso che il bimbo regala ai propri genitori ed accettando di<br />
separarsene, rinuncia di fatto a trattenerle solo per sé mostrando così un atto di generosità:<br />
“La defecazione è la prima situazione in cui il bambino deve decidere fra un atteggiamento<br />
narcisistico e un amore oggettuale. O cede di buon grado gli escrementi, li “sacrifica” come<br />
pegno d’amore, oppure li ritiene per soddisfare un impulso autoerotico, e in seguito per<br />
affermare la propria volontà” 1<br />
Oltre al significato di “regalo”, le feci possiedono anche il significato di “bambino”<br />
conformemente alle teorie sessuali infantili secondo cui il bambino nasce mangiando certi<br />
cibi e viene partorito attraverso l’intestino. Per il bambino piccolo, infatti, non è per nulla<br />
degradante venire al mondo come un mucchietto di feci, potendo egli concepire la sola<br />
e più ovvia teoria di un’unica “bocca alla fine del corpo” da cui “escono” le cose mangiate<br />
(teoria della cloaca).<br />
* Lorena Fornasir, psicologa clinica, psicoterapeuta<br />
1 S. Freud, Trasformazioni pulsionali, particolarmente dell’erotismo anale, Opere, vol.8, pag. 185, Boringhieri, Torino 1989<br />
65
L’origine erotica della creatività Lorena Fornasir<br />
“Il contenuto intestinale, che fungendo da massa stimolante su una superficie mucosa<br />
sessuale sensibile si comporta come il predecessore di un altro organo che entrerà in azione<br />
solo dopo la fase dell’infanzia, ha d’altro canto per il lattante ben altri e importanti<br />
significati. Evidentemente è trattato come una parte del proprio corpo, rappresenta il primo<br />
“regalo”, con la cui alienazione può essere espressa la docilità, con il cui rifiuto può essere<br />
espressa la sfida del piccolo essere verso il suo ambiente. Come “regalo” assume poi il<br />
significato di “bambino”, che, secondo una <strong>delle</strong> teorie sessuali infantili, viene acquisito<br />
mangiando e partorito attraverso l’intestino” 2<br />
L’equivalenza tra “bambino” e feci richiama una seconda associazione presente nell’inconscio:<br />
quella tra feci e pene. Le feci, infatti, per la loro forma, la loro consistenza e le<br />
fantasie di cui sono investite, appaiono come una sorta di “bastone fecale” 3 ossia di<br />
precursore del pene. Per il bambino anzi, esse gli appaiono come il “primo pene”:<br />
“Tutte e tre le cose, la colonna di feci, il pene e il bambino, sono corpi duri, che entrando o<br />
uscendo eccitano un condotto mucoso (il retto e la vagina che è per così dire presa a nolo dal<br />
retto, secondo una azzeccata espressione di Lou Andreas-Salomè). L’unica conclusione a cui<br />
può giungere l’esplorazione sessuale infantile a proposito di tutto questo è che il bambino<br />
percorre la stessa via della colonna <strong>delle</strong> feci; di regola l’indagine infantile non giunge a<br />
scoprire la funzione del pene.” 4 .<br />
L’equivalenza: pene = feci = bambino realizza dunque, a più livelli, la trasformazione<br />
pulsionale dall’erotismo anale a quello genitale. Se nell’inconscio maschile il desiderio del<br />
pene associato al “bastone fecale” prende il posto del bambino, nell’inconscio femminile<br />
invece, l’“invidia del pene”, cioè il desiderio (rimosso) di possedere un pene da parte della<br />
donna, si traduce, a volte, nella convinzione che “la natura ha donato alla donna il<br />
bambino al posto di quell’altra cosa che non ha potuto loro concedere. In altre donne ancora<br />
si scopre che nell’infanzia furono presenti entrambi i desideri, e che a un certo punto uno fu<br />
sostituito dall’altro. In un primo tempo esse volevano avere un pene come l’uomo, e in<br />
seguito, sempre nell’età infantile, al posto di questo desiderio comparve quello di avere un<br />
bambino. [...], talché in definitiva il desiderio del pene si identificherebbe con quello del<br />
bambino. [...] Esso si trasforma nel desiderio dell’uomo, [il desiderio femminile] accetta<br />
quindi l’uomo in quanto appendice del pene. A queste donne è così consentita una vita<br />
amorosa conforme al tipo maschile di amore oggettuale, che può affermarsi accanto a quella<br />
più propriamente femminile, derivante dal narcisismo ” 5 . Sarebbe molto interessante<br />
potersi addentrare in quest’ultima tematica seguendo il pensiero di psicoanaliste donne<br />
come Karen Horney (1924) 6 , Melanie Klein (1945) 7 , Judith Kestemberg (1968) 8 ma,<br />
per la modalità con cui s’intende qui trattare la fase anale in rapporto alla dimensione<br />
della creatività, questa ricerca porterebbe troppo lontano.<br />
Riprendendo dunque l’equivalenza freudiana ed il significato che il bambino attribuisce<br />
alla sua creazione anale, va tuttavia affermato che le feci possono essere investite di<br />
significati negativi quando il bambino le usa come oggetti cattivi per “sporcare” o per<br />
“ritenerle” avaramente per sé al fine di vari utilizzi. Fra questi ultimi si rintraccia l’uso<br />
della massa fecale come stimolo erotico e masturbatorio della zona erogena anale,<br />
accompagnata da cerimonie scatologiche che connotano la “cacca” come un “materiale”<br />
ed uno strumento dotato di forte potenza.<br />
2 S. Freud, “Tre saggi sulla teoria sessuale”, Opere, vol. 4, 1905, pag. 496, Borignhieri, Torino 1989<br />
3 Nota: Freud in Trasformazioni pulsionali, particolarmente dell’erotismo anale, Opere, vol. 8, pag. 185, cita la dizione di un suo paziente che definì la<br />
massa fecale il “cilindro di feci”<br />
4 ibidem, pag. 187<br />
5 ibidem, pag. 183<br />
6 K. Horney, Sulla genesi del complesso di castrazione nella donna, in Psicologia femminile, Armando, Roma 1980<br />
7 M. Klein, Il complesso edipico alla luce <strong>delle</strong> angosce primitive, in Scritti 1921-1958, Boringhieri, Torino 1978<br />
66<br />
L’origine erotica della creatività<br />
Lorena Fornasir<br />
Dalle analisi dei bambini come da quelle degli adulti emergono fantasie, legate appunto<br />
a situazioni d’angoscia per gli attacchi immaginari al corpo materno, di paura che la<br />
madre - depredata dai suoi beni - si vendichi e pretenda la restituzione <strong>delle</strong> feci, magari<br />
“strappandole” via a forza.<br />
Simili fantasie lasciano il bambino atterrito di fronte ai propri escrementi che avverte<br />
come armi micidiali capaci sia di bruciare e avvelenare, che di distruggere il suo stesso<br />
corpicino. L’angoscia che ne deriva è alla base <strong>delle</strong> formazioni reattive quali il disgusto,<br />
l’ordine, la pulizia. Tanto più intensi sono stati gli “attacchi” al corpo della madre, tanto<br />
più forte sarà per il bambino, l’impulso a risarcire i “danni” provocati. Questa dimensione<br />
fantastica è tuttavia vissuta con molti dubbi, con molte incertezze, a causa della difficoltà<br />
di distinguere tra reale e fantastico, tra atti d’aggressione e atti riparativi. Questi dubbi ed<br />
incertezze vanno a formare <strong>delle</strong> condotte ossessive, una propensione alle regole,<br />
all’ordine, alla precisione, ai rituali, tutti strumenti magici di controllo della realtà, che il<br />
bambino (o l’adulto) usa per dominare la propria angoscia. Questo è il significato riposto<br />
nei rituali ossessivi. La coazione ad accumulare cose e a darle via, a prenderle e a restituirle,<br />
è spesso accompagnata da stati d’ansia e di colpevolezza che traducono stati<br />
immaginari di furti e distruzioni. “I bambini trasferiranno, ad esempio, tutti gli oggetti<br />
contenuti in una scatola, o parte di essi, in un’altra, disponendoli e conservandoli con<br />
manifestazioni d’angoscia e - se non troppo piccoli - contandoli e ricontandoli uno per uno.<br />
Si tratta degli oggetti più svariati, tra i quali i fiammiferi usati, dai quali il bambino si<br />
preoccuperà di togliere la parte carbonizzata, sagome di carta, matite, mattoni, pezzetti di<br />
spago e così via. Questi oggetti raffigurano tutto ciò che il bambino ha estratto dal corpo<br />
materno e cioè il pene del padre, i figli, i frammenti di feci, l’urina, il latte, ecc. In modo<br />
analogo alcuni bambini si comportano con blocchetti di carta da scrivere stracciandone i<br />
fogli che conservano accuratamente altrove. L’angoscia crescente farà sì che, rimettere a<br />
posto ciò che simbolicamente ha estratto dal corpo materno, spesso non soddisfi la creazione<br />
la coazione del bambino a dare, o meglio a reintegrare. Il bambino è incessantemente<br />
sollecitato a restituire in ogni modo più di quanto abbia preso, ciononostante le sue tendenze<br />
sadiche primarie trapelano di continuo attraverso quelle reattive.” 9<br />
“Fare la cacca” è l’atto attraverso cui s’incrociano e concentrano pulsioni di diversa<br />
natura: attraverso l’espellere o il trattenere, il donare o il negare le proprie feci, il bambino<br />
stabilisce la natura del proprio rapporto con l’esterno.<br />
Il mondo esterno, tuttavia, si propone al bambino nella sua potenza inibitoria, ostile alla<br />
ricerca del piacere, per cui egli dovrà barattare questo stesso piacere con le istanze morali<br />
e sociali che gli vengono imposte.<br />
Natura <strong>delle</strong> pulsioni libidiche anali<br />
Queste pulsioni di opposta natura producono un atteggiamento di ambivalenza, che<br />
rimanda sia alla bipolarità degli affetti: amore-odio, attrazione-repulsione, che alla polarità<br />
in cui si costituisce la struttura della sessualità caratterizzata dai termini attivo-passsivo.<br />
Freud fa coincidere l’attività con la componente crudele e sadica della sessualità, la quale<br />
trova nella muscolatura la sua fonte erogena e si esprime come pulsione di appropriazione.<br />
La passività è invece espressa dall’erotismo anale e si concretizza nella stimolazione della<br />
mucosa anale in cui gioca un ruolo non indifferente la ritenzione <strong>delle</strong> feci.<br />
8 J.Kestemberg, Outside and inside, male and female, Journal of the american Psychoanalytic association, 16, pp 457-520<br />
9 M.Klein, Nevrosi ossessiva e primi stadi del Super-IO in La psicoanalisi dei bambini, Martinelli, Firenze 1984<br />
67
L’origine erotica della creatività Lorena Fornasir<br />
La polarità attivo-passivo consente di fare luce su due livelli:<br />
il gioco infantile<br />
le esperienze sessuali.<br />
Solitamente nell’esperienza del gioco infantile, un’impressione ricevuta passivamente<br />
desta nel bambino una risposta attiva:<br />
“È questa una parte del lavoro di assoggettamento del mondo esterno cui egli è chiamato e<br />
che può far sì che egli si sforzi di ottenere la ripetizione di impressioni che pure avrebbe<br />
motivo di evitare per il loro contenuto penoso. Anche il giuoco infantile è posto al servizio di<br />
questo fine, d’integrare cioè con un’azione attiva un’esperienza passiva che in questo modo<br />
è in un certo senso revocata. Se il dottore ha aperto la bocca al bambino recalcitrante per<br />
guardargli la gola, dopo che se n’è andato il bambino giocherà al dottore e ripeterà tale<br />
procedimento violento su uno dei fratellini più piccoli, a patto che quello sia così indifeso nei<br />
suoi confronti come lo era lui nei confronti del dottore. [...] Non in tutti i bambini si<br />
verifica in maniera ugualmente regolare ed energica questo trapasso dalla passività<br />
all’attività, anzi in alcuni bambini esso non compare affatto.” 10<br />
Rispetto la sessualità attivo e passivo sono termini che Freud elabora nel modo seguente:<br />
“Le prime esperienze e le prime vicende con tonalità sessuale che i bambini, maschi e<br />
femmine, vivono con la madre sono naturalmente di natura passiva. Essi vengono da lei<br />
allattati, imboccati, puliti, vestiti e istruiti in ogni cosa. Una parte della loro libido rimane<br />
legata a questa esperienza e gode dei soddisfacimenti che ad essa sono connessi, un’altra<br />
parte tenta di convertirsi in qualcosa di attivo. Prima di tutto l’essere allattati al petto viene<br />
sostituito dalla suzione attiva. Nelle altre cose i bambini si contentano o dell’autonomia, cioè<br />
di fare essi ciò che prima subivano, o della ripetizione attiva, nel giuoco, <strong>delle</strong> loro esperienze<br />
passive, oppure ancora tramutano la madre nell’oggetto verso il quale essi assumono la parte<br />
di soggetti attivi. [...] Una bimba perlopiù esaudisce i suoi desideri attivi in modo indiretto<br />
giocando con la bambola, ove lei rappresenta la madre e la bambola il bambino. La<br />
predilezione per il giuoco con la bambola che le femmine manifestano, al contrario dei<br />
maschi viene in genere interpretato come indizio del primo destarsi della femminilità. Non<br />
a torto, solo non si deve trascurare che quello che qui emerge è l’aspetto “attivo” della<br />
femminilità” 11<br />
Ritornando alla pulsione sadica, essa si contraddistingue in due stadi (secondo K. Abraham)<br />
analogamente a quanto avviene nella fase orale:<br />
- nel primo stadio l’erotismo anale è legato alla evacuazione e la pulsione sadica alla<br />
“distruzione dell’oggetto”<br />
- nel secondo stadio l’erotismo anale è legato alla ritenzione e la pulsione sadica al<br />
controllo possessivo.<br />
La pulsione sadica è presente nel bambino piccolo in forma naturale poiché l’inibizione<br />
dell’istinto di appropriazione e la capacità di compassione emergono solitamente nella<br />
fase di latenza. Nei bambini che si distinguono per una particolare crudeltà verso gli<br />
animali o i compagni, si può supporre un’intensa e prematura attività sessuale che<br />
proviene dalle zone erogene e che, se permane nel tempo, rischia di “legare” indissolubilmente<br />
la sessualità al sadismo (mantenendo il tratto “perverso” caratteristico della<br />
sessualità infantile) 12 .<br />
10 S. Freud, La sessualità femminile, Opere, vol. 11, 1931, Borignhieri, Torino 1979 pp. 73-74<br />
11 S. Freud, ibidem, p. 74<br />
12 Nota: S. Freud nella lezione n. 20 dell’Introduzione alla psicoanalisi afferma: “... se mai il bambino ha una vita sessuale, questa non può che essere<br />
perversa poiché, tranne pochi oscuri accenni, al bambino manca ancora ciò che fa della sessualità la funzione riproduttiva. D’altra parte, la caratteristica<br />
comune di tutte le perversioni è di aver abbandonato il fine riproduttivo. Chiamiamo pervertita un’attività sessuale appunto quando ha rinunciato al fine<br />
riproduttivo e persegue il conseguimento di piacere come fine a sé stante”<br />
68<br />
L’origine erotica della creatività Lorena Fornasir<br />
Un esito di tipo diverso ed opposto si concretizza invece in quei sintomi di varia natura<br />
che investono le funzioni escretorie ed intestinali come la stitichezza, la diarrea, la<br />
occlusione e tutti i cerimoniali scatologici ma, anche, l’enuresi e l’encopresi (oltre una<br />
certa fase) che sono dei messaggi rivelatori di dinamiche conflittuali.<br />
“Prodotti della sublimazione dell’erotismo anale”<br />
Tutti gli eccitamenti che provengono dalle zone erogene, sono soggetti, secondo Freud,<br />
alla trasformazione in “...formazioni reattive, contropotenze - come pudore, disgusto e<br />
scrupoli morali - che a mò di dighe arginano la successiva attività della pulsione sessuale.<br />
[...] La pulizia, l’ordine, l’accuratezza danno l’impressione di una formazione reattiva<br />
contro l’interesse per ciò che è sporco, incomodo, non pertinenete al corpo” 13 .<br />
L’interesse, il voyeurismo, la curiosità che il bambino dimostra verso tutta l’attività anale<br />
viene dunque rimossa e trasformata, ricomparendo in una fase più evoluta (verso la fine<br />
della latenza) associata a forme sostitutive. Particolarmente significativo è l’interesse di<br />
cui viene investito il “denaro” in associazione con le feci. È noto ad es., che l’oro del<br />
diavolo (personificazione della vita pulsionale) si trasforma in sterco così come l’oro <strong>delle</strong><br />
streghe. Freud illumina questo punto spiegando come “All’inizio, il suo atteggiamento<br />
verso gli escrementi è completamente diverso. Egli non prova alcun ribrezzo davanti alle sue<br />
feci, le stima come una parte del proprio corpo da cui non si separa facilmente e le usa come<br />
primo “regalo” per contraddistinguere persone che stima particolarmente. Anche dopo che<br />
l’educazione è riuscita nel suo intento di straniarlo da queste inclinazioni, egli trasferisce il<br />
suo apprezzamento per le feci sul “regalo” e sul “denaro”. Sembra invece che consideri la sua<br />
abilità nell’orinare con particolare orgoglio.” 14<br />
Ora che quest’ultima parte di esposizione più didattica può aver soddisfatto l’interesse<br />
per i meccanismi relativi alla fase anale, è possibile addentrarci nel terreno dei simboli e<br />
dei significati.<br />
Significati e simboli nell’analità<br />
“Fare la cacca” non è dunque soltanto l’atto attraverso cui s’incrociano pulsioni di diversa<br />
natura; sul piano simbolico rappresenta il primo lutto che il bambino deve compiere<br />
accettando di separarsi dal suo prodotto e lasciandolo, appunto, scomparire. Ciò gli<br />
consente di tollerare in sé la perdita concreta che le feci realizzano ma che rimanda alla<br />
prima perdita dell’oggetto totale che è la madre. Con Winnicott 15 sappiamo tuttavia, che<br />
l’esperienza di separazione da parte del lattante dall’“oggetto” d’amore che si prende<br />
cura di lui, stimola quella creatività primaria attraverso cui il bambino può ricreare, in<br />
modo allucinatorio, la <strong>perduta</strong> fusione con l’universo materno. Sappiamo anche che<br />
l’identificazione nell’oggetto d’amore madre, è il meccanismo che gli consente di<br />
introiettare le qualità della madre stessa. Ciò nonostante, il desiderio di rapinare la madre<br />
dei suoi preziosi beni, fra cui anche le feci - che il bambino presume ella si voglia tenere<br />
per sé assieme al latte e ai tanti altri beni che possiede - fa sì che esso si trasformi in una<br />
fantasia d’intrusione dentro il corpo materno. Avanza, dunque, un gioco sottile di<br />
specchi tra identificazione (nel seno che nutre), introiezione (<strong>delle</strong> sue qualità) e<br />
proiezione (dell’angoscia). La frontiera tra l’“attacco” (la parte cannibale dell’oralità) alla<br />
madre e l’“attacco” dentro la madre, come tra proiezione dell’angoscia e “occupazione”<br />
13 S. Freud, “Carattere ed erotismo anale”, Opere, vol 5, 1908, Boringhieri, Torino 1989, pag. 402<br />
14 S. Freud, Vita sessuale umana, Opere vol. 8, 1915-17, pag. 473, Boringhieri, Torino 1989<br />
15 D. W. Wnnicott, Gioco e realtà, Armando, Roma, 1974<br />
69
L’origine erotica della creatività Lorena Fornasir<br />
del “territorio psichico” materno che una modalità di pensiero (identificazione proiettiva)<br />
troppo angosciata può mettere in atto, porta alla luce quelle azioni della mente che<br />
imbrigliano la fantasia penetrativa del bambino dentro un “luogo” o una “regione” del<br />
corpo della madre. Sarà l’attrazione verso questo “spazio” o il rimanerne catturato, che<br />
svilupperà le angosce claustrofobiche, gli stati ipocondriaci, gli stati maniaco-depressivi e<br />
i diversi stati di confusione. Se nell’identificazione con la madre, il bambino potrà nutrirsi<br />
<strong>delle</strong> qualità che ha “mangiato” per sviluppare il suo processo creativo, nell’“occupazione”<br />
o “invasione” dentro e del corpo della madre al fine di controllarlo, predomina<br />
non la creazione bensì la simulazione, la falsità e la manipolazione.<br />
Nel primo caso il pensiero è generativo, nel secondo è imprigionato. Ancora, nel primo<br />
caso il piccolo si unisce alla sua capacità creativa e può immaginare la cacca dotata del<br />
magnifico potere d’essere oltre che dono, il pene-bambino che lui ha generato per la<br />
madre. Nel secondo, lui è il pene della madre che dal suo interno porta gli attacchi<br />
distruttivi agli altri peni, fratelli, bimbi in esso contenuti. Tutta questa gamma d’attività<br />
fantastica si associa immancabilmente a sensazioni intrusive e violente (Joyce McDougall,<br />
1977) 16 da cui traggono origine gli stati d’angoscia e di colpevolezza. Melanie Klein<br />
(1930) 17 , per prima, aveva posto in risalto come la creatività e la sua inibizione risalgano<br />
al rapporto tumultuoso tra l’infante e la madre, tanto che il blocco dell’attività creativa<br />
dipendono, secondo lei, dalla mancata integrazione della distruttività infantile in<br />
rapporto all’universo-seno. Rispetto ciò, ogni bambino trova una propria soluzione a<br />
questo problema che, in ultima analisi, rievoca il problema di come separarsi dall’oggetto<br />
totale madre acquisendo la capacità di possedere pensieri al posto della con-fusione (o<br />
<strong>delle</strong> emozioni grezze della mente private di pensabilità).<br />
Va dunque fatta una differenza fondamentale tra la concezione che il bambino possiede<br />
della madre interna e che è frutto di un processo immaginativo, da una concezione che<br />
invece è il prodotto di un’intrusione onnipotente. Quando l’interesse specifico verso il retto<br />
della madre, vissuto dal piccolo come il luogo da cui nascono i bambini, ovvero quando la<br />
fantasia di segreta intrusione nell’ano della madre, induce il bambino a idealizzare il retto<br />
e i suoi escrementi fecali si può insinuare una rappresentazione confusa. Sedere del<br />
bambino e sedere della madre assieme alle natiche e all’inevitabile manipolazione erotica del<br />
proprio corpo come di quello della madre stessa, possono apparire uno dentro l’altro, spesso<br />
equiparati a seni così come vagina e ano vengono con-fusi con la bocca. Per districarsi nelle<br />
sue confusioni rappresentazionali, il bambino sarà aiutato dai suoi processi di scissione<br />
(Melanie Klein, 1957) 18 seguendo i quali, “…le funzioni escretorie vengono localizzate in<br />
basso, in relazione alle natiche, riservando invece alla funzione nutritiva la parte superiore del<br />
corpo materno, il seno, i capezzoli, gli occhi e la bocca – e poi la mente…ma la strada che<br />
conduce dalla testa al retto si fa sempre più pericolosamente scivolosa a mano a mano che la<br />
voluttà conduce dall’erotismo fino al sadomasochismo” 19 .<br />
Tentando una sintesi di questa complessa tematica che volutamente viene qui interpretata<br />
nella contrapposizione tra pensiero creativo e inibizione, cioè tra generatività ed infertilità<br />
(del pensiero s’intende ma non solo: il concetto possiede una estensibilità somatopsichica),<br />
la fase anale potrebbe essere così schematizzata:<br />
16 J. McDougall, Eros – Le deviazioni del desiderio, Cortina, Milano 1997<br />
17 M. Klein, L’importanza della formazione dei simboli nello sviluppo dell’Io in Scritti 1921-1958, Boringhieri, Torino 1978<br />
18 M. Klein, Invidia e gratitudine, Martinelli, Firenze 1969<br />
19 D. Meltzer, Claustrum, pp. 41-94, Cortina, Milano 1993<br />
70<br />
L’origine erotica della creatività Lorena Fornasir<br />
Fase anale<br />
nella fase anale prevale l’equivalenza feci = pene = bambino;<br />
le feci rappresentano il primo e grande dono che il bambino porge alla mamma;<br />
il rituale che viene messo in atto è strettamente legato alla quantità di angoscia;<br />
la prima angoscia è l’angoscia di separazione:<br />
l’angoscia di separazione<br />
⇓<br />
spinge il bambino ad ATTACCARSI, ad essere ADESIVO, ad INCOLLARSI<br />
⇓<br />
ciò favorisce e/o mantiene una RELAZIONE SI<strong>MB</strong>IOTICA<br />
il bambino vorrebbe rimanere in questa posizione, tuttavia nel processo di evoluzione<br />
egli deve arrivare<br />
alla DIFFERENZIAZIONE<br />
deve cioè sentirsi spinto, secondo la concezione di Meltzer, al passaggio dall’interesse<br />
esclusivo per<br />
il SENO (TESTA)<br />
⇓<br />
all’interesse per i GENITALI<br />
⇓<br />
all’interesse specifico per il RETTO da cui nascono i bambini<br />
nel retto, i bambini si sentono imprigionati. La claustrofobia fa sì che essi abbandonino<br />
questo “territorio” per cui:<br />
abbandonare l’interesse per il prodotto fecale<br />
⇓<br />
consentirebbe al bambino d’identificarsi con<br />
uno spazio psichico generativo<br />
dove il “bastone fecale” equivale al PENE che equivale a “fare” il BA<strong>MB</strong>INO<br />
Qualora invece i bambini, per loro ragioni inconsce legate al bisogno d’attenuare<br />
l’angoscia controllando il territorio interno della madre, rimangano intrappolati nella<br />
situazione rettale, si possono precludere il passaggio ad un pensiero generativo e creativo,<br />
diventando preda di angosce diverse ma altrettanto potenti, sostenute queste dalla<br />
fantasia di venire evacuati e degradati. Il “luogo” del loro “claustrum” è un “…luogo dove<br />
lo sviluppo della personalità non può progredire…L’aspetto nodale […] è la sopravvivenza.<br />
Sopravvivenza significa evitare l’espulsione e questa sembra costituire la terribile “minaccia<br />
senza nome” della vita mentale Mentre questo sistema unitario di valori di sopravvivenza è<br />
certamente persecutorio nel compartimento del retto, nel compartimento genitale si<br />
configura come avidità coatta di stimolazione sessuale, mentre nel compartimento del seno<br />
come tipo di languore da “mangiatori di loto”, forse simile in un certo senso al “principio<br />
del Nirvana” descritto da Freud. Similmente, l’atteggiamento generale è intensamente conservatore.<br />
Nel retto le cose potrebbero sempre andare peggio, mai meglio, eccetto che fuggendo<br />
71
L’origine erotica della creatività Lorena Fornasir<br />
dall’uno all’altro degli altri compartimenti o arrampicandosi sulla scala gerarchica<br />
dell’autorità tirannica” 20 . Difficile in tale clima e in questo spazio del “claustrum”<br />
distinguere il “vero” dal “falso” essendo l’Io impegnato a mascherare il suo carattere<br />
anale. Non è invece arduo identificare il “falso” con l’inanimato e il “vero” con ciò che<br />
è vivo e quindi animato. La creazione vera non ha nulla da nascondere, mentre ciò che è<br />
falso sebbene mascherato da creatività, altro non può apparire che come un “pene<br />
fecale”, cioè un falso fallo da adorare. O un pensiero debole, travestito di falsa identità,<br />
frutto di un’appropriazione indebita, di un’usurpazione del territorio (regione interna del<br />
corpo della madre) che maschera di falsa identità il volto dell’intruso. L’impostura si<br />
contraddistingue così come risposta all’antico bisogno infantile di possedere il pene, solo<br />
che in questo caso il proprio piccolo pene infertile viene spacciato per un pene genitale.<br />
L’imitazione riguarderà pertanto un fallo “ideale” e la falsità sarà al servizio di un pene<br />
anale investito narcisisticamente, capace di nascondere il proprio carattere pregenitale.<br />
Rimanere nell’analità, infine, non è poi così scomodo fintanto che un escremento può<br />
prendere il posto del pene genitale evitando la fatica di crescere. Il vantaggio del fallo<br />
anale è che è eterno, rinnovabile, invulnerabile. Il magnifico usignolo della fiaba di<br />
Andersen 21 , quello vero, reale, è mortale, destinato alla fine, mentre l’usignolo meccanico<br />
che imita quello vero è eterno. La morte per il falso pene è rappresentata dal pericolo<br />
della castrazione illusoriamente evitata sostituendo una realtà (genitale) all’altra (anale),<br />
così come l’usignolo falso sostituisce quello vero. Il prezzo della vita richiede invece tante<br />
piccole morti, ogni lutto anticipando altre perdite, ognuna premessa dell’altra,<br />
riconoscendo fra queste la capacità di morire all’onnipotenza del pensiero infantile per<br />
nascere ad una posizione più depressiva che contempla la non totalità, cioè la caducità, la<br />
relatività, l’angoscia come fonte della creatività.<br />
Anche l’imperatore, sedotto dalla falsa bellezza dell’usignolo, si era lasciato trascinare<br />
nella vertigine dell’illusione, ma la stilla mortifera si era insidiata in lui al posto dell’amore<br />
per l’autentico. La salvezza gli giungerà soltanto quando saprà riconoscere la melodia<br />
dell’usignolo vero:<br />
“Una sera, comunque, proprio mentre l’uccello si stava esibendo per l’imperatore, che lo<br />
ascoltava steso sul suo letto, fece “twang” e qualcosa, al suo interno, si ruppe… l’uccello<br />
[meccanico] giaceva muto, perché non c’era nessuno a caricare la molla, e non poteva<br />
cantare senza essere caricato. La morte scrutava e scrutava senza sosta l’imperatore dalle sue<br />
grandi orbite vuote e il palazzo intero era immerso nel silenzio, tutto era terribilmente<br />
quieto. Proprio in quel momento la più soave <strong>delle</strong> melodie entrò dalla finestra: era<br />
l’usignolo vero appolaiato sui rami lì fuori… “devi rimanere con me per sempre” disse<br />
l’imperatore “non dovrai cantare se non lo vorrai, e farò in mille pezzi l’uccello meccanico”.<br />
“No” disse l’usignolo “ha fatto del suo meglio, dopo tutto, quindi dovresti tenerlo. Io non<br />
posso vivere e fare il mio nido in un palazzo; ma permettimi di venire quando ne ho voglia,<br />
ed io mi poserò sul ramo fuori dalla tua finestra e canterò ogni sera….” 22<br />
20 D. Meltzer, Claustrum, p. 119-120, Cortina, Milano 1993<br />
21 H. C. Andersen, L’usignolo, edizioni C’era una volta, Pordenone, 1989<br />
22 H. C. Andersen, L’usignolo, Edizioni C’era una volta, Verona, 1989<br />
72<br />
Il piccolo Hans<br />
ovvero la fase edipica in una rilettura del saggio di Freud.<br />
…la Sfinge con i suoi canti ambigui<br />
ci rendeva pensosi del male più scoperto<br />
e indolenti di quello ch’era oscuro…<br />
Sofocle “Edipo Re”<br />
I bambini, con i loro infiniti “perché...?” sono alla ricerca di quell’unica risposta che non<br />
può essere che impossibile, poiché l’interrogativo che essi pongono riguarda l’origine<br />
della vita e della morte, cioè i misteri della nascita e della creazione.<br />
Le teorie sessuali infantili assolvono il compito di risolvere l’enigma della nascita in una<br />
direzione che, tuttavia, esclude la sessualità genitale, la penetrazione, il coito e che invece<br />
valorizza l’attività di ricerca o, come Freud la definisce, pulsione epistemofilica:<br />
“Nella stessa epoca nella quale la vita sessuale del bambino raggiunge la sua prima<br />
fioritura, dal terzo al quinto anno, subentrano in lui anche i primordi di quell’attività che<br />
si attribuisce alla pulsione di sapere o di ricerca. Tale pulsione non può essere né annoverata<br />
tra le componenti pulsionali elementari né subordinata esclusivamente alla sessualità. Il suo<br />
operare corrisponde, da un lato, a un modo sublimato di appropriazione, dall’altro lavora<br />
con l’energia del piacere di guardare. Ma le sue relazioni con la vita sessuale sono<br />
particolarmente significative, perché dalla psicoanalisi abbiamo appreso che la pulsione di<br />
sapere dei bambini è, inaspettatamente presto e con inattesa intensità, attratta dai problemi<br />
sessuali, anzi ne è forse risvegliata per la prima volta. Non sono interessi teorici, bensì<br />
pratici, quelli che mettono in essere nel bambino l’attività esplorativa”. 1<br />
In questa chiave va letta, forse, quell’altra affermazione di Freud in “Analisi terminabile<br />
e interminabile” del 1937 in cui, di fronte alle spiegazioni sessuali degli adulti, paragona<br />
i bambini a quei primitivi “...cui è stato imposto il cristianesimo e che però continuano in<br />
segreto ad adorare i loro vecchi idoli ”.<br />
La prima e principale teoria che i bambini si costruiscono circa l’origine della vita, si basa<br />
sulla convinzione che esista un unico genitale. La loro curiosità li porterà a condurre <strong>delle</strong><br />
assidue ricerche attraverso cui scopriranno che la locomotiva o il tavolo o la sedia non<br />
possiedono il fa-pipì mentre la giraffa, ad esempio, sì. Questa prima distinzione tra<br />
mondo animato e inanimato è il risultato dell’elaborazione del pensiero infantile; infatti<br />
il primo grande quesito teorico che ogni bambino deve affrontare, è proprio questo:<br />
come distinguere una locomotiva da un leone, un cavallo da una sedia?<br />
La teoria che “tutti gli esseri viventi” possiedono il fa-pipì è condensata nella spiegazione<br />
del piccolo Hans: “Il cane e i cavallo hanno il fa-pipì; il tavolo e la sedia no. Hans ha<br />
dunque trovato un elemento essenziale di distinzione tra animato e inanimato” 2 .<br />
1 S. Freud, “Tre saggi sulla teoria sessuale – 2| La sessualità infantile”, 1905, vol4, Boringhieri, Torino 1979, p.502<br />
2 S. Freud, Analisi della fobia di un bambino di 5 anni - caso clinico del piccolo Hans, Opere 1908, Boringhieri, Torino 1989<br />
73
Il piccolo Hans<br />
Si tratta di una distinzione che ricorrendo ad un parallelismo, si rinviene in due disegni<br />
famosi, fra loro lontani eppure accomunati da un’unica similitudine: l’animato e<br />
l’inanimato. Il primo si riferisce alla pianta del Dazio che ci tramanda il “Piccolo Hans”,<br />
l’altro è il celebre cappello del “Piccolo Principe” di Saint Exupéry che, in realtà, non è<br />
un cappello ma il contorno di un boa che digerisce un elefante.<br />
Nella pianta del Dazio, la differenza più evidente tra i due disegni mette in rilievo<br />
l’abbattimento di una barriera che consente un passaggio che in realtà non c’è. Tuttavia,<br />
c’è un’altra differenza - estensibile anche ai due disegni del “Piccolo Principe” - che non<br />
si coglie immediatamente e che riguarda la presenza nel secondo disegno di ciò che<br />
manca nel primo:<br />
❏ dentro il cappello c’è un animale<br />
❏ dentro il dazio c’è un piccolo Hans (immaginato) che raggiunge il cuore di una<br />
pianta e di una piattaforma prima vuota<br />
❏ dentro il vuoto (il cappello) c’è il pieno (l’elefante dentro il boa che è la sagoma del<br />
cappello)<br />
All’inanimato, al contorno, all’involucro, subentra la forma dell’animato.<br />
I primi disegni sono inanimati, vuoti; nei secondi appare l’animato fatto di un pieno ricco<br />
di particolari dove c’è un boa che mangia l’elefante, o un fantastico Hans che salta sui<br />
carri e poi da lì sulla piattaforma.<br />
C’è una contiguità tra sembianza e forma, tra immagine e identità, in cui gioca quel<br />
movimento che permette di riconoscere ciò che prima era indifferenziato. È il movimento<br />
che dall’inanimato si muove verso l’animato dando origine alla formazione del<br />
soggetto, così come dà forma e senso alla materia introducendo la dif-fere-nza (dal latino<br />
fere “portare” e greco diaphora: dia “attraverso” e phéro “io porto”) quale elemento di<br />
distinzione.<br />
Ritornando alla teoria dell’unico genitale, appare dunque evidente come la distinzione tra<br />
chi ha il fa-pipì e chi non ce l’ha sia una questione talmente complessa da non potersi<br />
esaurire, nel bambino, ad una banale curiosità sessuale. Anzi, tra curiosità sessuale e<br />
ricerca esiste un nesso che, attraverso la creatività, lo porta ad elaborare idee altamente<br />
individuali sui misteri della vita e della creazione. Freud paragona le teorie sessuali<br />
infantili ai “tentativi geniali” degli adulti per risolvere i più ardui problemi che l’universo<br />
pone all’intelletto umano. In che senso esse sono geniali se contemporaneamente, sono<br />
talmente inesatte e grottescamente false?<br />
La risposta proviene dalla clinica: “La conoscenza <strong>delle</strong> teorie sessuali dei bambini [...]<br />
rimane indispensabile per giungere a capire le nevrosi stesse, nel cui ambito queste teorie<br />
fanciullesche sono ancora valide e acquistano un influsso determinante sulla forma via via<br />
assunta dai sintomi” 3<br />
L’attività di ricerca e scoperta del piccolo indagatore, si organizza fin da subito attorno<br />
alla questione della differenza sessuale che, in un primo tempo, è tesa a riconoscere:<br />
❏ chi possiede il pene<br />
❏ da chi non possiede il pene<br />
Questa distinzione porta il bambino alla scoperta che esiste una differenza tra:<br />
❏ il mondo animato<br />
❏ e il mondo inanimato<br />
3 S. Freud, “Opere”, vol. 5 “Teorie sessuali dei bambini, p. 453, Boringhieri, Torino 1989<br />
74<br />
Lorena Fornasir Il piccolo Hans<br />
Lorena Fornasir<br />
La differenza tra mondo animato e mondo inanimato inaugura le teorie sessuali infantili<br />
scoperte da Freud, tanto errate quanto universali, secondo cui:<br />
❏ tutti gli esseri viventi posseggono il pene<br />
❏ la nascita avviene attraverso l’ano<br />
❏ l’atto dell’unione avviene in modo sadico<br />
La questione dell’origine che s’impone con la scoperta e differenza tra mondo animato e<br />
mondo inanimato, pur contenuta dentro i confini <strong>delle</strong> teorie, è tuttavia fonte di angoscia<br />
a cui il bimbo cerca sollievo sviluppando una fobia, ossia una situazione di pericolo<br />
immaginario in cui è presente l’animale, lo spazio di un luogo, una mappa ritagliata in un<br />
paese, in un campo, in una città.<br />
Freud, nel saggio del piccolo Hans, distingue due periodi in riferimento all’instaurarsi<br />
della fobia:<br />
❏ un primo periodo antecedente la fobia<br />
❏ il secondo periodo inaugurato dalla fobia<br />
1° tempo<br />
tutti possiedono il fa-pipì<br />
⇒<br />
Il periodo antecedente la fobia<br />
si suddivide in<br />
⇒<br />
PROBLEMA DEL CONFRONTO<br />
Hans:<br />
“il (mio) fa-pipì crescerà insieme a me<br />
quando sarò grande” 4<br />
cioè<br />
“temo che il mio fa-pipì sia troppo piccolo<br />
2° tempo<br />
comparsa dell’angoscia<br />
Il problema del confronto sorge proprio tra la prima teoria sessuale del fa-pipì universale e<br />
la comparsa dell’angoscia, come realizzazione da parte del piccolo Hans che il suo fa-pipì<br />
è insufficiente a soddisfare la madre.<br />
Il disegno della giraffa che egli richiede al padre 5 configura questa tensione e offre una<br />
rappresentazione esterna di ciò che gli accade nel proprio mondo psichico. Da una parte,<br />
il collo lungo della giraffa è un riferimento al suo bisogno di vedere o mostrarsi o farsi<br />
vedere, dall’altra c’è il fa-pipì che Hans disegna in due tempi: prima corto poi, con il<br />
tratto aggiuntivo, più lungo. Il fa-pipì assume, a quel punto, un significato che lo<br />
trascende: non è più solo qualcosa di immaginario bensì diventa “il pene reale” che, se<br />
prima di tale scoperta Hans utilizzava in modo narcisistico per colmare ogni distanza o<br />
ogni mancanza fra sé e la madre, dopo tale scoperta “il pene reale” non può che<br />
rimandare ad Hans la sua disparità, la sua insufficienza.<br />
4 S. Freud, “Il piccolo Hans”, Casi clinici 4, p. 35, Boringhieri, Torino 1981<br />
5 OSF vol.5, p.487, Boringhieri. Torino 1989<br />
⇐<br />
⇐<br />
75
Il piccolo Hans Lorena Fornasir<br />
Si tratta di una scoperta che irrompe nell’immaginario e rompe l’equilibrio narcisistico<br />
del piccolo Hans.<br />
Inoltre, la ricerca e l’attribuzione del fa-pipì, porta in scena la figura dell’animale in due<br />
forme: nella prima rappresenta il tracciato della pulsione (giraffa), nell’altra forma<br />
l’animale (il cavallo) 6 appare come fonte di paura nel luogo della fobia (il Dazio).<br />
L’animale viene cioè posto a custodire e vigilare sulla barriera, a protezione e garanzia del<br />
fatto che, nonostante la tentazione non ci sia il superamento della barriera stessa in una<br />
direzione avvertita come pericolosa.<br />
Il “luogo della fobia” non è una situazione reale (anche se il piccolo Hans la fa corrispondere<br />
alla zona del Dazio) quanto una elaborazione teorica attraverso cui il bambino<br />
cerca una risposta alla propria angoscia e la rappresenta sotto forma di una mappa<br />
ritagliata in uno spazio: una casa, una strada, una città.<br />
Dal punto di vista della storia psicoanalitica, il luogo della fobia è la formulazione di un<br />
contributo teorico clinico di due analisti: Sergio Finzi e Virginia Finzi Ghisi.<br />
Freud ricopre il merito di averne descritto il suo primo abitante: un bimbo di 4 anni di<br />
nome Hans, figlio di Max Graff, eminente musicologo viennese amico di Freud e<br />
appassionato di psicoanalisi. Della storia clinica di Hans e della sua fobia per i cavalli,<br />
Freud ha scritto un appassionante saggio che restituisce alle parole di questo bimbo di 4<br />
anni un ascolto ed un sapere ritenuti, fino allora, di pertinenza esclusiva dell’adulto.<br />
A partire da questo resoconto teorico clinico e con il riferimento costante alla loro pratica<br />
clinica, i Finzi hanno elaborato <strong>delle</strong> ipotesi intorno a quello che hanno denominato il<br />
luogo della fobia.<br />
Come mai si parla di “luogo”?<br />
Questo riferimento così preciso testimonia l’importanza che i Finzi attribuiscono all’invito<br />
quasi testamentario di Freud (nel senso che è stato affidato a una nota scritta poco prima di<br />
morire) di considerare la dimensione spaziale della psiche: “La psiche è estesa, di ciò non sa<br />
nulla. Lo spazio può essere la proiezione dell’estensione dell’apparato psichico 7 ”.<br />
Il riferimento alla fobia viene invece utilizzato dai Finzi per introdurre la distinzione tra<br />
la “fobia” e le “fobie”. Queste ultime sono proliferate a dismisura nella psicoanalisi<br />
assumendo sempre più la connotazione banale di paura quale emozione completamente<br />
slegata dalla propria origine strutturale.<br />
Secondo i Finzi è invece fondamentale che alla fobia sia riconosciuto il luogo da cui si è<br />
sviluppata, luogo in cui l’apparato psichico trova la sua prima rappresentazione esterna:<br />
“Che cos’è la fobia? Non è un sentimento, un timore, un comportamento. Nel caso del piccolo<br />
Hans, Freud l’ha reperita come un’epoca, nella vita di un bambino, tra i quattro e i cinque<br />
anni, come qualcosa che succede a uno stato d’angoscia e che a sua volta è seguito dallo<br />
sviluppo di una nevrosi ossessiva. Ripercorrendo il caso di Hans e quello, sempre di Freud,<br />
dell’“Uomo dei lupi”, abbiamo ritrovato in una serie di casi clinici, casi di isteria o di<br />
nevrosi ossessiva e in seguito di perversione, un tratto comune, reperibile a ritroso, che più che<br />
un’epoca, un tempo, scandisce uno spazio, un luogo, con determinate caratteristiche” 8<br />
“Il luogo della fobia, prima rappresentazione esterna dell’apparato psichico, situabile<br />
intorno all’età di quattro anni, l’abbiamo rilevato nell’analisi dei bambini e ritrovato in<br />
quella degli adulti.<br />
6 Hans in un primo tempo teme semplicemente il cavallo; in seguito egli avrà il timore dei cavalli bianchi, di ciò che hanno davanti<br />
agli occhi e del nero intorno alla loro bocca (v. Casi clinici 4 - “Il piccolo Hans”, p. 41)<br />
7 OSF, vol 11, p. 566, Boringhieri, Torino 1989<br />
8 Finzi Ghisi, “Il piccolo Hans”, n. 45, p. 9, 1985<br />
76<br />
Il piccolo Hans Lorena Fornasir<br />
All’età di quattro anni ha rappresentato la risposta all’angoscia suscitata dalla questione<br />
<strong>delle</strong> origini sotto forma di una mappa ritagliata in una città, in una strada, in una casa;<br />
vi si situa la differenza tra animato e inanimato, il rapporto all’animale sotto forma di<br />
fobia e disegno, l’uso della tecnica come soluzione anti-angoscia, allontanamento dal<br />
precedente fondo psicotico e strada aperta verso le costruzioni di difesa che caratterizzano poi<br />
lo sviluppo di una nevrosi. Intorno al luogo della fobia e in rapporto ad essa trovano<br />
definizione nevrosi, perversione e psicosi” 9 .<br />
La clinica psicoanalitica indica chiaramente come, nelle analisi dei bambini, il luogo della<br />
fobia è semplicemente rilevato, mentre in quella degli adulti è ri-trovato. Si tratta di<br />
un’indicazione che pertiene alla clinica al cui solo interno è possibile il riferimento. Senza<br />
la clinica, il luogo della fobia diventa un concetto astratto e non può essere utilizzato per<br />
costruire dei modelli di intervento pedagogico-educativo.<br />
Nelle analisi degli adulti il ri-trovamento del luogo della fobia è solitamente preannunciato:<br />
“Quando in analisi ci si avvicina in qualche modo al reperimento del luogo della fobia, è<br />
un sogno in genere a darne l’avviso...Un sogno che scatena l’angoscia... Il sogno rappresenta<br />
un animale, una aggressione, e dopo essere stato raccontato viene in genere rapidamente<br />
dimenticato” 10<br />
Anche il piccolo Hans (4 anni e 9 mesi) si sveglia un mattino in preda ad un sogno<br />
d’angoscia che segnala l’instaurarsi della fobia:“ Hans (4 anni e 9 mesi) si alza una<br />
mattina piangendo e alla madre che gli chiede che cos’abbia dice: - Quando dormivo, ho<br />
pensato che tu te n’eri andata e che io non avevo più la mamma per coccolarmi. - Dunque<br />
un sogno d’angoscia 11 ”.<br />
C’è allora un tempo, un’età che appare verso i quattro anni di Hans, come di ogni altro<br />
bimbo, in cui l’angoscia si manifesta nel luogo della fobia.<br />
Si tratta di un’età che corrisponde, in psicoanalisi, al tempo della prima fioritura sessuale,<br />
che Freud stesso ha indicato come il primo culmine per distinguerlo dal secondo culmine<br />
situabile nel tempo della pubertà.<br />
Se il tempo della comparsa dell’angoscia è rintracciabile in un’epoca precisa, anche il<br />
luogo presenta dei confini ben delimitati:<br />
“Il luogo della fobia è uno spazio che si affaccia con determinate caratteristiche schematizzabili<br />
in figura: due stanze nella pianta della casa, la porta murata in un arco, la<br />
stanza incamerata nell’appartamento vicino. Un disegno a delimitare uno spazio che si è<br />
tentati di attraversare...giacché questo spazio è tagliato da una barriera” 12 .<br />
È dunque un luogo che possiede la precisa caratteristica di separare due spazi, uno dei<br />
quali è interdetto, e questa delimitazione è rappresentata da una barriera.<br />
Il caso del piccolo Hans propone la questione della barriera non solo come il limite che<br />
il bambino si dà, ma anche come cura contro l’angoscia che si aprirebbe in mancanza di<br />
questo stesso limite.<br />
“L’angoscia, di fatto, si colloca proprio sull’orlo di un vuoto di sapere. È la minaccia del<br />
venir meno di qualcosa che si sa, […] in altre parole, è il vacillare <strong>delle</strong> teorie sessuali<br />
infantili di fronte al quesito “da dove vengono i bambini”, è l’incombenza del seme paterno,<br />
è la sproporzione tra il bambino e il padre e, in tutto ciò, è il muoversi pericoloso di un<br />
inanimato, che è ancora il seme, verso l’animato, per cui è importante chiarire con Hans, e<br />
questo è il testo freudiano, che la sedia non ha il fa-pipì.”<br />
9 Finzi, “Il piccolo Hans”, n. 61, p. 11, 1989<br />
10 Finzi Ghisi, “Il piccolo Hans”, n. 45, p. 11, 1985<br />
11 S. Freud, “Casi clinici” 4 - Il piccolo Hans”, p. <strong>26</strong>, Boringhieri, Torino 1981<br />
12 Finzi Ghisi, “Il piccolo Hans”, n. 50, p. 10, 1986<br />
77
Il piccolo Hans Lorena Fornasir<br />
Di fronte al pericolo dell’angoscia, il bambino sa però darsi <strong>delle</strong> risposte costruttive:<br />
“Lo spazio su cui si affaccia (il vuoto di sapere) ha innanzitutto dei confini, che il bambino<br />
traccia nella sua casa, di fronte alla sua casa, nel suo tratto di campagna, è il recinto del<br />
dazio di Hans […]. Il movimento dell’inanimato è assunto dall’animale, trait-d’union tra<br />
il soggetto e le cose, e scalpita, come il cavallo di Hans. È causa di fobia, e questa, primaria,<br />
strutturale, creatrice di confini e di sistemi di irrigazione, di canalizzazioni e di tubi, di<br />
viadotti e di solchi, permette di trovare, nel tratto di terra, almeno alla guisa degli antichi<br />
conquistatori, il proprio nome. È un nome dimidiato, perché metà spetta al padre, niente è<br />
totalmente dominabile, né l’animale, né la minaccia del godimento paterno” 13<br />
Come si evince dalle ultime note del testo di Finzi-Ghisi, il discorso sull’angoscia chiama<br />
in causa il godimento del padre e la questione dell’origine che i bambini sanno porre<br />
tanto bene quando chiedono: “ma io da dove vengo, e dov’ero prima di nascere?”<br />
I Finzi Ghisi, basandosi sulle analisi dei bambini e degli adulti, hanno elaborato questa<br />
domanda cercando di affrontare la questione dell’origine e la tematica dell’essere che<br />
nasce, in senso psicoanalitico, alla propria soggettività, secondo due ipotesi. La prima,<br />
affermano, potrebbe prendere in considerazione la teoria creazionistica che attribuisce a<br />
un Disegno (con la “d” maiuscola) la comparsa sulla terra di tutte gli esseri. La seconda<br />
si collega invece alla posizione darwiniana che concepisce le forme della vita come frutto<br />
di copulazioni, al centro <strong>delle</strong> quali Darwin pone una coppia originaria da cui discendono<br />
tutte le forme di vita.<br />
Si tratta dunque di capire se l’origine “sia insomma in qualche modo ricondotta al Dio<br />
creatore che stabilisce all’interno del sistema naturale l’ordine <strong>delle</strong> differenze, o piuttosto il<br />
sistema naturale sia riconducibile nelle sue differenze al disordine e alla molteplicità del<br />
godimento di una sola coppia. Mentre la prima ipotesi protegge nel suo seno l’individualità<br />
della riproduzione, con la seconda il motivo della sessualità viene in primo piano con una<br />
nuova formulazione possibile: qualsiasi accoppiamento è possibile” 14 .<br />
Di fronte allo spargimento di milioni di spermi (panspermia) e quindi alla fantasia di un<br />
godimento illimitato del padre, solo la costruzione di una barriera, di un limite nel luogo<br />
della fobia, può evitare che il soggetto rimanga catturato nel suo fondamento psicotico.<br />
Allora, il muro di casa, il ruscello in fondo al campo, il recinto dei cavalli, la siepe e<br />
quant’altro, permettono di vedere senza che lo sguardo penetri (come Edipo) nella<br />
genitalità, in quell’intima commistione tra vita e morte dove i termini si fondono e<br />
confondono nell’impasto <strong>delle</strong> pulsioni.<br />
“ […]il terribile è stato trovarsi di fronte al godimento del padre, che la propria origine sia<br />
riconducibile alla commistione di animato e inanimato, il godimento e il pullulare di semi,<br />
commistione che sull’orlo del luogo della fobia porta al vacillamento dell’un termine<br />
nell’altro. Il luogo della fobia dà al soggetto la vera possibilità di strutturarsi con il<br />
riconoscimento di una distinzione e di una separazione tra animato e inanimato. La sedia<br />
non è il vivente, i morti non tornano a vivere. Il luogo della fobia è la pianta, il disegno, che<br />
fornisce al soggetto la delimitazione di ciò che è fermo, il residuo antecedente, arcaico sul<br />
quale può accumularsi la rimozione.<br />
Su questa mappa può allora entrare l’animato e il cane, il cavallo, diventano la garanzia<br />
di un passaggio alla nevrosi: è il vivente che tutela nella sua rappresentazione di una vita<br />
però altra da quella umana la costruzione di difesa che da là diparte permettendo il distacco<br />
dalla psicosi. Da psicosi a nevrosi” 15 .<br />
13 Finzi Ghisi, “Il piccolo Hans”, n. 63, p. 6, 1989.<br />
14 Finzi, Finzi Ghisi, “Il piccolo Hans” n. 50 p. 29, 1986<br />
15 Finzi Ghisi, “Il piccolo Hans” n. 51/52, p. 5, 1986<br />
78<br />
Il piccolo Hans Lorena Fornasir<br />
E ancora:<br />
“Ciò che è drammaticamente in gioco non solo nella psicosi ma nei rapporti che<br />
intrattengono con questa nevrosi e perversione, non è la liberazione dei desideri, ma la<br />
liberazione dal desiderio che guarda al godimento del padre come lo stampo che dà forma a<br />
ogni atto della propria vita. Faccia a faccia con questo godimento, è il fondamento psicotico<br />
che si costituisce nel soggetto, in ogni soggetto, prima dell’età dei quattro anni, e che nella<br />
storia del soggetto adulto può continuare a minacciare quella costruzione di difesa dal<br />
godimento del padre che è, attraverso la rimozione, la nevrosi” 16 .<br />
Queste affermazioni permettono di cogliere l’importanza del concetto freudiano di<br />
rimozione originaria, che opera appunto come rimozione della propria origine o<br />
rimozione dal godimento del padre.<br />
L’ipotesi che la propria nascita sia il frutto del godimento di una sola coppia, apre al<br />
bambino la prospettiva angosciante che, allora, ogni accoppiamento è possibile:<br />
“è chiaro come l’unico approccio del soggetto a un simile sistema naturale esige una<br />
costruzione di difesa. Qualcosa che elimini l’identità di statura tra padre e figlio. Solo se<br />
viene infatti ripristinata la sproporzione tra le due altezze, “qualsiasi accoppiamento” non<br />
sarà più possibile e sarà mantenuta la barriera che caratterizza e segna il luogo della<br />
fobia… Tutto l’affanno sembra dunque condensarsi nella preoccupazione del bambino, nel<br />
ripetere del piccolo Hans che il suo fapipì è piccolo, nel disegnare la differenza con un fapipì<br />
adulto. […] Se ascoltiamo Hans, ci accorgiamo che tutta la sua risposta è all’angoscia<br />
iniziale, tutto il suo percorso attraverso la fobia, è punteggiato dall’insistenza di un<br />
confronto che, procedendo, rende Hans sempre più tranquillo fino al sogno-fantasia dello<br />
stagnaio: lo stagnaio, nel caso, me lo rifarà. La regolazione è Hans stesso, che all’epoca ci<br />
vede ancora chiaro, a muoverla. È favorita dal fatto che il padre, amico di Freud, in realtà<br />
più che porlo di fronte a un’interpretazione esaustiva lo stuzzica e sollecita così una<br />
misurazione che tende a stabilire l’opposto di quanto l’interpretazione vorrebbe assicurare:<br />
il mio è più piccolo” 17 .<br />
Tutto lo sforzo di Hans, le sue difese come la sua fobia, sono dunque tese a sanzionare<br />
quell’unico riconoscimento capace d’impedire nel bambino l’idea onnipotente dell’accoppiamento<br />
divino, ancestrale, primordiale, senza legge né differenza; a riconoscere cioè<br />
l’attributo di grande al padre poiché il figlio deve assumere per sé quello di piccolo per<br />
garantirsi la sproporzione che lo preserva dal regno dell’onnipotenza.<br />
In questo regno non esiste luogo della fobia, ed è proprio il suo mancato insediamento<br />
che espone il bambino alla vertigine di essere il prodotto di un godimento illimitato ed<br />
incontenibile.<br />
Sarà dunque solo l’insediamento di una barriera, di un limite in un luogo dove potrà<br />
sorgere la fobia, a permettere che il bimbo fantastichi la propria origine senza doversi<br />
identificare con l’inglobante dimensione dell’eccesso. La barriera del Dazio è l’ostacolo<br />
che lo preserva dalla fantasia onnipotente dell’incesto e contemporaneamente lo protegge<br />
da una vita che non sia tutta dalla parte dello sguardo dalla finestra.<br />
Le teorie sessuali infantili (il pene alla madre, l’ano da cui nascono i bambini) s’instaurano<br />
proprio a garantire la costruzione di questo spazio grazie alla ricerca e costruzione<br />
teorica, sbagliata, impropria ma salvifica della propria origine. Ogni bambino, infine,<br />
chiede solo di essere ingannato: egli è disposto a credere che i doni sono portati da Gesù<br />
Bambino, o da Babbo natale, che i bambini sono portati dalla cicogna o nascono sotto il<br />
cavolo, tutto, purché i genitori non c’entrino. Il bisogno di tenere lontana la verità degli<br />
16 Finzi, “Il piccolo Hans”, n. 61, 1989<br />
17 Finzi, Finzi Ghisi, “Il piccolo Hans” n. 50, pp.30-39, 1986<br />
79
Il piccolo Hans Lorena Fornasir<br />
adulti è, per il bambino, non un rifiuto della realtà ma il compromesso tra un’origine<br />
impossibile da pensare e l’origine a cui invece egli può risalire e se ne può appropriare. A<br />
questo punto tuttavia, l’origine va collocata dentro un luogo contrassegnato da<br />
determinate caratteristiche, in cui siano riconoscibili i limiti, le soglie e i custodi<br />
(l’animale) del divieto ad oltrepassare le barriere (le barriere dello sguardo, ad es.: Edipo<br />
nel voler guardare troppo viene punito con la cecità; ma anche le barriere dell’incesto)<br />
Questo luogo s’identifica in uno spazio non illimitato bensì fobico, come quello che il<br />
piccolo Hans anticipa, fantasticando un passaggio attraverso il recinto del dazio antistante<br />
la sua finestra, ignorando il cancello aperto, quasi a darsi o inventarsi da sé la cura contro<br />
l’angoscia che la questione dell’origine evoca.<br />
In questo luogo caratterizzato da una “barriera molle” (in quanto capace di separare, di<br />
sbarrare un accesso e nello stesso tempo di permetterlo), un animale lo custodisce<br />
impedendo che il bimbo oltrepassi la soglia. L’animale non è semplicemente l’immagine<br />
del padre: esso rappresenta il ponte tra l’animato e l’inanimato, tra l’agitarsi di un seme<br />
cosmico e il formarsi di una teoria che ristabilisce i confini, ridona le misure. Si tratta di<br />
qualcosa che ha a che fare con l’accertamento della paternità. Hans è infatti indotto ad una<br />
sorta di riconoscimento: “sì questo è mio padre, è di lui che ho paura quando ho paura<br />
del cavallo”. La pianta del Dazio dà un luogo allo scalpitare del cavallo, mentre altrove,<br />
fuori dal recinto, la vista dello stesso cavallo è per Hans insopportabile. Dentro il Dazio,<br />
il cavallo viene insieme scrutato, misurato e contemporaneamente anima quel luogo.<br />
La funzione di questo animale che il bimbo teme, non fa solo da ponte tra l’animato e<br />
l’inanimato ma si estende ed introduce la struttura della nevrosi: “La nevrosi infine, che<br />
ne è la soluzione sana e normale [riprodurrà il luogo della fobia] senza sosta…Dal luogo<br />
della fobia si dipartono le formazioni di difesa, e quindi in primo luogo la nevrosi ossessiva,<br />
che ne è la ritualizzazione estrema…Lungo gli anni il luogo della fobia riappare in<br />
continuazione. I giochi sulla soglia di casa, i salti dei gradini, la sfida stessa a saltarne per<br />
un tratto sempre più lungo, il gioco del mondo tracciato dal gesso sul marciapiede, palla<br />
prigioniera, certe strutture e contiguità della casa, e più avanti, nella vita adulta, la<br />
riproduzione di stanzini, varchi, disposizioni nella propria casa,, e le infinite pareti a vetri,<br />
pareti aperte sull’abisso, porte mancanti, divisione incerte, che si rincorrono nei sogni.” 18 .<br />
Ecco dunque che giochi di limite e di barriere evocano il bisogno di una Legge simbolica<br />
che impedisca l’infrazione. La Legge non potrà che rappresentarsi nello spazio triadico<br />
dove la presenza di un Padre permetterà al bambino di assumere su di sé lo stigma della<br />
“castrazione”, cicatrice immaginaria che s’instaura proprio laddove egli potrà vivere la<br />
duplice esperienza della delusione (non essere il proprio padre con la propria madre) e<br />
della mancanza (non essere il pene della madre ma avere pene). Il piccolo Hans è infine<br />
questo bimbo che reclama, ammalandosi di fobia, la presenza di un padre e della sua<br />
legge. “L’esperienza dell’Edipo, della sua delusione, della legge, rivela al soggetto che nel<br />
luogo e al posto della mancanza della madre, non vi è lui, in quanto fallo della madre, ma<br />
il padre…la conseguenza sarà che il soggetto, sloggiato dalla posizione che occupava,<br />
identificandosi immaginariamente al fallo della madre e costretto a sottomettersi alla legge,<br />
potrà ormai avere o ricevere un fallo invece di esserlo”. 19<br />
Solo così le proporzioni si ristabiliscono e la delusione d’essere piccolo assieme al divieto<br />
di prendere il posto di grande, gli permetterà l’accesso alla vera crescita nell’autenticità.<br />
18 Finzi Ghisi “Il piccolo Hans”, n.69 p. 57-58, 1991<br />
19 Alphonse De Waelhens, La psicosi, Astrolabio, Roma, 1974, p. 95<br />
80<br />
Strumenti e metodo<br />
11 Tavole di lavoro
Strumenti e metodo: 11 Tavole di lavoro<br />
11 Tavole di lavoro<br />
1 K. Pomian, L’ordine del tempo, p. 374, Einaudi, Torino 1992<br />
Lorena Fornasir<br />
I fatti diventano pensabili<br />
quando sono inseriti<br />
in una morfogenesi 1<br />
Queste 11 tavole di lavoro traducono il percorso metodologico svolto durante la formazione.<br />
L’ipotesi che lo sorregge si è fonda su due scelte: 1) trattare la sessualità infantile<br />
recuperando il linguaggio <strong>delle</strong> fiabe come metafora del mondo interno, 2) fantasticare,<br />
immaginare, evocare gli scenari di due aperture: la bocca da cui entra il bambino<br />
(secondo la più nota <strong>delle</strong> teorie infantili: la fecondazione orale) e la bocca da cui esce<br />
come creazione geniale e primo grande dono che egli offre alla madre. Seguendo<br />
un’equivalenza tra sessualità e stati mentali, le bocche imperano come protagoniste<br />
incontrastate tra scenari di esplorazioni e viaggi all’interno del corpo psichico.<br />
La fantasia inconscia è valorizzata come strumento di conoscenza privilegiato per<br />
avvicinare sia docente che alunno al mondo <strong>delle</strong> immagini e alla capacità di rêverie. Lo<br />
strumento per evocarlo è quello della lettura simbolica scelta quale traccia che conduce<br />
alla rappresentazione più evoluta della rappresentazione di sé.<br />
Ogni bimbo involontariamente ne ha suggerito la costruzione quando, lasciandosi<br />
guidare nell’immaginazione, ha dipinto tavolozze di colori, cioè pitture di segni e simboli<br />
rielaborati altrove in un contesto di supervisione tra formatrice e docenti.<br />
Il primo riconoscimento si rivolge al pensiero che ognuno di questi bimbi ignari ha avuto<br />
la possibilità di esprimere grazie alle loro insegnanti, a loro volta “guidate” nell’immaginifico<br />
mondo <strong>delle</strong> icone interiori.<br />
11 tavole dunque, di una pittura psichica che si dipana come un sillabario per leggere<br />
scene di teatri nascosti depositati negli strati arcaici della psyché: dallo scarabocchio di<br />
Winnicott (1), all’evocazione <strong>delle</strong> immagini (2), per scoprire l’inconscio (3) e<br />
avvicinarsi alle sue figure (4), donando senso all’attrazione inconscia per la paura (5)<br />
che il bambino esprime, accompagnandolo a s-coprire le <strong>paure</strong> (6), fra le quali imperano<br />
l’ingordigia, l’avidità, la bramosia della bocca che mangia (7) in un gioco di proiezioni<br />
che si rispecchiano fra loro ed in cui fragile appare la soglia fra chi mangia chi (8). A<br />
questo punto lo sguardo s’inoltra dentro il corpo interrogandosi sul destino della<br />
pulsione di cui è metafora il viaggio del cibo (9) e grandi interpreti le teorie sessuali<br />
infantili (10) ossia quel pensiero creativo, secondo Freud geniale, che riconosce nella difere-nza<br />
il cammino dal caos al cosmo (11).<br />
83
Strumenti e metodo: 11 Tavole di lavoro Lorena Fornasir<br />
Strumenti e metodo: 11 Tavole di lavoro<br />
Lorena Fornasir<br />
Due altri strumenti hanno dato il ritmo al lavoro:<br />
❏ Il brain storming - letteralmente tempesta di pensieri - è una modalità o tecnica<br />
grazie alla quale il gruppo produce un flusso di pensieri disorganizzati a partire da<br />
uno stimolo dato. È poi possibile organizzare questo patrimonio di idee, parole,<br />
associazioni secondo criteri logici come la classificazione, la similitudine ecc.<br />
❏ Il circle time è una precisa tecnica di conduzione circolare del gruppo in cui, ad<br />
esempio, una fiaba iniziata da un primo componente può essere continuata da un<br />
secondo, cui seguirà il terzo e così via. Ognuno dovrà tener conto di ciò che è stato<br />
detto dalla persona che lo ha preceduto aggiungendo la propria produzione,<br />
soluzione, opinione…<br />
Sono strumenti che garantiscono la cornice adatta per “contenere” la tempesta di<br />
emozioni e pensieri che, se lasciati fluire a sé stessi, rimarrebbero segni informi fluttuanti<br />
in uno spazio disorganizzato. In tal modo, invece, ogni bimbo può sperimentare la<br />
libertà d’esprimersi poiché c’é un “pensiero” che lo “tiene”, cioè una mente adulta che<br />
sa riconoscere, accettare e rispettare la sua carica espressiva.<br />
84<br />
1<br />
Giocando al gioco dello scarabocchio.<br />
Lo scarabocchio è una tecnica di gioco inventata da Winnicott nella terapia con i<br />
bambini: “il gioco che vorrei fare non ha nessuna regola. Prendo la matita e faccio così…tu<br />
mi fai vedere se ti sembra che assomigli a qualcosa o se lo puoi far diventare qualcosa, poi ne<br />
fai uno tu e io vedrò se posso fare qualcosa con il tuo” 2<br />
Lo scarabocchio non è solo una modalità di gioco terapeutico fra l’analista e il bambino.<br />
È una tecnica che stimola la creatività e, facendo parte di un gioco, stabilisce uno spazio<br />
ludico transizionale tra la madre e il bambino, tra il terapeuta e il piccolo paziente. Infatti,<br />
mentre la realtà interna ha una sua ubicazione nella pancia o nella mente o in altri confini<br />
dentro il corpo, e quella esterna è collocata fuori da tali confini, questa terza area di<br />
spazio è il territorio intermedio tra la realtà interiore e la realtà del mondo in cui si svolge<br />
l’eccitante esperienza dell’impulso creativo, motorio e sensoriale che dà al gioco la forma<br />
del proprio Sé. Gli scarabocchi sono come un sogno che può essere sognato e il foglio di<br />
carta è lo schermo di questo sogno.<br />
Modalità di lavoro<br />
In un contesto di classe sono proponibili due varianti:<br />
❏ l’insegnante traccia uno scarabocchio e chiede individualmente ad ogni alunno di<br />
continuare il disegno e trovare un titolo alla nuova figura compiuta<br />
❏ gli alunni riuniti attorno ad un cartellone partono da uno scarabocchio iniziale<br />
continuando collettivamente con tracce di disegno successive fino alla composizione<br />
di una figura finale. Ad ogni passaggio da un segno all’altro il bambino nomina ciò<br />
che sta inventando.<br />
Esempio della prima procedura tratto dal corso di formazione sulla “sessualità infantile e<br />
l’arte della fiaba”. Alle docenti era stato data la consegna di completare con una forma di<br />
fantasia il segno abbozzato:<br />
Ecco alcuni esempi di elaborazione sviluppati dalle insegnanti:<br />
sogno torta mantello<br />
2 D. W. Winnicott, “Esplorazioni psicoanalitiche”, pag. 3<strong>26</strong>, Raffaello Cortina Editore, Milano 1995<br />
maternità<br />
85
Strumenti e metodo: 11 Tavole di lavoro Lorena Fornasir<br />
Strumenti e metodo: 11 Tavole di lavoro<br />
Lorena Fornasir<br />
Obiettivo<br />
favorire il contatto con la parte creativa del proprio Sé<br />
aiutare il bambino nell’esperienza di dare “forma” a ciò che in lui è irrapresentato, così<br />
come una emozione può trovare la “forma” del pensiero<br />
86<br />
2<br />
Evocare le immagini.<br />
Modalità di lavoro: circle time<br />
Leggere o narrare la parte iniziale del racconto “Il piccolo principe” di Antoine De Saint<br />
Exupéry-<br />
Un tempo lontano, quando avevo sei anni, in un libro sulle foreste primordiali,<br />
intitolato «Storie vissute della natura», vidi un magnifico disegno. Rappresentava un<br />
serpente boa nell’atto di inghiottire un animale. Eccovi la copia del disegno. C’era<br />
scritto: «I boa ingoiano la loro preda tutta intera, senza masticarla. Dopo di che non<br />
riescono più a muoversi e dormono durante i sei mesi che la digestione richiede».<br />
Meditai a lungo sulle avventure della jungla. E a mia volta riuscii a tracciare il mio<br />
primo disegno. Il mio disegno numero uno era così:<br />
Mostrai il mio capolavoro alle persone grandi,, domandando se il disegno li<br />
spaventava. Ma mi risposero: «Spaventare? Perché mai uno dovrebbe essere spaventato<br />
da un cappello?». Il mio disegno non era il disegno di un cappello.<br />
Era il disegno di un boa che digeriva un elefante. Affinché vedessero chiaramente che<br />
cos’era, disegnai l’interno del boa. Bisogna sempre spiegargliele le cose ai grandi. Il<br />
mio disegno numero due si presentava così<br />
Consegna<br />
❏ L’attività di gruppo può iniziare dal disegno del cappello. L’insegnante riserva per<br />
un secondo momento, se opportuno, il disegno numero due e il finale del racconto.<br />
❏ Vanno poste ai bambini domande tipo:<br />
• cosa rappresenta il disegno numero uno<br />
87
Strumenti e metodo: 11 Tavole di lavoro Lorena Fornasir<br />
Strumenti e metodo: 11 Tavole di lavoro<br />
Lorena Fornasir<br />
• come mai il Piccolo Principe immagina che il suo disegno possa spaventare?<br />
❏ Chiedere ai bambini di disegnare, come se fossero al posto del Piccolo Principe,<br />
cosa c’è dentro il cappello<br />
Obiettivo<br />
❏ stimolare la capacità immaginativa<br />
❏ valorizzare le immagini come risorsa interiore e come fonte del pensiero.<br />
❏ aiutare il bambino a dare forma alle sue immagini: il disegno del cappello è una<br />
forma che contiene altre forme: quali?<br />
❏ sollecitare nel bambino il contatto con i contenuti <strong>delle</strong> fantasie: dentro il cappello<br />
c’è un vuoto o c’è un pieno? (il racconto ci dice che il cappello rappresenta la<br />
sagoma del serpente boa dentro cui c’è l’elefante che ha ingoiato), il dentro è<br />
inanimato o animato?<br />
❏ Evocare il tema dell’animato e dell’inanimato come costruzione di un pensiero<br />
sull’origine e come soglia tra ciò che è vivo e ciò che è morto, tra il manifestarsi e il<br />
celarsi, tra l’interno e l’esterno.<br />
88<br />
3<br />
Scoprire l’inconscio.<br />
Modalità di lavoro: individuale e di gruppo<br />
❏ agli alunni viene chiesto in modo anonimo di rispondere su un foglio alle seguenti<br />
domande:<br />
• cos’è per te il sogno? come lo definiresti<br />
• ricordi i tuoi sogni? come fai a sapere che sogni?<br />
• quali sono le scene o i personaggi o gli animali che più compaiono nei tuoi sogni?<br />
• quali sono gli animali o i personaggi dei tuoi sogni che ti fanno paura?<br />
❏ invitare ogni alunno a disegnare la storia della scena o dell’animale o del<br />
personaggio del sogno che più lo colpisce<br />
❏ va evitato di chiedere il racconto di un sogno che i bambini ricordano e che<br />
vorrebbero confidare. Il lavoro non deve mai riprendere aspetti personali che<br />
attengono al singolo bambino.<br />
❏ costruire, infine, un tazebao che riprenda le risposte individuali – i disegni dei<br />
sogni, animali o personaggi - i racconti elaborati.<br />
Obiettivo<br />
❏ favorire il confronto e la comunicazione sulle emozioni<br />
❏ permettere al bambino di accostarsi al mondo dell’inconscio<br />
❏ mettere il bambino in grado di rappresentare ciò che gli è sconosciuto<br />
(il perturbante secondo Freud)<br />
❏ consentire al bambino di raffigurarsi le figure interiori del suo mondo psichico<br />
attraverso il disegno, il racconto o altre forme espressive.<br />
89
4<br />
Strumenti e metodo: 11 Tavole di lavoro Lorena Fornasir<br />
Strumenti e metodo: 11 Tavole di lavoro<br />
Lorena Fornasir<br />
90<br />
Figure dell’inconscio.<br />
Modalità di lavoro: circle time<br />
L’insegnante sviluppa l’attività procedendo dai personaggi del sogno ai personaggi <strong>delle</strong><br />
fiabe come passaggio alla rappresentazione esterna del mondo interno<br />
Attività 1<br />
Agli alunni - disposti in circle time - viene chiesto di rispondere verbalmente alle<br />
sottoelencate domande, riportando in un tazebao le risposte<br />
❏ quali sono le fiabe che conosci?<br />
❏ quali sono i personaggi <strong>delle</strong> fiabe che conosci, come si chiamano? ti fanno paura?<br />
❏ cosa fa la strega <strong>delle</strong> fiabe?<br />
❏ cosa fa l’orco?<br />
❏ cosa fa il lupo mannaro?<br />
❏ quali altri animali conosci?<br />
❏ dove vivono i lupi mannari ? com’è il bosco dove vive la strega?<br />
Attività 2<br />
❏ Chiedere ai bambini - singolarmente - di disegnare a loro scelta un personaggio o<br />
un animale o un luogo o una scena <strong>delle</strong> fiaba che preferiscono. Tutti i disegni - in<br />
seguito - dovranno essere incollati in un grande tabellone<br />
❏ Chiedere ai bambini di raccontare la storia del disegno che hanno costruito<br />
guidandoli con domande tipo:<br />
❏ quale animale (o protagonista della fiaba) vorresti essere?<br />
❏ se tu fossi questo animale (o questo protagonista) cosa faresti?<br />
Obiettivo<br />
❏ riconoscere le emozioni che suscitano i personaggi <strong>delle</strong> fiabe, specchio dei<br />
personaggi interiori<br />
❏ aiutare il bambino a cogliere l’identificazione che sviluppa con il protagonista<br />
(animale o personaggio) da lui prescelto<br />
❏ orientare il bambino a cogliere i nessi e le associazioni tra l’animale (o il<br />
personaggio) prescelto e le sue caratteristiche (aggressività – timore – dolcezza…)<br />
❏ creare il collegamento tra le immagini e le pulsioni: è ad esempio evidente il legame<br />
che esiste tra la figura del lupo mannaro e la pulsione orale (mangiare e divorare)<br />
❏ favorire la visibilità tra spinte emotive primitive e loro rappresentazione esterna<br />
5<br />
L’attrazione inconscia della paura.<br />
Modalità di lavoro: circle time<br />
Consegna<br />
L’insegnante propone una fiaba che ha come protagonista un personaggio <strong>delle</strong> fiabe che<br />
mangia i bambini. La scelta dovrebbe cadere su un racconto che metta in rilievo le risorse<br />
del bambino (è il caso ad esempio di Pollicino) ad affrontare le avversità, il suo coraggio,<br />
la mancanza di paura di fronte ai pericoli che solitamente ogni bambino avverte.<br />
È interessante il racconto “Il fagiolo magico” tratto da Joseph Jacob che introduce il tema<br />
dell’orco, del bambino senza paura, dei riti di passaggio.<br />
Va tenuto presente che il bambino materializza la fantasia orale primitiva di divorare,<br />
strappare, bruciare, nel personaggio cattivo il quale, tuttavia, ritorce l’aggressività contro<br />
il bambino stesso che per primo l’ha espressa proiettandola fuori di sé e dentro di lui.<br />
Dunque:<br />
❏ l’orco che mangia i bambini è la figura immaginaria su cui si deposita per<br />
proiezione e trasposizione la pura di essere mangiati e dunque puniti<br />
❏ il bambino senza paura rappresenta il bisogno di trovare il “limite” alla propria<br />
onnipotenza<br />
Il “fagiolo magico” mantiene vive queste tematiche attraverso la figura dell’orco<br />
vendicativo che canta una filastrocca molto amata dai bambini:<br />
“ucci ucci!<br />
sento odor di cristianucci<br />
sento al naso un pizzicore, lo conosco questo odore,<br />
chi è nascosto proprio qui? me lo mangio lì per lì”<br />
Se il bimbo non trova nell’adulto il limite alla propria onnipotente credenza di sfidare<br />
l’orco, rischia di diventare un “bocconcino”.<br />
Attività<br />
❏ il tempo del racconto può non essere lineare bensì progressivo<br />
❏ l’insegnante inizia il racconto e, a suo giudizio, lo interrompe quando nel gruppo si<br />
crea una tensione (ansia – attesa – curiosità – paura – risate) relativa ad un<br />
passaggio significativo;<br />
❏ a questo punto gli alunni, seduti in cerchio, si danno la mano l’uno con l’altro e un<br />
bimbo - a caso – prosegue il racconto con la sua “costruzione immaginaria”. Chi<br />
sta accanto a detto bimbo continua a sua volta il racconto da dove il suo compagno<br />
lo ha terminato, e via così fino a quando la favola non si ritiene conclusa,<br />
❏ in seguito l’insegnante può riprendere la fiaba tradizionale e confrontarla, assieme<br />
ai bambini, al racconto da loro inventato.<br />
91
Strumenti e metodo: 11 Tavole di lavoro Lorena Fornasir<br />
Strumenti e metodo: 11 Tavole di lavoro<br />
Lorena Fornasir<br />
Obiettivo<br />
❏ raccontare, attraverso la fiaba, cosa succede nel mondo interno e <strong>delle</strong> fantasie<br />
❏ è presupposto un personaggio chiave - ad es. l’orco o il lupo mannaro - che svolge<br />
il ruolo di “mangiare” il bambino.<br />
❏ l’orco (o un personaggio similare) rappresenta la parte più avida, primitiva e orale<br />
che il bambino non riconoscendola la proietta fuori di sé, facendola assumere alla<br />
figura “cattiva” dell’orco o del lupo mannaro.<br />
❏ la grande paura di essere mangiato dall’orco o dal lupo è la paura che ogni<br />
bambino prova di fronte al suo istinto incorporativo<br />
❏ essa riflette la vendetta che si ritorce sul bambino stesso per aver desiderato e<br />
fantasticato di aggredire tutto il cibo buono che non gli appartiene (il cibo/mamma)<br />
92<br />
6<br />
Scoprire le <strong>paure</strong>.<br />
Modalità di lavoro: circle time<br />
Raccontare la storia di Giovannin senza paura, tratta da Italo Calvino:<br />
C’era una volta un ragazzetto chiamato Giovannin senza paura, perchè non aveva paura<br />
di niente. Girava per il mondo e capitò a una locanda a chiedere alloggio. - Qui posto<br />
non ce n’è, - disse il padrone, - ma se non hai paura ti mando in un palazzo. «Perchè<br />
dovrei aver paura?».<br />
“Perchè ci si sente, e nessuno ne è potuto uscire altro che morto. La mattina ci va la<br />
Compagnia con la bara a prendere chi ha avuto il coraggio di passarci la notte”.<br />
Figuratevi Giovannino!. Si portò un lume, una bottiglia e una salsiccia, e andò. A<br />
mezzanotte mangiava seduto a tavola, quando dalla cappa del camino sentì una: “Butto”?<br />
E Giovannino rispose: «Butta!». Dal camino cascò giù una gamba d’uomo. Giovannino<br />
bevve un bicchier di vino. Poi la voce disse ancora: “Butto?”. E Giovannino: «E butta!»<br />
- e venne giù un’altra gamba. Giovannino addentò la salsiccia. “Butto?”. «E butta!» e<br />
viene giù un braccio. Giovannino si mise a fischiettare. “Butto?”. «E butta!» - un altro<br />
braccio - “Butto?”. «Butta!». E cascò un busto che si riappiccicò alle gambe e alle braccia,<br />
e restò un uomo in piedi senza testa. “Butto?”. « Butta!». Cascò la testa e saltò in cima<br />
al busto. Era un omone gigantesco, e Giovannino alzò il bicchiere e disse: «Alla salute!».<br />
L’omone disse: “Piglia il lume e vieni”. Giovannino prese il lume ma non si mosse. “Passa<br />
avanti!” - disse l’uomo. «Passa tu» - disse Giovannino. “Tu!” - disse l’uomo. «Tu!» disse<br />
Giovannino. Allora l’uomo passò lui e una stanza dopo l’altra traversò il palazzo, con<br />
Giovannino dietro che faceva lume. In un sottoscala c’era un porticina. “Apri!” – disse<br />
l’uomo a giovannino. E Giovannino: «Apri tu!». E l’uomo aperse con una spallata. C’era<br />
una scaletta a chiocciola. “Scendi” – disse l’uomo. «Scendi prima tu» disse Giovannino.<br />
Scesero in un sotterraneo, e l’uomo indicò una lastra in terra. “Alzala”. «Alzala tu» disse<br />
Giovannino, e l’uomo la sollevò come fosse stata una pietruzza. Sotto c’erano tre<br />
marmitte d’oro. “Portale su” – disse l’uomo. «Portale su tu!» disse Giovannino. E l’uomo<br />
se le portò su una per volta. Quando furono di nuovo nella sala del camino, l’uomo disse:<br />
“Giovannino l’incanto è rotto!”. Gli si staccò una gamba e scalciò via, su per il camino.<br />
“Di queste marmitte una è per te” - e gli si staccò un braccio e s’arrampicò per il camino.<br />
“Un’altra è per la Compagnia che ti verrà a prendere credendoti morto” – e gli si staccò<br />
anche l’altro braccio e inseguì il primo. “La terza è per il primo povero che passa” – gli<br />
si staccò l’altra gamba e rimase seduto per terra. “Il palazzo tienilo pure tu” – e gli si<br />
staccò il busto e rimase solo la testa posata in terra. “Perché dei padroni di questo<br />
palazzo, è <strong>perduta</strong> per sempre ormai la stirpe” – e la testa si sollevò e salì per la cappa del<br />
camino. Appena schiarì il cielo, si sentì un canto: Miserere mei, miserere mei, ed era la<br />
Compagnia con la bara che veniva a prendere Giovannino morto. E lo vedono alla<br />
finestra che fumava la pipa. Giovannin senza paura con quelle monete d’oro fu ricco e<br />
abitò felice nel palazzo.<br />
93
Strumenti e metodo: 11 Tavole di lavoro Lorena Fornasir<br />
Strumenti e metodo: 11 Tavole di lavoro<br />
Lorena Fornasir<br />
Finché un giorno non gli successe che, voltandosi, vide la sua ombra e se ne spaventò<br />
tanto che morì.<br />
Lavoro di gruppo<br />
❏ Stimolare i bambini con alcune domande tipo:<br />
• è proprio vero che i bambini non hanno mai paura?<br />
• quali azioni compie Giovannin per non avere paura?<br />
• come mai Giovannin che non ha paura di nulla, muore di spavento vedendo la sua<br />
ombra?<br />
❏ Costruire un grande cartellone con tutte le risposte usando colori, bigliettini,<br />
disegni, altro<br />
❏ Disegnare la figura dell’ombra e chiedere individualmente ad ogni bambino che<br />
racconti ciò che lui sa della sua ombra.<br />
Obiettivo<br />
Aiutare il bambino a scoprire in sé emozioni che ama e che teme: la paura e l’attrazione<br />
della paura. La guida a questa ricerca deve rispondere ad interrogativi quali: come mai<br />
ogni bambino s’identifica quasi sempre con “il bambino senza paura”? qual è la funzione<br />
di questa mancanza della paura? e in base a quale bisogno egli va in cerca, impavido, dei<br />
pericoli? la paura, quando sorge, è solo paura o è anche un richiamo, un appello all’adulto<br />
(e quale appello?). Se così fosse, l’attrazione della paura potrebbe essere la ricerca da parte<br />
del bambino di trovare un adulto capace di pensarlo e di “avere in testa” i suoi bisogni?<br />
94<br />
7<br />
La bocca che mangia.<br />
gioco di libere associazioni sulla parola<br />
mangiare<br />
dal lat. manducare: masticare<br />
dal greco ϕαγειν: masticare - divorare<br />
dal “Dizionario dei sinonimi della lingua italiana” di Niccolò Tommaseo 1 ,<br />
mangiare, masticare, biasciare, biascicare,<br />
rodere rosicare, rosicchiare, corrodere, corrosione, rodimento,<br />
boccone, boccata, morso, bocconcello, bocconcino, bocconcetto<br />
sbreccato, smussato, avanzo, rifiuto<br />
assaggiare, gustare, disgusto, disappetenza, inappetenza<br />
fame, appetito, appettenza<br />
cenetta, cenino, cenuccia, cenina<br />
convito, convivio, simposio, banchetto<br />
stravizzo, bagordo, orgia, crapula<br />
mangiata, scorpacciata, mangeria<br />
mangiatore, mangione, mangiapane, pappone, pappatore, pacchione<br />
gola, golo, goloso, colaccia, ghiotto, ghiottone<br />
leccone, leccatore, leccapiatti<br />
lecconerie, leccume<br />
goloso, ingordo, chiotto, vorace<br />
saziare, empire, sazio, saturo, satollo<br />
digerire, smaltire, concuocere, ingozzare<br />
recere, vomitare, rigettare<br />
Modalità di lavoro<br />
❏ lavorare con l’intero gruppo classe<br />
❏ utilizzando la modalità del brain storming riportare in un cartellone tutti i termini<br />
che ai bambini vengono in mente sulla parola mangiare<br />
❏ dal brain storming selezionare, assieme agli alunni, <strong>delle</strong> aree in cui mettere insieme<br />
gruppi di termini simili. Ad esempio:<br />
• area del mangiare che si riferisce a funzioni del corpo<br />
• area del mangiare che si riferisce alle sensazioni tipo: piacere o gusto o rifiuto ecc.<br />
• area del mangiare che richiama oggetti, tipo: coltello, forchetta, ecc.<br />
• area del mangiare che evoca sentimenti (amore, rabbia,…) e fantasie<br />
Niccolò Tommaseo, Dizionario dei Sinonimi della lingua italiana, Ferdinado Bideri editore, Napoli 1912.<br />
95
Strumenti e metodo: 11 Tavole di lavoro Lorena Fornasir<br />
Strumenti e metodo: 11 Tavole di lavoro<br />
Lorena Fornasir<br />
❏ ogni area sarà contrassegnata da un’etichetta di colori diversi<br />
❏ a questo punto, il gruppo classe viene suddiviso in gruppi. Un gruppo ottimale è<br />
composto da 4-6 bambini<br />
❏ chiedere al gruppo di bambini di:<br />
• scegliere un colore, cioè un’area<br />
• inventare con i termini che appartengono a quel colore (area) una storiella<br />
La consegna dovrebbe essere sempre rivolta al gruppo dei bambini. Il gruppo, infatti,<br />
“scagiona” il singolo e si dà una legittimità nel “costruire le storie del mangiare” (il<br />
mangiare mangia, divora, rosicchia, spezzetta…)<br />
Obiettivo<br />
❏ Stimolare nel bambino le libere associazioni aiutandolo a donare una forma ed un<br />
contenuto a quella che sarebbe una emissione disarticolata di parole che trasportano<br />
un’aggressività invisibile ma forte.<br />
❏ Accostare il bambino ai contenuti aggressivi nascosti dentro le parole e sostenuti dalle<br />
fantasie che egli, inconsapevolmente, espliciterà nel racconto della storia<br />
96<br />
8<br />
Chi mangia chi.<br />
gioco di libere associazioni sulla parola<br />
mangiare<br />
Consegna n.2<br />
In questo secondo tempo della consegna, le azioni associate al “mangiare” vanno attribuite<br />
a dei personaggi di fiaba famosi perché, appunto, “mangiano”: divorano i bambini,<br />
li inghiottono, li fanno sparire nella pancia…<br />
❏ l’insegnante costruisce assieme ai bambini una breve storia che ha come protagonista<br />
il “personaggio” che mangia<br />
❏ utilizzando termini o parole tratte dal precedente lavoro sul “mangiare”<br />
La costruzione di un breve racconto può avvenire a partire dalla selezione di un<br />
personaggio e dalla selezione dell’area prescelta con un colore.<br />
In un esempio tratto dalla Formazione il personaggio scelto fu Mangiafuoco e l’azione<br />
individuata l’ingoiare; il testo che ha condensato figura e azione è stato il seguente:<br />
“Mangiafuoco ingoia un topo che gli rosicchia l’ugola”<br />
Obiettivo<br />
❏ Attraverso i personaggi <strong>delle</strong> fiabe e le loro azioni, porre in grado il bambino di dare<br />
voce e un volto alle pulsioni, fra cui quella orale, che lo abitano in modo irrapresentato<br />
❏ Ciò gli può consentire di esprimere la direzione e la carica della pulsione orale: il<br />
mangiare è associato alla capacità d’introiettare, trattenere, trasformare, creare? O<br />
distruggere (come la casetta di marzapane di Hansel e Gretel)? Il cibo è alimento<br />
(psichico) che nutre o alimento che avvelena (come la mela di Biancaneve)?<br />
97
9<br />
Modalità di lavoro: individuale<br />
Consegna<br />
❏ l’insegnante assegna agli alunni il compito di costruire un’immagine del cibo che<br />
viaggia all’interno del corpo<br />
❏ l’alunno dovrà poi scrivere una breve storia di questo “viaggio del cibo nel corpo”<br />
❏ tutti i disegni e le storie andranno raccolte in un grande tazebao<br />
condizioni: nessuna<br />
tempo: 30 minuti<br />
Strumenti e metodo: 11 Tavole di lavoro Lorena Fornasir<br />
Strumenti e metodo: 11 Tavole di lavoro<br />
Lorena Fornasir<br />
98<br />
Il viaggio del cibo.<br />
materiale: carta e colori<br />
Obiettivo<br />
❏ utilizzare la trasformazione come categoria generale della creatività e l’esplorazione<br />
nel corpo o il viaggio del cibo come metafora creativa della nascita: evacuazione<br />
(come la pipì, cacca assimilabili alle eiezioni psichiche) o parto (come il bambino,<br />
secondo la nota equazione freudiana di cacca = pene = bambino) ?<br />
❏ il cibo è la metafora figurata della fecondazione orale secondo una <strong>delle</strong> più note<br />
teorie sessuali infantili<br />
❏ il viaggio del cibo è la rappresentazione simbolica dei destini del nutrimento<br />
(psichico): il bambino può lasciarsi fecondare dal cibo, lo può trasformare, espellere,<br />
perdere o lasciare, ri-creare utilizzando le sue potenzialità immaginative.<br />
❏ esplorare la natura inconscia degli investimenti erotico-anali e sadico-anali per<br />
comprendere le potenzialità creative del bambino. Infatti, la componente anale che<br />
si esprime nel modo in cui il bambino fa concludere il viaggio del cibo ha un ruolo<br />
fondamentale. La prima “creazione” che egli offre a chi si prende cura di lui è<br />
l’oggetto fecale, con tutti i significati che si associano immancabilmente alla attività<br />
anale e alla fantasia creativa. La “creazione” è dunque fortemente condizionata dalle<br />
risorse del piccolo genio-creatore di proseguire, trasformare, sublimare, ri-creare le<br />
sue “produzioni”.<br />
10<br />
Modalità di lavoro: individuale<br />
Consegna<br />
❏ viene chiesto all’alunno d’impegnarsi a ricordare una sua antica teoria riguardante la<br />
nascita dei bambini. Se ciò non gli è possibile, può fantasticare d’essere ora un bimbo<br />
piccolo e inventarsi la storia della propria nascita. L’immagine che realizzerà dovrà<br />
essere disegnata<br />
❏ tutti i disegni vanno raccolti in un grande tazebao<br />
❏ in un secondo tempo, i disegni che esprimono teorie simili (es. nascere dall’intestino<br />
o nascere sotto il cavolo) vanno raggruppati secondo un colore<br />
❏ ad ogni colore va assegnato il nome (tipo: bocca, pancia, intestino, sala parto…) a<br />
seconda del modo con cui è rappresentata la nascita<br />
❏ ogni nome rappresenterà una “teoria sessuale infantile”<br />
Condizioni: nessuna<br />
Tempo: 30 minuti<br />
Teorie sessuali infantili.<br />
Materiale: carta e colori<br />
Obiettivo<br />
❏ valorizzare l’immagine ludica creativa circa il personale sapere interiore sull’origine<br />
❏ collegamento tra le teorie sessuali infantili e le personali teorie sollecitate<br />
nell’attuale dal “sentimento di abitare il proprio corpo sessuato”<br />
99
11<br />
Strumenti e metodo: 11 Tavole di lavoro Lorena Fornasir<br />
Strumenti e metodo: 11 Tavole di lavoro<br />
Lorena Fornasir<br />
Dal Caos al Cosmo.<br />
Modalità di lavoro:<br />
l’attività è rivolta a soli alunni della V elementare. Il lavoro di gruppo va condotto<br />
con la modalità del circle time. Agli alunni viene distribuito il testo del dialogo<br />
mentre l’insegnante organizzerà la discussione<br />
Consegna:<br />
leggere in gruppo il dialogo tra Erissimaco ed Aristofane tratto dal “Simposio” di Platone<br />
“…a me pare che gli uomini non abbiano assolutamente capito la potenza dell’amore; se<br />
l’avessero compresa, gli avrebbero edificato i templi più grandi…Ma preliminarmente voi<br />
dovete comprendere la natura umana e i suoi casi. Ebbene in antico la nostra natura non era<br />
la stessa di ora, bensì era diversa. In principio i sessi degli esseri umani erano tre, non due come<br />
adesso, maschile e femminile, ma in più ce n’era un terzo, che partecipava del maschile e<br />
femminile; ora è scomparso, anche se ne resta il nome…In quel tempo infatti c’era il sesso<br />
androgino, che condivideva la forma e il nome di entrambi, il maschile e il femminile, ma<br />
ora non ne resta appunto che il nome, usato in senso dispregiativo. In secondo luogo la figura<br />
di ciascuna persona era tutta rotonda, con il dorso e i fianchi formanti un cerchio, e aveva<br />
quattro mani e altrettante gambe, e sopra il collo tondo altrettante facce simili in tutto;…E<br />
camminavano in posizione eretta, come ora, ma quando si mettevano a correre, si lanciavano<br />
in tondo reggendosi sulle otto membra, come i saltimbanchi quando danzano in cerchio<br />
facendo la ruota con le gambe levate in su. E i sessi erano tre, in quanto il maschio ebbe origine<br />
dal sole, la femmina dalla terra, e il terzo sesso, che aveva elementi in comune con gli altri<br />
due, dalla luna, che partecipa appunto della natura del sole e della terra. Essi erano tondi, e<br />
tondo il loro modo di procedere, per somiglianza con i loro progenitori. Così erano terribili per<br />
forza e per vigore, e avevano ambizioni superbe, e attaccarono gli dei, e come dice Omero, si<br />
tramanda che tentarono di scalare il cielo, per assalire gli dei. Allora Zeus e gli altri<br />
discutevano su cosa fare di loro, ed erano nel dubbio: non potevano ucciderli e far scomparire<br />
la loro razza…giacché in tal caso sarebbero scomparsi anche gli onori e i sacrifici che gli<br />
uomini tributavano loro – né potevano lasciare che si scatenassero liberamente. Finalmente<br />
Zeus ebbe un’idea e disse: “credo di aver trovato il modo perché gli uomini possano continuare<br />
ad esistere rinunciando però, una volta diventati più deboli, alle loro insolenze. Adesso li<br />
taglierò in due uno per uno, e così si indeboliranno e nel contempo, raddoppiando il loro<br />
numero, diventeranno più utili a noi; e cammineranno eretti su due gambe. Se vedrò che<br />
continuano a imperversare e non intendono stare tranquilli, allora li taglierò nuovamente in<br />
due, di modo che debbano muoversi saltellando su una gamba sola”. Detto questo, cominciò a<br />
tagliare gli uomini in due, come si fa con le sorbe prima di metterle sotto sale…e dava ordine<br />
ad Apollo di girare la faccia e la metà del collo dalla parte del taglio…; poi ordinò che li<br />
medicasse. E Apollo girò la loro faccia, e tirando da ogni parte la pelle verso quello che ora si<br />
100<br />
chiama ventre, come si fa con le borse strette da un nodo, vi praticò una sola bocca<br />
annodandola nel mezzo del ventre, quello che ora si chiama ombelico…Ordunque, allorché la<br />
forma originaria fu tagliata in due, ciascuna metà aveva nostalgia dell’altra e la cercava; e<br />
così gettandosi le braccia intorno e annodandosi l’una all’altra per il desiderio di<br />
ricongiungersi nella stessa forma, morivano di fame e anche di inattività, poiché l’una non<br />
intendeva far nulla separata dall’altra…Allora Zeus si impietosì ed escogitò un altro<br />
stratagemma: trasferì sul davanti le parti genitali che fino a quel momento tenevano<br />
anch’esse all’esterno, e del resto non generavano né partorivano l’uno nell’altro bensì in terra,<br />
come le cicale – così dunque le trasferì sul davanti e fece sì che grazie ad esse generassero gli<br />
uni negli altri, mediante il sesso maschile dentro quello femminile, allo scopo che, nell’amplesso,<br />
se un uomo si imbatteva in una donna, generassero e ne avessero la discendenza… Pertanto<br />
ciascuno di noi, in quanto è stato tagliato come si fa con le sogliole, è la metà, il contrassegno,<br />
di un singolo essere; e naturalmente ciascuno cerca il contrassegno di se stesso. Di conseguenza<br />
gli uomini che sono il risultato del taglio di quell’insieme che allora si chiamava androgino,<br />
amano le donne,…e parimenti le donne amano gli uomini. Invece le donne che provengono<br />
dal taglio di donne, provano scarsa inclinazione verso gli uomini, ma tendono piuttosto verso<br />
altre donne…Infine quelli che sono taglio di maschio vanno a caccia dei maschi… così quando<br />
uno si imbatte nella propria metà d’un tempo, ecco che essi sono idicibilmente assaliti da<br />
affetto, intimità, passione, tanto da non volersi staccare gli uni dagli altri nemmeno per un<br />
istante. E questi sono coloro che rimangono insieme per tutta la vita, senza neppure saper dire<br />
che cosa vogliono che uno riceva dall’altro. Infatti non sembra assolutamente trattarsi del<br />
rapporto sessuale, come se stessero insieme l’uno accanto all’altro con tanta passione in vista di<br />
questa soddisfazione; in realtà è chiaro che l’anima di ciascuno dei due desidera qualcos’altro,<br />
che non sa esprimere…cioè congiungersi e fondersi con l’amato per diventare una cosa sola. E<br />
la ragione è appunto che la nostra natura originaria era quella, ed eravamo interi. Dunque<br />
al desiderio e alla ricerca dell’intero si dà nome amore…amore è per noi guida e generale” 3 .<br />
❏ la lettura del testo colpisce l’immaginazione dei bambini soprattutto per due particolari:<br />
• la figura del mostro primordiale che osò assalire gli dei<br />
• l’esistenza del CAOS iniziale e dell’ORDINE che s’instaura dopo la separazione dalla<br />
TOTALITÀ<br />
❏ a seconda della maturità della classe e del coinvolgimento dimostrato, l’insegnante<br />
può proporre sia<br />
• le libere associazioni che emergono dopo la lettura e coordinare una discussione<br />
• costruire il brain-stormin rispetto ai termini CAOS e COSMO organizzando il<br />
pensiero del gruppo attorno a queste due categorie che rappresentano l’ISTINTO e<br />
la RAGIONE<br />
Obiettivo<br />
❏ riflessione sul mito: significato di caos e cosmo considerati come metafore del mondo<br />
interno;<br />
❏ riflessione sull’origine: la sessualità è origine e l’origine rievoca il caos primordiale ma<br />
anche il bisogno di un “Ordine”;<br />
3 in Platone, “Simposio”, pag 139-149, BUR, Milano 1985<br />
101
Strumenti e metodo: 11 Tavole di lavoro<br />
❏ l’“Ordine” s’identifica con la possibilità di governare con la ragione la pulsionalità del<br />
mondo interno;<br />
❏ è questa la tematica in cui si trova coinvolto il bambino della pubertà.<br />
102<br />
Lorena Fornasir<br />
Parte Seconda
L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />
Introduzione al lavoro didattico*<br />
Il lavoro didattico, che ha coinvolto noi insegnanti, segue uno schema metodologico:<br />
sono state esposte le finalità, gli obiettivi, i materiali, le attività. I vari articoli qui di<br />
seguito presentati sono stati elaborati e arricchiti di significati personali, “raccontano” la<br />
nostra esperienza scolastica.<br />
Entrare nella “RICERCA DEL MONDO” per tutte noi è stato il punto di partenza,<br />
passando per “L’INCONSCIO, IL BOSCO, IL MISTERO” che vuole essere la scoperta<br />
della parte più interiore : il BOSCO.<br />
Attraverso la fiaba, rappresentazione del nostro mondo interno, l’immaginazione, il<br />
sogno, la relazione con gli animali, ci fa arrivare al “MISTERO È DENTRO DI NOI,<br />
IL MISTERO È NELLA FIABA”, ritrovandoci nella fantasia inconscia.<br />
La fiaba “HANSEL E GRETEL” rappresenta il teatro dei fantasmi dell’oralità dove il<br />
bambino piccolo gioca il suo impulso epistemofilico avvicinandosi al mondo della conoscenza.<br />
Ma bisogna fare i conti anche con “INCONTRI CON L’O<strong>MB</strong>RA” dove i bambini,<br />
sempre attraverso la lettura di ‘Giovannino senza paura’, si relazionano con il “ci si sente”<br />
e “l’ombra di Giovannino” e dove le insegnanti spostano l’attenzione verso “il corpo che<br />
cambia”: una presa di coscienza di se stessi in continua evoluzione supportata da docenti<br />
che percorrono strane scale in salita e in discesa, insieme ai loro alunni, verso una crescita<br />
dell’IO CHE DIVIENE.<br />
Con “Giovannino senza paura” in “SENTIERI DI O<strong>MB</strong>RE E DI LUCE” i bambini si<br />
animano attraverso sogni, fobie e fantasmi; esprimono i loro veri pensieri all’insegnante<br />
che contiene e che provvede a lenire la pena psichica.<br />
Ma con il Viaggio del cibo e ancor prima con “LE BOCCHE CHE MANGIANO” e con<br />
il “mangiare”, le rappresentazioni del mondo interiore dei bambini andavano da noi<br />
insegnanti aiutate a prendere aspetto sotto forma di “pensiero”. Ecco perché “LA<br />
MATERIA DELL’ORIGINE” può essere ASSIMILATA e parte TRASFORMATA<br />
attraverso una “spirale” che porta all’espressione autentica della creatività.<br />
“L’ESPLORAZIONE DEL CORPO” asseconda il suo istinto epistemofilico e la sete di<br />
conoscenza.<br />
* Gianna Stellino - docente Scuola Elementare.<br />
105
L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />
Punto di partenza di tutte le nostre attività è stato quello di rappresentare attraverso<br />
disegni <strong>delle</strong> “immagini interiori” un mettere ordine al mondo interno (CAOS) fatto di<br />
emozioni esplosive di atteggiamenti istintivi.<br />
Con “IL VIAGGIO DEL PENSIERO” i bambini sono stati sollecitati ad una elaborazione<br />
personale sul “pensiero”, mettendo in evidenza il suo formarsi e la sua trasformazione.<br />
Con “LE FANTASIE SULLA NASCITA” i bambini ci raccontano scene immaginarie<br />
più o meno note a noi adulti, tipiche del periodo di latenza ossia dell’età in cui<br />
frequentano la scuola elementare. I vari elaborati hanno dato la possibilità di osservare,<br />
precisare, organizzare ed arricchire le conoscenze di ognuno, come anche di fondere le<br />
conoscenze scientifiche con il contesto affettivo personale.<br />
L’ esprimere apertamente ciò che ciascun bambino porta dentro di sé su un argomento<br />
così importante come “LA STORIA IMPOSSIBILE” li aiuta, come dicono le stesse<br />
insegnanti, .<br />
Dal CAOS della latenza ad un riconoscimento del COSMO con le sue regole e le sue<br />
differenziazioni, che portano ad una crescita emotiva-cognitiva in equilibrio tra loro.<br />
106<br />
Scuola Elementare Madre Teresa di Calcutta<br />
Cecchini di Pasiano<br />
L’inconscio, il bosco, il mistero<br />
Laura Altan - Flavia Bidoia - Ornella Galluzzo
E... finali <strong>delle</strong> fiabe<br />
L’inconscio, il bosco, il mistero<br />
Sogni - Paure - Sortilegi - Fantasmi<br />
Sembrava che proporre fiabe alla classe quinta, fosse cosa da piccoli e che l’attività sulla<br />
sessualità infantile attraverso la narrazione e l’elaborazione <strong>delle</strong> fiabe, potesse essere<br />
sottovalutata dai nostri ragazzi che si atteggiavano ad adolescenti e si confrontavano le<br />
marche di jeans e scarpe da ginnastica, quasi sempre firmati.<br />
Invece, il risentire le storie dell’infanzia, avendo la possibilità di cambiarle a proprio<br />
piacimento, aggiungendo particolari personali, ha entusiasmato tutto il gruppo. Ha fatto<br />
riscoprire il piacere di modellare una realtà di propria mano, realtà che arriva da lontano,<br />
spesso dal mondo dei sogni.<br />
E, quando si parla di sogni, bisogna lasciar scorrere il flusso della fantasia, far affiorare le<br />
immagini… non c’è da ragionare, da spiegare… da seguire il filo logico, non si parla di<br />
giusto o sbagliato. In questo caso, bisogna saper saltare da un posto all’altro, o come ci<br />
insegna la psicoanalisi, “fluttuare”, da un tempo ad uno diverso…<br />
Abilità concesse all’immaginazione. La storia poteva così assumere la REALTÀ che<br />
ognuno voleva assegnarle. La narrazione doveva svolgersi in un clima che favorisse<br />
l’evocazione di immagini, perciò si rendeva necessario un sottofondo musicale<br />
stimolante, che avesse i toni forti e concitati da far pensare a inseguimenti e nascondigli<br />
e che non mancassero quelli sussurrati e languidi che evocassero il riposo, “la quiete dopo<br />
la tempesta”, il meritato premio dell’eroe.<br />
Abbiamo scelto un’Overture di Rossini e, dopo un iniziale ascolto silenzioso, ci siamo<br />
messi in cerchio e abbiamo iniziato a narrare. Dopo pochi attimi, fa capolino la Baba<br />
Yaga… i ragazzi la conoscono, la sua storia era già stata raccontata in altre occasioni, ed<br />
ora, nel circle time, è la favorita. L’atmosfera suggerita dai bambini è quella di una foresta<br />
misteriosa e buia, dove c’è un groviglio di cespugli e i rami sono tutti intricati tra loro.<br />
Nel bel mezzo della foresta vive, in attesa <strong>delle</strong> sue prede, la paurosa strega. I bambini,<br />
l’uno accanto all’altro, esprimono spontaneamente, senza rispettare turni fissi e, solo se<br />
lo vogliono, ciò che sentono arrivare da quelle note. Paura? Mistero?<br />
“…Un bambino corre, sta scappando…come nei sogni che faccio la notte, sogni che mi<br />
spaventano..”<br />
“…Qui c’è un temporale…adesso è tutto scuro…”<br />
“…Adesso la strega l’ha visto, lo sta per prendere, ma c’è una trappola…”<br />
In quel luogo immaginario può accadere di tutto, ma, alla fine, il bambino che scappa,<br />
trova un riparo, al sicuro, lontano dalla Baba Yaga. Il circle time finisce, la musica<br />
continua in un tono più soffuso, ed ognuno, raccolti colori e pennelli, dà forma alle sue<br />
* LE AUTRICI<br />
Altan Laura - docente di scuola elementare - insegna matematica, scienza e musica<br />
Bidoia Flavia – docente di scuola elementare - insegna antropologia e musica<br />
Galluzzo Ornella – docente di scuola elementare - insegna lingua italiana, antropologia, educazione all’immagine<br />
109
L’inconscio, il bosco, il mistero<br />
fantasie, attraverso le immagini che sente più sue. Si usano i colori a tempera, si mischiano<br />
tonalità e si provano nuove sfumature. Si cercano colori da sovrapporre, forme<br />
inconsuete. Dai colori e dalle forme, nascono parole nuove: le parole dei sogni… <strong>delle</strong><br />
<strong>paure</strong> celate… dei timori nascosti… sopraggiunge il desiderio di raccontare quelle nuove<br />
forme, di dare una voce a quei colori e, con naturalezza, vengono composte brevi frasi,<br />
poesie, per raccontare frammenti di vissuti interiori che forse mai avremo conosciuto in<br />
altro modo. A chiamarle poesie, siamo noi oggi, che, mentre le rileggiamo, fuori dal<br />
contesto classe, ci accorgiamo che sono dei capolavori di autenticità e “drammaticità”. La<br />
drammaticità del crescere tra una scoperta e l’altra, tra le parole che si dicono e quelle che<br />
ognuno pensa di dover tenere per sé. Parole che pesano nella solitudine interiore e che si<br />
alleggeriscono quando escono dalle labbra e vengono raccontate a qualcuno che è pronto<br />
a sentirle.<br />
Nell’aria diventano più leggere; guardandoci, quando la “lezione” è finita, ci sorridiamo<br />
per tutte queste cose che ci accomunano.<br />
al buio vedo…<br />
facce tenebrose,<br />
io scappo,<br />
il mio cuore sta morendo…<br />
aiuto, aiuto!<br />
vedo un chiarore<br />
ma anche quelle facce<br />
che a me<br />
hanno fatto una minaccia<br />
le ombre mi spaventano<br />
la strega e il suo lupo fedele,<br />
inseguono qualcuno per ucciderlo.<br />
mi immagino di essere io<br />
quello rincorso…<br />
finché non mi prende<br />
e mi trasforma in lupo.<br />
il lupo è il mio animale preferito,<br />
però…<br />
non vorrei la parte crudele del lupo:<br />
cioè<br />
uccidere per piacere.<br />
sogno di un cane che mi morsica,<br />
io vado nell’al di là.<br />
nell’al di là<br />
incontro un ladro<br />
che mi brucia…<br />
due occhi mi perseguitano,<br />
io scappo,<br />
corro<br />
mi nascondo,<br />
ma loro mi inseguono ancora…<br />
ed io…non resisto più.<br />
110<br />
una forma di vita<br />
non identificata<br />
mi dice “numeri e lettere”<br />
mi sgrida,<br />
mi insegue…<br />
io ho paura… immerso nella nebbia.<br />
mi fa paura essere rapita,<br />
portata in un’altra dimensione…<br />
ed essere intrappolata<br />
per sempre,<br />
dal diavolo…<br />
e incontrare un defunto<br />
o un fantasma…<br />
io ho paura di alzarmi<br />
e di non trovare più<br />
i miei genitori e mio fratello<br />
oppure<br />
di essere rapita da un’anima<br />
o da un defunto.<br />
io scappo per non farmi prendere<br />
e poi mi prendono…<br />
mi portano insieme a Baba Yaga,<br />
nella loro casa c’è un inferno…<br />
con le loro unghie<br />
mi strappano il cuore<br />
e altre torture!<br />
brrr…che schifo<br />
Le pitture, fatte di getto, direttamente con il colore, sono l’insieme di grandi bocche<br />
sanguinanti con cavità oscure o ghignanti. I denti assumono le forme più strane. Ci sono<br />
grandi occhi indagatori, occhi sospesi nell’aria o appiccicati alle chiome scure degli alberi.<br />
Occhi spesso spalancati, per lo più rossi o gialli, minacciosi, immersi nella notte a far<br />
luccicar la foresta.<br />
A volte gli alberi stessi muovono le radici che diventano piedi o aprono i rami-braccia per<br />
afferrare lo sprovveduto bambino che passa di là. In alcune pitture, sono gli occhi<br />
spalancati di un mostro che si stagliano nel buio e sovrastano l’intera foresta; in altre sono<br />
quelli “velenosi” di un animale feroce o quelli insaziabili della vorace strega. I paesaggi<br />
sono tetri, i bambini disegnati assumono l’aspetto di sagome con pochi particolari, quasi<br />
ombre spaventate, inseguite da figure nere.<br />
Sono le streghe che volano, si appostano dietro agli alberi, attendono insidiose, le<br />
prede…<br />
Quando si mostrano, a volte, assumono la forma di uccellacci o grandi ragni.<br />
Nelle pitture, emerge la paura più diffusa: quella di essere divorati. Ovvero di perdersi, di<br />
non avere più un posto, un nome…di non esserci.<br />
ESPERIENZA E INCONSCIO<br />
Accanto alla storia dei fatti che ricordiamo, c’è la storia <strong>delle</strong> emozioni, degli stati<br />
d’animo…dei rifiuti e <strong>delle</strong> delusioni, <strong>delle</strong> gioie e dei dolori, <strong>delle</strong> “ partite vinte e di<br />
quelle perse”.<br />
Tutte le tracce mnestiche che fanno parte del tessuto <strong>delle</strong> relazioni primordiali(madrebambino-ambiente),<br />
si depositano negli strati più arcaici della psiche e saranno le <strong>paure</strong>,<br />
nel corso della vita, ad evocarle in forma di fantasmi, immaginazione, fantasie.<br />
Tutte queste figure dell’inconscio, accompagnano l’essere nel suo destino, manifestandosi<br />
attraverso la ricerca del piacere e la tolleranza alla frustrazione.<br />
Conoscendo il valore da attribuire all’inconscio e sapendo che esso è la parte meno<br />
visibile di noi, ma che ci abita completamente (con i sogni, le fantasie) le immagini, si è<br />
ritenuto importante iniziare il lavoro sulla sessualità infantile, con un brain storming sulla<br />
parola INCONSCIO.<br />
In tal modo, si sono potute conoscere le idee preesistenti rispetto a tale concetto e,<br />
discutendone in gruppo, ognuno ha avuto modo di modificare le proprie conoscenze<br />
attraverso il confronto con quelle dei compagni, senza anticipazioni o forzature. Ogni<br />
alunno così, ha potuto sperimentare l’accesso a quel mondo profondo e sconosciuto, e,<br />
secondo la propria esperienza, ha potuto dargli forma attraverso le parole e le immagini.<br />
Parole e immagini che assumono una funzione liberatoria e danno il permesso di esistere<br />
a vissuti altrimenti nascosti.<br />
Brain storming sulla parola INCONSCIO<br />
❏ Quando non si ragiona… si pensa a cose fantastiche…<br />
❏ Inconscio è come svenire… dormire…<br />
❏ È un po’ perdere i sensi, non avere conoscenza…<br />
❏ C’è quando si è piccoli e quando si diventa grandi… si fa…<br />
❏ È come essere ipnotizzati, cioè fare le cose senza sapere…<br />
❏ È… non ricordare <strong>delle</strong> cose…<br />
❏ Essere annebbiati…<br />
❏ È essere costretti a fare qualcosa che non si ama veramente…<br />
L’inconscio, il bosco, il mistero<br />
111
L’inconscio, il bosco, il mistero<br />
❏ Essere in stato di choc dopo non aver reagito a reazioni…<br />
❏ Forse è stare male… essere isolati…<br />
(definizioni date da bambini di undici anni)<br />
I pensieri sono stati espressi a voce e riportati sul cartellone dove, a turno, i bambini<br />
hanno disegnato simboli e immagini per “arricchire” i loro pensieri.<br />
PRESENTAZIONE SCHEMATICA DELLE TAPPE DI LAVORO<br />
Sequenze didattiche:<br />
❏ FANTASIE SUL MISTERO E L’INCONSCIO (le <strong>paure</strong>, i sogni, i personaggi <strong>delle</strong><br />
fiabe e gli animali che spaventano…)<br />
❏ L’ANIMALE IN CUI VORREI TRASFORMARMI… perché?<br />
❏ LE BOCCHE CHE MANGIANO e la loro storia.<br />
❏ HANSEL E GRETEL E… (la storia dei bambini abbandonati nel bosco)<br />
❏ IL VIAGGIO DEL CIBO E LA SUA STORIA FANTASTICA NEL CORPO.<br />
❏ FANTASIE SULLA NASCITA: QUANDO ERO PICCOLA/O credevo che…<br />
❏ IMMAGINO IL MOMENTO DELLA MIA NASCITA: colori, luci, suoni, rumori,<br />
volti…<br />
LE ATTIVITÀ SONO STATE AFFRONTATE AFFINCHÈ I BA<strong>MB</strong>INI POSSANO:<br />
❏ Liberare le <strong>paure</strong> esprimendole e nominandole;<br />
❏ Usare il linguaggio fantastico come trait d’union tra l’ignoto e il conosciuto;<br />
❏ Evocare situazioni di particolare impatto emotivo, sorrette dal gruppo;<br />
❏ Condividere (nel senso di sapere che anche gli altri li provano) sentimenti, emozioni,<br />
vissuti.<br />
RIFLESSIONI METODOLOGICHE<br />
Queste attività hanno permesso ai bambini di esternare le loro <strong>paure</strong> e le loro ansie<br />
all’interno di un ambiente protetto, quale è quello dell’aula scolastica e della classe. I<br />
vissuti personali sono stati accolti da compagni e insegnanti, le quali, in questa occasione,<br />
non avevano il ruolo di correggere errori, di giudicare un prodotto scolastico o valutare<br />
un’abilità, ma semplicemente di ricevere le “confidenze”. Ciò ha rafforzato i rapporti tra<br />
insegnanti e alunni e fra gli alunni stessi. Il gruppo è sembrato più coeso e attivo nel<br />
collaborare in modo cooperativo.<br />
Si sono smussate certe conflittualità e, spesso, i ragazzi si sono mostrati più tolleranti nei<br />
confronti dei compagni, rivelandosi anche meno competitivi rispetto ai risultati individuali.<br />
Parlare <strong>delle</strong> proprie <strong>paure</strong> ed ascoltare quelle degli altri, ha fatto scoprire che non erano<br />
i soli a provarle, ma che ciò era un’esperienza comune.<br />
Raccontarsi i sogni, ripercorrere in modo nuovo le fiabe dell’infanzia, ripescarne i<br />
personaggi spaventosi per trovare insieme un modo per sconfiggerli, ha rafforzato la<br />
fiducia nel gruppo, ponendo le basi per una relazione più profonda.<br />
112<br />
SOGNI-PAURE-SORTILEGI-FANTASMI…<br />
INCONSCIO<br />
PAURE<br />
SOGNI FIABA<br />
PERSONAGGI & ANIMALI CHE SPAVENTANO<br />
CON<br />
L’inconscio, il bosco, il mistero<br />
BOCCHE ARTIGLI OCCHI<br />
113
Scuola Elementare G. Narvesa<br />
I Circolo di Pordenone<br />
Il Mistero<br />
Maria Elena Della Pietra
Il Mistero è dentro di noi*<br />
Il Mistero è nella Fiaba<br />
Il Mistero è dentro di noi - Il Mistero è nella fiaba<br />
L’essenziale è invisibile agli occhi.<br />
A.S.Exupérie<br />
PREMESSA<br />
Ciò che mi ha spinta ad intraprendere ed a proseguire questo affascinante sentiero è stato<br />
un forte impulso a contemplare un così complesso e delicato tema, come quello della<br />
sessualità, da una prospettiva che lo investe di un’arcaica sacralità: L’ARTE DELLA FIABA.<br />
Dietro l’avvincente apparenza <strong>delle</strong> vicende <strong>delle</strong> fiabe, dei personaggi e dei fitti intrecci,<br />
si nascondono potenti simboli, che rappresentano scene del teatro psichico interiore.<br />
Scrive Galimberti che “fiabe e miti sono depositi d’arcaiche memorie e ciò che avverrà in<br />
qualche modo è già avvenuto” (1) .<br />
La fiaba, quindi, si è trasformata in uno strumento per aiutare i bambini a portare a galla<br />
le loro <strong>paure</strong>, le loro fantasie e i loro fantasmi interiori.<br />
Un costante entrare in arcani spazi (il Caos dell’ignoto) ed uscire riportandone il vissuto<br />
attraverso la parola ed il disegno (la forma del Cosmo).<br />
Da queste premesse si delinea chiaramente che la sessualità è concepita come compenetrazione<br />
della psiche con il soma, dell’emozione con il comportamento; significa,<br />
inoltre, far emergere da impalpabili territori psichici la consapevolezza del proprio mondo<br />
istintuale-affettivo-emotivo, consentendo gradatamente a ciascuno di diventare e di riconoscersi<br />
come “artista della propria identità”.<br />
Portare l’arte nella vita ci insegna a rispettare l’immaginazione come qualcosa che va oltre<br />
la creazione e l’intenzione dell’uomo, e quando le si consente di dirigersi in profondità,<br />
si ha la rivelazione del sacro e del mistero.<br />
E la sessualità, come scrive Galimberti, appartiene all’enigma.<br />
“Abitare” la sessualità in un modo così vasto, portando finalmente parole come Amore e<br />
Speranza, è stato un nutrimento per la mia anima affamata, come tutte le anime,<br />
d’armonia, di bellezza e d’arte.<br />
Come poeticamente narra un incantevole racconto zen, che riporto.<br />
SENSO DELL’ARTE (2)<br />
Nel burrone di Lung Men tanto, tanto tempo fa c’era un albero di Kiri, un vero re della<br />
foresta.<br />
Un potente mago costruì con il legno di quest’albero un’arpa meravigliosa, il cui spirito non<br />
poteva essere domato nemmeno dal più grande dei musicisti.<br />
* AUTRICE<br />
Della Pietra Maria Elena - docente di scuola elementare – ha conseguito il diploma di specializzazione polivalente<br />
(1) Umberto Galimberti “Gli equivoci dell’anima” Ed. Feltrinelli, Milano ‘87<br />
(2) Okakura Kakuzo ”IL libro del tè”, c.ed. Sugarco, Mi 1973<br />
117
Il Mistero è dentro di noi - Il Mistero è nella fiaba<br />
Tra tutti coloro che tentarono, nessuno riuscì ad estrarre una melodia dallo straordinario<br />
strumento. L’arpa rispondeva ai disperati sforzi di coloro che tentavano di suonarla con<br />
secche note di disprezzo; il che non si accordava mai con i canti che i musicisti volevano<br />
intonare. Lo strumento musicale non voleva saperne di riconoscere un maestro.<br />
Infine arrivò Pai Ya, il più bravo tra tutti gli artisti. Accarezzò l’arpa con mano leggera,<br />
con lo stesso gesto con cui si accarezza un cavallo selvaggio, quindi prese a pizzicare<br />
leggermente le corde dello strumento. Pai Ya cantò la natura e le stagioni, le alte vette <strong>delle</strong><br />
montagne e le tumultuose acque dei fiumi e tutti i ricordi dell’albero si svegliarono...<br />
Incantato l’imperatore del Celeste Impero volle conoscere il segreto che aveva permesso a Pai<br />
Ya di aver ragione della resistenza dell’arpa.<br />
“Maestà”, rispose il musicista alle domande dell’imperatore, “coloro che mi hanno preceduto<br />
nel tentativo di suonare questo strumento hanno fallito perché non cantavano che essi stessi.<br />
Io invece ho lasciato che l’arpa scegliesse da sola la sua sinfonia e non sapevo bene se l’arpa<br />
fosse Pai Ya o Pai Ya fosse l’arpa”...<br />
Il progetto è stato svolto con 17 alunni della classe 2° A della scuola elementare G. Narvesa<br />
1° Circolo didattico di PN durante le ore d’italiano e d’educazione all’immagine.<br />
È stato naturale inserire questo lavoro nella programmazione in quanto evoluzione molto<br />
più specifica e complessa di un’attività svolta già in 1 a , inerente i sogni e le fantasie<br />
attraverso i colori.<br />
La ricerca si articola nei seguenti momenti:<br />
1. FINALITÀ EDUCATIVE<br />
2. OBIETTIVI DIDATTICI<br />
3. MATERIALI SPAZI TEMPI<br />
4. METODOLOGIE<br />
5. FASI DI LAVORO<br />
6. CONSIDERAZIONI<br />
1- FINALITÀ<br />
• Favorire un contatto con “l’invisibile”: i sogni, l’inconscio.<br />
• Far emergere fantasie e fantasmi dando loro una forma ed un significato.<br />
• Sperimentare le proprie emozioni, desideri e <strong>paure</strong>.<br />
• Stimolare un collegamento tra sogni e fiabe.<br />
• Sollecitare lo sviluppo armonico della personalità attraverso produzioni creative<br />
• Creare un contatto con le componenti dell’identità sessuata<br />
2- OBIETTIVI DIDATTICI<br />
Essi si collocano all’interno dell’ambito della produzione scritta e della comprensione<br />
nella programmazione didattica di lingua italiana.<br />
• L’individuare la struttura di una fiaba (p. iniziale, problema, soluzione, finale).<br />
118<br />
• Evidenziare in un testo narrativo:<br />
il protagonista e le sue caratteristiche;<br />
l’antagonista e le sue caratteristiche;<br />
gli ambienti e le loro caratteristiche principali.<br />
• Ricavare le principali sequenze temporali.<br />
• Individuare le relazioni di causalità tra gli eventi.<br />
3 - MATERIALI SPAZI TEMPI<br />
Nelle ore di lingua italiana sono state analizzate in modo più approfondito le seguenti<br />
favole:<br />
“Cappuccetto Verde” di B. Munari Einaudi Ragazzi<br />
“Cappuccetto Rosso” di B. Munari Einaudi Ragazzi<br />
“Cappuccetto Giallo” di B. Munari Einaudi Ragazzi<br />
“Cappuccetto Blu” di B. Munari Einaudi Ragazzi<br />
“Cappuccetto Bianco” di B. Munari Einaudi Ragazzi<br />
“La bambina dai capelli blu” di M. A. Murail Emme Ed.<br />
Durante la lettura sono state impiegate musiche particolarmente idonee a sollecitare la<br />
costruzione di immagini evocative dei vissuti interiori dei bambini.<br />
L.MC Kennit “The book of secret”, “Parallel dreams”, “La leçon de piano” di Nyman e<br />
“La mer” di Debussy.<br />
Nella fase operativa, svoltasi in aula negli spazi scelti e costruiti dagli alunni stessi, si è<br />
fatto largo uso di cartelloni, pastelli, pennarelli, gessi, colori a cera.<br />
Le attività si sono svolte da marzo a giugno con scadenza quindicennale c.a..<br />
4 - METODOLOGIE<br />
Sono state impiegate metodologie interattive quali:<br />
• brain storming<br />
• circle time<br />
• ascolto attivo<br />
• rispecchiamento verbale e gestuale<br />
• domande aperte<br />
• stimolazioni esplicite<br />
• metodo Gordon<br />
• lavoro individuale<br />
Il Mistero è dentro di noi - Il Mistero è nella fiaba<br />
5 - FASI DI LAVORO<br />
La ricerca sul mistero nella fiaba si è svolta in due ampie unità didattiche.<br />
119
Il Mistero è dentro di noi - Il Mistero è nella fiaba<br />
Nell’unità didattica n.1 (vedere allegato n. 1) gli allievi, disposti in circolo, sono stati<br />
invitati attraverso la modalità del brain storming a riflettere e ad esporre le loro opinioni<br />
sui sogni, sul mistero, sulle fiabe. Tutti i loro interventi sono stati registrati.<br />
Nella seconda fase (unità didattica n. 1/B), prettamente operativa, si rilevano questi<br />
passaggi:<br />
• trovare lo spazio soggettivo<br />
• sfondo musicale<br />
• attività pittorica<br />
• costruzione di una breve storia inerente l’illustrazione (vedere allegato n. 2)<br />
• costruzione dei cartelloni (lavoro di gruppo)<br />
• condivisione dei significati: lettura dei testi e <strong>delle</strong> immagini<br />
• sintesi.<br />
6 - CONSIDERAZIONI<br />
“…come se fosse un cerchio che si espande sempre più portando la luce” (3)<br />
Intraprendere il tentativo di spiegare il mistero è stato, senza alcun dubbio, come vivere<br />
una vera avventura, una fiaba.<br />
La costante tensione di essere arrivati al dunque, il continuo progredire in avanti nella<br />
speranza di trovare qualcosa di definito, di certo, hanno permesso l’invenzione di<br />
personaggi, di simboli e di storie incredibilmente coese, nel tentativo di arrivare all’uscita<br />
del labirinto.<br />
È il momento in cui si narra il “Mito della notte originaria”, qui i bambini si sono<br />
trasformati in artisti inventori, avendo fede che una risposta all’enigma esiste.<br />
Ecco dipinte, quindi, porte con ragnatele, chiavi segrete da trovare, magici indovinelli,<br />
lunghe scale buie, sentieri sconosciuti, incroci. Questi elementi simbolici rappresentano<br />
la ricerca dentro il “corpo” della notte originaria che tutto contiene e nulla svela, ma<br />
lascia intuire.<br />
Le loro illustrazioni e storie rappresentano dei miti personali, <strong>delle</strong> iniziazioni nel continuo<br />
processo di ricerca dei misteri della nascita e della creazione.<br />
E, proprio come nella fiaba della Bella Addormentata, nel mito di Persefone o di Eros e<br />
Psiche, ci sono stati molti ostacoli da superare. Ogni prova ha messo i bambini-iniziandi in<br />
contatto con gli strati più profondi dell’inconscio e, in un certo qual modo, hanno<br />
sperimentato l’autorità di quel divino “qualcosa”, che è la voce della loro vera natura, per<br />
mezzo della quale verranno gradualmente liberati dall’autorità dei genitori.<br />
Tutti sono riusciti ad “aprire la porta”.<br />
Qualcuno ha visto un nuovo territorio, altri sfiorato, altri ancora lo hanno udito o annusato.<br />
Proprio come Persefone hanno viaggiato nel regno del profondo del mondo archetipo e<br />
vi hanno fatto ritorno portandone qualcosa.<br />
A volte per portare la luce in questa oscurità, hanno creato una guida di virgiliana<br />
memoria, come la figura del potente leone pompiere, che spegne il pericoloso fuoco che<br />
avvolge “la palla del mistero” e conduce poi il bambino all’interno dove c’è “la luce” (4) .<br />
Molto coraggio è richiesto per entrare in questo arcano mondo ed anche Psiche è stata<br />
guidata da alcuni animali.<br />
(3) Espressione verbale di una alunna di II^ elementare emersa durante l’attività.<br />
(4) Espressione verbale di un alunno di II^ elementare emersa durante l’attività.<br />
120<br />
Il Mistero è dentro di noi - Il Mistero è nella fiaba<br />
Entrare nel regno del mistero è stato come varcare un confine, che delimita un territorio<br />
sconosciuto e conosciuto allo stesso tempo, antico e nuovo. Uno spazio interiore in cui<br />
i bambini hanno costruito e demolito barriere; lo hanno interrogato, qualcuno trovando<br />
<strong>delle</strong> risposte.<br />
Hanno vissuto pienamente questo spazio psichico.<br />
Durante il lavoro sono rimasta pienamente colpita dall’estrema facilità ed immediatezza<br />
con cui gli allievi-Persefone, se lasciati liberi di esprimersi senza giudicare, entrano in<br />
relazione sempre più profonda con nuclei della loro interiorità, in cui giacciono verità<br />
universali.<br />
Questo processo viene così definito da uno di loro: “...come se fosse un cerchio che si<br />
espande sempre più portando la luce”(3). E la luce, si sa, è portatrice di conoscenza, di<br />
rivelazione, di consapevolezza, di briciole di saggezza.<br />
Una profonda e limpida capacità indagatrice, che emerge dalle loro metafore, dai simboli<br />
utilizzati nonché dalle loro considerazioni finali sul lavoro svolto (vedere allegato n. 3).<br />
SI<strong>MB</strong>OLI AZIONI AGGETTIVI<br />
• Porta chiusa • Scavare • Coraggio<br />
• Rotondo marrone • Schiarire • Dolcezza<br />
• Fuoco magico • Cercare • Musicalità<br />
• Pezzo di sogno • Scoprire • Luminosità<br />
• Sentiero • Aprire • Azzurro<br />
• Incrocio • Entrare • Aperto<br />
• Zona buia • Camminare • Strano<br />
• Zona chiusa • Salire scendere • --------<br />
• -------- • Unire • --------<br />
Per giungere alla conclusione che “la chiave è il mistero”, “la chiave siamo noi” (5) .<br />
E sempre usando le parole di questi piccoli archeologi dell’anima: ”La chiave è dentro al<br />
cuore e bisogna prendere la via verde.<br />
Lì vivi il mistero” (6) .<br />
Un enigma che si rinnoverà per l’eternità, come ci lascia intravedere T.S. Eliot in Quattro<br />
Quartetti:<br />
“Non desisteremo mai dall’esplorare<br />
E la fine di ogni nostro esplorare<br />
Sarà giungere là donde siamo partiti<br />
E conoscere quel luogo per la prima volta”.<br />
UNITÀ DIDATTICA N. 1 - “I SOGNI E LE FIABE” (allegato n. 1)<br />
Quest’ attività introduttiva è stata svolta con tutta la classe impiegando il brain storming.<br />
Già lo scorso anno gli alunni si erano espressi sul “mistero e sui sogni” attraverso disegni,<br />
storie. Risulta, quindi, facile agganciarsi a questo lavoro.<br />
(5) Espressione verbale di un alunno di II^ elementare emersa durante l’attività.<br />
(6) Espressione verbale di una alunna di II^ elementare emersa durante l’attività.<br />
121
Il Mistero è dentro di noi - Il Mistero è nella fiaba<br />
- COS’ È IL MISTERO?<br />
Cervello, speranza, amore, fantasia, felicità, cuore, gioia, mistero.<br />
- COS’È UN SOGNO?<br />
Speranza, incubi, amore gioia, felicità, allegria, fantasia, sorpresa, stregoneria, mistero,<br />
magia, sogni ad occhi aperti, gentilezza, desideri.<br />
- RICORDO I SOGNI?<br />
7 no 9 sì<br />
COME FAI A SAPERE CHE SOGNI?<br />
❏ Perchè dormo.<br />
❏ Perchè penso di notte e sogno.<br />
❏ Perchè l’ho fatto (il sogno).<br />
❏ Penso.<br />
❏ Perchè mi ricordo.<br />
❏ Mi ricordo il programma che ho fatto.<br />
❏ Mi ricordo le immagini.<br />
QUALI PERSONAGGI VEDI NEI TUOI SOGNI?<br />
Mostri, alci, Cenerentola, draghi, gufo, squalo in piscina, cervo, puffi, gatto che viene dalla<br />
luna, extraterrestri, Maria Elena, orso, facce da tutte le parti, delfini,<br />
Mr. Bean, vampiri.<br />
QUALI ANIMALI SOGNI?<br />
Pipistrelli, usignolo, orso, cane, cavalli, cimice, tartarughe, scoiattolo.<br />
QUALI SONO I PERSONAGGI O GLI ANIMALI DEI TUOI SOGNI CHE TI FANNO<br />
PAURA?<br />
Pipistrelli, lupi, streghe, mostri, vampiri, squali, balena, facce, vipere, mucche, ladri,<br />
dinosauri.<br />
QUALI SONO I PERSONAGGI CATTIVI DELLE FIABE?<br />
Lupo, Garganella, gatto e la volpe (Pinocchio), indiani, squalo, cowboy, strega, matrigna.<br />
COSA FA LA STREGA DELLE FIABE? E L’ORCO? E IL LUPO?<br />
❏ La strega fa le magie<br />
❏ Il lupo lotta.<br />
❏ Il lupo mangia.<br />
❏ Il lupo uccide.<br />
❏ Le streghe fanno pozioni.<br />
❏ L’orco taglia le teste.<br />
❏ L’orco mangia i bambini.<br />
❏ Le streghe prendono la giovinezza.<br />
122<br />
QUALI SONO GLI ANIMALI PIU’ CATTIVI NELLE FIABE?<br />
Lupi, dinosauri, elefanti, boa, squali, tigre, draghi, gatto-volpe, mostri.<br />
Il Mistero è dentro di noi - Il Mistero è nella fiaba<br />
COLLEGAMENTO TRA FIABE E SOGNI.(Considerazione emersa da un alunno)<br />
QUALE?<br />
❏ Senza sogni non ci sono le fiabe.<br />
❏ I sogni e le fiabe hanno personaggi.<br />
❏ Sia nei sogni che nelle fiabe ci sono gli stessi personaggi.<br />
DA COSA VI SIETE ACCORTI CHE DENTRO VOI C’È UN MISTERO?<br />
❏ Perché lo sentiamo.<br />
❏ Perché l’ho sognato il mistero e non ho saputo cos’è.<br />
❏ Ho sentito che c’è dentro me un mistero e ho riflettuto con i sogni ed è uscito il mistero.<br />
Ma non so cos’è.<br />
❏ Il mistero è collegato con i sogni perchè me lo sono sognata.<br />
❏ Mi sono sognata che vedevo il corpo. in una parte c’era scritto un pezzo di mistero.<br />
Ma anche nei corpi di altri bambini c’era scritto un altro pezzo di mistero.<br />
❏ Unendo tutti i pezzi dei misteri si forma il testo del mistero.<br />
❏ Non sono riuscita a leggerlo perchè era troppo piccolo e scuro.<br />
SE IL MISTERO È SCURO, BUIO COME FACCIO A VEDERLO?<br />
(Domanda posta da un bambino)<br />
❏ Dobbiamo schiarirlo.<br />
❏ Dobbiamo tornare dentro con una lanterna.<br />
❏ Ma ci infuochiamo.<br />
❏ Andiamo più a fondo.<br />
❏ Lo schiariamo con azzurro così si vede meglio.<br />
❏ Per me il mistero è come una palla infuocata.<br />
❏ Per me è una palla di fuoco, che spegnamo con l’acqua e si trasforma nel mistero.<br />
❏ Forse dobbiamo andare talmente dentro, fino ai piedi.<br />
❏ C’è un fuoco magico, che non brucia. Forse è un fuoco finto.<br />
❏ Il mistero è come una caramella, che fa diventare più dolce e lo scopre.<br />
❏ Perchè ci vuole dolcezza per scoprirlo, altrimenti con la violenza diventa più nero.<br />
❏ Forse la palla è aperta.<br />
❏ Se c’è una porta serve una chiave per aprirla e leggere il mistero.<br />
❏ Sì, ma non abbiamo la chiave.<br />
❏ La chiave è il mistero.<br />
❏ Forse la chiave è dentro di noi.<br />
❏ È dentro il cuore e bisogna prendere la via verde.<br />
❏ Forse è una parola-chiave.<br />
❏ Forse siamo noi la chiave.<br />
❏ La chiave la troviamo nella fantasia<br />
123
Il Mistero è dentro di noi - Il Mistero è nella fiaba<br />
UNITÀ DIDATTICA N. 2 (allegato n. 2)<br />
RAPPRESENTA CON UN DISEGNO IL MISTERO.<br />
Gli alunni, in seguito ad un brain storming, hanno elaborato diverse metafore<br />
sull’inconscio, le quali sono state riprodotte in forma grafica.<br />
Riporto alcune spiegazioni dei disegni del mistero prodotte dagli alunni.<br />
❏ Dentro il mio corpo c’è una porta che si apre con la chiave d’oro e dietro la porta c’è un<br />
mistero. La chiave è nascosta dentro al muro. Ci sono altre chiavi che aprono altre porte<br />
e bisogna trovare quella giusta.<br />
C.JURI<br />
❏ Nel mistero ci sono tre porte. Chi entra deve avere coraggio perchè c’è gelatina e un<br />
fantasma.Ci sono ragnatele per difendere il mistero dagli insetti. Dove c’è la candela si<br />
apre la botola. Lì trovi la lanterna. La prendi. Lì vicino c’è la palla di fuoco. Tu con la<br />
lanterna entri nel rotondo marrone, per entrare c’è un leone pompiere.<br />
GABRIELE L.<br />
❏ Nel mio sogno ho visto dei bambini che dentro il cuore avevano una scritta. Chi è? Cos’è?<br />
Ma perchè questa cosa ha una strana chiave? Forse con la chiave si riuscirà a vedere.<br />
Questa cosa, io l’ho presa e ho provato. Ci sono riuscita. “Evviva” ho urlato di gioia. Ho<br />
visto e ho trovato che questa storia era un mistero. Unendo il pezzo che hanno tutte le<br />
persone del mondo compresi Maria, Gesù e Dio, si è formato il testo del mistero. Chissà<br />
se la mia classe lo scoprirà? Perchè io, forse, ci sono già arrivata.<br />
FEDERICA D.<br />
❏ In questo disegno ho rappresentato dei bambini che stanno cercando la chiave del<br />
mistero. Mentre cercano Lisa e Giulia scoprono <strong>delle</strong> scale e decidono di andare a vedere<br />
cosa c’era. Marco sta salendo una scala e trova una chiave. Maria si sente strana perchè<br />
ha visto un’altra chiave.<br />
ERICA F.<br />
❏ Visto che la via del mistero è buia ho usato una dolce caramella, che schiarisce ed è più<br />
facile trovare la porta. Ma non c’è la chiave, la devo trovare per entrare nel mistero e<br />
risolverlo.<br />
❏ Devo trovare il mistero. Mi prendo un bastoncino per scavare un meteorite per trovare<br />
la chiave del mistero. Sapete perchè al posto della spada ho preso un bastoncino? Ho detto<br />
che si deve usare la tranquillità e non la violenza! È per questo che ho usato il bastoncino<br />
al posto della spada. Ho scavato con facilità e ho trovato la chiave del mistero, poi sono<br />
tornata alla porta e l’ho aperta. Sapete cosa ho scoperto? Il mistero che ho scoperto è “ la<br />
musica allegra”.<br />
GIULIA M.<br />
124<br />
SINTESI FINALE<br />
Il Mistero è dentro di noi - Il Mistero è nella fiaba<br />
Ins. “A cosa vi è servito questo lavoro?”<br />
❏ Per “sfogarmi”. Quando disegnavo la bocca che mangia è uscita la timidezza, quando<br />
masticavo il cibo.<br />
❏ Per esprimere la stanchezza, la solitudine, la timidezza.<br />
❏ Per esprimere dal dentro al fuori.<br />
❏ Per esprimere gioia.<br />
❏ Per esprimere fantasia che si allarga.<br />
❏ Per esprimere rabbia.<br />
❏ Per esprimere una guida.<br />
❏ Per esprimere e far nascere idee.<br />
❏ Per esprimere il mio potere di tirar fuori.<br />
❏ Cose incredibili di me. Non avrei mai pensato di disegnare di mangiare un pipistrello.<br />
❏ A buttarmi nelle cose poco educate. Quando ero in piscina e immaginavo di essere un<br />
delfino, ho capito che sbagliavo a comportarmi così, a non voler parlare. Adesso mi sono<br />
aperta. Grazie.<br />
❏ A divertirmi a entrare dentro e fuori.<br />
❏ Ad ascoltare in silenzio la natura, perché parla e così riesco a scoprire il mistero.<br />
❏ Felicità perché ho fatto disegni che non pensavo che esistessero.<br />
❏ Mi sono sfogato con la fantasia.<br />
❏ Ho imparato ad andare dentro di me. Ho capito che si fa con la fantasia.<br />
❏ Ho capito che anche nei sogni di notte entro dentro me. I sogni servono per entrare<br />
dentro me.<br />
❏ Entusiasmo, perché ho scoperto cose che non sapevo.<br />
125
Scuola Elementare Madre Teresa di Calcutta<br />
Cecchini di Pasiano<br />
La fiaba di Hansel e Gretel<br />
Laura Altan - Flavia Bidoia - Ornella Galluzzo
La fiaba di Hansel e Gretel*<br />
Finali di tipo diverso.<br />
La Fiaba di Hansel e Gretel<br />
Premessa<br />
È stata scelta la fiaba di Hansel e Gretel come parte del percorso relativo alla sessualità<br />
infantile perché essa, come tutte le fiabe è un linguaggio universale che esprime attraverso<br />
le parole alcune scene del teatro psichico interiore. La fiaba parla <strong>delle</strong> figure inconsce,<br />
dei fantasmi che abitano la nostra psiche e che non sono accessibili alla coscienza se non<br />
in forma affabulatoria. Il bambino libera il suo inconscio trasformando i suoi fantasmi<br />
interiori in streghe, draghi, orchi che assumono una funzione purificatrice. La fiaba come<br />
strumento di lavoro era già stata utilizzata precedentemente per avviare una ricerca sui<br />
personaggi più cattivi e sulle loro caratteristiche.<br />
Gli alunni erano giunti alla conclusione che le figure più malvage erano coloro che di solito<br />
divoravano i bambini (lupi, streghe…). È stato organizzato un circle time: l’insegnante ha<br />
cominciato a leggere la favola di Hansel e Gretel e nel momento in cui ha avvertito il<br />
desiderio da parte di un alunno di continuare il racconto, gli ha ceduto la parola.<br />
Si sono susseguiti i vari interventi dei bambini mentre un’altra insegnante, li trascriveva.<br />
LA FIABA DI HANSEL E GRETEL<br />
Insegnante: “C’erano una volta, tanto tempo fa, due fratellini, Hansel e Gretel, che vivevano<br />
in una casetta al limitare del bosco, insieme al padre e alla matrigna. Una sera Hansel<br />
sentì che la matrigna diceva al papà: - È necessario condurre i bambini nel bosco, visto<br />
che non abbiamo di che sfamarli! Troveranno qualcuno che si occuperà di loro...”.<br />
❏ il papà partì il giorno dopo con i figli e non ebbe però il coraggio di lasciarli soli nel<br />
bosco, perciò li riportò a casa e li nascose nella stalla…<br />
❏ la matrigna sentì dei rumori e andò a vedere che cos’era e scoprì i bambini. Il marito le<br />
confessò ciò che era accaduto e aggiunse che, risparmiando, avrebbero potuto continuare<br />
a vivere insieme...<br />
❏ la matrigna li portò allora lei nel bosco, lasciando suo marito a casa a dormire. Svegliatosi<br />
egli non trovò la moglie. Ella intanto aveva lasciato i bambini abbandonati nel bosco…<br />
❏ il marito prese il fucile e andò nel bosco. Giunto nel bosco vide un lupo che stava per<br />
mangiare i bambini e lo uccise. Prima però ammazzò i bambini e poi il lupo per non<br />
dargli la soddisfazione di mangiarli…<br />
❏ (riprende prima del finale) il papà andò nel bosco con il fucile e vide che una lupa andò<br />
dai bambini, li salvò e li coccolò. Tranquillizzato, tornò a casa fidandosi della lupa.<br />
Meglio la lupa della matrigna! (in questo modo salva i figli e accontenta la matrigna)…<br />
* LE AUTRICI<br />
Altan Laura - docente di scuola elementare - insegna matematica, scienza e musica<br />
Bidoia Flavia – docente di scuola elementare - insegna antropologia e musica<br />
Galluzzo Ornella – docente di scuola elementare - insegna lingua italiana, antropologia, educazione all’immagine<br />
129
La Fiaba di Hansel e Gretel<br />
❏ la lupa, dopo alcuni giorni, non era più in grado di accudire i bambini perché erano<br />
nati i suoi piccoli; i bambini però nel frattempo non erano in grado di procurarsi il cibo<br />
cacciando. Allora andarono a raccogliere castagne, bacche….Un giorno arrivò la<br />
matrigna nel bosco e li trovò… Pensò così di riportarli a casa perché le mancavano. Però<br />
i bambini, affezionati alla lupa, non volevano tornare con lei perché si era comportata<br />
male con loro. Lei decise allora di andare a casa per portare il papà nel bosco in modo che<br />
la convincesse… Strada facendo incontrò un lupacchiotto e pensò così di ricattare la lupa.<br />
❏ la matrigna andò dalla lupa con il cucciolo per spaventarla; i bambini, vedendo questo,<br />
decisero di tornare a casa con la matrigna. Così la lupa poté tenersi il suo piccolo.<br />
❏ i bambini, tornati a casa, spiegarono al papà un piano perché volevano scappare di casa<br />
per non stare con la matrigna. Sicuri che ella dormisse, andarono in cerca di un<br />
nascondiglio. Lo trovarono, c’era anche un letto dove poterono riposare quella notte.<br />
Il mattino dopo uscirono e videro il papà: gli rivelarono il loro nascondiglio segreto. Così<br />
li poteva andare a trovare quando voleva.<br />
❏ col passare del tempo i bambini cominciarono a sentire la mancanza della famiglia e<br />
dissero al padre che intendevano tornare a casa con lui, ad un patto, però: che lasciasse<br />
la matrigna oppure che le facesse capire quanto fossero importanti loro per lui.<br />
❏ il marito, quella stessa sera, mentre stavano cenando, cercò di convincerla a riprendere<br />
i figli a casa e a trattarli con affetto.<br />
Ella non volle sentir ragioni e non acconsentì. Allora egli andò dai figli e rimase con<br />
loro. Dopo alcuni giorni la donna andò in cerca del marito.<br />
❏ arrivata nel bosco la matrigna scoprì il rifugio dei bambini e vi trovò dei vestiti.<br />
Camminò ancora un po’ nel bosco e li vide… decise di osservarli. Accortisi della sua<br />
presenza scapparono e lei li inseguì.<br />
❏ i bambini insieme al papà si rifugiarono su un albero senza esser visti; la matrigna li<br />
cercò invano e, stanca, tornò al nascondiglio. Dopo aver atteso un po’ di tempo i tre<br />
tornarono al loro nascondiglio dove trovarono la matrigna che chiese loro <strong>delle</strong><br />
spiegazioni… I bambini le dissero: - Noi vogliamo vivere con papà perché è buono, mentre<br />
tu sei cattiva.<br />
Tornarono a casa perché il papà riuscì a convincerli.<br />
❏ tornati a casa festeggiarono il compleanno di Hansel e il papà, per fargli una sorpresa,<br />
portò a casa la lupa e i lupacchiotti.<br />
❏ il papà decide di rimanere con i figli per mettere alla prova l’amore della moglie… ella<br />
si sentiva sola ed andò alla sua ricerca. Lo trovò insieme ai suoi figli e notò com’erano<br />
uniti e felici insieme. Allora chiese loro scusa e tornarono tutti insieme a casa. I bambini<br />
chiesero di tenere con loro la lupa; la lupa portò la felicità in famiglia.<br />
❏ i bambini chiesero alla matrigna se potevano tenere la lupa; ella non voleva perché non<br />
c’era posto. Chiesero al padre la stessa cosa de egli cercò di convincere la moglie. Ella si<br />
lasciò convincere e così vissero per sempre felici e contenti.<br />
Come si nota, alcuni alunni hanno voluto sviare il percorso del racconto tracciandone uno<br />
sviluppo totalmente diverso rispetto a quello dato dal compagno precedente, inserendo<br />
nuovi personaggi (intervento n. 5).<br />
Altri hanno sviluppato ulteriormente il passaggio proposto da un altro compagno<br />
(intervento n. 6).<br />
Qualcuno ha invece inteso far terminare subito il racconto con un finale macabro<br />
(intervento n. 4), oppure accomodante (intervento n. 14).<br />
130<br />
Scuola Elementare L. Gabelli<br />
Porcia<br />
Incontri con l’ombra<br />
Chiara Del Fabbro, Paola Fontana, Sonia Benvenuto
Incontri con l’ombra*<br />
Incontri con l’ombra<br />
Questo percorso doveva consentirci di entrare in contatto con il mondo nascosto dentro<br />
di noi. Il racconto di “Giovannino” e il “Fagiolo magico” sono stati un modo per<br />
spogliarci del nostro ruolo ed entrare dentro un mondo nuovo da scoprire in comune.<br />
Gli alunni hanno avuto modo di esprimersi in una situazione molto libera, resa cordiale<br />
e speciale, dal clima che si era creato, attraverso le loro percezioni, dando volto alle<br />
immagini di fantasia. Si è trattato di un’esperienza autenticamente viva. Nella fiaba di<br />
“Giovannin senza paura” i ragazzi hanno inventato i finali, e questo è stato un lavoro<br />
ricco, sono soluzioni fantasiose in tutti i sensi e vi sono molti segni di che cosa abiti le<br />
loro fantasie. Come negli scalini della fiaba siamo scesi verso altri spazi abitati da fantasmi<br />
di paura per esplorare certe sfumature forti; un’opportunità di sentire e dire, sapendo di<br />
affidare qualcosa a qualcuno che ti ascolta. Ecco allora sorgere gli animali che fanno paura<br />
nei sogni. Parlare di questo è stato un buon momento in cui ragazzi e ragazze hanno<br />
potuto esprimere scenari nascosti. Percorrendo questo sentiero, questa possibilità di<br />
dialogo che consente di guardarsi dentro, abbiamo scoperto che i ragazzi si sentivano<br />
catturati da questa magia, attendevano quel momento e quei momenti. Noi insegnanti<br />
eravamo lì ad attenderli, ed abbiamo costruito tracce di ascolto e di parola con il piacere<br />
e il gusto di ritrovarsi a farlo. Il percorso è così continuato con altri strumenti ed altre<br />
opportunità, per riuscire ad esplorare ancora di più. Abbiamo potuto iniziare il lavoro sul<br />
racconto “Giovannin senza paura”, una fase in cui i ragazzi si sono riconosciuti nel<br />
protagonista. Egli è quasi l’eroe di questa storia, almeno per come essa si evolve: il<br />
ragazzo spavaldo della fiaba e gli alunni della realtà sono coincisi nella magistrale figura<br />
del piccolo eroe senza paura. Con stimoli all’analisi del testo siamo andati approfondendo<br />
l’aspetto letterale della fiaba. Ai ragazzi, puntigliosi nel ricercare, è stato chiesto cosa fa<br />
Giovannino per non avere paura. Nel ricercare, anche letteralmente lungo l’escursus del<br />
brano, le risposte, si è passati pian piano a guardare dentro, perché è come procedere per<br />
strati, uno sfogliare e un’approfondirsi che è molto soggettivo, poiché ognuno procede<br />
a modo proprio, ed anche questa è una grande potenzialità - riconoscere la soggettività<br />
nel punto di partenza - nel percorso, nei tempi e nei modi, nelle cose scelte, nel detto e<br />
nel non detto. È una caratteristica al tempo stesso grandiosa e fondamentale.<br />
Siamo allora scesi sotto i primi strati <strong>delle</strong> cose più visibili, abbiamo avuto lo stupore e la<br />
possibilità di vedere che i ragazzi sanno dare definizioni di estrema competenza. Mi sono<br />
stupita di fronte a ragazzini di 10, 11 anni capaci di esprimere pensieri quasi da adulti, in<br />
grado di meditare su aspetti importanti. In educazione è importante riconoscere e<br />
restituire agli alunni la loro competenza.<br />
* LE AUTRICI<br />
Benvenuto Sonia - docente di scuola elementare – ha conseguito la laurea in scienze dell’educazione. Insegna lingua italiana e inglese<br />
Del Fabbro Chiara - docente di scuola elementare - insegna lingua italiana, matematica, scienze e musica<br />
Fontana Paola - docente di scuola elementare - insegna religione cattolica<br />
133
Incontri con l’ombra<br />
Se non si è capaci di ascolto non si può sapere quanto ricchi sono gli altri. Sono talmente<br />
ricchi e mostrano potenzialità, semplicità e chiarezze rispetto cui non si può rimanere<br />
indifferenti. Sanno perfino dare a noi, a volte, un lume. Ci mostrano, non dico la strada,<br />
ma un tratto della strada. È molto bello affidarsi con coraggio a questa avventura! Ed<br />
allora scavando, sotto la prima superficie che parlava dell’ombra e <strong>delle</strong> sue caratteristiche,<br />
abbiamo scoperto come essa abbia tantissime prerogative, rappresenti ciò che non si<br />
conosce e ciò che allo stesso tempo sappiamo esistere; c’è ma non la conosciamo, più si<br />
cerca più si definisce e tuttavia è ancora inconoscibile. È possibile osservare la mappa <strong>delle</strong><br />
idee che sono state espresse sull’ombra di “Giovannin senza paura” con la capacità di<br />
parlarsi, mettendosi tutti allo stesso livello che è quello del ricercatore. Qui si sta facendo,<br />
si impara facendo, si conosce ma non si sa ancora tutto, per cui ci si confronta con<br />
l’aspetto di non completezza che è fondamentale. Da una mappa generale, gli insegnanti<br />
sanno benissimo che è possibile applicare quelle conoscenze, abilità di categoria logica,<br />
di generalizzazione e classificazione o quant’altro si pensi di proporre ma, tuttavia, ciò è<br />
applicato al pensiero razionale, non certo al sapere emotivo.<br />
Abbiamo utilizzato poi una frase del racconto che in un primo momento era stata lasciata<br />
in secondo piano.<br />
È stato scelto un passo che ai bambini era parso un po’ inquietante, aveva aperto molti<br />
interrogativi e per questo lo abbiamo condiviso, posto in comune, abbiamo cercato cosa<br />
ci poteva dire. Questo passo recitava: “se non hai paura ti mando in un palazzo...perché<br />
ci si sente e nessuno vi è potuto uscire se non morto”.<br />
È un passaggio dall’impatto non indifferente.<br />
Ebbene: ci si sente, cosa significa? cosa è significato per noi?. È diventato un percorso, una<br />
scala d’approfondimento. Ci si sente può voler dire tante cose, sono state formulate<br />
individualmente, per poi metterle in comune con gli altri e sono state unite<br />
oggettivamente oltre che metaforicamente sotto forma di una scala perché Giovannino<br />
aveva fatto un percorso nel palazzo scendendo un gradino dopo l’altro.<br />
Per me significa... (vedi materiale) aver unito le loro produzioni in un ordine preciso che<br />
è stato discusso nel gruppo.<br />
Abbiamo commentato positivamente questa scelta di unire i pensieri di tutti trovando<br />
una modalità per cui l’uno arricchisca l’altro, ed alla fine il percorso non sia più soggettivo,<br />
ma divenga partecipato e regni lo scambio.<br />
Dopo aver lavorato sull’ombra e le <strong>paure</strong>, siamo passati dall’ombra di se stessi, del proprio<br />
corpo, ad una storia raccontata con le ombre come protagonisti, ombre informi e sconosciute,<br />
eppure così legate a noi.<br />
GIOVANNINO SENZA PAURA<br />
1. Cosa fa Giovannino per non avere paura?<br />
❏ porta lampada;<br />
❏ si lascia tirar giù i pezzi dell’omone e lo affronta;<br />
❏ se vede scendere una gamba o altro non si preoccupa perché mangia; mangia la<br />
salsiccia, beve il vino, fischietta e fa un brindisi con l’omone.<br />
2. Come fa Giovannino a non avere paura?<br />
❏ Si sente tranquillo, spensierato, coraggioso; manda avanti;<br />
❏ si sente forte; si fa coraggio;<br />
134<br />
Incontri con l’ombra<br />
❏ ha un carattere forte, per cui non si preoccupa;<br />
❏ sa prendere le situazioni paurose in modo tranquillo, senza spaventarsi; non fa caso<br />
alle parti del corpo che cadono;<br />
❏ non lo spaventa niente;<br />
❏ non prende in considerazione l’omone.<br />
3. Come può Giovannino senza paura morire di paura?<br />
❏ Vede la sua ombra;<br />
❏ tutti abbiamo paura di qualcosa e Giovannino ha scoperto di aver paura della sua<br />
ombra; si spaventò della sua ombra perché era la prima volta che la vedeva;<br />
❏ anche lui ha una paura;<br />
❏ può morire di paura per una cosa mai vista e ciò può essere normale;<br />
❏ tutti hanno una paura e Giovannino è morto perché era la prima volta che provava<br />
quel sentimento; prende uno spavento.<br />
L’O<strong>MB</strong>RA DI GIOVANNINO<br />
❏ secondo me Giovannino ha preso paura girandosi di scatto e prendendo uno<br />
spavento per l’ombra dalle braccia alte, nera, spaventosa, che si muove con<br />
movimenti bruschi, cioè spaventosi, come ad esempio per acciuffarlo.<br />
❏ Giovannino senza paura è morto perché ha visto la sua ombra che era così<br />
spaventosa da farlo morire.<br />
❏ l’ombra era grande, grossa e nera come il carbone, non aveva tanto la forma di<br />
Giovannino, sembrava un gigante e pareva che volesse fargli del male.<br />
❏ Giovannino morì di paura perché non aveva mai visto la sua ombra e perciò non<br />
sapeva di avere paura di qualcosa. Inoltre l’ombra di Giovannino era gigantesca,<br />
grande, grossa, nera e copriva tutto il muro.<br />
❏ Giovannino ha visto un’ombra grande, gigantesca, nera e ferma; si spaventò molto<br />
e morì.<br />
❏ Giovannino ha preso paura perché non aveva mai visto la sua ombra che era nera,<br />
alta, molto grassa e mobile per spaventare anche altre persone.<br />
❏ un’ombra, per essere paurosa, deve essere molto grande e deve prenderti di<br />
sorpresa.<br />
❏ un’ombra, per far paura, deve essere: grande, grossa, scura, in una posizione che fa<br />
paura, cioè con le braccia sollevate e le mani contro di te, come se avesse gli artigli,<br />
come un orso adirato.<br />
❏ l’ombra era gigante e prevedeva tutto ciò che faceva Giovannino, cioè faceva le sue<br />
mosse, si muoveva come lui allo stesso tempo.<br />
❏ Giovannino è morto perché lo spavento gli ha dimostrato che tutti abbiamo <strong>delle</strong><br />
<strong>paure</strong>. Beh, alle volte, ciò è fatale e pericoloso. L’ombra è grande e brutta.<br />
❏ l’ombra che spaventa Giovannino non è normale, è grossa più del normale.<br />
❏ Giovannino per me è morto di paura perché tutti abbiamo una paura dentro di noi<br />
e alle volte può capitare che sia fatale. L’ombra era gigantesca e si specchiava sul<br />
muro.<br />
135
Incontri con l’ombra<br />
❏ Giovannino prende paura perché non ha mai visto la sua ombra. L’ombra era grande<br />
e grassa, color scuro, si muoveva bruscamente, sembrava voler uccidere Giovannino.<br />
❏ la scena che mi immagino è questa: Giovannino urla per la paura dell’ombra che è<br />
nero corvino, abbastanza alta e magra.<br />
MAPPA SULL’O<strong>MB</strong>RA<br />
distribuendo le idee attorno alla parola<br />
❏ tutti ce l’hanno<br />
❏ fa venire i brividi<br />
❏ può far paura, specialmente ai bambini piccoli<br />
❏ impressionante<br />
❏ lunga<br />
❏ spaventosa<br />
❏ paurosa<br />
❏ piccola<br />
❏ più grande di noi<br />
❏ deformata<br />
❏ si vede contro luce<br />
❏ la forma è diversa dal corpo<br />
❏ può avere una forma strana<br />
❏ può avere occhi, naso, bocca (nelle favole o se la si vede di profilo)<br />
❏ buia<br />
❏ nera<br />
❏ vera<br />
❏ può essere attaccata ai piedi<br />
❏ al buio non si vede<br />
❏ può essere riflessa<br />
❏ si vede quando c’è la luce<br />
❏ fa morire<br />
❏ fa i tuoi stessi movimenti si muove<br />
❏ non può parlare<br />
❏ fa fresco<br />
❏ serve per sapere se ci siamo<br />
CI SI SENTE per me significa.... (a guisa di scala)<br />
❏ ci si sente i tuoi pensieri, o sentirsi da soli, se hai paura sì o no<br />
❏ come si crede e si pensa a una cosa di se stessi<br />
❏ ci si sente uno stato d’animo<br />
❏ sentire i propri pensieri, tutti hanno paura di qualcosa<br />
136<br />
Incontri con l’ombra<br />
❏ ci si sente- sentirsi molto male<br />
❏ ci si sente male cioe’ impauriti<br />
❏ sentirsi male, disperati<br />
❏ per me ci si sente le <strong>paure</strong> che sono dentro di te<br />
❏ ci si sente <strong>delle</strong> <strong>paure</strong><br />
❏ senti le tue <strong>paure</strong><br />
❏ ci si sente nelle <strong>paure</strong> e nei pensieri moralmente soli<br />
❏ per me vuol dire essere dispiaciuti di cosa si ha fatto<br />
❏ ci si sente dentro al cuore cio’ che hai fatto, belle e brutte azioni<br />
❏ ci si sente per me vuol dire che una persona si sente di fare qualcosa, anche di personale<br />
❏ sentirsi cosa bisogna fare (in certe situazioni devi decidere dentro di te cosa fare, cosa ti<br />
senti di fare)<br />
CONSEGNA: disegna la tua ombra ed inventa una storia<br />
❏ C’era una volta una ragazza di nome Caroline che viveva in una grande villa con<br />
un meraviglioso giardino.<br />
❏ Caroline viveva con una sorella più grande di nome Myriam. I loro genitori erano<br />
morti in un incidente e loro non sapevano mai cosa fare. La sorella più grande iniziò<br />
ad andare all’università. Caroline rimase sola, ma un giorno vide una cosa simile a lei<br />
che faceva gli stessi suoi movimenti:<br />
❏ era l’ombra.<br />
❏ Caroline non era più sola; con lei c’era la sua amica che, però, di notte scompariva ed<br />
alla mattina compariva.<br />
❏ Poi cominciò a trovare altri amici che lei trovava nel giardino: gatti, cani, scoiattoli e<br />
piccoli pavoni. Ogni giorno giocavano ai tuffi assieme e di notte dormivano nel letto di<br />
Caroline.<br />
❏ E così per tuffi i lunghi giorni.<br />
❏ Avevo deciso di diventare veterinaria, lavare i cani ed aprire uno studio. Allora<br />
cominciarono a venire cani e gatti e così divenni la più brava veterinaria.<br />
❏ La mia ombra impazzì perché andò da tutte le parti; così mi venne il mal di testa e ho<br />
preso due settimane di ferie.<br />
❏ Una volta in una casa tranquilla abitava Antonio. Ma nella cantina c’era un mostro<br />
che un giorno l’ha spaventato. Antonio si è carbonizzato.<br />
❏ Un giorno una bambina di nome Agnese era in casa da sola perché i suoi genitori erano<br />
ancora a lavorare e sua sorella era andata dal suo ragazzo. Agnese si mise davanti alla<br />
Play- Station per giocare un po’: sullo schermo apparve un mostro spaventoso e Agnese<br />
non giocò più perché aveva paura.<br />
❏ Poi corse al piano di sopra e si mise a sognare: era una principessa in un grande castello e<br />
comandava bene il suo popolo. Un giorno il popolo si ribellò e andò da una strega che gli<br />
diede una pozione per farla morire. Il suo popolo, ad una cena, le mise la pozione nel calice.<br />
La principessa bevve, poi andò a ballare e, ballando vicino al muro, vide comparire la sua<br />
ombra: si spaventò a tal punto che morì. Il principe dal dispiacere fece fucilare tutte le<br />
persone che avevano messo la pozione, poi, non sapendo più che fare, si fece uccidere.<br />
137
Incontri con l’ombra<br />
❏ Un giorno Eros, un ragazzo ventenne, comprò un gioco per la sua Play-Station che si<br />
intitolava: “Paura thriller”. Eros volle giocare subito: Louis, il ragazzo del gioco, entra<br />
in una cantina deserta, una luce lo abbaglia, guardando dietro di sé vede un’ombra e<br />
sviene dalla paura. Eros continuò a schiacciare quei bottoni, ma il gioco era già finito.<br />
Così successe a Eros nella sua cantina e morì a soli ventun anni.<br />
❏ Un giorno la mia ombra se ne stava andando tranquilla a fare una passeggiata per la<br />
città, quando vide una bimba caduta dalla bicicletta, con una foglia la medicò e tornò<br />
a casa da me.<br />
❏ Un mese fa la squadra del 5. Antonio si è scontrata con la squadra del Rorai Piccolo.<br />
Io a dieci secondi dalla fine ho fatto paura al portiere con la mia ombra e ho fatto goal.<br />
❏ C’era una volta un antenato di Mauro a cui erano state date due ombre. Mauro era<br />
un gran giocatore di calcio e, quando andava a fare goal, i marcatori si spaventavano<br />
sempre. Ma, alla finale della Coppa del Mondo, Mauro perse i suoi poteri proprio<br />
quando era davanti al portiere: nonostante ciò fece goal e vinse la Coppa del Mondo.<br />
❏ Un giorno io e i miei fratelli giocavamo a farci paura con le ombre e con il nostro corpo.<br />
Lo scopo del gioco era che bisognava nascondersi, trovare gli avversari e spaventarli.<br />
Quando tutti erano stati trovati incominciavamo a farci paura. La mia ombra riuscì<br />
a spaventare tutti e io vinsi. Grazie ombra!<br />
❏ Una volta avevo una bellissima ombra. Stanca di stare sotto ai miei piedi, si staccò e mi<br />
uccise a coltellate. Poi mi fece il piacere di avere una tomba con un teschio sopra.<br />
L’ombra visse sempre molto felice di avermi ucciso.<br />
❏ Nel paese <strong>delle</strong> ombre, l’ombra di Mirko andò in città per andare a fare spese allo<br />
Sporting Club. L’ombra Mirko amava far palestra ed aveva un destro micidiale.<br />
Comprò tre pesi da sollevare con una mano e un peso da cento chili da sollevare con due<br />
mani. Iniziò ad esercitarsi: I, 2, 3, 4,... e ancora 1, 2, 3, 4,... così andò avanti per ore.<br />
Poi tornò in città per comprare una corda e la usò talmente tanto da romperla. Poi<br />
andò a dormire e ci rimase per due giorni.<br />
❏ Un bel giorno la mia ombra scappò di casa e fuggì nella giungla. Lì incontrò un leone<br />
che le disse: “Adesso ti mangio!!!”. Allora la mia ombra con le unghie lo spaventò e il<br />
leone morì. Più tardi l’ombra incontrò un elefante che le disse: “Ciao, io mi chiamo<br />
Dumbo!” e la mia ombra disse: “E io mi chiamo Elisetta l’ombretta!”. Elisetta raccontò<br />
a Dumbo che era fuggita, però voleva tornare a casa; così Dumbo accompagnò Elisetta<br />
a casa e visse per sempre con lei.<br />
❏ Una volta una bambina di nome Stefania aveva perso la sua famiglia, tranne il cane;<br />
così lei, la sua ombra magica e il cane andarono a cercare lavoro in una pasticceria, ma<br />
lì dopo una settimana licenziarono l’ombra che si trasformava in persona, solo che ogni<br />
tanto diventava di nuovo ombra e così continuava a fare guai. Si licenziarono anche<br />
Stefania e Bubu, il cane. Con i pochi risparmi Stefania andò a comprare da mangiare.<br />
Poi andarono a cercare un altro lavoro; lo trovarono in una pizzeria come camerieri<br />
Bubu e Stefania e come pizzaiola l’ombra (però il pizzaiolo la aiutava). Trovarono<br />
alloggio in un appartamentino che aveva bagno, cucina, camera da letto e un piccolo<br />
garage che serviva da cantina perché la macchina non ce l’avevano. Con il passare del<br />
tempo loro quattro diventarono amici e scoprirono che il pizzaiolo viveva in pizzeria;<br />
così lo invitarono a vivere in casa loro e lui accettò volentieri dato che c’era un letto in<br />
più. Dopo un po’ dì tempo Stefania scoprì che il pizzaiolo era suo padre: così si trattarono<br />
da padre e figlia per sempre. Un giorno in casa bussò una poveretta, Stefania e Luca (il<br />
padre) la fecero vivere con loro e scoprirono che era la madre di Stefania e la moglie di<br />
138<br />
Luca. Così la famiglia che fu di nuovo riunita visse felice per sempre. Un pomeriggio<br />
tranquillo Giorgia stava lavorando al computer quando ad un tratto si formò sul video<br />
un’ombra che uscì dal computer. Giorgia si spaventò, scappò immediatamente dalla sua<br />
camera e la chiuse a chiave, ma non si accorse che l’ombra attraversò la porta ed iniziò<br />
a seguirla ovunque. Giorgia uscì di casa, citofonò al vicino, ma era in vacanza; un altro<br />
vicino era dal dottore per problemi di obesità, poi non seppe cosa fare perché la strada si<br />
chiudeva. Prima mi sono dimenticata di dire che lei era ricca e con un cellulare chiamò<br />
la sua guardia del corpo che la raggiunse in un batter d’occhio. La guardia appena<br />
avvistò l’ombra gli sparò addosso, ma la pallottola oltrepassò il bersaglio; Giorgia pensò<br />
che quell’essere volesse ammazzarli ed era vero: lo aveva anche ammesso. La guardia del<br />
corpo provò ad ucciderlo in tutti i modi, ma niente da fare. Erano passate tre ore e non<br />
c’erano vincitori, né perdenti. Alla guardia del corpo venne un’idea: buttargli una<br />
bomboletta a gas. Giorgia si mise la maschera, così come la guardia e l’ombra soffocò,<br />
ma quando Giorgia e la guardia chiamarono un elicottero, l’ombra tirò fuori dal suo<br />
“corpo” nero una pistola e sparò al braccio della ragazza. Meno male che in quel<br />
momento arrivò l’elicottero e andarono all’ospedale. Giorgia non era grave; l’ombra<br />
morì.<br />
Nell’ultima parte dell’anno scolastico abbiamo cercato per ragioni di tempo e di opportunità<br />
educativa, giacché i ragazzi di V a non sarebbero più stati con noi, di spostare<br />
l’attenzione verso il corpo che cambia, il proprio corpo che cambia, del cui cambiamento<br />
i r. avevano sicuramente molti vissuti che abbiamo messo in condizione di sprimere.<br />
Hanno potuto dire che si accorgono del loro corpo che cambia, come pensano che stia<br />
per diventare, come essi stessi stanno diventando, perché il corpo non è qualcosa di<br />
diverso da se stessi, altro da sé. È stato chiaro che il corpo ed ogni caratteristica vive una<br />
vita unica, in modo unitario e questa è stata una grande lezione.<br />
E cambia e cambia...<br />
Incontri con l’ombra<br />
❏ Il mio corpo cambia perché quando ero piccola in prima elementare andavo a scuola con<br />
il grembiule, i codini, le scarpe basse; invece adesso sono molto cambiata perché non mi<br />
faccio più i codini, non porto più il grembiule e le scarpe non sono più basse. Adesso riesco<br />
a fare tante cose che prima non riuscivo a fare come alzare una sedia e adesso ci riesco<br />
perché sono cambiata. Io vorrei diventare un po’ più alta, un po’ più cicciona ed essere<br />
veloce nel correre.<br />
❏ Da quando ero piccola sono cambiate molte cose: ad esempio la voce, la forza, l’altezza;<br />
so correre più veloce di quando ero piccola, so saltare più in alto perché sono cresciuta in<br />
altezza, sono cambiata! Sono meno agile, più femminile, so controllarmi, sono cresciuta.<br />
❏ So che sto cambiando perché i vestiti dell’anno scorso non mi vanno più bene, mi sono<br />
sviluppata e i miei gusti sono cambiati, per esempio nel vestire o in fatto di giochi.<br />
❏ Mi accorgo che il mio corpo sta cambiando dalla statura, dal mio peso, dalle mie<br />
capacità (nell’ambito scolastico), dal mio numero di scarpe (che sta raggiungendo<br />
quello della mamma); vorrei moltissimo eliminare la mia pancia e vorrei tornare<br />
piccola! Vorrei poter mettermi il rossetto per uscire e farmi il taglio di capelli che voglio<br />
io. Inoltre le mie forme sono più femminili.<br />
❏ Io mi sono accorta che sto crescendo perché ho cambiato modo di vestire, sono diventata<br />
più alta e il mio piede è cresciuto notevolmente.<br />
139
Incontri con l’ombra<br />
❏ Io mi sono accorta che sto crescendo quando, un giorno di settembre, dovevo andare al<br />
matrimonio di mio fratello, ho tirato fuori le scarpe, le ho provate e mi andavano strette:<br />
non ce l’avrei fatta a resistere tutta la giornata. Per fortuna la mamma ha trovato le<br />
scarpe di riserva e così andai al matrimonio con le scarpe comode. Anche le mie forme<br />
femminili sono cresciute.<br />
❏ Il mio corpo sta cambiando perché il mio carattere sta diventando diverso e i miei gusti<br />
non sono più quelli di prima. I vestiti sono cambiati: prima erano con fiorellini,<br />
pizzetti... Invece adesso porto sempre vestiti moderni che mi piacciono. In prima ero più<br />
lenta, adesso sono più veloce; adesso sono più agile, prima no; oggi so più cose che prima<br />
non sapevo. Vorrei essere un po’ più alta, ma non troppo, e non avere le lentiggini.<br />
❏ Il mio corpo sta cambiando perché: le mie scarpe non mi vanno più, sono più alto di mia<br />
nonna che prima era più alta di me, non riesco ad urlare forte come facevo da bambino.<br />
Vorrei avere i capelli colorati: ogni capello un colore diverso.<br />
❏ Il mio corpo cambia perché divento sempre più grande in altezza, forza, carattere,<br />
velocità. Adesso sono il più veloce dei maschi della mia classe.<br />
❏ Io sto cambiando e 10 so per l’altezza, la forza, la velocità, il carattere. Ad esempio<br />
quando avevo sei anni non sapevo fare le divisioni a due cifre.<br />
❏ Sono cambiata perché da piccola per lavarmi le mani dovevo mettermi in punta di<br />
piedi, ma adesso no, oppure per toccare il tendone della mia casa dovevo saltare, ma<br />
adesso basta che alzi la mano e lo tocco,... Sono anche cambiata nel carattere,<br />
nell’intelligenza, nell’aspetto. Io vorrei diventare come dovrò essere, cioè come i miei<br />
genitori mi hanno fatta, sapendo loro<br />
❏ Mi accorgo che sto cambiando perché sto cambiando carattere, sono cambiati i gusti per<br />
la musica, guardo meno cartoni, sento più musica, per l’altezza e per la forza, ad<br />
esempio prima non riuscivo a spostare il mobile, ora sì. Mi piacerebbe aver gli occhi verdi<br />
e i capelli biondi e mi piacerebbe essere più alto e robusto di come sono.<br />
❏ Il mio corpo sta cambiando perché sto diventando alto, le braccia sono lunghe, cambio<br />
di carattere, divento un po’ più saggio, le gambe si allungano, gli occhi sono più chiari<br />
e i capelli più scuri. Vorrei avere gli occhi più chiari e anche essere più scattante.<br />
❏ Il mio corpo sta cambiando perché il piede cresce, sono sempre più alto, sono più veloce,<br />
ho potenza; ad esempio una volta ho tirato il pallone ed è andato da porta a porta:<br />
insomma la potenza del tiro.<br />
❏ Io mi sono accorta che sono cambiata perché mi sono sviluppata: è questa la cosa più<br />
importante. Invece la cosa meno importante è quella di aver cambiato vestiti, così mi<br />
sono accorta che mi sono allungata di più; poi so fare <strong>delle</strong> cose che non avevo la<br />
responsabilità di fare, ad esempio il caffè. Io sabato devo andare a prendermi i sandali,<br />
ma se non c’è il numero 35/36, io mi arrabbierò come una matta e vorrei che il mio<br />
piede diventasse di numero 37 perché ce ne sono tanti.<br />
CONCLUSIONI<br />
Dopo questo lavoro possiamo dire di poter cogliere anche una forma di verifica, laddove<br />
i ragazzi riescano ad assumersi una caratteristica organizzata di se stessi, ad assumersi un’<br />
identità che si possa vedere anche oggettivamente, cioè una terza persona che non abbia<br />
fatto il percorso assieme a loro possa vedere i segni di questa conquista.<br />
Il momento di verifica dice che nel rapporto di conoscenza mediante l’esperienza, durante<br />
l’esperienza e vivendola pienamente, in questo contesto, allora, ciascuno riconosce se<br />
140<br />
Incontri con l’ombra<br />
stesso, si abita e si pensa e si apprezza, si vede proiettato nel futuro e dice- sì, io sono e<br />
sto per diventare!-<br />
Vede un po’ più in là della punta del naso!<br />
Penso che rendere possibile tutto ciò sia apprezzabile.<br />
Nel senso appena detto abbiamo potuto cogliere diversi progressi, proprio confrontando<br />
una prova analoga condotta tempo addietro, in cui i ragazzi disegnavano se stessi.<br />
Dimostrava come i ragazzi si identificavano in modo meno preciso, mostrando un<br />
pensiero su di sé meno strutturato, meno ricco di particolari, con meno globalità.<br />
Organizzati in gruppi di 5 elementi, abbiamo proposto un lavoro sempre di disegno:<br />
“allora come non vorresti diventare” partendo da uno scarabocchio fatto da un<br />
componente del gruppo, mentre si discuteva del come diventare, cosa ti succede... Ai<br />
bambini con meno paura di fare cose nuove ho chiesto- mentre parliamo fai uno scarabocchio.<br />
La tecnica dello scarabocchio, da completare poi in un’immagine di senso compiuto, è<br />
stata scoperta da Winnicott e viene ripresa durante la formazione dei docenti che l’hanno<br />
sperimentata direttamente.<br />
Occorre dire che l’ausilio dello scarabocchio non è casuale, poiché essendo forma che<br />
introduce al pensiero simbolico, è stato utilizzato nell’esperienza didattica.<br />
I ragazzi si sono potuti proiettare in vari aspetti della multiforme personalità <strong>delle</strong> figure<br />
inconsce, sperimentando un percorso dove comunicazione e relazione sono fondamentali.<br />
Non si può fare “a comando” ma diventa possibile dove vi sia un affidarsi fiducioso.<br />
Non resta che provare. Buon viaggio.<br />
141
Scuola Elementare C. Cristofori<br />
Villotta - Aviano<br />
Sentieri di ombre e di luce<br />
Teresa Tassan Viol
Sentieri di ombre e di luce*<br />
Sentieri di ombre e di luce<br />
L’itinerario didattico proposto in relazione alla parte sperimentale del corso si è avviato<br />
nella mia classe attraverso il collegamento tra FANTASIA E REALTA’, per mezzo<br />
dell’occasione offerta dal filo sottile del SOGNO, che consente al bambino di accostarsi<br />
al mondo dell’inconscio e di rappresentarlo, attraverso i personaggi e i fantasmi che lo<br />
popolano. Se infatti l’inconscio non ha accesso diretto alla coscienza a causa della censura<br />
intervenuta e della conseguente rimozione, i suoi contenuti hanno però bisogno di essere<br />
tradotti e di farsi linguaggio, rappresentazione verbale e non-verbale.<br />
I sogni raccontati, descritti, evocati e disegnati dai bambini consentono di rintracciare le<br />
orme di un complicato percorso interiore che muove dal vasto e oscuro mondo dei<br />
desideri e <strong>delle</strong> pulsioni e dà corpo al luogo della fobia e del fantasma.<br />
Ed allora, eccoli i fantasmi e le fobie che animano e si animano nei sogni dei bambini:<br />
• animali feroci dai denti aguzzi<br />
• cani ringhiosi che vogliono mordere e sbranare<br />
• mostri deformi senza volto<br />
• serpenti che avvinghiano e mordono<br />
• alberi che si animano e rincorrono per incorporare le vittime<br />
• labirinti senza uscita che imprigionano<br />
• ...<br />
Scrivono:<br />
Marta: “Il cane dei miei sogni è molto peloso. Ha tre zampe, due teste, due occhi per testa...<br />
La bocca è sempre aperta e gli esce della bava. Ha denti aguzzi che sanno dilaniare ogni cosa,<br />
in fauci spaventose... Il cane può sbranarti all’improvviso, senza che tu te ne accorga... gli<br />
trema tutto il corpo e il pelo si drizza. Si scatena una furia tremenda e il cane fa disastri”.<br />
Valentina: “In sogno mi fa paura il serpente. Non è molto lungo ma ha gli occhi che fanno<br />
paura, blu e rossi al centro. Ha una lingua biforcuta di colore rosso... Cerca sempre di<br />
mordermi, combatte contro di me per uccidermi, fa un dolore insopportabile”.<br />
Andrea: “... esco dal buco di un albero, in un cimitero buio e oscuro. Poi esce una testa senza<br />
corpo, è una testa malvagia, senza un occhio e piena di cicatrici. Ha un chiodo conficcato<br />
in mezzo. Poi viene fuori un corpo con l’ascia in mano, tutta sporca di sangue... Prende la<br />
testa in mano e mi lega ad un palo, mi taglia la testa con l’ascia e la mette sul suo corpo al<br />
posto di quella sua...”.<br />
AUTRICE<br />
Tassan Viol Teresa - docente di scuola elementare - laureata in Pedagogia. Insegna matematica, scienze, geografia ed educazione<br />
motoria<br />
145
Sentieri di ombre e di luce<br />
Giacomo: “Vado per strada in bicicletta e ad un tratto, tutto si trasforma in un boscolabirinto...<br />
Si chiude l’entrata da dove sono passato, gli alberi si svegliano e cominciano a<br />
rincorrermi. Mi prendono e mi tirano per le braccia, per le gambe e per la testa e me le<br />
staccano. Dopo le buttano in una buca e ricoprono tutto... I mostri mi fanno paura<br />
soprattutto quando stanno per scompormi in tanti pezzi”.<br />
Enrico: “Il mio incubo mi porta nella foresta degli alberi viventi che mi vogliono<br />
catturare... gli alberi hanno le mani con cinque dita proprio come noi, hanno una bocca<br />
grandissima e profonda come un pozzo perdente, con molti denti aguzzi e taglienti da<br />
tranciare un cavo elettrico, <strong>delle</strong> radici molto sporgenti e grosse per far cadere le persone che<br />
passano, poi con le loro braccia allungabili le catturano, le imprigionano, le torturano e, se<br />
non collaborano, le uccidono. Hanno anche grossi occhi, dei rami apparentemente pochi e<br />
corti che poi si trasformano, da pochi e corti a tanti e lunghi. Gli alberi possono mutarsi come<br />
e quando fa loro comodo, in avanti, indietro, a destra, a sinistra, in alto, in basso... Mi<br />
fanno paura soprattutto i loro denti perché sono molto taglienti”.<br />
Marco: “... La casa del sogno era molto grande, non finiva più, allora correvo, ma non<br />
finiva. C’era una stanza dietro l’altra; in ogni stanza c’erano un divano, una TV, una<br />
scrivania, dei mobili e qualche volta una scala normale per passare da una stanza all’altra,<br />
oppure una scala a chiocciola.<br />
In una stanza c’era la cucina, con un tavolo, un forno che occupava metà stanza; c’erano<br />
persino stufette molto piccole che, se le lasciavi accese per tanto tempo, sembrava di essere in<br />
estate. Non c’erano finestre, quasi nessuna, e sembrava di essere in un sotterraneo”.<br />
Sono alcuni stralci <strong>delle</strong> rappresentazioni verbali dei sogni dei bambini, evocati anche<br />
attraverso altri codici: il disegno, il racconto orale, ecc.<br />
Sono chiare e riconoscibili nei sogni dei bambini le tracce di un sadismo legato alle<br />
angosce della fase orale (masticare, mordere, strappare, fare a pezzi...) e della fase anale<br />
(tagliare, pugnalare, bruciare, ...).<br />
Raccontare, verbalizzare, rappresentare attraverso il disegno e la parola queste angosce<br />
del bambino consente di attivare quel meccanismo fondamentale che è la “proiezione”,<br />
e di espellere quindi fuori di sé quei non-pensieri verso un contenitore rassicurante e<br />
inglobante che provvede non a gettarli via, ma a farli rientrare sotto forma di pensiero.<br />
È evidente il ruolo enorme giocato dalla FANTASIA, in grado di incanalare e sublimare<br />
il flusso di energia liberato con l’intervento dei meccanismi di difesa. E se l’angoscia<br />
genera creatività, la fantasia dà vita all’alfabeto del PENSIERO MAGICO O<br />
IMMAGINARIO, tappa irrinunciabile nella formazione del pensiero del bambino.<br />
Su questo parametro si colloca anche il lavoro svolto con gli alunni inerente alla<br />
proposizione <strong>delle</strong> fiabe classiche, con i loro personaggi e i loro luoghi incantati, rivisitati<br />
dai bambini secondo l’obiettivo di associare le figure <strong>delle</strong> favole con le proprie emozioni,<br />
di associare i vari personaggi esterni con i personaggi del proprio mondo interiore.<br />
Abbiamo così incontrato Biancaneve, Cappuccetto Rosso, Pollicino, Hansel e Gretel,<br />
l’orco del fagiolo magico e tante altre storie.<br />
In particolare, con la proposizione della fiaba di Italo Calvino “Giovannino senza paura”<br />
che, non avendo paura di niente, alla fine muore per la paura della sua ombra, si è andati<br />
ad esplorare quel mondo sotterraneo che muove dal reale portandosi dietro mille PAURE<br />
che si fanno ansia, incertezza, minaccia di essere annullati, di diventare indeterminati,<br />
fobia e angoscia di perdersi e richiamano perciò come necessità irrinunciabile la censura<br />
e l’accettazione del limite.<br />
Sono interessanti, a questo proposito, le risposte fornite dai bambini alle tre domande<br />
proposte per interpretare il comportamento di Giovannino.<br />
146<br />
Shannon<br />
Andrea<br />
Isabella<br />
Enrico<br />
Ilaria<br />
Livia<br />
Giacomo<br />
Vanessa<br />
Giovannino, per non<br />
avere paura...<br />
Beve un bicchiere di vino<br />
e morde la salsiccia.<br />
Beve, mangia, fischietta e<br />
dice sempre: “Vai avanti<br />
tu”.<br />
Mangia salsiccia, beve<br />
vino e resta sveglio tutta la<br />
notte a fare la guardia.<br />
Fischia, beve, mangia<br />
salsiccia.<br />
Fa l’indifferente,<br />
mangia e beve.<br />
Cerca di non farsi<br />
incastrare dall’omone e lo<br />
manda avnti e si rifiuta<br />
di fare quello che gli dice.<br />
Invece fuori dal palazzo<br />
girava il mondo.<br />
Risponde tranquillamente,<br />
proprio senza paura.<br />
Dice sempre - “Fai tu - al<br />
mostro caduto a pezzi.<br />
Giovannino non ha<br />
paura perché...<br />
Tiene sempre con sè una<br />
bottiglia di vino e una<br />
salsiccia.<br />
Non bada l’omone, come<br />
se fosse finto, solo frutto<br />
della sua immaginazione.<br />
Ha la lampada per illuminare<br />
la strada e manda<br />
avanti a sè il mostro.<br />
Vuole passare la notte<br />
in santa pace e non gli<br />
importa quello che<br />
succede nel palazzo.<br />
Segue il mostro,<br />
strafregandosene.<br />
Sentieri di ombre e di luce<br />
Giovannino senza<br />
paura, alla fine muore<br />
di paura perché...<br />
Non ha fatto in tempo a<br />
bere il vino e a mettere<br />
in bocca la salsiccia...<br />
Vedendo la sua ombra,<br />
crede di essere lui da<br />
morto.<br />
Nell’ombra si vede altissimo<br />
con gambe lunghe, braccia<br />
carnose, tutto malmesso.<br />
Il locandiere gli aveva<br />
detto che in quel palazzo<br />
erano morte molte persone<br />
e lui scambia la sua<br />
ombra per un cadavere:<br />
era impreparato a vedere<br />
un morto così<br />
all’improvviso.<br />
È coraggioso. Pensa che sia un<br />
fantasma.<br />
È coraggioso, nonostante<br />
gli avvertimenti dell’oste<br />
e anche quando l’omone<br />
cade a pezzi.<br />
Si sente sicuro perché non<br />
sa quello cui va incontro.<br />
È molto coraggioso e non<br />
ha paura di niente.<br />
Diventato ricco, si<br />
trascura e finisce<br />
malridotto. La sua ombra<br />
è come uno specchio: si<br />
vede, si accorge di come è<br />
diventato, si spaventa e<br />
muore.<br />
Nella sua ombra vede<br />
l’uomo che lui ha ucciso<br />
con le parole, costringendolo<br />
a scomporsi, per aver<br />
risposto con coraggio.<br />
Non ha visto bene e non<br />
ha riconosciuto la sua<br />
ombra sul muro del<br />
palazzo; l’ha scambiata<br />
per un fantasma.<br />
147
Sentieri di ombre e di luce<br />
Marta<br />
Amanda<br />
Marco<br />
Sara<br />
Claudio<br />
Valentina<br />
Carlo<br />
Prima fischia e mangia<br />
la sua salsiccia poi, nella<br />
seconda parte, dà botta e<br />
risposta all’omone.<br />
148<br />
È abituato a queste cose e<br />
sa come fermare la paura:<br />
è orgoglioso di essere così.<br />
Forse si prepara?<br />
Dice: “Prima tu, fallo tu”. Mangia, beve, fischietta e<br />
sta dietro.<br />
Dice all’omone: “Vai tu,<br />
fai tu”.<br />
Beve il vino, addenta la<br />
salsiccia, fischietta, dice<br />
indifferente: “Alla salute”.<br />
Mastica salsiccia, beve<br />
vino, fischietta. Nel sotterraneo<br />
fa stare avanti<br />
l’omone e gli dice sempre:<br />
“Fallo tu”.<br />
Mangia, beve e fa finta<br />
di niente, fa andare<br />
avanti l’altro per evitare<br />
trabocchetti.<br />
Invece di vedere quello che<br />
succede attorno a sè, pensa<br />
ad altro come mangiare<br />
salsiccia e bere vino.<br />
Pensa di vivere in un<br />
sogno.<br />
È nato così, non perché ha<br />
imparato a non averla<br />
nel corso del tempo.<br />
I suoi genitori gli hanno<br />
spiegato come comportarsi<br />
davanti a fatti che<br />
fanno paura.<br />
Quando era piccolo, i suoi<br />
genitori lo hanno educato<br />
così, a non aver paura;<br />
oppure è propio nato così,<br />
senza paura.<br />
Ha girato il mondo e<br />
conosce quai tutti gli<br />
esemplari umani che<br />
esistono.<br />
È stato preso all’improvviso,<br />
forse si era rilassato<br />
un attimo, forse quel<br />
giorno non era preparato.<br />
Nell’ombra ha visto<br />
quell’uomo che tornava<br />
per vendicarsi per aver<br />
rotto l’incantesimo.<br />
Ha affrontato cose ben<br />
più paurose di una cosa<br />
che non esiste.<br />
Non ha mai visto la sua<br />
ombra.<br />
Non si era mai visto e il<br />
suo corpo gli faceva una<br />
paura tale da morire.<br />
Diventato ricco, pensava<br />
solo ai soldi e si era dimenticato<br />
come si fa ad<br />
affrontare la paura. Si è<br />
girato di scatto e ha visto<br />
la sua ombra a forma di<br />
diavolo: ha preso uno spavento<br />
da morire.<br />
Abituato a non avere<br />
paura per motivi grossi,<br />
non era abituato a non<br />
prendere paura per motivi<br />
piccoli; finisce per crepare<br />
per la sua ombra, un<br />
motivo piccino piccino.<br />
Pensa che la sua ombra<br />
sia un esemplare umano<br />
sconosciuto per lui.<br />
Sentieri di ombre e di luce<br />
Le risposte alla prima domanda (“Cosa fa Giovannino per non aver paura?”) risultano<br />
molto legate al contesto della fiaba, con una netta prevalenza del senso di sicurezza che<br />
deriva a Giovannino dal fatto di mangiare e bere (avidità orale) e dal proiettare fuori da<br />
sé le cause del conflitto (dice sempre: vai tu, fallo tu, passa tu...).<br />
Le risposte alla seconda domanda (“Perché, secondo te, Giovannino non ha paura?”)<br />
sono piuttosto variegate:<br />
• perché è coraggioso<br />
• perché ha la luce<br />
• perché conosce il mondo e gli uomini (ha la conoscenza, ha il pensiero)<br />
• perché pensa di vivere in un sogno (difesa: fuga dalla realtà)<br />
• perché ha vino e salsiccia (ancora l’oralità)<br />
• perché è stato educato così (inibizione: accettazione della regola)<br />
• ...<br />
Le risposte alla terza domanda (“Perché, secondo te, Giovannino senza paura alla fine<br />
muore di paura?”) sono veramente interessanti:<br />
• perché non ha fatto in tempo a mangiare e bere<br />
• perché l’ombra è irriconoscibile, l’ignoto<br />
• perché pensa sia un fantasma<br />
• perché pensa sia un morto<br />
• perché l’ombra è uno specchio e lui non si riconosce<br />
• perché torna l’omone che si era scomposto in tanti pezzi<br />
• ...<br />
Dunque, la paura di ciò che è ignoto, del fantasma, della morte, del sè ucciso, dello<br />
specchio, di ciò che si scompone e va a pezzi: tornano vocaboli di un sillabario già<br />
visitato, di un mondo <strong>delle</strong> ombre che chiede di esprimersi attraverso le cifre del<br />
PENSIERO SI<strong>MB</strong>OLICO.<br />
Dal lavoro sulla paura, la paura evocata in Giovannino dalla sua ombra, si è approfondita<br />
la tematica avviata proponendo alla classe un’attività di brainstorming sulla parola<br />
O<strong>MB</strong>RA e un successivo momento individuale per la definizione della stessa parola<br />
“ombra”.<br />
I bambini hanno così dato vita ad un’esplosione di parole in libertà che sono state dapprima<br />
scritte su un cartellone in modo immediato e disordinato, senza regola alcuna;<br />
successivamente sono state classificate secondo categorie scelte e definite dai ragazzi stessi.<br />
149
Sentieri di ombre e di luce<br />
Brainstorming - classificazione sulla parola O<strong>MB</strong>RA<br />
le qualità le sensazioni l’angoscia<br />
eterna paura fantasma<br />
immortale brivido mostro<br />
ossessiva vertigine killer<br />
ossessionante incubo shock<br />
nottambula timore ululo<br />
informe affanno<br />
ansimante impressione la realtà<br />
temibile spavento tenebre<br />
impalpabile tristezza nero<br />
impersonale senza-respiro oscuro<br />
personale pelle d’oca oscurità<br />
orribile ansia crepuscolo<br />
senza-volto incertezza buio<br />
non ti molla mai insicurezza freddo<br />
tremula tramonto<br />
fioca oltre la realtà nuvole<br />
inanimata ignoto silenzio<br />
astratta morte notte<br />
tenebrosa aldilà fresco<br />
terribile mistero riflesso<br />
allucinante fantasia<br />
Come si può notare, l’insieme definito “le qualità” è forse più interessante dal punto di<br />
vista lessicale e più scontato per un’analisi psicologica.<br />
Il secondo, chiamato dai ragazzi “le sensazioni”, è stato da loro considerato quasi evocato<br />
dalla parola chiave “paura”, con tutto quello che ne discende.<br />
L’insieme denominato “l’angoscia” si origina da “fantasma”.<br />
Le parole sistemate nella categoria detta “la realtà” prendono forza da “tenebre”. Quelle<br />
classificate “oltre la realtà” sono tutte parole forti, di grande significato interiore.<br />
Non meno interessanti, dal nostro punto di vista, sono le definizioni date dai ragazzi<br />
come riflessione personale:<br />
Per me l’ombra è...<br />
❑ il buio della notte che mi fa paura;<br />
❑ una cosa che incute paura a tutti;<br />
❑ segno di tristezza;<br />
❑ é una cosa buia e paurosa che fa pensare alla morte e all’aldilà, perché è inanimata;<br />
❑ una cosa che ti rende insicura su chi sei e dove ti trovi;<br />
❑ un fantasma fastidioso e vorrei che se ne andasse, ma non sempre;<br />
❑ una cosa buia che ti segue e ti fa paura;<br />
❑ una cosa misteriosa senza volto, ma non ti può far del male;<br />
150<br />
❑ un fantasma assetato di morte, con un’anima opaca e scura;<br />
❑ è misteriosa, viene e va, sparisce e ritorna;<br />
❑ una cosa triste che ti perseguita sempre;<br />
❑ una cosa di cui non ti puoi fidare, perché anch’essa non è sicura di sè;<br />
❑ se c’è ombra non puoi distinguere le cose, io sono incerto e non so dove andare, sono<br />
ansimante e mi sento perso nel buio.<br />
Quali sono dunque le ombre che popolano il buio mondo fantasmatico dei bambini?<br />
A cosa rimandano i neri fantasmi dell’animo infantile?<br />
Come si può notare dai lavori, l’ombra conduce direttamente all’altro da sè, al lato<br />
oscuro, a colui che è senza volto e senza nome, che non è ancora nato alla luce e<br />
al mondo.<br />
Se nell’immaginario di ciascuno, nascere significa uscire dal buio, muovere dall’ombra e<br />
uscire aprendosi al paesaggio esterno dove c’è luce e c’è vita, allora la nascita contiene<br />
un’angoscia primordiale: essere gettati nel mondo e dover imparare a cadere, per rialzarsi<br />
e porsi in posizione eretta.<br />
Il percorso è dalla DIFFERENZA alla INTEGRAZIONE e ripropone l’eterno dualismo:<br />
inconscio - conscio<br />
disordine - ordine<br />
ignoto - certo<br />
altro da sè - sè<br />
morte - vita<br />
tenebre - luce<br />
ma anche<br />
maschio - femmina<br />
padre - madre<br />
io maschile - io femminile<br />
Sentieri di ombre e di luce<br />
Forse per questa esigenza di integrazione e unità, che si costruisce attraverso l’affermazione<br />
della differenza, gli alunni della mia classe hanno proposto di ripetere l’itinerario<br />
svolto nell’esplorazione del mondo evocato dall’ombra, anche per ciò che loro hanno<br />
considerato come opposto all’ombra: la LUCE.<br />
151
Sentieri di ombre e di luce<br />
Brain storming - classificazione sulla parola LUCE<br />
152<br />
le qualità i sentimenti la realtà<br />
brillante vita sole<br />
abbagliante amore cielo<br />
impalpabile libertà acqua<br />
astratta sicurezza rugiada<br />
accecante allegria arcobaleno<br />
luminosa felicità calore<br />
lucente gioia caldo<br />
avvolgente contentezza giorno<br />
vivace energia chiaro<br />
polverosa accoglienza alba<br />
instabile verità aurora<br />
intermittente chiarezza mattina<br />
visibile splendore riflesso<br />
trasparente limpidezza occhi<br />
eterna serenità vista<br />
celeste certezza<br />
terrestre<br />
accesa<br />
spenta la fantasia<br />
abbronzante sogno<br />
solare voce<br />
incontro<br />
desiderio<br />
sinfonia<br />
paradiso<br />
Va subito notato come, laddove prima si definiva la categoria <strong>delle</strong> “sensazioni”, ora troviamo<br />
l’insieme “i sentimenti”, in testa a questi, i ragazzi hanno scelto di porre la parola “vita”, ma<br />
tutte le altre che seguono sono parole forti, che chiamano potentemente al confronto.<br />
Nell’insieme “la realtà”, dove prima stava “tenebre”, ora c’è “sole”, sole che illumina<br />
e segna la strada; troviamo infatti anche “occhi” e “vista”.<br />
E che dire <strong>delle</strong> parole classificate sotto il termine “la fantasia”? Ogni vocabolo di questa<br />
categoria merita una riflessione, per la potente carica simbolica che contiene:<br />
• “sogno” : il reale che rimanda all’irreale<br />
• “voce” : ciò che consente di chiamare per nome, di dare nome e identità<br />
• “incontro” : l’io e gli altri, l’io e il mondo esterno<br />
• “desiderio” : prima tappa della vita psichica<br />
• “sinfonia” : molti strumenti, un solo canto; dalla separazione all’unità<br />
• “paradiso” : dalla colpa alla conciliazione, l’armonia.<br />
Anche nelle definizioni brevi, si ripropongono simboli assai significativi:<br />
Per me, la luce è...<br />
❏ una vita che nasce;<br />
Sentieri di ombre e di luce<br />
❏ una fonte preziosa che dà vita, calore e felicità;<br />
❏ è motivo di sicurezza per sapere dove vado;<br />
❏ una cosa chiara, limpida, che mi fa stare tranquillo;<br />
❏ una cosa vivente che non ti lascia mai;<br />
❏ una cosa luminosa che segna il cammino, ma è fastidiosa quando è abbagliante;<br />
❏ una cosa che ti dà felicità e desiderio di volare;<br />
❏ una cosa indispensabile per la vita;<br />
❏ motivo di felicità che avvolge il mondo in un manto limpido e colorato;<br />
❏ è vita, armonia, felicità;<br />
❏ è una cosa colorata che ravviva e fa sentire felici;<br />
❏ ti fa venire in mente cose belle. La luce non finisce mai;<br />
❏ è fresca. Nella luce mi sento sicuro e contento. Mi sento vivo;<br />
❏ è armonia, voglia di cantare<br />
Come non tradurre questa potente apertura alla vita, alla certezza, all’armonia con il<br />
processo di costruzione dell’io, che accetta e accoglie l’immagine di sé, integrando i suoi<br />
vissuti in una unità che si fa continuamente, per accogliere il nuovo e il diverso e si fa “io<br />
cosciente”, perché si riconosce nel processo e nella relazione con sé, con gli altri, con il<br />
mondo. Da questa formidabile sintesi si costruisce l’IDENTITA’, come processo che<br />
continua e mette senza sosta in rapporto i tre registri, magico simbolico e reale, che<br />
consentono al bambino di nascere al pensiero e anche alla vita.<br />
Il pensiero è facoltà di ragionare, riflettere, ricordare, conoscere, immaginare, fantasticare,<br />
fare ipotesi, introdurre sapere, partecipare alla vita <strong>delle</strong> cose, pensare se stessi,<br />
pensare il mondo.<br />
Il pensiero è vita.<br />
CONCLUSIONE<br />
Questo è stato il lavoro svolto in classe. Esso appare ora, con la consapevolezza raggiunta,<br />
di particolare significato.<br />
Nello svolgersi dell’attività sperimentale ho potuto contare su 15 ragazzi di 10, 11 anni<br />
che si sono aperti con disponibilità e generosità, curiosi di indagare e di tirare fuori da sè,<br />
per poi introdurli nuovamente in forma diversa, gli elementi di un sapere a volte<br />
razionale, ma più spesso non-mediato e fantastico. Aver offerto loro strumenti e codici<br />
comunicativi, talvolta trascurati nella didattica quotidiana che fa i conti con implacabili<br />
tappe del programma da svolgere, è stata una esperienza formativa innanzitutto per me<br />
come insegnante.<br />
Anch’io ho potuto, in certo modo, “nascere al pensiero”, facendo superare la soglia della<br />
coscienza a un progetto formativo sicuramente già presente, per una sorta di istinto<br />
professionale, ma vissuto in questo caso con intenzionalità e più chiarezza di obiettivi:<br />
evitare frammentazioni, realizzare unità. L’augurio è di esserci riuscita.<br />
153
Sentieri di ombre e di luce<br />
154<br />
Scuola Elementare C. Collodi<br />
I Circolo di Pordenone<br />
Le bocche che mangiano<br />
Mirella Trevisiol - Marilena Quaia
Le bocche che mangiano*<br />
Motivazioni e struttura del corso<br />
Le motivazioni per le quali ho deciso di partecipare al corso di formazione: “La sessualità<br />
infantile e l’arte della fiaba” sono state essenzialmente tre.<br />
Innanzi tutto il desiderio di approfondire un argomento, come l’aspetto della sessualità<br />
infantile, sul quale quasi nessuno si era fatto carico, in precedenza, di formare gli<br />
insegnanti, come se la sessualità fosse un aspetto della personalità che avrebbe dovuto<br />
essere affrontato da “esperti”, o del quale era bene non parlare a scuola.<br />
In secondo luogo la possibilità di prendere coscienza del ruolo che via via l’insegnante<br />
assume all’interno di una “comunità educante”, nella quale la rete <strong>delle</strong> relazioni che si<br />
instaurano può determinare, a volte, il successo o l’insuccesso scolastico.<br />
Infine la volontà di riflettere sul percorso da me attuato come donna, come madre e nello<br />
specifico come insegnante.<br />
Il corso prevedeva due fasi da svolgersi contemporaneamente: la fase teorica, nella quale<br />
venivano forniti strumenti di conoscenza sulle tappe evolutive e sullo sviluppo psico -<br />
sessuale della prima e seconda infanzia, e una fase sperimentale, nella quale attraverso gli<br />
strumenti della fiaba e della tecnica immaginativa, veniva favorita l’espressione della<br />
personalità del bambino in situazione ludica e di gruppo, offrendogli la possibilità di<br />
esternare, con la complicità “legalizzante” dell’insegnante, anche le emozioni più forti,<br />
quelle che stanno tra il detto e il non detto, tra la rimozione e la censura, per aiutarlo a<br />
trasformarle in stati mentali più consapevoli.<br />
Infine, nel momento della supervisione veniva offerta all’insegnante la possibilità di<br />
“leggere” le produzioni dei bambini anche in chiave psico - sessuale.<br />
Le mie aspettative e i contenuti del coso erano, quindi, tali da far ipotizzare una<br />
compenetrazione <strong>delle</strong> une con gli altri.<br />
1 a parte<br />
Le bocche che mangiano<br />
Presentazione. chi sono - d’onde vengo - dove vado - chi sono i miei compagni<br />
di viaggio.<br />
Sono un’insegnante elementare e, dopo i primi anni d’insegnamento sofferti e non<br />
appaganti, in cui cercavo di “insegnare” ciò che sapevo e ciò che mi era stato insegnato,<br />
ho iniziato un percorso di ricerca su come i bambini apprendono; quando si può parlare<br />
*LE AUTRICI<br />
Quaia Marilena - docente di scuola elementare - ha conseguito la specializzazione polivalente. È insegnante di sostegno<br />
Trevisiol Mirella - docente di scuola elementare - insegna matematica, scienze, religione, educazione motoria<br />
157
Le bocche che mangiano<br />
di vero apprendimento; quali strategie usano. E ancora, quali emozioni bisogna<br />
sollecitare, mantenere, controllare, affinché ci sia “un buon nutrimento” che, procurando<br />
gusto e piacere, alimenti il desiderio d’impossessarsi anche dei segreti più reconditi della<br />
conoscenza. Quale relazionalità affettiva promuovere all’interno della classe per favorire<br />
la presa di coscienza di sé e dell’altro come entità uniche ed irripetibili, ma non<br />
necessariamente contrapposte?<br />
Quale atteggiamento tenere nei confronti dei soggetti coinvolti nell’apprendimento?<br />
È iniziato così il mio secondo viaggio sui banchi della scuola - e devo dire che mi è<br />
piaciuto più del primo - mi ha coinvolta totalmente, mi ha fatto assaporare la gioia di<br />
imparare ad apprendere e mi ha rimandato continuamente ad un ascolto dell’io profondo<br />
ed a tutto ciò che da sempre è depositato nel nostro mondo interiore.<br />
Da qui è nata la convinzione che è più importante “far uscire” ciò che sta già dentro ai<br />
bambini per dargli forma, piuttosto che continuare a mettere dentro concetti e nozioni, anche<br />
ben strutturati, ma poco rispondenti, in quel momento, alle loro reali esigenze, se non<br />
addirittura in netto contrasto con un loro “ordine interiore”. A poco a poco, il mio ruolo di<br />
insegnante come depositario del sapere e della verità ha perso significato ed è stato sostituito<br />
da quello dell’insegnante che sempre più si pone in atteggiamento di ascolto dell’altro, ne<br />
interpreta i bisogni, li rende espliciti e aiuta a comprenderne il significato.<br />
Miei compagni di viaggio sono stati “generazioni cicliche” di alunni, fino ai 13 di classe<br />
seconda, di età compresa tra sette e otto anni, con i quali ho condiviso quest’ultima esperienza.<br />
Ciò che li accomuna in ogni tempo e in ogni luogo è un agire spesso istintivo e poco<br />
controllato: sono, il più <strong>delle</strong> volte, emozioni forti, quali la rabbia, l’aggressività, la gelosia,<br />
espresse sia a livello verbale che mimico - gestuale. È frequente che l’amicizia venga intesa come<br />
possesso esclusivo dell’oggetto amato: in questo caso l’amico non può essere “diviso” con un<br />
altro, non può rivolgere ad altri le sue attenzioni senza incorrere in “sanzioni punitive”.<br />
Come condurre allora gli alunni a prendere coscienza di quel loro mondo istintivo,<br />
affettivo ed emotivo? Come evitare la scissione tra mondo affettivo e mondo cognitivo?<br />
Come conciliare la presenza di più figure all’interno della scuola e, a volte, l’eccessiva<br />
frammentarietà specialistica con la cultura dell’unità?<br />
La parte sperimentale del corso ha fornito risposte più o meno esaurienti a queste<br />
domande; inoltre, le modalità di lavoro utilizzate, hanno permesso all’insegnante di<br />
valorizzare la fase dell’ascolto e agli alunni di esprimere le loro emozioni, sia attraverso il<br />
linguaggio verbale che non verbale, di confrontarsi con l’assenso e il dissenso dell’altro,<br />
di superare la paura di raccontarsi e di farsi scoprire.<br />
158<br />
2 a parte<br />
Questa esperienza è stata attuata in una classe seconda composta da tredici alunni.<br />
Condizione indispensabile per l’attuazione è stata l’adesione al progetto di due<br />
insegnanti del modulo; in questo caso una di matematica e scienze, l’altra di sostegno.<br />
Molte attività, infatti, erano di tipo orale e le verbalizzazioni dei bambini necessitavano<br />
di essere annotate da un’insegnante seduta stante, mentre l’altra svolgeva il ruolo di<br />
conduttrice. Il fatto di trascrivere le verbalizzazioni dei bambini e di registrarle<br />
permetteva, successivamente, alle insegnanti un’analisi sul tipo di risposte date e<br />
l’individuazione del filo conduttore, che avrebbe dovuto legare tra loro, in modo<br />
consequenziale, le varie attività proposte.<br />
Le fiabe sono state lo sfondo sul quale abbiamo impostato la prima parte del nostro<br />
lavoro. La seconda parte è stata centrata sui sogni dei bambini e la terza parte su<br />
un’immagine ricorrente nelle fiabe e nei sogni che è “l’essere divorati”. Da qui alle<br />
bocche che mangiano il passo è stato breve.<br />
Sono state utilizzate le seguenti fiabe: “Cappuccetto Rosso”, “Hansel e Gretel”, “I<br />
musicanti di Brema”, “Raperonzola”, “Il lupo e i sette capretti” (da “Grimm Fiabe”,<br />
scelte e presentate da Italo Calvino, Ed. Einaudi) e “Il bambino nel sacco” e “Giovannin<br />
Senza Paura” (da “Fiabe Italiane” raccolte da Italo Calvino, Ed. Einaudi).<br />
Modalità di lavoro, rispetto al percorso attivato per le fiabe.<br />
❏ Lettura della fiaba da parte dell’insegnante, con possibilità di interromperla ogni<br />
volta che ne veniva fatta richiesta da parte dei bambini, per interventi sul testo o<br />
precisazioni;<br />
❏ Socializzazione rispetto ai personaggi e all’ambiente in cui si svolge la vicenda, con<br />
raccolta di dati visivi, uditivi, di movimento;<br />
❏ Rappresentazione grafico - pittorica dei personaggi <strong>delle</strong> fiabe e loro ambientazione,<br />
servendosi dei dati raccolti.<br />
❏ Verbalizzazione <strong>delle</strong> emozioni che la fiaba aveva suscitato in ciascuno;<br />
❏ Ricerca di modalità per esprimere e quindi comunicare le emozioni provate attraverso<br />
il colore, la libera espressione del corpo, la riproduzione di suoni e rumori con<br />
strumenti occasionali;<br />
❏ Compilazione di un questionario del tipo:<br />
• Quali sono i personaggi cattivi <strong>delle</strong> fiabe?<br />
• Quali sono gli animali che ti fanno più paura?<br />
• Che cosa fa la strega nelle fiabe?<br />
• Che cosa fa l’orco?<br />
• Che cosa fa il lupo mannaro?<br />
• Quali sono gli animali più cattivi?<br />
❏ Raccolta, selezione e tabulazione dei dati, contenuti nei questionari, su cartelloni<br />
murali.<br />
Ciò che è emerso si può così sintetizzare: tra i personaggi più cattivi ci sono i mostri, i<br />
fantasmi, le streghe, le matrigne, i draghi.<br />
Gli animali che più spaventano sono: i lupi, i draghi, i leoni, le tigri e i gatti feroci.<br />
Le azioni di una strega si concretizzano attraverso: maledizioni, stregonerie, magie,<br />
preparazione di filtri e veleni, cattiverie e voli su scope.<br />
L’orco, invece, si dedica alla caccia dei bambini che prende in ostaggio e poi mangia.<br />
Il lupo mannaro mangia sia bambini, che pecore.<br />
Tra gli animali più cattivi ci sono: tigri, lupi, leoni, serpenti e dinosauri.<br />
L’emozione più forte che ha accompagnato il lavoro sulla fiaba è stata certamente la<br />
paura nelle sue varie manifestazioni. Il fatto di poterla esternare, attraverso li disegno, la<br />
mimica, il confronto con l’altro ha permesso di “sconfiggerla” in modo divertente e in<br />
compagnia, esorcizzandola con l’umorismo e l’ironia.<br />
Modalità di lavoro per quanto riguarda i sogni.<br />
Attraverso una serie di domande è stato chiesto ai bambini:<br />
• Che cosa ti fa venire in mente la parola sogno?<br />
Le bocche che mangiano<br />
159
Le bocche che mangiano<br />
• Ricordi i tuoi sogni?<br />
• Come fai a sapere che sogni?<br />
• Quali sono i personaggi che sogni?<br />
• Quali sono gli animali che sogni?<br />
• Quali sono i personaggi di cui hai più paura?<br />
• Racconta un tuo sogno.<br />
Ogni alunno forniva la sua risposta, che un’insegnante annotava di volta in volta. Alla<br />
fine, su un cartellone murale, venivano trascritte le risposte relative ad ogni domanda,<br />
togliendo i doppioni.<br />
I risultati si possono così sintetizzare.<br />
La parola sogno evoca queste associazioni: pericolo, avventura, spazi immensi, bosco,<br />
castello, giungla, fattoria, animali cuccioli, una cosa immaginaria.<br />
Non tutti ricordano i loro sogni, alcuni asseriscono di non ricordarli affatto.<br />
Forniscono poi le seguenti spiegazioni rispetto al “come “ fanno a saper che sognano:<br />
“… perché, se vado a dormire, dopo lo capisco che è un sogno.”;<br />
“… perché dopo mi sveglio.”;<br />
“… perché mi ricordo sempre l’ultima parte perché è sempre quella che è più interessante.”;<br />
“ …perché non mi possono vedere e sono a letto, non mi posso trovare in un altro posto.”;<br />
“apro gli occhi quando sono in un brutto sogno e mi trovo nel mio letto.”;<br />
“perché dopo il sogno mi sveglio.”;<br />
“perché non è la stessa cosa della realtà.”;<br />
“perché dopo mi sono ritrovato a letto.”.<br />
Tra i personaggi dei sogni ci sono: mostri, pirati, fantasmi, alcuni parenti, animali più o<br />
meno feroci.<br />
Tra gli animali ci sono: il lupo, il leone, i pipistrelli, i dinosauri, i barracuda, i serpenti, i<br />
cavalli e i gatti.<br />
Tra i personaggi che più incutono paura possiamo ricordare: draghi, barracuda, squali,<br />
mostri, cani, lupi, pirati, alieni, dinosauri, carnivori, coccodrilli, gatti feroci, pipistrelli…<br />
Infine ogni alunno è stato invitato a raccontare un suo sogno; durante il racconto ognuno<br />
dei presenti poteva interromperlo, se riteneva opportuno avere ulteriori chiarimenti.<br />
Qui di seguito vengono forniti alcuni racconti di sogni.<br />
“Ero in una città, in un museo vuoto. C’era solo una navicella spaziale che non sapevo come<br />
si metteva in moto. Per sbaglio ho toccato una leva e mi sono ritrovato in una giungla e la<br />
navicella era sparita. Non avevo gli stessi abiti del museo, ma erano cambiati: avevo indosso<br />
una pelle di animale come i vestiti degli Antenati. Ricerco la navicella per tornare e<br />
correndo, correndo ho trovato una piramide con una porticina dove dentro c’erano solo<br />
meccanismi; ne ho toccato uno sporco d’olio e dietro la piramide ho trovato la navicella. Sono<br />
tornato, mi sono svegliato e mi sono toccato i vestiti per vedere se erano quelli del sogno.”.<br />
“Ero andato con una navicella spaziale in un pianeta con i dinosauri. Uno ha ruggito, io<br />
ho avuto paura perché mi avevano lasciato solo; io sono scappato, ma mi ha mangiato ed io<br />
mi sono svegliato.”.<br />
160<br />
“Ero seduto su una specie di letto piccolo dove stavo stretto, allora mi sono alzato, mi sono<br />
affacciato alla finestra ed ho visto due cose bianche e sono stato rapito da una specie di luce<br />
e quando mi sono reso conto dov’ero: in una navicella spaziale. La navicella era vuota, non<br />
c’era nessuno, e all’improvviso ha urtato contro una montagna. Allora mi sono messo a<br />
cercare in tutte le stanze della navicella e sono entrato in una dove c’era una specie di fumo<br />
che faceva piangere, mi sono svegliato e stavo piangendo per davvero.”.<br />
“Stavo dormendo quando un ladro mi voleva rapire, ho cominciato a scappare su per le scale,<br />
sono caduto, mi sono rialzato e sono arrivato in un terrazzo e mi sono buttato giù. Mi sono<br />
fatto tanto male, mi usciva sangue dal ginocchio e con l’ambulanza mi hanno portato<br />
all’ospedale e hanno preso il ladro e lo hanno portato in prigione.”.<br />
“ … c’erano i pirati sulla nave (ho guardato la bandiera con il teschio bianco e lo sfondo<br />
nero) che hanno assaltato il castello e lo hanno conquistato.” Tu c’eri? “No, ero spettatore.”.<br />
“… ero con la mia cagnetta Lilli, con suo marito e con mille cuccioli. Un giorno ne ho perso<br />
uno ma sono riuscito a trovarlo e Lilli era contenta.”.<br />
“Ho sognato che sapevo pattinare ed ero felice.”.<br />
Le bocche che mangiano<br />
“Vivevo in un albergo con tanti servitori e una volta mentre dormivo sono caduto dal letto<br />
e mi sono ritrovato in un fiume. Ho attraversato il fiume e mi sono trovato in un boschetto.<br />
Non ho letto il cartello: “Attenti agli orsi” e ne ho incontrato uno, ma sono scappato e mi<br />
sono rifugiato in un cespuglio e all’uscita dal cespuglio ho visto una città. Vi sono andato:<br />
c’erano tanti uomini di pietra ma che si muovevano: sono entrato in una casa di pietra e<br />
mi sono ritrovato a letto.”.<br />
“… ero nel Titanic, con me c’erano U., P. e R. La nave ha urtato contro un iceberg e l’acqua<br />
è entrata e tutti e tre siamo morti. Si è salvato solo R.”.<br />
“… c’erano un mostro e dei fantasmi. Il mostro mi voleva mangiare e i fantasmi mi<br />
volevano salvare. I mostri però mi hanno mangiata e i fantasmi hanno portato via tutte le<br />
mie ossa. Io ho pianto. Mi sono svegliata e mi sono toccata.”.<br />
“ … ero in una camera con la mamma e il papà. Abbiamo sentito dei rumori, siamo scesi<br />
e abbiamo aperto una porta da dove sono usciti degli uomini piccoli che, volando, con le<br />
orecchie, si sono rifugiati in tutte le stanze e c’era anche Stefano (il bidello dicono i<br />
bambini, no - dice Claire - l’amico della mamma) e uno degli extraterrestri ha conficcato<br />
un coltello sulla gola di Stefano. Poi con una magia ci hanno addormentati e ci siamo<br />
ritrovati in un letto tutto d’oro. Poi ci hanno portato la colazione e il capo degli<br />
extraterrestri voleva mangiarci ma un fantasma ci ha portato in una casa di fantasmi,<br />
dove il capo dei fantasmi voleva mandarci via ma l’altro è riuscito a farci stare e ci hanno<br />
detto che dopo dieci giorni potevamo andare via. E dopo mi sono svegliata.”.<br />
A questo punto, rivedendo ciò che era emerso durante il lavoro sulle fiabe e sui sogni,<br />
abbiamo individuato una matrice comune, fonte di profonda emozione per i bambini,<br />
che era la paura di essere divorati, distrutti,annientati…<br />
Da qui l’esigenza di spostare l’attenzione sul “mezzo” capace di compiere tale azione,<br />
cioè sulle “bocche che mangiano”.<br />
161
Le bocche che mangiano<br />
Agli alunni è stato chiesto di rappresentare attraverso il disegno la bocca che mangia e<br />
successivamente ciascuno forniva spiegazioni circa il tipo di bocca che aveva disegnato.<br />
Sono state rappresentate bocche di ogni tipo: senza denti, con denti affilati, senza cibo,<br />
piene di cibo di ogni tipo…<br />
Qui di seguito vengono riportate alcune spiegazioni circa la bocca rappresentata:<br />
“È una bocca con il rossetto. Ha due tubi: uno per l’aria e uno per il cibo. C’è anche la<br />
lingua. La bocca è piena di poltiglia.”.<br />
“La bocca è andata in cucina, ha visto tante cose buone da mangiare, ha preso forchetta e<br />
coltello, si è strafogata e si è fatta una panza tanto.”.<br />
“È una bocca pugilato. Ha i guantoni portafortuna. Ha le rotelle per correre più veloce sul<br />
ring.”.<br />
Come ultima attività è stato chiesto agli alunni di rappresentare l’animale nel quale<br />
avrebbero voluto trasformarsi e di motivare la scelta.<br />
Come si può vedere dalle motivazioni sotto esposte, alcuni hanno scelto il cane, mentre<br />
altri hanno privilegiato animali carnivori e predatori, forse in grado di difenderli dai<br />
pericoli e di “spaventare le <strong>paure</strong>”.<br />
“Cane: perché è educato e bello.”.<br />
“Cane: perché è intelligente e veloce.”.<br />
“Cane: perché è morbido e corre veloce.”.<br />
“Cane: perché non dovrei andare a scuola, potrei dormire tutto il giorno, sarei bianco e nero,<br />
potrei fare i bisogni dappertutto e mi risparmio il viaggio di andare in bagno.”.<br />
“Cane lupo: perché è veloce ed intelligente e amico dei bambini.”.<br />
“Ghepardo: perché posso avere una casa sull’albero.”.<br />
“Ghepardo: perché potrei correre più veloce e potrei stare sugli alberi.”.<br />
“Leone: perché sarei più carnivoro e anche più cattivo.”.<br />
“Tirannosauro: perché vorrei essere un animale carnivoro.”.<br />
“Toro: perché sarei forte.”.<br />
“ Aquila: perché nessuno mi può far niente nell’aria.”.<br />
162<br />
3 a parte<br />
Lettura dei contenuti in chiave psico - affettiva e psico - sessuale.<br />
Misteri, sortilegi, <strong>paure</strong>, bocche che mangiano nelle fiabe e nei sogni. (Riflessioni).<br />
Un mezzo potente ed efficace utilizzato dagli insegnanti fin dalla prima infanzia è il<br />
racconto <strong>delle</strong> fiabe. Esso ha la capacità di attirare immediatamente l’attenzione dei<br />
bambini, di coinvolgerli emotivamente e di fungere da catalizzatore rispetto ad emozioni<br />
forti che i bambini si portano dentro.<br />
In questo caso il compito dell’adulto è quello di conoscere le problematiche insite nel<br />
racconto <strong>delle</strong> fiabe, ma restare un semplice narratore, lasciando ai bambini la possibilità<br />
di avvalersi del contributo che ciascuna avrà fornito al loro processo di maturazione e di<br />
crescita.<br />
Le bocche che mangiano<br />
Le fiabe, infatti, mettono in scena, esternandoli, “i fantasmi” che abitano il teatro<br />
interiore e tra questi anche le <strong>paure</strong>:<br />
• paura come difesa da una situazione che non si sa come gestire (autodistruzione);<br />
• paura come problema da superare per definire una tappa del processo di<br />
socializzazione (conquista dell’autonomia);<br />
• paura come ansia, timore di non essere adeguati alla situazione;<br />
• paura di non rispondere alle aspettative di … (stima di sé).<br />
In questa categoria di timori, che a volte possono trasformarsi in vere e proprie fobie, un<br />
posto di primo piano spetta frequentemente al problema dell’insuccesso scolastico e alla<br />
valutazione che ne danno genitori ed insegnanti.<br />
Ognuno di noi, infatti, ad ogni età, ha una sua personale “disponibilità” alla paura che<br />
l’ambiente può, o accentuare, o ridurre, non solo agendo sulle singole <strong>paure</strong>, ma creando<br />
un clima al cui interno le <strong>paure</strong> possano, o non possano proliferare.<br />
Un cigolio misterioso, una stanza buia, l’armadio che nella penombra spalanca la bocca<br />
come un orco, di quante cose ha paura un bambino quando spegne la luce, o quando<br />
deve passare davanti ad una porta chiusa che nasconde chissà quali misteri? Ma<br />
spaventarsi qualche volta può anche essere divertente, se si è in compagnia, o se orchi,<br />
orchesse, streghe, maghi e babau sono confinati nelle pagine di un libro, o meglio ancora<br />
se possono essere “spiaccicati” sui fogli da disegno. E che dire <strong>delle</strong> fiabe di magia dove<br />
spesso il destino dei protagonisti è quello di venire divorati da lupi cattivi e altri insaziabili<br />
personaggi, oppure di essere abbandonati da genitori troppo poveri per mantenerli, o<br />
ancora di subire le angherie di una malvagia matrigna? Spesso, prima di approdare al lieto<br />
fine, eroi ed eroine affrontano prove e pericoli di ogni genere, rischiando la vita ad ogni<br />
passo, come è logico che accada in ogni viaggio iniziatico. Tra i personaggi che per<br />
consuetudine si ritengono capaci di incutere paura: draghi, giganti, mostri, gnomi, ecc,<br />
ce ne sono alcuni che hanno finito col diventare spauracchi per burla, costantemente<br />
sconfitti e ridicolizzati da creature più piccole e deboli. L’orco e il gigante divengono<br />
quindi goffe creature che non è difficile mettere nel sacco; il drago si trasforma in amico<br />
e difensore; lo gnomo dispettoso e maligno acquista i connotati di un benefico aiutante<br />
magico; e il mostro … il mostro è un malleabile jolly, con il quale ci si può identificare,<br />
che si può strapazzare e distruggere, oppure proteggere e adottare, ma che resta<br />
comunque un simbolo di diversità, capace di suscitare i sentimenti più contrastanti, di<br />
attrarre o respingere nello stesso tempo.<br />
C’è quindi la tendenza ad esorcizzare la paura con l’umorismo e l’ironia.<br />
E che dire <strong>delle</strong> streghe? Di quelle antiche e di quelle moderne? Le prime bollono<br />
bambini e chine sui pentoloni preparano filtri immondi; le seconde, spesso impegnate in<br />
inutili tentativi di esercitare qualche perfida magia, sono decisamente inclini a combinare<br />
solo pasticci.<br />
Ma se nel racconto <strong>delle</strong> fiabe il bambino è spettatore e si mette in gioco entro limiti che<br />
egli stesso stabilisce, nei sogni, invece, il più <strong>delle</strong> volte egli è il protagonista, e lì il suo<br />
mondo interiore esplode incontrollato e le <strong>paure</strong> originarie: paura di essere divorati, di<br />
essere abbandonati, di andare in pezzi, in frantumi, diventano reali.<br />
“… un leone ha ruggito, io ho avuto paura, perché mi avevano lasciato solo; sono scappato<br />
ma mi ha mangiato lo stesso.”.<br />
“… c’erano un mostro e dei fantasmi; il mostro mi voleva mangiare e i fantasmi mi<br />
volevano salvare, I mostri però mi hanno mangiata e i fantasmi hanno portato via tutte le<br />
mie ossa.”.<br />
163
Le bocche che mangiano<br />
Gli scenari più frequenti dei sogni sono: il castello, la giungla, il bosco, ma anche la<br />
fattoria e i giardini immensi. Essi sono popolati di mostri, serpenti, fantasmi, dinosauri,<br />
diavoli, alieni, extraterrestri, parenti, amici e animali più o meno feroci. Tutto questo,<br />
ancora una volta, ci riporta allo scenario <strong>delle</strong> fiabe e alle <strong>paure</strong> originarie del bambino<br />
(perdita della propria identità fisica e dell’oggetto dell’amore). Tuttavia, se l’ambiente<br />
familiare, scolastico, o sociale non è incerto e minaccioso, queste <strong>paure</strong> vengono attutite,<br />
inglobate, quindi razionalizzate con la certezza di trovarsi al risveglio nel proprio letto e<br />
al sicuro da ogni pericolo.<br />
Un ultimo cenno merita, senz’altro un’altra attività preferita da streghe e mostri: cacciare<br />
divorare bambini utilizzando le bocche divoratrici, “strafogate” di ogni sorta di cose, le<br />
bocche del forno che fagocitano e annientano, le bocche della verità che sanciscono<br />
regole e principi dividendo i buoni dai cattivi.<br />
Conclusione.<br />
Questa esperienza è stata possibile grazie anche alla collaborazione della collega di<br />
sostegno, presente nella classe per parecchie ore alla settimana, la quale ha registrato i<br />
racconti dei sogni, le domande e le risposte che i bambini si davano in merito al<br />
contenuto <strong>delle</strong> fiabe e mi ha aiutato a raccogliere ed ordinare il materiale grafico -<br />
pittorico prodotto nella fase della sperimentazione.<br />
Credo che raccontare e raccontarsi, parlare e ascoltarsi, ricordare e condividere <strong>paure</strong>,<br />
desideri, sogni sia stato appagante per tutti: grandi e piccoli.<br />
Inoltre, a distanza di qualche tempo, rileggendo i desideri dei bambini rispetto<br />
all’animale in cui volevano trasformarsi, vi ho trovato, oltre al desiderio di sicurezza, di<br />
libertà senza limiti, di amicizia, anche quello di cannibalismo e di caos: tutte valutazioni<br />
che mi erano sfuggite, o alle quali non avevo dato il giusto peso, nel momento in cui gli<br />
elaborati erano stati prodotti.<br />
Pertanto il momento dell’elaborazione personale si è dimostrato una tappa indispensabile<br />
per l’acquisizione di una maggiore consapevolezza di ciò che noi insegnanti proponiamo<br />
ai nostri alunni e di ciò che essi ci comunicano.<br />
164<br />
Scuola Elementare Dante Alighieri<br />
Pasiano<br />
L’esplorazione del corpo<br />
Tiziana De Bortoli
L’esplorazione del corpo*<br />
PICCOLA CANZONE DEI CONTRARI<br />
C’è un posto bianco e un posto nero chissà dov’è<br />
Per ogni volo di pensiero dentro di te<br />
C’è un posto alto e un posto basso chissà dov’è<br />
Per un violino e un contrabbasso dentro di te<br />
E un posto dove ci son io<br />
C’è un posto uovo e uno gallina chissà dov’è<br />
Se non sai chi sia nato prima dentro di te<br />
C’è un posto pace e un posto guerra chissà dov’è<br />
In piedi o tutti giù per terra dentro di te<br />
C’è un posto sano e uno malato chissà dov’è<br />
E che il secondo sia passato dentro di te<br />
E un posto dove ci son io<br />
Che cerco un posto tutto mio lì di fianco a te<br />
C’è un posto vino e un posto pane chissà dov’è<br />
Per quando hai sete oppure hai fame dentro di te<br />
C’è un posto verde e un posto rosso chissà dov’è<br />
Per quel che resta o quel che passa dentro di te<br />
C’è un posto vero e uno bugiardo chissà dov’è<br />
Per quando va la gatta al lardo dentro di te<br />
E un posto dove ci son io<br />
C’è un posto tutto e un posto nulla chissà dov’è<br />
Per una donna e una fanciulla dentro di te<br />
C’è un posto bello e un posto brutto chissà dov’è<br />
Non sempre si può avere tutto dentro di te<br />
C’è un posto fermo e uno animato chissà dov’è<br />
Per come il mondo è disegnato dentro di te<br />
E un posto dove ci son io<br />
Che cerco un posto tutto mio lì di fianco a te.<br />
(Musica: A. Branduardi – Testo: G. Faletti)<br />
L’esplorazione del corpo<br />
Il testo, procedendo per metafore in antitesi, elenca aspetti del nostro mondo interiore<br />
corrispondenti ai diversi modi di essere. L’autore si rivolge ad una persona, senza mai<br />
nominarla, ma essa può essere ogni persona. Sono senza dubbio le molteplici sfaccettature<br />
del carattere di un individuo adulto ad essere messe in luce con un certo ordine.<br />
* AUTRICE<br />
De Bortoli Tiziana - Docente di scuola elementare - ha conseguito la specializzazione per l’insegnamento agli alunni hanticappati.<br />
Insegna matematica, scienze e geografia.<br />
167
L’esplorazione del corpo<br />
Questo presunto ordine può essere riconosciuto in una persona adulta, mentre un bambino<br />
ha bisogno di essere guidato nel passaggio dal caos al cosmo, dal disordine all’ordine.<br />
Tutto lo sviluppo infantile procede verso l’integrazione psichica; l’intero processo<br />
evolutivo tende verso l’identità: al mondo interiore dei bambini va data una forma, un<br />
senso, e questo è possibile con l’intervento di un educatore (genitori, insegnanti…) volto<br />
a promuovere il pensiero nel bambino.<br />
Testo e musica sono stati utilizzati, all’interno del percorso progettato, per consentire al<br />
bambino di sperimentare le proprie emozioni attraverso una dinamica ludica di gruppo che<br />
fa leva sul gioco immaginativo.<br />
L’uso <strong>delle</strong> metafore e, nella situazione che verrà descritta, della specifica metafora del<br />
mangiare ha lo scopo di aiutare i bambini a riconoscere le proprie reazioni, a prendere<br />
contatto con le fantasie interne, con i fantasmi interiorizzati. L’atto del mangiare rimanda<br />
alla prima fase della sessualità, la fase orale, momento in cui si dà avvio allo sviluppo della<br />
conoscenza. Inoltre il mangiare è nutrimento, come la conoscenza, e i modi di mangiare<br />
rimandano alle modalità di assimilazione interiorizzate.<br />
L’attività pensata è stata realizzata nel tempo destinato all’educazione motoria dal momento<br />
che l’educazione attraverso il corpo è considerata una <strong>delle</strong> forme che aiutano a<br />
progredire verso la formazione globale della persona.<br />
In un percorso di formazione alla sessualità, la comunicazione attraverso il movimento può<br />
essere di aiuto alla persona nel processo di conoscenza.<br />
La natura preverbale e simbolica del movimento può infatti aiutare a identificare, esplorare<br />
ed esprimere i sentimenti e le emozioni attraverso il corpo.<br />
“È soltanto quando la sfera emotiva lavora in parallelo con quella fisica che può avvenire<br />
un cambiamento nel comportamento, nell’immagine di sé e può iniziare la vera crescita<br />
personale” (Helen Payne)<br />
Il lavoro proposto è stato condotto in una classe quarta elementare di 10 alunni:<br />
9 femmine e 1 maschio.<br />
Obiettivi Costruire un’immagine con il movimento; stimolare l’immaginazione<br />
Condizioni Nessuna<br />
Durata 20-30 minuti<br />
Materiale Audioregistratore. Musicassetta. È stata utilizzata la canzone<br />
“Piccola canzone dei contrari” di Angelo Branduardi<br />
Struttura Individuale e in gruppo<br />
Attività 1. Disponetevi in cerchio ben distanziati l’uno dall’altro.<br />
Immaginate che questo cerchio sia una grande bocca.<br />
Muovetevi come se voi foste un cibo, un oggetto che si muove<br />
dentro questa grande bocca.<br />
2. Adesso ognuno di voi presenti il proprio movimento a parole e<br />
con il corpo. Tutti insieme proviamo a ripetere il movimento<br />
presentato.<br />
3. Ora esprimete verbalmente le sensazioni vissute.<br />
Ulteriori risultati Adattarsi a diversi movimenti<br />
168<br />
L’esplorazione del corpo<br />
È opportuno che l’insegnante lavori in modo chiaro, diretto e spontaneo in modo da far<br />
sentire gli alunni a proprio agio. È importante che egli accetti le varie reazioni e sia<br />
comprensivo verso le eventuali difficoltà. L’atteggiamento predominante dovrebbe essere<br />
volto alla relazione, all’accoglienza, per consentire di “mettere il pensiero là dove c’è solo<br />
l’emozione” (L. Fornasir)<br />
L’uso di un audioregistratore permette di registrare le espressioni verbali degli alunni,<br />
senza distogliere l’attenzione dell’insegnante dai movimenti che vengono via via vissuti e<br />
poi verbalmente esplicitati, di riascoltare successivamente gli interventi degli alunni per<br />
ottenere più accurate valutazioni.<br />
Di seguito vengono proposti alcuni esempi estrapolati dalle elaborazioni degli alunni.<br />
Si può tentare di far sperimentare ad un nuovo gruppo di alunni questi movimenti,<br />
soprattutto laddove non si sia mai lavorato con l’espressione corporea.<br />
È opportuno ricordare però l’importanza di “far parlare” il corpo di ogni bambino in<br />
modo libero e spontaneo. Ogni persona dovrebbe sentirsi libera di comunicare senza<br />
condizionamenti di tipo imitativo.<br />
Esempio 1<br />
Movimento: a) Stesi a terra, rotolare e contemporaneamente agitare le braccia.<br />
b) Stesi a terra, rotolare tenendo le braccia tese in alto appoggiate sul pavimento<br />
Sensazioni: Ci gira la testa. Ci scontravamo. Quando noi mangiamo quello che c’è<br />
dentro si scontra. Non c’è un ordine, tutto diventa confuso.<br />
* è il caos<br />
Esempio 2<br />
Movimento: Seduti a terra, gambe raccolte verso il petto, allungare le gambe, stendere<br />
il busto a terra e allungare le braccia, poi ritorniamo in posizione di<br />
partenza. Raccogliere – distendere - raccogliere<br />
Sensazioni: Mi sento cibo masticato che diventa sempre più piccolo perché ha fatto<br />
troppa ginnastica. Mi sento morsicato, mangiato da un dente che mi fa<br />
male.<br />
* c’è una trasformazione del cibo, ma è dolorosa<br />
Esempio 3<br />
Movimento: In piedi, con un braccio disteso verso il basso lungo il corpo e l’altro verso<br />
l’alto. Girare su se stessi come una girandola.<br />
Sensazioni: Mi sento un tornado che gira, che fa quello che vuole, si apre, si stringe,<br />
si inchina, ma resta sempre fermo.<br />
* nel caos, nel vortice, non perde il riferimento oppure<br />
è un movimento che non gli permette di andare avanti<br />
Esempio 4<br />
Movimento: sempre saltellando, abbassarsi e allungarsi.<br />
Sensazioni: Mi sento come un cibo che fa fatica ad essere masticato. I denti non<br />
riescono a mangiarmi.<br />
* manca l’aggressività (che ha in sé elementi positivi)<br />
169
L’esplorazione del corpo<br />
Esempio 5<br />
Movimento: movimento scatenato e libero, tutto il corpo si muove sempre restando<br />
però nello stesso posto.<br />
Sensazioni: mi sembra di aver mille mani, cerco di prendere qualcosa ma non ci riesco.<br />
* difficoltà a cercare/trovare riferimenti<br />
Esempio 6<br />
Movimento: correre a destra e a sinistra come si vuole.<br />
Sensazioni: mi sembra di essere un cibo che viene inghiottito intero. Il cibo va dove vuole,<br />
io cerco di masticarlo ma lui va di qua e di là e io non riesco a masticarlo.<br />
* manca l’aggressività, l’avvio alla trasformazione<br />
Conclusa l’attività motoria si propone l’attività grafico – pittorica. La stessa può essere<br />
presentata come stimolazione espressiva senza la parte relativa alla comunicazione corporea.<br />
Obiettivi Costruire un’immagine con il disegno. Immaginate il viaggio del<br />
cibo nel vostro corpo: dalla bocca a…<br />
Condizioni Nessuna<br />
Durata 20-30 minuti<br />
Materiale Carta e colori<br />
Struttura In coppia o individualmente<br />
Attività 1. Disponetevi in coppia ben distanziati l’uno dall’altro.<br />
Immaginate il viaggio che il cibo compie dalla bocca nel vostro<br />
corpo<br />
2. Disegnate il viaggio<br />
3. Scrivete la storia del viaggio<br />
Esemplificazione di alcune storie scritte dai bambini.<br />
1 Il cibo entra nella bocca, percorre la strada e arriva a una porta. Esce dal sedere e cade<br />
come in una piscina. * la piscina è comunque un contenitore ma il cibo non subisce<br />
trasformazioni, va subito in cacca<br />
2 Questa donna sta mangiando un panino e contemporaneamente sta facendo i suoi<br />
bisogni. È il percorso del nostro corpo. Il cibo entra nella bocca, fa tutto un percorso, entra<br />
nello stomaco, poi entra nella pancia, poi si divide e va in due buchi: le cose dure nel<br />
sedere, le cose liquide in vagina.<br />
3 Ho immaginato il cibo che va alla caccia del tesoro. Dalla bocca va nel collo, dal collo va<br />
nei tubicini stretti larghi e certe volte chiusi e sbatte da tutte le parti perché l’uomo si<br />
muove.<br />
Il cibo vuole raggiungere il tesoro a tutti i costi superando i pericoli (* c’è un avvio alla<br />
consapevolezza <strong>delle</strong> difficoltà?) Alla fine è arrivato nella gola, nel buco più largo, lì ha<br />
trovato il tesoro. Questo buco si trova in fondo alla pancia. Trova una via d’uscita, è vivo<br />
e poi in pochi secondi muore. Muore nei tubi di scarico dove finiscono i bisogni, la cacca<br />
e la pipì.<br />
170<br />
L’esplorazione del corpo<br />
4 C’è una bocca che riceve tutto il mangiare. C’è poi una vasca a forma di bocca: la prima<br />
lo mastica, l’altra lo riceve di nuovo.<br />
La terza bocca trasforma il mangiare in quadratini e in pallini i quali vanno nella<br />
pancia. Dalla pancia esce quello che non va bene. Si scioglie, diventa cacca ed esce dal<br />
sedere. La cacca finisce nel water.<br />
5 Il cervello trasforma il cibo in energia per il corpo. Prima il cibo viene masticato poi entra<br />
in un tubicino. Il cibo viene trasformato, va poi nei polmoni, viene ritrasformato (in un<br />
altro luogo). Esce dalla vagina in forma di pipì e dal sedere in forma di cacca. Una parte<br />
del cibo va nelle gambe come energia.<br />
Attraverso i disegni e le storie, i bambini hanno “messo fuori” le loro eiezioni: cacca, pipì.<br />
Si tratta ora di aiutare i bambini a riconoscere che le parti che vengono espulse non<br />
vengono buttate via, ma hanno una loro utilità.<br />
Obiettivo Leggere le proprie rappresentazioni grafiche e discutere per trovare<br />
una risposta alla domanda “Che cosa succede al materiale espulso?”<br />
Condizioni L’attività deve essere necessariamente preceduta dalla rappresentazione<br />
grafica del viaggio del cibo nel corpo.<br />
Durata 20 minuti<br />
Materiale nessuno<br />
Struttura In gruppo, seduti in cerchio<br />
Attività Ogni bambino illustra ai compagni il proprio disegno.<br />
Liberamente discutono sulla sollecitazione verbale proposta dall’insegnante che trascrive<br />
alla lavagna le idee emerse<br />
CHE COSA SUCCEDE ALLE FECI UNA VOLTA USCITE DAL NOSTRO CORPO?<br />
• Finiscono nel water e poi nelle fogne. Arriva l’autoespurgo che con un tubo svuota le fogne<br />
e riempie un camion. poi trasporta il tutto nei campi per concimare.<br />
• Anche la pipì e la cacca degli animali vengono utilizzate come concime.<br />
• In alcune tribù lo sterco è utilizzato per riscaldare.<br />
• Anche i rifiuti si possono riciclare.<br />
Anche la metafora del viaggio del cibo nel corpo è inserita nel percorso dell’aiutare a dare<br />
forma. Il mangiare, il digerire, la trasformazione, l’assimilazione e l’espulsione sono tutte<br />
metafore utilizzate per dare forma al mondo interiore dei bambini.<br />
I bambini, attraverso le proprie espressioni corporee, le verbalizzazioni e i disegni, inviano<br />
messaggi che vanno letti e interpretati. L’interpretazione psicologica non è un compito<br />
che l’insegnante si deve assumere, il compito è quello di rilevare alcuni segnali ed<br />
accogliere eventuali richieste di aiuto.<br />
È la funzione del contenitore che in educazione si esplica con la capacità di accogliere, di<br />
prendere e di contenere dentro di sé le <strong>paure</strong>, le emozioni, le ansie proiettate dal bambino.<br />
L’educatore ha il compito essenziale di trasformare queste proiezioni e di restituirle al<br />
bambino in forma di pensiero.<br />
171
Scuola Elementare A. Gabelli<br />
1˚ Circolo di Pordenone<br />
Il viaggio del pensiero<br />
Gianna Stellino
Il viaggio del pensiero*<br />
*AUTRICE:<br />
Gianna Stellino<br />
docente Scuola Elementare - insegna matematica, geografia, scienze, musica.<br />
Il viaggio del pensiero<br />
ITACA<br />
Quando ti metterai in viaggio per Itaca<br />
devi augurarti che la strada sia lunga<br />
fertile in avventure e in esperienze.<br />
I Lestrigoni e i Ciclopi<br />
o la furia di Nettuno non temere,<br />
non sarà questo il genere di incontri<br />
se il pensiero resta alto e un sentimento<br />
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.<br />
In Ciclopi e Lestrigoni, no certo<br />
né l’irato Nettuno incapperai<br />
se non li porti dentro,<br />
se l’anima non te li mette contro.<br />
Devi augurarti che la strada sia lunga.<br />
Che i mattini d’estate siano tanti<br />
quando nei porti - finalmente, e con che gioia -<br />
toccherai terra tu per la prima volta:<br />
negli empori fenici indugia e acquista<br />
madreperle coralli ebano e ambre<br />
tutta merce fina, anche profumi<br />
più inebrianti che puoi, va’ in molte città egizie<br />
impara una quantità di cose dai dotti.<br />
Sempre devi avere in mente Itaca -<br />
raggiungerla sia il pensiero costante.<br />
Soprattutto, non affrettare il viaggio;<br />
fa’ che duri a lungo, per anni, e che da vecchio<br />
metta piede sull’isola, tu, ricco<br />
dei tesori accumulati per strada<br />
senza aspettarti ricchezze da Itaca.<br />
Itaca ti ha dato un bel viaggio<br />
senza di lei mai ti saresti messo<br />
in viaggio: che cos’altro ti aspetti?<br />
175
Il viaggio del pensiero<br />
176<br />
E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.<br />
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso<br />
già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.<br />
C. P. Kavafis**<br />
1 - INTRODUZIONE<br />
“ITACA”, simbolo e metafora di un viaggio interiore, è stata la mia personale motivazione<br />
alla scelta di un corso di formazione alla sessualità…. il mistero del nostro<br />
divenire entità riconosciuta nella propria singolarità.<br />
Difficile scindere se stessi da quello che vai a proporre in classe.<br />
Il corso di formazione “La sessualità infantile e l’arte della fiaba”, tenuto dalla dott.<br />
Lorena Fornasir, è stata una proposta teorico - operativa utile a noi insegnanti per<br />
realizzare la finalità educativa della FORMAZIONE DELLA PERSONALITÀ di ciascun<br />
alunno, e sviluppare una maggiore consapevolezza riguardo ad una PRIMA COSCIENZA<br />
AFFETTIVA.<br />
L’avvio alla consapevolezza <strong>delle</strong> proprie emozioni è opportuna già in un primo ciclo<br />
della scuola elementare, quando le relazioni si stanno definendo e si avvia la concretizzazione<br />
d’atteggiamenti costruttivi tra compagni di una stessa classe.<br />
La possibilità di esprimere ciò che dai bambini viene più AGITO che PENSATO, assume<br />
una valenza positiva come punto di partenza di un contatto con se stesso e di rimando<br />
con gli altri. Anche la proposta di modelli d’apprendimento e comportamento più elastici<br />
e dinamici, ma non per questo poco strutturati, rappresentano un modo per confrontarsi<br />
e per crescere in maniera più armoniosa.<br />
Esprimere le proprie emozioni, dare loro una forma, un pensiero, utilizzare simboli, con<br />
disegni e brevi storie scritte, per rappresentare immagini interiori è un mettere ordine al<br />
mondo interno (CAOS), fatto d’emozioni esplosive e d’atteggiamenti istintivi.<br />
Le proprie pulsioni, quindi, sono il CAOS che l’uomo rimuove nell’inconscio, perché<br />
negazione dell’ordine.<br />
Il CAOS è quella parte “perturbante”, come dice Freud, che si manifesta nelle passioni e<br />
negli istinti; è quella parte che tutto contiene e niente distingue non tollerando la<br />
DIFFERENZA, questa intesa come lo spostamento da un luogo originario ad un altro,<br />
che crea distinzione, separazione, quindi IDENTITÀ.<br />
In uno dei disegni dei bambini, ciò si esplicita con la frase “il cervello con la faccia messa<br />
male, che ha tutto in disordine, che ha tutto un CAOS”. Il disegno rappresenta una faccia<br />
con un cervello dove all’interno ci sono tanti scarabocchi. Questa testa, “messa male”,<br />
rimanda ad una potenza degli elementi PULSIONALI, dove ancora non si è fatta strada<br />
la luce di ciò che è differenziabile.<br />
Interiormente si crea la possibilità per un apprendimento dove l’alunno si mette in gioco,<br />
si conosce, si definisce e comunica; il tutto pensato in un processo di sviluppo della<br />
personalità sempre dinamico.<br />
2 - PRESENTAZIONE<br />
Le informazioni teoriche sulle fasi della sessualità infantile orale, hanno aperto in me una<br />
strada fatta di maggiore consapevolezza educativa.<br />
**Costantinos KAVAFIS, Settantacinque poesie,Giulio Einaudi Editore - 1922 - Torino - pag.63<br />
Il viaggio del pensiero<br />
Quali sono le spinte perché avvenga un processo di apprendimento? Quale relazione<br />
esiste tra affettività e apprendimento? E la sessualità come intenderla in un bambino nella<br />
sua globalità?<br />
Tutto il percorso è stato ricco di stimolanti proposte che hanno suscitato nei bambini e<br />
in noi insegnanti, emozioni, sensazioni e notevoli riflessioni ed elaborazioni.<br />
La bocca, la bocca che mangia, il mangiare stesso sono considerati i luoghi psichici in cui<br />
il nutrimento è fonte di un’elaborazione sulla nascita della vita psichica e quindi anche<br />
sulla vita sessuale. Ai bambini è stato chiesto di rappresentare le fantasie aggressive interne<br />
e di raccontarle attraverso i personaggi <strong>delle</strong> fiabe e le immagini con creatività e originalità.<br />
Parlare del viaggio del cibo, come categoria psichica associata alla qualità di nutrimento<br />
che la madre offre al proprio figlio, è stato un modo per sollecitare, attraverso le proprie<br />
sensazioni, il percorso che viene fatto dal cibo nel proprio corpo. Sulla base della propria<br />
esperienza e libera interpretazione, i bambini hanno esplicitato come il cibo inserito nel<br />
nostro corpo viene digerito e, prendendo forma, viene TRASFORMATO.<br />
Questo processo di crescita ci riporta ad una buona interiorizzazione del cibo: il bambino<br />
può permettersi di “perdere” la madre, quindi di allontanarsi da lei, solo se riesce ad<br />
assimilare il buon cibo.<br />
Il buon cibo è dato dalla qualità materna, dalla capacità di creare sintonicamente ed<br />
empaticamente una relazione con il bambino infondendogli la possibilità di ASSIMILARE.<br />
A sua volta il bambino avendo acquisito la fiducia nel buon cibo può sviluppare in se<br />
stesso la capacità di introiettare, di trattenere, e consolidare in sé il “buon cibo mamma”.<br />
In uno dei disegni dei bambini del percorso fatto sul ‘viaggio del cibo’ appare questa<br />
didascalia:<br />
“Questo è l’intestino di un umano. Questo disegno è il nostro corpo che c’è di dentro.<br />
Il cibo passa nello stomaco, lì viene sminuzzato e macinato. Dallo stomaco passa<br />
all’intestino, lì viene impastato e si prendono le sostanze necessarie, quello che non serve<br />
diventa cacca”.<br />
L’intestino, quindi, come sede del viaggio del cibo. Il bambino con il suo disegno riflette<br />
una struttura concreta, dietro si può leggere la potenza simbolica: organi deputati a<br />
sminuzzare, a impastare, trattano il cibo come elemento psichico in cui sono rintracciabili<br />
elementi di un’oralità cannibalica (sminuzzare) ed elementi di elaborazione (macinare,<br />
passare all’intestino, impastare). Nello stesso tempo si evidenzia la capacità di introiettare<br />
che si evince dal prendere le sostanze necessarie. Attraverso tale linguaggio concreto il<br />
bambino esprime un messaggio del sé corporeo e del sé psichico.<br />
Nel percorso didattico il passaggio successivo viene tracciato dagli stessi bambini. Una<br />
bambina, in particolare, dopo una personale spiegazione sul viaggio del cibo termina<br />
dicendo: “…dopo tutto questo c’è anche l’intestino… Il cervello, è un corpo molto<br />
complicato”.<br />
L’intestino è una sorta di cervello messo dentro il corpo quasi a controllare il corpo<br />
stesso, con le stesse ansie e gli stessi segreti del cervello.<br />
Anche nei disegni sul “viaggio del pensiero” i bambini esprimono i loro vissuti. Il<br />
pensiero viene inteso come trasformazione: dalle emozioni istintive all’elaborazione di<br />
pensiero. I bambini si sono affidati più al cervello che al loro corpo: un viaggio dentro le<br />
proprie budella è possibile solo se queste si trasformano in anse di un cervello, come dire<br />
che la mente deve controllare ciò che accade nel corpo. Un corpo che nel bambino di<br />
questa età è un corpo silente, che non parla con i rumori della sessualità, dove la sessualità<br />
è soggetta alla rimozione. È il corpo della latenza. C’è il tentativo del bambino di portare<br />
l’adulto nel suo mondo sconosciuto ed è il bambino stesso che offre la possibilità di aprire<br />
177
Il viaggio del pensiero<br />
un discorso, dove il discorso regola, ordina e corregge le sue leggi fisiche, permettendo<br />
ai bambini di chiedere che venga messo ordine nel loro presentimento di un futuro ormai<br />
prossimo ad esplodere alla sessualità caratteristico della pubertà.<br />
Compito dell’insegnante, come sostiene D. Meltzer in “Il ruolo educativo della famiglia”,<br />
è infondere nei bambini la speranza: avere speranza in un’altra persona vuol dire dare vita,<br />
tu vedi per lui. Riportando tutto ciò nella quotidianità, nella capacità di creare un clima<br />
favorevole all’interno della classe, dove parallelamente agli apprendimenti della discipline,<br />
si deve permettere “una costruzione interiore” basata sull’avvio della conoscenza di sè,<br />
dal conosciuto allo sconosciuto, e sulle sue trasformazioni, dove ogni singolo si pone in<br />
atteggiamento di crescita, dove non tutto è controllabile.<br />
3 - PERCORSO DIDATTICO<br />
La parte sperimentale, all’interno della classe, ha visto coinvolte le due insegnanti (*)<br />
prevalenti per poter elaborare e realizzare un percorso didattico interdisciplinare.<br />
Spesso le consegne venivano date ai bambini alla presenza <strong>delle</strong> due insegnanti in modo<br />
che, mentre una conduceva la conversazione, l’altra riportava per iscritto le<br />
verbalizzazioni svolgendo la funzione di osservatore, come “costruttore di memoria”.<br />
Il percorso didattico proposto ai 24 alunni di classe seconda, in una scuola a tempo pieno,<br />
era formato da otto unità di lavoro: queste vengono di seguito presentate con la<br />
definizione degli obiettivi e <strong>delle</strong> attività svolte.<br />
All’inizio e al termine del percorso è stato elaborato un sociogramma di Moreno della<br />
classe, e un questionario per la valutazione dell’atteggiamento nel gruppo, di M. Comoglio,<br />
elaborato dalla conduttrice del corso.<br />
PRIMA UNITÀ DI LAVORO<br />
OBIETTIVI<br />
1 Favorire l’espressione della singola personalità del bambino attraverso una dinamica<br />
ludica di gruppo che si avvale di precisi strumenti di conduzione da parte dell’insegnante.<br />
2 Consentire al bambino di sperimentare le proprie emozioni dentro una cornice ludica<br />
organizzata.<br />
ATTIVITÀ<br />
1 Collettivamente viene chiesto agli alunni:<br />
- Cos’è il sogno?<br />
- Ricordi i tuoi sogni?<br />
- Come fai a sapere che sogni?<br />
2 Ad ognuno viene chiesto di rispondere per iscritto alle seguenti domande:<br />
- Quali personaggi vedi nei tuoi sogni?<br />
- Quali animali sogni?<br />
- Quali sono i personaggi o gli animali dei tuoi sogni che ti fanno paura?<br />
- Quali sono i personaggi cattivi <strong>delle</strong> fiabe? Come si chiamano?<br />
- Cosa fa la strega <strong>delle</strong> fiabe? E l’orco? E il lupo mannaro?<br />
- Quali sono gli animali più cattivi <strong>delle</strong> fiabe?<br />
*Voglio ringraziare, sentitamente, la collaborazione che mi è stata offerta dalla collega Marinella COCIANCICH, che ha contribuito al lavoro didattico.<br />
178<br />
3 Disegnare “L’immagine del proprio sogno”.<br />
4 Disegnare “Quale animale vorresti essere?”.<br />
Il viaggio del pensiero<br />
SECONDA UNITÀ DI LAVORO<br />
OBIETTIVI<br />
1 Accostare i bambini all’uso <strong>delle</strong> libere associazioni.<br />
2 Utilizzare le associazioni per aiutare i bambini a rappresentare i personaggi del loro<br />
mondo interiore.<br />
3 Favorire nei bambini l’espressione <strong>delle</strong> fantasie aggressive più nascoste, rappresentabili<br />
solo attraverso i personaggi <strong>delle</strong> fiabe.<br />
ATTIVITÀ<br />
1 All’intero gruppo classe chiedere di fare una libera associazione sulla parola<br />
MANGIARE.<br />
2 Dalle associazioni ottenute selezionare assieme ai bambini <strong>delle</strong> aree (categorie) che<br />
noi chiameremo insiemi e faremo mettere le etichette a questi gruppi di associazioni<br />
suscitati dalla parola mangiare.<br />
3 Suddividere la classe in piccoli gruppi di due o tre bambini.<br />
4 Chiedere al piccolo gruppo dei bambini di inventare una storia utilizzando i termini<br />
<strong>delle</strong> ‘etichette’ che hanno scelto in riferimento alla parola mangiare.<br />
TERZA UNITÀ DI LAVORO<br />
OBIETTIVI<br />
1 Aiutare i bambini a riconoscere le loro reazioni di fronte al ‘modo di mangiare’;<br />
2 Sviluppare in loro il contatto con le fantasie interne legate al “mangiare” e all’essere<br />
mangiato, ossia con la dimensione aggressiva della personalità.<br />
ATTIVITÀ<br />
1 Chiedere di disegnare individualmente, come in un sogno, ‘la bocca che mangia’<br />
utilizzando la fantasia.<br />
2 Chiedere, all’intero gruppo classe, di nominare i modi di mangiare che piacciono e<br />
quelli che non piacciono. Dopo la verbalizzazione collettiva, di scrivere in un<br />
foglietto quello che individualmente ciascuno pensa riguardo ai modi di mangiare.<br />
QUARTA UNITÀ DI LAVORO<br />
OBIETTIVI<br />
1 Accostare i bambini all’uso <strong>delle</strong> libere associazioni.<br />
2 - Utilizzare le associazioni per aiutare i bambini a rappresentare i personaggi del loro<br />
mondo interiore.<br />
179
Il viaggio del pensiero<br />
3 - Favorire nei bambini l’espressione <strong>delle</strong> fantasie aggressive più nascoste dicibili solo<br />
attraverso i personaggi <strong>delle</strong> fiabe.<br />
ATTIVITÀ<br />
1 Con l’intero gruppo classe, riportare su un cartellone i nomi che si riferiscono a<br />
personaggi <strong>delle</strong> fiabe o fumetti noti perché “mangiano” bambini o cose od oggetti.<br />
2 Ampliare la scelta di termini riferiti alla parola “mangiare” tratti dal “Dizionario<br />
sinonimi della lingua italiana di Niccolò Tommaseo”.<br />
3 Dai tanti nomi che sono stati trovati, invitare i bambini a scegliere un personaggio<br />
che li ha particolarmente colpiti.<br />
4 In piccoli gruppi di due e tre bambini costruire, una breve storia che ha come<br />
protagonista ‘il personaggio che mangia’.<br />
QUINTA UNITÀ DI LAVORO<br />
OBIETTIVI<br />
1 Aiutare i bambini a verbalizzare le loro conoscenze riguardo al viaggio del cibo<br />
all’interno del nostro corpo.<br />
2 Sviluppare in loro il contatto con le fantasie interne legate al ‘viaggio del cibo’ quindi<br />
alla trasformazione del cibo.<br />
ATTIVITÀ<br />
1 Verbalizzare e disegnare “il viaggio del cibo”.<br />
SESTA UNITÀ DI LAVORO<br />
OBIETTIVI<br />
1 Prendere consapevolezza dell’esistenza del pensiero.<br />
2 Utilizzare confronti per aiutare i bambini a rappresentare il viaggio simbolico del<br />
pensiero e quindi del loro mondo interiore.<br />
ATTIVITÀ<br />
1 Verbalizzare con il gruppo classe riguardo alle conoscenze che loro hanno sul<br />
‘pensiero’ e sulla sua nascita. Fare un parallelo tra il pensiero e il gusto del mangiare,<br />
e di seguito confrontare il “viaggio del cibo” con “il viaggio del pensiero”.<br />
2 Cercare, attraverso il disegno, di dare “forma al pensiero”; a ciascuno viene chiesto<br />
di illustrare un proprio pensiero.<br />
3 In un secondo momento a ciascuno viene chiesto di disegnare utilizzando la fantasia<br />
il “viaggio del pensiero”.<br />
SETTIMA UNITÀ DI LAVORO<br />
OBIETTIVI<br />
180<br />
1 Costruire una storia attraverso lo scarabocchio e il disegno.<br />
2 Essere consapevoli di costruire, collettivamente, una storia per dare forma ad un<br />
pensiero elaborato da tutta la classe.<br />
ATTIVITÀ<br />
1 Dato un segno al centro di un foglio, aggiungere un disegno o uno scarabocchio e<br />
narrare, sempre un alunno alla volta, un pezzo della storia.<br />
OTTAVA UNITÀ DI LAVORO<br />
OBIETTIVI<br />
1 Far prendere coscienza, agli alunni, del percorso fin qui elaborato.<br />
2 Esprimere un’opinione personale sul percorso realizzato.<br />
3 Riportare per iscritto le sensazioni provate.<br />
ATTIVITÀ<br />
1 Rivedere insieme i disegni di ciascun bambino, con l’accordo totale della classe.<br />
2 Riportare alla memoria sensazioni provate durante l’attività didattica.<br />
3 Far scrivere a ciascuno un’opinione, che cosa ha suscitato in loro tale percorso.<br />
4 - ALCUNE ESEMPLIFICAZIONI METODOLOGICHE: diamo voce ai bambini.<br />
4a - IL VIAGGIO DEL PENSIERO - unità di lavoro n.6<br />
Nella sesta unità di lavoro si è affrontato il “VIAGGIO DEL PENSIERO”. In modo<br />
sintetico ma essenziale viene riportata la discussione che è avvenuta in classe. L’obiettivo<br />
che ci si poneva era di sollecitare gli alunni ad un’elaborazione personale sul ‘pensiero’ e sul<br />
‘Viaggio del pensiero’, sollecitazione offerta dal testo di una bambina, che dopo una<br />
personale spiegazione sul viaggio del cibo termina dicendo “…dopo tutto questo c’è anche<br />
l’intestino… Il cervello, è un corpo molto complicato!”. La verbalizzazione, svolta in classe,<br />
è stata suddivisa in capitoli proprio per mettere in evidenza il formarsi del pensiero e la sua<br />
trasformazione, processo che è avvenuto anche durante la stessa discussione.<br />
I - insegnante A - alunni.<br />
COS’È IL PENSIERO<br />
I - A cosa serve il cervello?<br />
A - Comanda il corpo.<br />
A - Trasmette movimenti al corpo.<br />
A - Ci fa ragionare.<br />
I - E il pensiero cos’è?<br />
A - È quello che hai in mente.<br />
I - Ad esempio se io ti do una sberla, che cosa succede dentro di te?<br />
Il viaggio del pensiero<br />
181
Il viaggio del pensiero<br />
A - Penso che mi hai fatto male.<br />
A - Penso che sei stata cattiva.<br />
I - E cosa vorresti fare?<br />
A - Vorrei dirti <strong>delle</strong> parolacce.<br />
I - Quello che hai pensato o detto cos’è?<br />
A - Un pensiero.<br />
I - Bene.<br />
IL “GUSTO” DEL PENSIERO<br />
I Qual è il cibo che mettete nel vostro cervello? Qual è un vostro pensiero che può<br />
essere relativo alla scuola o alla famiglia, a casa.<br />
A Il rimprovero della mamma.<br />
A Mi sento trascurato.<br />
A Che nessuno mi vuole.<br />
A Io mi chiedo come mai io e mia sorella litighiamo.<br />
A La litigata con mia sorella.<br />
A Gusto di menta.<br />
I Allora C. che cosa provi quando litighi con tua sorella?<br />
A Quando litigo con mia sorella provo il “gusto” di rabbia.<br />
LA TRASFORMAZIONE DEL PENSIERO<br />
I - Secondo voi dove arriva il nostro pensiero.<br />
A - Arriva al cuore.<br />
I - Ritorniamo alla caramella, adesso la caramella dov’è?<br />
A - Nello stomaco.<br />
I - Cosa succede nello stomaco?<br />
A - Il cibo si trasforma.<br />
I - E come si trasforma la litigata con tua sorella C.?<br />
A - In parolacce.<br />
I - In brutte sensazioni.<br />
A - In odio.<br />
I - E se ci troviamo in una situazione piacevole, ad esempio… chiudete gli occhi…, se vi<br />
dico come siete bravi, avete lavorato, vi siete comportati bene, cosa provate?<br />
A - Felicità.<br />
A - Ci fa sentire bene.<br />
A - Amore.<br />
I - Bene…. Chiudete gli occhi… Se io ora vi sgridassi e vi dicessi vi siete comportati<br />
male… avete sbagliato tutto… come vi sentite?<br />
A - Non ci fa sentire bene.<br />
A - Penso che sei cattiva.<br />
VERBALIZZARE IL PENSIERO<br />
I - Benissimo allora questi sono dei pensieri. E che cosa bisogna fare quando si formano<br />
dei pensieri?<br />
A - Buttarli fuori.<br />
A - Parlarne.<br />
I - Benissimo.<br />
A - Possiamo disegnare.<br />
182<br />
Il viaggio del pensiero<br />
I - Certamente, ora disegniamo e DIAMO FORMA AL PENSIERO… chiudete gli<br />
occhi… pensate a quello che abbiamo detto… cosa vi fa pensare tutto ciò che è stato<br />
detto? DISEGNATELO.<br />
IL PENSIERO DISEGNATO<br />
Nasce dai bambini stessi l’esigenza di disegnare il proprio pensiero. Quindi, i bambini<br />
vengono invitati a chiudere gli occhi e ripensare a ciò che è stato detto, immaginare un<br />
“pensiero disegnato”:<br />
Le rappresentazioni che ne sono risultate sono state diverse:<br />
- alcuni elaborati sono stati una rappresentazione di un’emozione personale: il<br />
cane morto sotto il trattore, il pensiero del padre che non c’è più, le litigate con<br />
fratelli o sorelle;<br />
- altre rappresentazioni simboliche di vissuti più generali;<br />
- altri ancora fanno nascere, crescere e morire il pensiero;<br />
- altri hanno utilizzato personaggi dei cartoni animati Medusa e Misterblini.<br />
È stato importante per noi sollecitare, i bambini, a parlare <strong>delle</strong> loro problematiche, a far<br />
dare loro forma al pensiero che hanno interiormente, a trovare in noi insegnanti qualcuno<br />
con cui esprimersi.<br />
IL VIAGGIO DEL PENSIERO<br />
È stato chiesto in un secondo momento la rappresentazione del “Viaggio del pensiero”,<br />
così come era stato proposto il viaggio del cibo.<br />
Osservando i disegni abbiamo fatto <strong>delle</strong> riflessioni di ordine generale:<br />
- il pensiero nasce come stellina nel nostro cervello e cresce diventando grande;<br />
- il pensiero legato alla visione di un film o della televisione;<br />
- il pensiero che si trasforma durante il viaggio;<br />
- il pensiero come qualcosa di tecnologico;<br />
- il pensiero non si trasforma, entra ed esce;<br />
- il pensiero come caos.<br />
Numerevoli sono state le loro significative esplicitazioni; le elaborazioni simboliche<br />
prodotte non sono da considerarsi come prodotto finale che ha termine qui, ma come un<br />
processo di crescita in continua evoluzione.<br />
5 - OPINIONI DEI BA<strong>MB</strong>INI: Cosa ne pensate del percorso fin qui svolto?<br />
- Ho provato la sensazione di conoscere il mio corpo.<br />
- Scoprire il mondo, scoprire le cose che ho dentro.<br />
- Mi sono liberata di cose che volevo fare - le cose di cui parlo è ciò che non conosco.<br />
- Io ho provato divertimento, felicità, gioia e piacere perché era da fare con fantasia.<br />
- Ho provato l’immaginazione, la creatività e la fantasia, la felicità, la liberazione.<br />
- Ho provato noia e allegria perché mi sono sfogato tutto quello che avevo dentro.<br />
- Quando ho fatto il lavoro dei sogni mi sono divertito, e sono stato molto contento di<br />
farlo, mi ha suscitato la gioia insieme alla fantasia. Ho modificato il pensiero, ho<br />
capito che al pensiero bisogna dare una forma, ho modificato l’atteggiamento che<br />
avevo, che era quello di non avere pazienza.<br />
- Questo lavoro mi ha fatto imparare a stare con gli altri.<br />
- La sensazione che ho provato è stata quella di annoiarmi.<br />
183
Il viaggio del pensiero<br />
- Io ho provato felicità, perché abbiamo fatto una cosa nuova! Per imparare a usare<br />
il cervello le mie emozioni sono state a sorpresa quando le maestre ci hanno spiegato<br />
tutto il lavoro. È stato bello. Ho capito che il pensiero è una cosa che viene quando<br />
ti viene in mente.<br />
- …la sensazione è stata la gioia di essere intervenuto…<br />
- …io ho provato emozione a dire il mio parere…<br />
- Noia e angoscia - non è cambiato niente - perché bisognava soltanto dire cose che<br />
non volevano significare quasi niente e allora provavo NOIA e ANGOSCIA.<br />
- …dentro di me è cambiato qualcosa, è cambiata una cosa brutta perché la cosa<br />
brutta fa male. La cosa brutta che è cambiata è una COSA SPECIALE.<br />
RIFLESSIONI CONCLUSIVE<br />
La motivazione iniziale data ai bambini è stata quella di prospettare l’idea che sia possibile<br />
conoscere meglio se stessi e gli altri e quindi di riuscire ad instaurare una relazione<br />
costruttiva e proficua. È stato sollecitato in loro il ricordo dei diversi momenti conflittuali,<br />
in cui spesso si sono trovati coinvolti, <strong>delle</strong> difficoltà che hanno nell’accettare l’altro<br />
nella sua individualità ed unicità.<br />
Questo è stato il punto di partenza di un percorso nel quale i bambini hanno atteso con<br />
“entusiasmo” e curiosità il momento programmato per realizzare questo progetto.<br />
L’iniziale curiosità andava via via cambiando aspetto e si modificava in momenti di<br />
elaborazione personale di vissuti interiori, più o meno articolati, a seconda <strong>delle</strong> problematiche<br />
dei singoli bambini.<br />
Conoscendo i loro vissuti, i bambini si sono sentiti liberi di lasciar scorrere le loro emozioni:<br />
<strong>paure</strong>, ansie, aggressività ed il gruppo ha “concesso” di dare una veste di accettabilità<br />
in quanto iniziava ad “albeggiare” la condivisione.<br />
Tutto questo ha fatto scaturire una considerazione, non solo sulla possibilità “dinamiche”<br />
di lavorare nel gruppo, ma di essere pure possibile la prospettiva di creare un clima<br />
favorevole all’interno della classe, dove si può respirare aria di tolleranza e fiducia, dove<br />
si può PRIORITARIAMENTE, permettere “una costruzione interiore” basata sull’avvio<br />
della conoscenza di sé e sulle sue trasformazioni, sulla crescita della personale identità<br />
anche sessuale.<br />
Si può quindi dire, a termine <strong>delle</strong> attività proposte ed elaborate con gli alunni, che la<br />
finalità che il corso si poneva è stata raggiunta: “riunire all’interno di un unico gesto<br />
pedagogico la dimensione psicorelazionale che caratterizza il rapporto tra il bambino e<br />
l’insegnante, rivolgendosi alla unità della sua persona nell’unità del sapere educativo” così<br />
come ha prospettato all’inizio del corso la dott.ssa Lorena Fornasir.<br />
184<br />
Scuola Elementare C. Collodi<br />
1˚ Circolo di Pordenone<br />
La materia dell’origine<br />
Adriana Ronchi
La materia dell’origine*<br />
La materia dell’origine<br />
“La cacca, pian piano, si trasforma in concime che serve alle piante che possono<br />
dare frutti e poi serve anche a noi perché possiamo mangiarli. La cacca non è poi<br />
così sporca!!”<br />
Questa affermazione di una bambina di classe quarta elementare, è emersa spontaneamente<br />
dopo tutta l’attività ludico-creativa effettuata in aula sul “viaggio del cibo”.<br />
Premetto che la mia adesione ad una progettazione sul tema della sessualità infantile era<br />
molto motivata in quanto, negli anni passati, entravano nelle classi preparatissimi esperti<br />
esterni che tenevano con i bambini corsi di educazione sessuale. Chiusa questa breve ed<br />
intensa parentesi, i bambini alla loro insegnante di scienze dimostravano di aver compreso<br />
bene quali erano gli organi maschili e femminili preposti alla riproduzione. Punto e basta.<br />
Le famiglie, tutto sommato, erano soddisfatte per essere state esonerate dallo spiegare ai<br />
propri figli un argomento difficile da affrontare. Tutto questo, come insegnante, mi stava<br />
un po’ stretto; ecco perché, quando l’anno scorso mi è stata data l’opportunità di poter<br />
trattare nella mia classe un argomento così importante che riguardava la sfera della<br />
sessualità, degli affetti, <strong>delle</strong> relazioni, del rapporto mente-corpo, mi sono detta che<br />
probabilmente, aiutata con un corso di formazione per insegnanti da una psicologa<br />
psicoterapeuta, sarei riuscita a relazionarmi meglio con i miei alunni, a dare ascolto ai loro<br />
bisogni, ad accogliere le ansie o i disagi, le curiosità, cercando di trasformarle creativamente.<br />
Sembra semplice da dirsi ma… sul campo è tutt’altra cosa. Diceva Sepùlveda nel suo<br />
celebre libro “Storia di una gabbianella …” “Che vola solo chi osa farlo” 1 . Ed io ho osato<br />
cominciando a parlare con i bambini dei loro sogni futuri; nei loro racconti c’era una miscellanza<br />
di aspettative e di immagini evocative di sogni notturni che, raccontati dalle loro<br />
bocche, rivelavano <strong>paure</strong> di personaggi cattivi o di animali che li divoravano.<br />
Una volta “messe fuori” queste <strong>paure</strong>, i bambini hanno disegnato le bocche che mangiano.<br />
C’erano bocche aggressive con tantissimi denti che divoravano oggetti di ogni<br />
tipo; ce n’erano altre fiorite, sdentate e con lingue lunghe; altre ancora a tre piani con<br />
forme umane all’interno.<br />
Tra le tante cose concrete che i bambini, attraverso la fantasia del disegno avevano<br />
espresso, si potevano individuare dei “geroglifici” da intendersi come simboli sessuali.<br />
La progettazione in classe è continuata quando ho chiesto le associazioni che suscitavano<br />
in loro la parola MANGIARE (brain storming); i termini emersi li ho selezionati assieme<br />
ai bambini in categorie (sentimenti, corpo, relazioni, fantasie).<br />
*AUTRICE<br />
Ronchi Adriana - docente di scuola elementare – ha maturato una lunga esperienza come formatrice IRRSAE ed è inserita nella graduatoria<br />
dei tutors della Facoltà di Scienze della Formazione presso l’Università di Udine. Insegna antropologia<br />
1 L. Sepùlveda:”Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare”, pag. 1<strong>26</strong>, Ed.Salani, 1997<br />
187
La materia dell’origine<br />
Sono emersi tantissimi termini che non avrebbero mai osato pronunciare se non avessero<br />
avuto l’assicurazione da parte mia di sentirsi liberi di “buttare fuori” tutto quello che<br />
sentivano dentro.<br />
Il gioco è proseguito disegnando il viaggio che fa il cibo dentro il corpo (metafora sia<br />
fisico-corporale, sia di un viaggio psicologico: trasformazione in un qualcosa d’altro che<br />
viene prima introitato, poi digerito e alla fine espulso).<br />
Tenendo presente la principale <strong>delle</strong> teorie sessuali infantili secondo cui “i bambini si<br />
concepiscono mangiando certe cose e si partoriscono con l’intestino, come le feci2 ”, ho ritenuto<br />
importante a questo punto sollecitare nel bambino <strong>delle</strong> associazioni creative, mettendolo<br />
cioè in grado di far coincidere l’oggetto dell’espulsione (“la cacca”) come una “nascita”.<br />
Le teorie sessuali infantili si sorreggono, infatti, sulla convinzione della<br />
equivalenza: bambino = feci = pene, che traduce il pensiero secondo cui il cibo mangiato<br />
(sorta di fecondazione orale), nella pancia diventa un bambino, per cui questo stesso<br />
bambino entra ed esce dai due unici orifizi che il bambino conosce.<br />
Ciò che hanno prodotto graficamente i miei alunni mi ha permesso di leggere i loro elaborati<br />
con occhi diversi.<br />
M. scrive: “Io pensavo che quando la mamma e il papà si davano un affettuoso bacio, dal<br />
corpo del papà entravano in quello della mamma tanti e piccoli insettini. Dopo<br />
arrivavano in una stanza calda dove questi piccoli insetti entravano in una grande<br />
palla: ero io!”.<br />
G. “La mamma ha mangiato e mi sono formata nella sua pancia e dopo sono uscita da<br />
un suo buco. Mi sono trovata all’ospedale, ho avuto paura, l’ambiente era luminoso<br />
e freddo”.<br />
Nel disegno dell’ultimo testo, la bambina scambia l’orifizio facendo uscire il neonato<br />
attraverso il retto. Quello che potrebbe essere considerato uno “sbaglio”, di fatto non è<br />
un errore di tipo scientifico, ma la conferma <strong>delle</strong> teorie sessuali infantili secondo cui<br />
“….i bambini si partoriscono con l’intestino come le feci….”.<br />
I disegni dei bambini mi hanno indirettamente confermato la corrispondenza tra la teoria<br />
e il reale pensiero infantile sulla sessualità.<br />
Riprendendo il punto in cui inizia il viaggio che porterà alla nascita, le bocche che i<br />
bambini avevano disegnato, rivelavano diversi atteggiamenti che sono riconducibili alle<br />
fantasie del bambino; c’erano bocche che mangiavano con voracità, rapidità, masticando,<br />
leccando... Ecco cosa hanno scritto:<br />
A. “La bocca che ho disegnato mangia di tutto perché ha fame: polli, pizze,lattine di cocacola”.<br />
B. “Questa bocca è una specie di giardino fiorito: profuma di cose buone che ha mangiato<br />
e se le tiene in bocca per gustarsele per sempre”.<br />
C. “C’era una volta una bocca che mangiava sempre. Un giorno incontrò un villaggio e lo<br />
mangiò, però fece indigestione e scoppiò”.<br />
D. “C’era una volta una bocca che mangiava di tutto, le sue gambe erano fatte di vomito<br />
e le sue braccia di sputo”.<br />
E. “Una volta ho incontrato per strada una bocca che aveva molta fame; appena arrivata<br />
davanti al supermercato provò ad entrare, ma era troppo grassa e fece fatica a passare<br />
per la porta. Dopo due ore riuscì a passare. Rubò tutto e, di corsa, scappò mangiando<br />
tutto in pochi minuti”.<br />
2 S. Freud: 3 saggi sulla teoria sessuale, Opere, Vol. 4 0 , 1905<br />
188<br />
Sarà servito ai bambini riscoprire nelle fiabe le immagini che nella loro fantasia disegnavano<br />
sotto forma di figure?<br />
L’ immaginario dei bambini, attraverso l’utilizzazione fatta nelle precedenti attività<br />
ludico-creative (bocca, viaggio del cibo) della fiaba, ha fatto emergere l’esigenza di un<br />
finale che di solito recita “….e vissero felici e contenti”.<br />
Il materiale che i bambini mi avevano offerto era una grossa comunicazione rispetto alla<br />
loro capacità di trasformare creativamente.<br />
Mi sono resa conto che era possibile creare quella condivisione teorica e didattica, per cui<br />
le “cose” possono non solo essere trattenute, ma anche trasformate.<br />
Nella “cacca” tutto questo si realizza come gesto di creazione, qualora il bambino si<br />
conceda di vivere la “cacca” stessa come un dono.<br />
Tutto ciò, ovviamente, non ha un significato letterale, ma va visto come evoluzione del<br />
pensiero del bambino che, attraverso la capacità trasformativa, dà spazio alla sua creatività.<br />
In questo senso, se la nascita del bambino corrisponde nel pensiero infantile alla “cacca”,<br />
ciò significa più precisamente che il bambino, durante il suo sviluppo libidico, potrà<br />
assumere la sua identità sessuale come derivato di una creazione (vedi equivalenza:<br />
bambino=cacca=pene).<br />
Mi sono resa quindi conto che il clima creatosi in classe era quello di una richiesta da<br />
parte dei bambini di riabilitare, di trasformare quella cacca così preziosa che aveva<br />
riempito i disegni dei bambini.<br />
Questa esperienza della “cacca riabilitata” li ha indotti a raffigurarla spontaneamente sia<br />
attraverso disegni raccontati, sia attraverso un simbolo:<br />
LA SPIRALE<br />
La materia dell’origine<br />
Partendo dalla parola centrale scritta alla lavagna, i bambini, attraverso la associazione<br />
libera di parole (tecnica del brain storming), sono venuti a turno a scrivere altre parole<br />
che, pian piano, hanno assunto la forma di un simbolo che andava man mano<br />
allargandosi, lasciandosi alle spalle la materia di scarto che caratterizzava l’origine, per<br />
arrivare al culmine del cibo ritrovato.<br />
Mi sembra opportuno, a questo punto, dare la “parola” ai bambini, proprio perché,<br />
attraverso gli elaborati prodotti dalla loro fantasia, possono rendere più esplicito a noi<br />
adulti-educatori quel messaggio di voler e/o poter riabilitare quella cacca che, partendo<br />
da una situazione di negatività, attraverso un ciclo biologico ma non solo, può ritornare<br />
ad essere cibo per la bocca.<br />
189
La materia dell’origine<br />
Per il noto presupposto che “nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma” 3 ,<br />
questo processo di evoluzione ha “alimentato” e maturato anche la loro mente.<br />
Mario, nella sua spirale scrive: “cacca-puzzetta-puzza-water-fogna-tubo dell’autoespurgo-camion<br />
autoespurgo-fabbrica-cacca lavorata-camion che sparge il letame-semi-granocamion<br />
che va a prendere il grano-il grano viene messo in scatola-il grano viene vendutoil<br />
grano ci sfama e ci soddisfa e cioè è CIBO”.<br />
Il tutto viene rappresentato graficamente: in primo piano un uomo porta a passeggio un<br />
cane in un campo arato: ha i pantaloni calati e gli stanno uscendo gli escrementi; più in<br />
là c’è già una piccola piantina che sta crescendo.<br />
Sandra ha elaborato una spirale formata da disegni: 1° una cacca molto scura, 2° una<br />
spirale a molla verticale di colore giallo (“scoreggia”), 3° una serie di linee curve parallele<br />
in verticale per raffigurare la “puzza”, 4° un tunnel verde scuro riempito di cacca<br />
(“fogna”), 5° un pezzo di terreno marrone (“concime”) e sopra una mano che semina,<br />
6° una “pianta” che germoglia, 7° “verdura o frutta” di un bel verde chiaro, 8° infine una<br />
bambina che mangia.<br />
Michele: sempre partendo dal termine “cacca”, il bambino è arrivato alla TRA-<br />
SFORMAZIONE in CIBO, facendolo giungere in un ambiente confortevole, sicuro: la<br />
CASA.<br />
Nel disegno ha poi illustrato la coscia posteriore di un cavallo color marrone con la coda<br />
alzata, un escremento in uscita e, a fianco, una coloratissima pannocchia matura.<br />
Altri bambini hanno preferito soltanto disegnare, dare un titolo all’espressione iconografica<br />
e scrivere un commento o un breve testo.<br />
“LA SPIRALE DEPURATORE”: viene raffigurato un nucleo centrale a forma di spirale<br />
(di colore marrone) dal quale dipartono sei frecce: quattro indicano animali (coccodrillo,<br />
tigre, leone, serpente) che portano all’interno una spirale di cacca marrone; la quinta<br />
freccia segnala un uomo; la sesta va verso un albero fiorito che produce frutti. Scrive<br />
Flavia: “la cacca non sempre è cosa brutta, perché serve alle piante, perché viene<br />
trasformata in concime, perciò gli erbivori possono mangiare e anche i carnivori che<br />
appunto mangiano gli erbivori, si possono saziare”.<br />
“PUZZA PROFUMATA”: è disegnato un water con la tavoletta alzata e si intravedono<br />
escrementi che, pian piano, attraversano un lungo tunnel rosa nel quale c’è uno scintillio<br />
di colori e suoni onomatopeici (BUM! …). Il tunnel si fa più stretto e gli escrementi<br />
assumono altri colori più delicati, giungendo infine in una aiuola disseminata di fiori,<br />
farfalle e cuori. Scrive Gianna: “la cacca non ha un buon odore ma, con una trasformazione<br />
(BUM!!!) dà concime alla pianta che dà frutti ed è alimento per le farfalle che<br />
portano amore”.<br />
“LA MUTAZIONE DELLA CACCA” “l’animale fa la cacca che va nell’autospurgo e<br />
viene poi trasformata in concime; questo viene dato alle piante che poi faranno l’insalata.<br />
MORALE: non tutta la cacca è schifosa.”<br />
3 A:L.Lavoisier, Principio della conservazione della massa nelle reazioni chimiche, 1790<br />
190<br />
La materia dell’origine<br />
“UNA SPIRALE, UNA EVOLUZIONE” “1°: non tutta la cacca non serve perché può<br />
essere alimento per la terra e le piantine che vi crescono;<br />
2°: ah, dimenticavo, può essere utile per il nostro palato!”<br />
“LA SPIRALE DELLE SCHIFEZZE… FINO AL CIBO” “C’è un albero puzzolente<br />
che al posto di avere le foglie ha la cacca, poi con vari tipi di cacche diventa un albero<br />
bello, sano, straordinario.”<br />
“GLI USI DELLA CACCA” “anche la cacca ha un ciclo!”<br />
Il lavoro di questo progetto mi ha consentito queste verifiche che mi sono state suggerite<br />
proprio dai bambini.<br />
“Ho potuto dire certe cose che non credevo di ricordare più.”<br />
“Mi sono sentito liberato e non avevo più vergogna di parlare di certe cose anche davanti<br />
ai miei compagni.”<br />
“Pensavo di essere la sola a non sapere certe cose e mi vergognavo; ora non più.”<br />
“Non credevo che anche altri compagni avessero le mie <strong>paure</strong>: allora sono come gli altri!”<br />
Questi sono i bambini della latenza che si stanno avviando verso la maturazione sessuale;<br />
cominciano pertanto a sentire i primi cambiamenti del corpo e l’immagine del loro sé<br />
corporeo si va modificando e dovrà giungere ad una integrazione con l’irrinunciabile<br />
identità sessuale che dovranno assumere.<br />
Lavorare su un aspetto così importante come quello della creatività, della elaborazione,<br />
della trasformazione, mi ha permesso di raggiungere degli obiettivi, quali:<br />
permettere che i bambini parlino di sé;<br />
permettere che i bambini parlino in gruppo;<br />
potenziare in loro fiducia e autostima;<br />
riuscire ad esternare le proprie <strong>paure</strong>, socializzarle e scoprire che sono anche degli altri.<br />
In sintesi socializzare al fine di relazionarsi.<br />
Dopo questa attività, penso che lavorare sugli aspetti della sessualità non significa trattare<br />
il corpo fisico e le sue trasformazioni reali, di cui tutti i bambini hanno già tanta<br />
conoscenza, ma lavorare sui vissuti del corpo, su come il bambino si vive nelle sue<br />
trasformazioni corporee; dunque un lavoro sui vissuti del corpo.<br />
Questa direzione di lavoro mi ha permesso così di accompagnare i bambini nel loro<br />
passaggio di crescita.<br />
191
Scuola Elementare Madre Teresa di Calcutta<br />
Cecchini di Pasiano<br />
Le fantasie sulla nascita<br />
Laura Altan - Ornella Galluzzo
Le fantasie sulla nascita*<br />
Le fantasie sulla nascita<br />
Dopo aver disegnato il viaggio fantastico del cibo all’interno del corpo umano e prima di<br />
affrontare lo studio dell’apparato riproduttore maschile e femminile, si è ritenuto<br />
importante rilevare, attraverso il disegno e la conversazione, le idee pregresse che i bambini<br />
avevano sulla loro nascita.<br />
A partire dai quattro anni di vita, essi elaborano numerose teorie circa la loro venuta al<br />
mondo.<br />
Quello che immaginano, secondo le teorie sessuali infantili, è funzione della loro<br />
rappresentazione del mondo e questa è il risultato della loro intelligente (“geniale”<br />
secondo Freud) ricerca e scoperta circa i quesiti fondamentali della vita e della morte.<br />
Esse sono fondamentali perché a seconda del tipo di fantasia sviluppata e potendola<br />
sostituire nel tempo, permettono l’evoluzione e la crescita della creatività. Il bambino<br />
passa da una fase in cui le sue fantasie sono di tipo magico-fenomenico e per lui<br />
qualunque cosa può dare origine ad un’altra, ad esempio la fecondazione può essere<br />
dovuta ad un cibo mangiato, alla fase in cui riconosce la nascita come un evento naturale.<br />
Conversando tra loro e con l’insegnante, gli alunni hanno potuto evocare le spiegazioni<br />
fantastiche che, da piccoli, avevano elaborato in merito a questo grande interrogativo: “<br />
Come sono nato?”<br />
Dopo la conversazione, ognuno ha rappresentato le proprie fantasie con il disegno,<br />
usando la tecnica ed i colori preferiti. Gli elaborati sono stati poi completati da una breve,<br />
ma significativa spiegazione scritta.<br />
Nei disegni si è ritrovata la classica fantasia dei bambini giunti al mondo a bordo di una<br />
cicogna e quella, più insolita, dei neonati arrivati dal cielo alla terra attraverso due tubi,<br />
ovviamente rosa e celeste.<br />
Alcuni alunni erano convinti di essere stati acquistati dai genitori in speciali negozi; altri<br />
di essere stati trovati dal papà o dalla mamma nel cassonetto <strong>delle</strong> immondizie: “... mia<br />
mamma mi diceva che era andata a gettare le immondizie nel cassonetto e mi aveva<br />
trovato. Avevo tre giorni ed ero coperto bene. Mio papà era sul tetto e quando ha saputo la<br />
notizia, è sceso giù dal camino anche se la stufa era accesa.”<br />
Una bambina pensava di essere stata concepita così: “...Quando mamma e papà si davano<br />
un affettuoso bacio, dal corpo del papà entravano in quello della mamma tanti piccoli<br />
insettini. Dopo arrivavano in una stanza calda dove questi piccoli insetti entravano in una<br />
grande palla: ero io!”<br />
Le fantasie illustrate dai bambini sono tipiche del periodo di latenza ossia dell’età in cui<br />
frequentano la scuola elementare. È evidente come l’aspetto riguardante la sessualità,<br />
venga rimosso cioè si può nascere da un cassonetto, si può essere messi al mondo<br />
*LE AUTRICI<br />
Altan Laura - docente di scuola elementare - insegna matematica, scienza e musica<br />
Galluzzo Ornella – docente di scuola elementare - insegna lingua italiana, antropologia, educazione all’immagine<br />
195
Le fantasie sulla nascita<br />
scendendo da un tubo, tutto fuorché essere generati da un rapporto sessuale. La<br />
fecondazione può avvenire anche oralmente: i bambini si concepiscono mangiando certe<br />
cose, il papà può passare il seme alla mamma con il bacio e questa è la principale <strong>delle</strong><br />
teorie sessuali infantili.<br />
In alcuni casi papà e mamma sono estranei alla “fabbricazione del bambino”, in altri c’è<br />
la loro partecipazione, ma senza unione genitale. Ciò può far capire la difficoltà di<br />
elaborare i vissuti della fase edipica. Il tubo, il cassonetto, sono immagini residuali che<br />
provengono dai tempi dell’Edipo e il bambino utilizzandole, ci mostra i segni “le turbolenze”,<br />
i primordi della pubertà.<br />
I vari elaborati, esposti su un cartellone, sono stati oggetto di osservazione, fonte di<br />
riflessioni e commenti da parte degli alunni. Si è così creato nella classe un clima emotivo<br />
adatto a chiarire, precisare, organizzare ed arricchire le conoscenze di ognuno relative alla<br />
nascita di un nuovo essere umano. L’aver affrontato questi argomenti collegandoli ai<br />
propri vissuti, alla propria affettività, lasciando che ognuno esprimesse emozioni, pensieri,<br />
attraverso il racconto orale e il linguaggio iconico, ha fatto in modo che le conoscenze<br />
scientifiche che i bambini via via avrebbero acquisito sul loro corpo, non rimanessero<br />
<strong>delle</strong> sterili informazioni scollegate dalla loro parte emotiva, nozioni slegate dal personale<br />
contesto affettivo.<br />
Un’alunna, terminato il lavoro, ha così sintetizzato la propria esperienza: “Io sapevo già<br />
tutte queste cose, ma avevo in testa un puzzle con le tessere disordinate, dopo queste attività<br />
sono riuscita a metterle al posto giusto.”<br />
196<br />
Scuola Elementare<br />
Padre Marco d’Aviano<br />
La storia impossibile<br />
Maria Grazia Russo, Marina Zanzot
La storia impossibile*<br />
Premessa<br />
L’attività interdisciplinare (LI – EI – SC) è nata dall’esigenza manifestata dai ragazzi di<br />
avere occasioni di confronto con i coetanei in merito alla conoscenza di sé, determinata<br />
dal loro sviluppo psico fisico.<br />
Noi insegnanti, d’altra parte, c’eravamo accorte che la nascente curiosità di “scoprire” il<br />
proprio corpo e quello dell’altro era occasione di atteggiamenti errati, che talvolta<br />
scatenavano reazioni aggressive nel gruppo.<br />
Lo scopo principale era, dunque, quello di far emergere: le sensazioni, i desideri, le <strong>paure</strong>,<br />
le curiosità, le angosce che ciascuno portava dentro e non aveva il coraggio di esprimere<br />
apertamente.<br />
Volevamo inoltre aiutare i ragazzi ad esplorare all’interno di sé le proprie contraddizioni<br />
cercando di far emergere pregiudizi e false conoscenze.<br />
Inoltre era stata fatta esplicita richiesta da parte di alcuni genitori, che trovavano difficoltà<br />
ad affrontare problematiche relative alla sfera sessuale, laddove i figli riuscivano a parlarne.<br />
OBIETTIVI<br />
1 favorire l’integrazione nel gruppo ed il superamento degli stereotipi sessuali;<br />
2 aiutare gli alunni ad acquisire la consapevolezza dei loro sentimenti;<br />
Tramite l’esperienza del circle-time.<br />
3 sviluppare il pensiero creativo;<br />
4 leggere i simboli;<br />
5 Rendere più consapevole l’immagine di sé. Tramite l’immaginazione.<br />
ATTIVAZIONE I<br />
La storia impossibile<br />
Somministrazione del sociogramma (di Moreno) che ci ha permesso di identificare la rete<br />
di relazioni all’interno del gruppo.<br />
DIALOGHI NOTTURNI (Osserviamo gli animali, Mondadori)<br />
“Ai piedi del salice e lungo la siepe d’acero che circonda il giardino brillano, nella tiepida<br />
sera estiva, piccole luci intermittenti. Minuscoli punti luminosi occhieggiano da terra.<br />
Questa sera assistiamo ai dialoghi d’amore <strong>delle</strong> lucciole.<br />
I maschi volano lenti al di sopra <strong>delle</strong> erbe o al margine dei cespugli, emettendo lampi di<br />
*LE AUTRICI<br />
Russo Maria Grazia – docente di scuola elementare – ha conseguito il diploma di specializzazione polivalente. Insegna lingua italiana<br />
e matematica<br />
Zanzot Marina - docente di scuola elementare – insegna matematica e scienze<br />
199
La storia impossibile<br />
luci a intervalli regolari. A terra o sui rami più bassi stanno le femmine, pesanti e lente<br />
come larve, con le ali spesso ridotte a moscerini invisibili.<br />
Ma anch’esse possiedono una lanterna capace di brillare nella notte.<br />
Al primo lampo di luce che balena dall’alto, la femmina fa eco con un altro lampo.<br />
Il maschio si avvicina ancora, in volo, e continua a segnalare la sua presenza con emissioni<br />
di luce. A ogni lampo dall’alto risponde, regolare e preciso, un lampo da terra.<br />
Maschio e femmina si parlano, in un muto linguaggio fatto di guizzi di luce che si<br />
alternano a pause di buio, scandite con somma precisione.<br />
È difficile che ci si confonda, che a un tipo di luce corrisponda un tipo di luce diverso.”<br />
- Lettura del testo, corredata da un’immagine rappresentante un albero illuminato<br />
dalle lucciole.<br />
- Conversazione clinica in circle-time, mirata ad esplorare le conoscenze spontanee<br />
degli alunni.<br />
Domanda stimolo: “Nei dialoghi d’amore cosa si diranno le lucciole?”<br />
Ecco alcune risposte:<br />
• Sei stupenda.<br />
• Ti invito a cena.<br />
• Ti voglio bene..<br />
• Mi vuoi sposare?<br />
• Ti vuoi accoppiare con me?<br />
• Vuoi fare un figlio con me?<br />
• Ti posso baciare?<br />
• Hai l’amante?<br />
• Sei vergine?<br />
• Hai il preservativo?<br />
• Non si dice preservativo, si chiama profilattico.<br />
• Serve per non avere figli.<br />
Le insegnanti accolgono tutte le risposte.<br />
OSSERVAZIONI<br />
Appare evidente che le risposte degli alunni sono state più “spontanee”.<br />
Questo ci ha incoraggiate a proseguire nel nostro lavoro e ci ha dato la conferma di<br />
quanto fosse necessario per loro “parlare apertamente”.<br />
200<br />
ATTIVAZIONE II<br />
• LA STORIA IMPOSSIBILE (G. Rifelli) 1<br />
• OBIETTIVI<br />
1. Acquisire la consapevolezza che il comportamento umano è determinato da vari<br />
fattori.<br />
2. Distinguere gli impulsi istintivi (propri degli animali) dagli aspetti culturali (di chi<br />
possiede il linguaggio).<br />
1 Tratto da Rifelli, 1987, pag. 57.<br />
3. Riflettere su come i nostri comportamenti vengano influenzati dall’ambiente dalla<br />
“governance”.<br />
4. Prendere coscienza <strong>delle</strong> regole e dell’ordine nella vita dell’uomo.<br />
METODOLOGIA<br />
- Lettura collettiva.<br />
- Lavoro per piccoli gruppi.<br />
- Discussione in circle-time.<br />
La storia impossibile<br />
PERCORSO<br />
Lettura collettiva della storia (ogni alunno possiede fotocopia del testo): “Forse era nato<br />
da poco, di certo era molto piccolo quando venne abbandonato ed era cresciuto da solo,<br />
protetto dal bosco ed in compagnia degli animali. Si nutriva di latte, di erbe e di frutta<br />
bevendo poi l’acqua piovana che si raccoglieva in larghe foglie a forma di calice. Non aveva<br />
bisogno di abiti e solo di notte, qualche volta, scompariva dentro mucchi di fogli secche.<br />
Gli piaceva camminare nel bosco per scoprirne gli angoli nascosti, rincorrere gli animali e<br />
arrampicarsi sulla cima degli alberi più alti. Aveva passato momenti di paura ma ormai,<br />
erano trascorsi forse vent’anni, si sentiva sicuro.<br />
Da qualche tempo aveva preso l’abitudine di recarsi al margine del bosco dove scorreva un<br />
ruscello le cui acque sembravano dissetarlo assai meglio di quelle raccolte nelle larghe foglie<br />
a forma di calice. Al di là del ruscello si vedevano ancora alberi e cespugli, di certo un altro<br />
bosco, probabilmente simile al suo, ma non aveva mai superato quello stretto corso d’acqua,<br />
anche se rimaneva spesso lì a guardare, fantasticando. Nell’altro bosco era avvenuto<br />
qualcosa di simile: una bambina forse nata da poco, di certo molto piccola, era cresciuta da<br />
sola. Anche per lei erano trascorsi vent’anni, anche lei si era nutrita di latte, di erba e di<br />
frutta; non aveva bisogno di abiti e si copriva di notte con le foglie secche. Anche lei amava<br />
camminare nel bosco, rincorrere gli animali, salire sugli alberi più alti e, da qualche tempo,<br />
anche lei aveva scoperto quel ruscello, dove andava di tanto in tanto, perché l’acqua<br />
sembrava dissetarla meglio, e perché era incuriosita da quegli alberi e cespugli che vedeva di<br />
fronte.<br />
Per diverso tempo i due giovani andarono al ruscello senza incontrarsi, fino a quando, un<br />
giorno, si trovarono improvvisamente uno di fronte all’altro…”<br />
Prima discussione sul significato del testo.<br />
Lavoro di completamento della storia (gli alunni sono divisi in piccoli gruppi, nei quali<br />
viene nominato un coordinatore e un segretario; ognuno possiede la fotocopia del testo).<br />
TESTI PRODOTTI<br />
GRUPPO A<br />
…Appena si videro si spaventarono a morte, gridarono e si nascosero. Si rividero e scoppiò<br />
un colpo di fulmine. Il ragazzo invitò la ragazza nella sua parte di foresta e si baciarono.<br />
Il giorno dopo incontrarono il gorilla-prete della foresta che gli chiese se si volevano sposare:-<br />
Uga, uga? Gli altri risposero: - Ci Puga Buga Busilli Busillis Ovus Colus (cioè: è ancora<br />
presto per sposarsi).<br />
Dopo due anni il prete tornò dall’uomo e gli richiese:- Uga, uga? (cioè se voleva sposare la<br />
donna). L’uomo rispose: - Cipuga Bula Luga Busilli Busillis Ovus Es (Ok sono pronto per<br />
sposarla). Dopo una lunga cerimonia i due si poterono baciare, però il prete-gorilla si mise<br />
in mezzo e si fece baciare dai due. La canzone per la cerimonia fu: Musachivalamba tue yè<br />
tue yelana tue yè.<br />
201
La storia impossibile<br />
Da questo fatto nacque la leggenda di Tarzan e Jene e del figlio adottato Cita!<br />
GRUPPO B<br />
…ad un certo punto si spaventarono e scapparono, perché pensavano che non esistessero altre<br />
persone come loro. Il giorno dopo il maschio prese coraggio, saltò il ruscello e andò ad<br />
osservare, nascosto dietro un albero, la prima persona incontrata in tutta la sua vita..<br />
All’improvviso inciampò su una radice, lei sentì il rumore e si accorse che qualcuno la stava<br />
osservando. Andò verso di lui e incominciarono a conoscersi a gesti. Intanto i giorni<br />
passavano e la loro amicizia continuava a sbocciare. Durante la sera di un freddo giorno,<br />
mentre si facevano il bagno e si spruzzavano l’acqua come due pesci innamorati, e facevano<br />
balzi qua e là, un esercito di nuvole attaccò il sole e lo sconfisse, finché <strong>delle</strong> gocce d’acqua<br />
incominciarono ad accarezzare il terreno. Il ticchettio della pioggia si faceva sempre più<br />
minaccioso, così i due personaggi si rifugiarono in una buia grotta. Ad un certo punto una<br />
luce abbagliante svegliò i due selvaggi: era l’angioletto dell’amore…(momento di suspance).<br />
L’angioletto prese la freccia e l’arco e colpì i due ormai innamorati, loro per concludere il<br />
sogno si baciarono.<br />
Passarono alcuni mesi da quella stupenda nottata, i due innamorati si svegliarono a causa<br />
di un rumore assordante e sconosciuto… erano dei boscaioli che stavano abbattendo i folti<br />
alberi del maestoso e fitto bosco e smisero soltanto quando ebbero a disposizione tutti i tronchi<br />
che gli servivano. Allora i due rubarono un tronco e partirono per una avventurosa<br />
traversata. Alla fine, dopo una lunga settimana di viaggio e di digiuno, giunsero finalmente<br />
in una nuova terra; era un’isola piena di foreste. Appena arrivarono esplorarono l’isola e vi<br />
rimasero per sempre. Fecero due bei bambini che diedero inizio ad una nuova generazione.<br />
GRUPPO C<br />
…si guardarono attentamente, ma non capirono di essere della stessa specie. L’uomo<br />
incuriosito da lei, attraversò il corso d’acqua e con molto coraggio salì la sponda avvicinandosi<br />
cautamente alla ragazza.<br />
La ragazza era molto diffidente, così per la paura indietreggiò, ad un certo punto cominciò<br />
a correre verso il bosco e durante la corsa decise di salire su un albero. Il ragazzo<br />
prontamente la seguì e salì sull’albero insieme a lei, ma la donna si era rifugiata sulla cima,<br />
dove lui la raggiunse. Passarono del tempo insieme e lo impiegarono facendo gesti e versi.<br />
Dopo questo incontro diventarono amici e trascorsero molti anni della loro vita insieme. In<br />
questi anni si innamorarono e decisero di sposarsi in un modo differente dal nostro.<br />
Nacquero molti figli e quegli anni furono molto felici per la coppia; intanto i figli<br />
crescevano.<br />
Dopo un lungo periodo, la donna, dopo anni di sofferenza morì tragicamente per una<br />
malattia gravissima, lasciando il marito con i figli al loro triste destino.<br />
GRUPPO D<br />
…si guardano e comunicano attraverso la “voce”, che è come quella degli animali, si<br />
conoscono. Dopo un po’ di tempo, quando ormai si sono conosciuti, il ragazzo, attraverso i gesti,<br />
invita la ragazza dalla sua parte, per mostrarle il suo “habitat”.<br />
Il ragazzo le mostra un posto dove ci sono dei fiori appena sbocciati e ad un certo punto arriva<br />
un uomo armato che li cattura e li porta in città. Vengono portati in un museo e vengono<br />
esposti al pubblico. Dei naturalisti riescono a “liberarli” e insegnano ai ragazzi a parlare.<br />
Dopo un po’ di anni trovarono un lavoro, si sposarono e “portarono avanti” i figli e la casa<br />
con lo stipendio.<br />
202<br />
SOCIALIZZAZIONE<br />
in circle-time <strong>delle</strong> storie prodotte e discussione, attraverso domande stimolo:<br />
- quali sono i gesti che i due protagonisti compiono?<br />
- quali messaggi vogliono scambiarsi?<br />
- quali sono le prime reazioni?<br />
- qual è il valore di barriera del ruscello?<br />
- quale significato viene attribuito al bosco rifugio?<br />
- i due protagonisti sono nudi uno di fronte all’altro, proveranno vergogna?<br />
- da che cosa è prodotta la vergogna nell’essere nudi?<br />
SINTESI DELLA DISCUSSIONE<br />
Dalla discussione emergono:<br />
- la necessità di possedere un linguaggio e quindi una cultura diversa da quella dell’istinto<br />
per poter comunicare i propri sentimenti;<br />
- le dinamiche di comunicazione tra ragazzi e ragazze;<br />
- la necessità e l’importanza dell’amicizia;<br />
- la visione dell’amore finalizzato allo stare insieme per non essere soli;<br />
- la formazione di una famiglia;<br />
- il senso di vergogna che si prova a questa età nell’essere nudi;<br />
- il significato di “storia impossibile”: non è possibile che un genitore abbandoni o<br />
smarrisca il proprio figlio nel bosco.<br />
ATTIVAZIONE III<br />
CAOS e COSMO<br />
Riprendiamo “La storia impossibile” mettendo in evidenza le caratteristiche di una vita<br />
vissuta secondo NATURA (istinto, senza regole) e la vita a cui noi siamo abituati nella<br />
CIVILTÀ (regole, leggi, costumi).<br />
Dalla discussione arriviamo alle parole CAOS e COSMO<br />
BRAIN STORMING<br />
La storia impossibile<br />
CAOS COSMO<br />
Disordine, confusione Tutto ciò che è il contrario di<br />
caos<br />
cose messe male, casino in camera, calma, ordine,<br />
rumore forte come quello del trapano, silenzio,<br />
confusione mentale, una decisione presa che ti fa sentir<br />
bene,<br />
disordine dentro di me quando devo tutto ciò che cambia la situazione,<br />
prendere una decisione, ragazzi normali come noi, più o<br />
meno,<br />
incendio, inondazione, calamità naturale, le coppie maschio-femmina,<br />
vivere senza regole, in modo pericoloso, la famiglia,<br />
ladri, assassini, con problemi di testa, l’amore di una coppia,<br />
ubriachi, drogati, fumatori accaniti,<br />
persone che sono degli amanti,<br />
prostitute, pedofili, omosessuali.<br />
203
La storia impossibile<br />
OSSERVAZIONI<br />
Durante questo lavoro i bambini aprono una discussione sugli omosessuali, non tutti<br />
sono d’accordo di inserirli nel “caos”.<br />
Alcuni sostengono che non vivono secondo le “regole” perché gli uomini devono stare<br />
con le donne e perché così non c’è riproduzione.<br />
Altri, invece, argomentano che ognuno è libero di scegliere la propria vita e che ci può<br />
essere amore anche tra uomo e uomo e tra donna e donna. Un alunno dice di conoscere<br />
un omosessuale, che è una bravissima persona che fa del bene agli altri con le sue mani<br />
(pranoterapeuta).<br />
La discussione continua anche sui tossicodipendenti e gli alcolisti, i ragazzi cercano<br />
giustificazioni e motivazioni che li inducono a fare simili scelte: problemi familiari,<br />
personali, depressioni, cattive compagnie, curiosità, desiderio di dimenticare i propri<br />
guai…<br />
Si è avuto modo alla fine di riflettere sulla necessità <strong>delle</strong> “regole”.<br />
204<br />
ATTIVAZIONE IV<br />
DIALOGO TRA ARISTOFANE ED ERISSIMACO<br />
dal Simposio di Platone<br />
(Ogni alunno ha la fotocopia del testo)<br />
“…A me pare che gli uomini non abbiano assolutamente capito la potenza dell’amore; se<br />
l’avessero compresa, gli avrebbero edificato i templi più grandi…Ma preliminarmente voi<br />
dovete comprendere la natura umana e i suoi casi.<br />
Ebbene in antico la nostra natura non era la stessa di ora, bensì era diversa. In principio<br />
i sessi degli esseri umani erano tre, non due come adesso, maschile e femminile, ma in più<br />
ce n’era un terzo, che partecipava del maschile e femminile; ora è scomparso, anche se ne<br />
resta il nome… In quel tempo infatti c’era il sesso androgino, che condivideva la forma<br />
e il nome di entrambi, il maschile e il femminile, ma ora non ne resta appunto che il<br />
nome, usato in senso dispregiativo. In secondo luogo la figura di ciascuna persona era<br />
tutta rotonda, con il dorso e i fianchi formati in cerchio, e aveva quattro mani e<br />
altrettante gambe, sopra il collo tondo due facce simili in tutto;… E camminava in<br />
posizione eretta, come ora, ma quando si mettevano a correre, si slanciavano in tondo<br />
reggendosi sulle otto membra, come i saltimbanchi quando danzano in cerchio facendo<br />
la ruota con le gambe levate in su.<br />
E i sessi erano tre, in quanto il maschio ebbe origine dal sole, la femmina dalla terra, e il<br />
terzo sesso, che aveva elementi in comune con gli altri due, dalla luna, che partecipa<br />
appunto della natura del sole e della terra.<br />
Essi erano tondi, e tondo il loro modo di procedere, per somiglianza coi loro progenitori.<br />
Così erano terribili per forza e per vigore, e avevano ambizioni superbe, e attaccarono gli<br />
dei, e come dice Omero, si tramanda che tentarono di scalare il cielo, per assalire gli dei.<br />
Allora Zeus e gli altri dei discutevano su cosa fare di loro, ed erano nel dubbio: non<br />
potevano ucciderli e far scomparire la loro razza… giacché in tal caso sarebbero scomparsi<br />
anche gli onori e i sacrifici che gli uomini tributavano loro, né potevano lasciare che si<br />
scatenassero liberamente.<br />
Finalmente Zeus ebbe un’idea e disse: “Credo di aver trovato il modo perché gli uomini<br />
possano continuare ad esistere rinunciando però, una volta diventati più deboli, alle loro<br />
insolenze. Adesso li taglierò in due uno per uno, e così si indeboliranno e nel contempo,<br />
La storia impossibile<br />
raddoppiando il loro numero, diventeranno più utili a noi; e cammineranno eretti su due<br />
gambe. Se vedrò che continuano a imperversare e non intendono stare tranquilli, allora<br />
li taglierò nuovamente in due, di modo che debbano muoversi saltellando su una gamba<br />
sola.”<br />
Detto questo, cominciò a tagliare gli uomini in due, come si fa con le sorbe, prima di<br />
metterle sotto sale… e dava ordini ad Apollo di girare la faccia e la metà del collo dalla<br />
parte del taglio…; poi ordinò che li medicasse. E Apollo girò la loro faccia, e tirando da<br />
ogni parte la pelle verso quello che ora si chiama ventre, come si fa con le borse strette<br />
da un nodo, vi praticò una sola bocca annodandola nel mezzo del ventre, quello che ora<br />
si chiama ombelico…<br />
Ordunque, allorché la forma originaria fu tagliata in due, ciascuna metà aveva nostalgia<br />
dell’altra e la cercava; e così gettandosi le braccia intorno e annodandosi l’una all’altra per<br />
il desiderio di ricongiungersi nella stessa forma, morivano di fame e anche di inattività,<br />
poiché l’una non intendeva far nulla separata dall’altra… Allora Zeus si impietosì ed<br />
escogito un altro stratagemma: trasferì sul davanti le parti genitali che fino a quel<br />
momento tenevano anch’esse all’esterno e del resto non generavano né partorivano l’uno<br />
nell’altro bensì in terra, come le cicale, così dunque le trasferì sul davanti e fece sì che<br />
grazie ad esse generassero gli uni negli altri, mediante il sesso maschile dentro quello<br />
femminile, allo scopo che, nell’amplesso, se un uomo si imbatteva in una donna,<br />
generassero e ne avesse origine la discendenza…<br />
Pertanto ciascuno di noi, in quanto è stato tagliato come si fa con le sogliole, è la metà,<br />
il contrassegno, di un singolo essere; e naturalmente ciascuno cerca il contrassegno di se<br />
stesso. Di conseguenza gli uomini che sono il risultato del taglio di quell’insieme che<br />
allora si chiamava androgino, amano le donne,… e parimenti le donne amano gli uomini.<br />
Invece le donne che provengono dal taglio di donne provano scarsa inclinazione verso gli<br />
uomini, ma tendono piuttosto verso le altre donne… Infine quelli che sono taglio di<br />
maschio vanno a caccia dei maschi…<br />
Così quando uno si imbatte nella propria metà di un tempo, ecco che essi sono<br />
indicibilmente assaliti da affetto intimità passione, tanto da non volersi staccare gli uni<br />
dagli altri nemmeno per un istante. E questi sono coloro che rimangono insieme per tutta<br />
la vita, senza neppure saper dire che cosa vogliono che uno riceva dall’altro. Infatti non<br />
sembra assolutamente trattarsi del rapporto sessuale, come se stessero insieme l’uno<br />
accanto all’altro con tanta passione in vista di questa soddisfazione; in realtà è chiaro che<br />
l’anima di ciascuno dei due desidera qualcos’altro, che non sa esprimere… cioè<br />
congiugersi e fondersi con l’amato per diventare una cosa sola. E la ragione è appunto<br />
che la nostra natura originaria era quella, ed eravamo interi.<br />
Dunque al desiderio e alla ricerca dell’intero si dà nome amore… Amore è per noi giuda<br />
e generale”. 2<br />
SCOPO: ricercare insieme ai ragazzi come si potrebbe porre fine al disordine e al caos<br />
che a volte è dentro di noi.<br />
2 In PLATONE, Simposio, trad. di F. Ferrari, BUR, Milano, 1994, pag. 146 e sg.<br />
205
La storia impossibile<br />
Abbiamo cercato di fare <strong>delle</strong> ipotesi, poi siamo passati alla lettura del testo che ha<br />
interessato gli alunni, anche se molti non sono riusciti a coglierne i significati più<br />
profondi: l’amore come ricerca dell’altra metà, l’accenno all’omosessualità…<br />
Ci siamo rese conto che il brano, per la complessità dei contenuti e dei messaggi era di<br />
difficile comprensione; per questo motivo abbiamo ritenuto opportuno non insistere<br />
sulla sua analisi, invitando i bambini a rileggerlo con i genitori. Il nostro fine era quello<br />
di dare l’opportunità di aprire un dialogo sulle tematiche sessuali considerando che<br />
ancora molte famiglie affrontano con disagio ed imbarazzo la sessualità dei figli, mentre<br />
sempre di più si va affermando, anche a causa dei mass – media, la cultura del corpo e<br />
della sessualità come status symbol.<br />
206<br />
ATTIVAZIONE V<br />
VALUTAZIONE DEI RAGAZZI SUL LAVORO SVOLTO.<br />
Conversazione in circle – time.<br />
Prima domanda posta dall’insegnante: “Che cosa ne pensate del percorso svolto sulla<br />
conoscenza della sessualità, vi è piaciuto, vi siete sentiti bene o ci sono stati dei problemi?”<br />
• Sì, è stato bello perché abbiamo saltato le lezioni.<br />
• Non è stato solo quello il motivo, abbiamo potuto parlare liberamente e abbiamo potuto<br />
esprimere il nostro pensiero.<br />
• Abbiamo potuto soddisfare le nostre curiosità.<br />
• Parlare per me è stata una liberazione.<br />
• Abbiamo lavorato in modo diverso anche con voi insegnanti.<br />
• Ho imparato cose nuove che prima non sapevo.<br />
• Per me è stata un’esperienza nuova e positiva.<br />
• È un percorso che consiglio anche agli altri quando saranno in quinta.<br />
• Mi sono sentita un po’ a disagio nel parlare di queste cose davanti ai miei compagni e<br />
poi non sapevo come affrontare il discorso con la mamma, ma mi sono fatta coraggio, le<br />
ho parlato e mi ha spiegato tante cose.<br />
Seconda domanda posta dall’insegnante: “Avete parlato di quello che abbiamo fatto e<br />
degli argomenti che sono stati affrontati a scuola con i vostri genitori?”<br />
La maggioranza dei bambini dice di non averne parlato in famiglia, alcuni dicono di aver<br />
affrontato l’argomento, ma i genitori si sono limitati a commentare che era una cosa utile,<br />
solo pochi ne hanno discusso con un genitore affrontando successivamente un dialogo<br />
aperto.<br />
CONSIDERAZIONI FINALI.<br />
Questa esperienza ci ha fatto riflettere sulle teorie apprese durante il corso e, coinvolgendoci<br />
emotivamente ci ha dato la possibilità di vedere, in modo diverso i ragazzi, ed<br />
ha consentito loro di considerare le insegnanti come persone amiche con cui poter parlare<br />
di se stessi, di rendere esplicito tutto ciò che sentivano dentro che prima non avevano il<br />
coraggio di esprimere.<br />
Abbiamo dato loro la possibilità di “scoprire” che non è tanto difficile “uscire dal tempo<br />
magico dell’infanzia, dal tempo sospeso della latenza”, (caratterizzato dalla “rimozione<br />
La storia impossibile<br />
della sessualità: in cui i conflitti, le difficoltà, i sentimenti violenti del periodo Edipico,<br />
vengono lasciati in ombra): dal CAOS, determinato dal desiderio di essere grandi e da<br />
quelle trasformazioni fisiche che non consentono il riconoscimento del SÈ CORPOREO,<br />
nella sua integrità e nella sua costanza.<br />
Nascere all’adolescenza (nascere al tempo della genitalità) può essere, infatti, un evento<br />
in cui si presentano e riattualizzano antiche angosce che spingono l’IO del bambino a<br />
costruirsi una corazza protettiva.<br />
Ruolo della famiglia e della scuola è dunque, secondo Meltzer quello di “generare amore,<br />
promuovere speranza, contenere la sofferenza, pensare”, sempre secondo Meltzer “la<br />
figura materna (insegnante) sopporta – regge – contiene il peso <strong>delle</strong> proiezioni dei figli<br />
(alunni), e il padre (scuola – direzione – collegio docenti) vertebra, organizza la loro<br />
crescita”.<br />
È questo il periodo in cui il bambino in preda alla confusione del disordine pulsionale<br />
può uscirne solo se riesce ad “evacuare” gli aspetti intollerabili, ma ha bisogno di un<br />
“contenitore”, che Meltzer definisce “seno gabinetto”.<br />
La funzione del “seno gabinetto” (da parte del genitore/insegnante) è quella di<br />
accogliere, contenere, trasformare: l’indicibile in dicibile, il non pensiero in pensiero, il<br />
“terrificum” in spazio immaginabile.<br />
Forse, con il nostro intervento, abbiamo dato ai ragazzi questa possibilità. La loro<br />
sessualità non sarà vissuta nel buio della propria solitudine.<br />
BIBLIOGRAFIA<br />
Klein M., Invidia e gratitudine, Martinelli, 1994, Firenze.<br />
Freud S., Casi clinici 4. Il piccolo Hans, Bollati – Boringhieri, 1976, Torino.<br />
Gordon T., Insegnanti efficaci. Pratiche educative per insegnanti, genitori e studenti,<br />
Giunti Lisciani, 1991, Teramo.<br />
Marmocchi P.; Raffuzzi L., Le parole giuste, N. I. S., 1993, Roma.<br />
Meltzer D.; Harris M., Il ruolo educativo della famiglia, Centro scientifico editore, 1986.<br />
Petter G., Problemi psicologici della preadolescenza e dell’adolescenza, La Nuova Italia,<br />
1979, Firenze.<br />
207
Finito di stampare<br />
nel mese di febbraio 2001<br />
presso Graphic Group - Feltre
L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong>.<br />
La psicanalisi é uno spazio di pensiero importante in grado di orientare una didattica psico-affettiva<br />
nel campo della sessualità grazie alle specifiche competenze sull’inconscio, sullo sviluppo<br />
affettivo, sulle relazioni oggettuali. In tale orizzonte nasce questo libro che fonda le sue radici nel<br />
recupero <strong>delle</strong> immagini mitopoietiche per un possibile pensiero sull’enigma, l’origine, l’identità<br />
sessuale. La fiaba é lo scenario evocato per rivisitare, attraverso l’immaginazione pensante e un<br />
“pensare con il cuore”, i luoghi psichici che si dischiudono fra nascita e generatività in risonanza<br />
analogica tra stati mentali e sessualità. Le tracce che emergono nel testo portano a riconoscere al<br />
bambino la sua competenza di giudizio e alle teorie sessuali infantili il loro valore di “conoscenza<br />
geniale”. Pur essendo stato pensato per gli operatori del settore scolastico e sanitario, questo libro<br />
ha il pregio di offrire un contributo operativo nel campo dalla prevenzione, trattando la sessualità<br />
come aspetto integrante dell’unità psicosomatica della persona e dell’evoluzione degli affetti. Esso,<br />
inoltre, dà voce a vari interventi elaborati dai docenti che hanno introdotto nel loro “gesto<br />
psicopedagogico” la formazione alla sessualità, consentendone l’utilizzo per ulteriori esperienze.<br />
Lorena Fornasir:<br />
Psicologa, psicoterapeuta e sessuologa clinica, è responsabile del consultorio familiare del distretto<br />
sud dell’ASS nr. 6 “<strong>Friuli</strong> <strong>Occidentale</strong>”. Da anni si occupa di formazione dei docenti sulle<br />
tematiche dell’identità e della sessualità. Lavora come psicoterapeuta in ambito clinico ed è<br />
autrice e curatrice di una precedente pubblicazione su “Sessualità e Soggetto in adolescenza”.