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L'ombra perduta delle paure [pdf - 1,26 MB] - Friuli Occidentale

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L’ombra <strong>perduta</strong><br />

<strong>delle</strong> <strong>paure</strong>.<br />

“la sessualità infantile e l’arte della fiaba”<br />

a cura di<br />

Lorena Fornasir


Consultorio Familiare Distretto Sud A.S.S.n.6 “<strong>Friuli</strong> <strong>Occidentale</strong>”<br />

Provveditorato agli Studi di Pordenone<br />

Comitato Tecnico Provinciale per l’Educazione alla Salute<br />

L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong>.<br />

“la sessualità infantile e l’arte della fiaba”<br />

a cura di<br />

Lorena Fornasir


ISBN 88 900235 5 4<br />

Proprietà letteraria e artistica riservata.<br />

Riproduzione e traduzione anche parziali VIETATE.<br />

si ringrazia per aver reso possibile questa pubblicazione:<br />

TEND Marketing e Comunicazione<br />

Graphic Group - Feltre<br />

ed inoltre:<br />

Comitato Tecnico per l’Educazione alla Salute Provveditorato di Pordenone<br />

Banca FRIUL ADRIA di Pordenone<br />

VI<br />

VII<br />

IX<br />

XXV<br />

XXXVII<br />

5<br />

17<br />

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20<br />

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31<br />

indice<br />

a<br />

b<br />

A<br />

B<br />

C<br />

D<br />

E<br />

F<br />

PRESENTAZIONE<br />

Anna Furlan<br />

PRESENTAZIONE<br />

Antonella Venerus<br />

PREFAZIONE<br />

“PSICHE ED EROS”<br />

Renzo Mulato<br />

INTRODUZIONE A UN QUESTIONARIO DIFFICILE PERCHÉ<br />

RIGUARDANTE LUOGHI POCO INDAGATI NON CONTAMINATI<br />

DAL LOGOS<br />

Luigina Perosa<br />

PREMESSA AL QUESTIONARIO: INTIMITÀ COME EVENTO,<br />

SETTE PERCORSI DELL’ANIMA AL FEMMINILE<br />

commentati da Lorena Fornasir<br />

QUESTIONARIO E RISPOSTE ELABORATE DALLE INSEGNANTI<br />

Luigina Perosa<br />

IL PERCORSO FORMATIVO: L’IMMAGINAZIONE PENSANTE<br />

Lorena Fornasir<br />

PARTE PRIMA<br />

“L’O<strong>MB</strong>RA PERDUTA DELLE PAURE” – INTRODUZIONE<br />

Lorena Fornasir<br />

L’O<strong>MB</strong>RA E L’INCONSCIO<br />

LA CHIAVE DEL PENSIERO<br />

LE CRIPTE DELL’IDENTITÀ<br />

I FANTASMI DELL’ORALITÀ<br />

• la casa di marzapane e il corpo materno<br />

il lupo mannaro<br />

•<br />

LE BOCCHE DELL’ORALITÀ<br />

• “bouquet”<br />

• discarica<br />

• foresta<br />

• sandwich<br />

LE TRAPPOLE DELL’ORALITÀ<br />

• le stanze del claustrum<br />

Pelle d’Asino<br />


33<br />

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i<br />

l<br />

m<br />

TEORIE SESSUALI INFANTILI<br />

• essere il proprio padre con la propria madre<br />

• la pulsione epistemofilica<br />

• fecondazione orale<br />

• la bocca dello stomaco<br />

• “si nasce mangiando certe cose”<br />

• la nascita dall’ombelico<br />

• teoria della cloaca<br />

• confusione zonale<br />

ESITI DELL’EDIPO INFANTILE IN PUBERTÀ<br />

• la sessualità e il triangolo edipico: nascita con rastrello<br />

• sessualità e genitalità: nascita nel bidone <strong>delle</strong> immondizie<br />

SENTIERI DELLE TEORIE SESSUALI INFANTILI E LORO DESTINI<br />

• l’aspetto di pensiero della teoria della cloaca<br />

• la cloaca e l’uso del “contenitore”<br />

• l’evacuazione del pensiero e la teoria della cloaca<br />

• le armi letali e le teorie sessuali infantili in un pensiero sull’oralità<br />

EDIPO ALL’INCROCIO TRA SESSUALITÀ E IDENTITÀ<br />

i volti dell’identità sessuata<br />

GLI ENIGMI DELLA SFINGE<br />

LE TRE FASI DELLA SESSUALITÀ INFANTILE<br />

• La conoscenza tra fantasia e realtà ovvero la fase orale<br />

• L’origine erotica della creatività ovvero la fase anale<br />

• Il piccolo Hans ovvero la fase edipica in una rilettura del saggio di Freud<br />

STRUMENTI E METODI<br />

Undici tavole di lavoro<br />

PARTE SECONDA<br />

INTRODUZIONE AL LAVORO DIDATTICO<br />

Gianna Stellino<br />

L’INCONSCIO, IL BOSCO IL MISTERO<br />

Laura Altan, Flavia Bidoia, Ornella Galluzzo<br />

IL MISTERO<br />

Maria Elena Della Pietra<br />

LA FIABA DI HANSEL E GRETEL.<br />

FINALI DI TIPO DIVERSO<br />

Laura Altan, Flavia Bidoia, Ornella Galluzzo<br />

131<br />

143<br />

155<br />

165<br />

173<br />

185<br />

193<br />

197<br />

INCONTRI CON L’O<strong>MB</strong>RA<br />

Chiara Del Fabbro, Paola Fontana, Sonia Benvenuto<br />

SENTIERI DI O<strong>MB</strong>RE E DI LUCE<br />

Teresa Tassan Viol<br />

LE BOCCHE CHE MANGIANO<br />

Mirella Trevisiol, Marilena Quaia<br />

L’ESPLORAZIONE DEL CORPO<br />

Tiziana De Bortoli<br />

IL VIAGGIO DEL PENSIERO<br />

Gianna Stellino<br />

LA MATERIA DELL’ORIGINE<br />

Adriana Ronchi<br />

LE FANTASIE SULLA NASCITA<br />

Laura Altan, Ornella Galluzzo<br />

LA STORIA IMPOSSIBILE<br />

Maria Grazia Russo, Marina Zanzot


Presentazione Presentazione<br />

La stampa di questo libro rappresenta l’esito<br />

finale di un intenso ed impegnativo lavoro che ha<br />

trovato modo di concretizzarsi grazie ad una convinta<br />

e partecipata collaborazione tra il mondo<br />

della Sanità e quello della Scuola.<br />

Collaborazione convinta e partecipata al punto da<br />

riuscire a superare divergenze, resistenze e difficoltà<br />

che inevitabilmente sono emerse nel<br />

momento in cui ci si è avviati nella progettazione<br />

e nella realizzazione di un percorso formativo<br />

inteso a modificare in maniera radicale la situazione<br />

esistente, senz’altro più agevole sia per gli<br />

insegnanti sia per gli operatori sanitari.<br />

L’impegno comune ha dunque consentito di passare<br />

da un contesto caratterizzato da interventi di<br />

”Educazione Sessuale”, validi, ma non strutturati<br />

e comunque condotti nelle classi da operatori<br />

esterni, alla attuazione di un “Corso per<br />

Insegnanti <strong>delle</strong> Scuole Elementari sulla tematica<br />

della Sessualità Infantile” in grado di fornire ai<br />

docenti stessi gli strumenti di conoscenza teorici<br />

sulle principali caratteristiche psico - evolutive<br />

della prima e della seconda infanzia, unitamente<br />

alla acquisizione di una didattica sperimentale<br />

finalizzata a favorire una crescita relazionale -<br />

affettiva del bambino.<br />

Alla base di questa “rivoluzione” vi è il profondo<br />

convincimento che la sessualità non può essere<br />

trattata solo come un dato biologico, ma come ele-<br />

mento integrante dello sviluppo dell’intera personalità<br />

di un bambino.<br />

Per raggiungere questo ambizioso obiettivo formativo<br />

agli operatori della Scuola e della Sanità non basta<br />

certo essere solo bene preparati sotto il profilo<br />

tecnico - specialistico, ma diventa necessario anche<br />

essere adeguati, vale a dire saper coniugare assieme<br />

al sapere anche una profonda motivazione.<br />

Ritengo che questo “Lavoro”, frutto di tanto<br />

impegno e partecipazione, sia un’esemplare dimostrazione<br />

di “adeguatezza”, che può servire da<br />

stimolo, da spunto e da guida per tutti gli insegnanti<br />

che sentiranno di doversi impegnare in<br />

prima persona per affrontare un argomento tanto<br />

delicato, quanto cruciale, nello sviluppo della<br />

personalità del bambino.<br />

L’opportunità di questa presentazione, infine, mi<br />

consente di poter rivolgere un sentito complimento<br />

agli insegnanti che in questa “Fatica” hanno<br />

saputo dimostrare tutta la loro adeguatezza, oltre<br />

a fornirmi la possibilità di esprimere in maniera<br />

esplicita tutta la mia stima ed il mio personale<br />

ringraziamento alla dott.ssa Lorena Fornasir, che<br />

oltre al suo notevole impegno come psicologa<br />

e responsabile del Consultorio Familiare del<br />

Distretto Sud, è riuscita a dedicare tanto impegno<br />

e tenacia, prima nella conduzione del corso e poi<br />

nella realizzazione di questa valida pubblicazione.<br />

Dott.ssa Anna Furlan<br />

Direttore del Distretto Sud<br />

Azienda per i Servizi Sanitari<br />

n.6 “<strong>Friuli</strong> <strong>Occidentale</strong>”<br />

La quotidianità di chi vive oggi in grandi istituzioni<br />

in cambiamento si concretizza in un continuo<br />

confronto con la complessità.<br />

Rendere comunicabile un’esperienza presuppone<br />

un percorso invisibile ma articolato di azioni, approfondimenti<br />

ed elaborazioni successive.<br />

Con queste poche righe desidero esprimere, a<br />

nome dell’Ufficio Studi del Provveditorato e del<br />

Comitato Tecnico per l’Educazione alla Salute,<br />

un sentito apprezzamento a quanti hanno reso<br />

possibile l’esperienza del corso di formazione<br />

“La sessualità infantile e l’arte della fiaba” e<br />

questa pubblicazione.<br />

Riconoscere al bambino il diritto ad un benessere<br />

che si esprime a partire dallo sviluppo armonico<br />

della sua personalità, significa attribuire alla<br />

sessualità un ruolo essenziale.<br />

Approfondire la preparazione specifica dell’insegnante<br />

su un tema di così grande delicatezza è il<br />

motivo all’origine del percorso.<br />

Le insegnanti coinvolte hanno espresso una notevole<br />

sensibilità educativa che accompagnata<br />

dalla profonda professionalità della dott.ssa<br />

Lorena Fornasir ha reso possibile intessere un<br />

dialogo complesso e reciproco tra due culture, due<br />

competenze che utilizzano linguaggi e metodi non<br />

sempre reciprocamente comprensibili.<br />

La sapiente scelta di utilizzare la fiaba, codice che<br />

affonda sul mito e tocca in profondità l’essere, ha<br />

contribuito ad arricchire e facilitare il confronto.<br />

Nel farmi partecipe di tutti coloro che hanno<br />

contribuito a questo lavoro, auguro che sia un<br />

utile strumento di attività e di stimolo per ulteriori<br />

espressioni sul tema.<br />

Dott.ssa Antonella Venerus<br />

Referente per l’Ufficio Studi<br />

del Provveditorato<br />

Comitato Tecnico per l’Educazione<br />

alla Salute


Prefazione<br />

a cura di<br />

Renzo Mulato<br />

“Psiche ed Eros”<br />

La scuola come dimora problematica.<br />

1. Prologo.<br />

*Sulla differenza tra spiegare e comprendere.<br />

Va detto, in via preliminare, che il lavoro compiuto nel Corso di formazione è ammirevole<br />

per una sua peculiare dimensione etica e deontologica. Chi ha avuto la possibilità di<br />

osservare da vicino il dipanarsi della ricerca ha avvertito nei docenti la presenza costante del<br />

senso del limite e del rispetto per la presenza dell’ignoto. Hanno lavorato con allieve ed<br />

allievi su un tema complesso, fascinoso, delicato, senza compiere intrusioni e senza soggiacere<br />

a quella malattia pedagogica che possiamo denominare ‘epistemofilia’.<br />

Questo è già un evento, e di notevole rilievo, se si considera che è stato accompagnato dalla<br />

parsimonia con cui si sono usate le categorie dedotte dalla psicoanalisi di modello freudiano<br />

e dalla psicologia analitica di derivazione junghiana.<br />

L’ansia della spiegazione è stata rovesciata e si è trasformata in metodo di ricerca.<br />

Dobbiamo a Karl Jaspers, nella Psicopatologia generale (1913), una distinzione netta tra due<br />

percorsi: lo spiegare ed il comprendere. Con il primo si tende a trovare e trasmettere <strong>delle</strong><br />

relazioni causali, <strong>delle</strong> equazioni il cui nesso ci riveli le regole e le leggi del campo di<br />

indagine. Le scienze naturali sono all’origine di questa tendenza, che si è poi rovesciata sulla<br />

società intera: tutto deve essere catalogato, misurato, spiegato e quindi reso pronto all’uso,<br />

al consumo. Le società odierne sembrano essere dominate da una bronzea legge dell’accumulo<br />

<strong>delle</strong> nozioni, oltre che dei mezzi, e la scuola non poteva sfuggire a questo influsso.<br />

Avere resistito alla tentazione è un merito e aver scelto la via della comprensione equivale a<br />

percorrere una via più tortuosa, dove domina l’analogia più che la univocità, ma più<br />

adeguata ad avvicinarsi con circospezione al nocciolo oscuro della vita psichica di coloro che<br />

ci sono stati affidati. Diciamo avvicinarsi per escludere subito ogni presunzione di poter<br />

svelare l’ignoto che abita la sfera della sessualità e che va trattato come la dimensione del<br />

sacro per un credente. Comprendere, per Karl Jaspers, implica riconoscere che la oggettività<br />

dei processi che indaghiamo in questo campo resta sempre incompleta. Comprendere la<br />

realtà di un singolo processo equivale sempre ad interpretarlo, quindi ad agire intellettualmente<br />

in uno stato di perenne mescolanza tra l’indagante e l’indagato.<br />

* Renzo Mulato – Filosofo - Docente di discipline filosofiche presso il C.I.S.P.P. di Venezia, diretto da S. Resnik - Presidente della<br />

Associazione Culturale Metamorphosis.<br />

IX


Psiche ed Eros Renzo Mulato Psiche ed Eros Renzo Mulato<br />

Da qui la necessità di possedere uno spiccato senso del limite, che introduce nella ricerca<br />

una ineliminabile dimensione etica, capace di contenere la pulsione ad andare oltre l’orizzonte<br />

intravisto, che inevitabilmente si scatena ogniqualvolta un limite si interponga tra il<br />

singolo, o il gruppo, e l’orizzonte desiderato.<br />

*Ignoto, invisibile, indicibile.<br />

Il filo conduttore della ricerca non poteva essere più complesso: conduce direttamente nella<br />

sfera dell’ignoto, in quell’area della nostra esistenza, che si ostina a sfuggire alle reti tese<br />

dalla razionalità. Ad ogni strato che la ragione illumina, ne corrispondono altri che rendono<br />

più profondo l’abisso: l’atto di sporgersi dentro dà le vertigini.<br />

A volte pare di essere nella condizione di quell’antico cacciatore che trova tracce numerose<br />

di una misteriosa selvaggina. La sente, la intravede, addirittura la vede muoversi, vicino,<br />

molto vicino, anche troppo, si direbbe. Ma quando crede di averla afferrata ecco che deve<br />

constatare il suo ennesimo scacco. Trascorre tutta la vita in una caccia ostinata e alla fine<br />

della esistenza non sa se sia realmente esistita fuori di lui, o se, piuttosto, non sia stato niente<br />

altro che una sua eco interiore che si proiettava fuori, nel mondo.<br />

Si racconta, a proposito, che i grandi cacciatori si guardino poco allo specchio, mai prima<br />

di una battuta, nel timore di intravedere dentro i propri lineamenti una testa di cervo, o<br />

lepre, o falco. In questo caso perderebbero ogni capacità di cacciare.<br />

Accade poi che l’ignoto emerga all’improvviso e si sveli come l’essenza di una verità che era<br />

stata occultata da noi stessi: vicina, ma paradossalmente lontana. È il risultato di una tipo di<br />

indagine troncata, mancata, che consegue alla azione dello sguardo abrasivo. Non tutti gli<br />

sguardi permettono all’occhio di percepire l’oggetto che è di fronte. Ve ne sono alcuni che<br />

cancellano, piuttosto che svelare l’essenza che la ragione insegue con tenacia. Quando si<br />

scopre l’ignoto che stava accanto a noi ci domandiamo: come mai non ho visto quello che<br />

era da sempre davanti ai miei occhi? Dipende dalla intenzione riposta, segreta ed indicibile,<br />

di un Io che non vuole o non può ammettere l’esistenza di un perturbante che lo assilla, lo<br />

tormenta dal di dentro, e che dunque deve essere celato. Troppo grande sarebbe il dolore<br />

conseguente al riconoscimento o troppo gravosa la assunzione di responsabilità. Se emerge<br />

alla luce del sole, non si può più fingere di ignorarlo. Sigmund Freud gli ha dato il nome<br />

di ciò che è familiare, ma non può essere svelato nella immediatezza della esperienza.<br />

*Exempla.<br />

Attingendo alla esperienza sul campo, in qualità di educatore e formatore, mi sovvengono<br />

numerosi ricordi di cecità individuale e collettiva.<br />

Immaginate un folto gruppo di studenti, adolescenti di un Liceo Scientifico, accompagnati<br />

dai propri docenti, in visita alla città di Vienna. Dopo varie peripezie il gruppo sta davanti<br />

alla cattedrale di Santo Stefano, intento a decifrare i vari elementi che compongono la<br />

facciata dell’edificio. Si accende una discussione sull’anno di fondazione della cattedrale,<br />

poiché le guide canoniche non paiono concordare sul momento esatto in cui la costruzione<br />

avrebbe avuto inizio. Un docente tenta di introdurre un ulteriore dubbio, forse nella<br />

speranza di indicare un metodo: tutti possono osservare che il portale è di stile romanico,<br />

il resto della facciata è di stile gotico. Fanno eccezione due orologi che testimoniano<br />

interventi più recenti. Come si fa a stabilirne l’origine con assoluta precisione? Forse è il<br />

momento di cambiare radicalmente l’ordine ed il senso della ‘quaestio disputata’.<br />

Momento di sconcerto.<br />

Silenzio.<br />

Nell’interstizio si introduce una terza persona, che si definisce incuriosita dal metodo<br />

X<br />

d’indagine e che risulterà essere una guida viennese: conosce quasi tutto della città di<br />

Vienna ed è in grado di parlare numerose lingue, ivi compresa quella friulana. Di cui dà<br />

prova immediata.<br />

Gli studenti vengono invitati ad utilizzare questa opportunità, dovuta ad un incontro<br />

fortuito: la guida appare un profondo conoscitore della città, le sue conoscenze vengono da<br />

dentro ed è abituato ad incontrare stranieri, a dialogare con chi proviene da altri mondi.<br />

L’invito è accolto e, dopo che il gioco domanda-risposta si è prolungato, finalmente una<br />

allieva chiede: “Perché quelle due modanature che salgono su per la facciata non sono sullo<br />

stesso asse dei due orologi che le sovrastano?”. Tutti aguzzano lo sguardo e riconoscono<br />

che i due orologi, collocati in alto sulla facciata, non coincidono con la sommità <strong>delle</strong> due<br />

semicolonne, che a prima vista sembravano far loro da piedistallo: come due lunghi steli che<br />

reggano due fiori.<br />

La guida viennese sorprende tutti, affermando perentoriamente che i due orologi non<br />

hanno nulla a che fare con le modanature: sono stati immessi in epoca successiva.<br />

Invita tutti a guardare meglio la sommità <strong>delle</strong> due nervature: qualcosa c’è e potrebbe<br />

illuminare circa la antica funzione di ciascuna.<br />

Tutti guardano. Scrutano. Intensificano ancora lo sguardo: nulla!<br />

Inizia a serpeggiare un certo smarrimento. Non è agevole prender atto della propria<br />

incapacità di vedere. Assume le vesti di una menomazione permanente.<br />

Infine, mossa da una sorta di compassione, la guida svela l’arcano: in cima alle due<br />

semicolonne stanno gli organi genitali maschile e femminile. Per indicare, rispettivamente,<br />

da quale ingresso gli uomini e le donne dovessero entrare, separatamente, nel duomo.<br />

La differenza più evidente tra i sessi, posta in bella evidenza, a significare la separatezza tra<br />

gli uomini e le donne nell’area del sacro! Una differenza appartenente alla sfera ontica,<br />

scelta per significarne altre: sociale, ontologica, teologica.<br />

Sublime potere della metonimia!<br />

Finalmente tutti ‘vedono’: gli occhi di ciascuno si aprono su una realtà antica, che si<br />

manifesta nuovamente quando cade il velo molto spesso che la copriva. È un velo che non<br />

è posato sugli oggetti, ma radicato nell’occhio del vedente: un tenace sipario interiore che<br />

si apre a fatica e solo se una guida esterna ne mette in moto i meccanismi.<br />

Quello che non doveva esserci, era là.<br />

Evidente.<br />

Solare.<br />

Visibile agli occhi degli uomini e <strong>delle</strong> donne medioevali, che appaiono del tutto innocenti<br />

a paragone dei nostri. Eppure invisibile ai nostri occhi di Europei moderni ed acculturati,<br />

forse velati da una sedimentazione lunga secoli e presumibilmente deformati da molte false<br />

liberazioni e da un voyeurismo pervasivo. In un lampo ho immaginato che anche Sigmund<br />

Freud sia spesso passato di là e si sia allontanato senza vedere alcunché, ma non ne sarei così<br />

sicuro.<br />

Si può dire, comunque, che quel che risulta essere posto in superficie non è altro che il fondo<br />

di un abisso rovesciato. Difficilissimo da essere decifrato, od anche semplicemente intravisto.<br />

Altre esperienze si sono ripetute in Italia ed in Spagna, ad esempio con la rana che è<br />

collocata in un atrio del Barrìo gotico di Barcellona. Mostro anfibio, la cui duplice funzione<br />

rimane invisibile ad un occhio velato dalla routine. Visibile ad un occhio esercitato a seguire<br />

tracce nella foresta della esistenza, anche le più lievi.<br />

* Esperienze sul campo.<br />

Affinché riemergano spezzoni di esistenza celati negli abissi interiori è necessario un lungo<br />

XI


Psiche ed Eros Renzo Mulato Psiche ed Eros Renzo Mulato<br />

lavoro. All’origine vi è un processo di rimozione <strong>delle</strong> contraddizioni, che è di natura<br />

ambivalente: assume il significato negativo, quando si tende a respingere lontano proprio<br />

ciò di cui si è responsabili; ha anche un significato positivo, quando preserva le esperienze<br />

più intime e profonde dalla profanazione e dalla dissacrazione di chi vuol sapere tutto.<br />

Vi sono <strong>delle</strong> sfere della esistenza, come quello della sessualità e della sensualità, che<br />

appartengono all’indicibile. Proprio mentre vengono indagate vanno difese dagli sguardi<br />

intrusivi, nostri ed altrui, tipici dello scientismo contemporaneo e del tentativo di ridurre<br />

ogni espressione umana ad elemento di spettacolo.<br />

La esperienza vissuta in questo Corso di formazione ha mostrato che è possibile condurre<br />

l’indagine con un metodo specifico; può anche avvenire una cauta contaminazione tra<br />

discipline diverse, l’azione didattica, la riflessione.<br />

Il gruppo ha attuato un confronto di tipo orizzontale: interno, tra i docenti <strong>delle</strong> diverse<br />

Scuole Elementari, ed esterno, con la presenza di persone non appartenenti al gruppo<br />

stesso. A questo si è affiancato un confronto di tipo verticale: ‘in giù’ con gli allievi ed ‘in<br />

su’ con l’acquisizione di elementi teorici mutuati da diverse discipline, la psicoanalisi fra<br />

queste, e dal mondo della fiaba che ricollega adulti e bambini alle dimensioni arcaiche della<br />

esistenza.<br />

Si segnala qui, da un punto di vista metodologico, la importanza di una riflessione che parta<br />

dalla lettura semiologica del testo: sia esso costituito dai disegni, dai testi <strong>delle</strong> favole, dai<br />

dialoghi, dalla narrazione di una esperienza particolare. Innanzitutto perché il testo, in<br />

quanto tessitura che rappresenta dal vivo il lavoro compiuto, àncora la riflessione alle<br />

esperienze sul campo e dunque consente di sfuggire alla trappola dell’eccesso di astrazione.<br />

In secondo luogo perché consente agli attori di traguardare il proprio lavoro da un altro<br />

punto di vista. Senza un punto di vista dialettico si finisce per assomigliare a Polifemo, colui<br />

che parla troppo – come dice il suo nome- perché possiede una vista monoculare. Ogni<br />

riflessione ulteriore non può che confermare la intenzione originaria e nulla può impedire<br />

che si precipiti negli automatismi della routine, anche se interrotta qua e là da qualche<br />

empito creativo. È là che lo sguardo abrasivo produce lentamente forme pervicaci di cecità.<br />

*Se il filosofare abbia un senso.<br />

Non solo nella vostra esperienza l’importanza di un terzo punto di vista è emersa con forza.<br />

Ogni struttura dialogica della ricerca lo esige. Lo mostra la stessa storia del pensiero<br />

occidentale. Nella agorà greca, nella sinagoga ebraica, sono lo studio e la discussione collettiva<br />

il centro della vita intellettuale, ma anche politica, giuridica e religiosa della città o di un<br />

popolo. Nella fase più creativa della cultura medioevale, origine del pensiero europeo<br />

moderno, domina la quaestio disputata: autentica sintesi dialogica di teoria e prassi. Il magister<br />

regens <strong>delle</strong> Università, degli Studi e <strong>delle</strong> infinite Scuole medievali che sorgono ovunque, è<br />

obbligato ad affiancare alla lectio vera e propria <strong>delle</strong> pubbliche discussioni tematiche ed anche<br />

<strong>delle</strong> discussioni in cui è il pubblico a decretare l’ordine e la natura <strong>delle</strong> questioni da discutere:<br />

rispettivamente denominate quaestiones disputatae, quaestiones quodlibetales.<br />

Tra docente e discente si distende una relazione in cui l’orizzonte della discussione,<br />

pubblica e non prefissata, instaura un terzo punto di vista che conferisce alla intera indagine<br />

la impronta della dialetticità.<br />

Che cosa è mai il filosofare se non la introduzione di un terzo punto di vista in una relazione<br />

che si vuole per lo più duale? Tra maestro ed allievo, tra docenti, nella interiorità<br />

interrogante-si del singolo. A patto che la riflessione e la meditazione introdotte dalla<br />

filosofia nascano dal campo della esperienza e non costituiscano un sapere separato, difeso<br />

dalle barriere dei linguaggi specialistici e dunque incomunicabile ed infecondo.<br />

XII<br />

Nella mia personale elaborazione la riflessione filosofica non produce un sapere in possesso<br />

di un piccolo numero di iniziati, cui attingere dopo lunghe e umilianti anticamere e<br />

nemmeno l’oggetto di una professione specifica. Esiste anche questa forma neosofistica di<br />

filosofare, ma è propria <strong>delle</strong> accademie ed è immediatamente riconoscibile. Osservatene il<br />

linguaggio: è oscuro, criptico, dunque escludente e presuntuoso. Se non temessi malintesi<br />

la definirei quasi una vocazione. Essa nasce piuttosto da un bisogno del tutto particolare e<br />

si manifesta come esigenza esistenziale ed ontologica, che non si dà nella norma: insorge,<br />

letteralmente, quando nel corso della vita accade qualcosa che eccede i mezzi di<br />

comprensione della realtà che ciascuno di noi possiede. Quando nella nostra professione o<br />

nella vita familiare accade qualcosa che implica il significato intero della esistenza, di<br />

ciascuno di noi o di chi ci è affidato, allora è necessario rispondere ad una domanda radicale,<br />

che ha bisogno di strumenti più solidi e raffinati di quelli di cui si dispone nella norma.<br />

Bisogna nominare l’indicibile.<br />

Urge il reperimento di strumenti e forze che non sono alla mano.<br />

È necessario usare un metodo particolarmente rigoroso per affrontare una questione che si<br />

presenta come vitale.<br />

Si impone una scelta drammatica, i cui effetti superano ogni soglia: quella della norma<br />

giuridica, quella <strong>delle</strong> convenzioni sociali; persino il grado di tollerabilità che usualmente<br />

possiamo mettere in campo per affrontare i quotidiani quesiti della vita.<br />

Quando ne va dell’intero: da qui insorge il bisogno di filosofare, ovvero la necessità di<br />

andare alla radice <strong>delle</strong> aporie che ci hanno investito. Il filosofare si rende necessario ex<br />

contingentia et indigentia mundi. Se infine avremo raggiunta una qualche vetta, o modesto<br />

colle, da cui traguardare in modo più felice la aporia incontrata, dobbiamo però sapere che<br />

il cammino è arduo, problematico, irto di impedimenti.<br />

2. Psiche ed Eros.<br />

* Le metamorfosi dello spirito e del corpo.<br />

Nella storia della cultura occidentale ed europea, un ostacolo è frapposto da quelle categorie<br />

analitiche che in origine erano state costruite quali strumenti adeguati a raccogliere<br />

brandelli sparsi di esperienza, utili ad accostare i livelli di realtà in modo sensato. Di seguito,<br />

invece di risultare categorie della esistenza, sono divenute strumenti rigidi diretti al dominio<br />

sugli aspetti problematici della realtà, pregiudizi, stereotipi.<br />

Uno di essi è senz’altro il dualismo anima/corpo. In principio polarità dialettica che<br />

interpreta le oscillazioni e le diverse funzioni nella vita del singolo, diventa poi polarità<br />

antidialettica che conduce al negazionismo, vuoi di una parte, vuoi dell’altra.<br />

Primato dello spirito sulla materia, dell’anima sul corpo, o viceversa?<br />

Invece di indulgere ad una sua ricostruzione storica, vi propongo come indicazione metodologica<br />

l’esercizio continuo del dubbio, poiché i pregiudizi vengono introiettati per tempo ed<br />

agiscono più tardi come modelli strutturanti di cui non si è esattamente consapevoli, rafforzati<br />

nella loro azione quando forze esterne stimolino una reazione e dagli abissi interiori risuonino<br />

corde perturbanti. C’è bisogno della loro capacità sedativa? Eccole pronte a deviare, sopire,<br />

rimuovere, ingabbiare: insomma ad esorcizzare il pericolo che viene da dentro.<br />

Se vi è un insieme che scatena reazioni molteplici questa è la sessualità e la sua compagna<br />

più intrigante: la sensualità.<br />

XIII


Psiche ed Eros Renzo Mulato Psiche ed Eros Renzo Mulato<br />

Superare l’ideologia dualistica nella ricerca appare necessario ed in via preliminare va sgombrato<br />

il campo da ogni concettualizzazione rigida: ciò che appare sotto forma di impasto<br />

pulsionale va mantenuto nella sfera dell’enigma, dove il non detto e l’indicibile hanno una<br />

parte preponderante. E debbono conservala in modo permanente, contro ogni profanazione.<br />

Se invece si attuasse la pretesa di definire ogni lato della esistenza, il pensiero si<br />

smarrirebbe a causa della eccessiva distanza tra i concetti stessi e poi tra di essi e la realtà<br />

magmatica che dovrebbero esprimere. Ce lo ricorda Haegel, nella Introduzione della<br />

Enciclopedia <strong>delle</strong> Scienze Filosofiche in compendio, con fulminea precisione: l’intelletto<br />

(Verstand) si smarrisce tra la rigida separatezza dei pensieri e precipita nella disperazione di<br />

trovare una qualche connessione tra ciò che egli stesso ha prodotto.<br />

La prova della impotenza ad esprimere ciò che è latente viene dal paradossale rapporto tra<br />

sessualità e comunicazione nell’epoca attuale. Ad una manipolazione impietosa dei mezzi<br />

di comunicazione, che fruga in tutte le pieghe della vita intima <strong>delle</strong> persone, squadernandone<br />

pretesi segreti e ammiccando con mirabolanti provocazioni, consegue una caduta<br />

della forza dell’éros e la sua deviazione verso forme varie di perversione. Le forme di<br />

violenza sui bambini si moltiplicano, ad esempio, ma hanno padri noti, molto noti.<br />

Incredibile destino di una presunta libertà, divenuta licenza e commercio: mostra qui il suo<br />

volto gorgonico, speculare al tentativo plurisecolare di comprimere e reprimere ogni<br />

manifestazione <strong>delle</strong> autentiche libertà dell’uomo. Che sia la sua ultima maschera?<br />

Forse nel nostro lavoro dobbiamo sovvertire il percorso conoscitivo che tradizionalmente<br />

prevede un moto ascensionale: dal vissuto, alle fantasie, al concetto, ovvero fino al livello<br />

raggiungibile pienamente con la ‘età della ragione’.<br />

Suggerisco invece di assegnare alle varie tappe un valore crescente a livello gnoseologico,<br />

ma contemporaneamente un valore decrescente a livello etico ed estetico, assegnando al<br />

vissuto il primato in questo campo. Man mano che si accumulano conoscenze si contragga<br />

eticamente ed esteticamente il campo di azione.<br />

Vi è una difficoltà di cui dobbiamo tener conto nel lavoro: la nostra cultura ha una antica<br />

propensione a procedere in modo dicotomico, per antitesi nette, per coppie di contrari.<br />

Dal primo punto di vista, quello gnoseologico, appare chiaro che le coppie di contrari debbano<br />

essere usate in costante rapporto dialettico: come strumenti di una dimensione somatopsichica<br />

ove nulla è distinto per sempre e tutto ritorna sempre in gioco. Come è possibile usare qui la<br />

coppia regina “vero/falso”, derivata dal principio di non contraddizione? Cosa è vero e cosa è<br />

falso, non diciamo nella sessualità, ma nelle fantasie ad essa connesse?<br />

Accanto a questa coppia primigenia molte altre ve ne sono: buono/cattivo, giusto/ingiusto<br />

definibile/ineffabile, visibile/invisibile, palese/nascosto.<br />

È lo strumento (organon per Aristotele) a doversi piegare al vissuto e non viceversa.<br />

Salvo che non si preferisca la spiegazione alla comprensione.<br />

A volte ci si è chiesti se lo stesso pensiero sia sessuato ed una risposta sembra venire dalla<br />

distinzione dei generi dei nomi: il maschile ed il femminile. Anche qui, però, la complessità<br />

è in agguato, come ci mostra la presenza del neutro (ne-utrum: né l’uno, né l’altro) nelle<br />

lingue greca e latina ed in molte altre. Molte sono le parole che segnalano una originaria<br />

in-differenza. Si rammenti il lavoro di Sigmund Freud sul duplice significato <strong>delle</strong> parole<br />

primordiali.<br />

Dal secondo punto di vista, ovvero della necessità di stabilire una soglia etica e canoni<br />

estetici contingenti soprattutto al conoscere del docente, ci sembra che si debba procedere<br />

con lentezza crescente, fino ad arrestarsi ben prima di varcare la soglia della intimità<br />

dell’essere. Man mano che si abbandona la sfera concettuale e si scende attraverso le fantasie<br />

XIV<br />

ai livelli del vissuto, l’importanza di un’éthos condiviso è essenziale, se non altro per lo jato<br />

temporale ed esperienziale che divide l’adulto dal bambino. Il primo, rispetto al secondo, è<br />

semplicemente smisurato e dunque può consentirsi solo uno sguardo da lontano, attento ma<br />

discreto e distante. Sottoposto alla ferrea legge del principio dialettico di proporzionalità.<br />

Non si colma uno scarto, che oserei definire ontologico, manipolando i concetti; neppure<br />

se desunti da altri saperi. Tanto meno lasciandosi trascinare dalla curiosità intrusiva.<br />

Bisogna, all’opposto, tenere sempre vigile l’attenzione sui diversi livelli di realtà che si<br />

incontrano su un terreno così problematico, implicante, avvolgente, perturbante.<br />

Familiare.<br />

Troppo familiare.<br />

Vicino alla vita intima del docente.<br />

Dentro di essa.<br />

*Meraviglioso e mostruoso.<br />

Il tema dell’éros riporta alla memoria la favola di AMORE E PSICHE che lo scrittore latino<br />

Apuleio ha voluto introdurre nel suo romanzo “L’Asino d’oro”, in cui racconta le<br />

vicissitudini di chi si accosta ingenuamente alla arte della magia, allora molto in voga.<br />

Apuleio coniuga l’umor nero presente in gran parte del romanzo con il mondo<br />

meraviglioso della fiaba, quasi a voler rappresentare la relazione tra due facce di una unica<br />

dimensione. O forse ne ha voluto mostrare la contiguità e la reversibilità. Non a caso nello<br />

scrivere ha usato a piene mani l’arma dell’ironia: strumento affilato e maneggevole, atto a<br />

mettere in relazione ciò in apparenza in relazione non è.<br />

Ci riferiamo al legame tra il mostruoso ed il meraviglioso, che intesse la vita di ogni essere<br />

umano, salvo che non si sia ridotto ad un automa.<br />

A me sembra che proprio questa relazione abbia vertebrato il vostro lavoro su ‘la sessualità<br />

e la fiaba nei bambini’.<br />

Che cosa sia mai il monstrum lo suggerisce la molteplice radice della parola. È un deverbale<br />

che contiene il verbo latino moneo (ammonisco’, ‘avverto’, ‘indico’), più il suffisso –strum.<br />

A sua volta collegato alla parola mens (‘carattere’, ‘animo’, ‘ragione’). Indica dunque<br />

l’indole, il carattere riposto, la natura più intima <strong>delle</strong> cose. Per questo gli aspetti mostruosi<br />

della realtà non sono altro che la proiezione di ciò che è nascosto e celato nella quotidianità,<br />

o coperto dalla abitudine: portato alla luce del sole assume aspetti abnormi di essa, ma non<br />

per questo essi sono meno reali.<br />

Ancora una volta siamo spinti a comprendere ciò che era là da tempo, ma velato dalla nostra<br />

cecità. L’emergere del mostruoso alla luce del sole dà espressione al nascosto, ma in forma<br />

obliqua, asimmetrica e comunque espressa per cenni da interpretarsi con una particolare<br />

ermeneutica, che di solito riserviamo al mondo dei simboli.<br />

Il meraviglioso è strettamente connesso al primo, perché indica la reazione che si ha di fronte<br />

all’emergere del mostruoso: esso desta sorpresa, stupore, trasalimento. Ha la stessa funzione<br />

del miraculum nel rapporto religioso col mondo, oltre ad avere la stessa radice, miror.<br />

Nella storia del pensiero filosofico e scientifico uno stadio così indefinibile ed imprevedibile<br />

della vita e della conoscenza umana ha assunto la dignità di autentico ‘cominciamento’ del<br />

filsofare: thaumàzein per Platone, Aristotele; admiratio per i filosofi medioevali e Tommaso<br />

d’Aquino.<br />

Senza una apertura sul mondo, che si rinnovi di volta in volta, non è possibile intraprendere<br />

alcuna ricerca, né si dà un sistema organico di pensiero; né si costruisce un sapere scientifico<br />

fondato sulla verifica.<br />

In assenza di questa pre-disposizione si solidificano dogmi, si generano pre-giudizi.<br />

XV


Psiche ed Eros Renzo Mulato Psiche ed Eros Renzo Mulato<br />

È una questione di particolare rilievo per chi si occupa dell’arte di educare nello spazio<br />

scolastico. In primo luogo perché la scansione dei tempi e la ripartizioni degli spazi scolastici<br />

assegnano ruoli predefiniti, che la istituzione fatica a veder messi in questione dal mostruoso<br />

e dal meraviglioso. Comprendo bene la autentica disperazione di quei docenti che vedono<br />

la creatività ridotta a routine burocratica, dove tutto deve essere previsto, codificato, in<br />

definitiva anestetizzato.<br />

Come dare spazio al lato creativo e disciplinarlo senza ucciderlo?<br />

Mi piace pensare al modo con cui avete risposto al quesito ed avete fatto emergere un<br />

argomento ‘mostrum’ per la istituzione: attraverso la fiaba. Spesso viene presentato come<br />

un modo ingenuo di narrare le vicissitudini della esistenza ma, per fortuna, tutti noi<br />

sappiamo molto bene che l’innocente e quieto mondo <strong>delle</strong> fiabe nasconde abissali mostruosità<br />

e sublimi meraviglie.<br />

In secondo luogo perché il tema della sessualità, ovvero di una primordiale differenza che<br />

segna il destino del genere umano, qualunque sia il percorso individuale, assume aspetti<br />

nuovi e particolari nelle Istituzioni Scolastiche della nostra epoca. Ci si scontra con una<br />

condizione ineliminabile di chi si occupa della educazione dei bambini, a livello di Scuola<br />

Primaria. La declinazione al femminile della maggioranza assoluta dei docenti propone un<br />

quesito su cui forse non si è riflettuto abbastanza.<br />

Tra docente e discente passano infiniti stimoli, domande espresse ed inespresse, indicazioni,<br />

esperienze.<br />

Di che segno sarà la relazione tra loro se il mondo adulto si presenta sotto il segno della nondifferenza,<br />

mentre quello infantile fa esperienza, orizzontalmente, della differenza? Questa<br />

si presenta certamente come diversità tra mondo adulto e mondo infantile, ma anche come<br />

esperienza della diversità tra maschi e femmine all’interno del mondo infantile. Tale<br />

differenza non ha echi equivalenti, né referenti, nel rapporto tra docenti ed allieve/allievi.<br />

Vi sarà la consapevolezza nei docenti di rappresentare sia la funzione materna, che quella<br />

paterna? Quali echi abbia tale condizione ‘monocromatica’ nel campo della esperienza<br />

infantile è nostro compito indagare ed è una felice aporia che discende dal tema guida del<br />

vostro lavoro. La felicità, poi, consiste nell’aver individuato un ulteriore filone di ricerca.<br />

A livello di concettualizzazione non vi sono grandi problemi da risolvere: il maschile ed il<br />

femminile sono, ancora, generi perfettamente distinguibili. Un intero apparato linguistico<br />

adempie quotidianamente alla propria funzione ed è presente omogeneamente in ogni<br />

spazio occupato dai bambini. Il dramma giunge, semmai, quando si dimostra inadeguato a<br />

contenere una realtà diveniente e dirompente.<br />

La quaestio disputata insorge prepotentemente quando si toccano le fantasie ed il vissuto.<br />

La immaginazione e la qualità estetica <strong>delle</strong> percezioni infantili hanno bisogno di specchiarsi<br />

e confrontarsi sempre con la differenza, per acquisire misura e potersi esprimere felicemente,<br />

senza effetti devastanti.<br />

Nelle condizioni che si sono create nelle istituzioni negli ultimi decenni vi è una omogeneità<br />

che può sconfinare nella omologazione, inevitabile in un universo declinato solo al<br />

femminile. Naturalmente e specularmene la stessa osservazione vale per un universo<br />

esclusivamente al maschile. A me pare che sia necessario un ripensamento, e il vostro lavoro<br />

ne fa già parte, visto che avete introdotto come grande mediatrice l’arte della fiaba, appartenente<br />

alla sfera del simbolico, la cui funzione pontica è a voi ben nota.<br />

Se connettiamo questo fenomeno ad un’altra grande mutazione, che segna la vita infantile,<br />

l’atto del riflettere acquista il carattere di assoluta urgenza. Mi riferisco alla questione della<br />

percezione e della sensorialità in bambini che vivono in un mondo sempre più artificiale,<br />

dove la natura è sempre più rappresentata e non vissuta, il corpo deprivato di esperienze<br />

fondamentali.<br />

XVI<br />

Ci dobbiamo interrogare dunque su che cosa stia avvenendo negli strati più profondi della<br />

psiche ed è inevitabile che il dubbio si carichi di ulteriore potenza se assumiamo che éros è<br />

essenzialmente corpo. Il corpo non occupa solo uno spazio, non ha solo un peso: è ritmo,<br />

danza, strumento musicale, sprigiona energie e le assorbe, è corpo vivo. Se poi il corpo è la<br />

maschera visibile dell’Inconscio, come Salomon Resnik, ci insegna, il nostro campo di<br />

indagine si dilata. Comprende certamente le rappresentazioni che l’immaginario e la<br />

espressività dei vostri allievi ci regalano, ma investe direttamente la loro concreta e viva<br />

corporeità. Le sue cangianti espressioni. Le facce. Le posture. Secondo i grandi mimi<br />

europei di questo secolo (Marceau, Fo, Decroux) il corpo proprio di ciascuno ne sa più di<br />

quanto ne sappia il suo proprietario. Si pone il problema di quanto noi siamo in grado di<br />

comprendere i segnali che vengono emessi da un corpo-bambino, vero ‘monstrum’ di<br />

espressività. Meraviglioso ed inquietante ad un tempo.<br />

3. Il bambino terrifico.<br />

* Esser-ci.<br />

Colpisce una contraddizione ‘mostruosa’ dell’epoca presente, pervasa da una ansia generale<br />

di trasformare ogni evento in spettacolo, in pura rappresentazione scenica dove dominano<br />

l’enfasi, le affermazioni gridate, la finzione. La esistenza di ogni singolo, nella sua terrena<br />

concretezza e nella sua evoluzione, spesso magmatica ed oscura, viene respinta ai margini e<br />

fatta riemergere solo se trasformata in notizia adatta a rivitalizzare spettatori catatonici, dai<br />

quali risucchiare un briciolo di attenzione.<br />

Sorge improvviso il sospetto che sia Dracula il fantasma che presiede all’universo della<br />

comunicazione nella forma odierna. È noto che il vampiro sostituisce il proprio vuoto<br />

risucchiando dalla vittima l’energia necessaria a sopravvivere, ma inocula in essa un vuoto<br />

che dovrà essere a sua volta riempito.<br />

Nel mondo della finzione sembra che non ci sia più tempo, né spazio, per pensare. Esercizio<br />

certamente faticoso, come ogni attività creativa, ed anche pericoloso. Soprattutto si riduce<br />

il tempo dei pensieri da dedicare ai bambini, salvo che non rientrino nello schema di una<br />

seduzione di stampo puramente commerciale. Allora irrompe una imponente stereotipia,<br />

ripetitiva, ossessiva: vengono presentati esclusivamente bambini sorridenti, imbozzolati in<br />

involucri luccicanti, preconfezionati nel corso di un processo di mercificazione che sembra<br />

non aver confini. Che ne è del bambino in carne ed ossa, corpo e psiche, nell’habitat<br />

familiare e sociale? Che ne è <strong>delle</strong> sue sensazioni e fantasie primarie? In troppi casi la sua vita<br />

oscilla tra la condizione di seduzione e quella di abbandono: a volte coperto di oggetti<br />

sostitutivi della presenza ‘corposa’ paterna e materna, a volte affidato a mani estranee. Non<br />

mi riferisco qui alle famiglie che abbandonano di fatto i figli e che riguardano la patologia,<br />

desidero solo sottolineare che quella sommariamente indicata è una condizione oggettiva<br />

derivata dalla organizzazione del lavoro e del paesaggio urbano odierno: dunque in grado<br />

di influire indirettamente sull’intero habitat familiare e sociale. Non bisogna mai dimenticare<br />

che nella istituzione giungono con esperienze predefinite e con una intera storia sulle<br />

spalle. A volte felice, a volte meno: in particolare per ciò che attiene alla ricerca ed alla fatica<br />

del pensare.<br />

Un modo rozzo ed eccessivamente pragmatico imperversa in ampi strati della società di<br />

questa parte del mondo: la scuola è un parcheggio; una volta terminata la sua provvisoria<br />

XVII


Psiche ed Eros Renzo Mulato Psiche ed Eros Renzo Mulato<br />

funzione lasci spazio al primato del fare, dell’imprendere, del produrre. Ne è prova la scarsa<br />

considerazione sociale dell’insegnante e dell’intellettuale in genere, cui fa da complemento<br />

una concezione merceologica della cultura e della stessa ricerca scientifica.<br />

La velocità, assieme alla aggressività, è cifra dell’epoca attuale e prodotto della legge<br />

bronzea dell’accumulo, come già sostenevano i Futuristi nel manifesto redatto da Marinetti<br />

nel lontano 1909. Essa pervade i rapporti sociali ed impedisce soprattutto che i riti familiari<br />

e sociali contemplino il momento della pausa, della sedimentazione <strong>delle</strong> esperienze, del<br />

confronto, del dialogo e paradossalmente anche del conflitto.<br />

Di conseguenza molti genitori tendono a velare l’impatto con il mondo esterno, vissuto<br />

come delirante e minaccioso. Nei confronti del quale è bene costruire muri di riparo,<br />

intercapedini, dietro cui attestarsi ‘armi in pugno’. Salvo poi introdurlo di soppiatto<br />

attraverso gli strumenti invasivi della comunicazione massificata, televisione e giochi<br />

elettronici in testa, che finiscono per occupare un posto di rilievo perfino nella disposizione<br />

degli oggetti familiari in una casa. La distrazione è tale che molti adulti non si rendono<br />

conto dell’orrore che entra tra le mura domestiche, mescolato a spettacoli e messaggi diretti<br />

indistintamente a tutti.<br />

Perché, allora, attutire sempre l’impatto <strong>delle</strong> vicissitudini della esistenza? Per compensare<br />

forse la frettolosità dei rapporti parentali? Per evitare traumi? Non pare che le favole<br />

elaborate nel passato narrassero di un mondo tenero e dolce: sono popolate di genitori che<br />

mandano i figli a morire nei boschi, orchi capaci di pasti cannibalici, matrigne che<br />

avvelenano le figlie, bambini che bruciano vecchie donne cattive. Dopo, molto dopo,<br />

giunge il lieto fine: quasi ad addolcire la ricostruzione veritiera del mondo esterno.<br />

Perché non ripristinare invece la narrazione diretta ed a viva voce di esperienze forti, la<br />

azione educativa capace di alternare rigore e dolcezza, l’esercizio della competizione? Nel<br />

senso indicato dall’etimo, naturalmente: cum-petere indica l’atto di cercare assieme un<br />

comune obiettivo.<br />

Vi è qualcosa di sfuggente in questa visione del mondo. Ho la percezione che dietro<br />

l’immagine trasmessa dagli operatori del ‘mercato dell’infanzia’, che ci presenta lo<br />

stereotipo di un esserino imbambolato, si nasconda per molti il fantasma di un bambino<br />

terrifico. Mi appare una sorta di esorcismo mediatico che tenta di coprire ossessivamente<br />

una realtà che inquieta proprio loro.<br />

Ogni bambino è già persona.<br />

Qualcuno che ci chiede di essere là.<br />

Sempre.<br />

Che ci guarda e ci giudica.<br />

Segnalo che Pier Paolo Pasolini ha avuto il coraggio di ammettere una verità troppo spesso<br />

oscurata: il bambino sfida l’adulto con il suo solo venire al mondo. Considerarlo un tassello<br />

ed un segmento del gran mercato <strong>delle</strong> cose e <strong>delle</strong> idee non muta gli effetti della sua<br />

irruzione nel teatro della esistenza.<br />

Quando nasce niente è più come prima.<br />

Nel prologo del film EDIPO RE vi è una scena che merita di essere qui rammentata.<br />

L’ambiente rievocato è quello familiare, proprio nel momento in cui viene alla luce un<br />

bambino. La madre lo culla ed ha dei presentimenti, ma è felice, balla canta, ama. Il padre,<br />

un militare di carriera, è felice di quell’evento lieto, ma un giorno si ferma ad osservare il<br />

figlio che riposa nella culla. Lo fissa, in silenzio, mentre in sovrimpressione scorrono terribili<br />

parole con le quali il padre esprime il suo odio per il figlio: perché con la sua nascita gli ha<br />

rubato l’amore della donna che riteneva fosse solo sua; è venuto poi a prendere il suo posto<br />

nel mondo e così lo ha messo innanzi all’abisso della morte. Pasolini ha rievocato la formazione<br />

del triangolo edipico ed ha fornito la sua interpretazione del conflitto con il padre,<br />

XVIII<br />

ma ha anche individuato un elemento che accompagna la gioia della nascita di un figlio. In<br />

inizio essa sovrasta tutto, se il figlio è desiderato, ma inesorabilmente alla crescita del figlio<br />

si accompagna un acuto sentore del tempo che passa e della esistenza che declina. Se la<br />

irruzione del figlio genera a sua volta un nuovo rapporto, la coppia parentale forma una<br />

famiglia autentica e la fecondità fisica diventa fecondità spirituale, come Platone fa dire a<br />

Socrate nel Simposio. Nel caso contrario la rottura è un evento annunciato, come dolorosamente<br />

apprendiamo di continuo dalla cronaca e dalla nostra esperienza diretta, soprattutto<br />

quando vi sia il rifiuto ad assumersi la responsabilità, e la fatica, di creare un rapporto<br />

nuovo, diverso da quello che si era immaginato. La felicità di un rapporto non si impone,<br />

si conquista con personale fatica.<br />

Ancor più arduo è l’esercizio di pensare la morte ed altrettanto difficile tollerare il declino<br />

fisico e psichico, dietro il quale essa fa capolino. Tutti loro ricorderanno come impietosamente<br />

lo specchio ponga la REGINA CRIMILDE di fronte al proprio inesorabile<br />

declino: il rifiuto è istintivo e netto, di conseguenza costei diventerà la matrigna di<br />

Biancaneve.<br />

Esattamente qui si situa un bivio di tipo parmenideo: bisogna decidere se accettare la strada<br />

della finitudine e convivere con il senso del limite, oppure negarla e conseguentemente<br />

precipitare in una spirale regolata dal delirio di onnipotenza e dai suoi démoni. Nel primo<br />

caso i figli avranno una guida che li accompagna e li addestra in modo da permettere loro,<br />

un giorno, di camminare con le proprie gambe. Nel secondo nessun spazio vi sarà per i figli,<br />

come ci ricorda la tragedia che precede quella di Edipo. Sono infatti le scelte del padre<br />

LAIO a dare origine ad una infinita catena di dolori.<br />

Mi ha sempre colpito, a proposito di selezione di miti e favole, il fatto che i testi riguardanti<br />

Edipo siano stati conservati e tramandati, mentre sono del tutto scomparsi quelli riguardanti<br />

Laio. Esiste solo qualche frammento. Si sa tutto della reazione del figlio, poco o nulla<br />

dell’azione del padre; come se questa per il mondo adulto appartenesse ad un rimosso che<br />

non deve assolutamente riemergere. Nel mondo simbolico, come in quello reale, è<br />

importante quello che è presente, ma ancor di più quello che è assente ed invece dovrebbe<br />

esserci. Eraclito, il sapiente di Efeso che amava giocare con i bambini sulle scalinate del<br />

tempio invece di dedicarsi ad altre occupazioni più serie, afferma che la connessione<br />

nascosta è più forte di quella manifesta!<br />

*L’arte dell’ascolto.<br />

L’azione paterna, quale asse e punto di confronto, sembra affievolirsi non solo nella<br />

tradizione letteraria, ma anche nell’esercizio concreto dell’arte di educare. ‘Non c’è tempo’,<br />

‘non ci sono gli spazi adeguati’ ci sentiamo ripetere spesso, e l’apparente oggettività della<br />

espressione indica che la rinuncia ad esser-ci si maschera sotto forma di realistica presa d’atto<br />

dello stato <strong>delle</strong> cose presenti. Che si suppone immodificabile. Allargano le braccia in segno<br />

di impotenza, ma coprono malamente la loro resa e la fuga dalle proprie responsabilità. La<br />

razionalità viene qui piegata alla esigenza di preparare il terreno alla piena autoassoluzione.<br />

La conseguenza è duplice: si priva il bambino e l’adolescente di un asse, di un punto di<br />

riferimento; d’altro canto l’adulto perde ogni capacità di comprendere quel che si agita nelle<br />

profondità dell’essere: diventa incapace di ascoltare i segnali che pur gli vengono inviati.<br />

Ascoltare non è un semplice atto che investe la fisicità. È piuttosto un’arte che implica la<br />

presenza attiva dell’adulto nell’orizzonte del bambino.<br />

L’arte di cui parliamo ha bisogno innanzitutto di tempo e di uno spazio accoglienti, che<br />

conservino traccia dei segnali che salgono dal basso. È necessario prendere tempo e dunque<br />

opporsi al meccanismo sociale che trascina con sé chiunque tenti di interporsi o<br />

semplicemente di fermarsi a lato, di trovare una radura ove prender fiato. È urgente farsi<br />

XIX


Psiche ed Eros Renzo Mulato Psiche ed Eros Renzo Mulato<br />

spazio in mezzo alla pletora di oggetti ed impegni che ingombrano l’esistenza, di cui parla<br />

speso un grande poeta che ci è familiare, Andrea Zanzotto. Con quale scopo fare una fatica<br />

quotidiana così dura? Semplicemente per allargare quei piccoli interstizi spazio temporali,<br />

che interrompono il flusso della routine, e che sono la premessa per la creazione di un<br />

grande spazio, radura o agorà, in cui un lògos prenda forma e sia trasmissibile. Sbrigate le<br />

incombenze preliminari non resta che disporsi ad ascoltare, ma subito nuove aporie si<br />

affollano dinanzi a noi. Vediamo di individuarle attraverso un breve esercizio filologico.<br />

Nella lingua italiana abbiamo un gruppo di verbi che riguardano l’ascoltare sia a livello<br />

senso percettivo, che a livello conoscitivo più complesso: udire, ascoltare, sentire. Una prima<br />

radice è latina (audio) e greca (aìo, aisthànomai): condensa in sé l’aspetto senso percettivo<br />

e quello della intuizione e della comprensione. Il deverbale aìsthesis genera i sostantivi<br />

sensazione, estetica ed il verbo sentire. Una seconda radice risale egualmente al latino<br />

(ausculto) ed al greco (acoùo). Inizialmente esprime una maggiore vicinanza alla fisicità,<br />

usando metonimicamente l’organo di senso, l’orecchio (oùs), per cui vale: ‘apprendo<br />

attraverso l’orecchio’. In seguito dà luogo a costruzioni molto interessanti, perché si<br />

delineano due disposizioni simmetriche e complementari: una ci fa intravedere colui che<br />

percepisce immediatamente e con sicurezza ciò che è prossimo; l’altra si riferisce invece ad<br />

una capacità percettiva più sottile, riguardante ciò che non è prossimo; quindi percepibile<br />

in modo indiretto e distante. Immediatezza della percezione e mediazione intellettiva si<br />

mescolano.<br />

Vogliamo mostrare che fin dalle origini l’arte dell’ascolto esclude ogni tipo di passività, anzi<br />

qui si postula la necessità di una estrema vigilanza nei confronti dei messaggi che le fonti<br />

inviano attraverso l’etere. Quella situata fuori di noi, proveniente dal singolo o dal gruppo<br />

di coloro che ci sono stati affidati; quella che parla dai nostri abissi interiori; quella che<br />

prende forma dalla relazione tra gli uni e gli altri e che viene denominata Eco nel mito di<br />

origine cretese di Narciso.<br />

La possiamo definire una triangolazione originaria, che sempre si rinnova; uno spazio<br />

quadridimensionale, dove chi è investito del compito di educare sia capace di accogliere e<br />

trattenere per il tempo necessario tutto ciò che cade nell’ambito della esperienza, al fine di<br />

distinguere l’essenziale dall’inessenziale.<br />

Compito arduo, complicato dalla plastica abilità del bambino a mimetizzarsi dietro le<br />

maschere che indossa di volta in volta, mutuandole da quelle che il mondo adulto prepara<br />

per ogni occasione a sé stesso e creandone di nuove. Bisogna correre il rischio di lasciar<br />

sedimentare ciò che accade (cade dentro e addosso) in noi.<br />

Chi ha avuto il privilegio di poter osservare da vicino il vostro lavoro sa che è stato costellato<br />

di lunghe attese, ascolti, aspettative, silenzi. Un pensiero accogliente sta sempre in vigile<br />

attesa, come il cacciatore che aspetta il momento giusto per catturare la preda che in un<br />

momento a venire passerà proprio là dove egli si è appostato.<br />

L’immagine è di Platone, ma voi sapete bene che le vostre allieve ed allievi, dietro la<br />

apparente semplicità e plasticità, nascondono una personalità polimorfa, complessa, ricca di<br />

sfaccettature. Essa si mostra, di quando in quando, a causa di una capacità, che definirei<br />

arcaica e imperturbabile, di ricondursi sempre all’essenziale, ma anche di celarla in modi<br />

impensabili.<br />

Di fronte a questa disposizione proteiforme si tratta di essere vigili per poter cogliere il<br />

momento giusto (kairòs), che spesso coincide con il momento in cui giocano e si esprimono<br />

attraverso i reticoli dell’immaginario.<br />

XX<br />

4. La Scuola come dimora problematica.<br />

* Del silenzio.<br />

La dimensione adeguata perché si stabilisca una relazione significante appare essere il<br />

silenzio, più che l’esercizio della parola. I corpi e le immagini parlano, dicono molto di più<br />

all’occhio che scruta ogni dettaglio per cogliere l’essenziale: che mai vorrà dirci quell’immagine,<br />

quella espressione, quel silenzio significativo? La assenza di qualcosa nel dialogo<br />

educativo pesa quasi di più che la presenza. È la istituzione scolastica preparata e disposta<br />

ad essere anch’essa dotata di plasticità? O non saremo anche noi travolti dal primato<br />

ossessivo del fare, che permea l’epoca attuale?<br />

Forse dobbiamo rovesciare la prospettiva e porci nella dimensione del silenzio. Dal punto<br />

di vista ‘ontico’ esso consente che gli echi del mondo infantile giungano in una radura, in<br />

uno spazio libero dagli strepiti, per cui ogni parola enfatica si sgonfia: il silenzio è l’arma<br />

acuminata che ne rivela la cacofonia e l’insensatezza. Solo allora si può esercitare l’arte della<br />

distinzione, come Platone suggerisce nel dialogo de “Il Sofista”.<br />

Il silenzio in sé non è qualcosa di determinato e misurabile, non appartiene all’ordine della<br />

quantità e questo aggiunge aporie su aporie alla istituzione scolastica. È piuttosto una precondizione<br />

perché qualcosa parli, prenda forma, acquisti voce e senso. Da un punto di vista<br />

gnoseologico ed ontologico il silenzio consente la nascita del pensiero e la apertura<br />

all’essere: stadio aurorale dove gli enti acquistano lentamente visibilità e reciproco senso.<br />

Un pensiero accogliente, che Aristotele denominava noùs patheticòs, rende permanente<br />

quell’apertura originaria che ha consentito per una volta lo svelarsi della essenza. Abbiamo<br />

già visto che per altre culture essa coincide con la capacità di meravigliarsi (thaumàzein,<br />

admiratio). Se tale condizione si dà, allora il pensiero produttivo e creativo (noùs poieticòs)<br />

può svolgere la propria funzione ordinatrice.<br />

Come sappiamo vi è un rischio, connesso intimamente a questa vera e propria avventura<br />

dello spirito. Aprire gli spazi interiori ed aprirsi al mondo importa la assunzione al massimo<br />

grado di quella ‘capacità negativa’ che il poeta inglese Keats riteneva essenziale per<br />

affrontare l’ignoto. Nell’incontro con la Alterità siamo sempre, potenzialmente, di fronte<br />

alla emersione di ciò che si agitava negli abissi interiori propri ed altrui e che era stato (con<br />

buona ragione?) dimenticato, rimosso.<br />

Non tutte le risonanze sono positive e gli echi tollerabili.<br />

È difficile rigirare l’abisso sul palmo di una mano, come suggerisce un apologo taoista. Lo<br />

spazio aperto è una pre-condizione, ma non è ancora divenuto uno ‘spazio etico dello<br />

scambio’, che è sempre il frutto di un lungo cammino condiviso. Vi è una osservazione di<br />

Aristotele negli scritti sulla psiche che trovo pertinente al nostro discorso. Indagando sul<br />

rapporto tra sensorialità e fantasia egli rileva che nel sentire vi è comunque trasformazione:<br />

“qualcosa avviene in noi per mutamento” ed il suo nome è “alterazione”.<br />

Ogni apertura comporta una alterazione, in particolare se siamo in presenza di quel campo<br />

che voi avete indagato ed agito.<br />

* Morari secum.<br />

Conoscere nel nostro campo è dunque atto complesso, non soggetto esclusivamente alla<br />

verticalità dei processi. C’è bisogno di un luogo della connessione dove prevalga la<br />

orizzontalità, il dialogo IO, TU. Abbiamo già individuato questo luogo, radura ed agorà,<br />

che si identifica dapprima con il silenzio e quindi con lo spazio accogliente perché più lògoi<br />

si possano incontrare. Vi si possono distinguere due movimenti: di discesa e di ascesa.<br />

XXI


Psiche ed Eros Renzo Mulato Psiche ed Eros Renzo Mulato<br />

Vi è un lavoro di immersione nel campo preso in esame, strato per strato, livello dopo<br />

livello, toccando aspetti sempre più ignoti che esigono da noi quella prudenza etica ed<br />

estetica che abbiamo già assunto come indispensabile. Le mani si immergono nel magma<br />

della esistenza, consapevoli che ne verranno intrise ed alterate. Inevitabili le contraddizioni,<br />

prezioso l’esercizio del dubbio, elemento essenziale del metodo e premessa all’arte di<br />

ascoltare. Possiamo condensare questa fase in un verbo di forma riflessiva: interrogarsi.<br />

Vi è un secondo lavoro, di tipo ascensionale, che raccoglie, differenzia e seleziona ciò che<br />

emerge dal ‘vasto mar dell’essere’. Una prima e originaria differenziazione e connessione si<br />

colloca a livello di creazione del simbolo, che si perfezionerà poi a livello concettuale. Che<br />

cosa è il simbolo se non una forma di integrazione tra ciò che si presenta opposto eppur<br />

connesso? Il rigore della ricerca e l’arte della distinzione riammettono nel pensiero quelle<br />

definizioni, che da principio costituivano un impedimento ed una chiusura.<br />

Le categorie della esistenza e quelle del pensiero ora corrispondono e costituiscono quel<br />

bagaglio teorico che ci consente di pensare anche la realtà più sfuggente. Usiamo la parola<br />

teoria nel senso indicato dall’etimo: sguardo capace di cogliere la connessione nella sua<br />

interezza ed essenza, visione panoramica.<br />

Il duplice movimento non è finalizzato tanto ad accumulare conoscenze, quanto a<br />

mantenere aperta la nostra mente alla Alterità, che si concretizza per noi in quegli allievi, in<br />

quella classe, con cui ora si sta lavorando seguendo la traccia del Corso di Formazione. Per<br />

questo è necessario un luogo dove indugiare, fermarsi, studiare, poter contemplare, senza<br />

l’assillo <strong>delle</strong> incombenze quotidiane. Non è solo un luogo fisico, quanto uno spazio<br />

mentale ed una disposizione dell’animo che consente l’ascolto di cui abbiamo parlato.<br />

Sulla scorta <strong>delle</strong> ‘Lettere a Lucilio’ e del pensiero di Seneca lo possiamo definire come quel<br />

luogo in cui è possibile ‘morari secum’, ovvero poter fermarsi a riflettere, ricordare, progettare.<br />

Comprendo come sia difficile accettare una simile prospettiva in un mondo che è<br />

segnato dalla velocità ed in una istituzione che aumenta di anno in anno il peso degli<br />

adempimenti, soprattutto di tipo formalistico. Lo scetticismo è d’obbligo. Né in Italia vi è<br />

ancora la istituzione di momenti di pausa e studio come l’anno sabbatico, da tempo previsti<br />

presso altre istituzioni europee. Eppure la creazione di un luogo altro, dove esercitarsi a<br />

traguardare le cose da un altro punto di vista e dove vi sia il primato del riflettere su quello<br />

del fare, appare una questione di sopravvivenza: per il singolo, prima ancora che per il gruppo.<br />

Che cosa è stato questo Corso, in definitiva? Un laboratorio di idee e indicazioni che è stato<br />

reso possibile da un gruppo di esperti e docenti che hanno fatto una scelta coraggiosa con la<br />

complicità di due Istituzioni. Esso comunque è di natura itinerante, indispensabile a reggere<br />

il peso di un lavoro così difficile come quello sulla sessualità e le fiabe. Se astraiamo per un<br />

momento dalle condizioni concrete in cui avete lavorato (presumibilmente irripetibili) appare<br />

chiaro che i luoghi, gli strumenti, le strutture usuali sono largamente inadatte allo scopo.<br />

Forse anche incapaci di concepirlo: una struttura rigida e fredda può accettare una forza<br />

dinamica, anche se nella forma della complementarità? Ne sarebbe devastata.<br />

Forze fredde e forze calde vi sono ovunque: non è un mistero che nella Scuola esse si combattano<br />

da molto tempo e che questo sia in generale un momento cruciale. Voi avete<br />

indicato nei fatti una via d’uscita che ha implicazioni teoriche e pratiche.<br />

* Dimora.<br />

Vi sono numerose implicazioni, a fronte di grandi trasformazioni che riguardano la società<br />

nel suo complesso. Una riguarda il tipo di allievi con cui lavoriamo. L’infanzia non ha<br />

subito trasformazioni sconvolgenti in questi ultimi decenni: i sommovimenti nella storia<br />

dell’uomo sono lenti ed ancora più quelli della natura e del cosmo. Sono invece cambiate<br />

XXII<br />

radicalmente le condizioni attorno ad essa: la famiglia, il numero degli figli, l’habitat italiano<br />

ed europeo.<br />

Esaminiamone in breve un aspetto. La maggioranza <strong>delle</strong> allieve e degli allievi frequenta<br />

classi poco numerose, se paragonate a quelle frequentate dai loro padri; ma soprattutto<br />

proviene da famiglie mononucleari dove ci sono pochissimi bambini. Ne conseguono<br />

numerose solitudini: in casa, per la eccessiva preponderanza di adulti, quando sono presenti;<br />

nel borgo, nel quartiere, nel palazzo, per la assenza della vita di gruppo, dove avvenivano<br />

le prime forme di iniziazione alla vita. Il luogo privilegiato dove avviene l’incontro con altri<br />

esseri umani della stessa età ed altezza è la Scuola ed è anche quello dove dimorano per più<br />

tempo: dai tre ai diciotto anni.<br />

Ne consegue che la Scuola è divenuta una dimora problematica. È investita oggettivamente<br />

di funzioni e compiti, desideri ed aspettative, che mai aveva dovuto sopportare. Certamente<br />

non è un luogo dove esclusivamente ci si istruisce. Sappiamo che è necessaria una nuova<br />

arte di educare: una autentica paidèia, alla cui creazione concorrano molte forze.<br />

Non sappiamo ancora in che direzione volgerà il suo destino. Esso dipende molto da quelle<br />

‘forze’ calde su citate, dalla loro capacità di istituire laboratori dove si coniughino prassi e<br />

teoria, dove sia possibile il pensare assieme ed il progettare assieme, prima che ciascuno<br />

faccia i conti con la sua specifica realtà. Un luogo a cui tornare ogni volta che lo si ritenga<br />

necessario.<br />

5. Epilogo<br />

* Un viaggio.<br />

La parola che più colpisce nelle vostre pubblicazioni è itinerario, forse perché in sintonia<br />

con queste riflessioni. Rappresenta con efficacia il lavoro che avete fatto ed introduce l’idea<br />

del lungo viaggio che la Istituzione scolastica in Italia deve ancora fare, ma soprattutto<br />

individua una grande metafora che ne sottolinea il carattere presente e futuro.<br />

Un pensiero itinerante si impone per noi che ci siamo assunti il compito arduo di ‘educare’<br />

nel tempo presente; tanto più che il suo esercizio è più vicino allo statuto di un’arte che a<br />

quello di una scienza. Singolare assonanza con l’arte di raccontare fiabe e con l’uso degli<br />

strumenti offerti dalla psicoanalisi, sapere che non ha lo statuto di una vera e propria<br />

scienza.<br />

D’altro canto non si può rispondere con il meccanicismo dei piccoli saperi alle domande<br />

radicali che ci vengono spesso rivolte.<br />

Con il formalismo <strong>delle</strong> burocrazie, poi, si può solo sopravvivere a sé stessi in modo grigio<br />

ed anonimo.<br />

Ogni viaggio comprende il periodo dell’andare alla ventura, dove l’imprevisto e le prove<br />

difficili sono la norma, dove sono necessari una grande preparazione ed un grande rigore.<br />

I viaggiatori medioevali, come Marco Polo e Odorico da Pordenone, si preparavano a lungo<br />

prima di affrontare gli spazi abitati dal meraviglioso e dal mostruoso. Prevede anche il<br />

momento del ritorno, come Odisseo alla sua Itaca, al porto dove si ritrova la identità<br />

originaria, e si riassume il ruolo che si era lasciato per un certo tempo, con le difficoltà<br />

inerenti alla osservanza del principio etico di responsabilità.<br />

Un pensiero itinerante deve, infine, usare più registri.<br />

Accanto al pensiero razionale va posto quello simbolico. Il primo assicura la distanza e la<br />

XXIII


Psiche ed Eros Renzo Mulato<br />

misura; il secondo la vicinanza con il vissuto e con lo stato di meraviglia in cui il pensiero<br />

nasce. Se un lògos razionale e discorsivo mostra i suoi limiti di fronte all’incommensurabile,<br />

il secondo consente di superare la contraddizione senza negarla, anzi dando ad essa una<br />

qualche espressione.<br />

Il bambino e l’artista la aggirano attraverso il gioco: la dimensione ludica permette loro di<br />

sporgersi dentro l’abisso senza precipitarvi; attraverso intuizioni folgoranti attraversano<br />

spazi che non sono consentiti ad un pensiero che proceda solo per rigide definizioni. Il loro<br />

sguardo obliquo sulle cose getta un ponte tra realtà diverse e lontane come due rive di un<br />

fiume. Che cosa è il simbolo se non un ponte tra realtà presente ed assente, una forma di<br />

integrazione della diversità? L’armonia nascosta di cui parla Eraclito si esprime anche<br />

attraverso immagini, simboli. Il luogo privilegiato, dove questa azione pontica si dispiega,<br />

è il mito, è la favola. Del resto vi è un’eco del mondo più in una forma di narrazione che<br />

in un discorso ben fatto. Al pensiero razionale compete la individuazione dei nessi della<br />

esistenza, ma per altra via.<br />

L’uso dei due registri, in modo combinato, è presente nelle favole, che hanno sempre una<br />

loro perspicua forma di logicità. Costruiscono una foresta di simboli, ma non a caso.<br />

Mi piace concludere, a proposito, con l’enigma nascosto nelle prime righe di una favola<br />

famosa, nella versione inventata da Perrault: Pollicino.<br />

“C’erano una volta un boscaiolo ed una boscaiola, che avevano sette figli, tutti maschi; il<br />

maggiore aveva dieci anni ed il più giovane soltanto sette. È presto spiegato come mai avessero<br />

avuto tanti bambini in così poco tempo: erano nati due per volta.”<br />

XXIV<br />

a cura di<br />

Luigina Perosa<br />

«Introduzione<br />

a un questionario difficile<br />

perché riguardante luoghi poco indagati<br />

non contaminati dal logos».<br />

Proprio perché donne il percorso ha potuto avere luogo.<br />

Un percorso che “facendosi si fa”, da noi singole donne, con Lorena, nel riconoscimento<br />

della parzialità, verso una soggettività, dimora sempre in divenire. Costruendoci quasi<br />

nell’atto concreto del nostro ricercare.<br />

Un passo avanti, due indietro: procedere per retrocedere a cercare, a indagare quei<br />

pezzetti di noi che cadono fuori dall’ordine simbolico, per riappropriarci di quei segni, di<br />

quei frammenti di sensazioni, di quelle rappresentazioni che soli forse potranno condurci<br />

ad un nostro sentire, ad un nostro percepire, ad un’altra possibile relazione fra noi e il<br />

mondo, ad un linguaggio fatto di parole che tutto ciò incorpora.<br />

Proprio l’accesso a questo sentire e a questo linguaggio, mette in grado di accogliere<br />

l’aggressività, la rabbia, le ferite affettive, la provocazione, il bisogno potente di cercare<br />

un posto nella tua testa, che ha un bambino per sentire che esiste.<br />

In tale terra di confine e in tale contaminazione, mi addentro tutti i giorni e forse proprio<br />

la mia NOSTALGIA ha saputo diventare un movimento verso il futuro, una passione per<br />

una nuova partenza.<br />

Questo il corso di formazione mi ha dato e ha dato a chi, come me, cercava.<br />

Le risposte al questionario lo attestano; le risposte non pervenutemi, attestano semplicemente<br />

la difficoltà e la sofferenza che la passione per la partenza porta con sé.<br />

* Perosa Luigina - docente di scuola elementare – insegna matematica, storia e musica<br />

XXV


“Intimità come evento”<br />

Sette percorsi dell’anima al femminile<br />

commentati da Lorena Fornasir*<br />

Premessa<br />

Un’insegnante** del 1° corso ha proposto a conclusione del biennio, un questionario da lei<br />

elaborato. La formulazione <strong>delle</strong> domande riprende i temi principali su cui si è basata la<br />

formazione ma, non solo. L’intenzione era forse quella di dar voce alle intime corde che<br />

alcuni argomenti hanno toccato, facendo risuonare o vibrare accordi di pensieri, accenti di<br />

emozioni, insaputi accompagnamenti.<br />

Sei colleghe hanno risposto.<br />

A loro tutte va il mio commento, con gratitudine.<br />

Introduzione<br />

Per comprendere le domande del questionario, al fine di evitare malintesi teorici, è necessario<br />

trasferire alcuni contenuti su cui si è basata la formazione <strong>delle</strong> insegnanti. Uno degli aspetti<br />

principali ha riguardato la funzione della holding e della rêverie nell’insegnante. La capacità<br />

di sognare, immaginare, dare forma e figura ai nuclei protomentali che il bambino esprime<br />

come rappresentazioni interne buie e insondabili, serve a ri-creare il “paesaggio” psichico dove<br />

lo spazio mentale diventa ponte, sponda, articolazione. Rêverie, dunque, come forma di pensiero<br />

e condizione per costruire quell’unità che è, al tempo stesso, senso ed integrazione del soggetto.<br />

L’altro aspetto ha riguardato il grado <strong>delle</strong> proiezioni che il bambino fa sull’insegnante<br />

e che questa, a sua volta, riflette sul bambino. Il nodo di questa complessa tematica si è concentrato<br />

sulla capacità di tollerare il contenuto <strong>delle</strong> proiezioni. Il prototipo di questa funzione<br />

è rappresentato dalla relazione madre-bambino e dalla sua rêverie intesa come possibilità<br />

di trasformazione dei contenuti intollerabili in emozioni pensabili. Quando queste capacità<br />

** Perosa Luigina - docente di scuola elementare – insegna matematica, storia e musica<br />

* Lorena Fornasir, psicologa clinica, conduttrice del corso di formazione<br />

XXVII


Sette percorsi dell’anima al femminile Luigina Perosa<br />

non sono minate, la mente della madre o dell’insegnante svolge il ruolo di “levatrice della<br />

mente” del bambino grazie alla possibilità - secondo il modello proposto da Meltzer - di generare<br />

amore/ promuovere speranza/contenere la sofferenza depressiva/pensare. Quando dunque la<br />

mente della madre (maestra) è contenitrice, ella consente che il suo bambino (alunno) provi la<br />

sofferenza mentale (frustrazione-pena) poiché lei stessa gli fornisce la base per tollerare la pena<br />

e trasformare il dolore in immagine (allucinare il seno assente), in pensiero (sostituire l’assenza<br />

concreta con la presenza simbolica), in parola (la parola “mamma” è presenza di un’assenza).<br />

È la nascita al pensiero ed anche la base del processo evolutivo. Attorno a questi due assi<br />

concettuali si è svolta principalmente la formazione <strong>delle</strong> insegnanti.<br />

Commento<br />

Mi ha colpito, anche se non è strano, che solo sette insegnanti abbiano risposto al questionario<br />

proposto dalla loro collega.<br />

Sembra che in una fase primitiva del rapporto tra cultura orale e cultura scritta, quest’ultima<br />

fosse considerata segno che uccide, che porta la rovina, che scrive la morte. L’inchiostro, la<br />

pece della deltos (tavoletta) era la stregua di un liquido sessuale (i pharmaka <strong>delle</strong> donne) e<br />

quindi pericoloso, simile alle sostanze spalmate sui vestiti da Deianira e da Medea. La<br />

scrittura contamina chi la riceve, non chi la porta. Il segno pertanto deve appartenere al<br />

dominatore che, solo, può solcare, segnare, iscrivere, arare, seminare quella terra che è il<br />

corpo della donna. Sul palcoscenico della tragedia le donne hanno avuto voce solo<br />

attraverso la loro maschera indossata da uomini, cioè attraverso la mimesi maschile del<br />

femminile. La loro esistenza, tramandata dai testi della tragedia si è condensata, per secoli,<br />

nella riproduzione della passività che esse interpretavano come ruolo culturale.<br />

Il pensiero femminile dopo tanta storia, sembra ancora, a volte, vivere più nei recessi<br />

dell’anima che nei luoghi della parola in cui dirsi. La donna, storicamente estromessa dal<br />

perimetro della polis, quando vi accede entra nell’ordine del discorso assumendo del<br />

codice maschile le sue formule: la logica, la razionalità, la concettualità.<br />

Le parole che le appartengono appaiono relegate negli spazi dell’invisibile, dell’empatia,<br />

dell’emozione, del maternale, trovando in essi la manifestazione per radicarsi come<br />

presenza senziente ma, si può dire, anche con assenza di logos.<br />

Qual è la difficoltà dell’anima femminile a mostrarsi, a manifestarsi ed assumere visibilità?<br />

A tradurre cioè in pensiero compiuto di forma, l’universo recettivo che la abita?<br />

Forse perché il logos è solo maschile? O forse perché esiste un pericolo che la parola in sé<br />

trasporta?<br />

“La natura ama nascondersi” - recita un frammento di Eraclito: physis kryptesthai philèi.<br />

Se il gesto di coprirsi è gesto femminile di pudore, quello di aprirsi è la nascita.<br />

Come Fedra, la luminosa creatura di Afrodite, che sigilla nella sua deltos (tavoletta ma<br />

anche triangolo pubico simile a una delta) le scritture più nascoste, così ogni donna chiude<br />

in sé l’intimità e ne teme la scoperta. Portarla alla luce del sole è il coraggio di chi, come<br />

Fedra, non teme la propria rovina anche se nella parola genera il suo segreto. Gesto che<br />

apre, gesto di luce che fonda un dire, diverso da quello maschile, che viene dal “fuori”,<br />

dal sociale; l’“intimità” - oscura chora del sentire - che diviene parola è donazione di<br />

senso in quanto incontro, non nel nome dell’identità, rigido principio maschile, ma nel<br />

XXVIII<br />

Sette percorsi dell’anima al femminile Luigina Perosa<br />

nome della singolarità, mera femminile capacità di dono che non pretende riconoscimento<br />

ma che è felice di portare vita. Non sottrazione, perdita e neanche affermazione<br />

di sé, ma evento di un puro darsi, che sorge e si dona agli altri nella visibilità del dirsi,<br />

non dell’affermazione identitaria, che sempre si erige contro un nemico.<br />

È una scelta forte che, come Fedra ci dimostra, può evocare il caos dell’inizio ma anche<br />

la differenza quale nascita alla propria singolare esistenza. Esplorare, entrare nell’arché,<br />

comporta un rischio emozionale dovuto ad una componente ontologica originaria: c’è<br />

un tempo ed uno spazio all’origine di ogni cosa, di ogni esperienza, di ogni gruppo,<br />

intesa come caos, come disordine che si oppone all’ordine. Dal caos originario nasce il<br />

cosmo, dal disordine nasce l’ordine. Ri-cercare, conoscere, è un modo di trasgredire il<br />

velato, d’insinuarsi nel celato. Il dubbio, la crisi, sono i frutti di questo cammino. Il<br />

dubbio nasce laddove l’unità originaria si sdoppia, si divide, s’interroga, si scopre<br />

ambivalente. È il momento più alto della propria ricerca, è tempo e tensione dell’anima<br />

che osa uscire dalle frontiere dell’interdetto e migrare verso orizzonti di luce. Trovare sé<br />

stessi, creare lo spazio per il pensiero, richiede fatica psichica. Bion diceva che bisogna<br />

assumere come dato ontologico l’esperienza dell’angoscia (della nascita-separazioneindividuazione-differenza),<br />

quale pre-condizione di ogni sviluppo. L’angoscia può essere<br />

considerata una <strong>delle</strong> spinte organizzatrici <strong>delle</strong> forze psichiche, e la funzione del dolore<br />

- come riconosce l’antica sapienza: to pathai mathos (Eschilo, Agamennone, 177) -<br />

permette al soggetto di sperimentare la propria capacità a crescere.<br />

Chi lavora con i bambini ha spesso la sensazione di non sapere, di non riuscire ad offrire<br />

aiuto, di essere impotente, di avere difficoltà a recuperare la propria funzione. Martha<br />

Harris ci ha lasciato queste sue parole:<br />

…(chi si occupa di bambini)…<br />

deve riuscire a tollerare di sentirsi piccolo e al buio<br />

perché è così che spesso i bambini si sentono ed è così<br />

che il bambino in noi si deve continuare a sentire<br />

se si vuole rimanere aperti alle meraviglie<br />

e alle avventure del mondo così come ai suoi rischi<br />

Chi, inoltre, lavora non solo con bambini ma con correnti di vita confuse, magmatiche,<br />

stolide, disturbate, sente una verità profonda ma scomoda: il compimento terapeutico è<br />

quello di raggiungere il dolore sottostante… tenere lontano il dolore è un modo di<br />

tenere lontano il bambino stesso.<br />

XXIX


Sette percorsi dell’anima al femminile Luigina Perosa<br />

Questionario e risposte<br />

elaborate dalle insegnanti<br />

❑ Il corso “La sessualità infantile e l’arte della fiaba” ha dato molto rilievo alla rêverie<br />

(“immaginare” e “pensare” il bambino dentro di sé) e alla capacità da parte dell’adulto<br />

di “contenere” ciò che nel bambino è irrapresentabile al fine di trasformare il non<br />

pensiero in pensiero, l’informe in forma. Ritieni che il lavoro di questi due anni ti abbia<br />

aiutato ad identificare ed esprimere funzioni di “contenimento”? In quali situazioni?<br />

Per quali aspetti?<br />

A. Sicuramente il lavoro di questi due anni ha contribuito in maniera forte a far meglio<br />

precisare me e me stessa. L’aver meglio identificato le funzioni di contenimento che<br />

quotidianamente in classe, e a casa come madre, mi trovo a mettere in atto, ha fatto<br />

sì che mi rendessi conto in modo più chiaro e cosciente, di quanto ciò mi sia difficile<br />

e di quanto poco io riesca a trasformare ciò che i bambini - e mi riferisco soprattutto<br />

a quelli che esprimono un maggior disagio e una maggior sofferenza - mi scaricano<br />

addosso. Ora credo di sapere meglio cosa un bambino cerca in me quando mi<br />

provoca, esprime la sua aggressività, “disturba”, è terrorizzato dal caos che ha dentro<br />

di sé. Tuttavia, il fatto che riconosco meglio le sue angosciose richieste, non mi porta<br />

sempre a rispondere in modo adeguato. È su questo che vorrei lavorare ancora.<br />

Credo che la funzione contenitrice che è insita nel mio essere insegnante/madre, sia<br />

l’aspetto più difficile del mio lavoro e anche quello che maggiormente mi “stanca”.<br />

La mia difficoltà più grossa, non è tanto quella di accogliere le ansie e le sofferenze<br />

di un bambino con cui, purtroppo, entro anche troppo facilmente in relazione<br />

empatica; la vera difficoltà è emergere entrambi da questo pantano fusional-empatico,<br />

per aiutarlo a liberarsi dall’incontenibile, per poterlo trasformare in ciò che può<br />

contenere-pensare-riconoscere<br />

B. Quando ho riletto (e non una, ma diverse volte) il questionario, non avevo dubbi:<br />

potevo rispondere alle richieste. Nel momento in cui ho deciso di prendere carta e<br />

penna sono andata in crisi (profonda). Ho riflettuto ancora sui significati di “rêverie”<br />

e “contenitore”: generare amore, promuovere la speranza, contenere la sofferenza,<br />

trasformare in pensiero ciò che nel bambino non è pensabile (evitando la confusione),<br />

essere contenitore. Ho messo giù gli “attrezzi” e ho preso a sbrigare altre<br />

faccende… stavo però pensando a loro, agli alunni: quelli di quest’anno e degli anni<br />

precedenti. Ho deciso di riprendere la penna. Ci sono state situazioni in cui sono<br />

XXX<br />

Sette percorsi dell’anima al femminile Luigina Perosa<br />

stata (mi sono sentita) maggiormente in contatto con i bambini: li ho “ascoltati”<br />

quando “evacuavano” problemi, sogni, <strong>paure</strong>, incubi, preoccupazioni, bugie, sfide…<br />

Li ho veramente “ascoltati”?, sono stata in grado di cogliere il vero messaggio che mi<br />

comunicavano?, ho saputo riconoscere le emozioni che mi trasferivano?, ho trasmesso<br />

confusione? Quanti dubbi!! Forse qualche volta sono riuscita a fargli sentire che c’è<br />

una persona che prende in considerazione i loro “grandi” problemi ma, a volte,<br />

soprattutto alcuni bambini con i loro comportamenti di sfida, hanno scatenato in me<br />

sentimenti di rabbia, di rifiuto. Alla fine eccomi in crisi.<br />

C. Il lavoro di questo corso mi ha aiutato a chiarire alcuni dubbi, o quanto meno mi ha<br />

dato qualche risposta rispetto a comportamenti strani e non consueti di alcuni<br />

bambini. Ho sentito in alcune situazioni di essere riuscita nella funzione di “contenimento”<br />

ed in particolare con un alunno. Il percorso però non è semplice e non<br />

sempre riesco ad autocontrollarmi, ma dopo un anno e mezzo di lavoro, nonostante<br />

il mio atteggiamento forte sono riuscita a stabilire con lui un rapporto di fiducia.<br />

D. Penso che la funzione di contenimento non possa essere riconosciuta a sé stante… la<br />

senti, la agisci nella quotidianità e forse non ti accorgi neanche. Personalmente, posso<br />

tentare di riconoscerla come situazione di benessere, solo dopo aver agito. E non<br />

sempre questo momento ha una valenza affettiva uguale all’altra ma, forse, è troppo<br />

riduttivo. Non posso così rigidamente schematizzarla perché esistono, a mio parere,<br />

livelli diversi di contenimento a seconda della situazione che ti trovi a dover gestire,<br />

ai bambini con cui stai relazionando. Mi è difficile riconoscerla, o meglio, descriverla.<br />

Non sono sicura che una determinata azione possa essere riconosciuta come funzione<br />

di contenimento. Penso di poterla percepire come sensazione, ma penso che mi serva<br />

altro tempo per poterla possedere in modo del tutto consapevole.<br />

E. Il corso ha rappresentato, per me, un momento di riflessione rispetto al mio ruolo<br />

come donna, come madre e come insegnante. Non sempre mi è facile vivere questi<br />

ruoli con equilibrio e in modo appagante, perché diversi sono i livelli di coinvolgimento<br />

emotivo. Un maggior coinvolgimento emotivo, infatti, mi comporta una<br />

maggiore difficoltà nell’accogliere e contenere il disagio dell’altro, mentre se riesco<br />

ad essere al “di sopra e al di fuori”, separando le situazioni dalle emozioni, mi riesce<br />

più facile accogliere il disagio dell’altro. Credo che, rispetto alla funzione di contenitore,<br />

le cose siano andate così. Ad un certo punto della mia vita ho scoperto a<br />

livello più o meno cosciente, di possedere questa funzione e l’ho utilizzata nella<br />

relazione con me stessa e con gli altri. Questo esercizio l’ha fatta crescere in un processo<br />

continuo e non concluso, attraverso prove, riprove, traguardi raggiunti,<br />

retrocessioni. A mano a mano che s’affinava la capacità di “contenere” me stessa e gli<br />

altri, aumentava di pari passo la coscienza del possesso di questa funzione e della sua<br />

ricchezza come risorsa. D’altro canto mi è anche chiaro che essa non è un “bene” da<br />

tenere solo per sé ma va messo al servizio degli altri per un benessere reciproco. In<br />

sintesi, il fatto di essere donna mi garantisce il possesso del “contenitore”, di essere<br />

madre e insegnante quello dell’esercizio di questa funzione; il fatto poi che sia in<br />

continuo contatto con me stessa e con gli altri, mi garantisce, attraverso una serie di<br />

relazioni, la verifica continua della “bontà” della mia funzione “contenitrice”. Le<br />

emozioni che giornalmente mettono a dura prova il mio ruolo di “contenitore” sono<br />

soprattutto le provocazioni verbali o mimico gestuali, la rabbia, ilrancore… Nel<br />

XXXI


Sette percorsi dell’anima al femminile Luigina Perosa<br />

momento in cui qualcuno trasferisce, su di me, queste emozioni, generalmente sono<br />

in grado di distinguerle dalle mie, ma capita, anche, che le confonda con le mie se,<br />

in quell’istante, sono emotivamente coinvolta. Nel momento in cui accolgo il disagio<br />

del bambino sono sicura che troverò il momento adatto in cui restituirgli in maniera<br />

accettabile ciò che poco prima era per lui impensabile. Nel momento in cui, invece,<br />

confondo e mescolo le sue emozioni con le mie, sarà solo dopo una riflessione<br />

“postuma” e un’auto-analisi della situazione e del relativo comportamento, che<br />

subentrerà una presa di coscienza di ciò che è avvenuto. Qui, allora, nascono due<br />

esigenze: da una parte il desiderio immediato di una “riparazione” e dall’altra un<br />

impegno ad affinare quel “rifiuto” che permetterà di individuare, in futuro, situazioni<br />

di questo secondo tipo per poterle, quindi, affrontare, dopo aver sgombrato l’animo<br />

dalle emozioni. Il primo a trovare vantaggio dall’esercizio della funzione contenitrice<br />

è senz’altro il soggetto che la esercita. Posso affermare di trovare una grossa carica di<br />

benessere dentro di me, a mano a mano che questa capacità cresce e s’affina; sento<br />

di averne bisogno per trovare entusiasmo, gusto di vivere, resistenza e perseveranza<br />

nell’affrontare tutte le situazioni di vita quotidiana. Inoltre, ho bisogno di conferme<br />

positive rispetto a questo ruolo, anche dalle persone con cui entro quotidianamente<br />

in relazione. Certamente lo sforzo di far chiarezza dentro di sé per disporsi in<br />

atteggiamento di ascolto e di accoglienza dell’altro, è costante, faticoso, e viene<br />

messo continuamente in discussione ma, ci vuole anche una buona dose di ottimismo<br />

per permettere di perseverare nel cammino intrapreso, anche in presenza di<br />

sconferme.<br />

F. L’esperienza di questi due anni mi ha insegnato soprattutto ad essere più attenta e<br />

“presente” nelle situazioni in cui mi è difficile rispondere a dei bisogni che non siano<br />

in corrispondenza con i miei. Riconosco facilmente situazioni che anch’io ho provato<br />

ed “empatizzato” con l’alunno, rivelando comprensione e solidale complicità<br />

allorché senta di percepire le sue <strong>paure</strong>, l’insicurezza, il bisogno di essere accolto nel<br />

momento critico. Mi accorgo che i bambini, soprattutto i più difficili, sanno trasferire<br />

in me i sentimenti che loro stanno provando. So, teoricamente, che questo è<br />

funzionale alla loro crescita, ma non riesco a non irritarmi, esplicitando la mia arrabbiatura,<br />

quando mi pongono di fronte al sentimento di disistima o di inutilità di ciò<br />

che propongo. Ciò avviene in particolare quando mi arriva il messaggio implicito:<br />

“non mi piaci”. Il lavoro fatto in questi anni, mi fa capire che questa disistima di sé,<br />

è ciò che muove quel bambino a comportarsi in modo da essere rimproverato,<br />

persino castigato, in nome di un gioco che ha appreso e che gli permette, ripetendolo<br />

infinite volte, di affermare, per ora, il suo essere in quello spazio e in quel tempo, in<br />

rapporto con gli altri. Capisco che la sua richiesta fondamentale è quella di sperimentare<br />

di sentirsi amato, ma non so in quali e quanti modi si possa dimostrarglielo e<br />

quante siano le volte che possano bastare per rassicurarsi. Penso che sarà lui l’attore<br />

principale del suo teatro interiore e che molte volte, forse, deluderò le sue aspettative<br />

di quel momento. Dovrà riprovare ancora, fino a quando gli basterà. Questa<br />

affermazione mi fa toccare il mio limite e la consapevolezza che certi malesseri”,<br />

hanno la loro ragione di esistere, senza voler ogni volta stabilire i confini tra ciò che<br />

è bene e ciò che non è bene sentire. Ho imparato che stanno a bada di qualcos’altro<br />

che ancora non è in grado di affrontare e che in questo modo, sono salutari. Il lavoro<br />

ha reso più complesso il precedente concetto di SALUTE e, soprattutto, ho capito<br />

che per ogni individuo, tale concetto, assume <strong>delle</strong> sfumature diverse, in relazione al<br />

XXXII<br />

Sette percorsi dell’anima al femminile Luigina Perosa<br />

suo essere Persona Integrata e perciò, a sua volta Integrante. In questo percorso ho<br />

fatto i conti con il desiderio di onnipotenza, ossia di mettere tutte le cose a posto a<br />

modo mio, secondo il pensiero logico e razionalizzante di un’adulta che vorrebbe far<br />

funzionare le cose al meglio possibile, come se bastasse un’unica esperienza umana<br />

per riprodurre e moltiplicare i successi. Questo sarebbe possibile se ogni persona<br />

fosse intercambiabile, mentre ognuno di noi è unico. Ora sono più propensa a<br />

pensare che a quella bambina che sono stata e che porto ancora dentro in me, tutto<br />

è servito per essere quello che ora sono, e che il tempo di cui ho avuto bisogno è<br />

stato tutto giusto per portarmi dove sono, senza accelerazioni o spinte che non<br />

provenissero unicamente da decisioni mie. Ho capito che se si vuole, si può far sbocciare<br />

un fiore o maturare un frutto prima del suo tempo. Si può… mangiare una<br />

fragola a gennaio… ma, ha lo stesso sapore e profumo di quella maturata al sole di<br />

maggio? Potrò far sentire la mia vicinanza senza farla diventare intrusione? Riconoscere<br />

questo delicato confine?<br />

G. Penso che questo corso mi abbia dato l’opportunità di comprendere la natura <strong>delle</strong><br />

ansie che assalgono i bambini, la confusione e il caos che li pervade di fronte alla<br />

paura di essere derisi, criticati, minacciati, rifiutati, sentimenti questi che gli stessi<br />

adulti-insegnanti possono provare quando si trovano davanti un gruppo classe con<br />

ogni tipo di background, con classi difficili, turbolente, insomma impossibili… Di<br />

fronte a queste situazioni, ho colto che è necessario capire il significato del comportamento<br />

dei bambini, imparare ad osservare ed ascoltare come questi ultimi cerchino<br />

di trovare una risposta dall’insegnante per poter porre fine a tali angosce, trasferendo<br />

tutto nell’insegnante sia con messaggi verbali che mimico-gestuali. Questo cammino<br />

mi ha reso più ricettiva all’ascolto e all’osservazione sul comportamento dei bambini,<br />

più cosciente di poter essere e diventare “il contenitore” di sentimenti forti che i<br />

bambini possono proiettare dentro di noi. Di fronte ad un bambino difficile che<br />

comunica con me per sbarazzarsi di una parte della sua personalità che genera il lui<br />

conflitti e angosce, mi rendo conto (solo ora) che solo quando sono in contatto con<br />

i suoi sentimenti e se partecipo emotivamente ai suoi stati d’ansia posso comprenderlo<br />

e rispondere ai suoi bisogni. D’altra parte non mi è sempre facile, anzi mi risulta<br />

spesso difficile tollerare sentimenti come il panico, la colpa, la disperazione e la<br />

depressione. Non mi è stato sempre facile sopportare l’esperienza emotiva suscitata<br />

in me dai bambini, ma è stata ed è un’esperienza interessante perché mi ha permesso<br />

e mi permette di riflettere sui sentimenti e sulla natura del mio dolore e mi rende<br />

capace di capire meglio me stessa e gli altri; ciò, credo, mi porterà ad una crescita<br />

personale e ad una maggiore abilità nel tollerare il dolore emotivo degli altri. Solo<br />

comprendendo il significato della comunicazione mi è possibile rispondere ed agire<br />

in modo più opportuno nei confronti dei bambini, e solo con queste esperienze<br />

significative io e i bambini possiamo sviluppare una maggiore capacità di tolleranza.<br />

L’essere consapevole che posso/potrei essere usata come contenitore, talvolta mi<br />

spaventa perché non sono ancora abbastanza forte per liberarmi dai miei problemi<br />

con i quali è già abbastanza difficile lottare per poter prendermi carico dei problemi<br />

degli altri senza sentirmi un mero cestino di spazzatura, sentimento questo che<br />

impedirebbe al bambino di mettermi di fronte e combattere un conflitto doloroso.<br />

Ci vuole un atto di vero coraggio per agire responsabilmente come contenitore e iniziare<br />

a compiere un duro lavoro mentale per crescere come persone aperte e pronte<br />

all’ascolto. La funzione di contenimento, come capacità di tollerare il dolore messo<br />

XXXIII


Sette percorsi dell’anima al femminile Luigina Perosa<br />

dentro di noi senza venirne oppressi, di trasmettere al bambino la sensazione che<br />

esiste qualcuno capace di contenere questa temuta parte di sé senza andare in pezzi,<br />

permette al bambino di interiorizzare un modello di adulto-contenitore capace di<br />

contenere questo aspetto di sé, rendendo più accettabile il suo mondo emotivo. È per<br />

questo che ritengo che il compito dell’insegnante sia anche quello di agire come<br />

contenitore temporaneo <strong>delle</strong> angosce dei bambini nei momenti difficili.. Dobbiamo<br />

tutti, perciò, acuire la nostra capacità di osservazione, comprendere il significato dei<br />

comportamenti dei bambini, essere più ricettivi, più aperti nei confronti <strong>delle</strong><br />

comunicazioni emotive degli altri. Questo ci dà modo di rielaborare l’esperienza<br />

emotiva della nostra fanciullezza, di riflettere sulle esperienze dolorose che i bambini<br />

evocano in noi, e coglierne il significato. Compito arduo ma necessario, perché il fine<br />

dell’educazione consiste nel promuovere personalità capaci di realizzare <strong>delle</strong><br />

esistenze libere, coscienti, responsabili, sviluppare in loro atteggiamenti di rispetto, di<br />

tolleranza, di impegno, realizzare l’autonomia personale dei bambini. È in questo<br />

obiettivo educativo-formativo che si declina il ruolo della fiaba da noi usata per<br />

esorcizzare incubi, <strong>paure</strong>, inquietudini sepolte nell’inconscio per mettere il bambino<br />

di fronte alle sue insicurezze, alle sue reali difficoltà della vita, con un linguaggio<br />

fantastico, quello della fiaba che è l’unico da lui raggiungibile e livello profondo. Un<br />

mondo che mi ha fatto rivivere esperienze ed emozioni forti, forse lontane, ma<br />

ancora vive in me perché significative e cariche di valore.<br />

❑ Trasformare ciò che nel bambino è poco contenibile e rappresentabile, ti ha aiutato a<br />

definire meglio il tuo e suo mondo emotivo?<br />

C. A volte ci riesco dipende molto anche da come mi sento io in quel preciso momento<br />

in cui il “fatto” accade. Se non sono stanca fisicamente o preoccupata e nervosa per<br />

motivi che possono essere i più vari, mi rendo conto di riuscire ad accogliere disagio<br />

ed aggressività. Altrimenti, il più <strong>delle</strong> volte rispondo con altrettanta aggressività,<br />

cercando di recuperare poi quando mi sono calmata, so che non è produttivo, ma<br />

penso che sia umano.<br />

❑ Senti di essere in grado di accogliere, a volte, l’aggressività, la rabbia di un bambino?<br />

A. Sento di essere, molto spesso, in grado più di accogliere disagio, aggressività, rabbia<br />

di un bambino, che di dare a queste emozioni la forma di pensiero. Molte volte<br />

restano in me e in lui, uniti in una sofferenza condivisa. Quasi che le parole che uso<br />

per colmarle, io stessa per prima le ritenessi “non abbastanza” o inadeguate per poter<br />

calmare o trasformare una sofferenza così grossa.<br />

C. Alcuni bambini cercano di attirare l’attenzione su di sé perché non si sentono ascoltati<br />

nell’ambito familiare. L’insegnante diventa una persona da sfidare e allo stesso<br />

tempo un punto fermo a cui far riferimento. Queste sono le situazioni che mi è più<br />

facile individuare e in cui cerco di avere una funzione di trasformazione. Non è<br />

semplice comunque staccarsi dalle proprie emozioni e non essere coinvolta emotivamente<br />

dal “gioco” che il bambino ti impone.<br />

XXXIV<br />

Sette percorsi dell’anima al femminile Luigina Perosa<br />

D. Non penso, ripeto, che possa essere identificabile con una sola azione, ma con un<br />

PROCESSO, riconducibile per il bambino, ad un processo di crescita consapevole e<br />

trasparente. Non penso che sia così automatica la trasformazione in una forma più<br />

completa di pensiero, è sempre un processo in evoluzione, mai fermo e sempre<br />

arricchito ogni giorno nella quotidianità di elementi che fanno parte <strong>delle</strong> due o più<br />

persone che entrano in relazione.<br />

❑ Tenendo presente il ruolo del “contenitore”, quali sono le emozioni dei bambini che<br />

maggiormente ti richiamano ad una funzione di trasformazione? Ti è facile riconoscere<br />

le emozioni che il bambino ti trasferisce distinguendole dalla tue?<br />

A. Premetto che non sempre mi è più facile distinguere le mie emozioni da quelle di un<br />

bambino, come emerge dalle mie risposte precedenti. Ciò con cui mi trovo più in<br />

difficoltà, sono le emozioni, sempre manifestate in modo forte, provocatorio e<br />

doloroso, di quei bambini che vivono esperienze di separazione, di perdita, di<br />

lontananza. Mi è successo, alcune volte, di piangere con loro. So che un “buon<br />

contenitore2 quale dovrei essere, non fa così; so che ci dovrebbe essere l’esperienza<br />

escatologica della trasformazione, ma anch’io vivo ancora la stessa angoscia. Anch’io<br />

in quei momenti, evidentemente, mi rappresento nel mio teatro psichico, le mie<br />

separazioni ancora sanguinanti, evidentemente mai trasformate, mai elaborate. Come<br />

posso aiutare un bambino?<br />

C. Il corso mi ha chiarito alcuni dubbi e mi ha aiutato a relazionare in modo più<br />

consapevole con alcuni elementi problematici, soprattutto ad affrontare l’anno scorso<br />

con la classe V argomenti di tipo “sessuale” con maggiore serenità.<br />

D. Tutte le situazioni di conflitto con sé o con gli altri in cui un bambino si trova quotidianamente<br />

a confronto, sono degne di attenzione per una funzione di contenimento<br />

da parte nostra o del bambino stesso per sé. Sta a noi vedere quando e come intervenire,<br />

pensando all’autonomia del bambino o al bisogno dell’intervento dell’adulto.<br />

Non sempre è facile distinguere le proprie emozioni da quelle degli altri, però questo<br />

fa parte del “gioco”. Con questo voglio dire che se vuoi esserci nella relazione devi<br />

metterti nell’altro attraverso le sue emozioni. Importante è sapersi fermare, osservare<br />

e ascoltare.<br />

❑ Ti sembra che il corso ti abbia aiutato a ESSERE maggiormente in contatto con te stessa<br />

e con i bambini?<br />

A. Credo che il corso mi abbia aiutato ad essere maggiormente in contatto con me<br />

stessa; me ne rendo conto quando mi pongo il problema di come rispondere a ciò<br />

che un bambino mi chiede. Cerco di far chiarezza dentro di me su quelle che sono<br />

le mie emozioni e quelle che sono le sue. Per me, più che un lavoro su “viaggio del<br />

cibo” o “viaggio del pensiero”, come emerge dai lavori di molte colleghe, è stato un<br />

viaggio dentro di me, in cui la dott.ssa Fornasir mi ha accompagnata. Si è sempre<br />

troppo soli in questi viaggi. Per fortuna questa volta non è stato così. Vorrei che tutte<br />

le insegnanti, visto il ruolo che abbiamo quotidianamente, potessero avere la possibilità<br />

di riflettere su questi aspetti.<br />

XXXV


Sette percorsi dell’anima al femminile Luigina Perosa<br />

C. Si più volte e anche con il piacere di ricevere risposte ad interrogativi sui miei<br />

comportamenti da bambina e sul mio rapporto con i genitori.<br />

D. Un grande merito ha avuto questo corso, mi ha aiutata ad essere maggiormente<br />

consapevole <strong>delle</strong> dinamiche che entrano in gioco nella relazione con gli altri e<br />

nell’ascolto di me stessa e dell’altro<br />

❑ Credi, in questo percorso, di essere riuscita almeno qualche volta, ad esplorare aspetti<br />

della tua personalità e a rivisitare luoghi della tua infanzia?<br />

Credo proprio che questa esplorazione di aspetti della mia personalità, sia stato<br />

l’aspetto dominante del lavoro di questi due anni. Indirettamente, spesso mi è<br />

successo di rivisitare luoghi della mia infanzia, poiché sempre più mi è chiaro, quanto<br />

quella bambina che sono stata giochi ancora nel mio rapporto con i bambini e nelle<br />

mie relazioni.<br />

D. Spesso ho lavorato interiormente, confrontandomi con il mio modo di agire, penso<br />

che sia l’unico modo per essere consapevoli. È stato un bel viaggio e mi piacerebbe<br />

esplorare ancora.<br />

XXXVI<br />

Parte Prima<br />

a cura di<br />

Lorena Fornasir<br />

Il percorso formativo:<br />

“l’immaginazione pensante” *<br />

Metodologia della Formazione<br />

Il Progetto del I (a.sc. 1997/1998 e 1998/1999) e II Corso (a.sc.1998/1999) per<br />

insegnanti <strong>delle</strong> scuole elementari sulla tematica della sessualità infantile ha inteso<br />

rispondere ad alcuni obiettivi:<br />

❑ riconoscere al pensiero infantile la peculiarità della sua competenza percettiva e di<br />

giudizio stabilendo, di conseguenza, in modo imprescindibile questo punto come<br />

partenza per qualsiasi “costruzione” teorica;<br />

❑ trasmettere strumenti di conoscenza teorici sulle principali caratteristiche psicoevolutive<br />

della prima e seconda infanzia<br />

❑ formulare una didattica che valorizzi l’immaginazione come forma di pensiero,<br />

rapportando la creatività alla dimensione comunicativa e di relazione fra i soggetti<br />

Inquadramento teorico del Progetto<br />

L’aspetto della sessualità infantile è stato trattato come parte integrante dello sviluppo<br />

dell’intera personalità del bambino, in modo da evitare quella separatezza tra corpo e<br />

mente che la frammentazione dei vari saperi propone, inducendo una scissione <strong>delle</strong><br />

componenti relative alla sfera evolutiva. La sessualità, infatti, non può essere considerata<br />

un dato biologico poiché non coincide con il corpo ma dovrebbe rappresentare<br />

l’integrazione della psiche con il soma, dell’emozione con il comportamento, della realtà<br />

psichica interna con la realtà esterna.<br />

Per meglio comprendere i significati di questa ottica d’intervento in riferimento ai vari<br />

modelli pedagogici, è opportuno illustrare le tendenze che tuttora caratterizzano gli<br />

orientamenti in merito alla sessualità.<br />

Tendenze relative alla pedagogia sessuale<br />

❑ Nell’ambito della pedagogia sessuale, la visione biologico meccanicistica appartenente<br />

ad alcune scienze quali la biologia, l’anatomia, la fisiologia, la medicina, ha<br />

creato l’equivoco di trattare il corpo come una funzione di apparati.<br />

* Lorena Fornasir, psicologa clinica, psicoterapeuta, conduttrice del I e II corso di Formazione su “La sessualità infantile e l’arte della<br />

fiaba”<br />

XXXVII


Il percorso formativo: l’immaginazione pensante Lorena Fornasir<br />

Dalle tavole anatomiche sempre più perfette, agli schemi fisiologici sempre più<br />

complessi, il corpo umano è stato “oggettivato” e studiato, quindi relegato fra gli<br />

“oggetti”, come se esso non avesse nulla da dividere con l’essere umano che “abita”<br />

dentro quel corpo ed in esso vive e si esprime. Per lungo tempo, inoltre, il corpo è<br />

stato considerato la fonte del peccato originale, sede di tutte le pulsioni e poiché la<br />

sessualità è una <strong>delle</strong> forze maggiormente avvertite come tentazione al male,<br />

l’indegno e lo sporco sono stati accentrati sulla sfera genitale. Ogni cultura si è difesa<br />

dalla sessualità edificando tabù e stabilendo regole comportamentali, andando a<br />

rafforzare la concezione del corpo come “cosa” vergognosa ed impura. La scienza<br />

stessa ha risentito di tale clima tanto che fino al XVII sec. i libri di anatomia non<br />

parlavano di come fossero conformati genitali. La tendenza generale è consistita nel<br />

ridurre il corpo ad “oggetto” di semplice materiale di studio ed ancor oggi, quando<br />

in sede di educazione sessuale si parla dei genitali, i più si preoccupano di essere<br />

rigorosamente scientifici finendo per spiegare un corpo-apparato che nessuno riesce<br />

a riconoscere come proprio.<br />

❑ Accanto alla posizione meccanicistica si è consolidata una concezione della corporeità<br />

definita antropo-fenomenologica. I suoi maggiori esponenti (Husserl, Heiddeger)<br />

hanno trasmesso una idea del corpo fusa alla psiche. Anima e corpo sono intimamente<br />

compenetrati fra loro e rendono l’uomo “carne pensante”. La presenza corporea si<br />

traduce in un “essere nel mondo” che è la manifestazione del soggetto nella globalità<br />

della propria esistenza. In tale ottica, ad es., le lacrime non sono il risultato somatico<br />

della tristezza, ma sono l’emozione stessa che si manifesta. La fenomenologia ha<br />

dunque avuto il merito di concepire la persona come “carne pensante” anche se tale<br />

concezione era ed è implicitamente presente nei proverbi e nel lessico parlato tessuto<br />

di modi di dire. Infatti, per indicare una persona coraggiosa si dice che “ha fegato”,<br />

chi possiede buoni sentimenti è “una persona di cuore”; al contrario se è cattiva “ha<br />

un cuore di pietra”. Se qualcuno è antipatico “non lo possiamo digerire” oppure “ci<br />

sta sullo stomaco”. La fenomenologia suggerisce dunque che i sentimenti sono una<br />

maniera di sperimentare e comprendere il mondo: il mondo “vissuto” ed anzi,<br />

misurano la disponibilità del soggetto nei confronti <strong>delle</strong> cose.<br />

❑ Tutti gli studi della psicologia e <strong>delle</strong> scienze relazionali hanno attinto alla fenomenologia<br />

individuando la possibilità di rifondare la comprensione sull’uomo anche<br />

attraverso l’interpretazione del codice corporeo (per Freud l’Io è innanzitutto un Io<br />

corporeo) e del suo manifestarsi quale presenza nel mondo.<br />

È nota la centralità che nella psicoanalisi occupa la sessualità. La teoria freudiana pone<br />

alcuni postulati:<br />

1 esistenza della sessualità infantile<br />

2 distinzione tra sessualità e genitalità<br />

3 le diverse fasi dello sviluppo psicosessuale sono legate a particolari zone del corpo,<br />

dette zone erogene<br />

4 i sintomi sono il risultato della rimozione degli impulsi e le più diverse forme di<br />

nevrosi (fissazioni - regressioni) sono riconducibili ad alterazioni dello sviluppo<br />

psicosessuale.<br />

La teoria freudiana ha tentato di stabilire una continuità processuale tra la formazione<br />

della personalità del soggetto, nei primi momenti della sua vita, e le modalità con cui<br />

questi stabilisce determinati rapporti con le figure significative della prima infanzia,<br />

XXXVIII<br />

Il percorso formativo: l’immaginazione pensante Lorena Fornasir<br />

inizialmente, e con gli altri partners in seguito. Si tratta di un corpus teorico imponente<br />

in cui assumono molta importanza alcuni concetti:<br />

1 l’organizzazione <strong>delle</strong> tendenze istintuali<br />

2 i processi mentali inconsci<br />

3 il principio di piacere e il principio di realtà<br />

4 il concetto di trauma e di complesso<br />

5 l’aspetto topico dell’apparato psichico<br />

6 il ruolo del conflitto, dell’ansia e della difesa<br />

7 l’aspetto dinamico tendente all’equilibrio <strong>delle</strong> forze psichiche.<br />

Da queste linee di riferimento si può arguire come, per la psicoanalisi, la sessualità di cui<br />

essa tratta è sostanzialmente la sessualità psichica. Gli stadi dello sviluppo sono così<br />

intimamente intrecciati con la loro origine psichica, tanto da determinarne l’evoluzione,<br />

la fissazione, l’arresto, la regressione.<br />

In tal senso, e come esempio, una <strong>delle</strong> tappe evolutive della pubertà segnata dalla<br />

comparsa del menarca, è - sempre secondo la psicoanalisi - un evento che richiede interi<br />

processi: lutto del corpo infantile, perdita dell’infanzia, assunzione della genitalità,<br />

accettazione o al contrario negazione della femminilità. Dall’elaborazione di questi<br />

aspetti dipenderà la capacità di “abitare” il corpo e di vivere nel corpo la dimensione<br />

comunicativa e relazionale.<br />

IL NODO DELL’EDUCAZIONE SESSUALE<br />

L’“educazione della sessualità” fa riferimento all’intento pedagogico di trasmettere il<br />

“dover essere” della sessualità, richiamandosi a regole che dettano la norma del<br />

comportamento. In tal senso, tutto ciò che non rientra nella norma è automaticamente<br />

deviante. Essa, inoltre, presume l’esistenza di una verità predefinita, cioè di un modello<br />

determinato a priori che stabilisce ciò che è sano e ciò che è malato, il normale e<br />

l’anormale, la salute e la malattia.<br />

Seguendo tale modello, la pedagogia sessuale ricorre solitamente a tecniche passivizzanti<br />

basate sulla trasmissione dell’informazione e dell’educazione le quali, insieme, rappresentano<br />

la realizzazione di un modello cognitivo/comportamentale.<br />

Distinguere tra informazione ed educazione, è un’operazione che suddivide lo stesso<br />

gesto educativo in parti specialistiche dove lo psicologo, il medico, il sociologo, non<br />

possono far altro che proporre, ognuno dal mondo della propria scienza, una visione<br />

tecnico/specializzata. La sessualità rischia allora di diventare solo contraccezione, o solo<br />

fantasia, o solo condotta, o solo funzione fisiologica, o solo morale, cioè frammento<br />

estrapolato dalla globalità e dall’interezza della persona. Ma, elemento fondamentale, il<br />

bambino rimane nello sfondo come oggetto destinato ad essere educato, e non come<br />

soggetto che possiede una propria competenza di giudizio e di sapere. Le teorie sessuali<br />

infantili che egli elabora durante la sua infanzia sono considerate, in quest’ottica,<br />

esclusivamente <strong>delle</strong> idee sbagliate da correggere.<br />

PROPOSTA DI FORMAZIONE SULLA SESSUALITÁ<br />

UNA POSSIBILE DIDATTICA ORIENTATA DALLA PSICOANALISI<br />

L’alternativa ai classici interventi di “educazione sessuale” - proposta nei due corsi di<br />

XXXIX


Il percorso formativo: l’immaginazione pensante Lorena Fornasir<br />

Formazione ai docenti - è rintracciabile nell’intento di “formare sulla sessualità” (non<br />

educare la sessualità) partendo dal riconoscimento del pensiero e <strong>delle</strong> competenze di<br />

giudizio che il bambino esprime.<br />

Si tratta di un atteggiamento che considera la sessualità una possibilità dell’essere umano,<br />

la cui realizzazione non parte da verità precostituite e non si propone una mete<br />

predefinite. Formare alla sessualità esclude l’imposizione di modelli e favorisce, invece,<br />

l’acquisizione di strumenti per lo sviluppo <strong>delle</strong> proprie potenzialità e l’espressione della<br />

propria individualità.<br />

Ciò è possibile attraverso la trasmissione di linguaggi, gesti, atteggiamenti, conoscenze,<br />

capacità relazionali, tutte variabili che potrebbero consentire a ciascuno di riconoscersi<br />

nel suo essere uomo o donna e ad assumere la propria identità sessuata.<br />

In tutto ciò il ruolo della Scuola è centrale rispetto la trasmissione di una pedagogia e di<br />

un metodo che realizzi l’osmosi tra sfera affettiva e sfera conoscitiva. L’educazione<br />

emotiva e socio-affettiva, riunita in un unico gesto pedagogico di cui può essere portatrice<br />

l’insegnante, è lo strumento più indicato per lo sviluppo adeguato della personalità<br />

del bambino. “Si educa con l’affettività e all’affettività” ma, qualora il gesto pedagogico<br />

si frammenti in troppi saperi specialistici, la stessa affettività sarebbe scissa nelle sue<br />

componenti. Proprio per evitare tale separazione e nell’intento di realizzare una cultura<br />

dell’unità impedendo la frammentazione, è indispensabile la presenza di un’unica figura<br />

pedagogica in formazione permanente.<br />

La psicoanalisi è in grado di orientare una didattica psico-affettiva possedendo ormai specifiche<br />

competenze sull’inconscio, lo sviluppo affettivo, le relazioni oggettuali. Essa non è un sapere<br />

della domanda, non traduce immediatamente la richiesta in una risposta, in una prescrizione<br />

didattica, non offre il “cosa fare”, ma costituisce un quadro di orientamenti interessanti e notevoli<br />

in grado di indirizzare l’“agire educativo” e la valutazione dei suoi effetti.<br />

CARATTERISTICHE DELLA “FORMAZIONE SULLA SESSUALITÀ”<br />

Obiettivo<br />

Gli obiettivi dei corsi di “formazione sulla sessualità infantile” rivolti ai docenti, sono stati<br />

articolati in:<br />

A. Parte Teorica:<br />

1 sensibilizzare alle tematiche dello sviluppo psicosessuale<br />

2 trasmettere strumenti di conoscenza teorica sulle tappe evolutive della prima e seconda<br />

infanzia, ponendo come punto di partenza l’attenzione al pensiero del bambino<br />

3 trasmettere strumenti di conoscenza per comprendere quanto la sessualità sia origine<br />

e fonte della struttura d’identità<br />

B. L’intervento Psicopedagogico<br />

è stato prescelto lo strumento della fiaba e della tecnica immaginativa in base ai quali<br />

raggiungere l’obiettivo di:<br />

1 favorire l’espressione della singola personalità del bambino attraverso una dinamica<br />

ludica di gruppo che si avvalga di precisi strumenti di conduzione da parte dell’insegnante<br />

(il gioco immaginativo e la fiaba) elaborati ed organizzati durante la costruzione<br />

di lavoro teorico previsto nella prima parte;<br />

2 consentire al bambino di sperimentare le proprie emozioni (gioia - aggressività -<br />

indifferenza - eccitabilità - …) dentro una cornice ludica organizzata (funzione contenitrice/organizzatrice<br />

del pensiero del bambino da parte del docente);<br />

XL<br />

Il percorso formativo: l’immaginazione pensante Lorena Fornasir<br />

3 favorire la trasformazione <strong>delle</strong> componenti emotive meno controllate (rabbia -<br />

aggressività - ira - invidia - gelosia) in stati mentali più consapevoli (funzione trasformativa<br />

dell’emozione in pensiero favorita dal docente).<br />

Finalità<br />

Riunire all’interno di un unico gesto pedagogico la dimensione psicorelazionale che<br />

caratterizza il rapporto tra il bambino e l’insegnante, rivolgendosi alla unità della sua<br />

persona nell’unità del sapere educativo.<br />

Metodologia<br />

Sono state proposte o trattati i nuclei di tre fiabe che per i loro contenuti sessuali e simbolici<br />

rievocano figure psichiche e rappresentazioni inconsce che abitano il mondo<br />

interiore, secondo tre tematiche centrali:<br />

1 l’origine (la sessualità rimanda sempre all’origine come nucleo dell’identità)<br />

2 l’amore e l’odio, l’invidia e la gelosia, come pulsioni primitive della sessualità umana<br />

3 l’organizzazione pulsionale.<br />

Valutazione<br />

Per verificare la validità della parte didattica e notare gli eventuali cambiamenti intervenuti<br />

a livello della affettività ed emotività degli alunni, le docenti sono stati poste in<br />

grado di utilizzare degli strumenti di rilevazione: il sociogramma di Moreno e il<br />

Questionario per la valutazione nel gruppo di M. Comoglio.<br />

ARGOMENTI<br />

A. PARTE TEORICA – ARGOMENTI<br />

La parte teorica ha previsto lo sviluppo dei seguenti argomenti:<br />

a Le fasi della sessualità infantile e la loro importanza nello sviluppo dell’apparato<br />

psichico:<br />

1 fase orale e suoi significati<br />

2 fase anale ed il suo rapporto con la creatività<br />

3 fase fallica o edipica in rapporto all’identità<br />

b La differenza tra mondo animato e mondo inanimato instaurano il “luogo della<br />

fobia” come tappa psichica evolutiva e come propedeutica alle regole.<br />

Il “luogo della fobia” non sono le fobie.<br />

Esso è invece quella tappa evolutiva definibile in termini di “barriera” che contrasta la<br />

fantasia onnipotente del bambino di non possedere regole o divieti che gli impediscano<br />

l’unione fantastica con il genitore edipico da lui amato.<br />

Le forme che può assumere questa barriera sono le più svariate: una porta, un tramezzo,<br />

una corda, un ruscello, una finestra…<br />

L’articolazione di tale tematica è stata organizzata attorno alla lettura e discussione in<br />

gruppo del saggio di:<br />

XLI


Il percorso formativo: l’immaginazione pensante Lorena Fornasir<br />

S. Freud “Analisi della fobia di un bambino di cinque anni (caso clinico del piccolo Hans)”<br />

(1908), in Opere vol. V, Boringhieri, Torino 1989.<br />

c L’angoscia dell’animale e le <strong>paure</strong> infantili<br />

Nella mappa psichica del “luogo della fobia” appare l’animale quale custode e garante che<br />

non sia varcata la barriera in direzione di qualcosa che è avvertito come pericoloso (il<br />

godimento edipico). Il “luogo della fobia” si presta perciò ad essere una risposta teorica<br />

all’angoscia.<br />

d Il romanzo familiare e le teorie sessuali infantili: un sapere falso ma vitale<br />

Alle teorie sessuali infantili (teoria fallica - teoria della cloaca - concezione sadica del<br />

coito) viene affidato il compito di risolvere l’enigma della nascita, in una direzione che<br />

esclude per il momento la sessualità genitale, il coito, la penetrazione.<br />

Le teorie sessuali infantili sono definite da Freud come una “conoscenza geniale”: egli le<br />

paragona ai “tentativi geniali degli adulti per risolvere i problemi più ardui che l’universo<br />

pone all’intelletto umano”<br />

e Dalle teorie sessuali infantili alla pulsione epistemofilica<br />

Dall’elaborazione <strong>delle</strong> teorie sessuali, il bambino si “costruirà” una propria teoria del<br />

mondo e dei suoi misteri che lo aiuterà a sviluppare il pensiero creativo.<br />

È stata proposta la lettura e discussione del saggio di:<br />

M. Klein “Lo sviluppo di un bambino” (1921) in Scritti 1921-1958, Boringhieri, Torino<br />

1978, pp. 17/28; 36/45<br />

f La sessualità e lo sviluppo intellettuale: ruolo della fantasia e inibizioni dell’apprendimento<br />

L’associazione tra attività apparentemente neutre e fantasie sessuali è, nella scuola,<br />

particolarmente evidente per il difficile compito che la scuola stessa impone ai suoi alunni:<br />

sublimare le pulsioni libidiche - sottrarle cioè alla soddisfazione immediata - per indirizzarle<br />

verso risultati desessualizzati ma socialmente valorizzati. Poiché nell’apprendimento<br />

sono in gioco forti energie libidiche, spesso, dall’analisi <strong>delle</strong> difficoltà scolastiche appare<br />

la presenza dell’angoscia di castrazione (trasposta nella paura dell’interrogazione, dell’esame,<br />

nella fobia della scuola…)<br />

È stata proposta la lettura e discussione del saggio di:<br />

M. Klein, “La scuola nello sviluppo libidico del bambino” (1923), in Scritti 1921-1958,<br />

Boringhieri, Torino 1978, pp. 80/83<br />

B. L’INTERVENTO PSICOPEDAGOGICO – ARGOMENTI<br />

Nella parte della formazione tesa alla realizzazione dell’intervento psicopedagogico, è<br />

stata posta particolare attenzione all’esistenza <strong>delle</strong> condizioni adatte, fra cui la maturità<br />

degli alunni coinvolti, per proporre il percorso attraverso l’uso <strong>delle</strong> fiabe. Inoltre, è stato<br />

considerato:<br />

a composizione del gruppo classe;<br />

b dinamiche del gruppo classe;<br />

c dinamiche del gruppo con l’insegnante.<br />

d tempi di realizzazione<br />

e variabili soggettive dell’insegnante<br />

XLII<br />

Il percorso formativo: l’immaginazione pensante Lorena Fornasir<br />

Il tema della fiaba in relazione al percorso di formazione sulla sessualità infantile è stato<br />

appositamente prescelto per i seguenti motivi:<br />

• le fiabe rappresentano un linguaggio universale che, al pari dei miti, esprimono<br />

attraverso le parole ciò che succede nel mondo interno;<br />

• esse parlano <strong>delle</strong> figure inconsce, dei fantasmi che abitano la nostra psiche e che non<br />

sono accessibili alla coscienza se non in forma affabulatoria la quale ha valore catartico<br />

(liberazione/purificazione mediante la trasformazione e “rappresentazione”)<br />

• la fiaba è il sillabario mediante il quale il bambino impara a leggere la propria mente<br />

nel linguaggio <strong>delle</strong> immagini;<br />

• le fiabe, al pari del gioco, possiedono un’eredità “primitiva” che permette ai contenuti<br />

magici, latenti, misteriosi, di mantenersi inalterati senza deformazioni o variazioni<br />

individuali;<br />

• le fiabe sono forse il residuo di un antichissimo passato che risale alle religioni<br />

druidiche. Tramandate oralmente, sono sopravvissute storie sfuggite alla censura<br />

mentre altre versioni rispondono alla revisioni rifatte e corrette nel MedioEvo da<br />

monaci e teologi. I loro contenuti nascondono un patrimonio di simbolismo sessuale,<br />

immagini intatte di un tempo in cui la dicotomia corpo-sesso, anima-vita spirituale<br />

non era ancora stata sancita.<br />

Le fiabe proposte, o alcuni nuclei trattati ai fini dell’attività pedagogica, sono state appositamente<br />

prescelti ed appartengono al ciclo dei racconti dei F.lli Grimm:<br />

1 “Hänsel e Gretel”<br />

2 “Gian Porcospino”<br />

3 “Tremotino”<br />

Il nesso che le ha riunite in un unico discorso può essere così espresso:<br />

1 dai fantasmi della sessualità orale, preedipica, così presente in tante vicende della<br />

libido anche adulta; dalla rappresentazioni degli impulsi più primitivi quali l’avidità e<br />

la distruttività personificati dalla cattiva strega (fiaba di Hansel e Gretel)<br />

2 il bambino impara, attraverso il superamento di una serie di “prove”, a rinunciare alla<br />

gratificazione immediata degli impulsi. Il “principio di realtà” lo pone di fronte alle<br />

regole del mondo a cui deve accedere per non rimanere un “Porcospino”;<br />

3 le forme attraverso cui egli costruisce la sua individuale personalità, lo pongono di<br />

fronte ai misteri della vita che sempre rimandano all’origine da cui proviene. Il regno<br />

dell’origine è anche la natura in cui Tremotino avrebbe rischiato di restare catturato,<br />

se il mondo della cultura non lo avesse accolto fra le sue “leggi”. La sessualità e, più<br />

precisamente l’identità sessuale - che non è l’identità di genere - pone al bambino,<br />

verso la fine del tempo della latenza, l’irrinunciabile e non più procrastinabile<br />

questione del “luogo” da cui egli proviene, e a cui egli può fare riferimento come<br />

fonte d’identificazione per la costruzione amorevole della sua persona.<br />

Metodologia della “formazione” ai fini dell’intervento psicopedagogico<br />

Fra gli strumenti operativi individuati all’interno di una psicopedagogia relazionale, è<br />

stata privilegiata in modo particolare la tecnica del circle-time. In una traslitterazione<br />

della formazione tra conduttrice e docenti e tra questi e gli alunni:<br />

XLIII


Il percorso formativo: l’immaginazione pensante Lorena Fornasir<br />

1 le fiabe sono state raccontate dall’insegnante in situazione di circle time ed in tempi<br />

non lineari ma progressivi.<br />

2 ogni fiaba, secondo il giudizio del docente, poteva essere interrotta nel suo decorso<br />

convenzionale quando nel Gruppo Classe si fosse creata una tensione (ansia - attesa<br />

- curiosità - paura - risate…) relativa ad un “passaggio” significativo;<br />

3 a quel punto gli alunni, seduti in cerchio, potevano darsi la mano l’uno con l’altro e<br />

da un bimbo del cerchio si sarebbe potuto proseguire con la “costruzione immaginaria”<br />

della storia. Chi gli era accanto avrebbe continuato il racconto da dove il suo<br />

compagno l’aveva lasciato, così via fino a quando la favola non si fosse ritenuta<br />

conclusa;<br />

4 in seguito l’Insegnante avrebbe potuto riprendere la fiaba convenzionale e confrontarla<br />

- assieme ai bambini - alla fiaba da loro “inventata”;<br />

5 tutto il materiale è stato elaborato e supervisionato durante la fase teorica in modo<br />

che il docente si sentisse sostenuto nella sua attività e potesse acquisire gli strumenti<br />

teorici per approfondirla e continuarla;<br />

6 il metodo della fiaba con la tecnica immaginativa, poteva essere ulteriormente<br />

supportato dall’inserimento di altre attività ludiche che avrebbero potuto impegnare<br />

ii bambini in “storie di pittura”. Es.: “disegna la strega della fiaba” o “l’animale che<br />

vorresti essere”. O in “storie” di psicomotricità. Es: gioco del serpente, della pantera<br />

rosa, dell’orco, la lotta, la prigione, la culla… Anche questo materiale è stato oggetto<br />

di discussione e supervisione nella fase teorica.<br />

La modalità proposta ha inteso favorire nel bambino l’espressione <strong>delle</strong> rappresentazioni<br />

inconsce e, nel docente, la consapevolezza ed il riconoscimento del pensiero infantile<br />

come fonte di teorie e di creatività. Inoltre, il ricorso alla tecnica del circle-time e alla<br />

rêverie è stato appositamente individuato al fine di:<br />

• tecnica del circle-time<br />

1 aiutare i bambini ad acquisire consapevolezza dei loro sentimenti, utilizzando sia il<br />

linguaggio verbale che non verbale, l’assenso ed il dissenso;<br />

2 infondere fiducia in sé ed autostima<br />

3 favorire l’integrazione in gruppo ed il superamento degli stereotipi sessuali<br />

4 far scoprire il valore dell’impegno scolastico, come strumento di conoscenza, di<br />

maturazione ed anche di divertimento<br />

5 attivare modalità di autoaiuto<br />

• tecnica della rêverie:<br />

1 sviluppare il pensiero creativo<br />

2 “leggere” i simboli (attività indispensabile per la lettura, scrittura, attività logico matematiche)<br />

3 rendere più consapevole l’immagine di sé<br />

4 sviluppare l’autonomia personale<br />

5 rendere la creatività una pratica di relazione e di scambio fra soggetti.<br />

XLIV<br />

Parte Seconda<br />

a cura di<br />

Lorena Fornasir<br />

Un percorso di formazione<br />

non terminabile *<br />

Considerazioni finali<br />

Una considerazione finale sulla formazione con le docenti da cui è scaturito il “laboratorio”<br />

<strong>delle</strong> immagini quale sottile trama di relazioni tessuta fra saperi diversi, non può non riprendere<br />

il punto iniziale a cui risale l’ordito.<br />

Siamo partite da molto lontano, da quel passo del Timeo (89b) dove Platone diceva:<br />

“…tenendo sospesa la nostra testa,<br />

ossia la nostra radice,<br />

dio tiene sospeso l’intero nostro corpo<br />

che perciò è eretto”<br />

È stato tracciato un itinerario tipicamente femminile, dall’interiore all’esteriore, elevando<br />

lo sguardo dallo spazio ctonio all’altezza del cielo, alla ricerca della conoscenza e della<br />

differenza come categoria fondante il pensiero (in contrapposizione al caos e alla<br />

confusione che contraddistinguono il non-pensiero, le relazioni simbiotiche e/o fusionali<br />

dove appunto manca lo spazio della separazione e della differenza)<br />

È stato un “viaggio” tipicamente femminile, poiché l’intento non si è indirizzato verso la<br />

costruzione di teorie. Queste, infatti, si riferiscono più ad uno sguardo che fin<br />

dall’antichità è stato maschile. Theorein significa infatti “guardare, vedere, osservare, essere<br />

spettatori di giochi pubblici” e, nell’antica Grecia, era patrimonio dei theoroi (ambasciatori<br />

o testimoni) i quali venivano inviati ai giochi olimpici o all’oracolo di Delfi come rappresentanti<br />

dello stato. Sia gli uomini che le donne hanno sempre guardato il mondo, ma<br />

solo ai theoroi era data possibilità di parola (mentre la donna, assieme al crematista e al<br />

tiranno, figure dell’eccesso, era esclusa dalla polis, cioè dall’ordine del discorso). Da<br />

questo terreno tuttavia, altri saperi si sono configurati secondo uno sguardo - quello<br />

cresciuto nell’ambito dell’etnologia femminile - che è andato alla ricerca della radice<br />

come memoria che sente ma anche come memoria del futuro (secondo Bion). Si tratta di un<br />

discorso che recupera l’immagine quale intelligenza del cuore, anzi è “pensare con il<br />

cuore” (Etty Hillesum) che fa parlare le figure che internamente ci abitano.<br />

* Lorena Fornasir, psicologa clinica, psicoterapeuta, conduttrice del I e II corso di Formazione su “La sessualità infantile e l’arte della<br />

fiaba”<br />

XLV


Il percorso formativo: l’immaginazione pensante Lorena Fornasir Il percorso formativo: l’immaginazione pensante Lorena Fornasir<br />

Questo sguardo particolare (o la formazione usando il linguaggio tecnico) ha consentito<br />

d’evocare quel corteo <strong>delle</strong> immagini che popolano il teatro psichico interiore e che sono<br />

in grado di parlare per noi, di noi, attraverso le maschere di altri personaggi, trasposizione<br />

di figure della fantasia, fantasmi che ci abitano con la voce <strong>delle</strong> emozioni ed i suoni di<br />

“accordi” rimossi. Le fiabe, quest’ “orditura incessante di attimi d’infanzia illimitata,<br />

inafferrabile, che risalgono con la loro lingua segreta e indelebile a parlarci parole smarrite<br />

nel tempo” 1 sono state il magico sillabario con il quale narrare le scene d’un teatro che<br />

cela icone depositate nello strato arcaico della psyché.<br />

Non si è trattato d’un “percorso” facile poichè la sessualità si presta facilmente ad essere<br />

interpretata secondo uno dei tanti dispositivi che Foucault ha magistralmente esaminato 2 .<br />

Nella concezione teorica di questa “formazione”, la sessualità è stata trattata come un<br />

divenire, in cui l’appartenenza all’identità di genere è solo il punto di partenza mentre il<br />

punto d’arrivo è rappresentato da un processo, da un percorso il cui esito può essere<br />

tutt’altro. Si può nascere maschi o femmine ma divenire uomini o donne fa parte del<br />

destino psichico di ogni persona.<br />

È stato dunque importante trovare e proporre un’angolazione adatta per “osservare” e per<br />

assumere l’“osservazione” come strumento di approccio al pensiero del bambino,<br />

evitando la riduzione a schemi di teoria dello sviluppo psicosessuale. Non solo.<br />

All’interno della formazione non è sufficiente valorizzare o meglio “formare” all’ascolto<br />

della mente cui questo sguardo dell’osservazione va a coincidere. È necessaria la capacità<br />

trasformativa, l’arte della rêverie, ossia la possibilità d’immaginare e ricreare un<br />

“paesaggio”; il “paesaggio” psichico che permetta all’altro (alunno) di ritrovarsi, riconoscersi<br />

e sentirsi “pensato” da una mente creativa e “contenitrice”.<br />

L’ipotesi di lavoro si è basata sulla scelta teorico-clinica di riconoscere al bambino le sue<br />

competenze, il suo pensiero, le sue immagini, il suo patrimonio evocativo ricco <strong>delle</strong><br />

tante teorie con cui egli cerca una risposta ai più grandi quesiti della vita: il mistero della<br />

nascita e della morte.<br />

Con Freud, riconosciamo alle teorie sessuali infantili una “conoscenza geniale” paragonabile<br />

ai “tentativi geniali degli adulti per risolvere i problemi più ardui che l’universo<br />

pone all’intelletto umano” 3 . La loro importanza è tale che, sempre Freud, parla di una vera<br />

e propria resistenza infantile alle spiegazioni sessuali e paragona i bambini a quei primitivi<br />

“cui è stato imposto il cristianesimo, che però continuano in segreto ad adorare i loro vecchi<br />

idoli” 4 .<br />

Ritornando al pensiero del bambino, la formazione si è indirizzata sulla scelta precisa di:<br />

❏ non trattare il pensiero infantile - a cui il mondo dell’infanzia è assimilato - secondo<br />

schemi psicoevolutivi ben noti;<br />

❏ bensì riconoscere che il bambino possiede la propria competenza di pensiero basata<br />

sulla capacità di giudicare la “degnità” dell’amore che l’adulto proclama nei suoi<br />

confronti;<br />

❏ ricordandoci, come Margaret Mahler 5 fa notare, che vari problemi relativi allo<br />

sviluppo (e alla patologia), si formano proprio a partire da questo giudizio, non<br />

formulato, che il bambino esprime sulle qualità dell’amore da parte dell’adulto;<br />

1 C.Campo, Gli imperdonabili, Adelphi, Milano 1987<br />

2 M.Foucault, La volontà di sapere, Feltrinelli, Varese 1978<br />

3 S.Freud, Teorie sessuali dei bambini, 1908,vol 5, Boringhieri, Torino 1989, p.456<br />

4 S.Freud, Analisi terminabile e interminabile, 1937<br />

5 M.Mahler, La nascita psicologica del bambino, Boringhieri, Torino, 1978<br />

XLVI<br />

❏ nel campo della sessualità, a maggior ragione, non si possono tracciare percorsi<br />

stabiliti, né si può affermare che la “cruna è fatta per l’ago” o che nascere femmine<br />

significa diventare donne. Sarà il bambino, se gli riconosciamo la sua competenza di<br />

pensiero, a guidarci dentro il suo percorso psicosessuale.<br />

Fu Freud, per primo, nel suo ben noto saggio del 1908 a restituire al “piccolo Hans” un<br />

ascolto ed un sapere ritenuti fino ad allora, di pertinenza esclusiva dell’adulto.<br />

Come dire tutte queste cose? Come evocare immagini, figure, fantasmi, dare voce al<br />

pensiero del bambino, aprire lo scenario di queste tracce che risiedono nello strato arcaico<br />

della mente e sono suscitate dall’esperienza del piacere e del dispiacere.<br />

C’è stato bisogno del coraggio di dimenticare le certezze. Scegliere l’avventura di penetrare<br />

in un paesaggio poco conosciuto, forse “perturbante”, di figure e di ombre, ha<br />

implicato un viaggio, una ricerca del bambino vero, autentico, non quello dei manuali.<br />

Ha significato cercare in luoghi meno comuni e trovarlo là dove non ci aspettavamo che<br />

egli fosse.<br />

Il mondo poetico di Luigi Riceputi 6 ha accompagnano questo discorso.<br />

Ma altre due poesie, così distanti e così unite nel loro tema, possono rendere la complessità<br />

di questo “viaggio”.<br />

La prima è di Meister Eckhart, il grande mistico tedesco del XIII secolo<br />

è luminoso e chiaro<br />

è completa tenebra,<br />

è senza nome,<br />

è sconosciuto<br />

senza inizio né fine<br />

se ne sta in pace<br />

nudo senza veste<br />

La seconda è una canzone kosovara cantata da bambini in quest’epoca di grandi conflitti<br />

identitari, che la televisione più volte ha fatto ascoltare e che i giornali hanno riportato:<br />

chi sei tu?<br />

il mio nome è Kosovo<br />

mio padre e mia madre sono nati là<br />

vieni qui, amica mia, non piangere più,<br />

siamo sangue, corpo e carne<br />

siamo albanesi<br />

la nostra bandiera<br />

ha il colore rosso del sangue e nero della morte<br />

(corrispondenza da Tirana, maggio ’99)<br />

Pur sembrando così distanti, queste due poesie sono unite nel tema dell’identità.<br />

Nella prima, l’identità svanisce nel divino, nella seconda s’irrigidisce nella morte.<br />

L’identità ha in sé un potere di vita e di morte, senza di essa non si può vivere e<br />

comunque il suo prezzo è la rinuncia.<br />

6 Luigi Riceputi, L’ombra <strong>perduta</strong>”, edizione per il momento privata<br />

XLVII


Il percorso formativo: l’immaginazione pensante Lorena Fornasir<br />

L’acquisizione dell’identità sessuale in adolescenza, per esempio, implica la perdita della<br />

bisessualità che caratterizza il bambino della latenza; nascere alla genitalità implica la<br />

rinuncia alla sessualità parziale, infantile, e così via. D’identità comunque si può anche<br />

morire come ci ricorda la canzoncina kosovara. Quando l’identità si fissa, l’individuo si<br />

pietrifica, la sua anima svanisce e il suo essere si rompe sotto il peso della troppa rigidità.<br />

L’identità non è data pur essendo la condizione ad esistere; essa deve padroneggiare<br />

l’identico e il suo contrario, il sì e il no, i versanti opposti <strong>delle</strong> sponde, farsi ragione e<br />

luce di ciò che lo abita.<br />

Tutto ciò, seguendo le orme del “percorso”, ha significato lasciarsi errare alla ricerca della<br />

propria singolarità o del singolare pensiero che ogni bambino reca come competenza<br />

nascosta. Questa “formazione” così come è stata proposta, è stata soprattutto un viaggio<br />

di ricerca tra le varie identità che un bambino, venendo al mondo, si trova gettate<br />

addosso: identità sociale, di genere, personale, identità sessuale. Sono state evitate le<br />

verità precostituite, gli assiomi dati, abbiamo cercato il bambino dentro di noi per<br />

conoscere il bambino fuori di noi, abbiamo cercato un volto alla nostra identità e<br />

all’identità del bambino, senza dimenticare la nostra e la sua singolarità.<br />

Questa formazione ha dato due risultati: il primo era già visibile alla conclusione del<br />

primo anno del I Corso ed è riconfermata dai lavori presentati nell’“L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong><br />

<strong>paure</strong>”.<br />

Il secondo risultato proviene dalle insegnanti stesse ed è visibile dal materiale che hanno<br />

prodotto, analizzato sotto il titolo “percorsi dell’anima al femminile”. È stato un<br />

cammino guidato dall’intelligenza del cuore, verso la “memoria” evocata da insoliti suoni<br />

ed accordi dell’anima. Per molte insegnanti si è trattato d’un “viaggio” alla ricerca di sé<br />

per trovare il bambino che abita in loro, come in ognuno di noi. Solo così, forse, è<br />

possibile ri-accostarsi al bambino reale. Una poesia di Luigi Riceputi 7 riassume l’ultimo<br />

tratto di questo cammino:<br />

7 L. Riceputi, L’ombra <strong>perduta</strong>, edizione privata, p. 15<br />

XLVIII<br />

i veri filosofi sono i bambini<br />

che pongono la domanda<br />

e “che cosa vuol dire” chiedono sovente<br />

come Platone, perché sono alla ricerca dell’essenziale.<br />

solo loro possiedono il problema e la soluzione,<br />

la chiave del sapere, della vita<br />

ma per aprire hanno bisogno dei grandi<br />

che l’hanno smarrita.<br />

Parte Prima


Occorre molta fede<br />

per riconoscere simboli<br />

in ciò che è avvenuto realmente<br />

soprattutto in ciò che avverrà più tardi<br />

perché l’oggi è il sempre<br />

tutte le linee di fuga dell’esistenza<br />

ne partono<br />

aghi magnetici da ogni lato oscillanti<br />

sensibili ad ogni vento<br />

Cristina Campo


L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />

L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong>. *<br />

Introduzione ai disegni e al loro commento.<br />

“L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong>” è una variante del titolo suggeritomi dalle poesie di<br />

L. Riceputi intitolate appunto “L’ombra <strong>perduta</strong>” 1 .<br />

“…<strong>delle</strong> <strong>paure</strong>…”, la parte che segue il titolo originario, traduce un itinerario teorico<br />

realizzatosi nel corso di una formazione ai docenti <strong>delle</strong> scuole elementari sul tema della<br />

sessualità infantile. La sessualità di cui si è trattato è stata ovviamente quella psichica mentre<br />

le parole per dirla sono risalite da quella lingua segreta che le fiabe racchiudono in sé. I<br />

bambini, protagonisti dei disegni di questa raccolta, sono stati anche gli artefici di altri<br />

racconti in cui fate e streghe, orchi e lupi sono i personaggi che vivono nel tempo del bosco<br />

a guardia del loro reame.<br />

Come nei sogni, strane figure hanno calcato la scena dell’infanzia lasciando apparire l’ombra<br />

di antichi fantasmi che sembravano svaniti senza lasciar traccia.<br />

Questo testo finale è stato raccolto secondo una linea di pensiero che, trasferito sul piano<br />

formativo con i docenti e ludico-didattico tra questi ed loro alunni, commenta la sessualità<br />

dall’infanzia all’adolescenza.<br />

Il lavoro che lo ha preceduto si è basato sull’ipotesi teorica che le figure del mondo interno,<br />

presenti nei primitivi scambi sensoriali tra madre e bambino, forniscano la base alle future<br />

vicende della psiche. Nella sessualità, i fantasmi d’un tempo sono gli attori d’adesso, chiamati<br />

a rispondere sotto costumi diversi, ai volti dell’identità. In questo testo, i disegni dei bambini<br />

raccontano l’importanza <strong>delle</strong> relazioni con gli “oggetti” internalizzati liberati, attraverso le<br />

proiezioni pregenitali ed arcaiche, sotto i molteplici travestimenti del lupo, o dell’orco, o<br />

della strega. In effetti, tutti questi personaggi parlano della scena primaria, dell’amore<br />

cannibale, di brame inappagate, e formano una rapsodia di “pezzi” interiori che si decantano<br />

nei vari tempi e ritmi della sessualità.<br />

Data questa ipotesi di partenza, la scelta si è orientata nel riesumare ed esplorare le teorie<br />

sessuali infantili stratificate nel terreno della personale ricerca creativa. Ma per entrare<br />

nell’intimo scenario del teatro interno, un po’ come sa fare Tonky 2 , il bambino della fiaba<br />

<strong>delle</strong> ombre, era importante trovare una chiave magica. Diversamente dal piccolo Dick 3 ,<br />

porte e serrature non avrebbero schiuso stanze da violare, talami da usurpare, bensì fantasmi<br />

da liberare, scenari da fantasticare, corpi da esplorare, alla ricerca di un quesito indissolubile<br />

che il mistero racchiude e l’enigma solo accenna.<br />

Qual’é la domanda impossibile a cui tenta di rispondere il bambino nella costruzione geniale<br />

<strong>delle</strong> sue teorie sessuali? E qual’è la prima rappresentazione somatopsichica attraverso cui<br />

egli già nasce ad una individuale elaborazione? Dall’interrogativo primigenio “da dove<br />

vengo” e “dove vado”, l’intento è stato di costruire un’operazione di equivalenza tra stato<br />

mentale e sessualità. Se la prima fecondazione è quella orale, quando il cibo/mamma<br />

* Lorena Fornasir, psicologa clinica, psicoterapeuta<br />

1 Trattasi di poesie ancora inedite. Luigi Riceputi è un poeta contemporaneo in cui il tema dell’ombra e dell’anima ricorrono frequentemente come<br />

ermeneutica del profondo. Di lui, è già stato pubblicato Quel che manca (1982), Non il cerchio o la linea (1985), In ogni punto/In ogni frammento (1989),<br />

Come un alato amico (1993), L’angelo parallelo (1994). Le poesie raccolte sotto il titolo “L’ombra <strong>perduta</strong>” hanno accompagnato questo percorso dedicato<br />

al pensiero del bambino come tentativo di restituire all’infanzia il suo mondo gravido di competenze dis-conosciute<br />

2 Laszlo Varvasovszky, “Tonky e le ombre”, Emme edizioni, Milano 1981<br />

3 Caso trattato da M.Klein in Scritti, L’importanza della formazione dei simboli nello sviluppo dell’Io, 1930, Boringhieri, Torino 1978<br />

5


L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />

“feconda” il suo bambino permettendogli di introiettare tanti cibi od oggetti interni, la<br />

seconda risiede nella possibilità che lo spazio interno, occupato dalle identificazioni<br />

introiettive, generi, attraverso la famosa equivalenza pene/bambino, il grembo alla fertilità<br />

del pensiero. Tra la fecondazione orale e la nascita del pene/bambino si stagliano, come in<br />

uno schermo, due bocche ed uno spazio di transizione in cui il cibo/“oggetto” viaggia e si<br />

trasforma. Fantasie predatorie, aggressive, di penetrazione e di rapina 4 accompagnano, unite<br />

ad altre sensazioni, questo strano passaggio da una bocca all’altra, da un’apertura all’altra.<br />

Nella prima, l’incorporazione permette di acquisire e possedere le qualità dell’“oggetto”,<br />

nella seconda di perdere e “mettere al mondo” (per il bambino è il dono che regala alla<br />

mamma) l’oggetto fecondato dall’amore. La bocca, inoltre, come cavità primaria, apertura<br />

od orifizio ma, soprattutto, “bouquet di sensazioni eccitanti ed appaganti” 5 , al servizio del<br />

legame, del pensiero e del linguaggio. Nel bagno di suoni e di oggetti concreti che la<br />

riempiono, si apre un teatro 6 in cui le pulsioni trovano i loro punti d’appoggio e le fantasie<br />

gli spazi scenici in cui rappresentarsi. Tra una bocca e l’altra si schiudono diversi palcoscenici,<br />

in cui i personaggi interiori recitano i ruoli a loro già destinati dall’introiezione che hanno<br />

saputo fare dell’“oggetto”. Ancora, tra incorporazione, introiezione, identificazione, proiezione<br />

ed espulsione, ogni figura di questo teatro psichico occupa un luogo preciso che<br />

corrisponde ad uno spazio nella mente in cui, forse, essa è contenuta e pensata. Il “viaggio”<br />

dal seno alla testa o dalla bocca all’ano si configura così come culla per una nascita al pensiero<br />

(quello introiettivo), o come il “claustrum” nel corpo in cui il pensiero stesso va ad occupare<br />

rimanendone inprigionato, “zone” rifiutanti senza uscita 7 .<br />

“Da dove vengo” e “dove vado” è dunque la storia di questo itinerario raccontato per<br />

immagini seguendo come nelle fiabe, non strade che non ci sono o sentieri che di rado<br />

portano a un punto; bensì quella meta che dentro di sé è come lo specchio vicino alla<br />

sorgente, in quel limitare tra tempi dove nasce l’arcana lingua dell’infanzia.<br />

Il tema della fiaba è stato appositamente prescelto per l’eredità primitiva che possiede ed i<br />

cui contenuti magici, latenti e misteriosi, formano quel sillabario della mente attraverso cui<br />

il bambino impara a leggere le immagini che lo abitano. La scelta di tre fiabe: Hansel e<br />

Gretel, Pierino Porcospino e Tremotino, hanno segnato dei punti di passaggio nel tentare<br />

un’opera d’integrazione tra la sessualità infantile e quella genitale: dai fantasmi della<br />

sessualità orale e preedipica, dalla rappresentazione degli impulsi più primitivi quali l’avidità<br />

e la distruttività personificati dalla strega del bosco, il bambino impara - attraverso il<br />

superamento di una serie di prove – a rinunciare alla gratificazione immediata degli impulsi<br />

e ad inoltrarsi nella foresta del mondo se non vuol rimanere un “Porcospino”. Le forme<br />

attraverso cui egli costruisce il suo individuale percorso, lo pongono di fronte ai misteri della<br />

vita che sempre rimandano all’origine da cui proviene. Il regno dell’origine è anche la natura<br />

in cui Tremotino rischierebbe di rimanere catturato se su di lui non ricadesse la Legge della<br />

cultura. La sessualità pone al bambino, verso la fine della latenza, l’irrinunciabile e non più<br />

procastinabile questione del “luogo” da cui egli proviene e a cui può fare riferimento come<br />

riconoscimento all’ordine del nuovo cosmo della genitalità.<br />

Questa cornice teorica assieme alle fiabe prescelte, è stata la stoffa di pensieri che ha<br />

permesso di parlare del bambino, della sua sessualità e della sua competenza di pensiero.<br />

Le varie fasi che hanno accompagnato la costruzione del testo finale sono sintetizzate negli<br />

schemi sottostanti e riflettono, in una estrema sintesi concettuale, l’elaborazione dei passaggi<br />

tra i tempi della sessualità psichica: dalla nascita al pensiero, alla nascita all’identità sessuale.<br />

4 M. Klein, ibidem<br />

5 F. Tustin, Stati autistici nei bambini, Armando editore, Roma 1983<br />

6 D. Meltzer parla di “teatro della bocca” come di uno spazio intermedio fra pensiero e mondo esterno in cui si sviluppa il linguaggio<br />

7 D. Meltzer, Exposé à propos de l’identification projective, in Le bulletin du groupe d’études et de recherches psychanalytiques pour le développement de<br />

l’enfant et de nourisson, vol 16, 1988<br />

6<br />

Schema Riassuntivo<br />

di un possibile uso di categorie teoriche in ordine sequenziale<br />

per un discorso sulla sessualità infantile<br />

NASCERE AL PENSIERO<br />

La “nascita al pensiero” non è la “nascita del pensiero”<br />

LA “NASCITA DEL PENSIERO”<br />

riflette l’aspetto funzionale della mente: dai pensieri pre-operatori ai pensieri logico-formali<br />

LA “NASCITA AL PENSIERO”<br />

riflette la capacità di trasformare, creare simboli là dove c’era solo concreta realtà, realtà<br />

fattuale, realtà resa cosa<br />

IL SI<strong>MB</strong>OLO<br />

La “nascita al simbolo” separa il prima (mondo interno fatto di cose regno della natura,<br />

della pulsione, degli istinti disordinati, del caos) dal dopo (mondo interno abitato dall’ordine<br />

del kosmo, della parola, del simbolo, dell’immaginario)<br />

LA NASCITA AL SI<strong>MB</strong>OLO<br />

è il crinale tra la follia e la ragione; grazie alla rimozione pulsionale avviene il passaggio dal<br />

caos al cosmo che permette al soggetto di accedere dal regno della natura al mondo della<br />

cultura.<br />

Con la rimozione nasce l’inconscio<br />

COS’È L’INCONSCIO?<br />

Per capire cos’è l’inconscio bisogna essere preparati a rispondere a quest’altra domanda:<br />

“cos’è un carciofo”? Freud ne parla nel “Sogno della monografia botanica” chiedendosi:<br />

cos’è un carciofo se non la struttura che tiene assieme tutte le foglie e che sfogliandola ci<br />

lascerà tra le mani non più un carciofo, e neanche l’essenza di un carciofo, ma lo sparpaglio<br />

di foglie morte? L’inconscio è come un carciofo: si lascia evocare ma non sviscerare.<br />

7


L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />

DAI PROTOPENSIERI ALLA SI<strong>MB</strong>OLIZZAZIONE<br />

quando il bambino impara a simbolizzare, cioè ad utilizzare il pensiero simbolico al posto<br />

del pensiero concreto e della rappresentazione pittografica, egli nasce all’apparato psichico 8<br />

esempi di operazioni simboliche:<br />

❑ la parola “mamma” sostituisce la mamma reale, il succhiotto sostituisce il capezzolo, il<br />

lembo del lenzuolino “consola” e “sta” al posto della mamma<br />

❑ il cappello del Piccolo Principe 9 sta al posto del boa che ha ingoiato l’elefante<br />

quindi la parola “mamma”, il lenzuolino, il ciuccio, il cappello sono presenze simboliche<br />

di una assenza reale<br />

PENSIERI DI FANTASIA<br />

Il pensiero del bambino è un pensiero per immagini. Il bambino impara a pensare per<br />

immagini. Le sue immagini, all’inizio, hanno la “forma” di “fantasie”. Le “fantasie” sono<br />

una forma di proto pensieri: esse risiedono nello strato arcaico della mente ed accompagnano<br />

tutte le vicende della psiche.<br />

QUAL’È IL DESTINO DELLE “FANTASIE”?<br />

Innanzitutto essere appaiono nel gioco (la salute di un bambino si coglie dalla sua capacità<br />

di saper giocare); riemergono nei sogni, nei miti personali, nelle teorie soggettive, o anche<br />

nei sintomi, ed accompagnano le vicende della libido; esse sono il sillabario della mente<br />

umana attraverso cui il bambino impara a leggere il suo mondo interiore. La fiaba e i miti<br />

narrano sotto forma di immagini le scene del teatro psichico interiore, le icone depositate<br />

nello strato arcaico della psyché.<br />

8 si veda al proposito A. Cicone – M. Lhopital, La nascita alla vita psichica”, Borla, Citta di Castello 1994<br />

9 Antoine De Saint-Exupéry, Il piccolo Principe, pag. 7-8, Bompiani editore, Milano 1996<br />

8<br />

Fantasie e Fantasmi<br />

IL FANTASMA DEL BA<strong>MB</strong>INO<br />

È un fantasma che nasce da quel terreno di un tempo passato fatto di scambi psicosensoriali<br />

fra mamma e bambino.<br />

Il fantasma più arcaico si basa sull’esperienza di poter divorare senza essere divorato: ciò<br />

conduce all’esperienza della soddisfazione e del piacere.<br />

LA SODDISFAZIONE E IL PIACERE<br />

sono resi possibili in quanto l’esperienza di mangiare e divorare (il seno/mamma) non è<br />

associato al sentimento di essere divorati; cioè l’“attacco” non è seguito dalla “ritorsione”<br />

(sentimento persecutorio della posizione schizoparanoide) e quindi dall’angoscia di<br />

annichilimento: angoscia di essere divorato a propria volta, di “essere fatto fuori”, di<br />

“andare a pezzi”, “a frammenti” 10<br />

LE ANGOSCE E IL “CONTENITORE”<br />

All’inizio della vita, le angosce del bambino sono<br />

❑ pensieri non mentalizzabili<br />

❑ emozioni grezze } elementi beta 11<br />

❑ stati mentali intollerabili e da “evacuare”<br />

❑ non sono a disposizione del pensiero, per loro non c’è né rimozione né repressione né<br />

apprendimento<br />

Il bimbo ha dunque bisogno di un contenitore psichico (madre / mente / ambiente) che<br />

accolga le sue proiezioni e le trasformi in una forma mentalizzabile e pensabile attraverso<br />

un’opera di integrazione e unione della sua personalità sorretta dalla funzione α della mente<br />

della madre.<br />

L’ARTE DEL CONTENITORE<br />

È l’arte della rêverie, della holding, del contenimento, del pensiero alfa che restituisce al<br />

bambino gli elementi non pensabili, i non pensieri, gli elementi beta, trasformati in contenuto<br />

tollerabile e rappresentabile. Il “contenitore” ha la funzione di “grembo mentale”, è<br />

“l’utero della mente”.<br />

Seguendo la clinica di Meltzer, le potenzialità del contenitore (madre/ambiente) si caratterizzano<br />

per la loro “funzione sfinterica” ossia per le capacità di organizzare nel bambino la<br />

sua mente ed i suoi sfinteri psichici (orifizi mentali: eiezioni, “buttare fuori” con il pianto,<br />

con le grida, con la motricità...). Allora gli elementi grezzi, i non pensieri, chiamati anche<br />

elementi beta, possono essere trasformati grazie appunto alla “funzione sfinterica” del<br />

“contenitore” (madre/ambiente).<br />

10 questo tipo di angosce sono state descritte molto bene da M. Klein in: La psicoanalisi dei bambini, Martinelli editore, Firenze, 1970 e in Scritti, Sulla teoria<br />

dell’angoscia e senso di colpa, Boringhieri, Torino, 1978<br />

11 W.R.Bion, Apprendere dall’esperienza, Armando editore, Roma 1972<br />

9


L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />

L’ARTE DEL CONTENITORE secondo Meltzer 12<br />

la base del processo evolutivo risponde alla capacità da parte del contenitore di modulare le<br />

emozioni secondo <strong>delle</strong> funzioni, di cui le otto principali sono disposte in quattro paia<br />

contrapposte:<br />

1 - 2 generare amore ↔ suscitare odio<br />

3 - 4 promuovere speranza ↔ seminare disperazione<br />

5 - 6 contenere la sofferenza depressiva ↔ trasmettere ansia persecutoria<br />

7 - 8 pensare ↔ creare confusione<br />

Questo modello è alla base di ogni relazione affettiva. L’esperienza del piacere e del dispiacere<br />

affonda le sue radici sul bisogno “incorporativo” che regola il primitivo “scambio” tra<br />

madre e bambino. In questo scambio, il bambino utilizza la nutrizione come appoggio nella<br />

relazione affettiva con la madre<br />

LA BOCCA<br />

È l’organo di questo “scambio”, è il primo organo di “contatto”. La bocca è una zona<br />

“erogena”, essa si comporta autoeroticamente, sessuale è il piacere ottenuto succhiando” (S.<br />

Freud “Vita sessuale umana”)<br />

“La prima organizzazione sessuale è la fase orale” (S. Freud)<br />

L’eccitazione sessuale si localizza nell’istinto di nutrizione.<br />

❑ ne è una prova la anoressia <strong>delle</strong> adolescenti che esprime un rifiuto della sessualità.<br />

❑ ne è un segno il desiderio d’amore che si esprime paradossalmente con la frase tipica “ho<br />

voglia di mangiarti”<br />

❑ una bella donna è “appetitosa”, una ragazza graziosa “tutta da sgranocchiare”<br />

Mangiare l’“OGGETTO” del proprio amore significa conservarlo:<br />

l’incorporazione permette di acquisire, possedere le qualità dell’“oggetto” :<br />

❑ ne sono una prova i riti d’incorporazione cannibalica del capo<br />

❑ ma anche la comunione: “Prendete e mangiate, questo è il mio corpo; prendete e<br />

bevete, questo è il mio sangue<br />

IL CONTATTO BOCCA SENO<br />

rappresenta il prototipo di ogni relazione affettiva, è la “relazione”, “il legame” che, attraverso<br />

la nutrizione, stabilisce l’organizzazione dello schema affettivo.<br />

10<br />

RIEPILOGO IN SCHEMA<br />

B O C C A<br />

è la sede del<br />

nutrimento – piacere – soddisfacimento<br />

↕<br />

l’azione che porta al soddisfacimento è il mangiare<br />

↕<br />

mangiare<br />

è un’azione che implica degli atteggiamenti<br />

↕<br />

gli atteggiamenti<br />

sono indotti dalle<br />

“fantasie”<br />

azioni fantasie<br />

succhiare esplorare<br />

leccare rubare<br />

ciucciare penetrare<br />

ingoiare depredare<br />

masticare rapinare<br />

morsicare attaccare<br />

sono all’origine del<br />

SENSO DI COLPA - ANGOSCIA<br />

per aver “aggredito” in fantasia l’“oggetto” fonte di piacere e amore<br />

↕<br />

l’angoscia<br />

è la fonte della creatività, dell’impulso a riparare<br />

è il terreno d’origine della conoscenza<br />

da essa trae origine la formazione dei simboli13 12 D. Meltzer, M. Harris, Il ruolo educativo della famiglia - un modello psicoanalitico dei processi d’apprendimento, Centro Scientifico editore, 1986 13 M. Klein, Scritti - L’importanza della formazione dei simboli nello sviluppo dell’Io, 1930, Boringhieri, Torino 1978<br />

↵<br />

↵<br />

11


L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />

IL PASSAGGIO SUCCESSIVO È DALLA BOCCA ALL’ANO<br />

TEORIE SESSUALI INFANTILI<br />

Le teorie sessuali infantili sono il patrimonio creativo del bambino attraverso cui egli tenta<br />

di costruire un pensiero sull’origine del mondo e della vita, cercando una risposta<br />

all’impossibile domanda che da sempre si è posta l’umanità: “da dove vengo - dove vado”.<br />

Esse sono definite da Freud come una “conoscenza geniale”; egli le paragona ai “tentativi<br />

geniali degli adulti per risolvere i problemi più ardui che l’universo pone all’intelletto umano”.<br />

La loro importanza è tale che, sempre Freud, parla di una vera e propria resistenza infantile<br />

alle spiegazioni sessuali e paragona i bambini a quei primitivi “cui è stato imposto il<br />

cristianesimo che però continuano in segreto ad adorare i loro vecchi idoli 14 ” in uno stato<br />

di pervicace idolatria.<br />

14 S. Freud, Analisi terminabile e interminabile, 1937, Boringhieri, Torino 1979<br />

12<br />

BOCCA<br />

“prende”-“riceve”<br />

qualcosa dall’altro<br />

(incorporazione)<br />

↵<br />

“fecondazione orale”<br />

nella pancia diventa un bambino<br />

il bambino “entra” ed “esce”<br />

attraverso questi orifizi<br />

ANO<br />

⇓ ⇓<br />

“perde”-“elimina”<br />

qualcosa di proprio<br />

(primo lutto)<br />

La principale <strong>delle</strong> teorie sessuali infantili si basa sulla convinzione che “i bambini si<br />

concepiscono mangiando certe cose e si partoriscono con l’intestino come le feci”.<br />

(S. Freud)<br />

↵<br />

TEORIA DELLA CLOACA<br />

per il bambino piccolo la “cacca” è il primo grande prezioso dono che egli regala alla mamma,<br />

nel suo significato simbolico primario la “cacca” è assimilabile al “bambino”.<br />

“Come “regalo” assume poi il significato di “bambino” che, secondo una <strong>delle</strong> teorie sessuali<br />

infantili, viene acquisito mangiando e partorito attraverso l’intestino”.<br />

“…La defecazione è la prima situazione in cui il bambino deve decidere fra un atteggiamento<br />

narcisistico ed un amore oggettuale. O cede di buon grado gli escrementi, li “sacrifica” come<br />

pegno d’amore, oppure li ritiene per soddisfare un impulso autoerotico, e in seguito per<br />

affermare la propria volontà…”.<br />

(S. FREUD “Trasformazioni pulsionali particolarmente dell’erotismo anale”, Opere vol. 8,<br />

pag. 185)<br />

Equivalenza tra stato mentale e sessualità<br />

la cacca<br />

in<br />

bambino<br />

(fase anale)<br />

in<br />

pene<br />

(fase edipica)<br />

❏ Capacità di possedere il pene,<br />

per il bambino<br />

❏ “Dare” un bambino,<br />

“Fare” un bambino<br />

per la bambina<br />

↵<br />

IL NUTRIMENTO CIBO PSICHICO<br />

necessita di un buon<br />

⇓<br />

“c o n t e n i t o r e”<br />

(madre / ambiente)<br />

che possegga le funzioni di<br />

⇓<br />

rêverie<br />

holding<br />

contenimento<br />

capaci di<br />

T R A S F O R M A R E<br />

⇓ ⇓<br />

Processo di Mascolinità<br />

Processo di Femminilizzazione<br />

=<br />

Identità Sessuale<br />

emozioni,<br />

non-pensieri<br />

(stato bidimensionale<br />

della mente)<br />

in<br />

pensiero<br />

creatività<br />

(stato tridimensionale<br />

della mente)<br />

in<br />

generatività<br />

(stato quadridimensionale<br />

della mente)<br />

↵<br />

13


L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />

Dopo l’esposizione dei nuclei teorici di riferimento sintetizzati schematicamente per punti<br />

ed elaborati per un approccio alle tematiche dell’identità sessuale, è possibile approfondire i<br />

contenuti che li sostengono.<br />

Uno degli aspetti principali che consente un dire sulla sessualità, dovrebbe partire dal<br />

pensiero del bambino come mappa <strong>delle</strong> sue vicende libidiche. Una simile esplorazione in<br />

“territori” non esplorati richiede, tuttavia, capacità di holding e di rêverie. La possibilità di<br />

sognare, immaginare, dare forma alle figure che risiedono negli strati arcaici della mente<br />

infantile aiuta a ri-creare il “paesaggio” psichico dove lo spazio mentale diventa ponte,<br />

sponda, articolazione. Rêverie, dunque, come forma di pensiero e condizione per costruire<br />

quell’unità che è, al tempo stesso, senso ed integrazione del soggetto.<br />

Sollecitare queste immagini può stimolare aspetti proiettivi che richiedono non solo di<br />

trovare forma ai contenuti espulsi e gettati nello spazio (somatico o extracorporeo), ma<br />

anche la presenza di una mente capace di contenerli e trasformarli.<br />

Il nodo di questa complessa tematica richiede una condizione irrinunciabile: quella di<br />

tollerare il contenuto <strong>delle</strong> proiezioni. Il prototipo di questa funzione è rappresentato dalla<br />

relazione madre bambino e dalla sua rêverie 15 intesa come possibilità di trasformazione dei<br />

contenuti intollerabili in emozioni pensabili. Quando queste capacità non sono minate, la<br />

mente della madre o dell’insegnante svolge il ruolo di “levatrice della mente” del bambino<br />

grazie alla possibilità - secondo il modello proposto da Meltzer - di generare amore/<br />

promuovere speranza/contenere la sofferenza depressiva/pensare. Quando dunque la<br />

mente della madre (maestra) è contenitrice, ella consente che il suo bambino (alunno) provi<br />

la sofferenza mentale (frustrazione-pena) poiché lei stessa gli fornisce la base per tollerare la<br />

pena e trasformare il dolore in immagine (allucinare il seno assente), in pensiero (sostituire<br />

l’assenza concreta con la presenza simbolica), in parola (la parola “mamma” è presenza di<br />

un’assenza). È la nascita al pensiero ed anche la base del processo evolutivo. Attorno a questi<br />

assi concettuali, e alla condizione di riconoscere al pensiero del bambino la sua centralità, è<br />

ipotizzabile costruire un discorso sulla sessualità infantile. A partire da tali presupposti, la<br />

dimensione ludica e creativa può, infine, essere suggellata da una coreografia del fantastico,<br />

ossia una pittura della mente che dipinga un mondo di scene anteriori nell’intreccio di<br />

immagini insondabili e figure dicibili.<br />

Il percorso che si condensa nelle pagine di questi disegni, inizia in un bosco e incrocia un<br />

bimbo atterrito dalla sua ombra. Una grande bocca lo seduce a sé catturandolo in un viaggio<br />

che condurrà ad altre bocche. La bocca dello stomaco, antri dentati, grotte insidiose rivelano<br />

il fruscio di strane figure che parlano e vibrano nel corpo per svanire nella psiche. Alla fine<br />

del tragitto un’altra grotta sta a guardia e limite di quell’uscita che è anche imbocco,<br />

apertura, entrata, simile alla rocca di Alì Babà e i quaranta ladroni: come nella parola magica<br />

“apriti o Sesamo”, il bimbo s’impossessa della chiave del pensiero che gli annuncia la<br />

soluzione ma che lo rimanda all’enigma. Tra una bocca e l’altra s’inscena dunque la sessualità<br />

che, come vuole una <strong>delle</strong> più note teorie infantili, comincia con la fecondazione orale e<br />

termina con la nascita del pene/bambino. Il ricorso all’equivalenza tra stati mentali e<br />

sessualità ha seminato il sentiero di spazi prospettici. Tra giochi di specchi, il bambino esce<br />

dal fitto buio in cui s’era inoltrato dentro la pancia del bosco e ritrova, come Hansel e Gretel,<br />

la via di casa.<br />

Inoltrarsi nel sentiero del bosco, esplorare, entrare nell’arché, comporta il rischio emozionale<br />

d’evocare voci lontane, frammenti d’un tempo ora ricomposti dentro le lucide armature che<br />

i bimbi indossano come cavalieri alle loro prime crociate nella vita. Ma i loro corpi armati di<br />

fragili corazze, non sono riusciti a nascondere le fantasie che scorazzano nelle dimore interne<br />

15 W.R.Bion, Apprendere dall’esperienza, Armando editore, Roma 1972<br />

14<br />

in uno iato tra il fuori che appare integro e il dentro che si scherma. Fantasie che colte come<br />

fiori in un prato, parlano da un luogo in cui ogni petalo è il cuore d’un pensiero, ogni stelo,<br />

ogni germoglio, una gemma di luce che riflette la qualità d’amore che l’ha nutrito 16 . Se<br />

l’amore coincide, come potrebbe, con il riconoscere al pensiero infantile la sua competenza<br />

nel giudicare, allora ogni figura e ogni fantasma acquista un senso. Altrimenti si apre uno<br />

scenario di rebus indecifrabili, e l’immagine rimane l’unica garante di un giudizio non<br />

espresso che il bambino cattura nelle cripte <strong>delle</strong> sue difese, quando la qualità di questo<br />

amore è, per lui, non degno o indegno alla sua cura. Ogni orco o ogni fata, un tappeto<br />

volante o un principe ranocchio, Pollicino o Pelle d’Asino, sono dunque non solo eroi d’un<br />

testo s-pensierato, ma precise e distillate figurine della psiche chinate sulla propria infanzia a<br />

raccogliere pensieri sconfessati, forclusi o denegati, rimossi o rifiutati da chi per primo<br />

l’appello all’amore non è stato capace di cogliere o donare.<br />

Vale la pena accennare, anche se parzialmente, il gioco d’intenti che ha guidato i bimbi<br />

nelle pitture dei loro scenari: a) disegno di un sogno o del mistero o di personaggi <strong>delle</strong><br />

fiabe; b) disegno dei fantasmi che vivono nel bosco; c) libere associazioni sugli orchi e le<br />

streghe del bosco e invenzione di una storia; d) invenzione della storia della bocca che<br />

mangia; e) costruzione e disegni di un viaggio: il viaggio del cibo dentro la bocca; f) libere<br />

associazioni e disegni sul cibo e sul viaggio del cibo come metafora della fecondazione<br />

orale, della gravidanza, della nascita; g) le trasformazioni del cibo come metafora della<br />

nascita: evacuazione (come la cacca) o nascita (come il bambino)?; h) fantasie sulla nascita:<br />

le teorie sessuali infantili; i) disegno della nascita ricostruendo la memoria <strong>delle</strong> individuali<br />

credenze d’un tempo; l) uso dello scarabocchio per l’invenzione di storie sulla nascita;<br />

m) uso del mito di Platone sull’uomo primordiale tratto dal Simposio.<br />

16 v. M. Mahler, Le psicosi infantili, Boringhieri, Torino 1972; La nascita psicologica del bambino, Boringhieri, Torino, 1975 alla luce dell’interpretazione<br />

sull’amore di E.Perrella, Per una clinica <strong>delle</strong> dipendenze, Franco Angeli, Milano 1998<br />

15


L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />

La raccolta dei disegni e il loro commento non è casuale ma segue un ordine di pensiero.<br />

Nel commentarli, ho soprattutto cercato di rendere evidenti i nuclei teorici affrontati che<br />

sorreggono le interpretazioni ai disegni stessi, avendo come riferimento i modelli della<br />

clinica psicoanalitica.<br />

SCHEMA DI LETTURA<br />

A Le ombre perdute <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> annunciano l’inconscio Pag. 17<br />

B Per accostarsi all’inconscio bisogna possedere la “chiave del pensiero” » 19<br />

C Solo così si può entrare nel palcoscenico interiore e trovare insoliti volti,<br />

strane figure » 20<br />

D Nella “casa di marzapane” troviamo i primi fantasmi » 21-22<br />

E E le bocche dell’oralità: “bouquet”, “discarica”, “foresta”,<br />

“sandwuich” » 23-25-27-29<br />

F Ma anche le trappole dell’oralità e la sessualità di “Pelle d’Asino” » 30-31<br />

G Ritroviamo i fantasmi <strong>delle</strong> teorie sessuali infantili » 33-35-37-38<br />

39-40-41-42<br />

H Che si riedificano all’inizio della pubertà » 43-45<br />

I c’è un pensiero che circonda le antiche teorie sessuali:<br />

1- l’aspetto di pensiero della teoria della cloaca » 46<br />

2- l’aspetto di pensiero della teoria della cloaca e l’uso del “contenitore” » 47<br />

3- l’evacuazione del pensiero e la teoria della cloaca » 48<br />

4- le armi letali e le teorie infantili in un pensiero sull’oralità » 49<br />

L l’esplodere della sessualità riporta il “caos” come nel volto<br />

“messo tutto male” » 50<br />

M l’enigma della Sfinge e l’edipo infantile sono il punto d’incrocio<br />

tra sessualità e identità » 51<br />

16<br />

L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />

A<br />

L’ombra e l’inconscio.<br />

La fiaba di Italo Calvino “Giovannin senza paura” sollecita<br />

la domanda: “ma perché Giovannin, che non ha paura<br />

di nulla, muore di spavento vedendo la sua ombra?”<br />

Il bambino di V elementare disegna l’ombra e risponde:<br />

"per me Giovannino si è spaventato perché la sua ombra<br />

era riflettuta su tre chiodi e una spaccatura del muro,<br />

lui solo al buio ha creduto che fosse un mostro"<br />

L’ombra di questo bambino sembra essere l’espansione di quella parte del suo Sé a lui<br />

più sconosciuta e pur così potentemente presente nel suo immaginario. È, ovviamente,<br />

l’ombra di una rappresentazione interna che travolge il suo piccolo Io, minuscola creatura<br />

all’ingresso di un grande buco bocca tutto bianco, figurina rimpicciolita ed insignificante<br />

in contrasto con le forze buie impigliate tra pulsioni estreme (vita/morte) ed estreme<br />

istanze (Es, Super Io). Il mondo pulsionale, lo abita e lo aggredisce, è la cosa senza nome<br />

che dovrebbe rimanere segreta, nascosta, rimossa. Freud la fa coincidere con l’inconscio e<br />

il perturbante, spingendolo ad affermare “…è quella sorta di spaventoso che risale a quanto<br />

ci è noto da lungo tempo, a ciò che ci è familiare… 1 ”. La parte oscura, buia, irrapresentabile<br />

di sé, si proietta sullo schermo del suo spazio mentale come mostro gigantesco,<br />

sovraumano. Tre chiodi: i due occhi e il naso iniettati di sangue, trattengono questo lato<br />

inquietante del suo essere. La fessura marrone disegna il ghigno di una bocca che<br />

sadicamente sa di avere in trappola lo spirito del bambino. Eppure, ogni bambino di<br />

questo mondo sembra andare in cerca della paura, quasi spavaldo e sfrontato di fronte ai<br />

pericoli, come un piccolo alfiere sicuro di sconfiggere il drago dei suoi sogni e diventare<br />

così un eroe. Perché i bambini sono attratti dalle <strong>paure</strong>? Cosa li spinge a cercarle? Come<br />

comprendere la loro mancanza di paura se non pensando che essi, di fatto, si slanciano<br />

impavidi verso i pericoli, sicuri di trovare un adulto che li sa governare, orientare,<br />

precedere e quindi salvare? Le <strong>paure</strong> dei bambini sono forse una sorta di appello all’Altro,<br />

un modo di chiedere di essere contenuto e pensato nella testa di una madre o di un padre;<br />

sono l’esigenza di trovare un limite, una barriera, un confine. Nel loro esprimersi, esse<br />

incontrano l’angoscia. L’angoscia si colloca sull’orlo di un vuoto di sapere, è il venir<br />

meno di qualcosa che si sa, è il muoversi pericoloso dell’inanimato verso l’animato, è un<br />

rapporto che chiama in causa ciò che è vivo e ciò che è morto. L’angoscia, che per la<br />

clinica kleiniana è fonte di creatività, è anche dato buio della vita in cui l’immagine svanisce,<br />

perde la forma, ed avanza il vuoto, la non forma (ombra) o fondamento psicotico<br />

del soggetto. L’angoscia che il bambino incontra è angoscia del nulla, del vuoto, dell’ine-<br />

1 S. Freud, Opere, “Il perturbante”, pag. 82, ed. Boringhieri, TO 1989<br />

17


L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />

sprimibile, angoscia di annichilimento, di sparire, di svanire. Tutto questo è ciò che evoca<br />

l’ombra a “Giovannin senza paura” al quale “un giorno successe che voltandosi, vide la sua<br />

ombra e se ne spaventò tanto che morì” 2 . Ma, più di qualsiasi commento, valgono queste<br />

stupende pagine di Michelstaedter tratte da “La persuasione e la rettorica” 3 :<br />

“come quando affievolendosi la luce nella stanza, l’immagine <strong>delle</strong> care cose, onde il vetro<br />

vela l’oscurità esterna, si fa più tenue, e più visibile si fa l’invisibile; così quando la trama<br />

dell’illusione s’affina, si disorganizza, si squarcia, gli uomini, fatti impotenti, si sentono in<br />

balia di ciò che è fuori della loro potenza, di ciò che non sanno: temono senza saper che<br />

temano. Si trovano a voler fuggire la morte senza più aver la via consueta che finge cose<br />

finite da fuggire, cose finite cercando.<br />

I bambini - quasi vite in provvisorio - hanno molto meno definita la trama, molto più varia<br />

e disordinata, qui densa e luminosa, lì sottile e oscuro-trasparente. Essi hanno gioie vive che<br />

gli uomini non conoscono più, e molto più spesso che gli uomini sono in balìa di questi terrori.<br />

Nelle tregue <strong>delle</strong> loro imprese, dei loro piani, quando sono soli, e da nessuna cosa di ciò che<br />

li attornia sono attratti o a frugare, o a rubare, o a rompere, o a discorrere o a tutte quelle<br />

altre loro occupazioni, si trovano con la piccola mente a guardare l’oscurità. Le cose si<br />

sformano in aspetti strani: occhi che guardano, orecchi che sentono, braccia che si tendono, un<br />

ghigno sarcastico e una minaccia in tutte le cose. Si sentono sorvegliati da esseri terribilmente<br />

potenti, e che vogliono il loro male. Non fanno più un gesto senza riflettere ad “Essi”. Se lo<br />

fanno con una mano, lo devono far anche con l’altra. […]. Quando passano una camera<br />

oscura, sembra ai bambino che questi “Essi” gridino mille voci, che con mille mani li<br />

abbranchino, che in mille guizzi ghigni il sarcasmo nell’oscurità, si sentono succhiati<br />

dall’oscurità; fuggono folli di terrore e gridano per stordirsi. Poi la vita s’incarica di<br />

stordirli; l’esser vivi si fa un’abitudine - le cose che non attraggono non si guardano più, le<br />

altre sono strettamente concatenate, la trama si fa uguale - il bambino si fa uomo - le ore<br />

degli spaventi sono ridotte al sordo continuo misurato dolore che stilla sotto a tutte le cose. Ma<br />

quando per ragioni che non stanno in loro, il lembo della trama si solleva, anche gli uomini<br />

conoscono le spaventevoli soste. Li visitano i sogni nel sonno – quando rilassato l’organismo<br />

vive l’oscuro dolore <strong>delle</strong> singole determinazioni impotenti ognuna per sé di fronte a ogni<br />

contingenza, per cui, fatta più sottile la trama dell’illusione, più minacciosa appare<br />

l’oscurità.[…] Si destano dal sonno, sbarrano gli occhi nell’oscurità… e il soccorrevole<br />

fiammifero ridona loro la pace […] E rassicurati rifanno l’oscurità; ma le immagini<br />

rimaste negli occhi si scompongono, l’uomo si trova nuovamente senza nome e senza cognome,<br />

senza consorte e senza parenti, solo, nudo, con gli occhi aperti a guardare l’oscurità[…] Ogni<br />

sensazione si fa infinita; sembra loro che davanti ai loro occhi dei punti s’allontanino<br />

infinitamente, che cose piccole diventino infinitamente grandi e che l’infinito li beva…”.<br />

2 Italo Calvino, Fiabe italiane, vol I, pag. 3, Mondadori, 1999<br />

3 Carlo Michelstaedter, “La persuasione e la rettorica”, pag. 56-58, ed. Adelphi., 1990<br />

18<br />

L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />

B<br />

La chiave del pensiero<br />

Figura che Tobia, II elementare, disegna alla fine del sentiero<br />

dopo aver percorso un viaggio tra scena e realtà senza che<br />

prima d’ora fosse riuscito, neppure a scuola, a trovare un<br />

collegamento.<br />

Lo intitola “la chiave del pensiero”<br />

L’inconscio ha le sue cripte e dimore segrete. Bisogna trovare la chiave giusta per poter<br />

entrare tra leggiadri personaggi di un palcoscenico fantastico e i fantasmi arcaici che<br />

abitano il loro castello interiore.<br />

La “chiave del pensiero” è il disegno di Tobia alla fine del percorso sulla “Sessualità<br />

infantile e l’arte della fiaba”. È un dono che “regala” alla sua maestra affinché lei lo possa<br />

aiutare ad entrare nella scissione della sua testolina. Un giorno le ha mostrato il giardino<br />

del suo reame accompagnandola per mano fra tanti scenari, gli uni scollegati dagli altri,<br />

ma fra tutti imperava un bambino senza volto.<br />

19


C<br />

L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />

Le cripte dell’identità<br />

20<br />

figura che Tobia, II elementare, rappresenta<br />

come primo disegno all’inizio del percorso e scrive:<br />

“questo è un bambino senza volto”<br />

LE CRIPTE DELL’IDENTITÀ E LA CHIAVE DEL PENSIERO<br />

TRA SCENE DEL “CASTELLO INTERIORE”<br />

“Il bambino senza volto” è il disegno che Tobia traccia come raffigurazione di sé stesso<br />

all’inizio del percorso su “La sessualità infantile e l’arte della fiaba”.<br />

Si tratta di un sentiero non facile ma alla cui fine, dopo aver incontrato uno spazio di<br />

pensiero che l’ha contenuto e calmato, il bambino farà trovare la CHIAVE DEL<br />

PENSIERO per entrare nel suo reame.<br />

L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />

D<br />

I fantasmi dell’oralità.<br />

Illustrazione tratta dalla fiaba<br />

di “Hansel e Gretel”1<br />

LA CASA DI MARZAPANE E IL CORPO MATERNO<br />

I fantasmi della sessualità risiedono negli strati arcaici della psiche ed accompagnano tutte<br />

le vicende della libido. Hansel e Gretel in preda alla fame, cioè agli impulsi dell’oralità,<br />

vorrebbero divorare la casa di marzapane, metafora figurata del corpo materno. La casa<br />

di marzapane è un’immagine che non si dimentica. Essa rappresenta l’avidità orale e<br />

l’irresistibile impulso ad assecondarlo. Mangiando la casa di marzapane, Hänsel e Gretel<br />

mangiano la madre che nutre e divorano la madre che frustra, che invidiano perché il suo<br />

corpo è pieno di tutti i frutti e tesori del mondo che tiene solo per sé e non divide con i<br />

suoi figli. Ecco allora, dopo il banchetto d’ingordigia, comparire la strega vorace, che è<br />

la personificazione degli aspetti distruttivi dell’oralità. La strega del bosco dagli occhi<br />

rossi, come quella creata dalla fantasia aggressiva, è il fantasma che perseguita i bambini.<br />

Ma una strega che può essere bruciata nel forno, è una strega di cui il bambino può<br />

liberarsi quando si libera dalla sua avidità orale.<br />

1 Fratelli Grimm, Hänsel e Gretel, edizioni C’era una volta, Pordenone, 1988<br />

21


D<br />

L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />

I fantasmi dell’oralità.<br />

22<br />

Nel sentiero della ricerca, la dimensione dell’oralità viene<br />

esplorata assieme ai fantasmi che abitano il bosco, metafora<br />

dell’inconscio e <strong>delle</strong> figure che vi dimorano.<br />

Da un disegno e testo di un alunno di scuola elementare:<br />

“è un lupo che mangia le iene e mi sembra molto cattivo”<br />

IL LUPO MANNARO<br />

Il lupo mannaro, nell’immaginario dei bambini che la fiaba di Cappuccetto Rosso racconta<br />

così bene, è la rappresentazione concreta, animalesca dell’istinto distruttivo ed<br />

incorporativo. Cappuccetto rosso insegna in modo esemplare come la grande paura di<br />

essere mangiato dal lupo mannaro, sia invece la vendetta che si ritorce contro di lui per<br />

aver desiderato e fantasticato di aggredire tutto il cibo buono che, in ultima analisi, è il<br />

cibo/mamma. Egli scopre, davanti al lupo travestito (è la pulsione sadico-orale ad essere<br />

travestita da lupo), che la tanto amata nonna non c’è più ed ora lui è rimasto solo con il<br />

suo istinto incorporativo che ha assunto la forma del lupo. In questo disegno il lupo<br />

divora le iene, personaggi animaleschi amplificati dalla fantasia incorporativa.<br />

L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />

E<br />

Le bocche dell’oralità.<br />

La bocca è organo, “cavità primaria” e dimora psichica in cui<br />

avvengono gli scambi del nutrimento che danno luogo<br />

all’esperienza del piacere e del spiacere. La bambina di questo<br />

disegno racconta la storia della sua bocca:<br />

“in un paese lontano viveva un mostro cattivissimo che<br />

terrorizzava gli abitanti e mangiava tutto ciò che capitava<br />

dentro al suo raggio d’azione. Una volta fece un<br />

pranzo…mangiò persino i sentimenti degli abitanti del<br />

paesino. Dopo che mangiò i loro sentimenti, tutti si sentirono<br />

benissimo perché aveva mangiato i sentimenti d’odio,<br />

rancore e dispiaceri. Così scoperto questo, gli abitanti lo<br />

ringraziarono e gli diedero il potere magico del paese e il<br />

simbolo dei maghi: la bacchetta e il cappello da fata”.<br />

“BOUQUET”<br />

La bocca, questa “apertura” al mondo in cui avviene lo scambio tra il dentro e il fuori,<br />

attraverso cui passa il soffio, la parola, il nutrimento, è una sorta di “cavità primaria”<br />

(Spitz, 1965) che consente al neonato prima, al bimbo poi, di sperimentare, esplorare e<br />

conoscere il mondo/mamma. All’inizio, la bocca, è il centro organizzatore della<br />

“consensualità” tanto che essa è attratta, come afferma Meltzer verso il “[...] il seno<br />

materno, in quanto oggetto di alta attrattiva consensuale, che sembra funzionare come<br />

l’amante o la fonte che assomiglia al self [...] forzando, potremmo anche dire requisendo,<br />

l’attenzione”.<br />

Nella bocca dei bambini vi sarebbe una sorta di “bouquet di sensazioni eccitanti ed<br />

appaganti”, secondo la felice espressione della Tustin (1981), dove tutto ciò che entra o<br />

esce forma <strong>delle</strong> “rappresentazioni” molto arcaiche e dei legami con gli “oggetti interni”.<br />

L’esistenza di un’equazione che tende a stabilire tali legami tra rappresentazione psichica<br />

dell’“oggetto” e la parte del corpo in cui la sensazione dell’oggetto si forma, fa pensare<br />

come questi stessi “legami” siano al servizio del pensiero. Lo stesso balbettio musicale dei<br />

lattanti con il capezzolo ancora in bocca che, sazi, non lasciano andare il seno, introduce<br />

l’idea di come le vibrazioni musicali che riempiono la bocca (involucro sonoro),<br />

annuncino e preparino l’imminente separazione del bambino dalla mamma. Questo<br />

“bouquet” di oggetti e i giochi che con essi avvengono (giochi di lingua, bollicine di<br />

saliva...) mettono in scena nel “teatro della bocca” (Meltzer 1985) rappresentazioni presimboliche<br />

o simboliche dei legami che esistono con gli oggetti del mondo interno. Per<br />

il bambino è importante aver ottenuto una buona identificazione con una madre capace<br />

di contenere e trasformare le sue angosce permettendogli la costruzione di “una barriera<br />

di contatto”. Tale barriera gli consentirà di mangiare senza essere invaso dal fantasma di<br />

svuotare e depredare il corpo della madre stessa. Nel disegno di questa bambina, la bocca<br />

appare come un “bouquet” pieno di oggetti, dove la possibilità di “fare barriera” contro<br />

il mostro che tutto divora, è rappresentata dalla capacità di operare una scissione tra<br />

23


L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />

“oggetti buoni” ed “oggetti cattivi”, evacuando gli aspetti troppo pericolosi: l’odio - il<br />

rancore - i dispiaceri (v. costruzione della storia). L’espulsione fuori di sé e dentro il<br />

mostro, fa riapparire una ben nota scena del teatro psichico interiore: il bambino evacua<br />

gli elementi intollerabili che, se contenuti dentro di sé, lo potrebbero annichilire, e trova<br />

un “seno gabinetto” (Meltzer) - il mostro del disegno - che raccoglie la sua proiezione.<br />

Alla fine, il mostro riappare come trasfigurazione della figura materna quando la bambina,<br />

grata per essersi potuta liberare dalle sue angosce, gli dona la bacchetta magica e il<br />

cappello da fata, rievocando l’antico fantasma annunciato da Winnicott “...la buona<br />

madre è colei che si lascia attaccare senza sentirsi divorare”.<br />

24<br />

L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />

E<br />

Le bocche dell’oralità.<br />

DISCARICA<br />

Disegno e storia della “bocca che mangia”<br />

Quella che segue è la rappresentazione figurata corredata dalla<br />

storia che una alunna di V elementare ha costruito attorno al suo<br />

disegno.<br />

Il testo è mantenuto inalterato con gli errori:<br />

“ Questa signora è davero un maiale, è un ingorda. Povera<br />

quella pizzetta. Questa signora non sa fare altro che<br />

mangiare, andare al bagno, dormire. Sono sicuro che se<br />

entrassi nel suo corpo mi sembrerebbe di essere in una<br />

discarica”.<br />

I vissuti della sessualità e la loro connessione<br />

con i fantasmi dell’oralità<br />

I vissuti legati ad un corpo che sta cambiando e nascendo alla sua maturazione sessuale,<br />

possono indurre una percezione sporca della sessualità e a quanto ad essa connesso.<br />

In questo disegno è manifesto il desiderio intrusivo di entrare nel corpo che è l’espressione<br />

traslata di una penetrazione sessuale rappresentata, d’altronde, dal cono di pizzetta<br />

che s’introduce nella bocca in una sorta di godimento orale. Appare evidente come il<br />

disgusto che quest’atto di fantasia comporta, sia nient’altro che la controreazione pudica<br />

alla fantasia penetrativa. L’“essere un maiale, un ingorda, come uno scualo, essere in una<br />

discarica” sono epiteti che caratterizzano la bocca quasi fosse un organo sessuale e<br />

pornografico. Essa è offerta in prima vista, è la parte che prevale sul tutto, anzi sul niente,<br />

essendo il viso una macchia rosa evanescente ed il corpo completamente assente. Si<br />

potrebbero persino ipotizzare dei disturbi alimentari nel racconto di questa<br />

rappresentazione. Tuttavia, anche altri elementi sono degni d’attenzione: i denti da<br />

pirana (scualo dice il bambino) che circondano la bocca e la discarica all’interno del corpo.<br />

Il primo aspetto richiama gli aspetti dell’oralità cannibalica con tutto il suo carico di<br />

sadismo diretto contro l’“oggetto d’amore”. Va ricordato che il sadismo orale è sollecitato<br />

dalla frustrazione orale, dall’invidia e dall’avidità. Il secondo aspetto fa riferimento<br />

al destino <strong>delle</strong> pulsioni orali. L’onnipotenza del pensiero infantile rende possibile questi<br />

fantastici attacchi: da un lato il bambino possiede un rapporto realistico con i suoi<br />

“oggetti d’amore” (i genitori), dall’altra pensa che avendoli mangiati, li ha realmente<br />

feriti e distrutti. È una fantasia cannibalica che gli permette di “inghiottire” nel mondo<br />

interno l’immagine dei genitori. Infatti, mangiare l’oggetto del proprio amore significa<br />

innanzitutto poterlo conservare. Nella comunione cristiana, quando il fedele “mangia”<br />

l’ostia di Cristo, metaforicamente egli s’impossessa, grazie all’incorporazione, <strong>delle</strong> sue<br />

25


L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />

qualità, sostenuto dal rituale che recita: “prendete e mangiate, questo è il mio corpo;<br />

prendete e bevete, questo è il mio sangue. Tuttavia la dinamica tra proiezione dell’aggressività<br />

ed introiezione, può dar luogo al vissuto che i genitori siano rimasti rovinati dal<br />

divoramento. Il cibo/mamma (o genitori) che d’ora in poi sarà mangiato e su cui si<br />

condensa questo conflitto, s’installerà dentro di sé agendo come un persecutore interno<br />

o “oggetto vendicatore”. La discarica del racconto serve proprio a questo: poiché la<br />

pizzetta ingoiata è rovinata dall’ingordigia, la bambina non può riconoscere la bontà<br />

dell’“oggetto” mangiato. Esso assume le vesti di un potenziale persecutore interno che<br />

la può attaccare dal di dentro con la virulenza microbica dei cibi guasti <strong>delle</strong> discariche.<br />

Il risalto comunque dato in questo disegno alle componenti introiettive e penetrative<br />

permette di associare il cibo al piacere orgastico e la bocca all’orifizio sessuale. “La bocca<br />

è una zona erogena, essa si comporta autoeroticamente… sessuale è il piacere ottenuto<br />

succhiando” (Freud, “Vita sessuale umana”). Le fantasie sollecitate dall’oralità, inducono<br />

l’associazione con i vissuti della sessualità presenti in adolescenza, e percepiti da questa<br />

bambina come sporchi, lordi, ripugnanti. Il suo corpo le “parla” i rumori di una sessualità<br />

nascente ma la sua voce per ora e per controreazione, le proviene dalla discarica del suo<br />

grembo.<br />

<strong>26</strong><br />

L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />

E<br />

Le bocche dell’oralità.<br />

“Il mio incubo più frequente è che io mi trovo nella foresta degli<br />

alberi viventi che mi vogliono catturare. I personaggi sono degli alberi<br />

viventi molto brutti che fanno molta paura, e il loro capo ha le gambe<br />

e può camminare, diversamente dagli altri. Gli alberi hanno le mani<br />

cinque dita proprio come noi, hanno una bocca grandissima e<br />

profonda come un pozzo perdente, con molti denti aguzzi e taglienti<br />

da poter tranciare un cavo elettrico, dalle radici molto sporgenti e<br />

grosse in avanti per poter far cadere le persone che passano e poi<br />

con le loro braccia allungabili le catturano, per poterle imprigionare,<br />

torturare e, se non vogliono collaborare con loro, ucciderle. Hanno<br />

anche grossi occhi con una pupilla nera al centro, dei rami<br />

apparentemente pochi e corti che poi si trasformano, da pochi e<br />

corti, a tanti e lunghi. Gli alberi possono mutarsi come e quando fa<br />

loro comodo, in avanti, indietro, a destra, a sinistra, in alto e in<br />

basso. I personaggi mi fanno paura solo quando si trasformano<br />

perché all’inizio sembrano degli alberi qualunque. Mi fanno paura<br />

soprattutto i loro denti perché sono molto taglienti”.<br />

FORESTA<br />

disegno e commento di un bambino di V elementare.<br />

I fantasmi della sessualità risiedono negli strati arcaici della psiche ed accompagnano tutte<br />

le vicende della libido. I primitivi scambi sensoriali fra la madre e il bambino si stratificano<br />

sotto forma di tracce indelebili anticipando, come staffette, gli umori della vita sessuale<br />

adulta. Questi precursori pregenitali sono suscettibili di molteplici variazioni, e creano la<br />

differenza tra la creatività e il destino nevrotico, segnato quest’ultimo dalla “coazione a<br />

ripetere” nell’attuale ciò che a livello pre-rappresentativo ed anche fantasmatico, è stato<br />

vissuto nelle relazioni primordiali. Uno dei fantasmi principali che abita la mente del<br />

bambino fin dall’inizio, riguarda la fantasia cannibalica di “divorare” la madre per<br />

depredarla di tutto il suo latte. Ne consegue una fantasia persecutoria, per cui il bambino<br />

teme che la vendetta per il danno arrecato con il suo “furto” si ritorca contro di lui. La<br />

libido, che sostiene gli stati primitivi dell’oralità lo spinge, infatti, ad appropriarsi di tutti<br />

i doni preziosi contenuti nel corpo materno, mentre la pulsione epistemofilica gli induce<br />

la curiosità di conoscere, di sapere cosa c’è dentro. Aggredendo il corpo materno,<br />

c’insegna la Klein (1933), il bambino va incontro ad un percorso gravido di conseguenze.<br />

La soddisfazione e il piacere legati al nutrimento saranno possibili solo se il<br />

bambino, la cui oralità è appunto guidata da fantasie cannibaliche, può provare l’esperienza<br />

di mangiare e divorare (il seno/mamma) senza subire, a livello fantastico, il sentimento<br />

di essere a sua volta divorato. Tuttavia, il pericolo di venire attaccato dalla pulsione<br />

aggressiva (da lui proiettata inizialmente nel corpo materno) può provocare nel bambino,<br />

o meglio al suo Io, uno stato di tensione avvertita come angoscia. Se la dinamica<br />

pulsionale tra aggredire ed essere aggredito non troverà un equilibrio, il fantasma che<br />

sopravviverà nelle vicende della psiche tenderà a riprodurre il problema esattamente nella<br />

sua trama anteriore. L’eterno dilemma dell’amore ripropone il quesito di come amare<br />

senza distruggere con l’amore, o come amare senza distruggere con l’odio.<br />

Nell’adolescenza di cui questo alunno disegna la trama, il tema dell’angoscia riappare con<br />

le soluzioni escogitate dall’edipo infantile. Il piacere risultante dalla soddisfazione degli<br />

impulsi orali d’un tempo (difficilmente sublimabili a differenza di quelli anali dominati<br />

27


L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />

dal controllo) ritorna ora in scena combinato all’aggressività. Quale dei due trionferà<br />

sull’altro: l’erotismo orale o l’aggressività orale; quale tra gli impulsi: erotico-anale o<br />

sadico-anale, riuscirà a prevalere? Sapranno combinarsi armoniosamente?<br />

La foresta degli alberi viventi disegnata da questo bambino, è la rappresentazione<br />

antropomorfica dell’antico conflitto tra amore e odio. Il capo degli alberi, il potente ES<br />

disegnato in rosso, è il richiamo della pulsione al godimento. Ma è anche un “pozzo<br />

perdente”. L’immagine che lo specchio interiore distorce, rendendo gli alberi improvvisamente<br />

mutevoli e carichi di aggressione come esattamente sa fare la pulsione<br />

mascherandosi e travestendosi, parla del pericolo nascosto nell’ES. Se il bambino vi fa<br />

ritorno sordo ad ogni barriera, troverà la vorace bocca dai denti taglienti che lo ingloberà<br />

nel suo buco. Ma quelle braccia così aperte quasi in un avvertimento, anche se terrifico,<br />

e quel bimbo così spaventato dalla minaccia del suo mondo pulsionale, sembrano essere<br />

un richiamo o un appello ad un divieto che gli sbarri la strada del ritorno. La sua paura<br />

di essere ingoiato da quei terribili alberi mostra come gli sia quasi impossibile opporsi al<br />

loro divorante richiamo. Simile a “Cappuccetto Rosso”, potrebbe andare incontro al lupo<br />

senza uno schermo protettivo se nel sentiero della suo bosco non saprà riesumare antiche<br />

soluzioni, nuovi compromessi. Con i suoi dieci anni, questo bimbo dovrà scendere a patti<br />

tra “lasciarsi divorare” o lasciarsi “castrare” (i denti a sega dell’albero fanno pensare al<br />

bisogno di una Legge ma anche, secondo una nota equivalenza, ad una vagina dentata).<br />

Un nuovo scenario si apre: tra nostalgia del grembo e spinta genitale si giocherà ora la<br />

sua adolescenza.<br />

28<br />

L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />

E<br />

Le bocche dell’oralità.<br />

SANDWICH<br />

Storia della bocca che mangia:<br />

“Un bambino di nome Bart dopo aver rubato da un fast food<br />

un sandwich ora è intento a mangiarselo non sapendo che è<br />

fatto di granito”<br />

disegno e commento di un alunno di V elementare<br />

Uno degli aspetti principali che riguardano la crescita e che, in particolare, caratterizzano<br />

la relazione genitori/figli, è la conoscenza. I bambini fantasticano che la conoscenza sia<br />

qualcosa di concreto e che essa sia da loro posseduta interamente. Nel pensiero più<br />

primitivo tale conoscenza viene sentita come contenuta, concretamente, dentro il corpo<br />

della madre. Si tratta di una fantasia ampiamente trattata da Freud, il quale ha dimostrato<br />

come le teorie sessuali dei bambini, sono un’eredità filogenetica che si manifesta già nel<br />

primissimo stadio dello sviluppo sadico-orale, attraverso l’uso di “manovre” quali “aprirsi<br />

un varco nel corpo della madre” e che riappaiono, più avanti, nelle analisi degli adulti e<br />

<strong>delle</strong> loro fantasie. Nell’inconscio del bambino piccolo, ogni fonte di ricchezza, di gioia e<br />

di bellezza è sentita come il seno materno che ama e che nutre. Penetrare nel corpo della<br />

mamma per “rubare” la sua conoscenza ed appropriarsi del suo tesoro, è fantasia comune<br />

che sorge soprattutto di fronte alla poca tolleranza verso la limitazione della gratificazione<br />

orale. Dopo una prima fase di totale soddisfazione, avanza il momento in cui la<br />

frustrazione dell’oralità induce nel bambino il bisogno di vendicarsi del seno/mamma<br />

castigante. Quando la vendetta (sadismo) giunge al suo culmine, le fantasie di “rapina” e<br />

“furto” sono il naturale corollario del desiderio di depredare la madre per impossessarsi<br />

di tutta la sua conoscenza. La grande bocca dai denti a sega raffigurata dal bambino di<br />

questo disegno, tenta di confondere i suoi intenti mascherandosi come uno dei personaggi<br />

dei Simpson. Ma rubare un sandwich è la riedizione elaborata dell’antica fantasia<br />

di rubare alla madre i beni e la conoscenza che ella conserva all’interno del suo<br />

corpo/Fast Food. La punizione per la sua trasgressione, tuttavia, arriva sotto forma di<br />

panino di granito. Le fantasie aggressive di un tempo sono le figure dell’oralità di adesso,<br />

abitata dalle pulsioni trasformate e mascherate.<br />

29


F<br />

L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />

Le trappole dell’oralità.<br />

LE STANZE DEL CLAUSTRUM<br />

Il movimento della mente del bambino parte da una concezione ampia e indifferenziata<br />

dello spazio corporeo materno - una sorta di madre Terra che tutto contiene - per<br />

giungere ad una suddivisione geografica, per zone ed aree dello stesso corpo interno della<br />

madre. Questa suddivisione in territori geografici accompagna, nel bambino, il suo<br />

processo di distacco da una relazione totalizzante con la madre per una relazione più<br />

parziale con il suo “oggetto” d’amore ed è determinante nelle costruzioni immaginative.<br />

Al bambino, o meglio alla sua fantasia, è richiesta una forma di “consensualità” (ad es. la<br />

testa del bambino sarà attratta verso la testa-seno - testa concepita come un seno perché<br />

nutre di pensieri -), che lo porterà a “viaggiare”, a salire e scendere scale come nel sogno<br />

rappresentato in questo disegno; ad entrare ed uscire da una casa o da una macchina<br />

come in altri sogni. Tutti movimenti che rappresentano i cambiamenti di uno stato<br />

d’animo che oscilla tra paura, rifugio, intrappolamento, fuga… Il territorio in cui avviene<br />

tutto questo sono le stanze, i corridoi, un teatro, un palazzo, tipici dei sogni ma metafore<br />

del corpo materno e <strong>delle</strong> sue zone geografiche. In questo disegno che parrebbe la<br />

rappresentazione di un intestino e che può corrispondere all’idealizzazione di tale parte<br />

interna, le stanze si susseguono l’una dopo l’altra, tutte abitate da oggetti. La mancanza<br />

di finestre e il sentimento di essere intrappolato in un sotterraneo con stufette che<br />

bruciano, rimandano alla fantasia intrusiva e segreta di penetrare in quel luogo per<br />

derubare la madre (Abraham, 1921) e depredarla dei suoi beni (i tanti oggetti assimilati<br />

nella fantasia del bambino ad altrettanti bambini rivali). La conseguenza è l’ansia<br />

claustrofobica di rimanere chiuso dentro. È come dire che il Sé “entra” fantasticamente<br />

negli spazi corporei della madre interna e si disloca in un “territorio” prescelto, che può<br />

essere il seno, la testa, l’ano. In tal modo, lo stato mentale del bambino esperisce nuove<br />

tonalità emotive: maniacali, claustrofobiche, ipocondriache. Cogliere il luogo in cui egli<br />

si proietta e s’identifica, si rifugia e vi abita, pur anche nel sogno, aiuta a comprendere<br />

dove il Sé o una sua parte si ferma a “soggiornare” dall’infanzia condizionando i suoi<br />

futuri vissuti.<br />

30<br />

Il percorso continua nelle dimore del corpo, metafore di altre<br />

stanze dove si sono insidiati i fantasmi dell’oralità<br />

Disegno e testo di un bambino<br />

“Il mio sogno ricorrente, quasi un incubo è:<br />

ho sognato che sono andato da mia nonna per vedere la casa<br />

nuova. Mia nonna non c’era, così l’ho visitata da solo. La casa<br />

era molto grande, non finiva più, allora correvo, ma non finiva.<br />

C’era una stanza dietro l’altra, in ogni stanza c’era un divano,<br />

una TV, una scrivania e dei mobili e qualche volta una scala<br />

normale per passare da una stanza all’altra, oppure una scala<br />

a chiocciola. In una stanza c’era la cucina, con un tavolo, un<br />

forno che occupava metà stanza. C’erano persino stufette molto<br />

piccole che, se le lasciavi accese per tanto tempo, sembrava di<br />

essere in estate. Non c’erano molte finestre, quasi nessuna, e<br />

sembrava di essere in un sotterraneo”.<br />

L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />

F<br />

Le trappole dell’oralità.<br />

Le figure che popolano le dimore dei sogni, salgono e<br />

svaniscono tra incubo e realtà.<br />

Questa alunna di V elementare disegna un personaggio<br />

ricorrente che la tormenta nel suo sonno:<br />

“nei miei sogni brutti appare un personaggio fatto così: è<br />

vestito con un gilé di pelle di caprone e con pantaloni fatti<br />

di pelle scura. Indossa scarponi da montagna, legate ai<br />

fianchi ci sono due campane. Nella tasca del gilé ha sempre<br />

la pistola pronta per sparare. In testa ha due corna da<br />

diavolo; dalla bocca sputa molto sangue. Nel sogno il mostro<br />

fa paura quando mi rapisce e mi porta in Trentino nella sua<br />

catapecchia. Fa paura perché arriva all’improvviso,<br />

sputando sangue e urlando con voce spaventosa. Questo<br />

sogno si è ripetuto più volte, quando la giornata mi era<br />

andata storta”.<br />

“PELLE D’ASINO”<br />

La sessualità e l’involucro pelle<br />

La pelle di cui è rivestito il mostro, cioè l’altra parte di sé temibile e sconosciuta, rappresenta<br />

la superficie psichica su cui si depositano le tracce <strong>delle</strong> sensazioni, i piaceri ed i<br />

dispiaceri, le gioie e le <strong>paure</strong>. Solitamente, ci educe Anzieu 1 , “la pelle è una superficie<br />

fornita di sacche, di cavità in cui sono alloggiati gli organi di senso diversi dal tatto. L’Iopelle<br />

è una superficie psichica che collega tra loro sensazioni e le fa risaltare come figure…<br />

L’Io-pelle svolge la funzione di superficie di sostegno della eccitazione sessuale… l’Io-pelle<br />

capta l’investimento su tutta la propria superficie e diventa un involucro di eccitazione<br />

sessuale globale. Tale configurazione è alla base della teoria sessuale infantile più arcaica per<br />

cui la sessualità si riassume nei piaceri del contatto pelle a pelle e la gravidanza è il frutto<br />

della semplice stretta corporea e del bacio”<br />

Gli elementi di una sessualità schermata 2 da caprone o di una para eccitazione a livello della<br />

superficie corporea, ci provengono in questo disegno, dalla condensazione di caratteristiche<br />

maschili e femminili combinate. Segni di una bisessualità (l’essere maschio e<br />

femmina contemporaneamente come il mostro del disegno) che dovrebbe essere abbandonata,<br />

le campane e le corna ma anche la pistola dentro la tasca-involucro, evocano seni<br />

sanguinanti o sadicamente appuntiti (le corna: seni o capezzoli eretti) e un fallo (la pistola)<br />

più esibito che nascosto. Lo stupore degli occhi quasi ipnotizzati, è la paura della bambina<br />

di fronte alla sua sessualità che emerge con la pubertà. I fantasmi di un tempo ricompaiono<br />

diffusamente travestiti con gilé e pantaloni in pelle scuri, stimolati dall’eccitazione arcaica<br />

non ancora assurta a sessualità. Il sangue della bocca e il sangue dei seni/campane<br />

richiamano l’intenzionalità sadica sottesa al nutrimento del cibo/mamma. Quale introiezione<br />

della figura femminile, quale attaccamento agli aspetti sadici dell’analità (tutto il<br />

1 D. Anzieu, L’Io pelle, Borla, Roma 1985<br />

2 V. in Laplanche-Pontalis, Enciclopedia della psicanalisi, Laterza, Bari 1984 la definizione di “schermo antistimolo”<br />

31


L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />

marrone del suo rivestimento), quale soluzione all’edipo infantile? Quale pistola/pene<br />

dismettere e quali attributi assumere? La domanda d’identità in adolescenza non permette<br />

vie di fuga: ogni tratto della sessualità infantile deve riconoscere ed assoggettarsi al primato<br />

della genitalità; il bambino e la bambina non possono più eludere il loro corpo. Essi lo<br />

abitano e l’essere maschi o femmine deve d’ora in poi coincidere con il sentimento di<br />

sentirsi uomini o donne. La pelle marrone di caprone del mostro di questo disegno,<br />

ricopre col suo manto d’eccitazione una bambina ancora troppo arcaica. Come farà la sua<br />

pelle così rosea, quasi da neonata, ad indossare la ruvida pelle del caprone e a sottomettersi<br />

agli imperativi della sessualità?<br />

Di quale pelle dunque vestirsi? Ritorna alla memoria la fiaba di “Pelle d’asino” la cui pelle<br />

proteggeva la principessa dall’incesto e contemporaneamente la rivestiva della parte più<br />

istintuale, bestiale e rimossa che da sempre gli uomini hanno allontanato da sé per riporla<br />

nei luoghi del rimosso (la porcilaia della principessa). E quando il rimosso riemerge esso<br />

ha gli occhi di una bimba atterrita di fronte alle immagini del suo mondo primordiale.<br />

32<br />

L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />

G<br />

Teorie sessuali infantili.<br />

esperienza dalla conduzione psicologica di un corso di<br />

preparazione al parto a cui partecipano anche M. e il suo papà<br />

assieme alla mamma inserita nel gruppo di lavoro <strong>delle</strong> gravide<br />

M. 6 anni, il bambino di questo disegno, traccia sé stesso<br />

nella pancia della mamma che si trova al sesto mese di<br />

gravidanza. Il papà interviene facendogli notare che quello<br />

non può essere lui ma eventualmente il fratellino che deve<br />

nascere, e disegna il suo primogenito fra i due genitori. M.,<br />

con impeto di rabbia, sottrae il pennarello al papà, cancella<br />

con uno scarabocchio la figura al centro e riafferma con forza<br />

che lui è il bambino dentro la pancia. Per rafforzare le sue<br />

parole, aggiunge due grandi braccia alla mamma, disegnandole<br />

sul e dentro il suo volto, quasi in un abbraccio totale.<br />

ESSERE IL PROPRIO PADRE CON LA PROPRIA MADRE<br />

Le teorie sessuali infantili rappresentano un patrimonio incredibile dell’immaginario<br />

infantile. Oltre a costituire la base di fissazioni primitive, esse, anche quando saranno<br />

scomparse, avranno un effetto inconscio di notevole peso in tutta la sessualità adulta.<br />

Con Freud, riconosciamo al bambino un certo sapere inconscio che gli proviene dalla<br />

filogenesi, in cui rientrano idee vaghe e confuse, sul rapporto sessuale e la nascita. Dopo<br />

la primissima fase orale pre-ambivalente, i successivi stadi di sviluppo corrispondenti al<br />

sadismo orale e al sadismo anale creano nel bambino dei nessi tra nutrizione ed espulsione<br />

e le rappresentazioni fantasmatiche di questa stessa attività. Il rapporto sessuale viene<br />

concepito principalmente come un atto in cui entrano il mangiare, il cucinare, lo scambio<br />

di feci, di pipì, ed ogni sorta di azioni sadiche. L’analisi dei bambini permette di osservare<br />

il legame tra queste fantasie e la sessualità. Alcuni esempi della concezione infantile del<br />

rapporto sessuale, si ritrovano nei giochi di sventrare, fare a pezzi, tagliare,<br />

apparentemente un bambolotto reale, inconsciamente il corpo della madre, o il padre<br />

dentro la madre, o i fratellini rivali che gli portano via il latte tutto suo. Invidia e avidità<br />

(M. Klein “Invidia e gratitudine”) sostengono il tratto predatore <strong>delle</strong> fantasie orali.<br />

L’avidità porta a svuotare, a prosciugare e a divorare (M. Klein 1928) mentre l’invidia<br />

mira ad entrare intrusivamente dentro il corpo della madre per danneggiarlo ed<br />

impadronirsi di tutti i tesori che, il bambino pensa, ella vuole tenere solo per sé. Questi<br />

tratti distruttivi <strong>delle</strong> fantasie vengono compensati dal bisogno di “riparare” che il<br />

bambino prova di fronte al danno che fantasticamente teme di averle arrecato per<br />

assecondare i suoi impulsi. La “riparazione” restituisce al bambino l’integrità dei suoi<br />

sentimenti ad amare.<br />

Le teorie sessuali infantili più “piccole” (v. disegno in questa pagina) incontrano spesso il<br />

sogno onnipotente di un ritorno al grembo materno, di un accoppiamento con i genitori<br />

interni, come anche di una partonogenesi, un nascere da soli che esclude la sessualità. A<br />

questo proposito Freud afferma: “...egli desidera poter tornare nel ventre, non semplicemente<br />

per poter essere di nuovo messo al mondo, ma per poter lì essere accoppiato con il<br />

33


L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />

padre...”. I fantasmi che accompagnano queste intenzionalità fantastiche, esprimono la<br />

difesa del bambino contro le angosce di separazione ed anche il desiderio regressivo di<br />

rimanere l’unico bambino “facendo fuori” i fratellini rivali.<br />

Le teorie sessuali tradizionali, da cui derivano le innumerevoli variazioni soggettive,<br />

fanno riferimento al saggio di Freud del 1908 in cui teorizza:<br />

1. l’ipotesi dello stesso genitale (virile) in tutte le persone è la prima <strong>delle</strong> teorie sessuali<br />

infantili<br />

2. si hanno bambini mangiando certe cose (come nelle favole), ed essi vengono partoriti<br />

dall’intestino come un’evacuazione<br />

3. …i bambini…non possono fare a meno di concepire l’atto sessuale come una specie di<br />

maltrattamento o di sopraffazione, dunque in senso sadistico… poiché all’esplorazione<br />

infantile restano ignoti 2 elementi, la funzione del seme fecondativo e l’esistenza<br />

dell’orifizio sessuale infantile…<br />

34<br />

L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />

G<br />

Teorie sessuali infantili.<br />

Esperienza tratta dalla conduzione psicologica di un corso di<br />

preparazione al parto in cui sono presenti alcuni bambini che<br />

giocano a disegnare le loro mamme:<br />

Paolo, 5 anni, disegna la propria mamma incinta<br />

LA PULSIONE EPISTEMOFILICA<br />

Esiste nel bambino l’arte di fantasticare l’esperienza sottraendola ai principi della realtà.<br />

Oltre al pensiero animistico, egli si dota di un insieme di istruzioni che gli servono a<br />

padroneggiare magicamente il mondo. Spinto dalle sue urgenze vitali, si lancia con sete<br />

di sapere, in un’assidua ricerca tesa a rispondere alla domanda che fin dai primordi si è<br />

posta l’intera umanità: da dove vengo e dove vado? Le teorie sessuali infantili dovrebbero<br />

risolvere questo enigma in una direzione che, tuttavia, esclude la sessualità genitale, il<br />

coito, la penetrazione. Esse sono state definite da Freud come una “conoscenza geniale”<br />

paragonabile ai “tentativi geniali degli adulti per risolvere i problemi più ardui che<br />

l’universo pone all’intelletto umano”. La loro importanza è tale che, sempre Freud, parla<br />

di una vera e propria resistenza infantile alle spiegazioni sessuali tanto da spingerlo a<br />

paragonare i bambini a quei primitivi “cui è stato imposto il cristianesimo che però<br />

continuano in segreto ad adorare i loro vecchi idoli” 1<br />

Come per incantesimo, in questo disegno Paolo s’insinua nel grembo della madre sotto<br />

le sembianze di un pene che, invece, dovrebbe rappresentare il fratellino rivale che sta per<br />

nascere. Lo stretto legame tra processo di pensiero e pulsione di ricerca asseconda, qui,<br />

la fantasia edipica di essere il proprio padre con la propria madre. Egli, come il piccolo<br />

Hans 2 insegna, dovrà incontrare il luogo dell’interdizione, la barriera che ridisegna i<br />

confini della mappa psichica, sorta di territorio che restituisce al bambino il limite proibito<br />

che non può varcare (l’incesto). Solo così, egli potrà riconoscere al padre il suo<br />

attributo di grande ed assumere su di sé quello di piccolo, garantendosi quella “sproporzione”,<br />

quella dis-misura che lo preserverà dalla fantasia onnipotente di essere il “pene<br />

della madre”. Le teorie sessuali infantili (il pene alla madre, l’ano da cui nascono i<br />

bambini) rappresentano la costruzione dello spazio che viene sbarrato al godimento<br />

illimitato che il bambino fantastica immaginandosi, al posto del padre, la vera coppia con<br />

1 S. Freud, Analisi terminabile e interminabile, 1937<br />

2 S. Freud, Il piccolo Hans – Analisi della fobia di un bambino di cinque anni, 1908<br />

35


L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />

la madre. Sarà la risposta sbagliata, la ricerca impossibile, la teoria impropria ma salvifica<br />

a ridisegnare il triangolo edipico, creando quel compromesso tra un’origine impossibile<br />

da pensare e l’origine a cui invece il bimbo può risalire (sorta di accertamento della<br />

paternità) e quindi appropriarsene.<br />

36<br />

L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />

G<br />

Teorie sessuali infantili.<br />

Le teorie sessuali infantili sono state esplorate e valorizzate<br />

come il patrimonio creativo che il bambino possiede e che<br />

non sempre gli è riconosciuto. I bambini di questi disegni<br />

hanno ripercorso sentieri dimenticati rivisitando dimore di<br />

fantasie dimenticate<br />

FECONDAZIONE ORALE<br />

Marta, V elementare, disegna la sua fantasia sulla nascita e racconta:<br />

“pensavo che quando mamma e papà si davano un affettuoso bacio, dal corpo del papà<br />

entravano in quello della mamma tanti e piccoli insettini. Dopo entravano in una stanza<br />

calda questi piccoli insetti entravano in una grande palla: ERO IO !!!”<br />

“… si hanno bambini mangiando certe cose come nelle favole …” (S. Freud)<br />

37


G<br />

L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />

Teorie sessuali infantili.<br />

38<br />

L’esplorazione fra le teorie che i bambini si costruiscono per<br />

trovare una risposta ai loro quesiti sulla nascita, prosegue dalla<br />

bocca verso il dentro del corpo<br />

LA BOCCA DELLO STOMACO<br />

Elena, alunna <strong>delle</strong> elementari, così commenta il suo disegno:<br />

“Quando ero dentro la pancia della mia mamma, provavo un sentimento molto bello.<br />

Speravo che mia madre mi accogliesse con affetto e fu così, io a vedere la mia mamma<br />

scoppiai in lacrime.<br />

Così fu la mia nascita”<br />

L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />

G<br />

Teorie sessuali infantili.<br />

Ogni teoria sulla nascita è una “scoperta geniale” anche se<br />

essa è palesemente errata<br />

disegno di una alunna di V elementare<br />

NASCITA DENTRO IL CAVOLO<br />

“la conoscenza <strong>delle</strong> teorie sessuali dei bambini […] rimane indispensabile per giungere a<br />

capire le nevrosi stesse, nel cui ambito queste teorie fanciullesche sono ancora valide e<br />

acquistano un influsso determinante sulla forma via via assunta dai sintomi” 1<br />

“…si hanno bambini …come nelle favole…” (S. Freud)<br />

1 S.Freud, Trasformazioni pulsionali particolarmente dell’erotismo anale, pag. 185, OSF vol. 8<br />

39


G<br />

L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />

Teorie sessuali infantili.<br />

DISEGNO E TESTO DI UNA ALUNNA<br />

40<br />

le fantasie sulla nascita riproducono in questo disegno una<br />

<strong>delle</strong> teorie più amate dai bambini<br />

disegno di una alunna di V elementare<br />

NASCITA DALL’O<strong>MB</strong>ELICO<br />

“Io pensavo che i bambini nascessero dalla pancia cioè che ad un certo punto il bambino<br />

bucasse la pancia e uscisse, dopo la pancia si sarebbe sgonfiata e ricucita in pochi secondi”.<br />

L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />

G<br />

Teorie sessuali infantili.<br />

Nella inesauribile ricerca dei misteri della nascita, il bimbo<br />

scopre, come il “Piccolo Hans” di Freud, che può venire al<br />

mondo sottoforma di un “mucchietto di feci”<br />

TEORIA DELLA CLOACA<br />

disegno e testo di un alunno:<br />

“Io sono nato prima dalla testa poi dalle gambe, ma prima di nascere in pancia vedevo<br />

(g)lobuli e anche il cuore”<br />

da S. Freud:<br />

“… si hanno bambini mangiando certe cose (come nelle favole), ed essi vengono partoriti<br />

dall’intestino come un’evacuazione”<br />

“… la “cacca” è il primo grande e prezioso dono che il bambino regala alla sua mamma<br />

[…] come “regalo” assume poi il significato di bambino che secondo una <strong>delle</strong> teorie sessuali<br />

infantili, viene acquisito mangiando e partorito attraverso l’intestino […] la defecazione è<br />

la prima situazione in cui il bambino deve decidere fra un atteggiamento narcisistico ed un<br />

amore oggettuale. O cede di buon grado gli escrementi, li “sacrifica” come pegno d’amore,<br />

oppure li ritiene per soddisfare un impulso autoerotico, e in seguito per affermare la propria<br />

volontà” 1 .<br />

41


G<br />

L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />

Teorie sessuali infantili.<br />

42<br />

Disegno di un alunno <strong>delle</strong> elementari<br />

Oltre alla fantasia di nascere dal cavolo e dall’ombellico, il<br />

bambino nutre spesso l’immaginazione di “uscire” dalla<br />

bocca. Ma di quale bocca si tratta?<br />

CONFUSIONE ZONALE<br />

La bocca è simile ad una vagina dentata<br />

Il vissuto del proprio corpo spesso prevale sulla sua conoscenza anatomica, tanto che ai<br />

bambini può capitare di scambiare un’apertura con l’altra o una vagina con la bocca<br />

disegno testo di alunno di V elementare:<br />

“quando sentii uno scatto vidi <strong>delle</strong> scalette e mi arrampicai, quando ero a metà strada<br />

sentii in un orecchio il silenzio e nell’altro un grande rumore; quando sono uscito mi hanno<br />

tagliato il cordone e ho visto una luce verde, mi sono sentito molto osservato”<br />

L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />

H<br />

Esisti dell’Edipo infantile in pubertà.<br />

Disegno di un bambino di V elementare che riflette una teoria<br />

sulla propria nascita<br />

DESTINO DELLE FANTASIE<br />

NEL SECONDO TEMPO DELLA SESSUALITÀ INFANTILE<br />

La sessualità e il triangolo edipico<br />

Nascita con rastrello<br />

La strutturazione dell’identità sessuale durante la pubertà trova un suo fondamento<br />

nell’inconscio, in quella immagine criptica che il bambino trattiene dentro di sé della<br />

relazione sessuale altamente complicata dei genitori interni. Egli è capace di una ricca<br />

identificazione introiettiva sia nei ruoli maschili che in quelli femminili ma, alla fine della<br />

latenza, deve abbandonare la bisessualità che lo ha caratterizzato fino ad allora, e<br />

addivenire alla irrinunciabile domanda d’identità sessuale che la sua maturazione gli richiede.<br />

Egli, ancora, deve compiere “il lutto” del proprio corpo infantile ed infertile per<br />

assumere la sessualità genitale e riproduttiva che è la forza unificante di tutte le pulsioni<br />

parziali della sessualità infantile. Riemergono gli esiti dell’edipo infantile con le varie<br />

soluzioni che il bimbo si è dato, e le vecchie identificazioni sono chiamate all’appello<br />

dall’identità di genere (quella a cui ognuno appartiene), la quale può non coincidere con<br />

l’identità sessuale. Freud approfondisce questo concetto asserendo che “la decisione sul<br />

comportamento sessuale definitivo avviene solo dopo la pubertà ed è il risultato di una<br />

complessa serie di fattori [...] nella pubertà si produce la subordinazione di tutte le<br />

eccitazioni pulsionali al primato della zona genitale [...] la pulsione sessuale si pone adesso al<br />

servizio della funzione procreativa”. Nella scelta della definizione sessuale intervengono<br />

dunque, con tutto il loro peso, i residui del complesso edipico, la cui risoluzione avvenuta<br />

negli anni della prima infanzia, attendeva solo il tempo della genitalità per riproporre il<br />

teatro dei suoi fantasmi interiori. Primo fra tutti quello della “castrazione”, cicatrice<br />

immaginaria che s’instaura laddove il bambino ha potuto vivere la duplice esperienza della<br />

delusione e dell’interdetto. La delusione: cioè non essere colui che colma la mancanza della<br />

madre; l’interdetto: cioè non porsi al posto e nel luogo del padre ma ricevere la sua legge.<br />

43


L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />

Le teorie sessuali infantili (il pene alla madre, l’ano da cui nascono i bambini), s’instaurano<br />

proprio a garantire l’esistenza di questi spazi del triangolo edipico, dove ognuno sa<br />

riconoscere il proprio posto e collocarsi in un’origine certa che lo preservi dall’eccesso<br />

(l’onnipotente fantasia incestuosa). Gli sforzi dei bambini, come il piccolo Hans di Freud<br />

c’insegna, sono tesi a sanzionare proprio tale riconoscimento.<br />

Il bambino di questo disegno ci comunica con esattezza quanto sia per lui importante<br />

riconoscere l’attributo di grande al padre ed assumere su di sé quello di piccolo,<br />

garantendosi che ognuno, padre e figlio, occupi il posto giusto. Posto che naturalmente<br />

deve coincidere con l’identità, di modo che il figlio non possa mai prendere il posto del<br />

padre ed essere, immaginativamente, il “padre di se stesso”. L’accettazione su di sé della<br />

“castrazione”, è simboleggiata da un rastrello dai dieci denti che fanno da monito a<br />

qualsiasi trasgressione d’infrangere il divieto (il tabù dell’incesto). In questo disegno gli<br />

attributi riconosciuti al padre sono tanti, ed un cane assieme ad un grande uccello stanno<br />

a guardia che tutto si compia regolarmente. Il bambino neonato possiede la stessa<br />

muscolatura da Braccio di Ferro del padre: l’identificazione con la sua figura virile è<br />

avvenuta ma egli rimane ad occupare il suo posto di piccolo assumendosi la fatica di<br />

crescere nel confronto e nella misura.<br />

44<br />

L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />

H<br />

Esisti dell’Edipo infantile in pubertà.<br />

disegno di un alunno di V elementare che immagina d’essere<br />

nato, per caso, tra le immondizie, o “scovazze” seguendo il<br />

linguaggio dialettale con cui ha espresso il suo concetto<br />

SESSUALITÀ E GENITALITÀ<br />

Nascita nelle immondizie<br />

Fra i derivati della teoria sessuale infantile secondo cui i bambini nascono mangiando certe<br />

cose e vengono partoriti attraverso l’ano, c’è la fantasia di essere raccolti nel bidone <strong>delle</strong><br />

immondizie. L’associazione che questo alunno in età puberale fa tra bambino e cacca non<br />

è una immagine neutra, tanto più se essa viene selezionata a proposito. Si può desumere<br />

in lui, la presenza di vissuti espulsivi, non essendo la nascita di cui si tratta quella reale e<br />

neppure quella cronologica, bensì la nascita psicologica del bambino che entra nella sua<br />

maturità sessuale. In questo disegno, il riaffiorare <strong>delle</strong> angosce edipiche in adolescenza<br />

sono depositate nel lungo camino nero dalla testa rossa di cui il padre spazzacamino si sta<br />

preoccupando. La dismisura tra la potenza paterna e l’ancora piccolo e forse infertile pene<br />

del bambino, non permette a quest’ultimo di reggere il confronto. La sessualità genitale<br />

infatti, per essere assunta, si misura costantemente con le componenti aggressive e sadiche<br />

come capacità di tollerarle e contenerle o, non sapendo usare in modo sano e buono la<br />

stessa aggressività per crescere e competere, come paura di rimanere annichiliti. La difesa<br />

che il bambino di questo disegno sembra mettere in atto, è la negazione del conflitto e<br />

l’idealizzazione del proprio sé infantile che, come dono, si offre alla madre ma, tra i rifiuti.<br />

L’aggressività che circonda questa tematica, viene circuita; il bambino si assimila agli<br />

scarti, alle immondizie, sovrastato forse da un ideale dell’Io troppo grande e troppo<br />

distante, esattamente come il padre è proiettato lassù sul tetto a mostrare il suo enorme<br />

attributo che lo rappresenta per intero, essendo lui visibile in figura dimezzata. L’ideale<br />

paterno, con il suo occhio solare (il sole all’angolo del disegno), sovrasta e controlla che<br />

tutte le “misure” siano a posto e che la triangolazione edipica non sia stata infranta. Al<br />

bambino, catturato nel proprio “romanzo familiare”, resta il compito di nascere alla sua<br />

nuova identità sessuata che il corpo maturo reclama in modo radicale.<br />

45


I<br />

L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />

46<br />

Sentieri <strong>delle</strong> teorie sessuali infantili<br />

e loro destini.<br />

Disegno di un alunno di II elementare. Da libere associazioni sul<br />

viaggio del cibo dentro il corpo, metafora della fecondazione,<br />

gravidanza, nascita.<br />

Il suo commento è: “io penso che il pensiero faccia lo stesso<br />

viaggio del cibo”<br />

Le teorie sessuali infantili vengono interpretate alla luce <strong>delle</strong> trasformazioni puberali. Gli<br />

assunti teorici si basano prevalentemente sulla clinica psicoanalitica di Bion e di Meltzer<br />

riguardo la genesi e lo sviluppo del pensiero. La nascita all’apparato psichico e la strutturazione<br />

dell’identità sessuata prendono le mosse dai processi d’introiezione, proiezione,<br />

espulsione, evacuazione, chiamando in causa il ruolo e le funzioni del “contenitore”.<br />

L’ASPETTO DI PENSIERO DELLA TEORIA DELLA CLOACA<br />

Pensiero cacca<br />

antica teoria della cloaca<br />

“…si hanno bambini mangiando certe cose (come nelle favole)<br />

ed essi vengono partoriti dall’intestino come un’evacuazione”<br />

S. Freud<br />

In questo disegno prevale l’evacuazione del pensiero. Se non c’è “trasformazione” dentro<br />

di sé, il pensiero va in “cacca” ma può anche diventare un persecutore interno e quindi<br />

da eliminare, da espellere. Tuttavia, in questa rappresentazione il bambino disegna il<br />

water. La cacca, dunque, non sparisce nel nulla ma trova un gabinetto. L’espulsione è<br />

allora possibile proprio perché c’è un contenitore che la raccoglie. A livello mentale ciò<br />

può essere espresso così: il bambino evacua da sé i contenuti non mentalizzabili o non<br />

tollerabili, ma riconosce la funzione del “contenitore” (madre/ambiente). Per usare la<br />

clinica di Meltzer, il contenitore è, in questo caso, un “seno gabinetto”: “…la funzione<br />

del seno gabinetto consiste nel contenere la proiezione della sofferenza, sofferenza che è<br />

all’origine del bisogno di un oggetto esterno che accolga e che contenga”.<br />

L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />

I<br />

Sentieri <strong>delle</strong> teorie sessuali infantili<br />

e loro destini.<br />

Dal disegno e dal testo di un alunno:<br />

“Il viaggio di un sadwich che non ci vedeva niente a causa<br />

del ket ciuPelo (non ci capiva dov’era il culo e dov’era la<br />

testa).<br />

12 maggio1998 ore 14.19. Murch Simpson senza saperlo<br />

manda giù l’ultimo pezzo del sandwich col ketciuPpelo. Dopo<br />

essere entrato nel divisore viene accoltellato da Jack lo<br />

squartatore; la coca cola bevuta viene spalata nel pene che<br />

la manda nel CESSO! Il mangiare invece si trasforma in<br />

(cacca) che poi viene butata dentro il buco del cesso da dove<br />

omini con un martellone gigante….”<br />

L’ASPETTO DI PENSIERO DELLA “CLOACA”<br />

E L’USO DEL CONTENITORE<br />

Il viaggio del sandwich<br />

È interessante notare come in questo disegno ci sia l’idea dell’evacuazione ma manca il<br />

gabinetto esterno (il water del disegno precedente). L’ultimo pezzo di sandwich - si<br />

potrebbe pensare l’ultimo boccone - viene subito “accoltellato”; mentre “la coca cola<br />

viene spalata nel pene che la manda nel cesso”. Il “cesso” è concepito come una cloaca che<br />

si trova dentro il corpo, territorio psichico abitato da Jack lo squartatore e da due uomini<br />

con il martellone. Questi personaggi del teatro interno appaiono dotati di caratteristiche<br />

virili e distruttive (“accoltellato da Jack”, “…uomini con il martellone”) che impediscono<br />

qualsiasi “trasformazione” del cibo introdotto. Sembra che tutto vada subito in “cacca”<br />

o in “pipì”, secondo una fantasia anale di vendetta che “uccide” qualsiasi “legame” tra<br />

dentro e fuori e all’interno del corpo stesso. Corpo che, tra l’altro, si esibisce in una sorta<br />

di trasformismo bisessuale.<br />

47


I<br />

L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />

48<br />

Sentieri <strong>delle</strong> teorie sessuali infantili<br />

e loro destini.<br />

Libere associazioni suscitate dal viaggio del cibo dentro il corpo<br />

Disegno e commento di un alunno di V elementare:<br />

IL VIAGGIO DEL CIBO<br />

«Il cibo arriva, le macchine sono in funzione, il cibo viene<br />

macinato, poi passa ai trasportatori che lo fanno andare in<br />

ogni parte del corpo. E il resto va a finire nel sedere dove un<br />

povero lavoratore è costretto a subire le pene dell’inferno, la<br />

madre di tutti i tempi: CIOÈ LA CACCA».<br />

L’EVACUAZIONE DEL PENSIERO E LA TEORIA DELLA CLOACA<br />

In questo disegno e nel testo della storia, emerge un sentimento di frammentazione<br />

dentro il corpo (“…il cibo…passa ai trasportatori che lo fanno andare in ogni parte del<br />

corpo”) che si deposita nelle giunture <strong>delle</strong> braccia e <strong>delle</strong> gambe che hanno lo stesso<br />

colore marrone della “cacca”. Il bambino sembra identificarsi con degli aspetti masochistici<br />

(“…un povero lavoratore costretto a soffrire le pene dell’inferno”) e subire la vendetta<br />

del persecutore “cacca” che egli, comunque, “trattiene, tiene dentro, non espelle.<br />

La mancanza di contenitori esterni o di un “seno gabinetto” rende l’idea della complessità<br />

legata all’“evacuazione”.<br />

L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />

I<br />

Sentieri <strong>delle</strong> teorie sessuali infantili<br />

e loro destini.<br />

Disegno e testo di un alunno<br />

«Racconto una breve storia: un giorno cinque ragazzi mentre<br />

stavano camminando, vedono su un garage una scritta:<br />

DANGER-PERICOLO-NON ENTRARE. I cinque ragazzi comunque<br />

entrarono. Dopo mezz’ora di camminata qualcosa di viscido<br />

e ruvido assalì i cinque bambini. Era un terribile mostro che<br />

divorava tutto quello che incontrava. I ragazzi furono avvolti<br />

da una terribile puzza e subito furono ingoiati e il mostro<br />

disse: “i primi due avevano un buon cervello, gli altri due<br />

sangue acquoso e l’ultimo un fegato ottimo. I corpi dei<br />

cinque ragazzi risalirono sul corpo dell’alieno. I corpi furono<br />

sciolti e furono cacciati via sotto forma di liquido dalla<br />

testa».<br />

LE ARMI LETALI E LE TEORIE SESSUALI INFANTILI<br />

IN UN PENSIERO SULL’ORALITÀ<br />

“…è un’idea terrificante, per non dire incredibile, per la nostra mentalità, quella di un<br />

bambino dai sei ai dodici mesi che tenti di distruggere la madre con tutti i mezzi che le sue<br />

tendenze sadiche gli mettono a disposizione, con i denti, le unghie, gli escrementi e con tutto<br />

il corpo trasformato fantasticamente in ogni sorta di armi letali…nella prima parte della<br />

fase orale, ad esempio, in cui domina la violenza aperta, gli escrementi vengono considerati<br />

strumenti di attacco diretto mentre in seguito, invece, essi assumono il significato di tipo<br />

esplosivo e venefico…” (M. Klein)<br />

La trasgressione del divieto di penetrare il corpo/garage, fa avanzare il “viscido e ruvido<br />

mostro” che avverte la presenza dei cinque ragazzi come una violazione ai suoi luoghi.<br />

Figura fantasma su cui è proiettato l’“attacco”, essa si ritorce contro i bambini che hanno<br />

cercato la paura infrangendo il limite imposto. Strani sentieri o, forse, inusitati pensieri<br />

quelli del bambino che creano il rumore, la presenza, l’annunciarsi del “terribile”. Forse<br />

l’appello è rivolto all’adulto, ad un grande che lo sappia accogliere e pensare nella sua<br />

testa, offrendogli il dono di precederlo nei pericoli prima che di questi egli ne soccomba.<br />

Ma se questo Altro non compare nel corteo <strong>delle</strong> immagini, il bimbo rimane solo con la<br />

sua aggressività e le sue <strong>paure</strong> e, infine, con il sentimento di esplodere, liquefarsi sotto<br />

“forma di liquido dalla testa”. Vissuti, questi ultimi, che hanno avuto una prima dimora<br />

nell’arcaico e iniziale sentimento di vivere quando, tuttavia, “terrori senza nome” (Bion)<br />

scorrazzavano nella sua psiche e lo rendevano preda <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> primordiali di svanire,<br />

sparire, liquefarsi, spezzettarsi.<br />

49


L<br />

L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />

50<br />

L’Edipo all’incrocio tra sessualità e<br />

identità.<br />

Immagine di un bambino di II elementare che, a partire<br />

dall’associazione del viaggio del cibo - metafora della<br />

gravidanza e nascita - per strane vie-teorie interne, ha invece<br />

compiuto il “viaggio del pensiero” disegnadolo sotto forma di<br />

caos<br />

commento del bambino:<br />

“il cervello con la faccia messa male: che ha tutto in<br />

disordine, che ha tutto un caos”<br />

I VOLTI DELL’IDENTITÀ SESSUATA<br />

“Dunque per primo fu Caos…” (Esiodo)<br />

La ricerca dell’identità è il percorso dal caos al cosmo, dal disordine all’ordine, dalla<br />

natura alla cultura. È importante che il bambino trovi chi, fuori di lui, lo contenga come<br />

un grembo e con la sua mente gli sappia donare il tocco del pensiero. Allora la magia della<br />

trasformazione dell’insensato in senso, dell’irrapresentabile in conoscibile, percepibile,<br />

visibile, gli permetterà di non rimanere catturato nel trame oscure della natura e nascere<br />

invece all’ordine della cultura e della propria singolare esistenza.<br />

L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />

M<br />

Gli enigmi della sfinge.<br />

“…La sfinge con i suoi canti ambigui<br />

ci rendeva pensosi del male più scoperto<br />

e indolenti di quello ch’era oscuro”<br />

Sofocle<br />

IDENTITÀ E SESSUALITÀ<br />

l’enigma della sfinge<br />

“Non sono interessi teorici bensì pratici quelli che mettono in essere nel bambino l’attività<br />

esplorativa… Il primo problema che lo occupa non è la questione della differenza di sesso,<br />

bensì l’enigma: da dove vengono i bambini?” (S. Freud 1905)<br />

“…dove il dire s’interrompe e la regola non basta a portare la parola ad espressione, si apre<br />

lo sfondo buio del presagio e dell’enigma. La sessualità appartiene all’enigma e l’enigma alla<br />

follia (mania)…Anche la follia è per Platone un’esperienza dell’anima…l’anima sente che<br />

la totalità è sfuggente, che il non senso contamina il senso, che il possibile eccede sul reale.” 1<br />

La sessualità continuamente rimanda all’origine (da dove vengo?) e al suo superamento<br />

(dove vado?). L’origine pone il problema dell’identità che l’edipo, in quanto fase<br />

evolutiva dei processi psichici, rappresenta. Accedere all’edipo, significa accedere alla<br />

cultura e alle sue regole che s’impongono sul vortice caotico della natura, dove non c’è<br />

distinzione né differenza. L’incontro tra sessualità e identità è un passaggio obbligato per<br />

la nascita dell’uomo a soggetto della cultura, per l’addivenire dal caos dell’apertura<br />

originaria (madre di tutte le cose) all’ordine della legge e dei suoi limiti (primo fra tutti<br />

il tabù dell’incesto). L’edipo è dunque il punto d’incrocio tra identità e sessualità. È<br />

soglia, limite. Tutto viene scelto lì: la normalità, la nevrosi, la fobia, la perversione; in<br />

ultima analisi il destino nevrotico del soggetto.<br />

1 U. Galimberti, “Gli equivoci dell’anima”, Pag. 171, ed. Feltrinelli, MI, 1987<br />

la rappresentazione dell’icona è tratta da un quadro di Gustave Moreau “Œdipe et le Sphinx”<br />

51


Le tre fasi della sessualità infantile


La conoscenza tra fantasia e realtà<br />

ovvero la fase orale*.<br />

Uno degli aspetti principali che riguardano la crescita e che, in particolare, caratterizzano<br />

la relazione genitori/figli, è la conoscenza. La conoscenza chiama in causa, per contrapposizione,<br />

la confusione ossia l’elemento più nocivo per la mente.<br />

I bambini fantasticano che la conoscenza sia qualcosa di concreto. Quando imparano il<br />

nome di una cosa, credono di sapere tutto su quella cosa: se un bambino piccolo vede un<br />

oggetto che vola ed impara che si chiama aereoplano, egli non solo immagina di volare<br />

ma crede di poter essere o fare esattamente come l’aereoplano. Ricorre spesso nei ricordi<br />

infantili l’evocazione di episodi in cui il bimbo che era l’adulto di oggi, si è lanciato a<br />

“volo” dall’alto di una terrazza o di un tetto nella profonda convinzione di “essere”<br />

capace di guidare e volare come un aereo. I bambini hanno poi la profonda convinzione<br />

che i genitori possiedano tutta la conoscenza del mondo e, nel pensiero più primitivo,<br />

tale conoscenza viene sentita come contenuta, concretamente, nel corpo della madre.<br />

Nell’esempio tratto dal tema scritto di una bambina di V elementare, la fantasia degli<br />

oggetti contenuti dentro il corpo della madre, si estende anche al pene: “…devo dire che<br />

si sta proprio bene dentro la pancia della mamma e che mi diverto tantissimo perché ci sono<br />

tanti vermiciattoli dalla coda lunga che mi fanno il solletico e ce n’è uno in particolare che<br />

è una peste e che continua a spingere, spingere oh,oh,oh, è entrato!! Però adesso non gli passa<br />

la coda che gli si è incastrata, che disastro!?…”.<br />

Si tratta di una fantasia molto comune ampiamente trattata da Freud, il quale ha dimostrato<br />

come le teorie sessuali dei bambini siano un’eredità filogenetica che si manifesta già<br />

nel primissimo stadio dello sviluppo sadico orale, attraverso l’inconsapevole uso di<br />

“manovre” quali “aprirsi un varco nel corpo della madre” e che riappaiono, più avanti,<br />

nelle analisi degli adulti e <strong>delle</strong> loro fantasie (es.: fantasma sessuale della vagina dentata o<br />

fantasie del pene temibile del padre dentro il grembo della madre, proiettate ad es. nel<br />

divieto ad avere rapporti sessuali durante la gravidanza per paura di “rovinare il feto).<br />

Per il bambino piccolo, la conoscenza significa essenzialmente conoscenza del corpo della<br />

madre, nel quale - egli pensa - siano contenuti e custoditi tutti i segreti e i beni del mondo.<br />

Nell’inconscio ogni fonte di ricchezza, di gioia e di bellezza è sentita come il seno materno<br />

che ama e che nutre. Penetrare nel corpo della mamma per “rubare” la sua conoscenza ed<br />

appropriarsi del suo tesoro è dunque fantasia comune che sorge soprattutto dalla<br />

privazione del “buon seno” che si ritrae e non dona tutti i suoi frutti. Dopo una prima fase<br />

di totale soddisfazione, avanza il momento in cui la frustrazione dell’oralità induce nel<br />

bambino il bisogno di vendicarsi del seno castigante. Quando il sadismo giunge al suo<br />

culmine, le fantasie di “rapina” ed “aggressione” diventano particolarmente intense: “È<br />

un’idea terrificante per non dire incredibile, per la nostra mentalità, quella di un bambino<br />

dai sei ai dodici mesi che tenti di distruggere la madre con tutti i mezzi che le sue tendenze<br />

* Lorena Fornasir, psicologa clinica, psicoterapeuta<br />

55


La conoscenza tra fantasia e realtà Lorena Fornasir<br />

sadiche gli mettono a disposizione, con i denti, le unghie, gli escrementi e con tutto il proprio<br />

corpo trasformato fantasticamente in ogni sorta di armi letali…[…]…Il prepotente bisogno<br />

di succhiare e dissecare il seno ingenera nel bambino il desiderio di succhiare e divorare tutti<br />

i liquidi e le altre sostanze che i suoi genitori (o, piuttosto i loro organi) contengono…<br />

l’invidia orale è una <strong>delle</strong> forze motivanti la spinta che i bambini dei due sessi sentono ad<br />

aprirsi un varco nel corpo della madre, spinta che è anche alla base dell’istinto<br />

epistemofilico… Nella prima parte di tale fase, ad esempio, in cui domina la violenza aperta,<br />

gli escrementi vengono considerati strumenti di attacco diretto mentre in seguito, invece, essi<br />

assumono il significato di tipo esplosivo o venefico…” 1 .<br />

La rappresentazione psichica del piacere e del dispiacere è all’origine della formazione di<br />

fantasie e di fantasmi che si depositano nell’inconscio per essere evocati ogniqualvolta<br />

eventi reali inducano la rappresentazione di eventi immaginari (es. “mangiare con gli<br />

occhi” - “mordere di rabbia”). È questo il mondo interno. Secondo Resnik, il mondo<br />

interno costituisce un’esperienza teatrale e caleidoscopica in cui tutti i personaggi detti<br />

“oggetti interni” assumono varie funzioni e tentano di parlare fra loro, di esprimere il<br />

loro accordo e disaccordo o anche di dissociarsi o scontrarsi come in un conflitto.<br />

All’inizio della vita, il bambino ama la madre nel momento in cui ella soddisfa il suo<br />

bisogno di nutrimento alleviandogli la sensazione di fame e procurandogli quel piacere<br />

sessuale che egli sperimenta nel contatto bocca/capezzolo. Questa gratificazione è una<br />

parte essenziale della sessualità infantile. Quando tuttavia il bambino è affamato ma i suoi<br />

desideri non vengono soddisfatti, oppure quando prova dolori e disagi fisici (spasmicoliche-contrazioni),<br />

il seno diventa improvvisamente cattivo. Odio e sentimenti<br />

aggressivi si risvegliano dirigendosi contro la madre e quanto a lei è collegato:<br />

nella fiaba di Cappuccetto Rosso, il lupo mannaro è la rappresentazione concreta,<br />

animalesca dell’istinto distruttivo ed incorporativo. Cappuccetto rosso c’insegna in modo<br />

esemplare, come la grande paura di essere mangiato dal lupo mannaro, sia infine la<br />

vendetta che si ritorce contro di lui per aver desiderato, fantasticato di aggredire tutto il<br />

cibo buono che, in ultima analisi, è il cibo/mamma. Egli scopre, davanti al lupo travestito<br />

(è la pulsione sadica orale ad essere “travestita”, cioè non ammessa alla coscienza se non<br />

in forma mascherata), che la tanto amata nonna non c’è più e che ora lei è rimasta sola<br />

con il suo bisogno incorporativo che ha assunto la forma del lupo divoratore 2<br />

La fiaba di Cappuccetto Rosso è, secondo Fairbairn, la tragedia del bambino piccolo nella<br />

fase orale precoce. Egli invita a distinguere la situazione di questo primo momento,<br />

caratterizzata da un amore orale preambivalente legato al succhiare, dalla fase orale più<br />

tardiva in cui la tendenza a mordere riflette il sadismo è l’impulso alla distruzione (una<br />

forma di amore con odio).<br />

Tutte queste fantasie che popolano il mondo interno ed immaginario del bambino, non<br />

possono essere “contenute” solo dal bambino. Quando l’intensità del sadismo o la<br />

pulsione aggressiva è troppo forte, esse vengono espulse, rigettate, proiettate fuori di sé,<br />

altrimenti il bambino stesso rischierebbe di rimanere annichilito. Esistono pianti<br />

inconsolabili del neonato che fanno pensare come egli sia preda ad una “perdita di sé”,<br />

o ad un “terrore senza nome”, o ad un dissolvimento di sé. Nei momenti in cui urla, si<br />

contrae agitandosi disordinatamente (altri esempi provengono dalle crisi isteriche o<br />

acting out…), si può anche immaginare che se non vi fosse la madre ad accogliere e<br />

soccorrere questo bimbo, trasformando in proiezioni a lei dirette queste iniziali eiezioni,<br />

egli andrebbe “a pezzi” o in frammenti di Sé.<br />

1 M. Klein, La psicoanalisi dei bambini,”Primi stadi del conflitto edipico”, p. 185-188, Nartinelli, Firenze 1984<br />

2 W. Ronald D. Fairbairn, Studi psicoanalitici sulla personalità, p. 47, Boringhieri, Torino 1992<br />

56<br />

La conoscenza tra fantasia e realtà<br />

Lorena Fornasir<br />

Il meccanismo della proiezione è fondamentale non solo perché il contenuto intollerabile<br />

può essere espulso ma anche perché presuppone l’esistenza di un “contenitore” che<br />

“contenga”, doni “forma” e restituisca in pensiero quello che poteva essere un nonpensiero<br />

o un’angoscia non mentalizzabile. Bion parla, a questo proposito, di elementi beta.<br />

Nella poesia di Micail, 17 anni, studente <strong>delle</strong> superiori, la rappresentazione terribile<br />

dell’amore e odio intrecciati in un impasto di pulsioni, cadono proiettate nel foglio di<br />

carta che resterà appeso alla bacheca della scuola come testo poetico. Poco prima di<br />

Natale, Micail lascia la vita o la vita lascia lui:<br />

Natale<br />

Mentre lo spirito del natale / apre il cuore di tutti / entra nella mia testa un canto funebre<br />

/ voglio accendermi / immolarmi a me stesso / finire in uno splendido / infernale / rogo<br />

natalizio<br />

Amore e odio lottano dunque nella mente del bambino accompagnati dalla più primitiva<br />

<strong>delle</strong> attività mentali: l’elaborazione fantastica o il pensiero per immagini.<br />

Per es.: se il bambino avverte un forte desiderio per il seno materno quando questo è<br />

assente, egli lo può immaginare allucinandone la presenza. In tal modo si crea quella<br />

gratificazione di cui nella realtà è privato. Anche in questo caso l’esperienza reale del<br />

piacere è fonte di fantasie piacevoli. Quando invece la frustrazione, non essendo ben<br />

tollerata, si accompagna a sentimenti aggressivi, le fantasie sono di tipo distruttivo. Se il<br />

bambino si sente frustrato dal seno, può usare le sue fantasie per attaccare, mordere,<br />

lacerare questo stesso seno così castigante (morsi della fame)<br />

Nel disegno di Paolo, 7 anni, le fantasie di un’oralità frustrata emergono dagli aghi/denti<br />

che cuciono la bocca del leone come punti di sutura su una ferita larga e aperta. La<br />

maestra 3 aveva chiesto ai bimbi della classe di disegnare l’animale in cui avrebbero voluto<br />

trasformarsi e rivoltasi a Paolo gli aveva domandato: “Se tu fossi veramente un leone cosa<br />

faresti ?”: Paolo rispose gestualmente simulando il gesto di graffiare e ruggire e mentre<br />

colorava il disegno disse spontaneamente: “il leone mangia la maestra e i bambini, perché<br />

lui mangia la carne”.<br />

La testa sembra una ruota dentata dipinta di quella tinta marrone che evoca il colore della<br />

cacca. Un’interpretazione clinica si rifarebbe al sadismo tipico della fase anale (il colore<br />

cacca trattenuto) associato alle fantasie dell’oralità cannibalica: “mangiare”, divorare,<br />

segare con i denti della testa (la maestra). Si potrebbe ora aprire un breve parentesi in<br />

riferimento al destino <strong>delle</strong> proiezioni. Basti per ora pensare che, nel nostro caso,<br />

l’espulsione <strong>delle</strong> fantasie distruttive da parte di Paolo cadono in grembo alla mente della<br />

sua maestra la quale, senza rimanerne distrutta, le accoglie e trasforma grazie alla rêverie<br />

che ha saputo sviluppare nei confronti del bambino. L’esperienza di poter divorare senza<br />

essere divorati (Paolo/leone mangia la maestra… perché lui mangia la carne), consente<br />

che la soddisfazione degli istinti - l’oralità cannibalica di Paolo - non sia associata a livello<br />

fantasmatico, all’angoscia di annichilimento e di frammentazione del Sé.<br />

Quanto riferito trova molti riferimenti nelle esperienze di osservazione del lattante. Oltre a<br />

notare diversi atteggiamenti da parte del neonato nel succhiare al seno, spesso, le madri 4<br />

3trattasi di materiale pubblicato da L. Fornasir, Sessualità e Soggetto in adolescenza, tip. Provincia di PN, Pordenone 1997<br />

4 Materiale tratto dai corsi di post partum tenuti da L.Fornasir<br />

57


La conoscenza tra fantasia e realtà Lorena Fornasir<br />

riescono a definire precisamente caratteristiche che, clinicamente, riflettono degli “attacchi”,<br />

<strong>delle</strong> “aggressioni”, <strong>delle</strong> “<strong>paure</strong> incontrollate” a livello di fantasia, come si può notare da<br />

questi esempi 5 :<br />

“quando succhia mi morde, sembra temere che le portino via il latte<br />

“succhia in un modo vorace”<br />

“ho paura di restare senza latte perché lui mi svuota tutto”<br />

“i primi tempi era molto avido, inghiottiva tanta aria; ora non è costante nei tempi”<br />

“è velocissima ma, nell’ansia di inghiottire, mangia tantissima aria”<br />

“sembra che il latte la bruci dentro, forse per questo ha le coliche”<br />

Nell’esempio che segue il capezzolo appare come il precursore dell’oggetto intero,<br />

all’interno di un gioco di “attacco” e “distacco”, “unione” e “separazione”<br />

“Lui è velocissimo, mangia,poi gioca con il capezzolo: lo prende e lo stacca, lo prende e lo stacca,<br />

ci sbatte la testina e ride, lo prende anche con le manine. A me piace tanto, è favoloso”.<br />

Questi traduzioni vive da parte <strong>delle</strong> mamme che interpretano il “modo” con cui si<br />

sentono svuotate, mangiate, morsicate, ma anche felicemente appagate, mettono in<br />

luce come il bambino sia spinto (nella fase sadico orale e sadico-anale) a desiderare di<br />

appropriarsi di ciò che è contenuto nel corpo materno. La pulsione espistemofilica, gli<br />

indurrà in seguito la curiosità di sapere cosa c’è dentro, com’è fatto il corpo della<br />

mamma.<br />

“In tal modo la pulsione epistemofilica e il desiderio di possesso si collegano intimamente fra<br />

loro…” 6 . Invidia e avidità sostengono il tratto predatore <strong>delle</strong> fantasie orali. L’avidità<br />

porta a svuotare, a prosciugare e a divorare il seno materno (incorporazione distruttiva) 7<br />

mentre l’invidia, mira ad entrare intrusivamente dentro il “seno” o il corpo della madre<br />

per danneggiarlo ed impadronirsi di tutti i tesori che, il bimbo pensa, ella vuole tenere<br />

solo per se. Queste fantasie sono sostenute dal sadismo uretrale ed anale, a cui si aggiunge<br />

quello orale e muscolare. Nelle fantasie sadico-orali il bambino rivolge la sua aggressione<br />

al seno materno attraverso i mezzi a sua disposizione: denti e mascelle. Nelle fantasie<br />

uretrali e anali “… gli escrementi diventano strumenti micidiali: orinare equivale a<br />

tagliare, pugnalare, bruciare, annegare; le masse fecali equivalgono ad armi e<br />

proiettili…in una fase più avanzata gli escrementi sono immaginati come sostanze<br />

velenose… ” 8 . “L’analisi del gioco mostra che quando le pulsioni aggressive del bambino sono<br />

al loro culmine, egli non si stanca mai di strappare, fare a pezzi, rompere, bagnare o dar<br />

fuoco ad ogni sorta di oggetti - carta, fiammiferi, scatolette, giocattolini - che rappresentano<br />

i suoi genitori, i suoi fratelli e sorelle, il corpo e il seno materno; e mostra che a questa furia<br />

distruttiva si alternano crisi di angoscia e senso di colpa”.<br />

Il sadismo orale e muscolare: mordere-strappare-fare a pezzi, e il sadismo uretrale e anale:<br />

tagliare-pugnalare-bruciare-annegare, trasformano le funzioni del corpo (fare la pipì -<br />

fare la cacca - “fare” le lacrime 9 ) in azioni distruttive, ed i suoi contenuti in armi micidiali.<br />

L’onnipotenza del pensiero infantile è ciò che rende possibile questi attacchi di fantasia.<br />

Il bimbo vive la realtà secondo un duplice aspetto: da un lato ha un rapporto realistico<br />

con i suoi genitori che rappresentano l’“oggetto” della sua percezione, dall’altra pensa di<br />

averli veramente feriti e distrutti.<br />

5 Esempi tratti dal corso post partum del 9 febbraio 1998<br />

6 M. Klein, Scritti 1921-1958, p. 217, Boringhieri, Torino 1986<br />

7 M. Klein, Invidia e gratitudine, Martinelli, Firenze1969<br />

8 M. Klein, Scritti 1921-1958, p. 249, Boringhieri, Torino 1986<br />

9 vedi a proposito <strong>delle</strong> lacrime come il Lambertini nel testo di Anatomia Umana definisce, nella prefazione, la mestruazione come pianto dell’utero per<br />

non aver concepito. Anche Bergeret parla di un passaggio dalla primitiva fase passiva del sadismo uretrale in cui l’urina è usata per “sporcare”,<br />

“avvelenare”, alle lacrime in cui prevale l’intento di “far uscire” senza sporcare.<br />

58<br />

La conoscenza tra fantasia e realtà Lorena Fornasir<br />

È una fantasia cannibalica secondo cui egli “inghiotte” (introietta) nel mondo interno<br />

l’immagine dei genitori rovinati dal divoramento i quali, d’ora in poi, agiranno come<br />

persecutori interni o “oggetti vendicatori”.<br />

Potrebbe apparire molto ipotetico parlare di oralità cannibalica e d’immagini aggressive<br />

nella mente dei bambini se la clinica dell’infanzia non sostenesse questo “materiale”.<br />

M. Klein, in una <strong>delle</strong> sue comunicazioni alla Società Psicoanalitica di Berlino, aveva<br />

trovato un’analogia tra due orrendi delitti e certe fantasie riscontrabili nelle analisi di<br />

bambini molto piccoli. Nei fatti di cronaca dell’epoca, Harmann era un criminale che<br />

prima intratteneva rapporti omosessuali con dei giovani e poi li decapitava bruciandone<br />

il corpo o eliminando le parti in vari modi; l’altro assassino sopprimeva invece le sue<br />

vittime e fabbricava salsicce con le parti dei cadaveri. La Klein riscontrò l’analogia nelle<br />

fantasie di gioco di Peter, un bimbo fra i quattro e cinque anni, molto inibito e timido,<br />

incapace di giocare se non per rompere i propri giocattoli. Durante una seduta<br />

terapeutica iniziò a “giocare” con due pupazzi e ne decapitò uno vendendo poi il suo<br />

corpo ad un macellaio immaginario affinché lo facesse a pezzetti e li rivendesse. Per sé<br />

teneva la testa, esattamente come il criminale del primo caso 10 .<br />

Anche la clinica dell’adulto è ricca di proiezioni attinenti a vissuti primordiali, che si<br />

radicano sotto forma di potenti fantasie: un paziente con una forte inibizione della sfera<br />

sessuale, sintomi ipocondriaci e d’impotenza, il quale da neonato aveva sofferto d’una<br />

grave forma allergica al latte che gli aveva impedito d’allora in poi di nutrisi anche dei suoi<br />

derivati, durante una seduta riferisce di aver sfiorato casualmente il seno di una donna,<br />

cadendo preda di una reazione emotiva molto intensa con forti sensi di colpa. Per alcune<br />

ore dopo l’accaduto, ha “fatto la pipì” così tante volte, da sentirsi incontinente. La sua<br />

angoscia lo aveva impegnato ad “espellere” il pericolo di una terribile punizione.<br />

Tuttavia, l’episodio da lui vissuto in modo così negativo gli fa dire “c’è un aspetto positivo<br />

in tutto questo perché ho fatto l’esperienza che il seno (sfiorato con la mano) non mi morsica,<br />

non mi mangia”.<br />

Queste ultime parole traducono la fantasia riposta dentro il seno e latente nella sfera<br />

sessuale di questo uomo, che il seno stesso si ritorca e si vendichi dell’aggressività con cui<br />

il bambino (dentro l’adulto) sadicamente lo attacca. L’allergia al latte/seno del neonato<br />

che egli è stato, è stata anche la prima manifestazione di difesa contro la paura dal proprio<br />

sadismo orale.<br />

Sappiamo che il sadismo è suscitato dalla frustrazione che il bambino incontra nella<br />

limitazione dell’appagamento dei suoi desideri.<br />

Esso però genera l’angoscia che la distruzione si ritorca nei suoi stessi confronti: “Le<br />

fantasie sadiche dirette contro l’interno del corpo materno costituiscono quindi il primo<br />

rapporto fondamentale con il mondo esterno e con la realtà. La misura in cui il soggetto<br />

acquisirà in seguito un rapporto con il mondo esterno conforme alla realtà dipende da<br />

quella del successo con il quale egli supera questo stadio. La primissima realtà del bambino,<br />

dunque, è totalmente di fantasia; egli è circondato da un mondo di oggetti d’angoscia e, per<br />

quanto riguarda la loro capacità d’angoscia, escrementi, organi, oggetti, cose animate e<br />

inanimate si equivalgono. Un rapporto autentico con la realtà si istituisce gradualmente,<br />

a partire da questa realtà illusoria, a mano a mano che l’Io si sviluppa. Lo sviluppo dell’Io<br />

è capace di tollerare, in un’età precocissima, la pressione <strong>delle</strong> primissime situazione<br />

d’angoscia…” 11 .<br />

10 M. Klein, Scritti 1921-1958 “Tendenze criminali nei bambini normali”, cap. 7° p. 204/205, Boringhieri ed., TO 1986<br />

11 M.Klein, Scritti 1921-1958,pag. 249-251, Boringhieri, Torino 1986<br />

59


La conoscenza tra fantasia e realtà Lorena Fornasir<br />

L’Io del bambino molto piccolo, è dunque esposto a <strong>delle</strong> correnti fortissime senza che<br />

esso possieda ancora la forza necessaria ad operare un’energica rimozione degli impulsi<br />

orali e anali. Ogni sua fantasia sadica specifica richiama in lui una fantasia di angoscia<br />

identica in cui egli subisce quanto fa subire ai suoi “oggetti” maltrattati che, secondo la<br />

legge biblica “occhio per occhio” o legge del taglione, si trasformano in “oggetti vendicatori”.<br />

Peter, ad esempio, possedeva un Io troppo debole per sopportare il senso di<br />

colpa proveniente dal suo Super-Io che minacciava di punirlo attraverso le stesse azioni<br />

sadiche che egli drammatizzava nel gioco.<br />

Il bambino piccolo è inoltre pervaso da interrogativi che precedono la stessa comprensione<br />

del linguaggio e che rimangono, proprio a causa di questo limite, senza risposta. Il<br />

risentimento che ne deriva origina quelli che saranno i futuri sentimenti di ostilità. Nelle<br />

analisi degli adulti questo “stato di acredine e risentimento” si rende facilmente visibile e<br />

spesso si accompagna all’inibizione della pulsione epistemofilica, come accade per es. nel<br />

rifiuto o incapacità ad apprendere le lingue straniere, o l’ostilità per chi “possiede” una<br />

lingua diversa. La curiosità del bambino che sfocia verso i quattro/cinque anni nei famosi<br />

“perché” altro non è che la fase finale di questo processo iniziato con le fasi sadico orale<br />

ed anale.<br />

Riprendendo il tema centrale <strong>delle</strong> fantasie, i sentimenti di colpa che derivano dagli<br />

attacchi di fantasia e l’angoscia ad essi collegata, sono la fonte e lo stimolo verso la<br />

creatività e il desiderio di “riparare” il danno inferto. Quest’ultimo desiderio così<br />

fortemente collegato alla persona amata ed al timore per la sua morte, può trasformarsi<br />

in un’attività costruttiva e creativa. L’impulso a “riparare” è una <strong>delle</strong> fonti maggiormente<br />

creative. Il bambino realizza attraverso il gioco, il più grande tentativo di<br />

“restaurare” ciò che egli ha danneggiato ed aggredito nella fantasia od anche nella realtà<br />

come accade per i giocattoli.<br />

Un’opera intitolata “La parola magica” di Sidome-Gabrielle Colette (1873-1954) famosa<br />

autrice francese del ‘900, musicata da Ravel sotto il titolo “Il bambino e i sortilegi” è<br />

stata ripresa interamente da M. Klein per sviluppare, nel famoso saggio del 1929 12 , il<br />

concetto di “riparazione”. Si tratta di un racconto in cui un bambino, preda della sua<br />

accidia, si ribella alla mamma e distrugge gli oggetti della propria stanza.<br />

La Klein si sofferma, in un primo tempo, sul piacere di distruggere che il bambino prova<br />

devastando la camera, metafora del corpo materno, e quanto in esso vi è contenuto (il<br />

pene paterno simboleggiato dallo scoiattolo chiuso in gabbia, cioè nel grembo<br />

femminile). Il suo sadismo si manifesta nella furia con cui egli fracassa, strappa, insudicia,<br />

esattamente come fa il bimbo piccolo con le unghie, con i denti, con le feci. I brandelli<br />

della tappezzeria strappata rappresentano il corpo materno fatto a pezzi, gli animali ostili<br />

sono le varie rappresentazioni del padre che è stato aggredito e che ora si vendica.<br />

In un secondo tempo, la Klein richiama l’attenzione sulla prefigurazione di una fase più<br />

avanzata dell’amore oggettuale che s’instaura con lo sviluppo verso la fase genitale. In<br />

questo tempo, il bambino di Colette, così come ogni altro bimbo, è capace di provare<br />

compassione e pietà per lo scoiattolo che cade a terra ferito: egli impara ad amare ed a<br />

credere in un mondo che non è più ostile. La parola “mamma” è la parola magica che<br />

“restaura” il mondo degli “oggetti” rotti così che la colpa possa essere riparata e l’amore<br />

prevalere sulla distruzione.<br />

Il sadismo del bambino era stato sollecitato dalla frustrazione orale: “…voglio mangiare<br />

tutte le torte del mondo!” gridava, ma la mamma invece lo minacciò di dargli il tè senza<br />

12 M.Klein, Scritti, “Situazioni d’angoscia infantile espresse in un’opera musicale e nel racconto di un impeto creativo”, p. 16, Boringhieri, Torino 1986<br />

60<br />

La conoscenza tra fantasia e realtà Lorena Fornasir<br />

zucchero e pane secco. Improvvisamente la “madre buona” che nutre con tutte le sue<br />

sostanze preziose, diventa la “madre cattiva” che frustra ed infligge castighi.<br />

Nella fiaba di Hansel e Gretel, questo scenario si mostra fin dall’inizio come realtà<br />

immaginaria che si svolge tra mondo interno e mondo esterno.<br />

Infatti: “al limitare di un grande bosco (concetto limite tra psichico e somatico) viveva<br />

una volta un taglialegna con la moglie e i suoi due bambini Hansel e Gretel …”<br />

La fiaba di Hansel e Gretel non racconta le cattiverie reali di una madre reale ma, con<br />

l’artifizio del fantastico, ci parla della fantasia della cattiva madre che ogni bimbo<br />

possiede nel proprio immaginario (frutto della frustrazione della madre-seno cattivo) e<br />

che non è riferita alla madre reale ma a quella immaginaria ed interna. Questa immagine<br />

di fantasia è il fantasma che risiede e si accompagna alle vicende della libido. La madre,<br />

per la psiche di ogni bambino e del bambino che è in noi, rappresenta la fonte di ogni<br />

sazietà, di ogni gratificazione. Quando essa si sottrae all’esigenza della vorace fantasia da<br />

parte del bambino di avere tutto, il bambino stesso prova una profonda ansia e delusione<br />

e pensa che la mamma si sia disamorata, sia divenuta egoista e frustrante. In questo senso<br />

non è più la mamma buona, ma diventa una mamma cattiva che fa nascere sentimenti di<br />

odio e di aggressività.<br />

Alcuni esempi tratti da temi di bambine di V elementare mettono in risalto questa dinamica:<br />

“Sono dentro alla pancia della mamma, qui il clima è molto caldo. Mi annoio, non dormo<br />

mai, perché mia mamma si muove sempre. Ho fame, ho sete e mia mamma non mi dà<br />

niente. Qui intorno vedo tutto rosa e ogni volta, se guardo in alto, mi vengono le vertigini;<br />

mi è sempre appiccicato un tubo. Non vedo l’ora di uscire da qui per giocare, per dormire<br />

tranquillamente nel mio letto e non avere più questo tubo e non vedere più tutto rosa.”<br />

“Sono dentro la pancia della mamma. C’è un silenzio dolce, c’è una piccola luce chiara. Io<br />

adesso sto piangendo perché ho fame, anzi molta fame; sto cercando di addormentarmi …<br />

Il latte mi arriva con una specie di tubo dalla bocca della mamma, il latte è caldo, anzi<br />

bollente. Ogni giorno mi metto a giocare tirando calci alla pancia, sicuramente quella<br />

mamma che mi tiene dentro di lei dirà “mi fa male, mi fa male” …” 13<br />

Tuttavia, poiché il bambino non può tollerare di nutrire sentimenti ostili verso la propria<br />

madre (in quanto si sentirebbe aggredito dalla sua stessa aggressività) egli può – con la<br />

fantasia – trasformarla in una strega. E difatti, in Hansel e Gretel, la madre buona non<br />

c’è. Al suo posto esiste una matrigna cattiva che, a causa della carestia (cioè a causa della<br />

voracità dei due bambini), vorrebbe far morire i bambini, ed una strega del bosco che li<br />

vorrebbe divorare. Ambedue rappresentano il fantasma dell’aggressività che dopo aver<br />

aggredito la “buona madre” tramite i sentimenti di rabbia-odio-disperazione, si ritorce<br />

poi sul bambino che questi stessi sentimenti ha emanato. L’attacco (di Hanesl e Gretel<br />

nel caso della fiaba) implica sempre una ritorsione, se non altro a livello immaginario. La<br />

potenza di questa ritorsione sarà determinata dalla capacità della “buona madre” di poter<br />

contenere i sentimenti ostili e restituirli depurati della loro aggressività.<br />

Meltzer definisce la “potenzialità di un buon contenitore” secondo la sua “capacità<br />

sfinterica”, ossia attraverso il controllo (dei suoi orifizi) dell’emotività che può avvenire<br />

grazie alla “continenza mentale”. La “buona madre” sarebbe dunque colei che si lascia<br />

aggredire senza esserne divorata, non attaccando perché attaccata, ma restituendo la<br />

capacità di “tollerare” l’attacco e quindi il sentimento che quell’aggressività non è così<br />

aggressiva da essere distruttiva, ma invece la calma, la trasforma (un esempio si può trarre<br />

da quegli episodi in cui le mamme prima di dare il cibo ai loro bambini, lo assaggiano per<br />

13 materiale tratto da un corso di educazione sessuale tenuto da assistenti sanitarie ad alunni <strong>delle</strong> elementari<br />

61


La conoscenza tra fantasia e realtà Lorena Fornasir<br />

saggiarne la bontà, ovvero per depurarlo inconsapevolmente dalle impurità o dai veleni<br />

immaginari della mente).<br />

La capacità di tollerare le angosce del bambino è, almeno all’inizio della vita, legata<br />

all’interazione tra la mente della madre e quella del bambino. Così tutto quello che il<br />

bambino non può tollerare dentro di sé e che egli evacua con il pianto, l’agire muscolare,<br />

l’urina, le feci, può essere accolto dalla capacità di rêverie della madre che lo trasforma in<br />

emozioni, in fantasie, rendendolo riconoscibile e pensabile. Ciò che il bambino ha<br />

proiettato dentro la madre può a questo punto essere ripreso o reintroiettato dal<br />

bambino stesso, che a sua volta mette in atto la stessa funzione trasformativa materna. Se<br />

la madre non è in grado di assolvere a questa funzione contenitrice, ella potrà essere<br />

presente, nella mente del bambino, non come un “buon seno assente”, ma solo come un<br />

“cattivo seno presente”.<br />

Hansel e Gretel (fin dall’inizio della fiaba espulsi da casa a causa della loro voracità) in<br />

preda alla fame, cioè agli impulsi dell’oralità, vorrebbero divorare la casa di marzapane.<br />

La casa di marzapane è un’immagine che non si dimentica. Essa rappresenta l’avidità orale<br />

e l’irresistibile impulso ad assecondarlo; simboleggia il corpo stesso della madre.<br />

Mangiando la casa di marzapane, Hansel e Gretel mangiano la madre che nutre e<br />

divorano la madre che frustra, che invidiano perché è piena di dolci e di frutti (cioè il suo<br />

corpo è pieno di “peni”, di “bambini”, secondo la Klein), che tiene solo per sé e non<br />

divide con i suoi figli. Ecco allora presentificarsi la strega, che è la personificazione degli<br />

aspetti distruttivi dell’oralità:<br />

“Oh cari bambini, chi vi ha portato fin qui? Entrate pure e restate con me, non vi succederà<br />

nulla di male. E prendendoli per mano li fece entrare.. servì loro una cenetta squisita: latte<br />

e frittata con zucchero, mele e noci, poi preparò loro due bei lettini candidi, Hansel e Gretel<br />

vi s’infilarono e credettero di essere in Paradiso: anche se si era mostrato così gentile, la<br />

vecchia era in realtà una strega cattiva che adescava i bambini e aveva costruito la casetta<br />

di marzapane solo per attirarli … Le streghe hanno gli occhi rossi e non vedono a un palmo<br />

dal loro naso, hanno però un fiuto sottile come gli animali, e sentono subito se un essere<br />

umano si avvicina..<br />

Queste immagini di fiaba raccontano le vicende del mondo interiore del bambino. Esse<br />

sono però lo specchio in cui sia il bambino che la madre si possono riflettere, cioè<br />

identificare. Se l’aggressività o le <strong>paure</strong> del bambino incontrano una madre che<br />

s’identifica con la propria aggressività e le proprie <strong>paure</strong>, l’incontro può essere<br />

traumatico. C’è bisogno di un “ritmo” che accompagni l’incontro, quello che la Tustin<br />

chiama il “ritmo della salvezza” 14 , in cui le difficoltà del bambino nel mettersi in contatto<br />

con la madre vengano accolte e trasformate dalla sua rêverie. Per usare la metafora del<br />

seno e del nutrimento, la difficoltà del neonato nel trovare il giusto ritmo respiratorio tra<br />

suzione e pausa, è un’esperienza difficile che spesso non coincide. Così come il bambino<br />

può sentirsi soffocare, anche la mamma può sentirsi rifiutata. Tuttavia, se la mamma non<br />

s’identifica con questa sua paura, con la paura di essere una cattiva madre, piano piano si<br />

fa strada il ritmo della salvezza, fatto di sensazioni, di aggiustamenti, di magie, che creano<br />

una sincronia, un’armonia, un’adattabilità attraverso quella che Bion ha chiamato la<br />

rêverie cioè la capacità d’identificarsi nei bisogni del bambino. Allora quelli che sono solo<br />

dati grezzi e sensoriali (elementi beta) ricevono una loro pensabilità, un ordine dentro<br />

l’emozione, che può così essere assunto ed introiettato dal bambino stesso.<br />

Come egli coglie sé stesso attraverso il volto della madre, altrettanto coglie, “mette<br />

14 F. Tustin, Barriere autistiche in pazienti nevrotici, Borla, Città di Castello 1990<br />

62<br />

La conoscenza tra fantasia e realtà Lorena Fornasir<br />

dentro”, assorbe, le proiezioni che i genitori fanno su di lui. Il ruolo di queste proiezioni<br />

è incisivo e strutturante nello sviluppo e nella organizzazione della sua personalità.<br />

L’esperienza dell’identità, infatti, si costruisce attraverso una sequenza continua d’interiorizzazioni<br />

(o identificazioni introiettive).<br />

Ovviamente, ci sono proiezioni normali e proiezioni che creano quel sintomo di cui il<br />

bambino si fa portatore, essendo portatore innanzitutto della proiezione che il genitore<br />

ha “fatto” dentro di lui (sappiamo come spesso il sintomo del bambino serve a curare il<br />

sintomo del genitore). Uno dei sintomi più visibili si esprime nei disturbi del sonno e<br />

dell’alimentazione. Spesso, in questi casi, c’è una carenza nel cogliere i bisogni del<br />

bambino, compensata dall’eccessiva importanza che la madre o i genitori assegnano alle<br />

prestazioni, assumendo il compito educativo in termini di addestramento. Per questo<br />

tipo di madri, la difficoltà maggiore consiste nel mentalizzare il disturbo del loro<br />

bambino. Accanto ai sintomi visibili, che comunque si prestano ad essere letti per il valore<br />

di messaggio, ci sono altri messaggi più criptici che si riverberano nel mondo psichico<br />

interiore esattamente come l’immagine di una persona si riverbera, frammenta, moltiplica<br />

e distorce, all’interno della sala degli specchi di un luna park. Siamo nel mondo <strong>delle</strong><br />

proiezioni (da pro-iacere: gettare fuori) o, appunto, degli specchi. Una <strong>delle</strong> proiezioni<br />

più comuni è quella che la madre fa sul proprio bambino aspettandosi che lui, il bambino,<br />

possa essere o avere tutto quello che lei non ha mai potuto essere o avere. Una mamma<br />

che avrebbe voluto essere una bambina affettuosa, simpatica, gentile, ed ha avuto una<br />

madre anaffettiva, dura, esigente, severa, può tentare di fare una proiezione sul proprio<br />

figlio di ciò che lei avrebbe voluto essere. Contemporaneamente s’identifica con la madre<br />

ideale che avrebbe voluto avere. In questo caso si assiste al tentativo di annullare tutta la<br />

situazione conflittuale che questa madre ha vissuto nella propria infanzia e nella propria<br />

adolescenza, nel desiderare di creare e vivere con il proprio bambino una relazione<br />

immaginata ma soprattutto ideale. Al tentativo di negazione del conflitto corrisponde la<br />

negazione dell’aggressività: aggressività del bambino e aggressività della mamma nei<br />

confronti del bambino. In particolare, è l’aggressività del bambino che non viene<br />

riconosciuta. La sua sintomatologia è sovente la conseguenza del senso di colpa che si<br />

accompagna al desiderio di autonomia e di affermazione di sé stesso che, in qualche<br />

modo, trasgredisce l’immagine idealizzata riposta in lui. Chi sta accanto ai bambini, si<br />

rende conto facilmente come alcune competenze nuove, quali il camminare, giocare in<br />

modo diverso, possa provocare una conflittualità molto intensa, proprio perché dietro c’è<br />

l’incapacità della madre o dell’ambiente di accettare quell’aggressività necessaria ad un<br />

bambino per staccarsi, per crescere, per assumere un’identità che deborda da quella che<br />

la madre ha proiettato su di lui.<br />

Un esempio mi giunge indirettamente da parte di una bimba tramite un tema che le<br />

assistenti sanitarie hanno fatto svolgere ad una classe in preparazione di un corso di<br />

educazione sessuale:<br />

“giovedì 29 febbraio, <strong>delle</strong> dottoresse vengono a farci lezione di ed. sessuale. Ho paura perché<br />

facciano punture perché mi fanno male. Quando queste signore verranno li chiederò di<br />

alcuni miei diffetti. Certe volte mi vengono dei forti dolori all’interno del sedere, per questo<br />

motivo ho provato a chiedere a mia mamma cosa potrebbe essere, ma lei mi rispose che non<br />

lo sapeva e che le veniva anche a lei qualche volta. Vorrei anche sapere se sanno distinguere<br />

i calli dalle verruche perché ce ne ho due nel piede…<br />

Sembra trattarsi di <strong>paure</strong> interne, sia legate alla sessualità sia legate all’installazione dentro<br />

e nel corpo, in modo specifico nel sedere, di rappresentazioni intrusive e violente. La<br />

63


La conoscenza tra fantasia e realtà Lorena Fornasir<br />

mamma, a quanto riferisce questa bambina, offre una risposta che appiattisce e nega<br />

questa rappresentazione così forte deviandola da una verità (con le mestruazioni i<br />

“dolori” sono di pancia e non di sedere) e negandone l’evidente aggressività anale.<br />

Aggressività che repressa nel “sedere” ritorna fuori nelle verruche del piede le quali,<br />

attualmente, trattengono tutto il male. Inoltre, c’è il desiderio della bambina di conoscere,<br />

fare differenza, apparentemente tra calli e verruche, sostanzialmente tra sessualità<br />

cloacale (teoria sessuale infantile) e sessualità genitale.<br />

Il desiderio di autonomia che necessita di un movimento, di una spinta o aggressività<br />

positiva, la si può invece rintracciare in questi pensierini di una bimba di IV elementare<br />

“Io quando ero nella pancia della mamma davo parecchi calci, o perché mi muovevo o perché<br />

mi stavo preparando per uscire fuori dall’utero. Quando ero nella pancia della mamma,<br />

non mi posso ricordare, però immagino che stavo bene lì dentro, e penso che faceva anche<br />

abbastanza caldo. Io ero legata alla pancia della mamma con il cordone unbelicare e<br />

quando mi hanno tirata fuori hanno tagliato il cordone unbeligare”<br />

Riprendendo il punto che ci introdotto a questi esempi, e cioè la tematica <strong>delle</strong> proiezioni,<br />

riusciamo a scorgere come nel caso dei calli e verruche, esse inducano uno stato di<br />

fissazione allo stadio anale. Il secondo esempio invece, ci riporta a Hansel e Gretel, a quel<br />

movimento che oscilla tra l’“unbelicare” (risuona ancora la lallazione) e l’“unbeligare”<br />

cioè “ligare”, “tagliare la corda”, “andarsene e crescere”.<br />

La grande pancia della mamma, con il suo cordone “unbelicare” e con quello<br />

“unbeligare”, è il proscenio di quanto avviene nella casa dei genitori prima ed in quello<br />

della strega poi, luoghi separati di un’unica esperienza totale.<br />

All’inizio la strega è una figura materna, tenera ed affettuosa, che “li prese per mano e…”.<br />

Alla fine Hansel e Gretel si coricano pensando di essere in Paradiso. Il risveglio invece è<br />

traumatico. Dopo il paradiso dell’ingordigia e della gola, l’ES arretra difronte alla<br />

punizione che avanza con gli occhi rossi che le streghe hanno nel buio.<br />

Per sopravvivere Hansel e Gretel dovranno imparare a riconoscere i pericoli della<br />

dipendenza orale, rinunciare ai loro sogni di beatitudine ed escogitare quegli artifizi che<br />

li libereranno dalla cattiva strega.<br />

Solo quando i pericoli insiti nel rimaner fissati all’oralità primitiva saranno superati,<br />

Hansel e Gretel riusciranno a trovare la strada del loro ulteriore sviluppo. Allora, e solo<br />

allora, potrà ricomparire la “madre buona”, gratificante, nascosta in fondo a quella<br />

cattiva, dove sono trattenuti i gioielli da conquistare. Questo significa che, non appena i<br />

bambini rinunciano alla soddisfazione orale, possono liberarsi dalla cattiva madre - la<br />

strega - e riscoprire i buoni genitori, la loro saggezza, ossia i loro gioielli. Nella loro<br />

dipendenza Hansel e Gretel erano un peso per la famiglia, al loro ritorno sono essi che<br />

sostengono i genitori, portando a casa i tesori che si sono guadagnati. Questi tesori<br />

rappresentano l’autonomia in pensieri ed azioni e la fiducia in sé stessi che è l’opposto<br />

della dipendenza passiva.<br />

Una strega dagli occhi rossi, come quella creata dalla fantasia aggressiva, è il fantasma che<br />

perseguita i bambini; ma una strega che può essere bruciata nel forno, è una strega di cui<br />

il bambino può liberarsi. Più difficile sarà liberarsi dalle proiezioni depositate in noi e che<br />

accompagnano il destino della nostra singolarità.<br />

64<br />

L’origine erotica della creatività*<br />

ovvero la fase anale.<br />

La fase orale, durante la quale si struttura lo schema della funzione nutritiva, è dominata<br />

dal piacere del bambino di usare la bocca. Essa è l’organo più importante per la<br />

conoscenza del “mondo mamma”, mondo che è il rappresentante della realtà esterna e<br />

degli scambi di relazione. Con la bocca, il bimbo è dentro un “bagno di suoni”: succhia,<br />

mangia, inghiotte, morde, divora, si “aggrappa” al capezzolo, gioca con i gorgheggi, con<br />

il seno, con il latte che gli sgorga. Ancora, con la bocca il bimbo “mette dentro” di sé od<br />

incorpora nel suo Sé il “nutrimento” che riceve dall’esterno sviluppando, se tutto avviene<br />

in modo adeguato, quella fiducia primaria nell’“oggetto” mamma che rende possibile la<br />

sua interiorizzazione come base della vita psichica.<br />

La complessità di questa esperienza rappresenta il prototipo di ogni relazione affettiva:<br />

infatti, l’esperienza del piacere e del dispiacere affonda le sue radici nel bisogno<br />

incorporativo che regola il primitivo “scambio” tra la realtà esterna e la realtà interna. La<br />

bocca, organo di contatto ma anche cavità (orale), ingloba il cibo nel suo antro, lo<br />

trattiene in sé e quindi lo cede ad altri organi dopo averlo succhiato o gustato o masticato<br />

o triturato o sciolto... Questi aggettivi che sembrerebbero designare <strong>delle</strong> operazioni<br />

meccaniche e quasi fisiche evocano, invece, il mondo pantagruelico dell’oralità goduriosa<br />

e sadica. Entrambi, sia il cibo che la bocca, vengono infatti investiti di energia sessuale<br />

essendo la nutrizione legata alla gratificazione orale ed alla soddisfazione di un piacere<br />

primario (fame e sete).<br />

Il cibo che dalla “cavità” della bocca scende lungo i “luoghi” interni dell’organismo, fra<br />

gli antri della digeribilità, subisce varie trasformazioni e metamorfosi, andandosi infine a<br />

depositare nell’ultima cavità: quella anale. Fare una “buona cacca” è per il neonato il<br />

risultato di un “buon pasto”, mentre per la madre è il segnale che il proprio bambino sta<br />

bene. Il legame tra la sensazione di piacere nell’aver evacuato e la soddisfazione della<br />

mamma, dona alle feci un particolare significato.<br />

Esse sono il dono prezioso che il bimbo regala ai propri genitori ed accettando di<br />

separarsene, rinuncia di fatto a trattenerle solo per sé mostrando così un atto di generosità:<br />

“La defecazione è la prima situazione in cui il bambino deve decidere fra un atteggiamento<br />

narcisistico e un amore oggettuale. O cede di buon grado gli escrementi, li “sacrifica” come<br />

pegno d’amore, oppure li ritiene per soddisfare un impulso autoerotico, e in seguito per<br />

affermare la propria volontà” 1<br />

Oltre al significato di “regalo”, le feci possiedono anche il significato di “bambino”<br />

conformemente alle teorie sessuali infantili secondo cui il bambino nasce mangiando certi<br />

cibi e viene partorito attraverso l’intestino. Per il bambino piccolo, infatti, non è per nulla<br />

degradante venire al mondo come un mucchietto di feci, potendo egli concepire la sola<br />

e più ovvia teoria di un’unica “bocca alla fine del corpo” da cui “escono” le cose mangiate<br />

(teoria della cloaca).<br />

* Lorena Fornasir, psicologa clinica, psicoterapeuta<br />

1 S. Freud, Trasformazioni pulsionali, particolarmente dell’erotismo anale, Opere, vol.8, pag. 185, Boringhieri, Torino 1989<br />

65


L’origine erotica della creatività Lorena Fornasir<br />

“Il contenuto intestinale, che fungendo da massa stimolante su una superficie mucosa<br />

sessuale sensibile si comporta come il predecessore di un altro organo che entrerà in azione<br />

solo dopo la fase dell’infanzia, ha d’altro canto per il lattante ben altri e importanti<br />

significati. Evidentemente è trattato come una parte del proprio corpo, rappresenta il primo<br />

“regalo”, con la cui alienazione può essere espressa la docilità, con il cui rifiuto può essere<br />

espressa la sfida del piccolo essere verso il suo ambiente. Come “regalo” assume poi il<br />

significato di “bambino”, che, secondo una <strong>delle</strong> teorie sessuali infantili, viene acquisito<br />

mangiando e partorito attraverso l’intestino” 2<br />

L’equivalenza tra “bambino” e feci richiama una seconda associazione presente nell’inconscio:<br />

quella tra feci e pene. Le feci, infatti, per la loro forma, la loro consistenza e le<br />

fantasie di cui sono investite, appaiono come una sorta di “bastone fecale” 3 ossia di<br />

precursore del pene. Per il bambino anzi, esse gli appaiono come il “primo pene”:<br />

“Tutte e tre le cose, la colonna di feci, il pene e il bambino, sono corpi duri, che entrando o<br />

uscendo eccitano un condotto mucoso (il retto e la vagina che è per così dire presa a nolo dal<br />

retto, secondo una azzeccata espressione di Lou Andreas-Salomè). L’unica conclusione a cui<br />

può giungere l’esplorazione sessuale infantile a proposito di tutto questo è che il bambino<br />

percorre la stessa via della colonna <strong>delle</strong> feci; di regola l’indagine infantile non giunge a<br />

scoprire la funzione del pene.” 4 .<br />

L’equivalenza: pene = feci = bambino realizza dunque, a più livelli, la trasformazione<br />

pulsionale dall’erotismo anale a quello genitale. Se nell’inconscio maschile il desiderio del<br />

pene associato al “bastone fecale” prende il posto del bambino, nell’inconscio femminile<br />

invece, l’“invidia del pene”, cioè il desiderio (rimosso) di possedere un pene da parte della<br />

donna, si traduce, a volte, nella convinzione che “la natura ha donato alla donna il<br />

bambino al posto di quell’altra cosa che non ha potuto loro concedere. In altre donne ancora<br />

si scopre che nell’infanzia furono presenti entrambi i desideri, e che a un certo punto uno fu<br />

sostituito dall’altro. In un primo tempo esse volevano avere un pene come l’uomo, e in<br />

seguito, sempre nell’età infantile, al posto di questo desiderio comparve quello di avere un<br />

bambino. [...], talché in definitiva il desiderio del pene si identificherebbe con quello del<br />

bambino. [...] Esso si trasforma nel desiderio dell’uomo, [il desiderio femminile] accetta<br />

quindi l’uomo in quanto appendice del pene. A queste donne è così consentita una vita<br />

amorosa conforme al tipo maschile di amore oggettuale, che può affermarsi accanto a quella<br />

più propriamente femminile, derivante dal narcisismo ” 5 . Sarebbe molto interessante<br />

potersi addentrare in quest’ultima tematica seguendo il pensiero di psicoanaliste donne<br />

come Karen Horney (1924) 6 , Melanie Klein (1945) 7 , Judith Kestemberg (1968) 8 ma,<br />

per la modalità con cui s’intende qui trattare la fase anale in rapporto alla dimensione<br />

della creatività, questa ricerca porterebbe troppo lontano.<br />

Riprendendo dunque l’equivalenza freudiana ed il significato che il bambino attribuisce<br />

alla sua creazione anale, va tuttavia affermato che le feci possono essere investite di<br />

significati negativi quando il bambino le usa come oggetti cattivi per “sporcare” o per<br />

“ritenerle” avaramente per sé al fine di vari utilizzi. Fra questi ultimi si rintraccia l’uso<br />

della massa fecale come stimolo erotico e masturbatorio della zona erogena anale,<br />

accompagnata da cerimonie scatologiche che connotano la “cacca” come un “materiale”<br />

ed uno strumento dotato di forte potenza.<br />

2 S. Freud, “Tre saggi sulla teoria sessuale”, Opere, vol. 4, 1905, pag. 496, Borignhieri, Torino 1989<br />

3 Nota: Freud in Trasformazioni pulsionali, particolarmente dell’erotismo anale, Opere, vol. 8, pag. 185, cita la dizione di un suo paziente che definì la<br />

massa fecale il “cilindro di feci”<br />

4 ibidem, pag. 187<br />

5 ibidem, pag. 183<br />

6 K. Horney, Sulla genesi del complesso di castrazione nella donna, in Psicologia femminile, Armando, Roma 1980<br />

7 M. Klein, Il complesso edipico alla luce <strong>delle</strong> angosce primitive, in Scritti 1921-1958, Boringhieri, Torino 1978<br />

66<br />

L’origine erotica della creatività<br />

Lorena Fornasir<br />

Dalle analisi dei bambini come da quelle degli adulti emergono fantasie, legate appunto<br />

a situazioni d’angoscia per gli attacchi immaginari al corpo materno, di paura che la<br />

madre - depredata dai suoi beni - si vendichi e pretenda la restituzione <strong>delle</strong> feci, magari<br />

“strappandole” via a forza.<br />

Simili fantasie lasciano il bambino atterrito di fronte ai propri escrementi che avverte<br />

come armi micidiali capaci sia di bruciare e avvelenare, che di distruggere il suo stesso<br />

corpicino. L’angoscia che ne deriva è alla base <strong>delle</strong> formazioni reattive quali il disgusto,<br />

l’ordine, la pulizia. Tanto più intensi sono stati gli “attacchi” al corpo della madre, tanto<br />

più forte sarà per il bambino, l’impulso a risarcire i “danni” provocati. Questa dimensione<br />

fantastica è tuttavia vissuta con molti dubbi, con molte incertezze, a causa della difficoltà<br />

di distinguere tra reale e fantastico, tra atti d’aggressione e atti riparativi. Questi dubbi ed<br />

incertezze vanno a formare <strong>delle</strong> condotte ossessive, una propensione alle regole,<br />

all’ordine, alla precisione, ai rituali, tutti strumenti magici di controllo della realtà, che il<br />

bambino (o l’adulto) usa per dominare la propria angoscia. Questo è il significato riposto<br />

nei rituali ossessivi. La coazione ad accumulare cose e a darle via, a prenderle e a restituirle,<br />

è spesso accompagnata da stati d’ansia e di colpevolezza che traducono stati<br />

immaginari di furti e distruzioni. “I bambini trasferiranno, ad esempio, tutti gli oggetti<br />

contenuti in una scatola, o parte di essi, in un’altra, disponendoli e conservandoli con<br />

manifestazioni d’angoscia e - se non troppo piccoli - contandoli e ricontandoli uno per uno.<br />

Si tratta degli oggetti più svariati, tra i quali i fiammiferi usati, dai quali il bambino si<br />

preoccuperà di togliere la parte carbonizzata, sagome di carta, matite, mattoni, pezzetti di<br />

spago e così via. Questi oggetti raffigurano tutto ciò che il bambino ha estratto dal corpo<br />

materno e cioè il pene del padre, i figli, i frammenti di feci, l’urina, il latte, ecc. In modo<br />

analogo alcuni bambini si comportano con blocchetti di carta da scrivere stracciandone i<br />

fogli che conservano accuratamente altrove. L’angoscia crescente farà sì che, rimettere a<br />

posto ciò che simbolicamente ha estratto dal corpo materno, spesso non soddisfi la creazione<br />

la coazione del bambino a dare, o meglio a reintegrare. Il bambino è incessantemente<br />

sollecitato a restituire in ogni modo più di quanto abbia preso, ciononostante le sue tendenze<br />

sadiche primarie trapelano di continuo attraverso quelle reattive.” 9<br />

“Fare la cacca” è l’atto attraverso cui s’incrociano e concentrano pulsioni di diversa<br />

natura: attraverso l’espellere o il trattenere, il donare o il negare le proprie feci, il bambino<br />

stabilisce la natura del proprio rapporto con l’esterno.<br />

Il mondo esterno, tuttavia, si propone al bambino nella sua potenza inibitoria, ostile alla<br />

ricerca del piacere, per cui egli dovrà barattare questo stesso piacere con le istanze morali<br />

e sociali che gli vengono imposte.<br />

Natura <strong>delle</strong> pulsioni libidiche anali<br />

Queste pulsioni di opposta natura producono un atteggiamento di ambivalenza, che<br />

rimanda sia alla bipolarità degli affetti: amore-odio, attrazione-repulsione, che alla polarità<br />

in cui si costituisce la struttura della sessualità caratterizzata dai termini attivo-passsivo.<br />

Freud fa coincidere l’attività con la componente crudele e sadica della sessualità, la quale<br />

trova nella muscolatura la sua fonte erogena e si esprime come pulsione di appropriazione.<br />

La passività è invece espressa dall’erotismo anale e si concretizza nella stimolazione della<br />

mucosa anale in cui gioca un ruolo non indifferente la ritenzione <strong>delle</strong> feci.<br />

8 J.Kestemberg, Outside and inside, male and female, Journal of the american Psychoanalytic association, 16, pp 457-520<br />

9 M.Klein, Nevrosi ossessiva e primi stadi del Super-IO in La psicoanalisi dei bambini, Martinelli, Firenze 1984<br />

67


L’origine erotica della creatività Lorena Fornasir<br />

La polarità attivo-passivo consente di fare luce su due livelli:<br />

il gioco infantile<br />

le esperienze sessuali.<br />

Solitamente nell’esperienza del gioco infantile, un’impressione ricevuta passivamente<br />

desta nel bambino una risposta attiva:<br />

“È questa una parte del lavoro di assoggettamento del mondo esterno cui egli è chiamato e<br />

che può far sì che egli si sforzi di ottenere la ripetizione di impressioni che pure avrebbe<br />

motivo di evitare per il loro contenuto penoso. Anche il giuoco infantile è posto al servizio di<br />

questo fine, d’integrare cioè con un’azione attiva un’esperienza passiva che in questo modo<br />

è in un certo senso revocata. Se il dottore ha aperto la bocca al bambino recalcitrante per<br />

guardargli la gola, dopo che se n’è andato il bambino giocherà al dottore e ripeterà tale<br />

procedimento violento su uno dei fratellini più piccoli, a patto che quello sia così indifeso nei<br />

suoi confronti come lo era lui nei confronti del dottore. [...] Non in tutti i bambini si<br />

verifica in maniera ugualmente regolare ed energica questo trapasso dalla passività<br />

all’attività, anzi in alcuni bambini esso non compare affatto.” 10<br />

Rispetto la sessualità attivo e passivo sono termini che Freud elabora nel modo seguente:<br />

“Le prime esperienze e le prime vicende con tonalità sessuale che i bambini, maschi e<br />

femmine, vivono con la madre sono naturalmente di natura passiva. Essi vengono da lei<br />

allattati, imboccati, puliti, vestiti e istruiti in ogni cosa. Una parte della loro libido rimane<br />

legata a questa esperienza e gode dei soddisfacimenti che ad essa sono connessi, un’altra<br />

parte tenta di convertirsi in qualcosa di attivo. Prima di tutto l’essere allattati al petto viene<br />

sostituito dalla suzione attiva. Nelle altre cose i bambini si contentano o dell’autonomia, cioè<br />

di fare essi ciò che prima subivano, o della ripetizione attiva, nel giuoco, <strong>delle</strong> loro esperienze<br />

passive, oppure ancora tramutano la madre nell’oggetto verso il quale essi assumono la parte<br />

di soggetti attivi. [...] Una bimba perlopiù esaudisce i suoi desideri attivi in modo indiretto<br />

giocando con la bambola, ove lei rappresenta la madre e la bambola il bambino. La<br />

predilezione per il giuoco con la bambola che le femmine manifestano, al contrario dei<br />

maschi viene in genere interpretato come indizio del primo destarsi della femminilità. Non<br />

a torto, solo non si deve trascurare che quello che qui emerge è l’aspetto “attivo” della<br />

femminilità” 11<br />

Ritornando alla pulsione sadica, essa si contraddistingue in due stadi (secondo K. Abraham)<br />

analogamente a quanto avviene nella fase orale:<br />

- nel primo stadio l’erotismo anale è legato alla evacuazione e la pulsione sadica alla<br />

“distruzione dell’oggetto”<br />

- nel secondo stadio l’erotismo anale è legato alla ritenzione e la pulsione sadica al<br />

controllo possessivo.<br />

La pulsione sadica è presente nel bambino piccolo in forma naturale poiché l’inibizione<br />

dell’istinto di appropriazione e la capacità di compassione emergono solitamente nella<br />

fase di latenza. Nei bambini che si distinguono per una particolare crudeltà verso gli<br />

animali o i compagni, si può supporre un’intensa e prematura attività sessuale che<br />

proviene dalle zone erogene e che, se permane nel tempo, rischia di “legare” indissolubilmente<br />

la sessualità al sadismo (mantenendo il tratto “perverso” caratteristico della<br />

sessualità infantile) 12 .<br />

10 S. Freud, La sessualità femminile, Opere, vol. 11, 1931, Borignhieri, Torino 1979 pp. 73-74<br />

11 S. Freud, ibidem, p. 74<br />

12 Nota: S. Freud nella lezione n. 20 dell’Introduzione alla psicoanalisi afferma: “... se mai il bambino ha una vita sessuale, questa non può che essere<br />

perversa poiché, tranne pochi oscuri accenni, al bambino manca ancora ciò che fa della sessualità la funzione riproduttiva. D’altra parte, la caratteristica<br />

comune di tutte le perversioni è di aver abbandonato il fine riproduttivo. Chiamiamo pervertita un’attività sessuale appunto quando ha rinunciato al fine<br />

riproduttivo e persegue il conseguimento di piacere come fine a sé stante”<br />

68<br />

L’origine erotica della creatività Lorena Fornasir<br />

Un esito di tipo diverso ed opposto si concretizza invece in quei sintomi di varia natura<br />

che investono le funzioni escretorie ed intestinali come la stitichezza, la diarrea, la<br />

occlusione e tutti i cerimoniali scatologici ma, anche, l’enuresi e l’encopresi (oltre una<br />

certa fase) che sono dei messaggi rivelatori di dinamiche conflittuali.<br />

“Prodotti della sublimazione dell’erotismo anale”<br />

Tutti gli eccitamenti che provengono dalle zone erogene, sono soggetti, secondo Freud,<br />

alla trasformazione in “...formazioni reattive, contropotenze - come pudore, disgusto e<br />

scrupoli morali - che a mò di dighe arginano la successiva attività della pulsione sessuale.<br />

[...] La pulizia, l’ordine, l’accuratezza danno l’impressione di una formazione reattiva<br />

contro l’interesse per ciò che è sporco, incomodo, non pertinenete al corpo” 13 .<br />

L’interesse, il voyeurismo, la curiosità che il bambino dimostra verso tutta l’attività anale<br />

viene dunque rimossa e trasformata, ricomparendo in una fase più evoluta (verso la fine<br />

della latenza) associata a forme sostitutive. Particolarmente significativo è l’interesse di<br />

cui viene investito il “denaro” in associazione con le feci. È noto ad es., che l’oro del<br />

diavolo (personificazione della vita pulsionale) si trasforma in sterco così come l’oro <strong>delle</strong><br />

streghe. Freud illumina questo punto spiegando come “All’inizio, il suo atteggiamento<br />

verso gli escrementi è completamente diverso. Egli non prova alcun ribrezzo davanti alle sue<br />

feci, le stima come una parte del proprio corpo da cui non si separa facilmente e le usa come<br />

primo “regalo” per contraddistinguere persone che stima particolarmente. Anche dopo che<br />

l’educazione è riuscita nel suo intento di straniarlo da queste inclinazioni, egli trasferisce il<br />

suo apprezzamento per le feci sul “regalo” e sul “denaro”. Sembra invece che consideri la sua<br />

abilità nell’orinare con particolare orgoglio.” 14<br />

Ora che quest’ultima parte di esposizione più didattica può aver soddisfatto l’interesse<br />

per i meccanismi relativi alla fase anale, è possibile addentrarci nel terreno dei simboli e<br />

dei significati.<br />

Significati e simboli nell’analità<br />

“Fare la cacca” non è dunque soltanto l’atto attraverso cui s’incrociano pulsioni di diversa<br />

natura; sul piano simbolico rappresenta il primo lutto che il bambino deve compiere<br />

accettando di separarsi dal suo prodotto e lasciandolo, appunto, scomparire. Ciò gli<br />

consente di tollerare in sé la perdita concreta che le feci realizzano ma che rimanda alla<br />

prima perdita dell’oggetto totale che è la madre. Con Winnicott 15 sappiamo tuttavia, che<br />

l’esperienza di separazione da parte del lattante dall’“oggetto” d’amore che si prende<br />

cura di lui, stimola quella creatività primaria attraverso cui il bambino può ricreare, in<br />

modo allucinatorio, la <strong>perduta</strong> fusione con l’universo materno. Sappiamo anche che<br />

l’identificazione nell’oggetto d’amore madre, è il meccanismo che gli consente di<br />

introiettare le qualità della madre stessa. Ciò nonostante, il desiderio di rapinare la madre<br />

dei suoi preziosi beni, fra cui anche le feci - che il bambino presume ella si voglia tenere<br />

per sé assieme al latte e ai tanti altri beni che possiede - fa sì che esso si trasformi in una<br />

fantasia d’intrusione dentro il corpo materno. Avanza, dunque, un gioco sottile di<br />

specchi tra identificazione (nel seno che nutre), introiezione (<strong>delle</strong> sue qualità) e<br />

proiezione (dell’angoscia). La frontiera tra l’“attacco” (la parte cannibale dell’oralità) alla<br />

madre e l’“attacco” dentro la madre, come tra proiezione dell’angoscia e “occupazione”<br />

13 S. Freud, “Carattere ed erotismo anale”, Opere, vol 5, 1908, Boringhieri, Torino 1989, pag. 402<br />

14 S. Freud, Vita sessuale umana, Opere vol. 8, 1915-17, pag. 473, Boringhieri, Torino 1989<br />

15 D. W. Wnnicott, Gioco e realtà, Armando, Roma, 1974<br />

69


L’origine erotica della creatività Lorena Fornasir<br />

del “territorio psichico” materno che una modalità di pensiero (identificazione proiettiva)<br />

troppo angosciata può mettere in atto, porta alla luce quelle azioni della mente che<br />

imbrigliano la fantasia penetrativa del bambino dentro un “luogo” o una “regione” del<br />

corpo della madre. Sarà l’attrazione verso questo “spazio” o il rimanerne catturato, che<br />

svilupperà le angosce claustrofobiche, gli stati ipocondriaci, gli stati maniaco-depressivi e<br />

i diversi stati di confusione. Se nell’identificazione con la madre, il bambino potrà nutrirsi<br />

<strong>delle</strong> qualità che ha “mangiato” per sviluppare il suo processo creativo, nell’“occupazione”<br />

o “invasione” dentro e del corpo della madre al fine di controllarlo, predomina<br />

non la creazione bensì la simulazione, la falsità e la manipolazione.<br />

Nel primo caso il pensiero è generativo, nel secondo è imprigionato. Ancora, nel primo<br />

caso il piccolo si unisce alla sua capacità creativa e può immaginare la cacca dotata del<br />

magnifico potere d’essere oltre che dono, il pene-bambino che lui ha generato per la<br />

madre. Nel secondo, lui è il pene della madre che dal suo interno porta gli attacchi<br />

distruttivi agli altri peni, fratelli, bimbi in esso contenuti. Tutta questa gamma d’attività<br />

fantastica si associa immancabilmente a sensazioni intrusive e violente (Joyce McDougall,<br />

1977) 16 da cui traggono origine gli stati d’angoscia e di colpevolezza. Melanie Klein<br />

(1930) 17 , per prima, aveva posto in risalto come la creatività e la sua inibizione risalgano<br />

al rapporto tumultuoso tra l’infante e la madre, tanto che il blocco dell’attività creativa<br />

dipendono, secondo lei, dalla mancata integrazione della distruttività infantile in<br />

rapporto all’universo-seno. Rispetto ciò, ogni bambino trova una propria soluzione a<br />

questo problema che, in ultima analisi, rievoca il problema di come separarsi dall’oggetto<br />

totale madre acquisendo la capacità di possedere pensieri al posto della con-fusione (o<br />

<strong>delle</strong> emozioni grezze della mente private di pensabilità).<br />

Va dunque fatta una differenza fondamentale tra la concezione che il bambino possiede<br />

della madre interna e che è frutto di un processo immaginativo, da una concezione che<br />

invece è il prodotto di un’intrusione onnipotente. Quando l’interesse specifico verso il retto<br />

della madre, vissuto dal piccolo come il luogo da cui nascono i bambini, ovvero quando la<br />

fantasia di segreta intrusione nell’ano della madre, induce il bambino a idealizzare il retto<br />

e i suoi escrementi fecali si può insinuare una rappresentazione confusa. Sedere del<br />

bambino e sedere della madre assieme alle natiche e all’inevitabile manipolazione erotica del<br />

proprio corpo come di quello della madre stessa, possono apparire uno dentro l’altro, spesso<br />

equiparati a seni così come vagina e ano vengono con-fusi con la bocca. Per districarsi nelle<br />

sue confusioni rappresentazionali, il bambino sarà aiutato dai suoi processi di scissione<br />

(Melanie Klein, 1957) 18 seguendo i quali, “…le funzioni escretorie vengono localizzate in<br />

basso, in relazione alle natiche, riservando invece alla funzione nutritiva la parte superiore del<br />

corpo materno, il seno, i capezzoli, gli occhi e la bocca – e poi la mente…ma la strada che<br />

conduce dalla testa al retto si fa sempre più pericolosamente scivolosa a mano a mano che la<br />

voluttà conduce dall’erotismo fino al sadomasochismo” 19 .<br />

Tentando una sintesi di questa complessa tematica che volutamente viene qui interpretata<br />

nella contrapposizione tra pensiero creativo e inibizione, cioè tra generatività ed infertilità<br />

(del pensiero s’intende ma non solo: il concetto possiede una estensibilità somatopsichica),<br />

la fase anale potrebbe essere così schematizzata:<br />

16 J. McDougall, Eros – Le deviazioni del desiderio, Cortina, Milano 1997<br />

17 M. Klein, L’importanza della formazione dei simboli nello sviluppo dell’Io in Scritti 1921-1958, Boringhieri, Torino 1978<br />

18 M. Klein, Invidia e gratitudine, Martinelli, Firenze 1969<br />

19 D. Meltzer, Claustrum, pp. 41-94, Cortina, Milano 1993<br />

70<br />

L’origine erotica della creatività Lorena Fornasir<br />

Fase anale<br />

nella fase anale prevale l’equivalenza feci = pene = bambino;<br />

le feci rappresentano il primo e grande dono che il bambino porge alla mamma;<br />

il rituale che viene messo in atto è strettamente legato alla quantità di angoscia;<br />

la prima angoscia è l’angoscia di separazione:<br />

l’angoscia di separazione<br />

⇓<br />

spinge il bambino ad ATTACCARSI, ad essere ADESIVO, ad INCOLLARSI<br />

⇓<br />

ciò favorisce e/o mantiene una RELAZIONE SI<strong>MB</strong>IOTICA<br />

il bambino vorrebbe rimanere in questa posizione, tuttavia nel processo di evoluzione<br />

egli deve arrivare<br />

alla DIFFERENZIAZIONE<br />

deve cioè sentirsi spinto, secondo la concezione di Meltzer, al passaggio dall’interesse<br />

esclusivo per<br />

il SENO (TESTA)<br />

⇓<br />

all’interesse per i GENITALI<br />

⇓<br />

all’interesse specifico per il RETTO da cui nascono i bambini<br />

nel retto, i bambini si sentono imprigionati. La claustrofobia fa sì che essi abbandonino<br />

questo “territorio” per cui:<br />

abbandonare l’interesse per il prodotto fecale<br />

⇓<br />

consentirebbe al bambino d’identificarsi con<br />

uno spazio psichico generativo<br />

dove il “bastone fecale” equivale al PENE che equivale a “fare” il BA<strong>MB</strong>INO<br />

Qualora invece i bambini, per loro ragioni inconsce legate al bisogno d’attenuare<br />

l’angoscia controllando il territorio interno della madre, rimangano intrappolati nella<br />

situazione rettale, si possono precludere il passaggio ad un pensiero generativo e creativo,<br />

diventando preda di angosce diverse ma altrettanto potenti, sostenute queste dalla<br />

fantasia di venire evacuati e degradati. Il “luogo” del loro “claustrum” è un “…luogo dove<br />

lo sviluppo della personalità non può progredire…L’aspetto nodale […] è la sopravvivenza.<br />

Sopravvivenza significa evitare l’espulsione e questa sembra costituire la terribile “minaccia<br />

senza nome” della vita mentale Mentre questo sistema unitario di valori di sopravvivenza è<br />

certamente persecutorio nel compartimento del retto, nel compartimento genitale si<br />

configura come avidità coatta di stimolazione sessuale, mentre nel compartimento del seno<br />

come tipo di languore da “mangiatori di loto”, forse simile in un certo senso al “principio<br />

del Nirvana” descritto da Freud. Similmente, l’atteggiamento generale è intensamente conservatore.<br />

Nel retto le cose potrebbero sempre andare peggio, mai meglio, eccetto che fuggendo<br />

71


L’origine erotica della creatività Lorena Fornasir<br />

dall’uno all’altro degli altri compartimenti o arrampicandosi sulla scala gerarchica<br />

dell’autorità tirannica” 20 . Difficile in tale clima e in questo spazio del “claustrum”<br />

distinguere il “vero” dal “falso” essendo l’Io impegnato a mascherare il suo carattere<br />

anale. Non è invece arduo identificare il “falso” con l’inanimato e il “vero” con ciò che<br />

è vivo e quindi animato. La creazione vera non ha nulla da nascondere, mentre ciò che è<br />

falso sebbene mascherato da creatività, altro non può apparire che come un “pene<br />

fecale”, cioè un falso fallo da adorare. O un pensiero debole, travestito di falsa identità,<br />

frutto di un’appropriazione indebita, di un’usurpazione del territorio (regione interna del<br />

corpo della madre) che maschera di falsa identità il volto dell’intruso. L’impostura si<br />

contraddistingue così come risposta all’antico bisogno infantile di possedere il pene, solo<br />

che in questo caso il proprio piccolo pene infertile viene spacciato per un pene genitale.<br />

L’imitazione riguarderà pertanto un fallo “ideale” e la falsità sarà al servizio di un pene<br />

anale investito narcisisticamente, capace di nascondere il proprio carattere pregenitale.<br />

Rimanere nell’analità, infine, non è poi così scomodo fintanto che un escremento può<br />

prendere il posto del pene genitale evitando la fatica di crescere. Il vantaggio del fallo<br />

anale è che è eterno, rinnovabile, invulnerabile. Il magnifico usignolo della fiaba di<br />

Andersen 21 , quello vero, reale, è mortale, destinato alla fine, mentre l’usignolo meccanico<br />

che imita quello vero è eterno. La morte per il falso pene è rappresentata dal pericolo<br />

della castrazione illusoriamente evitata sostituendo una realtà (genitale) all’altra (anale),<br />

così come l’usignolo falso sostituisce quello vero. Il prezzo della vita richiede invece tante<br />

piccole morti, ogni lutto anticipando altre perdite, ognuna premessa dell’altra,<br />

riconoscendo fra queste la capacità di morire all’onnipotenza del pensiero infantile per<br />

nascere ad una posizione più depressiva che contempla la non totalità, cioè la caducità, la<br />

relatività, l’angoscia come fonte della creatività.<br />

Anche l’imperatore, sedotto dalla falsa bellezza dell’usignolo, si era lasciato trascinare<br />

nella vertigine dell’illusione, ma la stilla mortifera si era insidiata in lui al posto dell’amore<br />

per l’autentico. La salvezza gli giungerà soltanto quando saprà riconoscere la melodia<br />

dell’usignolo vero:<br />

“Una sera, comunque, proprio mentre l’uccello si stava esibendo per l’imperatore, che lo<br />

ascoltava steso sul suo letto, fece “twang” e qualcosa, al suo interno, si ruppe… l’uccello<br />

[meccanico] giaceva muto, perché non c’era nessuno a caricare la molla, e non poteva<br />

cantare senza essere caricato. La morte scrutava e scrutava senza sosta l’imperatore dalle sue<br />

grandi orbite vuote e il palazzo intero era immerso nel silenzio, tutto era terribilmente<br />

quieto. Proprio in quel momento la più soave <strong>delle</strong> melodie entrò dalla finestra: era<br />

l’usignolo vero appolaiato sui rami lì fuori… “devi rimanere con me per sempre” disse<br />

l’imperatore “non dovrai cantare se non lo vorrai, e farò in mille pezzi l’uccello meccanico”.<br />

“No” disse l’usignolo “ha fatto del suo meglio, dopo tutto, quindi dovresti tenerlo. Io non<br />

posso vivere e fare il mio nido in un palazzo; ma permettimi di venire quando ne ho voglia,<br />

ed io mi poserò sul ramo fuori dalla tua finestra e canterò ogni sera….” 22<br />

20 D. Meltzer, Claustrum, p. 119-120, Cortina, Milano 1993<br />

21 H. C. Andersen, L’usignolo, edizioni C’era una volta, Pordenone, 1989<br />

22 H. C. Andersen, L’usignolo, Edizioni C’era una volta, Verona, 1989<br />

72<br />

Il piccolo Hans<br />

ovvero la fase edipica in una rilettura del saggio di Freud.<br />

…la Sfinge con i suoi canti ambigui<br />

ci rendeva pensosi del male più scoperto<br />

e indolenti di quello ch’era oscuro…<br />

Sofocle “Edipo Re”<br />

I bambini, con i loro infiniti “perché...?” sono alla ricerca di quell’unica risposta che non<br />

può essere che impossibile, poiché l’interrogativo che essi pongono riguarda l’origine<br />

della vita e della morte, cioè i misteri della nascita e della creazione.<br />

Le teorie sessuali infantili assolvono il compito di risolvere l’enigma della nascita in una<br />

direzione che, tuttavia, esclude la sessualità genitale, la penetrazione, il coito e che invece<br />

valorizza l’attività di ricerca o, come Freud la definisce, pulsione epistemofilica:<br />

“Nella stessa epoca nella quale la vita sessuale del bambino raggiunge la sua prima<br />

fioritura, dal terzo al quinto anno, subentrano in lui anche i primordi di quell’attività che<br />

si attribuisce alla pulsione di sapere o di ricerca. Tale pulsione non può essere né annoverata<br />

tra le componenti pulsionali elementari né subordinata esclusivamente alla sessualità. Il suo<br />

operare corrisponde, da un lato, a un modo sublimato di appropriazione, dall’altro lavora<br />

con l’energia del piacere di guardare. Ma le sue relazioni con la vita sessuale sono<br />

particolarmente significative, perché dalla psicoanalisi abbiamo appreso che la pulsione di<br />

sapere dei bambini è, inaspettatamente presto e con inattesa intensità, attratta dai problemi<br />

sessuali, anzi ne è forse risvegliata per la prima volta. Non sono interessi teorici, bensì<br />

pratici, quelli che mettono in essere nel bambino l’attività esplorativa”. 1<br />

In questa chiave va letta, forse, quell’altra affermazione di Freud in “Analisi terminabile<br />

e interminabile” del 1937 in cui, di fronte alle spiegazioni sessuali degli adulti, paragona<br />

i bambini a quei primitivi “...cui è stato imposto il cristianesimo e che però continuano in<br />

segreto ad adorare i loro vecchi idoli ”.<br />

La prima e principale teoria che i bambini si costruiscono circa l’origine della vita, si basa<br />

sulla convinzione che esista un unico genitale. La loro curiosità li porterà a condurre <strong>delle</strong><br />

assidue ricerche attraverso cui scopriranno che la locomotiva o il tavolo o la sedia non<br />

possiedono il fa-pipì mentre la giraffa, ad esempio, sì. Questa prima distinzione tra<br />

mondo animato e inanimato è il risultato dell’elaborazione del pensiero infantile; infatti<br />

il primo grande quesito teorico che ogni bambino deve affrontare, è proprio questo:<br />

come distinguere una locomotiva da un leone, un cavallo da una sedia?<br />

La teoria che “tutti gli esseri viventi” possiedono il fa-pipì è condensata nella spiegazione<br />

del piccolo Hans: “Il cane e i cavallo hanno il fa-pipì; il tavolo e la sedia no. Hans ha<br />

dunque trovato un elemento essenziale di distinzione tra animato e inanimato” 2 .<br />

1 S. Freud, “Tre saggi sulla teoria sessuale – 2| La sessualità infantile”, 1905, vol4, Boringhieri, Torino 1979, p.502<br />

2 S. Freud, Analisi della fobia di un bambino di 5 anni - caso clinico del piccolo Hans, Opere 1908, Boringhieri, Torino 1989<br />

73


Il piccolo Hans<br />

Si tratta di una distinzione che ricorrendo ad un parallelismo, si rinviene in due disegni<br />

famosi, fra loro lontani eppure accomunati da un’unica similitudine: l’animato e<br />

l’inanimato. Il primo si riferisce alla pianta del Dazio che ci tramanda il “Piccolo Hans”,<br />

l’altro è il celebre cappello del “Piccolo Principe” di Saint Exupéry che, in realtà, non è<br />

un cappello ma il contorno di un boa che digerisce un elefante.<br />

Nella pianta del Dazio, la differenza più evidente tra i due disegni mette in rilievo<br />

l’abbattimento di una barriera che consente un passaggio che in realtà non c’è. Tuttavia,<br />

c’è un’altra differenza - estensibile anche ai due disegni del “Piccolo Principe” - che non<br />

si coglie immediatamente e che riguarda la presenza nel secondo disegno di ciò che<br />

manca nel primo:<br />

❏ dentro il cappello c’è un animale<br />

❏ dentro il dazio c’è un piccolo Hans (immaginato) che raggiunge il cuore di una<br />

pianta e di una piattaforma prima vuota<br />

❏ dentro il vuoto (il cappello) c’è il pieno (l’elefante dentro il boa che è la sagoma del<br />

cappello)<br />

All’inanimato, al contorno, all’involucro, subentra la forma dell’animato.<br />

I primi disegni sono inanimati, vuoti; nei secondi appare l’animato fatto di un pieno ricco<br />

di particolari dove c’è un boa che mangia l’elefante, o un fantastico Hans che salta sui<br />

carri e poi da lì sulla piattaforma.<br />

C’è una contiguità tra sembianza e forma, tra immagine e identità, in cui gioca quel<br />

movimento che permette di riconoscere ciò che prima era indifferenziato. È il movimento<br />

che dall’inanimato si muove verso l’animato dando origine alla formazione del<br />

soggetto, così come dà forma e senso alla materia introducendo la dif-fere-nza (dal latino<br />

fere “portare” e greco diaphora: dia “attraverso” e phéro “io porto”) quale elemento di<br />

distinzione.<br />

Ritornando alla teoria dell’unico genitale, appare dunque evidente come la distinzione tra<br />

chi ha il fa-pipì e chi non ce l’ha sia una questione talmente complessa da non potersi<br />

esaurire, nel bambino, ad una banale curiosità sessuale. Anzi, tra curiosità sessuale e<br />

ricerca esiste un nesso che, attraverso la creatività, lo porta ad elaborare idee altamente<br />

individuali sui misteri della vita e della creazione. Freud paragona le teorie sessuali<br />

infantili ai “tentativi geniali” degli adulti per risolvere i più ardui problemi che l’universo<br />

pone all’intelletto umano. In che senso esse sono geniali se contemporaneamente, sono<br />

talmente inesatte e grottescamente false?<br />

La risposta proviene dalla clinica: “La conoscenza <strong>delle</strong> teorie sessuali dei bambini [...]<br />

rimane indispensabile per giungere a capire le nevrosi stesse, nel cui ambito queste teorie<br />

fanciullesche sono ancora valide e acquistano un influsso determinante sulla forma via via<br />

assunta dai sintomi” 3<br />

L’attività di ricerca e scoperta del piccolo indagatore, si organizza fin da subito attorno<br />

alla questione della differenza sessuale che, in un primo tempo, è tesa a riconoscere:<br />

❏ chi possiede il pene<br />

❏ da chi non possiede il pene<br />

Questa distinzione porta il bambino alla scoperta che esiste una differenza tra:<br />

❏ il mondo animato<br />

❏ e il mondo inanimato<br />

3 S. Freud, “Opere”, vol. 5 “Teorie sessuali dei bambini, p. 453, Boringhieri, Torino 1989<br />

74<br />

Lorena Fornasir Il piccolo Hans<br />

Lorena Fornasir<br />

La differenza tra mondo animato e mondo inanimato inaugura le teorie sessuali infantili<br />

scoperte da Freud, tanto errate quanto universali, secondo cui:<br />

❏ tutti gli esseri viventi posseggono il pene<br />

❏ la nascita avviene attraverso l’ano<br />

❏ l’atto dell’unione avviene in modo sadico<br />

La questione dell’origine che s’impone con la scoperta e differenza tra mondo animato e<br />

mondo inanimato, pur contenuta dentro i confini <strong>delle</strong> teorie, è tuttavia fonte di angoscia<br />

a cui il bimbo cerca sollievo sviluppando una fobia, ossia una situazione di pericolo<br />

immaginario in cui è presente l’animale, lo spazio di un luogo, una mappa ritagliata in un<br />

paese, in un campo, in una città.<br />

Freud, nel saggio del piccolo Hans, distingue due periodi in riferimento all’instaurarsi<br />

della fobia:<br />

❏ un primo periodo antecedente la fobia<br />

❏ il secondo periodo inaugurato dalla fobia<br />

1° tempo<br />

tutti possiedono il fa-pipì<br />

⇒<br />

Il periodo antecedente la fobia<br />

si suddivide in<br />

⇒<br />

PROBLEMA DEL CONFRONTO<br />

Hans:<br />

“il (mio) fa-pipì crescerà insieme a me<br />

quando sarò grande” 4<br />

cioè<br />

“temo che il mio fa-pipì sia troppo piccolo<br />

2° tempo<br />

comparsa dell’angoscia<br />

Il problema del confronto sorge proprio tra la prima teoria sessuale del fa-pipì universale e<br />

la comparsa dell’angoscia, come realizzazione da parte del piccolo Hans che il suo fa-pipì<br />

è insufficiente a soddisfare la madre.<br />

Il disegno della giraffa che egli richiede al padre 5 configura questa tensione e offre una<br />

rappresentazione esterna di ciò che gli accade nel proprio mondo psichico. Da una parte,<br />

il collo lungo della giraffa è un riferimento al suo bisogno di vedere o mostrarsi o farsi<br />

vedere, dall’altra c’è il fa-pipì che Hans disegna in due tempi: prima corto poi, con il<br />

tratto aggiuntivo, più lungo. Il fa-pipì assume, a quel punto, un significato che lo<br />

trascende: non è più solo qualcosa di immaginario bensì diventa “il pene reale” che, se<br />

prima di tale scoperta Hans utilizzava in modo narcisistico per colmare ogni distanza o<br />

ogni mancanza fra sé e la madre, dopo tale scoperta “il pene reale” non può che<br />

rimandare ad Hans la sua disparità, la sua insufficienza.<br />

4 S. Freud, “Il piccolo Hans”, Casi clinici 4, p. 35, Boringhieri, Torino 1981<br />

5 OSF vol.5, p.487, Boringhieri. Torino 1989<br />

⇐<br />

⇐<br />

75


Il piccolo Hans Lorena Fornasir<br />

Si tratta di una scoperta che irrompe nell’immaginario e rompe l’equilibrio narcisistico<br />

del piccolo Hans.<br />

Inoltre, la ricerca e l’attribuzione del fa-pipì, porta in scena la figura dell’animale in due<br />

forme: nella prima rappresenta il tracciato della pulsione (giraffa), nell’altra forma<br />

l’animale (il cavallo) 6 appare come fonte di paura nel luogo della fobia (il Dazio).<br />

L’animale viene cioè posto a custodire e vigilare sulla barriera, a protezione e garanzia del<br />

fatto che, nonostante la tentazione non ci sia il superamento della barriera stessa in una<br />

direzione avvertita come pericolosa.<br />

Il “luogo della fobia” non è una situazione reale (anche se il piccolo Hans la fa corrispondere<br />

alla zona del Dazio) quanto una elaborazione teorica attraverso cui il bambino<br />

cerca una risposta alla propria angoscia e la rappresenta sotto forma di una mappa<br />

ritagliata in uno spazio: una casa, una strada, una città.<br />

Dal punto di vista della storia psicoanalitica, il luogo della fobia è la formulazione di un<br />

contributo teorico clinico di due analisti: Sergio Finzi e Virginia Finzi Ghisi.<br />

Freud ricopre il merito di averne descritto il suo primo abitante: un bimbo di 4 anni di<br />

nome Hans, figlio di Max Graff, eminente musicologo viennese amico di Freud e<br />

appassionato di psicoanalisi. Della storia clinica di Hans e della sua fobia per i cavalli,<br />

Freud ha scritto un appassionante saggio che restituisce alle parole di questo bimbo di 4<br />

anni un ascolto ed un sapere ritenuti, fino allora, di pertinenza esclusiva dell’adulto.<br />

A partire da questo resoconto teorico clinico e con il riferimento costante alla loro pratica<br />

clinica, i Finzi hanno elaborato <strong>delle</strong> ipotesi intorno a quello che hanno denominato il<br />

luogo della fobia.<br />

Come mai si parla di “luogo”?<br />

Questo riferimento così preciso testimonia l’importanza che i Finzi attribuiscono all’invito<br />

quasi testamentario di Freud (nel senso che è stato affidato a una nota scritta poco prima di<br />

morire) di considerare la dimensione spaziale della psiche: “La psiche è estesa, di ciò non sa<br />

nulla. Lo spazio può essere la proiezione dell’estensione dell’apparato psichico 7 ”.<br />

Il riferimento alla fobia viene invece utilizzato dai Finzi per introdurre la distinzione tra<br />

la “fobia” e le “fobie”. Queste ultime sono proliferate a dismisura nella psicoanalisi<br />

assumendo sempre più la connotazione banale di paura quale emozione completamente<br />

slegata dalla propria origine strutturale.<br />

Secondo i Finzi è invece fondamentale che alla fobia sia riconosciuto il luogo da cui si è<br />

sviluppata, luogo in cui l’apparato psichico trova la sua prima rappresentazione esterna:<br />

“Che cos’è la fobia? Non è un sentimento, un timore, un comportamento. Nel caso del piccolo<br />

Hans, Freud l’ha reperita come un’epoca, nella vita di un bambino, tra i quattro e i cinque<br />

anni, come qualcosa che succede a uno stato d’angoscia e che a sua volta è seguito dallo<br />

sviluppo di una nevrosi ossessiva. Ripercorrendo il caso di Hans e quello, sempre di Freud,<br />

dell’“Uomo dei lupi”, abbiamo ritrovato in una serie di casi clinici, casi di isteria o di<br />

nevrosi ossessiva e in seguito di perversione, un tratto comune, reperibile a ritroso, che più che<br />

un’epoca, un tempo, scandisce uno spazio, un luogo, con determinate caratteristiche” 8<br />

“Il luogo della fobia, prima rappresentazione esterna dell’apparato psichico, situabile<br />

intorno all’età di quattro anni, l’abbiamo rilevato nell’analisi dei bambini e ritrovato in<br />

quella degli adulti.<br />

6 Hans in un primo tempo teme semplicemente il cavallo; in seguito egli avrà il timore dei cavalli bianchi, di ciò che hanno davanti<br />

agli occhi e del nero intorno alla loro bocca (v. Casi clinici 4 - “Il piccolo Hans”, p. 41)<br />

7 OSF, vol 11, p. 566, Boringhieri, Torino 1989<br />

8 Finzi Ghisi, “Il piccolo Hans”, n. 45, p. 9, 1985<br />

76<br />

Il piccolo Hans Lorena Fornasir<br />

All’età di quattro anni ha rappresentato la risposta all’angoscia suscitata dalla questione<br />

<strong>delle</strong> origini sotto forma di una mappa ritagliata in una città, in una strada, in una casa;<br />

vi si situa la differenza tra animato e inanimato, il rapporto all’animale sotto forma di<br />

fobia e disegno, l’uso della tecnica come soluzione anti-angoscia, allontanamento dal<br />

precedente fondo psicotico e strada aperta verso le costruzioni di difesa che caratterizzano poi<br />

lo sviluppo di una nevrosi. Intorno al luogo della fobia e in rapporto ad essa trovano<br />

definizione nevrosi, perversione e psicosi” 9 .<br />

La clinica psicoanalitica indica chiaramente come, nelle analisi dei bambini, il luogo della<br />

fobia è semplicemente rilevato, mentre in quella degli adulti è ri-trovato. Si tratta di<br />

un’indicazione che pertiene alla clinica al cui solo interno è possibile il riferimento. Senza<br />

la clinica, il luogo della fobia diventa un concetto astratto e non può essere utilizzato per<br />

costruire dei modelli di intervento pedagogico-educativo.<br />

Nelle analisi degli adulti il ri-trovamento del luogo della fobia è solitamente preannunciato:<br />

“Quando in analisi ci si avvicina in qualche modo al reperimento del luogo della fobia, è<br />

un sogno in genere a darne l’avviso...Un sogno che scatena l’angoscia... Il sogno rappresenta<br />

un animale, una aggressione, e dopo essere stato raccontato viene in genere rapidamente<br />

dimenticato” 10<br />

Anche il piccolo Hans (4 anni e 9 mesi) si sveglia un mattino in preda ad un sogno<br />

d’angoscia che segnala l’instaurarsi della fobia:“ Hans (4 anni e 9 mesi) si alza una<br />

mattina piangendo e alla madre che gli chiede che cos’abbia dice: - Quando dormivo, ho<br />

pensato che tu te n’eri andata e che io non avevo più la mamma per coccolarmi. - Dunque<br />

un sogno d’angoscia 11 ”.<br />

C’è allora un tempo, un’età che appare verso i quattro anni di Hans, come di ogni altro<br />

bimbo, in cui l’angoscia si manifesta nel luogo della fobia.<br />

Si tratta di un’età che corrisponde, in psicoanalisi, al tempo della prima fioritura sessuale,<br />

che Freud stesso ha indicato come il primo culmine per distinguerlo dal secondo culmine<br />

situabile nel tempo della pubertà.<br />

Se il tempo della comparsa dell’angoscia è rintracciabile in un’epoca precisa, anche il<br />

luogo presenta dei confini ben delimitati:<br />

“Il luogo della fobia è uno spazio che si affaccia con determinate caratteristiche schematizzabili<br />

in figura: due stanze nella pianta della casa, la porta murata in un arco, la<br />

stanza incamerata nell’appartamento vicino. Un disegno a delimitare uno spazio che si è<br />

tentati di attraversare...giacché questo spazio è tagliato da una barriera” 12 .<br />

È dunque un luogo che possiede la precisa caratteristica di separare due spazi, uno dei<br />

quali è interdetto, e questa delimitazione è rappresentata da una barriera.<br />

Il caso del piccolo Hans propone la questione della barriera non solo come il limite che<br />

il bambino si dà, ma anche come cura contro l’angoscia che si aprirebbe in mancanza di<br />

questo stesso limite.<br />

“L’angoscia, di fatto, si colloca proprio sull’orlo di un vuoto di sapere. È la minaccia del<br />

venir meno di qualcosa che si sa, […] in altre parole, è il vacillare <strong>delle</strong> teorie sessuali<br />

infantili di fronte al quesito “da dove vengono i bambini”, è l’incombenza del seme paterno,<br />

è la sproporzione tra il bambino e il padre e, in tutto ciò, è il muoversi pericoloso di un<br />

inanimato, che è ancora il seme, verso l’animato, per cui è importante chiarire con Hans, e<br />

questo è il testo freudiano, che la sedia non ha il fa-pipì.”<br />

9 Finzi, “Il piccolo Hans”, n. 61, p. 11, 1989<br />

10 Finzi Ghisi, “Il piccolo Hans”, n. 45, p. 11, 1985<br />

11 S. Freud, “Casi clinici” 4 - Il piccolo Hans”, p. <strong>26</strong>, Boringhieri, Torino 1981<br />

12 Finzi Ghisi, “Il piccolo Hans”, n. 50, p. 10, 1986<br />

77


Il piccolo Hans Lorena Fornasir<br />

Di fronte al pericolo dell’angoscia, il bambino sa però darsi <strong>delle</strong> risposte costruttive:<br />

“Lo spazio su cui si affaccia (il vuoto di sapere) ha innanzitutto dei confini, che il bambino<br />

traccia nella sua casa, di fronte alla sua casa, nel suo tratto di campagna, è il recinto del<br />

dazio di Hans […]. Il movimento dell’inanimato è assunto dall’animale, trait-d’union tra<br />

il soggetto e le cose, e scalpita, come il cavallo di Hans. È causa di fobia, e questa, primaria,<br />

strutturale, creatrice di confini e di sistemi di irrigazione, di canalizzazioni e di tubi, di<br />

viadotti e di solchi, permette di trovare, nel tratto di terra, almeno alla guisa degli antichi<br />

conquistatori, il proprio nome. È un nome dimidiato, perché metà spetta al padre, niente è<br />

totalmente dominabile, né l’animale, né la minaccia del godimento paterno” 13<br />

Come si evince dalle ultime note del testo di Finzi-Ghisi, il discorso sull’angoscia chiama<br />

in causa il godimento del padre e la questione dell’origine che i bambini sanno porre<br />

tanto bene quando chiedono: “ma io da dove vengo, e dov’ero prima di nascere?”<br />

I Finzi Ghisi, basandosi sulle analisi dei bambini e degli adulti, hanno elaborato questa<br />

domanda cercando di affrontare la questione dell’origine e la tematica dell’essere che<br />

nasce, in senso psicoanalitico, alla propria soggettività, secondo due ipotesi. La prima,<br />

affermano, potrebbe prendere in considerazione la teoria creazionistica che attribuisce a<br />

un Disegno (con la “d” maiuscola) la comparsa sulla terra di tutte gli esseri. La seconda<br />

si collega invece alla posizione darwiniana che concepisce le forme della vita come frutto<br />

di copulazioni, al centro <strong>delle</strong> quali Darwin pone una coppia originaria da cui discendono<br />

tutte le forme di vita.<br />

Si tratta dunque di capire se l’origine “sia insomma in qualche modo ricondotta al Dio<br />

creatore che stabilisce all’interno del sistema naturale l’ordine <strong>delle</strong> differenze, o piuttosto il<br />

sistema naturale sia riconducibile nelle sue differenze al disordine e alla molteplicità del<br />

godimento di una sola coppia. Mentre la prima ipotesi protegge nel suo seno l’individualità<br />

della riproduzione, con la seconda il motivo della sessualità viene in primo piano con una<br />

nuova formulazione possibile: qualsiasi accoppiamento è possibile” 14 .<br />

Di fronte allo spargimento di milioni di spermi (panspermia) e quindi alla fantasia di un<br />

godimento illimitato del padre, solo la costruzione di una barriera, di un limite nel luogo<br />

della fobia, può evitare che il soggetto rimanga catturato nel suo fondamento psicotico.<br />

Allora, il muro di casa, il ruscello in fondo al campo, il recinto dei cavalli, la siepe e<br />

quant’altro, permettono di vedere senza che lo sguardo penetri (come Edipo) nella<br />

genitalità, in quell’intima commistione tra vita e morte dove i termini si fondono e<br />

confondono nell’impasto <strong>delle</strong> pulsioni.<br />

“ […]il terribile è stato trovarsi di fronte al godimento del padre, che la propria origine sia<br />

riconducibile alla commistione di animato e inanimato, il godimento e il pullulare di semi,<br />

commistione che sull’orlo del luogo della fobia porta al vacillamento dell’un termine<br />

nell’altro. Il luogo della fobia dà al soggetto la vera possibilità di strutturarsi con il<br />

riconoscimento di una distinzione e di una separazione tra animato e inanimato. La sedia<br />

non è il vivente, i morti non tornano a vivere. Il luogo della fobia è la pianta, il disegno, che<br />

fornisce al soggetto la delimitazione di ciò che è fermo, il residuo antecedente, arcaico sul<br />

quale può accumularsi la rimozione.<br />

Su questa mappa può allora entrare l’animato e il cane, il cavallo, diventano la garanzia<br />

di un passaggio alla nevrosi: è il vivente che tutela nella sua rappresentazione di una vita<br />

però altra da quella umana la costruzione di difesa che da là diparte permettendo il distacco<br />

dalla psicosi. Da psicosi a nevrosi” 15 .<br />

13 Finzi Ghisi, “Il piccolo Hans”, n. 63, p. 6, 1989.<br />

14 Finzi, Finzi Ghisi, “Il piccolo Hans” n. 50 p. 29, 1986<br />

15 Finzi Ghisi, “Il piccolo Hans” n. 51/52, p. 5, 1986<br />

78<br />

Il piccolo Hans Lorena Fornasir<br />

E ancora:<br />

“Ciò che è drammaticamente in gioco non solo nella psicosi ma nei rapporti che<br />

intrattengono con questa nevrosi e perversione, non è la liberazione dei desideri, ma la<br />

liberazione dal desiderio che guarda al godimento del padre come lo stampo che dà forma a<br />

ogni atto della propria vita. Faccia a faccia con questo godimento, è il fondamento psicotico<br />

che si costituisce nel soggetto, in ogni soggetto, prima dell’età dei quattro anni, e che nella<br />

storia del soggetto adulto può continuare a minacciare quella costruzione di difesa dal<br />

godimento del padre che è, attraverso la rimozione, la nevrosi” 16 .<br />

Queste affermazioni permettono di cogliere l’importanza del concetto freudiano di<br />

rimozione originaria, che opera appunto come rimozione della propria origine o<br />

rimozione dal godimento del padre.<br />

L’ipotesi che la propria nascita sia il frutto del godimento di una sola coppia, apre al<br />

bambino la prospettiva angosciante che, allora, ogni accoppiamento è possibile:<br />

“è chiaro come l’unico approccio del soggetto a un simile sistema naturale esige una<br />

costruzione di difesa. Qualcosa che elimini l’identità di statura tra padre e figlio. Solo se<br />

viene infatti ripristinata la sproporzione tra le due altezze, “qualsiasi accoppiamento” non<br />

sarà più possibile e sarà mantenuta la barriera che caratterizza e segna il luogo della<br />

fobia… Tutto l’affanno sembra dunque condensarsi nella preoccupazione del bambino, nel<br />

ripetere del piccolo Hans che il suo fapipì è piccolo, nel disegnare la differenza con un fapipì<br />

adulto. […] Se ascoltiamo Hans, ci accorgiamo che tutta la sua risposta è all’angoscia<br />

iniziale, tutto il suo percorso attraverso la fobia, è punteggiato dall’insistenza di un<br />

confronto che, procedendo, rende Hans sempre più tranquillo fino al sogno-fantasia dello<br />

stagnaio: lo stagnaio, nel caso, me lo rifarà. La regolazione è Hans stesso, che all’epoca ci<br />

vede ancora chiaro, a muoverla. È favorita dal fatto che il padre, amico di Freud, in realtà<br />

più che porlo di fronte a un’interpretazione esaustiva lo stuzzica e sollecita così una<br />

misurazione che tende a stabilire l’opposto di quanto l’interpretazione vorrebbe assicurare:<br />

il mio è più piccolo” 17 .<br />

Tutto lo sforzo di Hans, le sue difese come la sua fobia, sono dunque tese a sanzionare<br />

quell’unico riconoscimento capace d’impedire nel bambino l’idea onnipotente dell’accoppiamento<br />

divino, ancestrale, primordiale, senza legge né differenza; a riconoscere cioè<br />

l’attributo di grande al padre poiché il figlio deve assumere per sé quello di piccolo per<br />

garantirsi la sproporzione che lo preserva dal regno dell’onnipotenza.<br />

In questo regno non esiste luogo della fobia, ed è proprio il suo mancato insediamento<br />

che espone il bambino alla vertigine di essere il prodotto di un godimento illimitato ed<br />

incontenibile.<br />

Sarà dunque solo l’insediamento di una barriera, di un limite in un luogo dove potrà<br />

sorgere la fobia, a permettere che il bimbo fantastichi la propria origine senza doversi<br />

identificare con l’inglobante dimensione dell’eccesso. La barriera del Dazio è l’ostacolo<br />

che lo preserva dalla fantasia onnipotente dell’incesto e contemporaneamente lo protegge<br />

da una vita che non sia tutta dalla parte dello sguardo dalla finestra.<br />

Le teorie sessuali infantili (il pene alla madre, l’ano da cui nascono i bambini) s’instaurano<br />

proprio a garantire la costruzione di questo spazio grazie alla ricerca e costruzione<br />

teorica, sbagliata, impropria ma salvifica della propria origine. Ogni bambino, infine,<br />

chiede solo di essere ingannato: egli è disposto a credere che i doni sono portati da Gesù<br />

Bambino, o da Babbo natale, che i bambini sono portati dalla cicogna o nascono sotto il<br />

cavolo, tutto, purché i genitori non c’entrino. Il bisogno di tenere lontana la verità degli<br />

16 Finzi, “Il piccolo Hans”, n. 61, 1989<br />

17 Finzi, Finzi Ghisi, “Il piccolo Hans” n. 50, pp.30-39, 1986<br />

79


Il piccolo Hans Lorena Fornasir<br />

adulti è, per il bambino, non un rifiuto della realtà ma il compromesso tra un’origine<br />

impossibile da pensare e l’origine a cui invece egli può risalire e se ne può appropriare. A<br />

questo punto tuttavia, l’origine va collocata dentro un luogo contrassegnato da<br />

determinate caratteristiche, in cui siano riconoscibili i limiti, le soglie e i custodi<br />

(l’animale) del divieto ad oltrepassare le barriere (le barriere dello sguardo, ad es.: Edipo<br />

nel voler guardare troppo viene punito con la cecità; ma anche le barriere dell’incesto)<br />

Questo luogo s’identifica in uno spazio non illimitato bensì fobico, come quello che il<br />

piccolo Hans anticipa, fantasticando un passaggio attraverso il recinto del dazio antistante<br />

la sua finestra, ignorando il cancello aperto, quasi a darsi o inventarsi da sé la cura contro<br />

l’angoscia che la questione dell’origine evoca.<br />

In questo luogo caratterizzato da una “barriera molle” (in quanto capace di separare, di<br />

sbarrare un accesso e nello stesso tempo di permetterlo), un animale lo custodisce<br />

impedendo che il bimbo oltrepassi la soglia. L’animale non è semplicemente l’immagine<br />

del padre: esso rappresenta il ponte tra l’animato e l’inanimato, tra l’agitarsi di un seme<br />

cosmico e il formarsi di una teoria che ristabilisce i confini, ridona le misure. Si tratta di<br />

qualcosa che ha a che fare con l’accertamento della paternità. Hans è infatti indotto ad una<br />

sorta di riconoscimento: “sì questo è mio padre, è di lui che ho paura quando ho paura<br />

del cavallo”. La pianta del Dazio dà un luogo allo scalpitare del cavallo, mentre altrove,<br />

fuori dal recinto, la vista dello stesso cavallo è per Hans insopportabile. Dentro il Dazio,<br />

il cavallo viene insieme scrutato, misurato e contemporaneamente anima quel luogo.<br />

La funzione di questo animale che il bimbo teme, non fa solo da ponte tra l’animato e<br />

l’inanimato ma si estende ed introduce la struttura della nevrosi: “La nevrosi infine, che<br />

ne è la soluzione sana e normale [riprodurrà il luogo della fobia] senza sosta…Dal luogo<br />

della fobia si dipartono le formazioni di difesa, e quindi in primo luogo la nevrosi ossessiva,<br />

che ne è la ritualizzazione estrema…Lungo gli anni il luogo della fobia riappare in<br />

continuazione. I giochi sulla soglia di casa, i salti dei gradini, la sfida stessa a saltarne per<br />

un tratto sempre più lungo, il gioco del mondo tracciato dal gesso sul marciapiede, palla<br />

prigioniera, certe strutture e contiguità della casa, e più avanti, nella vita adulta, la<br />

riproduzione di stanzini, varchi, disposizioni nella propria casa,, e le infinite pareti a vetri,<br />

pareti aperte sull’abisso, porte mancanti, divisione incerte, che si rincorrono nei sogni.” 18 .<br />

Ecco dunque che giochi di limite e di barriere evocano il bisogno di una Legge simbolica<br />

che impedisca l’infrazione. La Legge non potrà che rappresentarsi nello spazio triadico<br />

dove la presenza di un Padre permetterà al bambino di assumere su di sé lo stigma della<br />

“castrazione”, cicatrice immaginaria che s’instaura proprio laddove egli potrà vivere la<br />

duplice esperienza della delusione (non essere il proprio padre con la propria madre) e<br />

della mancanza (non essere il pene della madre ma avere pene). Il piccolo Hans è infine<br />

questo bimbo che reclama, ammalandosi di fobia, la presenza di un padre e della sua<br />

legge. “L’esperienza dell’Edipo, della sua delusione, della legge, rivela al soggetto che nel<br />

luogo e al posto della mancanza della madre, non vi è lui, in quanto fallo della madre, ma<br />

il padre…la conseguenza sarà che il soggetto, sloggiato dalla posizione che occupava,<br />

identificandosi immaginariamente al fallo della madre e costretto a sottomettersi alla legge,<br />

potrà ormai avere o ricevere un fallo invece di esserlo”. 19<br />

Solo così le proporzioni si ristabiliscono e la delusione d’essere piccolo assieme al divieto<br />

di prendere il posto di grande, gli permetterà l’accesso alla vera crescita nell’autenticità.<br />

18 Finzi Ghisi “Il piccolo Hans”, n.69 p. 57-58, 1991<br />

19 Alphonse De Waelhens, La psicosi, Astrolabio, Roma, 1974, p. 95<br />

80<br />

Strumenti e metodo<br />

11 Tavole di lavoro


Strumenti e metodo: 11 Tavole di lavoro<br />

11 Tavole di lavoro<br />

1 K. Pomian, L’ordine del tempo, p. 374, Einaudi, Torino 1992<br />

Lorena Fornasir<br />

I fatti diventano pensabili<br />

quando sono inseriti<br />

in una morfogenesi 1<br />

Queste 11 tavole di lavoro traducono il percorso metodologico svolto durante la formazione.<br />

L’ipotesi che lo sorregge si è fonda su due scelte: 1) trattare la sessualità infantile<br />

recuperando il linguaggio <strong>delle</strong> fiabe come metafora del mondo interno, 2) fantasticare,<br />

immaginare, evocare gli scenari di due aperture: la bocca da cui entra il bambino<br />

(secondo la più nota <strong>delle</strong> teorie infantili: la fecondazione orale) e la bocca da cui esce<br />

come creazione geniale e primo grande dono che egli offre alla madre. Seguendo<br />

un’equivalenza tra sessualità e stati mentali, le bocche imperano come protagoniste<br />

incontrastate tra scenari di esplorazioni e viaggi all’interno del corpo psichico.<br />

La fantasia inconscia è valorizzata come strumento di conoscenza privilegiato per<br />

avvicinare sia docente che alunno al mondo <strong>delle</strong> immagini e alla capacità di rêverie. Lo<br />

strumento per evocarlo è quello della lettura simbolica scelta quale traccia che conduce<br />

alla rappresentazione più evoluta della rappresentazione di sé.<br />

Ogni bimbo involontariamente ne ha suggerito la costruzione quando, lasciandosi<br />

guidare nell’immaginazione, ha dipinto tavolozze di colori, cioè pitture di segni e simboli<br />

rielaborati altrove in un contesto di supervisione tra formatrice e docenti.<br />

Il primo riconoscimento si rivolge al pensiero che ognuno di questi bimbi ignari ha avuto<br />

la possibilità di esprimere grazie alle loro insegnanti, a loro volta “guidate” nell’immaginifico<br />

mondo <strong>delle</strong> icone interiori.<br />

11 tavole dunque, di una pittura psichica che si dipana come un sillabario per leggere<br />

scene di teatri nascosti depositati negli strati arcaici della psyché: dallo scarabocchio di<br />

Winnicott (1), all’evocazione <strong>delle</strong> immagini (2), per scoprire l’inconscio (3) e<br />

avvicinarsi alle sue figure (4), donando senso all’attrazione inconscia per la paura (5)<br />

che il bambino esprime, accompagnandolo a s-coprire le <strong>paure</strong> (6), fra le quali imperano<br />

l’ingordigia, l’avidità, la bramosia della bocca che mangia (7) in un gioco di proiezioni<br />

che si rispecchiano fra loro ed in cui fragile appare la soglia fra chi mangia chi (8). A<br />

questo punto lo sguardo s’inoltra dentro il corpo interrogandosi sul destino della<br />

pulsione di cui è metafora il viaggio del cibo (9) e grandi interpreti le teorie sessuali<br />

infantili (10) ossia quel pensiero creativo, secondo Freud geniale, che riconosce nella difere-nza<br />

il cammino dal caos al cosmo (11).<br />

83


Strumenti e metodo: 11 Tavole di lavoro Lorena Fornasir<br />

Strumenti e metodo: 11 Tavole di lavoro<br />

Lorena Fornasir<br />

Due altri strumenti hanno dato il ritmo al lavoro:<br />

❏ Il brain storming - letteralmente tempesta di pensieri - è una modalità o tecnica<br />

grazie alla quale il gruppo produce un flusso di pensieri disorganizzati a partire da<br />

uno stimolo dato. È poi possibile organizzare questo patrimonio di idee, parole,<br />

associazioni secondo criteri logici come la classificazione, la similitudine ecc.<br />

❏ Il circle time è una precisa tecnica di conduzione circolare del gruppo in cui, ad<br />

esempio, una fiaba iniziata da un primo componente può essere continuata da un<br />

secondo, cui seguirà il terzo e così via. Ognuno dovrà tener conto di ciò che è stato<br />

detto dalla persona che lo ha preceduto aggiungendo la propria produzione,<br />

soluzione, opinione…<br />

Sono strumenti che garantiscono la cornice adatta per “contenere” la tempesta di<br />

emozioni e pensieri che, se lasciati fluire a sé stessi, rimarrebbero segni informi fluttuanti<br />

in uno spazio disorganizzato. In tal modo, invece, ogni bimbo può sperimentare la<br />

libertà d’esprimersi poiché c’é un “pensiero” che lo “tiene”, cioè una mente adulta che<br />

sa riconoscere, accettare e rispettare la sua carica espressiva.<br />

84<br />

1<br />

Giocando al gioco dello scarabocchio.<br />

Lo scarabocchio è una tecnica di gioco inventata da Winnicott nella terapia con i<br />

bambini: “il gioco che vorrei fare non ha nessuna regola. Prendo la matita e faccio così…tu<br />

mi fai vedere se ti sembra che assomigli a qualcosa o se lo puoi far diventare qualcosa, poi ne<br />

fai uno tu e io vedrò se posso fare qualcosa con il tuo” 2<br />

Lo scarabocchio non è solo una modalità di gioco terapeutico fra l’analista e il bambino.<br />

È una tecnica che stimola la creatività e, facendo parte di un gioco, stabilisce uno spazio<br />

ludico transizionale tra la madre e il bambino, tra il terapeuta e il piccolo paziente. Infatti,<br />

mentre la realtà interna ha una sua ubicazione nella pancia o nella mente o in altri confini<br />

dentro il corpo, e quella esterna è collocata fuori da tali confini, questa terza area di<br />

spazio è il territorio intermedio tra la realtà interiore e la realtà del mondo in cui si svolge<br />

l’eccitante esperienza dell’impulso creativo, motorio e sensoriale che dà al gioco la forma<br />

del proprio Sé. Gli scarabocchi sono come un sogno che può essere sognato e il foglio di<br />

carta è lo schermo di questo sogno.<br />

Modalità di lavoro<br />

In un contesto di classe sono proponibili due varianti:<br />

❏ l’insegnante traccia uno scarabocchio e chiede individualmente ad ogni alunno di<br />

continuare il disegno e trovare un titolo alla nuova figura compiuta<br />

❏ gli alunni riuniti attorno ad un cartellone partono da uno scarabocchio iniziale<br />

continuando collettivamente con tracce di disegno successive fino alla composizione<br />

di una figura finale. Ad ogni passaggio da un segno all’altro il bambino nomina ciò<br />

che sta inventando.<br />

Esempio della prima procedura tratto dal corso di formazione sulla “sessualità infantile e<br />

l’arte della fiaba”. Alle docenti era stato data la consegna di completare con una forma di<br />

fantasia il segno abbozzato:<br />

Ecco alcuni esempi di elaborazione sviluppati dalle insegnanti:<br />

sogno torta mantello<br />

2 D. W. Winnicott, “Esplorazioni psicoanalitiche”, pag. 3<strong>26</strong>, Raffaello Cortina Editore, Milano 1995<br />

maternità<br />

85


Strumenti e metodo: 11 Tavole di lavoro Lorena Fornasir<br />

Strumenti e metodo: 11 Tavole di lavoro<br />

Lorena Fornasir<br />

Obiettivo<br />

favorire il contatto con la parte creativa del proprio Sé<br />

aiutare il bambino nell’esperienza di dare “forma” a ciò che in lui è irrapresentato, così<br />

come una emozione può trovare la “forma” del pensiero<br />

86<br />

2<br />

Evocare le immagini.<br />

Modalità di lavoro: circle time<br />

Leggere o narrare la parte iniziale del racconto “Il piccolo principe” di Antoine De Saint<br />

Exupéry-<br />

Un tempo lontano, quando avevo sei anni, in un libro sulle foreste primordiali,<br />

intitolato «Storie vissute della natura», vidi un magnifico disegno. Rappresentava un<br />

serpente boa nell’atto di inghiottire un animale. Eccovi la copia del disegno. C’era<br />

scritto: «I boa ingoiano la loro preda tutta intera, senza masticarla. Dopo di che non<br />

riescono più a muoversi e dormono durante i sei mesi che la digestione richiede».<br />

Meditai a lungo sulle avventure della jungla. E a mia volta riuscii a tracciare il mio<br />

primo disegno. Il mio disegno numero uno era così:<br />

Mostrai il mio capolavoro alle persone grandi,, domandando se il disegno li<br />

spaventava. Ma mi risposero: «Spaventare? Perché mai uno dovrebbe essere spaventato<br />

da un cappello?». Il mio disegno non era il disegno di un cappello.<br />

Era il disegno di un boa che digeriva un elefante. Affinché vedessero chiaramente che<br />

cos’era, disegnai l’interno del boa. Bisogna sempre spiegargliele le cose ai grandi. Il<br />

mio disegno numero due si presentava così<br />

Consegna<br />

❏ L’attività di gruppo può iniziare dal disegno del cappello. L’insegnante riserva per<br />

un secondo momento, se opportuno, il disegno numero due e il finale del racconto.<br />

❏ Vanno poste ai bambini domande tipo:<br />

• cosa rappresenta il disegno numero uno<br />

87


Strumenti e metodo: 11 Tavole di lavoro Lorena Fornasir<br />

Strumenti e metodo: 11 Tavole di lavoro<br />

Lorena Fornasir<br />

• come mai il Piccolo Principe immagina che il suo disegno possa spaventare?<br />

❏ Chiedere ai bambini di disegnare, come se fossero al posto del Piccolo Principe,<br />

cosa c’è dentro il cappello<br />

Obiettivo<br />

❏ stimolare la capacità immaginativa<br />

❏ valorizzare le immagini come risorsa interiore e come fonte del pensiero.<br />

❏ aiutare il bambino a dare forma alle sue immagini: il disegno del cappello è una<br />

forma che contiene altre forme: quali?<br />

❏ sollecitare nel bambino il contatto con i contenuti <strong>delle</strong> fantasie: dentro il cappello<br />

c’è un vuoto o c’è un pieno? (il racconto ci dice che il cappello rappresenta la<br />

sagoma del serpente boa dentro cui c’è l’elefante che ha ingoiato), il dentro è<br />

inanimato o animato?<br />

❏ Evocare il tema dell’animato e dell’inanimato come costruzione di un pensiero<br />

sull’origine e come soglia tra ciò che è vivo e ciò che è morto, tra il manifestarsi e il<br />

celarsi, tra l’interno e l’esterno.<br />

88<br />

3<br />

Scoprire l’inconscio.<br />

Modalità di lavoro: individuale e di gruppo<br />

❏ agli alunni viene chiesto in modo anonimo di rispondere su un foglio alle seguenti<br />

domande:<br />

• cos’è per te il sogno? come lo definiresti<br />

• ricordi i tuoi sogni? come fai a sapere che sogni?<br />

• quali sono le scene o i personaggi o gli animali che più compaiono nei tuoi sogni?<br />

• quali sono gli animali o i personaggi dei tuoi sogni che ti fanno paura?<br />

❏ invitare ogni alunno a disegnare la storia della scena o dell’animale o del<br />

personaggio del sogno che più lo colpisce<br />

❏ va evitato di chiedere il racconto di un sogno che i bambini ricordano e che<br />

vorrebbero confidare. Il lavoro non deve mai riprendere aspetti personali che<br />

attengono al singolo bambino.<br />

❏ costruire, infine, un tazebao che riprenda le risposte individuali – i disegni dei<br />

sogni, animali o personaggi - i racconti elaborati.<br />

Obiettivo<br />

❏ favorire il confronto e la comunicazione sulle emozioni<br />

❏ permettere al bambino di accostarsi al mondo dell’inconscio<br />

❏ mettere il bambino in grado di rappresentare ciò che gli è sconosciuto<br />

(il perturbante secondo Freud)<br />

❏ consentire al bambino di raffigurarsi le figure interiori del suo mondo psichico<br />

attraverso il disegno, il racconto o altre forme espressive.<br />

89


4<br />

Strumenti e metodo: 11 Tavole di lavoro Lorena Fornasir<br />

Strumenti e metodo: 11 Tavole di lavoro<br />

Lorena Fornasir<br />

90<br />

Figure dell’inconscio.<br />

Modalità di lavoro: circle time<br />

L’insegnante sviluppa l’attività procedendo dai personaggi del sogno ai personaggi <strong>delle</strong><br />

fiabe come passaggio alla rappresentazione esterna del mondo interno<br />

Attività 1<br />

Agli alunni - disposti in circle time - viene chiesto di rispondere verbalmente alle<br />

sottoelencate domande, riportando in un tazebao le risposte<br />

❏ quali sono le fiabe che conosci?<br />

❏ quali sono i personaggi <strong>delle</strong> fiabe che conosci, come si chiamano? ti fanno paura?<br />

❏ cosa fa la strega <strong>delle</strong> fiabe?<br />

❏ cosa fa l’orco?<br />

❏ cosa fa il lupo mannaro?<br />

❏ quali altri animali conosci?<br />

❏ dove vivono i lupi mannari ? com’è il bosco dove vive la strega?<br />

Attività 2<br />

❏ Chiedere ai bambini - singolarmente - di disegnare a loro scelta un personaggio o<br />

un animale o un luogo o una scena <strong>delle</strong> fiaba che preferiscono. Tutti i disegni - in<br />

seguito - dovranno essere incollati in un grande tabellone<br />

❏ Chiedere ai bambini di raccontare la storia del disegno che hanno costruito<br />

guidandoli con domande tipo:<br />

❏ quale animale (o protagonista della fiaba) vorresti essere?<br />

❏ se tu fossi questo animale (o questo protagonista) cosa faresti?<br />

Obiettivo<br />

❏ riconoscere le emozioni che suscitano i personaggi <strong>delle</strong> fiabe, specchio dei<br />

personaggi interiori<br />

❏ aiutare il bambino a cogliere l’identificazione che sviluppa con il protagonista<br />

(animale o personaggio) da lui prescelto<br />

❏ orientare il bambino a cogliere i nessi e le associazioni tra l’animale (o il<br />

personaggio) prescelto e le sue caratteristiche (aggressività – timore – dolcezza…)<br />

❏ creare il collegamento tra le immagini e le pulsioni: è ad esempio evidente il legame<br />

che esiste tra la figura del lupo mannaro e la pulsione orale (mangiare e divorare)<br />

❏ favorire la visibilità tra spinte emotive primitive e loro rappresentazione esterna<br />

5<br />

L’attrazione inconscia della paura.<br />

Modalità di lavoro: circle time<br />

Consegna<br />

L’insegnante propone una fiaba che ha come protagonista un personaggio <strong>delle</strong> fiabe che<br />

mangia i bambini. La scelta dovrebbe cadere su un racconto che metta in rilievo le risorse<br />

del bambino (è il caso ad esempio di Pollicino) ad affrontare le avversità, il suo coraggio,<br />

la mancanza di paura di fronte ai pericoli che solitamente ogni bambino avverte.<br />

È interessante il racconto “Il fagiolo magico” tratto da Joseph Jacob che introduce il tema<br />

dell’orco, del bambino senza paura, dei riti di passaggio.<br />

Va tenuto presente che il bambino materializza la fantasia orale primitiva di divorare,<br />

strappare, bruciare, nel personaggio cattivo il quale, tuttavia, ritorce l’aggressività contro<br />

il bambino stesso che per primo l’ha espressa proiettandola fuori di sé e dentro di lui.<br />

Dunque:<br />

❏ l’orco che mangia i bambini è la figura immaginaria su cui si deposita per<br />

proiezione e trasposizione la pura di essere mangiati e dunque puniti<br />

❏ il bambino senza paura rappresenta il bisogno di trovare il “limite” alla propria<br />

onnipotenza<br />

Il “fagiolo magico” mantiene vive queste tematiche attraverso la figura dell’orco<br />

vendicativo che canta una filastrocca molto amata dai bambini:<br />

“ucci ucci!<br />

sento odor di cristianucci<br />

sento al naso un pizzicore, lo conosco questo odore,<br />

chi è nascosto proprio qui? me lo mangio lì per lì”<br />

Se il bimbo non trova nell’adulto il limite alla propria onnipotente credenza di sfidare<br />

l’orco, rischia di diventare un “bocconcino”.<br />

Attività<br />

❏ il tempo del racconto può non essere lineare bensì progressivo<br />

❏ l’insegnante inizia il racconto e, a suo giudizio, lo interrompe quando nel gruppo si<br />

crea una tensione (ansia – attesa – curiosità – paura – risate) relativa ad un<br />

passaggio significativo;<br />

❏ a questo punto gli alunni, seduti in cerchio, si danno la mano l’uno con l’altro e un<br />

bimbo - a caso – prosegue il racconto con la sua “costruzione immaginaria”. Chi<br />

sta accanto a detto bimbo continua a sua volta il racconto da dove il suo compagno<br />

lo ha terminato, e via così fino a quando la favola non si ritiene conclusa,<br />

❏ in seguito l’insegnante può riprendere la fiaba tradizionale e confrontarla, assieme<br />

ai bambini, al racconto da loro inventato.<br />

91


Strumenti e metodo: 11 Tavole di lavoro Lorena Fornasir<br />

Strumenti e metodo: 11 Tavole di lavoro<br />

Lorena Fornasir<br />

Obiettivo<br />

❏ raccontare, attraverso la fiaba, cosa succede nel mondo interno e <strong>delle</strong> fantasie<br />

❏ è presupposto un personaggio chiave - ad es. l’orco o il lupo mannaro - che svolge<br />

il ruolo di “mangiare” il bambino.<br />

❏ l’orco (o un personaggio similare) rappresenta la parte più avida, primitiva e orale<br />

che il bambino non riconoscendola la proietta fuori di sé, facendola assumere alla<br />

figura “cattiva” dell’orco o del lupo mannaro.<br />

❏ la grande paura di essere mangiato dall’orco o dal lupo è la paura che ogni<br />

bambino prova di fronte al suo istinto incorporativo<br />

❏ essa riflette la vendetta che si ritorce sul bambino stesso per aver desiderato e<br />

fantasticato di aggredire tutto il cibo buono che non gli appartiene (il cibo/mamma)<br />

92<br />

6<br />

Scoprire le <strong>paure</strong>.<br />

Modalità di lavoro: circle time<br />

Raccontare la storia di Giovannin senza paura, tratta da Italo Calvino:<br />

C’era una volta un ragazzetto chiamato Giovannin senza paura, perchè non aveva paura<br />

di niente. Girava per il mondo e capitò a una locanda a chiedere alloggio. - Qui posto<br />

non ce n’è, - disse il padrone, - ma se non hai paura ti mando in un palazzo. «Perchè<br />

dovrei aver paura?».<br />

“Perchè ci si sente, e nessuno ne è potuto uscire altro che morto. La mattina ci va la<br />

Compagnia con la bara a prendere chi ha avuto il coraggio di passarci la notte”.<br />

Figuratevi Giovannino!. Si portò un lume, una bottiglia e una salsiccia, e andò. A<br />

mezzanotte mangiava seduto a tavola, quando dalla cappa del camino sentì una: “Butto”?<br />

E Giovannino rispose: «Butta!». Dal camino cascò giù una gamba d’uomo. Giovannino<br />

bevve un bicchier di vino. Poi la voce disse ancora: “Butto?”. E Giovannino: «E butta!»<br />

- e venne giù un’altra gamba. Giovannino addentò la salsiccia. “Butto?”. «E butta!» e<br />

viene giù un braccio. Giovannino si mise a fischiettare. “Butto?”. «E butta!» - un altro<br />

braccio - “Butto?”. «Butta!». E cascò un busto che si riappiccicò alle gambe e alle braccia,<br />

e restò un uomo in piedi senza testa. “Butto?”. « Butta!». Cascò la testa e saltò in cima<br />

al busto. Era un omone gigantesco, e Giovannino alzò il bicchiere e disse: «Alla salute!».<br />

L’omone disse: “Piglia il lume e vieni”. Giovannino prese il lume ma non si mosse. “Passa<br />

avanti!” - disse l’uomo. «Passa tu» - disse Giovannino. “Tu!” - disse l’uomo. «Tu!» disse<br />

Giovannino. Allora l’uomo passò lui e una stanza dopo l’altra traversò il palazzo, con<br />

Giovannino dietro che faceva lume. In un sottoscala c’era un porticina. “Apri!” – disse<br />

l’uomo a giovannino. E Giovannino: «Apri tu!». E l’uomo aperse con una spallata. C’era<br />

una scaletta a chiocciola. “Scendi” – disse l’uomo. «Scendi prima tu» disse Giovannino.<br />

Scesero in un sotterraneo, e l’uomo indicò una lastra in terra. “Alzala”. «Alzala tu» disse<br />

Giovannino, e l’uomo la sollevò come fosse stata una pietruzza. Sotto c’erano tre<br />

marmitte d’oro. “Portale su” – disse l’uomo. «Portale su tu!» disse Giovannino. E l’uomo<br />

se le portò su una per volta. Quando furono di nuovo nella sala del camino, l’uomo disse:<br />

“Giovannino l’incanto è rotto!”. Gli si staccò una gamba e scalciò via, su per il camino.<br />

“Di queste marmitte una è per te” - e gli si staccò un braccio e s’arrampicò per il camino.<br />

“Un’altra è per la Compagnia che ti verrà a prendere credendoti morto” – e gli si staccò<br />

anche l’altro braccio e inseguì il primo. “La terza è per il primo povero che passa” – gli<br />

si staccò l’altra gamba e rimase seduto per terra. “Il palazzo tienilo pure tu” – e gli si<br />

staccò il busto e rimase solo la testa posata in terra. “Perché dei padroni di questo<br />

palazzo, è <strong>perduta</strong> per sempre ormai la stirpe” – e la testa si sollevò e salì per la cappa del<br />

camino. Appena schiarì il cielo, si sentì un canto: Miserere mei, miserere mei, ed era la<br />

Compagnia con la bara che veniva a prendere Giovannino morto. E lo vedono alla<br />

finestra che fumava la pipa. Giovannin senza paura con quelle monete d’oro fu ricco e<br />

abitò felice nel palazzo.<br />

93


Strumenti e metodo: 11 Tavole di lavoro Lorena Fornasir<br />

Strumenti e metodo: 11 Tavole di lavoro<br />

Lorena Fornasir<br />

Finché un giorno non gli successe che, voltandosi, vide la sua ombra e se ne spaventò<br />

tanto che morì.<br />

Lavoro di gruppo<br />

❏ Stimolare i bambini con alcune domande tipo:<br />

• è proprio vero che i bambini non hanno mai paura?<br />

• quali azioni compie Giovannin per non avere paura?<br />

• come mai Giovannin che non ha paura di nulla, muore di spavento vedendo la sua<br />

ombra?<br />

❏ Costruire un grande cartellone con tutte le risposte usando colori, bigliettini,<br />

disegni, altro<br />

❏ Disegnare la figura dell’ombra e chiedere individualmente ad ogni bambino che<br />

racconti ciò che lui sa della sua ombra.<br />

Obiettivo<br />

Aiutare il bambino a scoprire in sé emozioni che ama e che teme: la paura e l’attrazione<br />

della paura. La guida a questa ricerca deve rispondere ad interrogativi quali: come mai<br />

ogni bambino s’identifica quasi sempre con “il bambino senza paura”? qual è la funzione<br />

di questa mancanza della paura? e in base a quale bisogno egli va in cerca, impavido, dei<br />

pericoli? la paura, quando sorge, è solo paura o è anche un richiamo, un appello all’adulto<br />

(e quale appello?). Se così fosse, l’attrazione della paura potrebbe essere la ricerca da parte<br />

del bambino di trovare un adulto capace di pensarlo e di “avere in testa” i suoi bisogni?<br />

94<br />

7<br />

La bocca che mangia.<br />

gioco di libere associazioni sulla parola<br />

mangiare<br />

dal lat. manducare: masticare<br />

dal greco ϕαγειν: masticare - divorare<br />

dal “Dizionario dei sinonimi della lingua italiana” di Niccolò Tommaseo 1 ,<br />

mangiare, masticare, biasciare, biascicare,<br />

rodere rosicare, rosicchiare, corrodere, corrosione, rodimento,<br />

boccone, boccata, morso, bocconcello, bocconcino, bocconcetto<br />

sbreccato, smussato, avanzo, rifiuto<br />

assaggiare, gustare, disgusto, disappetenza, inappetenza<br />

fame, appetito, appettenza<br />

cenetta, cenino, cenuccia, cenina<br />

convito, convivio, simposio, banchetto<br />

stravizzo, bagordo, orgia, crapula<br />

mangiata, scorpacciata, mangeria<br />

mangiatore, mangione, mangiapane, pappone, pappatore, pacchione<br />

gola, golo, goloso, colaccia, ghiotto, ghiottone<br />

leccone, leccatore, leccapiatti<br />

lecconerie, leccume<br />

goloso, ingordo, chiotto, vorace<br />

saziare, empire, sazio, saturo, satollo<br />

digerire, smaltire, concuocere, ingozzare<br />

recere, vomitare, rigettare<br />

Modalità di lavoro<br />

❏ lavorare con l’intero gruppo classe<br />

❏ utilizzando la modalità del brain storming riportare in un cartellone tutti i termini<br />

che ai bambini vengono in mente sulla parola mangiare<br />

❏ dal brain storming selezionare, assieme agli alunni, <strong>delle</strong> aree in cui mettere insieme<br />

gruppi di termini simili. Ad esempio:<br />

• area del mangiare che si riferisce a funzioni del corpo<br />

• area del mangiare che si riferisce alle sensazioni tipo: piacere o gusto o rifiuto ecc.<br />

• area del mangiare che richiama oggetti, tipo: coltello, forchetta, ecc.<br />

• area del mangiare che evoca sentimenti (amore, rabbia,…) e fantasie<br />

Niccolò Tommaseo, Dizionario dei Sinonimi della lingua italiana, Ferdinado Bideri editore, Napoli 1912.<br />

95


Strumenti e metodo: 11 Tavole di lavoro Lorena Fornasir<br />

Strumenti e metodo: 11 Tavole di lavoro<br />

Lorena Fornasir<br />

❏ ogni area sarà contrassegnata da un’etichetta di colori diversi<br />

❏ a questo punto, il gruppo classe viene suddiviso in gruppi. Un gruppo ottimale è<br />

composto da 4-6 bambini<br />

❏ chiedere al gruppo di bambini di:<br />

• scegliere un colore, cioè un’area<br />

• inventare con i termini che appartengono a quel colore (area) una storiella<br />

La consegna dovrebbe essere sempre rivolta al gruppo dei bambini. Il gruppo, infatti,<br />

“scagiona” il singolo e si dà una legittimità nel “costruire le storie del mangiare” (il<br />

mangiare mangia, divora, rosicchia, spezzetta…)<br />

Obiettivo<br />

❏ Stimolare nel bambino le libere associazioni aiutandolo a donare una forma ed un<br />

contenuto a quella che sarebbe una emissione disarticolata di parole che trasportano<br />

un’aggressività invisibile ma forte.<br />

❏ Accostare il bambino ai contenuti aggressivi nascosti dentro le parole e sostenuti dalle<br />

fantasie che egli, inconsapevolmente, espliciterà nel racconto della storia<br />

96<br />

8<br />

Chi mangia chi.<br />

gioco di libere associazioni sulla parola<br />

mangiare<br />

Consegna n.2<br />

In questo secondo tempo della consegna, le azioni associate al “mangiare” vanno attribuite<br />

a dei personaggi di fiaba famosi perché, appunto, “mangiano”: divorano i bambini,<br />

li inghiottono, li fanno sparire nella pancia…<br />

❏ l’insegnante costruisce assieme ai bambini una breve storia che ha come protagonista<br />

il “personaggio” che mangia<br />

❏ utilizzando termini o parole tratte dal precedente lavoro sul “mangiare”<br />

La costruzione di un breve racconto può avvenire a partire dalla selezione di un<br />

personaggio e dalla selezione dell’area prescelta con un colore.<br />

In un esempio tratto dalla Formazione il personaggio scelto fu Mangiafuoco e l’azione<br />

individuata l’ingoiare; il testo che ha condensato figura e azione è stato il seguente:<br />

“Mangiafuoco ingoia un topo che gli rosicchia l’ugola”<br />

Obiettivo<br />

❏ Attraverso i personaggi <strong>delle</strong> fiabe e le loro azioni, porre in grado il bambino di dare<br />

voce e un volto alle pulsioni, fra cui quella orale, che lo abitano in modo irrapresentato<br />

❏ Ciò gli può consentire di esprimere la direzione e la carica della pulsione orale: il<br />

mangiare è associato alla capacità d’introiettare, trattenere, trasformare, creare? O<br />

distruggere (come la casetta di marzapane di Hansel e Gretel)? Il cibo è alimento<br />

(psichico) che nutre o alimento che avvelena (come la mela di Biancaneve)?<br />

97


9<br />

Modalità di lavoro: individuale<br />

Consegna<br />

❏ l’insegnante assegna agli alunni il compito di costruire un’immagine del cibo che<br />

viaggia all’interno del corpo<br />

❏ l’alunno dovrà poi scrivere una breve storia di questo “viaggio del cibo nel corpo”<br />

❏ tutti i disegni e le storie andranno raccolte in un grande tazebao<br />

condizioni: nessuna<br />

tempo: 30 minuti<br />

Strumenti e metodo: 11 Tavole di lavoro Lorena Fornasir<br />

Strumenti e metodo: 11 Tavole di lavoro<br />

Lorena Fornasir<br />

98<br />

Il viaggio del cibo.<br />

materiale: carta e colori<br />

Obiettivo<br />

❏ utilizzare la trasformazione come categoria generale della creatività e l’esplorazione<br />

nel corpo o il viaggio del cibo come metafora creativa della nascita: evacuazione<br />

(come la pipì, cacca assimilabili alle eiezioni psichiche) o parto (come il bambino,<br />

secondo la nota equazione freudiana di cacca = pene = bambino) ?<br />

❏ il cibo è la metafora figurata della fecondazione orale secondo una <strong>delle</strong> più note<br />

teorie sessuali infantili<br />

❏ il viaggio del cibo è la rappresentazione simbolica dei destini del nutrimento<br />

(psichico): il bambino può lasciarsi fecondare dal cibo, lo può trasformare, espellere,<br />

perdere o lasciare, ri-creare utilizzando le sue potenzialità immaginative.<br />

❏ esplorare la natura inconscia degli investimenti erotico-anali e sadico-anali per<br />

comprendere le potenzialità creative del bambino. Infatti, la componente anale che<br />

si esprime nel modo in cui il bambino fa concludere il viaggio del cibo ha un ruolo<br />

fondamentale. La prima “creazione” che egli offre a chi si prende cura di lui è<br />

l’oggetto fecale, con tutti i significati che si associano immancabilmente alla attività<br />

anale e alla fantasia creativa. La “creazione” è dunque fortemente condizionata dalle<br />

risorse del piccolo genio-creatore di proseguire, trasformare, sublimare, ri-creare le<br />

sue “produzioni”.<br />

10<br />

Modalità di lavoro: individuale<br />

Consegna<br />

❏ viene chiesto all’alunno d’impegnarsi a ricordare una sua antica teoria riguardante la<br />

nascita dei bambini. Se ciò non gli è possibile, può fantasticare d’essere ora un bimbo<br />

piccolo e inventarsi la storia della propria nascita. L’immagine che realizzerà dovrà<br />

essere disegnata<br />

❏ tutti i disegni vanno raccolti in un grande tazebao<br />

❏ in un secondo tempo, i disegni che esprimono teorie simili (es. nascere dall’intestino<br />

o nascere sotto il cavolo) vanno raggruppati secondo un colore<br />

❏ ad ogni colore va assegnato il nome (tipo: bocca, pancia, intestino, sala parto…) a<br />

seconda del modo con cui è rappresentata la nascita<br />

❏ ogni nome rappresenterà una “teoria sessuale infantile”<br />

Condizioni: nessuna<br />

Tempo: 30 minuti<br />

Teorie sessuali infantili.<br />

Materiale: carta e colori<br />

Obiettivo<br />

❏ valorizzare l’immagine ludica creativa circa il personale sapere interiore sull’origine<br />

❏ collegamento tra le teorie sessuali infantili e le personali teorie sollecitate<br />

nell’attuale dal “sentimento di abitare il proprio corpo sessuato”<br />

99


11<br />

Strumenti e metodo: 11 Tavole di lavoro Lorena Fornasir<br />

Strumenti e metodo: 11 Tavole di lavoro<br />

Lorena Fornasir<br />

Dal Caos al Cosmo.<br />

Modalità di lavoro:<br />

l’attività è rivolta a soli alunni della V elementare. Il lavoro di gruppo va condotto<br />

con la modalità del circle time. Agli alunni viene distribuito il testo del dialogo<br />

mentre l’insegnante organizzerà la discussione<br />

Consegna:<br />

leggere in gruppo il dialogo tra Erissimaco ed Aristofane tratto dal “Simposio” di Platone<br />

“…a me pare che gli uomini non abbiano assolutamente capito la potenza dell’amore; se<br />

l’avessero compresa, gli avrebbero edificato i templi più grandi…Ma preliminarmente voi<br />

dovete comprendere la natura umana e i suoi casi. Ebbene in antico la nostra natura non era<br />

la stessa di ora, bensì era diversa. In principio i sessi degli esseri umani erano tre, non due come<br />

adesso, maschile e femminile, ma in più ce n’era un terzo, che partecipava del maschile e<br />

femminile; ora è scomparso, anche se ne resta il nome…In quel tempo infatti c’era il sesso<br />

androgino, che condivideva la forma e il nome di entrambi, il maschile e il femminile, ma<br />

ora non ne resta appunto che il nome, usato in senso dispregiativo. In secondo luogo la figura<br />

di ciascuna persona era tutta rotonda, con il dorso e i fianchi formanti un cerchio, e aveva<br />

quattro mani e altrettante gambe, e sopra il collo tondo altrettante facce simili in tutto;…E<br />

camminavano in posizione eretta, come ora, ma quando si mettevano a correre, si lanciavano<br />

in tondo reggendosi sulle otto membra, come i saltimbanchi quando danzano in cerchio<br />

facendo la ruota con le gambe levate in su. E i sessi erano tre, in quanto il maschio ebbe origine<br />

dal sole, la femmina dalla terra, e il terzo sesso, che aveva elementi in comune con gli altri<br />

due, dalla luna, che partecipa appunto della natura del sole e della terra. Essi erano tondi, e<br />

tondo il loro modo di procedere, per somiglianza con i loro progenitori. Così erano terribili per<br />

forza e per vigore, e avevano ambizioni superbe, e attaccarono gli dei, e come dice Omero, si<br />

tramanda che tentarono di scalare il cielo, per assalire gli dei. Allora Zeus e gli altri<br />

discutevano su cosa fare di loro, ed erano nel dubbio: non potevano ucciderli e far scomparire<br />

la loro razza…giacché in tal caso sarebbero scomparsi anche gli onori e i sacrifici che gli<br />

uomini tributavano loro – né potevano lasciare che si scatenassero liberamente. Finalmente<br />

Zeus ebbe un’idea e disse: “credo di aver trovato il modo perché gli uomini possano continuare<br />

ad esistere rinunciando però, una volta diventati più deboli, alle loro insolenze. Adesso li<br />

taglierò in due uno per uno, e così si indeboliranno e nel contempo, raddoppiando il loro<br />

numero, diventeranno più utili a noi; e cammineranno eretti su due gambe. Se vedrò che<br />

continuano a imperversare e non intendono stare tranquilli, allora li taglierò nuovamente in<br />

due, di modo che debbano muoversi saltellando su una gamba sola”. Detto questo, cominciò a<br />

tagliare gli uomini in due, come si fa con le sorbe prima di metterle sotto sale…e dava ordine<br />

ad Apollo di girare la faccia e la metà del collo dalla parte del taglio…; poi ordinò che li<br />

medicasse. E Apollo girò la loro faccia, e tirando da ogni parte la pelle verso quello che ora si<br />

100<br />

chiama ventre, come si fa con le borse strette da un nodo, vi praticò una sola bocca<br />

annodandola nel mezzo del ventre, quello che ora si chiama ombelico…Ordunque, allorché la<br />

forma originaria fu tagliata in due, ciascuna metà aveva nostalgia dell’altra e la cercava; e<br />

così gettandosi le braccia intorno e annodandosi l’una all’altra per il desiderio di<br />

ricongiungersi nella stessa forma, morivano di fame e anche di inattività, poiché l’una non<br />

intendeva far nulla separata dall’altra…Allora Zeus si impietosì ed escogitò un altro<br />

stratagemma: trasferì sul davanti le parti genitali che fino a quel momento tenevano<br />

anch’esse all’esterno, e del resto non generavano né partorivano l’uno nell’altro bensì in terra,<br />

come le cicale – così dunque le trasferì sul davanti e fece sì che grazie ad esse generassero gli<br />

uni negli altri, mediante il sesso maschile dentro quello femminile, allo scopo che, nell’amplesso,<br />

se un uomo si imbatteva in una donna, generassero e ne avessero la discendenza… Pertanto<br />

ciascuno di noi, in quanto è stato tagliato come si fa con le sogliole, è la metà, il contrassegno,<br />

di un singolo essere; e naturalmente ciascuno cerca il contrassegno di se stesso. Di conseguenza<br />

gli uomini che sono il risultato del taglio di quell’insieme che allora si chiamava androgino,<br />

amano le donne,…e parimenti le donne amano gli uomini. Invece le donne che provengono<br />

dal taglio di donne, provano scarsa inclinazione verso gli uomini, ma tendono piuttosto verso<br />

altre donne…Infine quelli che sono taglio di maschio vanno a caccia dei maschi… così quando<br />

uno si imbatte nella propria metà d’un tempo, ecco che essi sono idicibilmente assaliti da<br />

affetto, intimità, passione, tanto da non volersi staccare gli uni dagli altri nemmeno per un<br />

istante. E questi sono coloro che rimangono insieme per tutta la vita, senza neppure saper dire<br />

che cosa vogliono che uno riceva dall’altro. Infatti non sembra assolutamente trattarsi del<br />

rapporto sessuale, come se stessero insieme l’uno accanto all’altro con tanta passione in vista di<br />

questa soddisfazione; in realtà è chiaro che l’anima di ciascuno dei due desidera qualcos’altro,<br />

che non sa esprimere…cioè congiungersi e fondersi con l’amato per diventare una cosa sola. E<br />

la ragione è appunto che la nostra natura originaria era quella, ed eravamo interi. Dunque<br />

al desiderio e alla ricerca dell’intero si dà nome amore…amore è per noi guida e generale” 3 .<br />

❏ la lettura del testo colpisce l’immaginazione dei bambini soprattutto per due particolari:<br />

• la figura del mostro primordiale che osò assalire gli dei<br />

• l’esistenza del CAOS iniziale e dell’ORDINE che s’instaura dopo la separazione dalla<br />

TOTALITÀ<br />

❏ a seconda della maturità della classe e del coinvolgimento dimostrato, l’insegnante<br />

può proporre sia<br />

• le libere associazioni che emergono dopo la lettura e coordinare una discussione<br />

• costruire il brain-stormin rispetto ai termini CAOS e COSMO organizzando il<br />

pensiero del gruppo attorno a queste due categorie che rappresentano l’ISTINTO e<br />

la RAGIONE<br />

Obiettivo<br />

❏ riflessione sul mito: significato di caos e cosmo considerati come metafore del mondo<br />

interno;<br />

❏ riflessione sull’origine: la sessualità è origine e l’origine rievoca il caos primordiale ma<br />

anche il bisogno di un “Ordine”;<br />

3 in Platone, “Simposio”, pag 139-149, BUR, Milano 1985<br />

101


Strumenti e metodo: 11 Tavole di lavoro<br />

❏ l’“Ordine” s’identifica con la possibilità di governare con la ragione la pulsionalità del<br />

mondo interno;<br />

❏ è questa la tematica in cui si trova coinvolto il bambino della pubertà.<br />

102<br />

Lorena Fornasir<br />

Parte Seconda


L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />

Introduzione al lavoro didattico*<br />

Il lavoro didattico, che ha coinvolto noi insegnanti, segue uno schema metodologico:<br />

sono state esposte le finalità, gli obiettivi, i materiali, le attività. I vari articoli qui di<br />

seguito presentati sono stati elaborati e arricchiti di significati personali, “raccontano” la<br />

nostra esperienza scolastica.<br />

Entrare nella “RICERCA DEL MONDO” per tutte noi è stato il punto di partenza,<br />

passando per “L’INCONSCIO, IL BOSCO, IL MISTERO” che vuole essere la scoperta<br />

della parte più interiore : il BOSCO.<br />

Attraverso la fiaba, rappresentazione del nostro mondo interno, l’immaginazione, il<br />

sogno, la relazione con gli animali, ci fa arrivare al “MISTERO È DENTRO DI NOI,<br />

IL MISTERO È NELLA FIABA”, ritrovandoci nella fantasia inconscia.<br />

La fiaba “HANSEL E GRETEL” rappresenta il teatro dei fantasmi dell’oralità dove il<br />

bambino piccolo gioca il suo impulso epistemofilico avvicinandosi al mondo della conoscenza.<br />

Ma bisogna fare i conti anche con “INCONTRI CON L’O<strong>MB</strong>RA” dove i bambini,<br />

sempre attraverso la lettura di ‘Giovannino senza paura’, si relazionano con il “ci si sente”<br />

e “l’ombra di Giovannino” e dove le insegnanti spostano l’attenzione verso “il corpo che<br />

cambia”: una presa di coscienza di se stessi in continua evoluzione supportata da docenti<br />

che percorrono strane scale in salita e in discesa, insieme ai loro alunni, verso una crescita<br />

dell’IO CHE DIVIENE.<br />

Con “Giovannino senza paura” in “SENTIERI DI O<strong>MB</strong>RE E DI LUCE” i bambini si<br />

animano attraverso sogni, fobie e fantasmi; esprimono i loro veri pensieri all’insegnante<br />

che contiene e che provvede a lenire la pena psichica.<br />

Ma con il Viaggio del cibo e ancor prima con “LE BOCCHE CHE MANGIANO” e con<br />

il “mangiare”, le rappresentazioni del mondo interiore dei bambini andavano da noi<br />

insegnanti aiutate a prendere aspetto sotto forma di “pensiero”. Ecco perché “LA<br />

MATERIA DELL’ORIGINE” può essere ASSIMILATA e parte TRASFORMATA<br />

attraverso una “spirale” che porta all’espressione autentica della creatività.<br />

“L’ESPLORAZIONE DEL CORPO” asseconda il suo istinto epistemofilico e la sete di<br />

conoscenza.<br />

* Gianna Stellino - docente Scuola Elementare.<br />

105


L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong> Lorena Fornasir<br />

Punto di partenza di tutte le nostre attività è stato quello di rappresentare attraverso<br />

disegni <strong>delle</strong> “immagini interiori” un mettere ordine al mondo interno (CAOS) fatto di<br />

emozioni esplosive di atteggiamenti istintivi.<br />

Con “IL VIAGGIO DEL PENSIERO” i bambini sono stati sollecitati ad una elaborazione<br />

personale sul “pensiero”, mettendo in evidenza il suo formarsi e la sua trasformazione.<br />

Con “LE FANTASIE SULLA NASCITA” i bambini ci raccontano scene immaginarie<br />

più o meno note a noi adulti, tipiche del periodo di latenza ossia dell’età in cui<br />

frequentano la scuola elementare. I vari elaborati hanno dato la possibilità di osservare,<br />

precisare, organizzare ed arricchire le conoscenze di ognuno, come anche di fondere le<br />

conoscenze scientifiche con il contesto affettivo personale.<br />

L’ esprimere apertamente ciò che ciascun bambino porta dentro di sé su un argomento<br />

così importante come “LA STORIA IMPOSSIBILE” li aiuta, come dicono le stesse<br />

insegnanti, .<br />

Dal CAOS della latenza ad un riconoscimento del COSMO con le sue regole e le sue<br />

differenziazioni, che portano ad una crescita emotiva-cognitiva in equilibrio tra loro.<br />

106<br />

Scuola Elementare Madre Teresa di Calcutta<br />

Cecchini di Pasiano<br />

L’inconscio, il bosco, il mistero<br />

Laura Altan - Flavia Bidoia - Ornella Galluzzo


E... finali <strong>delle</strong> fiabe<br />

L’inconscio, il bosco, il mistero<br />

Sogni - Paure - Sortilegi - Fantasmi<br />

Sembrava che proporre fiabe alla classe quinta, fosse cosa da piccoli e che l’attività sulla<br />

sessualità infantile attraverso la narrazione e l’elaborazione <strong>delle</strong> fiabe, potesse essere<br />

sottovalutata dai nostri ragazzi che si atteggiavano ad adolescenti e si confrontavano le<br />

marche di jeans e scarpe da ginnastica, quasi sempre firmati.<br />

Invece, il risentire le storie dell’infanzia, avendo la possibilità di cambiarle a proprio<br />

piacimento, aggiungendo particolari personali, ha entusiasmato tutto il gruppo. Ha fatto<br />

riscoprire il piacere di modellare una realtà di propria mano, realtà che arriva da lontano,<br />

spesso dal mondo dei sogni.<br />

E, quando si parla di sogni, bisogna lasciar scorrere il flusso della fantasia, far affiorare le<br />

immagini… non c’è da ragionare, da spiegare… da seguire il filo logico, non si parla di<br />

giusto o sbagliato. In questo caso, bisogna saper saltare da un posto all’altro, o come ci<br />

insegna la psicoanalisi, “fluttuare”, da un tempo ad uno diverso…<br />

Abilità concesse all’immaginazione. La storia poteva così assumere la REALTÀ che<br />

ognuno voleva assegnarle. La narrazione doveva svolgersi in un clima che favorisse<br />

l’evocazione di immagini, perciò si rendeva necessario un sottofondo musicale<br />

stimolante, che avesse i toni forti e concitati da far pensare a inseguimenti e nascondigli<br />

e che non mancassero quelli sussurrati e languidi che evocassero il riposo, “la quiete dopo<br />

la tempesta”, il meritato premio dell’eroe.<br />

Abbiamo scelto un’Overture di Rossini e, dopo un iniziale ascolto silenzioso, ci siamo<br />

messi in cerchio e abbiamo iniziato a narrare. Dopo pochi attimi, fa capolino la Baba<br />

Yaga… i ragazzi la conoscono, la sua storia era già stata raccontata in altre occasioni, ed<br />

ora, nel circle time, è la favorita. L’atmosfera suggerita dai bambini è quella di una foresta<br />

misteriosa e buia, dove c’è un groviglio di cespugli e i rami sono tutti intricati tra loro.<br />

Nel bel mezzo della foresta vive, in attesa <strong>delle</strong> sue prede, la paurosa strega. I bambini,<br />

l’uno accanto all’altro, esprimono spontaneamente, senza rispettare turni fissi e, solo se<br />

lo vogliono, ciò che sentono arrivare da quelle note. Paura? Mistero?<br />

“…Un bambino corre, sta scappando…come nei sogni che faccio la notte, sogni che mi<br />

spaventano..”<br />

“…Qui c’è un temporale…adesso è tutto scuro…”<br />

“…Adesso la strega l’ha visto, lo sta per prendere, ma c’è una trappola…”<br />

In quel luogo immaginario può accadere di tutto, ma, alla fine, il bambino che scappa,<br />

trova un riparo, al sicuro, lontano dalla Baba Yaga. Il circle time finisce, la musica<br />

continua in un tono più soffuso, ed ognuno, raccolti colori e pennelli, dà forma alle sue<br />

* LE AUTRICI<br />

Altan Laura - docente di scuola elementare - insegna matematica, scienza e musica<br />

Bidoia Flavia – docente di scuola elementare - insegna antropologia e musica<br />

Galluzzo Ornella – docente di scuola elementare - insegna lingua italiana, antropologia, educazione all’immagine<br />

109


L’inconscio, il bosco, il mistero<br />

fantasie, attraverso le immagini che sente più sue. Si usano i colori a tempera, si mischiano<br />

tonalità e si provano nuove sfumature. Si cercano colori da sovrapporre, forme<br />

inconsuete. Dai colori e dalle forme, nascono parole nuove: le parole dei sogni… <strong>delle</strong><br />

<strong>paure</strong> celate… dei timori nascosti… sopraggiunge il desiderio di raccontare quelle nuove<br />

forme, di dare una voce a quei colori e, con naturalezza, vengono composte brevi frasi,<br />

poesie, per raccontare frammenti di vissuti interiori che forse mai avremo conosciuto in<br />

altro modo. A chiamarle poesie, siamo noi oggi, che, mentre le rileggiamo, fuori dal<br />

contesto classe, ci accorgiamo che sono dei capolavori di autenticità e “drammaticità”. La<br />

drammaticità del crescere tra una scoperta e l’altra, tra le parole che si dicono e quelle che<br />

ognuno pensa di dover tenere per sé. Parole che pesano nella solitudine interiore e che si<br />

alleggeriscono quando escono dalle labbra e vengono raccontate a qualcuno che è pronto<br />

a sentirle.<br />

Nell’aria diventano più leggere; guardandoci, quando la “lezione” è finita, ci sorridiamo<br />

per tutte queste cose che ci accomunano.<br />

al buio vedo…<br />

facce tenebrose,<br />

io scappo,<br />

il mio cuore sta morendo…<br />

aiuto, aiuto!<br />

vedo un chiarore<br />

ma anche quelle facce<br />

che a me<br />

hanno fatto una minaccia<br />

le ombre mi spaventano<br />

la strega e il suo lupo fedele,<br />

inseguono qualcuno per ucciderlo.<br />

mi immagino di essere io<br />

quello rincorso…<br />

finché non mi prende<br />

e mi trasforma in lupo.<br />

il lupo è il mio animale preferito,<br />

però…<br />

non vorrei la parte crudele del lupo:<br />

cioè<br />

uccidere per piacere.<br />

sogno di un cane che mi morsica,<br />

io vado nell’al di là.<br />

nell’al di là<br />

incontro un ladro<br />

che mi brucia…<br />

due occhi mi perseguitano,<br />

io scappo,<br />

corro<br />

mi nascondo,<br />

ma loro mi inseguono ancora…<br />

ed io…non resisto più.<br />

110<br />

una forma di vita<br />

non identificata<br />

mi dice “numeri e lettere”<br />

mi sgrida,<br />

mi insegue…<br />

io ho paura… immerso nella nebbia.<br />

mi fa paura essere rapita,<br />

portata in un’altra dimensione…<br />

ed essere intrappolata<br />

per sempre,<br />

dal diavolo…<br />

e incontrare un defunto<br />

o un fantasma…<br />

io ho paura di alzarmi<br />

e di non trovare più<br />

i miei genitori e mio fratello<br />

oppure<br />

di essere rapita da un’anima<br />

o da un defunto.<br />

io scappo per non farmi prendere<br />

e poi mi prendono…<br />

mi portano insieme a Baba Yaga,<br />

nella loro casa c’è un inferno…<br />

con le loro unghie<br />

mi strappano il cuore<br />

e altre torture!<br />

brrr…che schifo<br />

Le pitture, fatte di getto, direttamente con il colore, sono l’insieme di grandi bocche<br />

sanguinanti con cavità oscure o ghignanti. I denti assumono le forme più strane. Ci sono<br />

grandi occhi indagatori, occhi sospesi nell’aria o appiccicati alle chiome scure degli alberi.<br />

Occhi spesso spalancati, per lo più rossi o gialli, minacciosi, immersi nella notte a far<br />

luccicar la foresta.<br />

A volte gli alberi stessi muovono le radici che diventano piedi o aprono i rami-braccia per<br />

afferrare lo sprovveduto bambino che passa di là. In alcune pitture, sono gli occhi<br />

spalancati di un mostro che si stagliano nel buio e sovrastano l’intera foresta; in altre sono<br />

quelli “velenosi” di un animale feroce o quelli insaziabili della vorace strega. I paesaggi<br />

sono tetri, i bambini disegnati assumono l’aspetto di sagome con pochi particolari, quasi<br />

ombre spaventate, inseguite da figure nere.<br />

Sono le streghe che volano, si appostano dietro agli alberi, attendono insidiose, le<br />

prede…<br />

Quando si mostrano, a volte, assumono la forma di uccellacci o grandi ragni.<br />

Nelle pitture, emerge la paura più diffusa: quella di essere divorati. Ovvero di perdersi, di<br />

non avere più un posto, un nome…di non esserci.<br />

ESPERIENZA E INCONSCIO<br />

Accanto alla storia dei fatti che ricordiamo, c’è la storia <strong>delle</strong> emozioni, degli stati<br />

d’animo…dei rifiuti e <strong>delle</strong> delusioni, <strong>delle</strong> gioie e dei dolori, <strong>delle</strong> “ partite vinte e di<br />

quelle perse”.<br />

Tutte le tracce mnestiche che fanno parte del tessuto <strong>delle</strong> relazioni primordiali(madrebambino-ambiente),<br />

si depositano negli strati più arcaici della psiche e saranno le <strong>paure</strong>,<br />

nel corso della vita, ad evocarle in forma di fantasmi, immaginazione, fantasie.<br />

Tutte queste figure dell’inconscio, accompagnano l’essere nel suo destino, manifestandosi<br />

attraverso la ricerca del piacere e la tolleranza alla frustrazione.<br />

Conoscendo il valore da attribuire all’inconscio e sapendo che esso è la parte meno<br />

visibile di noi, ma che ci abita completamente (con i sogni, le fantasie) le immagini, si è<br />

ritenuto importante iniziare il lavoro sulla sessualità infantile, con un brain storming sulla<br />

parola INCONSCIO.<br />

In tal modo, si sono potute conoscere le idee preesistenti rispetto a tale concetto e,<br />

discutendone in gruppo, ognuno ha avuto modo di modificare le proprie conoscenze<br />

attraverso il confronto con quelle dei compagni, senza anticipazioni o forzature. Ogni<br />

alunno così, ha potuto sperimentare l’accesso a quel mondo profondo e sconosciuto, e,<br />

secondo la propria esperienza, ha potuto dargli forma attraverso le parole e le immagini.<br />

Parole e immagini che assumono una funzione liberatoria e danno il permesso di esistere<br />

a vissuti altrimenti nascosti.<br />

Brain storming sulla parola INCONSCIO<br />

❏ Quando non si ragiona… si pensa a cose fantastiche…<br />

❏ Inconscio è come svenire… dormire…<br />

❏ È un po’ perdere i sensi, non avere conoscenza…<br />

❏ C’è quando si è piccoli e quando si diventa grandi… si fa…<br />

❏ È come essere ipnotizzati, cioè fare le cose senza sapere…<br />

❏ È… non ricordare <strong>delle</strong> cose…<br />

❏ Essere annebbiati…<br />

❏ È essere costretti a fare qualcosa che non si ama veramente…<br />

L’inconscio, il bosco, il mistero<br />

111


L’inconscio, il bosco, il mistero<br />

❏ Essere in stato di choc dopo non aver reagito a reazioni…<br />

❏ Forse è stare male… essere isolati…<br />

(definizioni date da bambini di undici anni)<br />

I pensieri sono stati espressi a voce e riportati sul cartellone dove, a turno, i bambini<br />

hanno disegnato simboli e immagini per “arricchire” i loro pensieri.<br />

PRESENTAZIONE SCHEMATICA DELLE TAPPE DI LAVORO<br />

Sequenze didattiche:<br />

❏ FANTASIE SUL MISTERO E L’INCONSCIO (le <strong>paure</strong>, i sogni, i personaggi <strong>delle</strong><br />

fiabe e gli animali che spaventano…)<br />

❏ L’ANIMALE IN CUI VORREI TRASFORMARMI… perché?<br />

❏ LE BOCCHE CHE MANGIANO e la loro storia.<br />

❏ HANSEL E GRETEL E… (la storia dei bambini abbandonati nel bosco)<br />

❏ IL VIAGGIO DEL CIBO E LA SUA STORIA FANTASTICA NEL CORPO.<br />

❏ FANTASIE SULLA NASCITA: QUANDO ERO PICCOLA/O credevo che…<br />

❏ IMMAGINO IL MOMENTO DELLA MIA NASCITA: colori, luci, suoni, rumori,<br />

volti…<br />

LE ATTIVITÀ SONO STATE AFFRONTATE AFFINCHÈ I BA<strong>MB</strong>INI POSSANO:<br />

❏ Liberare le <strong>paure</strong> esprimendole e nominandole;<br />

❏ Usare il linguaggio fantastico come trait d’union tra l’ignoto e il conosciuto;<br />

❏ Evocare situazioni di particolare impatto emotivo, sorrette dal gruppo;<br />

❏ Condividere (nel senso di sapere che anche gli altri li provano) sentimenti, emozioni,<br />

vissuti.<br />

RIFLESSIONI METODOLOGICHE<br />

Queste attività hanno permesso ai bambini di esternare le loro <strong>paure</strong> e le loro ansie<br />

all’interno di un ambiente protetto, quale è quello dell’aula scolastica e della classe. I<br />

vissuti personali sono stati accolti da compagni e insegnanti, le quali, in questa occasione,<br />

non avevano il ruolo di correggere errori, di giudicare un prodotto scolastico o valutare<br />

un’abilità, ma semplicemente di ricevere le “confidenze”. Ciò ha rafforzato i rapporti tra<br />

insegnanti e alunni e fra gli alunni stessi. Il gruppo è sembrato più coeso e attivo nel<br />

collaborare in modo cooperativo.<br />

Si sono smussate certe conflittualità e, spesso, i ragazzi si sono mostrati più tolleranti nei<br />

confronti dei compagni, rivelandosi anche meno competitivi rispetto ai risultati individuali.<br />

Parlare <strong>delle</strong> proprie <strong>paure</strong> ed ascoltare quelle degli altri, ha fatto scoprire che non erano<br />

i soli a provarle, ma che ciò era un’esperienza comune.<br />

Raccontarsi i sogni, ripercorrere in modo nuovo le fiabe dell’infanzia, ripescarne i<br />

personaggi spaventosi per trovare insieme un modo per sconfiggerli, ha rafforzato la<br />

fiducia nel gruppo, ponendo le basi per una relazione più profonda.<br />

112<br />

SOGNI-PAURE-SORTILEGI-FANTASMI…<br />

INCONSCIO<br />

PAURE<br />

SOGNI FIABA<br />

PERSONAGGI & ANIMALI CHE SPAVENTANO<br />

CON<br />

L’inconscio, il bosco, il mistero<br />

BOCCHE ARTIGLI OCCHI<br />

113


Scuola Elementare G. Narvesa<br />

I Circolo di Pordenone<br />

Il Mistero<br />

Maria Elena Della Pietra


Il Mistero è dentro di noi*<br />

Il Mistero è nella Fiaba<br />

Il Mistero è dentro di noi - Il Mistero è nella fiaba<br />

L’essenziale è invisibile agli occhi.<br />

A.S.Exupérie<br />

PREMESSA<br />

Ciò che mi ha spinta ad intraprendere ed a proseguire questo affascinante sentiero è stato<br />

un forte impulso a contemplare un così complesso e delicato tema, come quello della<br />

sessualità, da una prospettiva che lo investe di un’arcaica sacralità: L’ARTE DELLA FIABA.<br />

Dietro l’avvincente apparenza <strong>delle</strong> vicende <strong>delle</strong> fiabe, dei personaggi e dei fitti intrecci,<br />

si nascondono potenti simboli, che rappresentano scene del teatro psichico interiore.<br />

Scrive Galimberti che “fiabe e miti sono depositi d’arcaiche memorie e ciò che avverrà in<br />

qualche modo è già avvenuto” (1) .<br />

La fiaba, quindi, si è trasformata in uno strumento per aiutare i bambini a portare a galla<br />

le loro <strong>paure</strong>, le loro fantasie e i loro fantasmi interiori.<br />

Un costante entrare in arcani spazi (il Caos dell’ignoto) ed uscire riportandone il vissuto<br />

attraverso la parola ed il disegno (la forma del Cosmo).<br />

Da queste premesse si delinea chiaramente che la sessualità è concepita come compenetrazione<br />

della psiche con il soma, dell’emozione con il comportamento; significa,<br />

inoltre, far emergere da impalpabili territori psichici la consapevolezza del proprio mondo<br />

istintuale-affettivo-emotivo, consentendo gradatamente a ciascuno di diventare e di riconoscersi<br />

come “artista della propria identità”.<br />

Portare l’arte nella vita ci insegna a rispettare l’immaginazione come qualcosa che va oltre<br />

la creazione e l’intenzione dell’uomo, e quando le si consente di dirigersi in profondità,<br />

si ha la rivelazione del sacro e del mistero.<br />

E la sessualità, come scrive Galimberti, appartiene all’enigma.<br />

“Abitare” la sessualità in un modo così vasto, portando finalmente parole come Amore e<br />

Speranza, è stato un nutrimento per la mia anima affamata, come tutte le anime,<br />

d’armonia, di bellezza e d’arte.<br />

Come poeticamente narra un incantevole racconto zen, che riporto.<br />

SENSO DELL’ARTE (2)<br />

Nel burrone di Lung Men tanto, tanto tempo fa c’era un albero di Kiri, un vero re della<br />

foresta.<br />

Un potente mago costruì con il legno di quest’albero un’arpa meravigliosa, il cui spirito non<br />

poteva essere domato nemmeno dal più grande dei musicisti.<br />

* AUTRICE<br />

Della Pietra Maria Elena - docente di scuola elementare – ha conseguito il diploma di specializzazione polivalente<br />

(1) Umberto Galimberti “Gli equivoci dell’anima” Ed. Feltrinelli, Milano ‘87<br />

(2) Okakura Kakuzo ”IL libro del tè”, c.ed. Sugarco, Mi 1973<br />

117


Il Mistero è dentro di noi - Il Mistero è nella fiaba<br />

Tra tutti coloro che tentarono, nessuno riuscì ad estrarre una melodia dallo straordinario<br />

strumento. L’arpa rispondeva ai disperati sforzi di coloro che tentavano di suonarla con<br />

secche note di disprezzo; il che non si accordava mai con i canti che i musicisti volevano<br />

intonare. Lo strumento musicale non voleva saperne di riconoscere un maestro.<br />

Infine arrivò Pai Ya, il più bravo tra tutti gli artisti. Accarezzò l’arpa con mano leggera,<br />

con lo stesso gesto con cui si accarezza un cavallo selvaggio, quindi prese a pizzicare<br />

leggermente le corde dello strumento. Pai Ya cantò la natura e le stagioni, le alte vette <strong>delle</strong><br />

montagne e le tumultuose acque dei fiumi e tutti i ricordi dell’albero si svegliarono...<br />

Incantato l’imperatore del Celeste Impero volle conoscere il segreto che aveva permesso a Pai<br />

Ya di aver ragione della resistenza dell’arpa.<br />

“Maestà”, rispose il musicista alle domande dell’imperatore, “coloro che mi hanno preceduto<br />

nel tentativo di suonare questo strumento hanno fallito perché non cantavano che essi stessi.<br />

Io invece ho lasciato che l’arpa scegliesse da sola la sua sinfonia e non sapevo bene se l’arpa<br />

fosse Pai Ya o Pai Ya fosse l’arpa”...<br />

Il progetto è stato svolto con 17 alunni della classe 2° A della scuola elementare G. Narvesa<br />

1° Circolo didattico di PN durante le ore d’italiano e d’educazione all’immagine.<br />

È stato naturale inserire questo lavoro nella programmazione in quanto evoluzione molto<br />

più specifica e complessa di un’attività svolta già in 1 a , inerente i sogni e le fantasie<br />

attraverso i colori.<br />

La ricerca si articola nei seguenti momenti:<br />

1. FINALITÀ EDUCATIVE<br />

2. OBIETTIVI DIDATTICI<br />

3. MATERIALI SPAZI TEMPI<br />

4. METODOLOGIE<br />

5. FASI DI LAVORO<br />

6. CONSIDERAZIONI<br />

1- FINALITÀ<br />

• Favorire un contatto con “l’invisibile”: i sogni, l’inconscio.<br />

• Far emergere fantasie e fantasmi dando loro una forma ed un significato.<br />

• Sperimentare le proprie emozioni, desideri e <strong>paure</strong>.<br />

• Stimolare un collegamento tra sogni e fiabe.<br />

• Sollecitare lo sviluppo armonico della personalità attraverso produzioni creative<br />

• Creare un contatto con le componenti dell’identità sessuata<br />

2- OBIETTIVI DIDATTICI<br />

Essi si collocano all’interno dell’ambito della produzione scritta e della comprensione<br />

nella programmazione didattica di lingua italiana.<br />

• L’individuare la struttura di una fiaba (p. iniziale, problema, soluzione, finale).<br />

118<br />

• Evidenziare in un testo narrativo:<br />

il protagonista e le sue caratteristiche;<br />

l’antagonista e le sue caratteristiche;<br />

gli ambienti e le loro caratteristiche principali.<br />

• Ricavare le principali sequenze temporali.<br />

• Individuare le relazioni di causalità tra gli eventi.<br />

3 - MATERIALI SPAZI TEMPI<br />

Nelle ore di lingua italiana sono state analizzate in modo più approfondito le seguenti<br />

favole:<br />

“Cappuccetto Verde” di B. Munari Einaudi Ragazzi<br />

“Cappuccetto Rosso” di B. Munari Einaudi Ragazzi<br />

“Cappuccetto Giallo” di B. Munari Einaudi Ragazzi<br />

“Cappuccetto Blu” di B. Munari Einaudi Ragazzi<br />

“Cappuccetto Bianco” di B. Munari Einaudi Ragazzi<br />

“La bambina dai capelli blu” di M. A. Murail Emme Ed.<br />

Durante la lettura sono state impiegate musiche particolarmente idonee a sollecitare la<br />

costruzione di immagini evocative dei vissuti interiori dei bambini.<br />

L.MC Kennit “The book of secret”, “Parallel dreams”, “La leçon de piano” di Nyman e<br />

“La mer” di Debussy.<br />

Nella fase operativa, svoltasi in aula negli spazi scelti e costruiti dagli alunni stessi, si è<br />

fatto largo uso di cartelloni, pastelli, pennarelli, gessi, colori a cera.<br />

Le attività si sono svolte da marzo a giugno con scadenza quindicennale c.a..<br />

4 - METODOLOGIE<br />

Sono state impiegate metodologie interattive quali:<br />

• brain storming<br />

• circle time<br />

• ascolto attivo<br />

• rispecchiamento verbale e gestuale<br />

• domande aperte<br />

• stimolazioni esplicite<br />

• metodo Gordon<br />

• lavoro individuale<br />

Il Mistero è dentro di noi - Il Mistero è nella fiaba<br />

5 - FASI DI LAVORO<br />

La ricerca sul mistero nella fiaba si è svolta in due ampie unità didattiche.<br />

119


Il Mistero è dentro di noi - Il Mistero è nella fiaba<br />

Nell’unità didattica n.1 (vedere allegato n. 1) gli allievi, disposti in circolo, sono stati<br />

invitati attraverso la modalità del brain storming a riflettere e ad esporre le loro opinioni<br />

sui sogni, sul mistero, sulle fiabe. Tutti i loro interventi sono stati registrati.<br />

Nella seconda fase (unità didattica n. 1/B), prettamente operativa, si rilevano questi<br />

passaggi:<br />

• trovare lo spazio soggettivo<br />

• sfondo musicale<br />

• attività pittorica<br />

• costruzione di una breve storia inerente l’illustrazione (vedere allegato n. 2)<br />

• costruzione dei cartelloni (lavoro di gruppo)<br />

• condivisione dei significati: lettura dei testi e <strong>delle</strong> immagini<br />

• sintesi.<br />

6 - CONSIDERAZIONI<br />

“…come se fosse un cerchio che si espande sempre più portando la luce” (3)<br />

Intraprendere il tentativo di spiegare il mistero è stato, senza alcun dubbio, come vivere<br />

una vera avventura, una fiaba.<br />

La costante tensione di essere arrivati al dunque, il continuo progredire in avanti nella<br />

speranza di trovare qualcosa di definito, di certo, hanno permesso l’invenzione di<br />

personaggi, di simboli e di storie incredibilmente coese, nel tentativo di arrivare all’uscita<br />

del labirinto.<br />

È il momento in cui si narra il “Mito della notte originaria”, qui i bambini si sono<br />

trasformati in artisti inventori, avendo fede che una risposta all’enigma esiste.<br />

Ecco dipinte, quindi, porte con ragnatele, chiavi segrete da trovare, magici indovinelli,<br />

lunghe scale buie, sentieri sconosciuti, incroci. Questi elementi simbolici rappresentano<br />

la ricerca dentro il “corpo” della notte originaria che tutto contiene e nulla svela, ma<br />

lascia intuire.<br />

Le loro illustrazioni e storie rappresentano dei miti personali, <strong>delle</strong> iniziazioni nel continuo<br />

processo di ricerca dei misteri della nascita e della creazione.<br />

E, proprio come nella fiaba della Bella Addormentata, nel mito di Persefone o di Eros e<br />

Psiche, ci sono stati molti ostacoli da superare. Ogni prova ha messo i bambini-iniziandi in<br />

contatto con gli strati più profondi dell’inconscio e, in un certo qual modo, hanno<br />

sperimentato l’autorità di quel divino “qualcosa”, che è la voce della loro vera natura, per<br />

mezzo della quale verranno gradualmente liberati dall’autorità dei genitori.<br />

Tutti sono riusciti ad “aprire la porta”.<br />

Qualcuno ha visto un nuovo territorio, altri sfiorato, altri ancora lo hanno udito o annusato.<br />

Proprio come Persefone hanno viaggiato nel regno del profondo del mondo archetipo e<br />

vi hanno fatto ritorno portandone qualcosa.<br />

A volte per portare la luce in questa oscurità, hanno creato una guida di virgiliana<br />

memoria, come la figura del potente leone pompiere, che spegne il pericoloso fuoco che<br />

avvolge “la palla del mistero” e conduce poi il bambino all’interno dove c’è “la luce” (4) .<br />

Molto coraggio è richiesto per entrare in questo arcano mondo ed anche Psiche è stata<br />

guidata da alcuni animali.<br />

(3) Espressione verbale di una alunna di II^ elementare emersa durante l’attività.<br />

(4) Espressione verbale di un alunno di II^ elementare emersa durante l’attività.<br />

120<br />

Il Mistero è dentro di noi - Il Mistero è nella fiaba<br />

Entrare nel regno del mistero è stato come varcare un confine, che delimita un territorio<br />

sconosciuto e conosciuto allo stesso tempo, antico e nuovo. Uno spazio interiore in cui<br />

i bambini hanno costruito e demolito barriere; lo hanno interrogato, qualcuno trovando<br />

<strong>delle</strong> risposte.<br />

Hanno vissuto pienamente questo spazio psichico.<br />

Durante il lavoro sono rimasta pienamente colpita dall’estrema facilità ed immediatezza<br />

con cui gli allievi-Persefone, se lasciati liberi di esprimersi senza giudicare, entrano in<br />

relazione sempre più profonda con nuclei della loro interiorità, in cui giacciono verità<br />

universali.<br />

Questo processo viene così definito da uno di loro: “...come se fosse un cerchio che si<br />

espande sempre più portando la luce”(3). E la luce, si sa, è portatrice di conoscenza, di<br />

rivelazione, di consapevolezza, di briciole di saggezza.<br />

Una profonda e limpida capacità indagatrice, che emerge dalle loro metafore, dai simboli<br />

utilizzati nonché dalle loro considerazioni finali sul lavoro svolto (vedere allegato n. 3).<br />

SI<strong>MB</strong>OLI AZIONI AGGETTIVI<br />

• Porta chiusa • Scavare • Coraggio<br />

• Rotondo marrone • Schiarire • Dolcezza<br />

• Fuoco magico • Cercare • Musicalità<br />

• Pezzo di sogno • Scoprire • Luminosità<br />

• Sentiero • Aprire • Azzurro<br />

• Incrocio • Entrare • Aperto<br />

• Zona buia • Camminare • Strano<br />

• Zona chiusa • Salire scendere • --------<br />

• -------- • Unire • --------<br />

Per giungere alla conclusione che “la chiave è il mistero”, “la chiave siamo noi” (5) .<br />

E sempre usando le parole di questi piccoli archeologi dell’anima: ”La chiave è dentro al<br />

cuore e bisogna prendere la via verde.<br />

Lì vivi il mistero” (6) .<br />

Un enigma che si rinnoverà per l’eternità, come ci lascia intravedere T.S. Eliot in Quattro<br />

Quartetti:<br />

“Non desisteremo mai dall’esplorare<br />

E la fine di ogni nostro esplorare<br />

Sarà giungere là donde siamo partiti<br />

E conoscere quel luogo per la prima volta”.<br />

UNITÀ DIDATTICA N. 1 - “I SOGNI E LE FIABE” (allegato n. 1)<br />

Quest’ attività introduttiva è stata svolta con tutta la classe impiegando il brain storming.<br />

Già lo scorso anno gli alunni si erano espressi sul “mistero e sui sogni” attraverso disegni,<br />

storie. Risulta, quindi, facile agganciarsi a questo lavoro.<br />

(5) Espressione verbale di un alunno di II^ elementare emersa durante l’attività.<br />

(6) Espressione verbale di una alunna di II^ elementare emersa durante l’attività.<br />

121


Il Mistero è dentro di noi - Il Mistero è nella fiaba<br />

- COS’ È IL MISTERO?<br />

Cervello, speranza, amore, fantasia, felicità, cuore, gioia, mistero.<br />

- COS’È UN SOGNO?<br />

Speranza, incubi, amore gioia, felicità, allegria, fantasia, sorpresa, stregoneria, mistero,<br />

magia, sogni ad occhi aperti, gentilezza, desideri.<br />

- RICORDO I SOGNI?<br />

7 no 9 sì<br />

COME FAI A SAPERE CHE SOGNI?<br />

❏ Perchè dormo.<br />

❏ Perchè penso di notte e sogno.<br />

❏ Perchè l’ho fatto (il sogno).<br />

❏ Penso.<br />

❏ Perchè mi ricordo.<br />

❏ Mi ricordo il programma che ho fatto.<br />

❏ Mi ricordo le immagini.<br />

QUALI PERSONAGGI VEDI NEI TUOI SOGNI?<br />

Mostri, alci, Cenerentola, draghi, gufo, squalo in piscina, cervo, puffi, gatto che viene dalla<br />

luna, extraterrestri, Maria Elena, orso, facce da tutte le parti, delfini,<br />

Mr. Bean, vampiri.<br />

QUALI ANIMALI SOGNI?<br />

Pipistrelli, usignolo, orso, cane, cavalli, cimice, tartarughe, scoiattolo.<br />

QUALI SONO I PERSONAGGI O GLI ANIMALI DEI TUOI SOGNI CHE TI FANNO<br />

PAURA?<br />

Pipistrelli, lupi, streghe, mostri, vampiri, squali, balena, facce, vipere, mucche, ladri,<br />

dinosauri.<br />

QUALI SONO I PERSONAGGI CATTIVI DELLE FIABE?<br />

Lupo, Garganella, gatto e la volpe (Pinocchio), indiani, squalo, cowboy, strega, matrigna.<br />

COSA FA LA STREGA DELLE FIABE? E L’ORCO? E IL LUPO?<br />

❏ La strega fa le magie<br />

❏ Il lupo lotta.<br />

❏ Il lupo mangia.<br />

❏ Il lupo uccide.<br />

❏ Le streghe fanno pozioni.<br />

❏ L’orco taglia le teste.<br />

❏ L’orco mangia i bambini.<br />

❏ Le streghe prendono la giovinezza.<br />

122<br />

QUALI SONO GLI ANIMALI PIU’ CATTIVI NELLE FIABE?<br />

Lupi, dinosauri, elefanti, boa, squali, tigre, draghi, gatto-volpe, mostri.<br />

Il Mistero è dentro di noi - Il Mistero è nella fiaba<br />

COLLEGAMENTO TRA FIABE E SOGNI.(Considerazione emersa da un alunno)<br />

QUALE?<br />

❏ Senza sogni non ci sono le fiabe.<br />

❏ I sogni e le fiabe hanno personaggi.<br />

❏ Sia nei sogni che nelle fiabe ci sono gli stessi personaggi.<br />

DA COSA VI SIETE ACCORTI CHE DENTRO VOI C’È UN MISTERO?<br />

❏ Perché lo sentiamo.<br />

❏ Perché l’ho sognato il mistero e non ho saputo cos’è.<br />

❏ Ho sentito che c’è dentro me un mistero e ho riflettuto con i sogni ed è uscito il mistero.<br />

Ma non so cos’è.<br />

❏ Il mistero è collegato con i sogni perchè me lo sono sognata.<br />

❏ Mi sono sognata che vedevo il corpo. in una parte c’era scritto un pezzo di mistero.<br />

Ma anche nei corpi di altri bambini c’era scritto un altro pezzo di mistero.<br />

❏ Unendo tutti i pezzi dei misteri si forma il testo del mistero.<br />

❏ Non sono riuscita a leggerlo perchè era troppo piccolo e scuro.<br />

SE IL MISTERO È SCURO, BUIO COME FACCIO A VEDERLO?<br />

(Domanda posta da un bambino)<br />

❏ Dobbiamo schiarirlo.<br />

❏ Dobbiamo tornare dentro con una lanterna.<br />

❏ Ma ci infuochiamo.<br />

❏ Andiamo più a fondo.<br />

❏ Lo schiariamo con azzurro così si vede meglio.<br />

❏ Per me il mistero è come una palla infuocata.<br />

❏ Per me è una palla di fuoco, che spegnamo con l’acqua e si trasforma nel mistero.<br />

❏ Forse dobbiamo andare talmente dentro, fino ai piedi.<br />

❏ C’è un fuoco magico, che non brucia. Forse è un fuoco finto.<br />

❏ Il mistero è come una caramella, che fa diventare più dolce e lo scopre.<br />

❏ Perchè ci vuole dolcezza per scoprirlo, altrimenti con la violenza diventa più nero.<br />

❏ Forse la palla è aperta.<br />

❏ Se c’è una porta serve una chiave per aprirla e leggere il mistero.<br />

❏ Sì, ma non abbiamo la chiave.<br />

❏ La chiave è il mistero.<br />

❏ Forse la chiave è dentro di noi.<br />

❏ È dentro il cuore e bisogna prendere la via verde.<br />

❏ Forse è una parola-chiave.<br />

❏ Forse siamo noi la chiave.<br />

❏ La chiave la troviamo nella fantasia<br />

123


Il Mistero è dentro di noi - Il Mistero è nella fiaba<br />

UNITÀ DIDATTICA N. 2 (allegato n. 2)<br />

RAPPRESENTA CON UN DISEGNO IL MISTERO.<br />

Gli alunni, in seguito ad un brain storming, hanno elaborato diverse metafore<br />

sull’inconscio, le quali sono state riprodotte in forma grafica.<br />

Riporto alcune spiegazioni dei disegni del mistero prodotte dagli alunni.<br />

❏ Dentro il mio corpo c’è una porta che si apre con la chiave d’oro e dietro la porta c’è un<br />

mistero. La chiave è nascosta dentro al muro. Ci sono altre chiavi che aprono altre porte<br />

e bisogna trovare quella giusta.<br />

C.JURI<br />

❏ Nel mistero ci sono tre porte. Chi entra deve avere coraggio perchè c’è gelatina e un<br />

fantasma.Ci sono ragnatele per difendere il mistero dagli insetti. Dove c’è la candela si<br />

apre la botola. Lì trovi la lanterna. La prendi. Lì vicino c’è la palla di fuoco. Tu con la<br />

lanterna entri nel rotondo marrone, per entrare c’è un leone pompiere.<br />

GABRIELE L.<br />

❏ Nel mio sogno ho visto dei bambini che dentro il cuore avevano una scritta. Chi è? Cos’è?<br />

Ma perchè questa cosa ha una strana chiave? Forse con la chiave si riuscirà a vedere.<br />

Questa cosa, io l’ho presa e ho provato. Ci sono riuscita. “Evviva” ho urlato di gioia. Ho<br />

visto e ho trovato che questa storia era un mistero. Unendo il pezzo che hanno tutte le<br />

persone del mondo compresi Maria, Gesù e Dio, si è formato il testo del mistero. Chissà<br />

se la mia classe lo scoprirà? Perchè io, forse, ci sono già arrivata.<br />

FEDERICA D.<br />

❏ In questo disegno ho rappresentato dei bambini che stanno cercando la chiave del<br />

mistero. Mentre cercano Lisa e Giulia scoprono <strong>delle</strong> scale e decidono di andare a vedere<br />

cosa c’era. Marco sta salendo una scala e trova una chiave. Maria si sente strana perchè<br />

ha visto un’altra chiave.<br />

ERICA F.<br />

❏ Visto che la via del mistero è buia ho usato una dolce caramella, che schiarisce ed è più<br />

facile trovare la porta. Ma non c’è la chiave, la devo trovare per entrare nel mistero e<br />

risolverlo.<br />

❏ Devo trovare il mistero. Mi prendo un bastoncino per scavare un meteorite per trovare<br />

la chiave del mistero. Sapete perchè al posto della spada ho preso un bastoncino? Ho detto<br />

che si deve usare la tranquillità e non la violenza! È per questo che ho usato il bastoncino<br />

al posto della spada. Ho scavato con facilità e ho trovato la chiave del mistero, poi sono<br />

tornata alla porta e l’ho aperta. Sapete cosa ho scoperto? Il mistero che ho scoperto è “ la<br />

musica allegra”.<br />

GIULIA M.<br />

124<br />

SINTESI FINALE<br />

Il Mistero è dentro di noi - Il Mistero è nella fiaba<br />

Ins. “A cosa vi è servito questo lavoro?”<br />

❏ Per “sfogarmi”. Quando disegnavo la bocca che mangia è uscita la timidezza, quando<br />

masticavo il cibo.<br />

❏ Per esprimere la stanchezza, la solitudine, la timidezza.<br />

❏ Per esprimere dal dentro al fuori.<br />

❏ Per esprimere gioia.<br />

❏ Per esprimere fantasia che si allarga.<br />

❏ Per esprimere rabbia.<br />

❏ Per esprimere una guida.<br />

❏ Per esprimere e far nascere idee.<br />

❏ Per esprimere il mio potere di tirar fuori.<br />

❏ Cose incredibili di me. Non avrei mai pensato di disegnare di mangiare un pipistrello.<br />

❏ A buttarmi nelle cose poco educate. Quando ero in piscina e immaginavo di essere un<br />

delfino, ho capito che sbagliavo a comportarmi così, a non voler parlare. Adesso mi sono<br />

aperta. Grazie.<br />

❏ A divertirmi a entrare dentro e fuori.<br />

❏ Ad ascoltare in silenzio la natura, perché parla e così riesco a scoprire il mistero.<br />

❏ Felicità perché ho fatto disegni che non pensavo che esistessero.<br />

❏ Mi sono sfogato con la fantasia.<br />

❏ Ho imparato ad andare dentro di me. Ho capito che si fa con la fantasia.<br />

❏ Ho capito che anche nei sogni di notte entro dentro me. I sogni servono per entrare<br />

dentro me.<br />

❏ Entusiasmo, perché ho scoperto cose che non sapevo.<br />

125


Scuola Elementare Madre Teresa di Calcutta<br />

Cecchini di Pasiano<br />

La fiaba di Hansel e Gretel<br />

Laura Altan - Flavia Bidoia - Ornella Galluzzo


La fiaba di Hansel e Gretel*<br />

Finali di tipo diverso.<br />

La Fiaba di Hansel e Gretel<br />

Premessa<br />

È stata scelta la fiaba di Hansel e Gretel come parte del percorso relativo alla sessualità<br />

infantile perché essa, come tutte le fiabe è un linguaggio universale che esprime attraverso<br />

le parole alcune scene del teatro psichico interiore. La fiaba parla <strong>delle</strong> figure inconsce,<br />

dei fantasmi che abitano la nostra psiche e che non sono accessibili alla coscienza se non<br />

in forma affabulatoria. Il bambino libera il suo inconscio trasformando i suoi fantasmi<br />

interiori in streghe, draghi, orchi che assumono una funzione purificatrice. La fiaba come<br />

strumento di lavoro era già stata utilizzata precedentemente per avviare una ricerca sui<br />

personaggi più cattivi e sulle loro caratteristiche.<br />

Gli alunni erano giunti alla conclusione che le figure più malvage erano coloro che di solito<br />

divoravano i bambini (lupi, streghe…). È stato organizzato un circle time: l’insegnante ha<br />

cominciato a leggere la favola di Hansel e Gretel e nel momento in cui ha avvertito il<br />

desiderio da parte di un alunno di continuare il racconto, gli ha ceduto la parola.<br />

Si sono susseguiti i vari interventi dei bambini mentre un’altra insegnante, li trascriveva.<br />

LA FIABA DI HANSEL E GRETEL<br />

Insegnante: “C’erano una volta, tanto tempo fa, due fratellini, Hansel e Gretel, che vivevano<br />

in una casetta al limitare del bosco, insieme al padre e alla matrigna. Una sera Hansel<br />

sentì che la matrigna diceva al papà: - È necessario condurre i bambini nel bosco, visto<br />

che non abbiamo di che sfamarli! Troveranno qualcuno che si occuperà di loro...”.<br />

❏ il papà partì il giorno dopo con i figli e non ebbe però il coraggio di lasciarli soli nel<br />

bosco, perciò li riportò a casa e li nascose nella stalla…<br />

❏ la matrigna sentì dei rumori e andò a vedere che cos’era e scoprì i bambini. Il marito le<br />

confessò ciò che era accaduto e aggiunse che, risparmiando, avrebbero potuto continuare<br />

a vivere insieme...<br />

❏ la matrigna li portò allora lei nel bosco, lasciando suo marito a casa a dormire. Svegliatosi<br />

egli non trovò la moglie. Ella intanto aveva lasciato i bambini abbandonati nel bosco…<br />

❏ il marito prese il fucile e andò nel bosco. Giunto nel bosco vide un lupo che stava per<br />

mangiare i bambini e lo uccise. Prima però ammazzò i bambini e poi il lupo per non<br />

dargli la soddisfazione di mangiarli…<br />

❏ (riprende prima del finale) il papà andò nel bosco con il fucile e vide che una lupa andò<br />

dai bambini, li salvò e li coccolò. Tranquillizzato, tornò a casa fidandosi della lupa.<br />

Meglio la lupa della matrigna! (in questo modo salva i figli e accontenta la matrigna)…<br />

* LE AUTRICI<br />

Altan Laura - docente di scuola elementare - insegna matematica, scienza e musica<br />

Bidoia Flavia – docente di scuola elementare - insegna antropologia e musica<br />

Galluzzo Ornella – docente di scuola elementare - insegna lingua italiana, antropologia, educazione all’immagine<br />

129


La Fiaba di Hansel e Gretel<br />

❏ la lupa, dopo alcuni giorni, non era più in grado di accudire i bambini perché erano<br />

nati i suoi piccoli; i bambini però nel frattempo non erano in grado di procurarsi il cibo<br />

cacciando. Allora andarono a raccogliere castagne, bacche….Un giorno arrivò la<br />

matrigna nel bosco e li trovò… Pensò così di riportarli a casa perché le mancavano. Però<br />

i bambini, affezionati alla lupa, non volevano tornare con lei perché si era comportata<br />

male con loro. Lei decise allora di andare a casa per portare il papà nel bosco in modo che<br />

la convincesse… Strada facendo incontrò un lupacchiotto e pensò così di ricattare la lupa.<br />

❏ la matrigna andò dalla lupa con il cucciolo per spaventarla; i bambini, vedendo questo,<br />

decisero di tornare a casa con la matrigna. Così la lupa poté tenersi il suo piccolo.<br />

❏ i bambini, tornati a casa, spiegarono al papà un piano perché volevano scappare di casa<br />

per non stare con la matrigna. Sicuri che ella dormisse, andarono in cerca di un<br />

nascondiglio. Lo trovarono, c’era anche un letto dove poterono riposare quella notte.<br />

Il mattino dopo uscirono e videro il papà: gli rivelarono il loro nascondiglio segreto. Così<br />

li poteva andare a trovare quando voleva.<br />

❏ col passare del tempo i bambini cominciarono a sentire la mancanza della famiglia e<br />

dissero al padre che intendevano tornare a casa con lui, ad un patto, però: che lasciasse<br />

la matrigna oppure che le facesse capire quanto fossero importanti loro per lui.<br />

❏ il marito, quella stessa sera, mentre stavano cenando, cercò di convincerla a riprendere<br />

i figli a casa e a trattarli con affetto.<br />

Ella non volle sentir ragioni e non acconsentì. Allora egli andò dai figli e rimase con<br />

loro. Dopo alcuni giorni la donna andò in cerca del marito.<br />

❏ arrivata nel bosco la matrigna scoprì il rifugio dei bambini e vi trovò dei vestiti.<br />

Camminò ancora un po’ nel bosco e li vide… decise di osservarli. Accortisi della sua<br />

presenza scapparono e lei li inseguì.<br />

❏ i bambini insieme al papà si rifugiarono su un albero senza esser visti; la matrigna li<br />

cercò invano e, stanca, tornò al nascondiglio. Dopo aver atteso un po’ di tempo i tre<br />

tornarono al loro nascondiglio dove trovarono la matrigna che chiese loro <strong>delle</strong><br />

spiegazioni… I bambini le dissero: - Noi vogliamo vivere con papà perché è buono, mentre<br />

tu sei cattiva.<br />

Tornarono a casa perché il papà riuscì a convincerli.<br />

❏ tornati a casa festeggiarono il compleanno di Hansel e il papà, per fargli una sorpresa,<br />

portò a casa la lupa e i lupacchiotti.<br />

❏ il papà decide di rimanere con i figli per mettere alla prova l’amore della moglie… ella<br />

si sentiva sola ed andò alla sua ricerca. Lo trovò insieme ai suoi figli e notò com’erano<br />

uniti e felici insieme. Allora chiese loro scusa e tornarono tutti insieme a casa. I bambini<br />

chiesero di tenere con loro la lupa; la lupa portò la felicità in famiglia.<br />

❏ i bambini chiesero alla matrigna se potevano tenere la lupa; ella non voleva perché non<br />

c’era posto. Chiesero al padre la stessa cosa de egli cercò di convincere la moglie. Ella si<br />

lasciò convincere e così vissero per sempre felici e contenti.<br />

Come si nota, alcuni alunni hanno voluto sviare il percorso del racconto tracciandone uno<br />

sviluppo totalmente diverso rispetto a quello dato dal compagno precedente, inserendo<br />

nuovi personaggi (intervento n. 5).<br />

Altri hanno sviluppato ulteriormente il passaggio proposto da un altro compagno<br />

(intervento n. 6).<br />

Qualcuno ha invece inteso far terminare subito il racconto con un finale macabro<br />

(intervento n. 4), oppure accomodante (intervento n. 14).<br />

130<br />

Scuola Elementare L. Gabelli<br />

Porcia<br />

Incontri con l’ombra<br />

Chiara Del Fabbro, Paola Fontana, Sonia Benvenuto


Incontri con l’ombra*<br />

Incontri con l’ombra<br />

Questo percorso doveva consentirci di entrare in contatto con il mondo nascosto dentro<br />

di noi. Il racconto di “Giovannino” e il “Fagiolo magico” sono stati un modo per<br />

spogliarci del nostro ruolo ed entrare dentro un mondo nuovo da scoprire in comune.<br />

Gli alunni hanno avuto modo di esprimersi in una situazione molto libera, resa cordiale<br />

e speciale, dal clima che si era creato, attraverso le loro percezioni, dando volto alle<br />

immagini di fantasia. Si è trattato di un’esperienza autenticamente viva. Nella fiaba di<br />

“Giovannin senza paura” i ragazzi hanno inventato i finali, e questo è stato un lavoro<br />

ricco, sono soluzioni fantasiose in tutti i sensi e vi sono molti segni di che cosa abiti le<br />

loro fantasie. Come negli scalini della fiaba siamo scesi verso altri spazi abitati da fantasmi<br />

di paura per esplorare certe sfumature forti; un’opportunità di sentire e dire, sapendo di<br />

affidare qualcosa a qualcuno che ti ascolta. Ecco allora sorgere gli animali che fanno paura<br />

nei sogni. Parlare di questo è stato un buon momento in cui ragazzi e ragazze hanno<br />

potuto esprimere scenari nascosti. Percorrendo questo sentiero, questa possibilità di<br />

dialogo che consente di guardarsi dentro, abbiamo scoperto che i ragazzi si sentivano<br />

catturati da questa magia, attendevano quel momento e quei momenti. Noi insegnanti<br />

eravamo lì ad attenderli, ed abbiamo costruito tracce di ascolto e di parola con il piacere<br />

e il gusto di ritrovarsi a farlo. Il percorso è così continuato con altri strumenti ed altre<br />

opportunità, per riuscire ad esplorare ancora di più. Abbiamo potuto iniziare il lavoro sul<br />

racconto “Giovannin senza paura”, una fase in cui i ragazzi si sono riconosciuti nel<br />

protagonista. Egli è quasi l’eroe di questa storia, almeno per come essa si evolve: il<br />

ragazzo spavaldo della fiaba e gli alunni della realtà sono coincisi nella magistrale figura<br />

del piccolo eroe senza paura. Con stimoli all’analisi del testo siamo andati approfondendo<br />

l’aspetto letterale della fiaba. Ai ragazzi, puntigliosi nel ricercare, è stato chiesto cosa fa<br />

Giovannino per non avere paura. Nel ricercare, anche letteralmente lungo l’escursus del<br />

brano, le risposte, si è passati pian piano a guardare dentro, perché è come procedere per<br />

strati, uno sfogliare e un’approfondirsi che è molto soggettivo, poiché ognuno procede<br />

a modo proprio, ed anche questa è una grande potenzialità - riconoscere la soggettività<br />

nel punto di partenza - nel percorso, nei tempi e nei modi, nelle cose scelte, nel detto e<br />

nel non detto. È una caratteristica al tempo stesso grandiosa e fondamentale.<br />

Siamo allora scesi sotto i primi strati <strong>delle</strong> cose più visibili, abbiamo avuto lo stupore e la<br />

possibilità di vedere che i ragazzi sanno dare definizioni di estrema competenza. Mi sono<br />

stupita di fronte a ragazzini di 10, 11 anni capaci di esprimere pensieri quasi da adulti, in<br />

grado di meditare su aspetti importanti. In educazione è importante riconoscere e<br />

restituire agli alunni la loro competenza.<br />

* LE AUTRICI<br />

Benvenuto Sonia - docente di scuola elementare – ha conseguito la laurea in scienze dell’educazione. Insegna lingua italiana e inglese<br />

Del Fabbro Chiara - docente di scuola elementare - insegna lingua italiana, matematica, scienze e musica<br />

Fontana Paola - docente di scuola elementare - insegna religione cattolica<br />

133


Incontri con l’ombra<br />

Se non si è capaci di ascolto non si può sapere quanto ricchi sono gli altri. Sono talmente<br />

ricchi e mostrano potenzialità, semplicità e chiarezze rispetto cui non si può rimanere<br />

indifferenti. Sanno perfino dare a noi, a volte, un lume. Ci mostrano, non dico la strada,<br />

ma un tratto della strada. È molto bello affidarsi con coraggio a questa avventura! Ed<br />

allora scavando, sotto la prima superficie che parlava dell’ombra e <strong>delle</strong> sue caratteristiche,<br />

abbiamo scoperto come essa abbia tantissime prerogative, rappresenti ciò che non si<br />

conosce e ciò che allo stesso tempo sappiamo esistere; c’è ma non la conosciamo, più si<br />

cerca più si definisce e tuttavia è ancora inconoscibile. È possibile osservare la mappa <strong>delle</strong><br />

idee che sono state espresse sull’ombra di “Giovannin senza paura” con la capacità di<br />

parlarsi, mettendosi tutti allo stesso livello che è quello del ricercatore. Qui si sta facendo,<br />

si impara facendo, si conosce ma non si sa ancora tutto, per cui ci si confronta con<br />

l’aspetto di non completezza che è fondamentale. Da una mappa generale, gli insegnanti<br />

sanno benissimo che è possibile applicare quelle conoscenze, abilità di categoria logica,<br />

di generalizzazione e classificazione o quant’altro si pensi di proporre ma, tuttavia, ciò è<br />

applicato al pensiero razionale, non certo al sapere emotivo.<br />

Abbiamo utilizzato poi una frase del racconto che in un primo momento era stata lasciata<br />

in secondo piano.<br />

È stato scelto un passo che ai bambini era parso un po’ inquietante, aveva aperto molti<br />

interrogativi e per questo lo abbiamo condiviso, posto in comune, abbiamo cercato cosa<br />

ci poteva dire. Questo passo recitava: “se non hai paura ti mando in un palazzo...perché<br />

ci si sente e nessuno vi è potuto uscire se non morto”.<br />

È un passaggio dall’impatto non indifferente.<br />

Ebbene: ci si sente, cosa significa? cosa è significato per noi?. È diventato un percorso, una<br />

scala d’approfondimento. Ci si sente può voler dire tante cose, sono state formulate<br />

individualmente, per poi metterle in comune con gli altri e sono state unite<br />

oggettivamente oltre che metaforicamente sotto forma di una scala perché Giovannino<br />

aveva fatto un percorso nel palazzo scendendo un gradino dopo l’altro.<br />

Per me significa... (vedi materiale) aver unito le loro produzioni in un ordine preciso che<br />

è stato discusso nel gruppo.<br />

Abbiamo commentato positivamente questa scelta di unire i pensieri di tutti trovando<br />

una modalità per cui l’uno arricchisca l’altro, ed alla fine il percorso non sia più soggettivo,<br />

ma divenga partecipato e regni lo scambio.<br />

Dopo aver lavorato sull’ombra e le <strong>paure</strong>, siamo passati dall’ombra di se stessi, del proprio<br />

corpo, ad una storia raccontata con le ombre come protagonisti, ombre informi e sconosciute,<br />

eppure così legate a noi.<br />

GIOVANNINO SENZA PAURA<br />

1. Cosa fa Giovannino per non avere paura?<br />

❏ porta lampada;<br />

❏ si lascia tirar giù i pezzi dell’omone e lo affronta;<br />

❏ se vede scendere una gamba o altro non si preoccupa perché mangia; mangia la<br />

salsiccia, beve il vino, fischietta e fa un brindisi con l’omone.<br />

2. Come fa Giovannino a non avere paura?<br />

❏ Si sente tranquillo, spensierato, coraggioso; manda avanti;<br />

❏ si sente forte; si fa coraggio;<br />

134<br />

Incontri con l’ombra<br />

❏ ha un carattere forte, per cui non si preoccupa;<br />

❏ sa prendere le situazioni paurose in modo tranquillo, senza spaventarsi; non fa caso<br />

alle parti del corpo che cadono;<br />

❏ non lo spaventa niente;<br />

❏ non prende in considerazione l’omone.<br />

3. Come può Giovannino senza paura morire di paura?<br />

❏ Vede la sua ombra;<br />

❏ tutti abbiamo paura di qualcosa e Giovannino ha scoperto di aver paura della sua<br />

ombra; si spaventò della sua ombra perché era la prima volta che la vedeva;<br />

❏ anche lui ha una paura;<br />

❏ può morire di paura per una cosa mai vista e ciò può essere normale;<br />

❏ tutti hanno una paura e Giovannino è morto perché era la prima volta che provava<br />

quel sentimento; prende uno spavento.<br />

L’O<strong>MB</strong>RA DI GIOVANNINO<br />

❏ secondo me Giovannino ha preso paura girandosi di scatto e prendendo uno<br />

spavento per l’ombra dalle braccia alte, nera, spaventosa, che si muove con<br />

movimenti bruschi, cioè spaventosi, come ad esempio per acciuffarlo.<br />

❏ Giovannino senza paura è morto perché ha visto la sua ombra che era così<br />

spaventosa da farlo morire.<br />

❏ l’ombra era grande, grossa e nera come il carbone, non aveva tanto la forma di<br />

Giovannino, sembrava un gigante e pareva che volesse fargli del male.<br />

❏ Giovannino morì di paura perché non aveva mai visto la sua ombra e perciò non<br />

sapeva di avere paura di qualcosa. Inoltre l’ombra di Giovannino era gigantesca,<br />

grande, grossa, nera e copriva tutto il muro.<br />

❏ Giovannino ha visto un’ombra grande, gigantesca, nera e ferma; si spaventò molto<br />

e morì.<br />

❏ Giovannino ha preso paura perché non aveva mai visto la sua ombra che era nera,<br />

alta, molto grassa e mobile per spaventare anche altre persone.<br />

❏ un’ombra, per essere paurosa, deve essere molto grande e deve prenderti di<br />

sorpresa.<br />

❏ un’ombra, per far paura, deve essere: grande, grossa, scura, in una posizione che fa<br />

paura, cioè con le braccia sollevate e le mani contro di te, come se avesse gli artigli,<br />

come un orso adirato.<br />

❏ l’ombra era gigante e prevedeva tutto ciò che faceva Giovannino, cioè faceva le sue<br />

mosse, si muoveva come lui allo stesso tempo.<br />

❏ Giovannino è morto perché lo spavento gli ha dimostrato che tutti abbiamo <strong>delle</strong><br />

<strong>paure</strong>. Beh, alle volte, ciò è fatale e pericoloso. L’ombra è grande e brutta.<br />

❏ l’ombra che spaventa Giovannino non è normale, è grossa più del normale.<br />

❏ Giovannino per me è morto di paura perché tutti abbiamo una paura dentro di noi<br />

e alle volte può capitare che sia fatale. L’ombra era gigantesca e si specchiava sul<br />

muro.<br />

135


Incontri con l’ombra<br />

❏ Giovannino prende paura perché non ha mai visto la sua ombra. L’ombra era grande<br />

e grassa, color scuro, si muoveva bruscamente, sembrava voler uccidere Giovannino.<br />

❏ la scena che mi immagino è questa: Giovannino urla per la paura dell’ombra che è<br />

nero corvino, abbastanza alta e magra.<br />

MAPPA SULL’O<strong>MB</strong>RA<br />

distribuendo le idee attorno alla parola<br />

❏ tutti ce l’hanno<br />

❏ fa venire i brividi<br />

❏ può far paura, specialmente ai bambini piccoli<br />

❏ impressionante<br />

❏ lunga<br />

❏ spaventosa<br />

❏ paurosa<br />

❏ piccola<br />

❏ più grande di noi<br />

❏ deformata<br />

❏ si vede contro luce<br />

❏ la forma è diversa dal corpo<br />

❏ può avere una forma strana<br />

❏ può avere occhi, naso, bocca (nelle favole o se la si vede di profilo)<br />

❏ buia<br />

❏ nera<br />

❏ vera<br />

❏ può essere attaccata ai piedi<br />

❏ al buio non si vede<br />

❏ può essere riflessa<br />

❏ si vede quando c’è la luce<br />

❏ fa morire<br />

❏ fa i tuoi stessi movimenti si muove<br />

❏ non può parlare<br />

❏ fa fresco<br />

❏ serve per sapere se ci siamo<br />

CI SI SENTE per me significa.... (a guisa di scala)<br />

❏ ci si sente i tuoi pensieri, o sentirsi da soli, se hai paura sì o no<br />

❏ come si crede e si pensa a una cosa di se stessi<br />

❏ ci si sente uno stato d’animo<br />

❏ sentire i propri pensieri, tutti hanno paura di qualcosa<br />

136<br />

Incontri con l’ombra<br />

❏ ci si sente- sentirsi molto male<br />

❏ ci si sente male cioe’ impauriti<br />

❏ sentirsi male, disperati<br />

❏ per me ci si sente le <strong>paure</strong> che sono dentro di te<br />

❏ ci si sente <strong>delle</strong> <strong>paure</strong><br />

❏ senti le tue <strong>paure</strong><br />

❏ ci si sente nelle <strong>paure</strong> e nei pensieri moralmente soli<br />

❏ per me vuol dire essere dispiaciuti di cosa si ha fatto<br />

❏ ci si sente dentro al cuore cio’ che hai fatto, belle e brutte azioni<br />

❏ ci si sente per me vuol dire che una persona si sente di fare qualcosa, anche di personale<br />

❏ sentirsi cosa bisogna fare (in certe situazioni devi decidere dentro di te cosa fare, cosa ti<br />

senti di fare)<br />

CONSEGNA: disegna la tua ombra ed inventa una storia<br />

❏ C’era una volta una ragazza di nome Caroline che viveva in una grande villa con<br />

un meraviglioso giardino.<br />

❏ Caroline viveva con una sorella più grande di nome Myriam. I loro genitori erano<br />

morti in un incidente e loro non sapevano mai cosa fare. La sorella più grande iniziò<br />

ad andare all’università. Caroline rimase sola, ma un giorno vide una cosa simile a lei<br />

che faceva gli stessi suoi movimenti:<br />

❏ era l’ombra.<br />

❏ Caroline non era più sola; con lei c’era la sua amica che, però, di notte scompariva ed<br />

alla mattina compariva.<br />

❏ Poi cominciò a trovare altri amici che lei trovava nel giardino: gatti, cani, scoiattoli e<br />

piccoli pavoni. Ogni giorno giocavano ai tuffi assieme e di notte dormivano nel letto di<br />

Caroline.<br />

❏ E così per tuffi i lunghi giorni.<br />

❏ Avevo deciso di diventare veterinaria, lavare i cani ed aprire uno studio. Allora<br />

cominciarono a venire cani e gatti e così divenni la più brava veterinaria.<br />

❏ La mia ombra impazzì perché andò da tutte le parti; così mi venne il mal di testa e ho<br />

preso due settimane di ferie.<br />

❏ Una volta in una casa tranquilla abitava Antonio. Ma nella cantina c’era un mostro<br />

che un giorno l’ha spaventato. Antonio si è carbonizzato.<br />

❏ Un giorno una bambina di nome Agnese era in casa da sola perché i suoi genitori erano<br />

ancora a lavorare e sua sorella era andata dal suo ragazzo. Agnese si mise davanti alla<br />

Play- Station per giocare un po’: sullo schermo apparve un mostro spaventoso e Agnese<br />

non giocò più perché aveva paura.<br />

❏ Poi corse al piano di sopra e si mise a sognare: era una principessa in un grande castello e<br />

comandava bene il suo popolo. Un giorno il popolo si ribellò e andò da una strega che gli<br />

diede una pozione per farla morire. Il suo popolo, ad una cena, le mise la pozione nel calice.<br />

La principessa bevve, poi andò a ballare e, ballando vicino al muro, vide comparire la sua<br />

ombra: si spaventò a tal punto che morì. Il principe dal dispiacere fece fucilare tutte le<br />

persone che avevano messo la pozione, poi, non sapendo più che fare, si fece uccidere.<br />

137


Incontri con l’ombra<br />

❏ Un giorno Eros, un ragazzo ventenne, comprò un gioco per la sua Play-Station che si<br />

intitolava: “Paura thriller”. Eros volle giocare subito: Louis, il ragazzo del gioco, entra<br />

in una cantina deserta, una luce lo abbaglia, guardando dietro di sé vede un’ombra e<br />

sviene dalla paura. Eros continuò a schiacciare quei bottoni, ma il gioco era già finito.<br />

Così successe a Eros nella sua cantina e morì a soli ventun anni.<br />

❏ Un giorno la mia ombra se ne stava andando tranquilla a fare una passeggiata per la<br />

città, quando vide una bimba caduta dalla bicicletta, con una foglia la medicò e tornò<br />

a casa da me.<br />

❏ Un mese fa la squadra del 5. Antonio si è scontrata con la squadra del Rorai Piccolo.<br />

Io a dieci secondi dalla fine ho fatto paura al portiere con la mia ombra e ho fatto goal.<br />

❏ C’era una volta un antenato di Mauro a cui erano state date due ombre. Mauro era<br />

un gran giocatore di calcio e, quando andava a fare goal, i marcatori si spaventavano<br />

sempre. Ma, alla finale della Coppa del Mondo, Mauro perse i suoi poteri proprio<br />

quando era davanti al portiere: nonostante ciò fece goal e vinse la Coppa del Mondo.<br />

❏ Un giorno io e i miei fratelli giocavamo a farci paura con le ombre e con il nostro corpo.<br />

Lo scopo del gioco era che bisognava nascondersi, trovare gli avversari e spaventarli.<br />

Quando tutti erano stati trovati incominciavamo a farci paura. La mia ombra riuscì<br />

a spaventare tutti e io vinsi. Grazie ombra!<br />

❏ Una volta avevo una bellissima ombra. Stanca di stare sotto ai miei piedi, si staccò e mi<br />

uccise a coltellate. Poi mi fece il piacere di avere una tomba con un teschio sopra.<br />

L’ombra visse sempre molto felice di avermi ucciso.<br />

❏ Nel paese <strong>delle</strong> ombre, l’ombra di Mirko andò in città per andare a fare spese allo<br />

Sporting Club. L’ombra Mirko amava far palestra ed aveva un destro micidiale.<br />

Comprò tre pesi da sollevare con una mano e un peso da cento chili da sollevare con due<br />

mani. Iniziò ad esercitarsi: I, 2, 3, 4,... e ancora 1, 2, 3, 4,... così andò avanti per ore.<br />

Poi tornò in città per comprare una corda e la usò talmente tanto da romperla. Poi<br />

andò a dormire e ci rimase per due giorni.<br />

❏ Un bel giorno la mia ombra scappò di casa e fuggì nella giungla. Lì incontrò un leone<br />

che le disse: “Adesso ti mangio!!!”. Allora la mia ombra con le unghie lo spaventò e il<br />

leone morì. Più tardi l’ombra incontrò un elefante che le disse: “Ciao, io mi chiamo<br />

Dumbo!” e la mia ombra disse: “E io mi chiamo Elisetta l’ombretta!”. Elisetta raccontò<br />

a Dumbo che era fuggita, però voleva tornare a casa; così Dumbo accompagnò Elisetta<br />

a casa e visse per sempre con lei.<br />

❏ Una volta una bambina di nome Stefania aveva perso la sua famiglia, tranne il cane;<br />

così lei, la sua ombra magica e il cane andarono a cercare lavoro in una pasticceria, ma<br />

lì dopo una settimana licenziarono l’ombra che si trasformava in persona, solo che ogni<br />

tanto diventava di nuovo ombra e così continuava a fare guai. Si licenziarono anche<br />

Stefania e Bubu, il cane. Con i pochi risparmi Stefania andò a comprare da mangiare.<br />

Poi andarono a cercare un altro lavoro; lo trovarono in una pizzeria come camerieri<br />

Bubu e Stefania e come pizzaiola l’ombra (però il pizzaiolo la aiutava). Trovarono<br />

alloggio in un appartamentino che aveva bagno, cucina, camera da letto e un piccolo<br />

garage che serviva da cantina perché la macchina non ce l’avevano. Con il passare del<br />

tempo loro quattro diventarono amici e scoprirono che il pizzaiolo viveva in pizzeria;<br />

così lo invitarono a vivere in casa loro e lui accettò volentieri dato che c’era un letto in<br />

più. Dopo un po’ dì tempo Stefania scoprì che il pizzaiolo era suo padre: così si trattarono<br />

da padre e figlia per sempre. Un giorno in casa bussò una poveretta, Stefania e Luca (il<br />

padre) la fecero vivere con loro e scoprirono che era la madre di Stefania e la moglie di<br />

138<br />

Luca. Così la famiglia che fu di nuovo riunita visse felice per sempre. Un pomeriggio<br />

tranquillo Giorgia stava lavorando al computer quando ad un tratto si formò sul video<br />

un’ombra che uscì dal computer. Giorgia si spaventò, scappò immediatamente dalla sua<br />

camera e la chiuse a chiave, ma non si accorse che l’ombra attraversò la porta ed iniziò<br />

a seguirla ovunque. Giorgia uscì di casa, citofonò al vicino, ma era in vacanza; un altro<br />

vicino era dal dottore per problemi di obesità, poi non seppe cosa fare perché la strada si<br />

chiudeva. Prima mi sono dimenticata di dire che lei era ricca e con un cellulare chiamò<br />

la sua guardia del corpo che la raggiunse in un batter d’occhio. La guardia appena<br />

avvistò l’ombra gli sparò addosso, ma la pallottola oltrepassò il bersaglio; Giorgia pensò<br />

che quell’essere volesse ammazzarli ed era vero: lo aveva anche ammesso. La guardia del<br />

corpo provò ad ucciderlo in tutti i modi, ma niente da fare. Erano passate tre ore e non<br />

c’erano vincitori, né perdenti. Alla guardia del corpo venne un’idea: buttargli una<br />

bomboletta a gas. Giorgia si mise la maschera, così come la guardia e l’ombra soffocò,<br />

ma quando Giorgia e la guardia chiamarono un elicottero, l’ombra tirò fuori dal suo<br />

“corpo” nero una pistola e sparò al braccio della ragazza. Meno male che in quel<br />

momento arrivò l’elicottero e andarono all’ospedale. Giorgia non era grave; l’ombra<br />

morì.<br />

Nell’ultima parte dell’anno scolastico abbiamo cercato per ragioni di tempo e di opportunità<br />

educativa, giacché i ragazzi di V a non sarebbero più stati con noi, di spostare<br />

l’attenzione verso il corpo che cambia, il proprio corpo che cambia, del cui cambiamento<br />

i r. avevano sicuramente molti vissuti che abbiamo messo in condizione di sprimere.<br />

Hanno potuto dire che si accorgono del loro corpo che cambia, come pensano che stia<br />

per diventare, come essi stessi stanno diventando, perché il corpo non è qualcosa di<br />

diverso da se stessi, altro da sé. È stato chiaro che il corpo ed ogni caratteristica vive una<br />

vita unica, in modo unitario e questa è stata una grande lezione.<br />

E cambia e cambia...<br />

Incontri con l’ombra<br />

❏ Il mio corpo cambia perché quando ero piccola in prima elementare andavo a scuola con<br />

il grembiule, i codini, le scarpe basse; invece adesso sono molto cambiata perché non mi<br />

faccio più i codini, non porto più il grembiule e le scarpe non sono più basse. Adesso riesco<br />

a fare tante cose che prima non riuscivo a fare come alzare una sedia e adesso ci riesco<br />

perché sono cambiata. Io vorrei diventare un po’ più alta, un po’ più cicciona ed essere<br />

veloce nel correre.<br />

❏ Da quando ero piccola sono cambiate molte cose: ad esempio la voce, la forza, l’altezza;<br />

so correre più veloce di quando ero piccola, so saltare più in alto perché sono cresciuta in<br />

altezza, sono cambiata! Sono meno agile, più femminile, so controllarmi, sono cresciuta.<br />

❏ So che sto cambiando perché i vestiti dell’anno scorso non mi vanno più bene, mi sono<br />

sviluppata e i miei gusti sono cambiati, per esempio nel vestire o in fatto di giochi.<br />

❏ Mi accorgo che il mio corpo sta cambiando dalla statura, dal mio peso, dalle mie<br />

capacità (nell’ambito scolastico), dal mio numero di scarpe (che sta raggiungendo<br />

quello della mamma); vorrei moltissimo eliminare la mia pancia e vorrei tornare<br />

piccola! Vorrei poter mettermi il rossetto per uscire e farmi il taglio di capelli che voglio<br />

io. Inoltre le mie forme sono più femminili.<br />

❏ Io mi sono accorta che sto crescendo perché ho cambiato modo di vestire, sono diventata<br />

più alta e il mio piede è cresciuto notevolmente.<br />

139


Incontri con l’ombra<br />

❏ Io mi sono accorta che sto crescendo quando, un giorno di settembre, dovevo andare al<br />

matrimonio di mio fratello, ho tirato fuori le scarpe, le ho provate e mi andavano strette:<br />

non ce l’avrei fatta a resistere tutta la giornata. Per fortuna la mamma ha trovato le<br />

scarpe di riserva e così andai al matrimonio con le scarpe comode. Anche le mie forme<br />

femminili sono cresciute.<br />

❏ Il mio corpo sta cambiando perché il mio carattere sta diventando diverso e i miei gusti<br />

non sono più quelli di prima. I vestiti sono cambiati: prima erano con fiorellini,<br />

pizzetti... Invece adesso porto sempre vestiti moderni che mi piacciono. In prima ero più<br />

lenta, adesso sono più veloce; adesso sono più agile, prima no; oggi so più cose che prima<br />

non sapevo. Vorrei essere un po’ più alta, ma non troppo, e non avere le lentiggini.<br />

❏ Il mio corpo sta cambiando perché: le mie scarpe non mi vanno più, sono più alto di mia<br />

nonna che prima era più alta di me, non riesco ad urlare forte come facevo da bambino.<br />

Vorrei avere i capelli colorati: ogni capello un colore diverso.<br />

❏ Il mio corpo cambia perché divento sempre più grande in altezza, forza, carattere,<br />

velocità. Adesso sono il più veloce dei maschi della mia classe.<br />

❏ Io sto cambiando e 10 so per l’altezza, la forza, la velocità, il carattere. Ad esempio<br />

quando avevo sei anni non sapevo fare le divisioni a due cifre.<br />

❏ Sono cambiata perché da piccola per lavarmi le mani dovevo mettermi in punta di<br />

piedi, ma adesso no, oppure per toccare il tendone della mia casa dovevo saltare, ma<br />

adesso basta che alzi la mano e lo tocco,... Sono anche cambiata nel carattere,<br />

nell’intelligenza, nell’aspetto. Io vorrei diventare come dovrò essere, cioè come i miei<br />

genitori mi hanno fatta, sapendo loro<br />

❏ Mi accorgo che sto cambiando perché sto cambiando carattere, sono cambiati i gusti per<br />

la musica, guardo meno cartoni, sento più musica, per l’altezza e per la forza, ad<br />

esempio prima non riuscivo a spostare il mobile, ora sì. Mi piacerebbe aver gli occhi verdi<br />

e i capelli biondi e mi piacerebbe essere più alto e robusto di come sono.<br />

❏ Il mio corpo sta cambiando perché sto diventando alto, le braccia sono lunghe, cambio<br />

di carattere, divento un po’ più saggio, le gambe si allungano, gli occhi sono più chiari<br />

e i capelli più scuri. Vorrei avere gli occhi più chiari e anche essere più scattante.<br />

❏ Il mio corpo sta cambiando perché il piede cresce, sono sempre più alto, sono più veloce,<br />

ho potenza; ad esempio una volta ho tirato il pallone ed è andato da porta a porta:<br />

insomma la potenza del tiro.<br />

❏ Io mi sono accorta che sono cambiata perché mi sono sviluppata: è questa la cosa più<br />

importante. Invece la cosa meno importante è quella di aver cambiato vestiti, così mi<br />

sono accorta che mi sono allungata di più; poi so fare <strong>delle</strong> cose che non avevo la<br />

responsabilità di fare, ad esempio il caffè. Io sabato devo andare a prendermi i sandali,<br />

ma se non c’è il numero 35/36, io mi arrabbierò come una matta e vorrei che il mio<br />

piede diventasse di numero 37 perché ce ne sono tanti.<br />

CONCLUSIONI<br />

Dopo questo lavoro possiamo dire di poter cogliere anche una forma di verifica, laddove<br />

i ragazzi riescano ad assumersi una caratteristica organizzata di se stessi, ad assumersi un’<br />

identità che si possa vedere anche oggettivamente, cioè una terza persona che non abbia<br />

fatto il percorso assieme a loro possa vedere i segni di questa conquista.<br />

Il momento di verifica dice che nel rapporto di conoscenza mediante l’esperienza, durante<br />

l’esperienza e vivendola pienamente, in questo contesto, allora, ciascuno riconosce se<br />

140<br />

Incontri con l’ombra<br />

stesso, si abita e si pensa e si apprezza, si vede proiettato nel futuro e dice- sì, io sono e<br />

sto per diventare!-<br />

Vede un po’ più in là della punta del naso!<br />

Penso che rendere possibile tutto ciò sia apprezzabile.<br />

Nel senso appena detto abbiamo potuto cogliere diversi progressi, proprio confrontando<br />

una prova analoga condotta tempo addietro, in cui i ragazzi disegnavano se stessi.<br />

Dimostrava come i ragazzi si identificavano in modo meno preciso, mostrando un<br />

pensiero su di sé meno strutturato, meno ricco di particolari, con meno globalità.<br />

Organizzati in gruppi di 5 elementi, abbiamo proposto un lavoro sempre di disegno:<br />

“allora come non vorresti diventare” partendo da uno scarabocchio fatto da un<br />

componente del gruppo, mentre si discuteva del come diventare, cosa ti succede... Ai<br />

bambini con meno paura di fare cose nuove ho chiesto- mentre parliamo fai uno scarabocchio.<br />

La tecnica dello scarabocchio, da completare poi in un’immagine di senso compiuto, è<br />

stata scoperta da Winnicott e viene ripresa durante la formazione dei docenti che l’hanno<br />

sperimentata direttamente.<br />

Occorre dire che l’ausilio dello scarabocchio non è casuale, poiché essendo forma che<br />

introduce al pensiero simbolico, è stato utilizzato nell’esperienza didattica.<br />

I ragazzi si sono potuti proiettare in vari aspetti della multiforme personalità <strong>delle</strong> figure<br />

inconsce, sperimentando un percorso dove comunicazione e relazione sono fondamentali.<br />

Non si può fare “a comando” ma diventa possibile dove vi sia un affidarsi fiducioso.<br />

Non resta che provare. Buon viaggio.<br />

141


Scuola Elementare C. Cristofori<br />

Villotta - Aviano<br />

Sentieri di ombre e di luce<br />

Teresa Tassan Viol


Sentieri di ombre e di luce*<br />

Sentieri di ombre e di luce<br />

L’itinerario didattico proposto in relazione alla parte sperimentale del corso si è avviato<br />

nella mia classe attraverso il collegamento tra FANTASIA E REALTA’, per mezzo<br />

dell’occasione offerta dal filo sottile del SOGNO, che consente al bambino di accostarsi<br />

al mondo dell’inconscio e di rappresentarlo, attraverso i personaggi e i fantasmi che lo<br />

popolano. Se infatti l’inconscio non ha accesso diretto alla coscienza a causa della censura<br />

intervenuta e della conseguente rimozione, i suoi contenuti hanno però bisogno di essere<br />

tradotti e di farsi linguaggio, rappresentazione verbale e non-verbale.<br />

I sogni raccontati, descritti, evocati e disegnati dai bambini consentono di rintracciare le<br />

orme di un complicato percorso interiore che muove dal vasto e oscuro mondo dei<br />

desideri e <strong>delle</strong> pulsioni e dà corpo al luogo della fobia e del fantasma.<br />

Ed allora, eccoli i fantasmi e le fobie che animano e si animano nei sogni dei bambini:<br />

• animali feroci dai denti aguzzi<br />

• cani ringhiosi che vogliono mordere e sbranare<br />

• mostri deformi senza volto<br />

• serpenti che avvinghiano e mordono<br />

• alberi che si animano e rincorrono per incorporare le vittime<br />

• labirinti senza uscita che imprigionano<br />

• ...<br />

Scrivono:<br />

Marta: “Il cane dei miei sogni è molto peloso. Ha tre zampe, due teste, due occhi per testa...<br />

La bocca è sempre aperta e gli esce della bava. Ha denti aguzzi che sanno dilaniare ogni cosa,<br />

in fauci spaventose... Il cane può sbranarti all’improvviso, senza che tu te ne accorga... gli<br />

trema tutto il corpo e il pelo si drizza. Si scatena una furia tremenda e il cane fa disastri”.<br />

Valentina: “In sogno mi fa paura il serpente. Non è molto lungo ma ha gli occhi che fanno<br />

paura, blu e rossi al centro. Ha una lingua biforcuta di colore rosso... Cerca sempre di<br />

mordermi, combatte contro di me per uccidermi, fa un dolore insopportabile”.<br />

Andrea: “... esco dal buco di un albero, in un cimitero buio e oscuro. Poi esce una testa senza<br />

corpo, è una testa malvagia, senza un occhio e piena di cicatrici. Ha un chiodo conficcato<br />

in mezzo. Poi viene fuori un corpo con l’ascia in mano, tutta sporca di sangue... Prende la<br />

testa in mano e mi lega ad un palo, mi taglia la testa con l’ascia e la mette sul suo corpo al<br />

posto di quella sua...”.<br />

AUTRICE<br />

Tassan Viol Teresa - docente di scuola elementare - laureata in Pedagogia. Insegna matematica, scienze, geografia ed educazione<br />

motoria<br />

145


Sentieri di ombre e di luce<br />

Giacomo: “Vado per strada in bicicletta e ad un tratto, tutto si trasforma in un boscolabirinto...<br />

Si chiude l’entrata da dove sono passato, gli alberi si svegliano e cominciano a<br />

rincorrermi. Mi prendono e mi tirano per le braccia, per le gambe e per la testa e me le<br />

staccano. Dopo le buttano in una buca e ricoprono tutto... I mostri mi fanno paura<br />

soprattutto quando stanno per scompormi in tanti pezzi”.<br />

Enrico: “Il mio incubo mi porta nella foresta degli alberi viventi che mi vogliono<br />

catturare... gli alberi hanno le mani con cinque dita proprio come noi, hanno una bocca<br />

grandissima e profonda come un pozzo perdente, con molti denti aguzzi e taglienti da<br />

tranciare un cavo elettrico, <strong>delle</strong> radici molto sporgenti e grosse per far cadere le persone che<br />

passano, poi con le loro braccia allungabili le catturano, le imprigionano, le torturano e, se<br />

non collaborano, le uccidono. Hanno anche grossi occhi, dei rami apparentemente pochi e<br />

corti che poi si trasformano, da pochi e corti a tanti e lunghi. Gli alberi possono mutarsi come<br />

e quando fa loro comodo, in avanti, indietro, a destra, a sinistra, in alto, in basso... Mi<br />

fanno paura soprattutto i loro denti perché sono molto taglienti”.<br />

Marco: “... La casa del sogno era molto grande, non finiva più, allora correvo, ma non<br />

finiva. C’era una stanza dietro l’altra; in ogni stanza c’erano un divano, una TV, una<br />

scrivania, dei mobili e qualche volta una scala normale per passare da una stanza all’altra,<br />

oppure una scala a chiocciola.<br />

In una stanza c’era la cucina, con un tavolo, un forno che occupava metà stanza; c’erano<br />

persino stufette molto piccole che, se le lasciavi accese per tanto tempo, sembrava di essere in<br />

estate. Non c’erano finestre, quasi nessuna, e sembrava di essere in un sotterraneo”.<br />

Sono alcuni stralci <strong>delle</strong> rappresentazioni verbali dei sogni dei bambini, evocati anche<br />

attraverso altri codici: il disegno, il racconto orale, ecc.<br />

Sono chiare e riconoscibili nei sogni dei bambini le tracce di un sadismo legato alle<br />

angosce della fase orale (masticare, mordere, strappare, fare a pezzi...) e della fase anale<br />

(tagliare, pugnalare, bruciare, ...).<br />

Raccontare, verbalizzare, rappresentare attraverso il disegno e la parola queste angosce<br />

del bambino consente di attivare quel meccanismo fondamentale che è la “proiezione”,<br />

e di espellere quindi fuori di sé quei non-pensieri verso un contenitore rassicurante e<br />

inglobante che provvede non a gettarli via, ma a farli rientrare sotto forma di pensiero.<br />

È evidente il ruolo enorme giocato dalla FANTASIA, in grado di incanalare e sublimare<br />

il flusso di energia liberato con l’intervento dei meccanismi di difesa. E se l’angoscia<br />

genera creatività, la fantasia dà vita all’alfabeto del PENSIERO MAGICO O<br />

IMMAGINARIO, tappa irrinunciabile nella formazione del pensiero del bambino.<br />

Su questo parametro si colloca anche il lavoro svolto con gli alunni inerente alla<br />

proposizione <strong>delle</strong> fiabe classiche, con i loro personaggi e i loro luoghi incantati, rivisitati<br />

dai bambini secondo l’obiettivo di associare le figure <strong>delle</strong> favole con le proprie emozioni,<br />

di associare i vari personaggi esterni con i personaggi del proprio mondo interiore.<br />

Abbiamo così incontrato Biancaneve, Cappuccetto Rosso, Pollicino, Hansel e Gretel,<br />

l’orco del fagiolo magico e tante altre storie.<br />

In particolare, con la proposizione della fiaba di Italo Calvino “Giovannino senza paura”<br />

che, non avendo paura di niente, alla fine muore per la paura della sua ombra, si è andati<br />

ad esplorare quel mondo sotterraneo che muove dal reale portandosi dietro mille PAURE<br />

che si fanno ansia, incertezza, minaccia di essere annullati, di diventare indeterminati,<br />

fobia e angoscia di perdersi e richiamano perciò come necessità irrinunciabile la censura<br />

e l’accettazione del limite.<br />

Sono interessanti, a questo proposito, le risposte fornite dai bambini alle tre domande<br />

proposte per interpretare il comportamento di Giovannino.<br />

146<br />

Shannon<br />

Andrea<br />

Isabella<br />

Enrico<br />

Ilaria<br />

Livia<br />

Giacomo<br />

Vanessa<br />

Giovannino, per non<br />

avere paura...<br />

Beve un bicchiere di vino<br />

e morde la salsiccia.<br />

Beve, mangia, fischietta e<br />

dice sempre: “Vai avanti<br />

tu”.<br />

Mangia salsiccia, beve<br />

vino e resta sveglio tutta la<br />

notte a fare la guardia.<br />

Fischia, beve, mangia<br />

salsiccia.<br />

Fa l’indifferente,<br />

mangia e beve.<br />

Cerca di non farsi<br />

incastrare dall’omone e lo<br />

manda avnti e si rifiuta<br />

di fare quello che gli dice.<br />

Invece fuori dal palazzo<br />

girava il mondo.<br />

Risponde tranquillamente,<br />

proprio senza paura.<br />

Dice sempre - “Fai tu - al<br />

mostro caduto a pezzi.<br />

Giovannino non ha<br />

paura perché...<br />

Tiene sempre con sè una<br />

bottiglia di vino e una<br />

salsiccia.<br />

Non bada l’omone, come<br />

se fosse finto, solo frutto<br />

della sua immaginazione.<br />

Ha la lampada per illuminare<br />

la strada e manda<br />

avanti a sè il mostro.<br />

Vuole passare la notte<br />

in santa pace e non gli<br />

importa quello che<br />

succede nel palazzo.<br />

Segue il mostro,<br />

strafregandosene.<br />

Sentieri di ombre e di luce<br />

Giovannino senza<br />

paura, alla fine muore<br />

di paura perché...<br />

Non ha fatto in tempo a<br />

bere il vino e a mettere<br />

in bocca la salsiccia...<br />

Vedendo la sua ombra,<br />

crede di essere lui da<br />

morto.<br />

Nell’ombra si vede altissimo<br />

con gambe lunghe, braccia<br />

carnose, tutto malmesso.<br />

Il locandiere gli aveva<br />

detto che in quel palazzo<br />

erano morte molte persone<br />

e lui scambia la sua<br />

ombra per un cadavere:<br />

era impreparato a vedere<br />

un morto così<br />

all’improvviso.<br />

È coraggioso. Pensa che sia un<br />

fantasma.<br />

È coraggioso, nonostante<br />

gli avvertimenti dell’oste<br />

e anche quando l’omone<br />

cade a pezzi.<br />

Si sente sicuro perché non<br />

sa quello cui va incontro.<br />

È molto coraggioso e non<br />

ha paura di niente.<br />

Diventato ricco, si<br />

trascura e finisce<br />

malridotto. La sua ombra<br />

è come uno specchio: si<br />

vede, si accorge di come è<br />

diventato, si spaventa e<br />

muore.<br />

Nella sua ombra vede<br />

l’uomo che lui ha ucciso<br />

con le parole, costringendolo<br />

a scomporsi, per aver<br />

risposto con coraggio.<br />

Non ha visto bene e non<br />

ha riconosciuto la sua<br />

ombra sul muro del<br />

palazzo; l’ha scambiata<br />

per un fantasma.<br />

147


Sentieri di ombre e di luce<br />

Marta<br />

Amanda<br />

Marco<br />

Sara<br />

Claudio<br />

Valentina<br />

Carlo<br />

Prima fischia e mangia<br />

la sua salsiccia poi, nella<br />

seconda parte, dà botta e<br />

risposta all’omone.<br />

148<br />

È abituato a queste cose e<br />

sa come fermare la paura:<br />

è orgoglioso di essere così.<br />

Forse si prepara?<br />

Dice: “Prima tu, fallo tu”. Mangia, beve, fischietta e<br />

sta dietro.<br />

Dice all’omone: “Vai tu,<br />

fai tu”.<br />

Beve il vino, addenta la<br />

salsiccia, fischietta, dice<br />

indifferente: “Alla salute”.<br />

Mastica salsiccia, beve<br />

vino, fischietta. Nel sotterraneo<br />

fa stare avanti<br />

l’omone e gli dice sempre:<br />

“Fallo tu”.<br />

Mangia, beve e fa finta<br />

di niente, fa andare<br />

avanti l’altro per evitare<br />

trabocchetti.<br />

Invece di vedere quello che<br />

succede attorno a sè, pensa<br />

ad altro come mangiare<br />

salsiccia e bere vino.<br />

Pensa di vivere in un<br />

sogno.<br />

È nato così, non perché ha<br />

imparato a non averla<br />

nel corso del tempo.<br />

I suoi genitori gli hanno<br />

spiegato come comportarsi<br />

davanti a fatti che<br />

fanno paura.<br />

Quando era piccolo, i suoi<br />

genitori lo hanno educato<br />

così, a non aver paura;<br />

oppure è propio nato così,<br />

senza paura.<br />

Ha girato il mondo e<br />

conosce quai tutti gli<br />

esemplari umani che<br />

esistono.<br />

È stato preso all’improvviso,<br />

forse si era rilassato<br />

un attimo, forse quel<br />

giorno non era preparato.<br />

Nell’ombra ha visto<br />

quell’uomo che tornava<br />

per vendicarsi per aver<br />

rotto l’incantesimo.<br />

Ha affrontato cose ben<br />

più paurose di una cosa<br />

che non esiste.<br />

Non ha mai visto la sua<br />

ombra.<br />

Non si era mai visto e il<br />

suo corpo gli faceva una<br />

paura tale da morire.<br />

Diventato ricco, pensava<br />

solo ai soldi e si era dimenticato<br />

come si fa ad<br />

affrontare la paura. Si è<br />

girato di scatto e ha visto<br />

la sua ombra a forma di<br />

diavolo: ha preso uno spavento<br />

da morire.<br />

Abituato a non avere<br />

paura per motivi grossi,<br />

non era abituato a non<br />

prendere paura per motivi<br />

piccoli; finisce per crepare<br />

per la sua ombra, un<br />

motivo piccino piccino.<br />

Pensa che la sua ombra<br />

sia un esemplare umano<br />

sconosciuto per lui.<br />

Sentieri di ombre e di luce<br />

Le risposte alla prima domanda (“Cosa fa Giovannino per non aver paura?”) risultano<br />

molto legate al contesto della fiaba, con una netta prevalenza del senso di sicurezza che<br />

deriva a Giovannino dal fatto di mangiare e bere (avidità orale) e dal proiettare fuori da<br />

sé le cause del conflitto (dice sempre: vai tu, fallo tu, passa tu...).<br />

Le risposte alla seconda domanda (“Perché, secondo te, Giovannino non ha paura?”)<br />

sono piuttosto variegate:<br />

• perché è coraggioso<br />

• perché ha la luce<br />

• perché conosce il mondo e gli uomini (ha la conoscenza, ha il pensiero)<br />

• perché pensa di vivere in un sogno (difesa: fuga dalla realtà)<br />

• perché ha vino e salsiccia (ancora l’oralità)<br />

• perché è stato educato così (inibizione: accettazione della regola)<br />

• ...<br />

Le risposte alla terza domanda (“Perché, secondo te, Giovannino senza paura alla fine<br />

muore di paura?”) sono veramente interessanti:<br />

• perché non ha fatto in tempo a mangiare e bere<br />

• perché l’ombra è irriconoscibile, l’ignoto<br />

• perché pensa sia un fantasma<br />

• perché pensa sia un morto<br />

• perché l’ombra è uno specchio e lui non si riconosce<br />

• perché torna l’omone che si era scomposto in tanti pezzi<br />

• ...<br />

Dunque, la paura di ciò che è ignoto, del fantasma, della morte, del sè ucciso, dello<br />

specchio, di ciò che si scompone e va a pezzi: tornano vocaboli di un sillabario già<br />

visitato, di un mondo <strong>delle</strong> ombre che chiede di esprimersi attraverso le cifre del<br />

PENSIERO SI<strong>MB</strong>OLICO.<br />

Dal lavoro sulla paura, la paura evocata in Giovannino dalla sua ombra, si è approfondita<br />

la tematica avviata proponendo alla classe un’attività di brainstorming sulla parola<br />

O<strong>MB</strong>RA e un successivo momento individuale per la definizione della stessa parola<br />

“ombra”.<br />

I bambini hanno così dato vita ad un’esplosione di parole in libertà che sono state dapprima<br />

scritte su un cartellone in modo immediato e disordinato, senza regola alcuna;<br />

successivamente sono state classificate secondo categorie scelte e definite dai ragazzi stessi.<br />

149


Sentieri di ombre e di luce<br />

Brainstorming - classificazione sulla parola O<strong>MB</strong>RA<br />

le qualità le sensazioni l’angoscia<br />

eterna paura fantasma<br />

immortale brivido mostro<br />

ossessiva vertigine killer<br />

ossessionante incubo shock<br />

nottambula timore ululo<br />

informe affanno<br />

ansimante impressione la realtà<br />

temibile spavento tenebre<br />

impalpabile tristezza nero<br />

impersonale senza-respiro oscuro<br />

personale pelle d’oca oscurità<br />

orribile ansia crepuscolo<br />

senza-volto incertezza buio<br />

non ti molla mai insicurezza freddo<br />

tremula tramonto<br />

fioca oltre la realtà nuvole<br />

inanimata ignoto silenzio<br />

astratta morte notte<br />

tenebrosa aldilà fresco<br />

terribile mistero riflesso<br />

allucinante fantasia<br />

Come si può notare, l’insieme definito “le qualità” è forse più interessante dal punto di<br />

vista lessicale e più scontato per un’analisi psicologica.<br />

Il secondo, chiamato dai ragazzi “le sensazioni”, è stato da loro considerato quasi evocato<br />

dalla parola chiave “paura”, con tutto quello che ne discende.<br />

L’insieme denominato “l’angoscia” si origina da “fantasma”.<br />

Le parole sistemate nella categoria detta “la realtà” prendono forza da “tenebre”. Quelle<br />

classificate “oltre la realtà” sono tutte parole forti, di grande significato interiore.<br />

Non meno interessanti, dal nostro punto di vista, sono le definizioni date dai ragazzi<br />

come riflessione personale:<br />

Per me l’ombra è...<br />

❑ il buio della notte che mi fa paura;<br />

❑ una cosa che incute paura a tutti;<br />

❑ segno di tristezza;<br />

❑ é una cosa buia e paurosa che fa pensare alla morte e all’aldilà, perché è inanimata;<br />

❑ una cosa che ti rende insicura su chi sei e dove ti trovi;<br />

❑ un fantasma fastidioso e vorrei che se ne andasse, ma non sempre;<br />

❑ una cosa buia che ti segue e ti fa paura;<br />

❑ una cosa misteriosa senza volto, ma non ti può far del male;<br />

150<br />

❑ un fantasma assetato di morte, con un’anima opaca e scura;<br />

❑ è misteriosa, viene e va, sparisce e ritorna;<br />

❑ una cosa triste che ti perseguita sempre;<br />

❑ una cosa di cui non ti puoi fidare, perché anch’essa non è sicura di sè;<br />

❑ se c’è ombra non puoi distinguere le cose, io sono incerto e non so dove andare, sono<br />

ansimante e mi sento perso nel buio.<br />

Quali sono dunque le ombre che popolano il buio mondo fantasmatico dei bambini?<br />

A cosa rimandano i neri fantasmi dell’animo infantile?<br />

Come si può notare dai lavori, l’ombra conduce direttamente all’altro da sè, al lato<br />

oscuro, a colui che è senza volto e senza nome, che non è ancora nato alla luce e<br />

al mondo.<br />

Se nell’immaginario di ciascuno, nascere significa uscire dal buio, muovere dall’ombra e<br />

uscire aprendosi al paesaggio esterno dove c’è luce e c’è vita, allora la nascita contiene<br />

un’angoscia primordiale: essere gettati nel mondo e dover imparare a cadere, per rialzarsi<br />

e porsi in posizione eretta.<br />

Il percorso è dalla DIFFERENZA alla INTEGRAZIONE e ripropone l’eterno dualismo:<br />

inconscio - conscio<br />

disordine - ordine<br />

ignoto - certo<br />

altro da sè - sè<br />

morte - vita<br />

tenebre - luce<br />

ma anche<br />

maschio - femmina<br />

padre - madre<br />

io maschile - io femminile<br />

Sentieri di ombre e di luce<br />

Forse per questa esigenza di integrazione e unità, che si costruisce attraverso l’affermazione<br />

della differenza, gli alunni della mia classe hanno proposto di ripetere l’itinerario<br />

svolto nell’esplorazione del mondo evocato dall’ombra, anche per ciò che loro hanno<br />

considerato come opposto all’ombra: la LUCE.<br />

151


Sentieri di ombre e di luce<br />

Brain storming - classificazione sulla parola LUCE<br />

152<br />

le qualità i sentimenti la realtà<br />

brillante vita sole<br />

abbagliante amore cielo<br />

impalpabile libertà acqua<br />

astratta sicurezza rugiada<br />

accecante allegria arcobaleno<br />

luminosa felicità calore<br />

lucente gioia caldo<br />

avvolgente contentezza giorno<br />

vivace energia chiaro<br />

polverosa accoglienza alba<br />

instabile verità aurora<br />

intermittente chiarezza mattina<br />

visibile splendore riflesso<br />

trasparente limpidezza occhi<br />

eterna serenità vista<br />

celeste certezza<br />

terrestre<br />

accesa<br />

spenta la fantasia<br />

abbronzante sogno<br />

solare voce<br />

incontro<br />

desiderio<br />

sinfonia<br />

paradiso<br />

Va subito notato come, laddove prima si definiva la categoria <strong>delle</strong> “sensazioni”, ora troviamo<br />

l’insieme “i sentimenti”, in testa a questi, i ragazzi hanno scelto di porre la parola “vita”, ma<br />

tutte le altre che seguono sono parole forti, che chiamano potentemente al confronto.<br />

Nell’insieme “la realtà”, dove prima stava “tenebre”, ora c’è “sole”, sole che illumina<br />

e segna la strada; troviamo infatti anche “occhi” e “vista”.<br />

E che dire <strong>delle</strong> parole classificate sotto il termine “la fantasia”? Ogni vocabolo di questa<br />

categoria merita una riflessione, per la potente carica simbolica che contiene:<br />

• “sogno” : il reale che rimanda all’irreale<br />

• “voce” : ciò che consente di chiamare per nome, di dare nome e identità<br />

• “incontro” : l’io e gli altri, l’io e il mondo esterno<br />

• “desiderio” : prima tappa della vita psichica<br />

• “sinfonia” : molti strumenti, un solo canto; dalla separazione all’unità<br />

• “paradiso” : dalla colpa alla conciliazione, l’armonia.<br />

Anche nelle definizioni brevi, si ripropongono simboli assai significativi:<br />

Per me, la luce è...<br />

❏ una vita che nasce;<br />

Sentieri di ombre e di luce<br />

❏ una fonte preziosa che dà vita, calore e felicità;<br />

❏ è motivo di sicurezza per sapere dove vado;<br />

❏ una cosa chiara, limpida, che mi fa stare tranquillo;<br />

❏ una cosa vivente che non ti lascia mai;<br />

❏ una cosa luminosa che segna il cammino, ma è fastidiosa quando è abbagliante;<br />

❏ una cosa che ti dà felicità e desiderio di volare;<br />

❏ una cosa indispensabile per la vita;<br />

❏ motivo di felicità che avvolge il mondo in un manto limpido e colorato;<br />

❏ è vita, armonia, felicità;<br />

❏ è una cosa colorata che ravviva e fa sentire felici;<br />

❏ ti fa venire in mente cose belle. La luce non finisce mai;<br />

❏ è fresca. Nella luce mi sento sicuro e contento. Mi sento vivo;<br />

❏ è armonia, voglia di cantare<br />

Come non tradurre questa potente apertura alla vita, alla certezza, all’armonia con il<br />

processo di costruzione dell’io, che accetta e accoglie l’immagine di sé, integrando i suoi<br />

vissuti in una unità che si fa continuamente, per accogliere il nuovo e il diverso e si fa “io<br />

cosciente”, perché si riconosce nel processo e nella relazione con sé, con gli altri, con il<br />

mondo. Da questa formidabile sintesi si costruisce l’IDENTITA’, come processo che<br />

continua e mette senza sosta in rapporto i tre registri, magico simbolico e reale, che<br />

consentono al bambino di nascere al pensiero e anche alla vita.<br />

Il pensiero è facoltà di ragionare, riflettere, ricordare, conoscere, immaginare, fantasticare,<br />

fare ipotesi, introdurre sapere, partecipare alla vita <strong>delle</strong> cose, pensare se stessi,<br />

pensare il mondo.<br />

Il pensiero è vita.<br />

CONCLUSIONE<br />

Questo è stato il lavoro svolto in classe. Esso appare ora, con la consapevolezza raggiunta,<br />

di particolare significato.<br />

Nello svolgersi dell’attività sperimentale ho potuto contare su 15 ragazzi di 10, 11 anni<br />

che si sono aperti con disponibilità e generosità, curiosi di indagare e di tirare fuori da sè,<br />

per poi introdurli nuovamente in forma diversa, gli elementi di un sapere a volte<br />

razionale, ma più spesso non-mediato e fantastico. Aver offerto loro strumenti e codici<br />

comunicativi, talvolta trascurati nella didattica quotidiana che fa i conti con implacabili<br />

tappe del programma da svolgere, è stata una esperienza formativa innanzitutto per me<br />

come insegnante.<br />

Anch’io ho potuto, in certo modo, “nascere al pensiero”, facendo superare la soglia della<br />

coscienza a un progetto formativo sicuramente già presente, per una sorta di istinto<br />

professionale, ma vissuto in questo caso con intenzionalità e più chiarezza di obiettivi:<br />

evitare frammentazioni, realizzare unità. L’augurio è di esserci riuscita.<br />

153


Sentieri di ombre e di luce<br />

154<br />

Scuola Elementare C. Collodi<br />

I Circolo di Pordenone<br />

Le bocche che mangiano<br />

Mirella Trevisiol - Marilena Quaia


Le bocche che mangiano*<br />

Motivazioni e struttura del corso<br />

Le motivazioni per le quali ho deciso di partecipare al corso di formazione: “La sessualità<br />

infantile e l’arte della fiaba” sono state essenzialmente tre.<br />

Innanzi tutto il desiderio di approfondire un argomento, come l’aspetto della sessualità<br />

infantile, sul quale quasi nessuno si era fatto carico, in precedenza, di formare gli<br />

insegnanti, come se la sessualità fosse un aspetto della personalità che avrebbe dovuto<br />

essere affrontato da “esperti”, o del quale era bene non parlare a scuola.<br />

In secondo luogo la possibilità di prendere coscienza del ruolo che via via l’insegnante<br />

assume all’interno di una “comunità educante”, nella quale la rete <strong>delle</strong> relazioni che si<br />

instaurano può determinare, a volte, il successo o l’insuccesso scolastico.<br />

Infine la volontà di riflettere sul percorso da me attuato come donna, come madre e nello<br />

specifico come insegnante.<br />

Il corso prevedeva due fasi da svolgersi contemporaneamente: la fase teorica, nella quale<br />

venivano forniti strumenti di conoscenza sulle tappe evolutive e sullo sviluppo psico -<br />

sessuale della prima e seconda infanzia, e una fase sperimentale, nella quale attraverso gli<br />

strumenti della fiaba e della tecnica immaginativa, veniva favorita l’espressione della<br />

personalità del bambino in situazione ludica e di gruppo, offrendogli la possibilità di<br />

esternare, con la complicità “legalizzante” dell’insegnante, anche le emozioni più forti,<br />

quelle che stanno tra il detto e il non detto, tra la rimozione e la censura, per aiutarlo a<br />

trasformarle in stati mentali più consapevoli.<br />

Infine, nel momento della supervisione veniva offerta all’insegnante la possibilità di<br />

“leggere” le produzioni dei bambini anche in chiave psico - sessuale.<br />

Le mie aspettative e i contenuti del coso erano, quindi, tali da far ipotizzare una<br />

compenetrazione <strong>delle</strong> une con gli altri.<br />

1 a parte<br />

Le bocche che mangiano<br />

Presentazione. chi sono - d’onde vengo - dove vado - chi sono i miei compagni<br />

di viaggio.<br />

Sono un’insegnante elementare e, dopo i primi anni d’insegnamento sofferti e non<br />

appaganti, in cui cercavo di “insegnare” ciò che sapevo e ciò che mi era stato insegnato,<br />

ho iniziato un percorso di ricerca su come i bambini apprendono; quando si può parlare<br />

*LE AUTRICI<br />

Quaia Marilena - docente di scuola elementare - ha conseguito la specializzazione polivalente. È insegnante di sostegno<br />

Trevisiol Mirella - docente di scuola elementare - insegna matematica, scienze, religione, educazione motoria<br />

157


Le bocche che mangiano<br />

di vero apprendimento; quali strategie usano. E ancora, quali emozioni bisogna<br />

sollecitare, mantenere, controllare, affinché ci sia “un buon nutrimento” che, procurando<br />

gusto e piacere, alimenti il desiderio d’impossessarsi anche dei segreti più reconditi della<br />

conoscenza. Quale relazionalità affettiva promuovere all’interno della classe per favorire<br />

la presa di coscienza di sé e dell’altro come entità uniche ed irripetibili, ma non<br />

necessariamente contrapposte?<br />

Quale atteggiamento tenere nei confronti dei soggetti coinvolti nell’apprendimento?<br />

È iniziato così il mio secondo viaggio sui banchi della scuola - e devo dire che mi è<br />

piaciuto più del primo - mi ha coinvolta totalmente, mi ha fatto assaporare la gioia di<br />

imparare ad apprendere e mi ha rimandato continuamente ad un ascolto dell’io profondo<br />

ed a tutto ciò che da sempre è depositato nel nostro mondo interiore.<br />

Da qui è nata la convinzione che è più importante “far uscire” ciò che sta già dentro ai<br />

bambini per dargli forma, piuttosto che continuare a mettere dentro concetti e nozioni, anche<br />

ben strutturati, ma poco rispondenti, in quel momento, alle loro reali esigenze, se non<br />

addirittura in netto contrasto con un loro “ordine interiore”. A poco a poco, il mio ruolo di<br />

insegnante come depositario del sapere e della verità ha perso significato ed è stato sostituito<br />

da quello dell’insegnante che sempre più si pone in atteggiamento di ascolto dell’altro, ne<br />

interpreta i bisogni, li rende espliciti e aiuta a comprenderne il significato.<br />

Miei compagni di viaggio sono stati “generazioni cicliche” di alunni, fino ai 13 di classe<br />

seconda, di età compresa tra sette e otto anni, con i quali ho condiviso quest’ultima esperienza.<br />

Ciò che li accomuna in ogni tempo e in ogni luogo è un agire spesso istintivo e poco<br />

controllato: sono, il più <strong>delle</strong> volte, emozioni forti, quali la rabbia, l’aggressività, la gelosia,<br />

espresse sia a livello verbale che mimico - gestuale. È frequente che l’amicizia venga intesa come<br />

possesso esclusivo dell’oggetto amato: in questo caso l’amico non può essere “diviso” con un<br />

altro, non può rivolgere ad altri le sue attenzioni senza incorrere in “sanzioni punitive”.<br />

Come condurre allora gli alunni a prendere coscienza di quel loro mondo istintivo,<br />

affettivo ed emotivo? Come evitare la scissione tra mondo affettivo e mondo cognitivo?<br />

Come conciliare la presenza di più figure all’interno della scuola e, a volte, l’eccessiva<br />

frammentarietà specialistica con la cultura dell’unità?<br />

La parte sperimentale del corso ha fornito risposte più o meno esaurienti a queste<br />

domande; inoltre, le modalità di lavoro utilizzate, hanno permesso all’insegnante di<br />

valorizzare la fase dell’ascolto e agli alunni di esprimere le loro emozioni, sia attraverso il<br />

linguaggio verbale che non verbale, di confrontarsi con l’assenso e il dissenso dell’altro,<br />

di superare la paura di raccontarsi e di farsi scoprire.<br />

158<br />

2 a parte<br />

Questa esperienza è stata attuata in una classe seconda composta da tredici alunni.<br />

Condizione indispensabile per l’attuazione è stata l’adesione al progetto di due<br />

insegnanti del modulo; in questo caso una di matematica e scienze, l’altra di sostegno.<br />

Molte attività, infatti, erano di tipo orale e le verbalizzazioni dei bambini necessitavano<br />

di essere annotate da un’insegnante seduta stante, mentre l’altra svolgeva il ruolo di<br />

conduttrice. Il fatto di trascrivere le verbalizzazioni dei bambini e di registrarle<br />

permetteva, successivamente, alle insegnanti un’analisi sul tipo di risposte date e<br />

l’individuazione del filo conduttore, che avrebbe dovuto legare tra loro, in modo<br />

consequenziale, le varie attività proposte.<br />

Le fiabe sono state lo sfondo sul quale abbiamo impostato la prima parte del nostro<br />

lavoro. La seconda parte è stata centrata sui sogni dei bambini e la terza parte su<br />

un’immagine ricorrente nelle fiabe e nei sogni che è “l’essere divorati”. Da qui alle<br />

bocche che mangiano il passo è stato breve.<br />

Sono state utilizzate le seguenti fiabe: “Cappuccetto Rosso”, “Hansel e Gretel”, “I<br />

musicanti di Brema”, “Raperonzola”, “Il lupo e i sette capretti” (da “Grimm Fiabe”,<br />

scelte e presentate da Italo Calvino, Ed. Einaudi) e “Il bambino nel sacco” e “Giovannin<br />

Senza Paura” (da “Fiabe Italiane” raccolte da Italo Calvino, Ed. Einaudi).<br />

Modalità di lavoro, rispetto al percorso attivato per le fiabe.<br />

❏ Lettura della fiaba da parte dell’insegnante, con possibilità di interromperla ogni<br />

volta che ne veniva fatta richiesta da parte dei bambini, per interventi sul testo o<br />

precisazioni;<br />

❏ Socializzazione rispetto ai personaggi e all’ambiente in cui si svolge la vicenda, con<br />

raccolta di dati visivi, uditivi, di movimento;<br />

❏ Rappresentazione grafico - pittorica dei personaggi <strong>delle</strong> fiabe e loro ambientazione,<br />

servendosi dei dati raccolti.<br />

❏ Verbalizzazione <strong>delle</strong> emozioni che la fiaba aveva suscitato in ciascuno;<br />

❏ Ricerca di modalità per esprimere e quindi comunicare le emozioni provate attraverso<br />

il colore, la libera espressione del corpo, la riproduzione di suoni e rumori con<br />

strumenti occasionali;<br />

❏ Compilazione di un questionario del tipo:<br />

• Quali sono i personaggi cattivi <strong>delle</strong> fiabe?<br />

• Quali sono gli animali che ti fanno più paura?<br />

• Che cosa fa la strega nelle fiabe?<br />

• Che cosa fa l’orco?<br />

• Che cosa fa il lupo mannaro?<br />

• Quali sono gli animali più cattivi?<br />

❏ Raccolta, selezione e tabulazione dei dati, contenuti nei questionari, su cartelloni<br />

murali.<br />

Ciò che è emerso si può così sintetizzare: tra i personaggi più cattivi ci sono i mostri, i<br />

fantasmi, le streghe, le matrigne, i draghi.<br />

Gli animali che più spaventano sono: i lupi, i draghi, i leoni, le tigri e i gatti feroci.<br />

Le azioni di una strega si concretizzano attraverso: maledizioni, stregonerie, magie,<br />

preparazione di filtri e veleni, cattiverie e voli su scope.<br />

L’orco, invece, si dedica alla caccia dei bambini che prende in ostaggio e poi mangia.<br />

Il lupo mannaro mangia sia bambini, che pecore.<br />

Tra gli animali più cattivi ci sono: tigri, lupi, leoni, serpenti e dinosauri.<br />

L’emozione più forte che ha accompagnato il lavoro sulla fiaba è stata certamente la<br />

paura nelle sue varie manifestazioni. Il fatto di poterla esternare, attraverso li disegno, la<br />

mimica, il confronto con l’altro ha permesso di “sconfiggerla” in modo divertente e in<br />

compagnia, esorcizzandola con l’umorismo e l’ironia.<br />

Modalità di lavoro per quanto riguarda i sogni.<br />

Attraverso una serie di domande è stato chiesto ai bambini:<br />

• Che cosa ti fa venire in mente la parola sogno?<br />

Le bocche che mangiano<br />

159


Le bocche che mangiano<br />

• Ricordi i tuoi sogni?<br />

• Come fai a sapere che sogni?<br />

• Quali sono i personaggi che sogni?<br />

• Quali sono gli animali che sogni?<br />

• Quali sono i personaggi di cui hai più paura?<br />

• Racconta un tuo sogno.<br />

Ogni alunno forniva la sua risposta, che un’insegnante annotava di volta in volta. Alla<br />

fine, su un cartellone murale, venivano trascritte le risposte relative ad ogni domanda,<br />

togliendo i doppioni.<br />

I risultati si possono così sintetizzare.<br />

La parola sogno evoca queste associazioni: pericolo, avventura, spazi immensi, bosco,<br />

castello, giungla, fattoria, animali cuccioli, una cosa immaginaria.<br />

Non tutti ricordano i loro sogni, alcuni asseriscono di non ricordarli affatto.<br />

Forniscono poi le seguenti spiegazioni rispetto al “come “ fanno a saper che sognano:<br />

“… perché, se vado a dormire, dopo lo capisco che è un sogno.”;<br />

“… perché dopo mi sveglio.”;<br />

“… perché mi ricordo sempre l’ultima parte perché è sempre quella che è più interessante.”;<br />

“ …perché non mi possono vedere e sono a letto, non mi posso trovare in un altro posto.”;<br />

“apro gli occhi quando sono in un brutto sogno e mi trovo nel mio letto.”;<br />

“perché dopo il sogno mi sveglio.”;<br />

“perché non è la stessa cosa della realtà.”;<br />

“perché dopo mi sono ritrovato a letto.”.<br />

Tra i personaggi dei sogni ci sono: mostri, pirati, fantasmi, alcuni parenti, animali più o<br />

meno feroci.<br />

Tra gli animali ci sono: il lupo, il leone, i pipistrelli, i dinosauri, i barracuda, i serpenti, i<br />

cavalli e i gatti.<br />

Tra i personaggi che più incutono paura possiamo ricordare: draghi, barracuda, squali,<br />

mostri, cani, lupi, pirati, alieni, dinosauri, carnivori, coccodrilli, gatti feroci, pipistrelli…<br />

Infine ogni alunno è stato invitato a raccontare un suo sogno; durante il racconto ognuno<br />

dei presenti poteva interromperlo, se riteneva opportuno avere ulteriori chiarimenti.<br />

Qui di seguito vengono forniti alcuni racconti di sogni.<br />

“Ero in una città, in un museo vuoto. C’era solo una navicella spaziale che non sapevo come<br />

si metteva in moto. Per sbaglio ho toccato una leva e mi sono ritrovato in una giungla e la<br />

navicella era sparita. Non avevo gli stessi abiti del museo, ma erano cambiati: avevo indosso<br />

una pelle di animale come i vestiti degli Antenati. Ricerco la navicella per tornare e<br />

correndo, correndo ho trovato una piramide con una porticina dove dentro c’erano solo<br />

meccanismi; ne ho toccato uno sporco d’olio e dietro la piramide ho trovato la navicella. Sono<br />

tornato, mi sono svegliato e mi sono toccato i vestiti per vedere se erano quelli del sogno.”.<br />

“Ero andato con una navicella spaziale in un pianeta con i dinosauri. Uno ha ruggito, io<br />

ho avuto paura perché mi avevano lasciato solo; io sono scappato, ma mi ha mangiato ed io<br />

mi sono svegliato.”.<br />

160<br />

“Ero seduto su una specie di letto piccolo dove stavo stretto, allora mi sono alzato, mi sono<br />

affacciato alla finestra ed ho visto due cose bianche e sono stato rapito da una specie di luce<br />

e quando mi sono reso conto dov’ero: in una navicella spaziale. La navicella era vuota, non<br />

c’era nessuno, e all’improvviso ha urtato contro una montagna. Allora mi sono messo a<br />

cercare in tutte le stanze della navicella e sono entrato in una dove c’era una specie di fumo<br />

che faceva piangere, mi sono svegliato e stavo piangendo per davvero.”.<br />

“Stavo dormendo quando un ladro mi voleva rapire, ho cominciato a scappare su per le scale,<br />

sono caduto, mi sono rialzato e sono arrivato in un terrazzo e mi sono buttato giù. Mi sono<br />

fatto tanto male, mi usciva sangue dal ginocchio e con l’ambulanza mi hanno portato<br />

all’ospedale e hanno preso il ladro e lo hanno portato in prigione.”.<br />

“ … c’erano i pirati sulla nave (ho guardato la bandiera con il teschio bianco e lo sfondo<br />

nero) che hanno assaltato il castello e lo hanno conquistato.” Tu c’eri? “No, ero spettatore.”.<br />

“… ero con la mia cagnetta Lilli, con suo marito e con mille cuccioli. Un giorno ne ho perso<br />

uno ma sono riuscito a trovarlo e Lilli era contenta.”.<br />

“Ho sognato che sapevo pattinare ed ero felice.”.<br />

Le bocche che mangiano<br />

“Vivevo in un albergo con tanti servitori e una volta mentre dormivo sono caduto dal letto<br />

e mi sono ritrovato in un fiume. Ho attraversato il fiume e mi sono trovato in un boschetto.<br />

Non ho letto il cartello: “Attenti agli orsi” e ne ho incontrato uno, ma sono scappato e mi<br />

sono rifugiato in un cespuglio e all’uscita dal cespuglio ho visto una città. Vi sono andato:<br />

c’erano tanti uomini di pietra ma che si muovevano: sono entrato in una casa di pietra e<br />

mi sono ritrovato a letto.”.<br />

“… ero nel Titanic, con me c’erano U., P. e R. La nave ha urtato contro un iceberg e l’acqua<br />

è entrata e tutti e tre siamo morti. Si è salvato solo R.”.<br />

“… c’erano un mostro e dei fantasmi. Il mostro mi voleva mangiare e i fantasmi mi<br />

volevano salvare. I mostri però mi hanno mangiata e i fantasmi hanno portato via tutte le<br />

mie ossa. Io ho pianto. Mi sono svegliata e mi sono toccata.”.<br />

“ … ero in una camera con la mamma e il papà. Abbiamo sentito dei rumori, siamo scesi<br />

e abbiamo aperto una porta da dove sono usciti degli uomini piccoli che, volando, con le<br />

orecchie, si sono rifugiati in tutte le stanze e c’era anche Stefano (il bidello dicono i<br />

bambini, no - dice Claire - l’amico della mamma) e uno degli extraterrestri ha conficcato<br />

un coltello sulla gola di Stefano. Poi con una magia ci hanno addormentati e ci siamo<br />

ritrovati in un letto tutto d’oro. Poi ci hanno portato la colazione e il capo degli<br />

extraterrestri voleva mangiarci ma un fantasma ci ha portato in una casa di fantasmi,<br />

dove il capo dei fantasmi voleva mandarci via ma l’altro è riuscito a farci stare e ci hanno<br />

detto che dopo dieci giorni potevamo andare via. E dopo mi sono svegliata.”.<br />

A questo punto, rivedendo ciò che era emerso durante il lavoro sulle fiabe e sui sogni,<br />

abbiamo individuato una matrice comune, fonte di profonda emozione per i bambini,<br />

che era la paura di essere divorati, distrutti,annientati…<br />

Da qui l’esigenza di spostare l’attenzione sul “mezzo” capace di compiere tale azione,<br />

cioè sulle “bocche che mangiano”.<br />

161


Le bocche che mangiano<br />

Agli alunni è stato chiesto di rappresentare attraverso il disegno la bocca che mangia e<br />

successivamente ciascuno forniva spiegazioni circa il tipo di bocca che aveva disegnato.<br />

Sono state rappresentate bocche di ogni tipo: senza denti, con denti affilati, senza cibo,<br />

piene di cibo di ogni tipo…<br />

Qui di seguito vengono riportate alcune spiegazioni circa la bocca rappresentata:<br />

“È una bocca con il rossetto. Ha due tubi: uno per l’aria e uno per il cibo. C’è anche la<br />

lingua. La bocca è piena di poltiglia.”.<br />

“La bocca è andata in cucina, ha visto tante cose buone da mangiare, ha preso forchetta e<br />

coltello, si è strafogata e si è fatta una panza tanto.”.<br />

“È una bocca pugilato. Ha i guantoni portafortuna. Ha le rotelle per correre più veloce sul<br />

ring.”.<br />

Come ultima attività è stato chiesto agli alunni di rappresentare l’animale nel quale<br />

avrebbero voluto trasformarsi e di motivare la scelta.<br />

Come si può vedere dalle motivazioni sotto esposte, alcuni hanno scelto il cane, mentre<br />

altri hanno privilegiato animali carnivori e predatori, forse in grado di difenderli dai<br />

pericoli e di “spaventare le <strong>paure</strong>”.<br />

“Cane: perché è educato e bello.”.<br />

“Cane: perché è intelligente e veloce.”.<br />

“Cane: perché è morbido e corre veloce.”.<br />

“Cane: perché non dovrei andare a scuola, potrei dormire tutto il giorno, sarei bianco e nero,<br />

potrei fare i bisogni dappertutto e mi risparmio il viaggio di andare in bagno.”.<br />

“Cane lupo: perché è veloce ed intelligente e amico dei bambini.”.<br />

“Ghepardo: perché posso avere una casa sull’albero.”.<br />

“Ghepardo: perché potrei correre più veloce e potrei stare sugli alberi.”.<br />

“Leone: perché sarei più carnivoro e anche più cattivo.”.<br />

“Tirannosauro: perché vorrei essere un animale carnivoro.”.<br />

“Toro: perché sarei forte.”.<br />

“ Aquila: perché nessuno mi può far niente nell’aria.”.<br />

162<br />

3 a parte<br />

Lettura dei contenuti in chiave psico - affettiva e psico - sessuale.<br />

Misteri, sortilegi, <strong>paure</strong>, bocche che mangiano nelle fiabe e nei sogni. (Riflessioni).<br />

Un mezzo potente ed efficace utilizzato dagli insegnanti fin dalla prima infanzia è il<br />

racconto <strong>delle</strong> fiabe. Esso ha la capacità di attirare immediatamente l’attenzione dei<br />

bambini, di coinvolgerli emotivamente e di fungere da catalizzatore rispetto ad emozioni<br />

forti che i bambini si portano dentro.<br />

In questo caso il compito dell’adulto è quello di conoscere le problematiche insite nel<br />

racconto <strong>delle</strong> fiabe, ma restare un semplice narratore, lasciando ai bambini la possibilità<br />

di avvalersi del contributo che ciascuna avrà fornito al loro processo di maturazione e di<br />

crescita.<br />

Le bocche che mangiano<br />

Le fiabe, infatti, mettono in scena, esternandoli, “i fantasmi” che abitano il teatro<br />

interiore e tra questi anche le <strong>paure</strong>:<br />

• paura come difesa da una situazione che non si sa come gestire (autodistruzione);<br />

• paura come problema da superare per definire una tappa del processo di<br />

socializzazione (conquista dell’autonomia);<br />

• paura come ansia, timore di non essere adeguati alla situazione;<br />

• paura di non rispondere alle aspettative di … (stima di sé).<br />

In questa categoria di timori, che a volte possono trasformarsi in vere e proprie fobie, un<br />

posto di primo piano spetta frequentemente al problema dell’insuccesso scolastico e alla<br />

valutazione che ne danno genitori ed insegnanti.<br />

Ognuno di noi, infatti, ad ogni età, ha una sua personale “disponibilità” alla paura che<br />

l’ambiente può, o accentuare, o ridurre, non solo agendo sulle singole <strong>paure</strong>, ma creando<br />

un clima al cui interno le <strong>paure</strong> possano, o non possano proliferare.<br />

Un cigolio misterioso, una stanza buia, l’armadio che nella penombra spalanca la bocca<br />

come un orco, di quante cose ha paura un bambino quando spegne la luce, o quando<br />

deve passare davanti ad una porta chiusa che nasconde chissà quali misteri? Ma<br />

spaventarsi qualche volta può anche essere divertente, se si è in compagnia, o se orchi,<br />

orchesse, streghe, maghi e babau sono confinati nelle pagine di un libro, o meglio ancora<br />

se possono essere “spiaccicati” sui fogli da disegno. E che dire <strong>delle</strong> fiabe di magia dove<br />

spesso il destino dei protagonisti è quello di venire divorati da lupi cattivi e altri insaziabili<br />

personaggi, oppure di essere abbandonati da genitori troppo poveri per mantenerli, o<br />

ancora di subire le angherie di una malvagia matrigna? Spesso, prima di approdare al lieto<br />

fine, eroi ed eroine affrontano prove e pericoli di ogni genere, rischiando la vita ad ogni<br />

passo, come è logico che accada in ogni viaggio iniziatico. Tra i personaggi che per<br />

consuetudine si ritengono capaci di incutere paura: draghi, giganti, mostri, gnomi, ecc,<br />

ce ne sono alcuni che hanno finito col diventare spauracchi per burla, costantemente<br />

sconfitti e ridicolizzati da creature più piccole e deboli. L’orco e il gigante divengono<br />

quindi goffe creature che non è difficile mettere nel sacco; il drago si trasforma in amico<br />

e difensore; lo gnomo dispettoso e maligno acquista i connotati di un benefico aiutante<br />

magico; e il mostro … il mostro è un malleabile jolly, con il quale ci si può identificare,<br />

che si può strapazzare e distruggere, oppure proteggere e adottare, ma che resta<br />

comunque un simbolo di diversità, capace di suscitare i sentimenti più contrastanti, di<br />

attrarre o respingere nello stesso tempo.<br />

C’è quindi la tendenza ad esorcizzare la paura con l’umorismo e l’ironia.<br />

E che dire <strong>delle</strong> streghe? Di quelle antiche e di quelle moderne? Le prime bollono<br />

bambini e chine sui pentoloni preparano filtri immondi; le seconde, spesso impegnate in<br />

inutili tentativi di esercitare qualche perfida magia, sono decisamente inclini a combinare<br />

solo pasticci.<br />

Ma se nel racconto <strong>delle</strong> fiabe il bambino è spettatore e si mette in gioco entro limiti che<br />

egli stesso stabilisce, nei sogni, invece, il più <strong>delle</strong> volte egli è il protagonista, e lì il suo<br />

mondo interiore esplode incontrollato e le <strong>paure</strong> originarie: paura di essere divorati, di<br />

essere abbandonati, di andare in pezzi, in frantumi, diventano reali.<br />

“… un leone ha ruggito, io ho avuto paura, perché mi avevano lasciato solo; sono scappato<br />

ma mi ha mangiato lo stesso.”.<br />

“… c’erano un mostro e dei fantasmi; il mostro mi voleva mangiare e i fantasmi mi<br />

volevano salvare, I mostri però mi hanno mangiata e i fantasmi hanno portato via tutte le<br />

mie ossa.”.<br />

163


Le bocche che mangiano<br />

Gli scenari più frequenti dei sogni sono: il castello, la giungla, il bosco, ma anche la<br />

fattoria e i giardini immensi. Essi sono popolati di mostri, serpenti, fantasmi, dinosauri,<br />

diavoli, alieni, extraterrestri, parenti, amici e animali più o meno feroci. Tutto questo,<br />

ancora una volta, ci riporta allo scenario <strong>delle</strong> fiabe e alle <strong>paure</strong> originarie del bambino<br />

(perdita della propria identità fisica e dell’oggetto dell’amore). Tuttavia, se l’ambiente<br />

familiare, scolastico, o sociale non è incerto e minaccioso, queste <strong>paure</strong> vengono attutite,<br />

inglobate, quindi razionalizzate con la certezza di trovarsi al risveglio nel proprio letto e<br />

al sicuro da ogni pericolo.<br />

Un ultimo cenno merita, senz’altro un’altra attività preferita da streghe e mostri: cacciare<br />

divorare bambini utilizzando le bocche divoratrici, “strafogate” di ogni sorta di cose, le<br />

bocche del forno che fagocitano e annientano, le bocche della verità che sanciscono<br />

regole e principi dividendo i buoni dai cattivi.<br />

Conclusione.<br />

Questa esperienza è stata possibile grazie anche alla collaborazione della collega di<br />

sostegno, presente nella classe per parecchie ore alla settimana, la quale ha registrato i<br />

racconti dei sogni, le domande e le risposte che i bambini si davano in merito al<br />

contenuto <strong>delle</strong> fiabe e mi ha aiutato a raccogliere ed ordinare il materiale grafico -<br />

pittorico prodotto nella fase della sperimentazione.<br />

Credo che raccontare e raccontarsi, parlare e ascoltarsi, ricordare e condividere <strong>paure</strong>,<br />

desideri, sogni sia stato appagante per tutti: grandi e piccoli.<br />

Inoltre, a distanza di qualche tempo, rileggendo i desideri dei bambini rispetto<br />

all’animale in cui volevano trasformarsi, vi ho trovato, oltre al desiderio di sicurezza, di<br />

libertà senza limiti, di amicizia, anche quello di cannibalismo e di caos: tutte valutazioni<br />

che mi erano sfuggite, o alle quali non avevo dato il giusto peso, nel momento in cui gli<br />

elaborati erano stati prodotti.<br />

Pertanto il momento dell’elaborazione personale si è dimostrato una tappa indispensabile<br />

per l’acquisizione di una maggiore consapevolezza di ciò che noi insegnanti proponiamo<br />

ai nostri alunni e di ciò che essi ci comunicano.<br />

164<br />

Scuola Elementare Dante Alighieri<br />

Pasiano<br />

L’esplorazione del corpo<br />

Tiziana De Bortoli


L’esplorazione del corpo*<br />

PICCOLA CANZONE DEI CONTRARI<br />

C’è un posto bianco e un posto nero chissà dov’è<br />

Per ogni volo di pensiero dentro di te<br />

C’è un posto alto e un posto basso chissà dov’è<br />

Per un violino e un contrabbasso dentro di te<br />

E un posto dove ci son io<br />

C’è un posto uovo e uno gallina chissà dov’è<br />

Se non sai chi sia nato prima dentro di te<br />

C’è un posto pace e un posto guerra chissà dov’è<br />

In piedi o tutti giù per terra dentro di te<br />

C’è un posto sano e uno malato chissà dov’è<br />

E che il secondo sia passato dentro di te<br />

E un posto dove ci son io<br />

Che cerco un posto tutto mio lì di fianco a te<br />

C’è un posto vino e un posto pane chissà dov’è<br />

Per quando hai sete oppure hai fame dentro di te<br />

C’è un posto verde e un posto rosso chissà dov’è<br />

Per quel che resta o quel che passa dentro di te<br />

C’è un posto vero e uno bugiardo chissà dov’è<br />

Per quando va la gatta al lardo dentro di te<br />

E un posto dove ci son io<br />

C’è un posto tutto e un posto nulla chissà dov’è<br />

Per una donna e una fanciulla dentro di te<br />

C’è un posto bello e un posto brutto chissà dov’è<br />

Non sempre si può avere tutto dentro di te<br />

C’è un posto fermo e uno animato chissà dov’è<br />

Per come il mondo è disegnato dentro di te<br />

E un posto dove ci son io<br />

Che cerco un posto tutto mio lì di fianco a te.<br />

(Musica: A. Branduardi – Testo: G. Faletti)<br />

L’esplorazione del corpo<br />

Il testo, procedendo per metafore in antitesi, elenca aspetti del nostro mondo interiore<br />

corrispondenti ai diversi modi di essere. L’autore si rivolge ad una persona, senza mai<br />

nominarla, ma essa può essere ogni persona. Sono senza dubbio le molteplici sfaccettature<br />

del carattere di un individuo adulto ad essere messe in luce con un certo ordine.<br />

* AUTRICE<br />

De Bortoli Tiziana - Docente di scuola elementare - ha conseguito la specializzazione per l’insegnamento agli alunni hanticappati.<br />

Insegna matematica, scienze e geografia.<br />

167


L’esplorazione del corpo<br />

Questo presunto ordine può essere riconosciuto in una persona adulta, mentre un bambino<br />

ha bisogno di essere guidato nel passaggio dal caos al cosmo, dal disordine all’ordine.<br />

Tutto lo sviluppo infantile procede verso l’integrazione psichica; l’intero processo<br />

evolutivo tende verso l’identità: al mondo interiore dei bambini va data una forma, un<br />

senso, e questo è possibile con l’intervento di un educatore (genitori, insegnanti…) volto<br />

a promuovere il pensiero nel bambino.<br />

Testo e musica sono stati utilizzati, all’interno del percorso progettato, per consentire al<br />

bambino di sperimentare le proprie emozioni attraverso una dinamica ludica di gruppo che<br />

fa leva sul gioco immaginativo.<br />

L’uso <strong>delle</strong> metafore e, nella situazione che verrà descritta, della specifica metafora del<br />

mangiare ha lo scopo di aiutare i bambini a riconoscere le proprie reazioni, a prendere<br />

contatto con le fantasie interne, con i fantasmi interiorizzati. L’atto del mangiare rimanda<br />

alla prima fase della sessualità, la fase orale, momento in cui si dà avvio allo sviluppo della<br />

conoscenza. Inoltre il mangiare è nutrimento, come la conoscenza, e i modi di mangiare<br />

rimandano alle modalità di assimilazione interiorizzate.<br />

L’attività pensata è stata realizzata nel tempo destinato all’educazione motoria dal momento<br />

che l’educazione attraverso il corpo è considerata una <strong>delle</strong> forme che aiutano a<br />

progredire verso la formazione globale della persona.<br />

In un percorso di formazione alla sessualità, la comunicazione attraverso il movimento può<br />

essere di aiuto alla persona nel processo di conoscenza.<br />

La natura preverbale e simbolica del movimento può infatti aiutare a identificare, esplorare<br />

ed esprimere i sentimenti e le emozioni attraverso il corpo.<br />

“È soltanto quando la sfera emotiva lavora in parallelo con quella fisica che può avvenire<br />

un cambiamento nel comportamento, nell’immagine di sé e può iniziare la vera crescita<br />

personale” (Helen Payne)<br />

Il lavoro proposto è stato condotto in una classe quarta elementare di 10 alunni:<br />

9 femmine e 1 maschio.<br />

Obiettivi Costruire un’immagine con il movimento; stimolare l’immaginazione<br />

Condizioni Nessuna<br />

Durata 20-30 minuti<br />

Materiale Audioregistratore. Musicassetta. È stata utilizzata la canzone<br />

“Piccola canzone dei contrari” di Angelo Branduardi<br />

Struttura Individuale e in gruppo<br />

Attività 1. Disponetevi in cerchio ben distanziati l’uno dall’altro.<br />

Immaginate che questo cerchio sia una grande bocca.<br />

Muovetevi come se voi foste un cibo, un oggetto che si muove<br />

dentro questa grande bocca.<br />

2. Adesso ognuno di voi presenti il proprio movimento a parole e<br />

con il corpo. Tutti insieme proviamo a ripetere il movimento<br />

presentato.<br />

3. Ora esprimete verbalmente le sensazioni vissute.<br />

Ulteriori risultati Adattarsi a diversi movimenti<br />

168<br />

L’esplorazione del corpo<br />

È opportuno che l’insegnante lavori in modo chiaro, diretto e spontaneo in modo da far<br />

sentire gli alunni a proprio agio. È importante che egli accetti le varie reazioni e sia<br />

comprensivo verso le eventuali difficoltà. L’atteggiamento predominante dovrebbe essere<br />

volto alla relazione, all’accoglienza, per consentire di “mettere il pensiero là dove c’è solo<br />

l’emozione” (L. Fornasir)<br />

L’uso di un audioregistratore permette di registrare le espressioni verbali degli alunni,<br />

senza distogliere l’attenzione dell’insegnante dai movimenti che vengono via via vissuti e<br />

poi verbalmente esplicitati, di riascoltare successivamente gli interventi degli alunni per<br />

ottenere più accurate valutazioni.<br />

Di seguito vengono proposti alcuni esempi estrapolati dalle elaborazioni degli alunni.<br />

Si può tentare di far sperimentare ad un nuovo gruppo di alunni questi movimenti,<br />

soprattutto laddove non si sia mai lavorato con l’espressione corporea.<br />

È opportuno ricordare però l’importanza di “far parlare” il corpo di ogni bambino in<br />

modo libero e spontaneo. Ogni persona dovrebbe sentirsi libera di comunicare senza<br />

condizionamenti di tipo imitativo.<br />

Esempio 1<br />

Movimento: a) Stesi a terra, rotolare e contemporaneamente agitare le braccia.<br />

b) Stesi a terra, rotolare tenendo le braccia tese in alto appoggiate sul pavimento<br />

Sensazioni: Ci gira la testa. Ci scontravamo. Quando noi mangiamo quello che c’è<br />

dentro si scontra. Non c’è un ordine, tutto diventa confuso.<br />

* è il caos<br />

Esempio 2<br />

Movimento: Seduti a terra, gambe raccolte verso il petto, allungare le gambe, stendere<br />

il busto a terra e allungare le braccia, poi ritorniamo in posizione di<br />

partenza. Raccogliere – distendere - raccogliere<br />

Sensazioni: Mi sento cibo masticato che diventa sempre più piccolo perché ha fatto<br />

troppa ginnastica. Mi sento morsicato, mangiato da un dente che mi fa<br />

male.<br />

* c’è una trasformazione del cibo, ma è dolorosa<br />

Esempio 3<br />

Movimento: In piedi, con un braccio disteso verso il basso lungo il corpo e l’altro verso<br />

l’alto. Girare su se stessi come una girandola.<br />

Sensazioni: Mi sento un tornado che gira, che fa quello che vuole, si apre, si stringe,<br />

si inchina, ma resta sempre fermo.<br />

* nel caos, nel vortice, non perde il riferimento oppure<br />

è un movimento che non gli permette di andare avanti<br />

Esempio 4<br />

Movimento: sempre saltellando, abbassarsi e allungarsi.<br />

Sensazioni: Mi sento come un cibo che fa fatica ad essere masticato. I denti non<br />

riescono a mangiarmi.<br />

* manca l’aggressività (che ha in sé elementi positivi)<br />

169


L’esplorazione del corpo<br />

Esempio 5<br />

Movimento: movimento scatenato e libero, tutto il corpo si muove sempre restando<br />

però nello stesso posto.<br />

Sensazioni: mi sembra di aver mille mani, cerco di prendere qualcosa ma non ci riesco.<br />

* difficoltà a cercare/trovare riferimenti<br />

Esempio 6<br />

Movimento: correre a destra e a sinistra come si vuole.<br />

Sensazioni: mi sembra di essere un cibo che viene inghiottito intero. Il cibo va dove vuole,<br />

io cerco di masticarlo ma lui va di qua e di là e io non riesco a masticarlo.<br />

* manca l’aggressività, l’avvio alla trasformazione<br />

Conclusa l’attività motoria si propone l’attività grafico – pittorica. La stessa può essere<br />

presentata come stimolazione espressiva senza la parte relativa alla comunicazione corporea.<br />

Obiettivi Costruire un’immagine con il disegno. Immaginate il viaggio del<br />

cibo nel vostro corpo: dalla bocca a…<br />

Condizioni Nessuna<br />

Durata 20-30 minuti<br />

Materiale Carta e colori<br />

Struttura In coppia o individualmente<br />

Attività 1. Disponetevi in coppia ben distanziati l’uno dall’altro.<br />

Immaginate il viaggio che il cibo compie dalla bocca nel vostro<br />

corpo<br />

2. Disegnate il viaggio<br />

3. Scrivete la storia del viaggio<br />

Esemplificazione di alcune storie scritte dai bambini.<br />

1 Il cibo entra nella bocca, percorre la strada e arriva a una porta. Esce dal sedere e cade<br />

come in una piscina. * la piscina è comunque un contenitore ma il cibo non subisce<br />

trasformazioni, va subito in cacca<br />

2 Questa donna sta mangiando un panino e contemporaneamente sta facendo i suoi<br />

bisogni. È il percorso del nostro corpo. Il cibo entra nella bocca, fa tutto un percorso, entra<br />

nello stomaco, poi entra nella pancia, poi si divide e va in due buchi: le cose dure nel<br />

sedere, le cose liquide in vagina.<br />

3 Ho immaginato il cibo che va alla caccia del tesoro. Dalla bocca va nel collo, dal collo va<br />

nei tubicini stretti larghi e certe volte chiusi e sbatte da tutte le parti perché l’uomo si<br />

muove.<br />

Il cibo vuole raggiungere il tesoro a tutti i costi superando i pericoli (* c’è un avvio alla<br />

consapevolezza <strong>delle</strong> difficoltà?) Alla fine è arrivato nella gola, nel buco più largo, lì ha<br />

trovato il tesoro. Questo buco si trova in fondo alla pancia. Trova una via d’uscita, è vivo<br />

e poi in pochi secondi muore. Muore nei tubi di scarico dove finiscono i bisogni, la cacca<br />

e la pipì.<br />

170<br />

L’esplorazione del corpo<br />

4 C’è una bocca che riceve tutto il mangiare. C’è poi una vasca a forma di bocca: la prima<br />

lo mastica, l’altra lo riceve di nuovo.<br />

La terza bocca trasforma il mangiare in quadratini e in pallini i quali vanno nella<br />

pancia. Dalla pancia esce quello che non va bene. Si scioglie, diventa cacca ed esce dal<br />

sedere. La cacca finisce nel water.<br />

5 Il cervello trasforma il cibo in energia per il corpo. Prima il cibo viene masticato poi entra<br />

in un tubicino. Il cibo viene trasformato, va poi nei polmoni, viene ritrasformato (in un<br />

altro luogo). Esce dalla vagina in forma di pipì e dal sedere in forma di cacca. Una parte<br />

del cibo va nelle gambe come energia.<br />

Attraverso i disegni e le storie, i bambini hanno “messo fuori” le loro eiezioni: cacca, pipì.<br />

Si tratta ora di aiutare i bambini a riconoscere che le parti che vengono espulse non<br />

vengono buttate via, ma hanno una loro utilità.<br />

Obiettivo Leggere le proprie rappresentazioni grafiche e discutere per trovare<br />

una risposta alla domanda “Che cosa succede al materiale espulso?”<br />

Condizioni L’attività deve essere necessariamente preceduta dalla rappresentazione<br />

grafica del viaggio del cibo nel corpo.<br />

Durata 20 minuti<br />

Materiale nessuno<br />

Struttura In gruppo, seduti in cerchio<br />

Attività Ogni bambino illustra ai compagni il proprio disegno.<br />

Liberamente discutono sulla sollecitazione verbale proposta dall’insegnante che trascrive<br />

alla lavagna le idee emerse<br />

CHE COSA SUCCEDE ALLE FECI UNA VOLTA USCITE DAL NOSTRO CORPO?<br />

• Finiscono nel water e poi nelle fogne. Arriva l’autoespurgo che con un tubo svuota le fogne<br />

e riempie un camion. poi trasporta il tutto nei campi per concimare.<br />

• Anche la pipì e la cacca degli animali vengono utilizzate come concime.<br />

• In alcune tribù lo sterco è utilizzato per riscaldare.<br />

• Anche i rifiuti si possono riciclare.<br />

Anche la metafora del viaggio del cibo nel corpo è inserita nel percorso dell’aiutare a dare<br />

forma. Il mangiare, il digerire, la trasformazione, l’assimilazione e l’espulsione sono tutte<br />

metafore utilizzate per dare forma al mondo interiore dei bambini.<br />

I bambini, attraverso le proprie espressioni corporee, le verbalizzazioni e i disegni, inviano<br />

messaggi che vanno letti e interpretati. L’interpretazione psicologica non è un compito<br />

che l’insegnante si deve assumere, il compito è quello di rilevare alcuni segnali ed<br />

accogliere eventuali richieste di aiuto.<br />

È la funzione del contenitore che in educazione si esplica con la capacità di accogliere, di<br />

prendere e di contenere dentro di sé le <strong>paure</strong>, le emozioni, le ansie proiettate dal bambino.<br />

L’educatore ha il compito essenziale di trasformare queste proiezioni e di restituirle al<br />

bambino in forma di pensiero.<br />

171


Scuola Elementare A. Gabelli<br />

1˚ Circolo di Pordenone<br />

Il viaggio del pensiero<br />

Gianna Stellino


Il viaggio del pensiero*<br />

*AUTRICE:<br />

Gianna Stellino<br />

docente Scuola Elementare - insegna matematica, geografia, scienze, musica.<br />

Il viaggio del pensiero<br />

ITACA<br />

Quando ti metterai in viaggio per Itaca<br />

devi augurarti che la strada sia lunga<br />

fertile in avventure e in esperienze.<br />

I Lestrigoni e i Ciclopi<br />

o la furia di Nettuno non temere,<br />

non sarà questo il genere di incontri<br />

se il pensiero resta alto e un sentimento<br />

fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.<br />

In Ciclopi e Lestrigoni, no certo<br />

né l’irato Nettuno incapperai<br />

se non li porti dentro,<br />

se l’anima non te li mette contro.<br />

Devi augurarti che la strada sia lunga.<br />

Che i mattini d’estate siano tanti<br />

quando nei porti - finalmente, e con che gioia -<br />

toccherai terra tu per la prima volta:<br />

negli empori fenici indugia e acquista<br />

madreperle coralli ebano e ambre<br />

tutta merce fina, anche profumi<br />

più inebrianti che puoi, va’ in molte città egizie<br />

impara una quantità di cose dai dotti.<br />

Sempre devi avere in mente Itaca -<br />

raggiungerla sia il pensiero costante.<br />

Soprattutto, non affrettare il viaggio;<br />

fa’ che duri a lungo, per anni, e che da vecchio<br />

metta piede sull’isola, tu, ricco<br />

dei tesori accumulati per strada<br />

senza aspettarti ricchezze da Itaca.<br />

Itaca ti ha dato un bel viaggio<br />

senza di lei mai ti saresti messo<br />

in viaggio: che cos’altro ti aspetti?<br />

175


Il viaggio del pensiero<br />

176<br />

E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.<br />

Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso<br />

già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.<br />

C. P. Kavafis**<br />

1 - INTRODUZIONE<br />

“ITACA”, simbolo e metafora di un viaggio interiore, è stata la mia personale motivazione<br />

alla scelta di un corso di formazione alla sessualità…. il mistero del nostro<br />

divenire entità riconosciuta nella propria singolarità.<br />

Difficile scindere se stessi da quello che vai a proporre in classe.<br />

Il corso di formazione “La sessualità infantile e l’arte della fiaba”, tenuto dalla dott.<br />

Lorena Fornasir, è stata una proposta teorico - operativa utile a noi insegnanti per<br />

realizzare la finalità educativa della FORMAZIONE DELLA PERSONALITÀ di ciascun<br />

alunno, e sviluppare una maggiore consapevolezza riguardo ad una PRIMA COSCIENZA<br />

AFFETTIVA.<br />

L’avvio alla consapevolezza <strong>delle</strong> proprie emozioni è opportuna già in un primo ciclo<br />

della scuola elementare, quando le relazioni si stanno definendo e si avvia la concretizzazione<br />

d’atteggiamenti costruttivi tra compagni di una stessa classe.<br />

La possibilità di esprimere ciò che dai bambini viene più AGITO che PENSATO, assume<br />

una valenza positiva come punto di partenza di un contatto con se stesso e di rimando<br />

con gli altri. Anche la proposta di modelli d’apprendimento e comportamento più elastici<br />

e dinamici, ma non per questo poco strutturati, rappresentano un modo per confrontarsi<br />

e per crescere in maniera più armoniosa.<br />

Esprimere le proprie emozioni, dare loro una forma, un pensiero, utilizzare simboli, con<br />

disegni e brevi storie scritte, per rappresentare immagini interiori è un mettere ordine al<br />

mondo interno (CAOS), fatto d’emozioni esplosive e d’atteggiamenti istintivi.<br />

Le proprie pulsioni, quindi, sono il CAOS che l’uomo rimuove nell’inconscio, perché<br />

negazione dell’ordine.<br />

Il CAOS è quella parte “perturbante”, come dice Freud, che si manifesta nelle passioni e<br />

negli istinti; è quella parte che tutto contiene e niente distingue non tollerando la<br />

DIFFERENZA, questa intesa come lo spostamento da un luogo originario ad un altro,<br />

che crea distinzione, separazione, quindi IDENTITÀ.<br />

In uno dei disegni dei bambini, ciò si esplicita con la frase “il cervello con la faccia messa<br />

male, che ha tutto in disordine, che ha tutto un CAOS”. Il disegno rappresenta una faccia<br />

con un cervello dove all’interno ci sono tanti scarabocchi. Questa testa, “messa male”,<br />

rimanda ad una potenza degli elementi PULSIONALI, dove ancora non si è fatta strada<br />

la luce di ciò che è differenziabile.<br />

Interiormente si crea la possibilità per un apprendimento dove l’alunno si mette in gioco,<br />

si conosce, si definisce e comunica; il tutto pensato in un processo di sviluppo della<br />

personalità sempre dinamico.<br />

2 - PRESENTAZIONE<br />

Le informazioni teoriche sulle fasi della sessualità infantile orale, hanno aperto in me una<br />

strada fatta di maggiore consapevolezza educativa.<br />

**Costantinos KAVAFIS, Settantacinque poesie,Giulio Einaudi Editore - 1922 - Torino - pag.63<br />

Il viaggio del pensiero<br />

Quali sono le spinte perché avvenga un processo di apprendimento? Quale relazione<br />

esiste tra affettività e apprendimento? E la sessualità come intenderla in un bambino nella<br />

sua globalità?<br />

Tutto il percorso è stato ricco di stimolanti proposte che hanno suscitato nei bambini e<br />

in noi insegnanti, emozioni, sensazioni e notevoli riflessioni ed elaborazioni.<br />

La bocca, la bocca che mangia, il mangiare stesso sono considerati i luoghi psichici in cui<br />

il nutrimento è fonte di un’elaborazione sulla nascita della vita psichica e quindi anche<br />

sulla vita sessuale. Ai bambini è stato chiesto di rappresentare le fantasie aggressive interne<br />

e di raccontarle attraverso i personaggi <strong>delle</strong> fiabe e le immagini con creatività e originalità.<br />

Parlare del viaggio del cibo, come categoria psichica associata alla qualità di nutrimento<br />

che la madre offre al proprio figlio, è stato un modo per sollecitare, attraverso le proprie<br />

sensazioni, il percorso che viene fatto dal cibo nel proprio corpo. Sulla base della propria<br />

esperienza e libera interpretazione, i bambini hanno esplicitato come il cibo inserito nel<br />

nostro corpo viene digerito e, prendendo forma, viene TRASFORMATO.<br />

Questo processo di crescita ci riporta ad una buona interiorizzazione del cibo: il bambino<br />

può permettersi di “perdere” la madre, quindi di allontanarsi da lei, solo se riesce ad<br />

assimilare il buon cibo.<br />

Il buon cibo è dato dalla qualità materna, dalla capacità di creare sintonicamente ed<br />

empaticamente una relazione con il bambino infondendogli la possibilità di ASSIMILARE.<br />

A sua volta il bambino avendo acquisito la fiducia nel buon cibo può sviluppare in se<br />

stesso la capacità di introiettare, di trattenere, e consolidare in sé il “buon cibo mamma”.<br />

In uno dei disegni dei bambini del percorso fatto sul ‘viaggio del cibo’ appare questa<br />

didascalia:<br />

“Questo è l’intestino di un umano. Questo disegno è il nostro corpo che c’è di dentro.<br />

Il cibo passa nello stomaco, lì viene sminuzzato e macinato. Dallo stomaco passa<br />

all’intestino, lì viene impastato e si prendono le sostanze necessarie, quello che non serve<br />

diventa cacca”.<br />

L’intestino, quindi, come sede del viaggio del cibo. Il bambino con il suo disegno riflette<br />

una struttura concreta, dietro si può leggere la potenza simbolica: organi deputati a<br />

sminuzzare, a impastare, trattano il cibo come elemento psichico in cui sono rintracciabili<br />

elementi di un’oralità cannibalica (sminuzzare) ed elementi di elaborazione (macinare,<br />

passare all’intestino, impastare). Nello stesso tempo si evidenzia la capacità di introiettare<br />

che si evince dal prendere le sostanze necessarie. Attraverso tale linguaggio concreto il<br />

bambino esprime un messaggio del sé corporeo e del sé psichico.<br />

Nel percorso didattico il passaggio successivo viene tracciato dagli stessi bambini. Una<br />

bambina, in particolare, dopo una personale spiegazione sul viaggio del cibo termina<br />

dicendo: “…dopo tutto questo c’è anche l’intestino… Il cervello, è un corpo molto<br />

complicato”.<br />

L’intestino è una sorta di cervello messo dentro il corpo quasi a controllare il corpo<br />

stesso, con le stesse ansie e gli stessi segreti del cervello.<br />

Anche nei disegni sul “viaggio del pensiero” i bambini esprimono i loro vissuti. Il<br />

pensiero viene inteso come trasformazione: dalle emozioni istintive all’elaborazione di<br />

pensiero. I bambini si sono affidati più al cervello che al loro corpo: un viaggio dentro le<br />

proprie budella è possibile solo se queste si trasformano in anse di un cervello, come dire<br />

che la mente deve controllare ciò che accade nel corpo. Un corpo che nel bambino di<br />

questa età è un corpo silente, che non parla con i rumori della sessualità, dove la sessualità<br />

è soggetta alla rimozione. È il corpo della latenza. C’è il tentativo del bambino di portare<br />

l’adulto nel suo mondo sconosciuto ed è il bambino stesso che offre la possibilità di aprire<br />

177


Il viaggio del pensiero<br />

un discorso, dove il discorso regola, ordina e corregge le sue leggi fisiche, permettendo<br />

ai bambini di chiedere che venga messo ordine nel loro presentimento di un futuro ormai<br />

prossimo ad esplodere alla sessualità caratteristico della pubertà.<br />

Compito dell’insegnante, come sostiene D. Meltzer in “Il ruolo educativo della famiglia”,<br />

è infondere nei bambini la speranza: avere speranza in un’altra persona vuol dire dare vita,<br />

tu vedi per lui. Riportando tutto ciò nella quotidianità, nella capacità di creare un clima<br />

favorevole all’interno della classe, dove parallelamente agli apprendimenti della discipline,<br />

si deve permettere “una costruzione interiore” basata sull’avvio della conoscenza di sè,<br />

dal conosciuto allo sconosciuto, e sulle sue trasformazioni, dove ogni singolo si pone in<br />

atteggiamento di crescita, dove non tutto è controllabile.<br />

3 - PERCORSO DIDATTICO<br />

La parte sperimentale, all’interno della classe, ha visto coinvolte le due insegnanti (*)<br />

prevalenti per poter elaborare e realizzare un percorso didattico interdisciplinare.<br />

Spesso le consegne venivano date ai bambini alla presenza <strong>delle</strong> due insegnanti in modo<br />

che, mentre una conduceva la conversazione, l’altra riportava per iscritto le<br />

verbalizzazioni svolgendo la funzione di osservatore, come “costruttore di memoria”.<br />

Il percorso didattico proposto ai 24 alunni di classe seconda, in una scuola a tempo pieno,<br />

era formato da otto unità di lavoro: queste vengono di seguito presentate con la<br />

definizione degli obiettivi e <strong>delle</strong> attività svolte.<br />

All’inizio e al termine del percorso è stato elaborato un sociogramma di Moreno della<br />

classe, e un questionario per la valutazione dell’atteggiamento nel gruppo, di M. Comoglio,<br />

elaborato dalla conduttrice del corso.<br />

PRIMA UNITÀ DI LAVORO<br />

OBIETTIVI<br />

1 Favorire l’espressione della singola personalità del bambino attraverso una dinamica<br />

ludica di gruppo che si avvale di precisi strumenti di conduzione da parte dell’insegnante.<br />

2 Consentire al bambino di sperimentare le proprie emozioni dentro una cornice ludica<br />

organizzata.<br />

ATTIVITÀ<br />

1 Collettivamente viene chiesto agli alunni:<br />

- Cos’è il sogno?<br />

- Ricordi i tuoi sogni?<br />

- Come fai a sapere che sogni?<br />

2 Ad ognuno viene chiesto di rispondere per iscritto alle seguenti domande:<br />

- Quali personaggi vedi nei tuoi sogni?<br />

- Quali animali sogni?<br />

- Quali sono i personaggi o gli animali dei tuoi sogni che ti fanno paura?<br />

- Quali sono i personaggi cattivi <strong>delle</strong> fiabe? Come si chiamano?<br />

- Cosa fa la strega <strong>delle</strong> fiabe? E l’orco? E il lupo mannaro?<br />

- Quali sono gli animali più cattivi <strong>delle</strong> fiabe?<br />

*Voglio ringraziare, sentitamente, la collaborazione che mi è stata offerta dalla collega Marinella COCIANCICH, che ha contribuito al lavoro didattico.<br />

178<br />

3 Disegnare “L’immagine del proprio sogno”.<br />

4 Disegnare “Quale animale vorresti essere?”.<br />

Il viaggio del pensiero<br />

SECONDA UNITÀ DI LAVORO<br />

OBIETTIVI<br />

1 Accostare i bambini all’uso <strong>delle</strong> libere associazioni.<br />

2 Utilizzare le associazioni per aiutare i bambini a rappresentare i personaggi del loro<br />

mondo interiore.<br />

3 Favorire nei bambini l’espressione <strong>delle</strong> fantasie aggressive più nascoste, rappresentabili<br />

solo attraverso i personaggi <strong>delle</strong> fiabe.<br />

ATTIVITÀ<br />

1 All’intero gruppo classe chiedere di fare una libera associazione sulla parola<br />

MANGIARE.<br />

2 Dalle associazioni ottenute selezionare assieme ai bambini <strong>delle</strong> aree (categorie) che<br />

noi chiameremo insiemi e faremo mettere le etichette a questi gruppi di associazioni<br />

suscitati dalla parola mangiare.<br />

3 Suddividere la classe in piccoli gruppi di due o tre bambini.<br />

4 Chiedere al piccolo gruppo dei bambini di inventare una storia utilizzando i termini<br />

<strong>delle</strong> ‘etichette’ che hanno scelto in riferimento alla parola mangiare.<br />

TERZA UNITÀ DI LAVORO<br />

OBIETTIVI<br />

1 Aiutare i bambini a riconoscere le loro reazioni di fronte al ‘modo di mangiare’;<br />

2 Sviluppare in loro il contatto con le fantasie interne legate al “mangiare” e all’essere<br />

mangiato, ossia con la dimensione aggressiva della personalità.<br />

ATTIVITÀ<br />

1 Chiedere di disegnare individualmente, come in un sogno, ‘la bocca che mangia’<br />

utilizzando la fantasia.<br />

2 Chiedere, all’intero gruppo classe, di nominare i modi di mangiare che piacciono e<br />

quelli che non piacciono. Dopo la verbalizzazione collettiva, di scrivere in un<br />

foglietto quello che individualmente ciascuno pensa riguardo ai modi di mangiare.<br />

QUARTA UNITÀ DI LAVORO<br />

OBIETTIVI<br />

1 Accostare i bambini all’uso <strong>delle</strong> libere associazioni.<br />

2 - Utilizzare le associazioni per aiutare i bambini a rappresentare i personaggi del loro<br />

mondo interiore.<br />

179


Il viaggio del pensiero<br />

3 - Favorire nei bambini l’espressione <strong>delle</strong> fantasie aggressive più nascoste dicibili solo<br />

attraverso i personaggi <strong>delle</strong> fiabe.<br />

ATTIVITÀ<br />

1 Con l’intero gruppo classe, riportare su un cartellone i nomi che si riferiscono a<br />

personaggi <strong>delle</strong> fiabe o fumetti noti perché “mangiano” bambini o cose od oggetti.<br />

2 Ampliare la scelta di termini riferiti alla parola “mangiare” tratti dal “Dizionario<br />

sinonimi della lingua italiana di Niccolò Tommaseo”.<br />

3 Dai tanti nomi che sono stati trovati, invitare i bambini a scegliere un personaggio<br />

che li ha particolarmente colpiti.<br />

4 In piccoli gruppi di due e tre bambini costruire, una breve storia che ha come<br />

protagonista ‘il personaggio che mangia’.<br />

QUINTA UNITÀ DI LAVORO<br />

OBIETTIVI<br />

1 Aiutare i bambini a verbalizzare le loro conoscenze riguardo al viaggio del cibo<br />

all’interno del nostro corpo.<br />

2 Sviluppare in loro il contatto con le fantasie interne legate al ‘viaggio del cibo’ quindi<br />

alla trasformazione del cibo.<br />

ATTIVITÀ<br />

1 Verbalizzare e disegnare “il viaggio del cibo”.<br />

SESTA UNITÀ DI LAVORO<br />

OBIETTIVI<br />

1 Prendere consapevolezza dell’esistenza del pensiero.<br />

2 Utilizzare confronti per aiutare i bambini a rappresentare il viaggio simbolico del<br />

pensiero e quindi del loro mondo interiore.<br />

ATTIVITÀ<br />

1 Verbalizzare con il gruppo classe riguardo alle conoscenze che loro hanno sul<br />

‘pensiero’ e sulla sua nascita. Fare un parallelo tra il pensiero e il gusto del mangiare,<br />

e di seguito confrontare il “viaggio del cibo” con “il viaggio del pensiero”.<br />

2 Cercare, attraverso il disegno, di dare “forma al pensiero”; a ciascuno viene chiesto<br />

di illustrare un proprio pensiero.<br />

3 In un secondo momento a ciascuno viene chiesto di disegnare utilizzando la fantasia<br />

il “viaggio del pensiero”.<br />

SETTIMA UNITÀ DI LAVORO<br />

OBIETTIVI<br />

180<br />

1 Costruire una storia attraverso lo scarabocchio e il disegno.<br />

2 Essere consapevoli di costruire, collettivamente, una storia per dare forma ad un<br />

pensiero elaborato da tutta la classe.<br />

ATTIVITÀ<br />

1 Dato un segno al centro di un foglio, aggiungere un disegno o uno scarabocchio e<br />

narrare, sempre un alunno alla volta, un pezzo della storia.<br />

OTTAVA UNITÀ DI LAVORO<br />

OBIETTIVI<br />

1 Far prendere coscienza, agli alunni, del percorso fin qui elaborato.<br />

2 Esprimere un’opinione personale sul percorso realizzato.<br />

3 Riportare per iscritto le sensazioni provate.<br />

ATTIVITÀ<br />

1 Rivedere insieme i disegni di ciascun bambino, con l’accordo totale della classe.<br />

2 Riportare alla memoria sensazioni provate durante l’attività didattica.<br />

3 Far scrivere a ciascuno un’opinione, che cosa ha suscitato in loro tale percorso.<br />

4 - ALCUNE ESEMPLIFICAZIONI METODOLOGICHE: diamo voce ai bambini.<br />

4a - IL VIAGGIO DEL PENSIERO - unità di lavoro n.6<br />

Nella sesta unità di lavoro si è affrontato il “VIAGGIO DEL PENSIERO”. In modo<br />

sintetico ma essenziale viene riportata la discussione che è avvenuta in classe. L’obiettivo<br />

che ci si poneva era di sollecitare gli alunni ad un’elaborazione personale sul ‘pensiero’ e sul<br />

‘Viaggio del pensiero’, sollecitazione offerta dal testo di una bambina, che dopo una<br />

personale spiegazione sul viaggio del cibo termina dicendo “…dopo tutto questo c’è anche<br />

l’intestino… Il cervello, è un corpo molto complicato!”. La verbalizzazione, svolta in classe,<br />

è stata suddivisa in capitoli proprio per mettere in evidenza il formarsi del pensiero e la sua<br />

trasformazione, processo che è avvenuto anche durante la stessa discussione.<br />

I - insegnante A - alunni.<br />

COS’È IL PENSIERO<br />

I - A cosa serve il cervello?<br />

A - Comanda il corpo.<br />

A - Trasmette movimenti al corpo.<br />

A - Ci fa ragionare.<br />

I - E il pensiero cos’è?<br />

A - È quello che hai in mente.<br />

I - Ad esempio se io ti do una sberla, che cosa succede dentro di te?<br />

Il viaggio del pensiero<br />

181


Il viaggio del pensiero<br />

A - Penso che mi hai fatto male.<br />

A - Penso che sei stata cattiva.<br />

I - E cosa vorresti fare?<br />

A - Vorrei dirti <strong>delle</strong> parolacce.<br />

I - Quello che hai pensato o detto cos’è?<br />

A - Un pensiero.<br />

I - Bene.<br />

IL “GUSTO” DEL PENSIERO<br />

I Qual è il cibo che mettete nel vostro cervello? Qual è un vostro pensiero che può<br />

essere relativo alla scuola o alla famiglia, a casa.<br />

A Il rimprovero della mamma.<br />

A Mi sento trascurato.<br />

A Che nessuno mi vuole.<br />

A Io mi chiedo come mai io e mia sorella litighiamo.<br />

A La litigata con mia sorella.<br />

A Gusto di menta.<br />

I Allora C. che cosa provi quando litighi con tua sorella?<br />

A Quando litigo con mia sorella provo il “gusto” di rabbia.<br />

LA TRASFORMAZIONE DEL PENSIERO<br />

I - Secondo voi dove arriva il nostro pensiero.<br />

A - Arriva al cuore.<br />

I - Ritorniamo alla caramella, adesso la caramella dov’è?<br />

A - Nello stomaco.<br />

I - Cosa succede nello stomaco?<br />

A - Il cibo si trasforma.<br />

I - E come si trasforma la litigata con tua sorella C.?<br />

A - In parolacce.<br />

I - In brutte sensazioni.<br />

A - In odio.<br />

I - E se ci troviamo in una situazione piacevole, ad esempio… chiudete gli occhi…, se vi<br />

dico come siete bravi, avete lavorato, vi siete comportati bene, cosa provate?<br />

A - Felicità.<br />

A - Ci fa sentire bene.<br />

A - Amore.<br />

I - Bene…. Chiudete gli occhi… Se io ora vi sgridassi e vi dicessi vi siete comportati<br />

male… avete sbagliato tutto… come vi sentite?<br />

A - Non ci fa sentire bene.<br />

A - Penso che sei cattiva.<br />

VERBALIZZARE IL PENSIERO<br />

I - Benissimo allora questi sono dei pensieri. E che cosa bisogna fare quando si formano<br />

dei pensieri?<br />

A - Buttarli fuori.<br />

A - Parlarne.<br />

I - Benissimo.<br />

A - Possiamo disegnare.<br />

182<br />

Il viaggio del pensiero<br />

I - Certamente, ora disegniamo e DIAMO FORMA AL PENSIERO… chiudete gli<br />

occhi… pensate a quello che abbiamo detto… cosa vi fa pensare tutto ciò che è stato<br />

detto? DISEGNATELO.<br />

IL PENSIERO DISEGNATO<br />

Nasce dai bambini stessi l’esigenza di disegnare il proprio pensiero. Quindi, i bambini<br />

vengono invitati a chiudere gli occhi e ripensare a ciò che è stato detto, immaginare un<br />

“pensiero disegnato”:<br />

Le rappresentazioni che ne sono risultate sono state diverse:<br />

- alcuni elaborati sono stati una rappresentazione di un’emozione personale: il<br />

cane morto sotto il trattore, il pensiero del padre che non c’è più, le litigate con<br />

fratelli o sorelle;<br />

- altre rappresentazioni simboliche di vissuti più generali;<br />

- altri ancora fanno nascere, crescere e morire il pensiero;<br />

- altri hanno utilizzato personaggi dei cartoni animati Medusa e Misterblini.<br />

È stato importante per noi sollecitare, i bambini, a parlare <strong>delle</strong> loro problematiche, a far<br />

dare loro forma al pensiero che hanno interiormente, a trovare in noi insegnanti qualcuno<br />

con cui esprimersi.<br />

IL VIAGGIO DEL PENSIERO<br />

È stato chiesto in un secondo momento la rappresentazione del “Viaggio del pensiero”,<br />

così come era stato proposto il viaggio del cibo.<br />

Osservando i disegni abbiamo fatto <strong>delle</strong> riflessioni di ordine generale:<br />

- il pensiero nasce come stellina nel nostro cervello e cresce diventando grande;<br />

- il pensiero legato alla visione di un film o della televisione;<br />

- il pensiero che si trasforma durante il viaggio;<br />

- il pensiero come qualcosa di tecnologico;<br />

- il pensiero non si trasforma, entra ed esce;<br />

- il pensiero come caos.<br />

Numerevoli sono state le loro significative esplicitazioni; le elaborazioni simboliche<br />

prodotte non sono da considerarsi come prodotto finale che ha termine qui, ma come un<br />

processo di crescita in continua evoluzione.<br />

5 - OPINIONI DEI BA<strong>MB</strong>INI: Cosa ne pensate del percorso fin qui svolto?<br />

- Ho provato la sensazione di conoscere il mio corpo.<br />

- Scoprire il mondo, scoprire le cose che ho dentro.<br />

- Mi sono liberata di cose che volevo fare - le cose di cui parlo è ciò che non conosco.<br />

- Io ho provato divertimento, felicità, gioia e piacere perché era da fare con fantasia.<br />

- Ho provato l’immaginazione, la creatività e la fantasia, la felicità, la liberazione.<br />

- Ho provato noia e allegria perché mi sono sfogato tutto quello che avevo dentro.<br />

- Quando ho fatto il lavoro dei sogni mi sono divertito, e sono stato molto contento di<br />

farlo, mi ha suscitato la gioia insieme alla fantasia. Ho modificato il pensiero, ho<br />

capito che al pensiero bisogna dare una forma, ho modificato l’atteggiamento che<br />

avevo, che era quello di non avere pazienza.<br />

- Questo lavoro mi ha fatto imparare a stare con gli altri.<br />

- La sensazione che ho provato è stata quella di annoiarmi.<br />

183


Il viaggio del pensiero<br />

- Io ho provato felicità, perché abbiamo fatto una cosa nuova! Per imparare a usare<br />

il cervello le mie emozioni sono state a sorpresa quando le maestre ci hanno spiegato<br />

tutto il lavoro. È stato bello. Ho capito che il pensiero è una cosa che viene quando<br />

ti viene in mente.<br />

- …la sensazione è stata la gioia di essere intervenuto…<br />

- …io ho provato emozione a dire il mio parere…<br />

- Noia e angoscia - non è cambiato niente - perché bisognava soltanto dire cose che<br />

non volevano significare quasi niente e allora provavo NOIA e ANGOSCIA.<br />

- …dentro di me è cambiato qualcosa, è cambiata una cosa brutta perché la cosa<br />

brutta fa male. La cosa brutta che è cambiata è una COSA SPECIALE.<br />

RIFLESSIONI CONCLUSIVE<br />

La motivazione iniziale data ai bambini è stata quella di prospettare l’idea che sia possibile<br />

conoscere meglio se stessi e gli altri e quindi di riuscire ad instaurare una relazione<br />

costruttiva e proficua. È stato sollecitato in loro il ricordo dei diversi momenti conflittuali,<br />

in cui spesso si sono trovati coinvolti, <strong>delle</strong> difficoltà che hanno nell’accettare l’altro<br />

nella sua individualità ed unicità.<br />

Questo è stato il punto di partenza di un percorso nel quale i bambini hanno atteso con<br />

“entusiasmo” e curiosità il momento programmato per realizzare questo progetto.<br />

L’iniziale curiosità andava via via cambiando aspetto e si modificava in momenti di<br />

elaborazione personale di vissuti interiori, più o meno articolati, a seconda <strong>delle</strong> problematiche<br />

dei singoli bambini.<br />

Conoscendo i loro vissuti, i bambini si sono sentiti liberi di lasciar scorrere le loro emozioni:<br />

<strong>paure</strong>, ansie, aggressività ed il gruppo ha “concesso” di dare una veste di accettabilità<br />

in quanto iniziava ad “albeggiare” la condivisione.<br />

Tutto questo ha fatto scaturire una considerazione, non solo sulla possibilità “dinamiche”<br />

di lavorare nel gruppo, ma di essere pure possibile la prospettiva di creare un clima<br />

favorevole all’interno della classe, dove si può respirare aria di tolleranza e fiducia, dove<br />

si può PRIORITARIAMENTE, permettere “una costruzione interiore” basata sull’avvio<br />

della conoscenza di sé e sulle sue trasformazioni, sulla crescita della personale identità<br />

anche sessuale.<br />

Si può quindi dire, a termine <strong>delle</strong> attività proposte ed elaborate con gli alunni, che la<br />

finalità che il corso si poneva è stata raggiunta: “riunire all’interno di un unico gesto<br />

pedagogico la dimensione psicorelazionale che caratterizza il rapporto tra il bambino e<br />

l’insegnante, rivolgendosi alla unità della sua persona nell’unità del sapere educativo” così<br />

come ha prospettato all’inizio del corso la dott.ssa Lorena Fornasir.<br />

184<br />

Scuola Elementare C. Collodi<br />

1˚ Circolo di Pordenone<br />

La materia dell’origine<br />

Adriana Ronchi


La materia dell’origine*<br />

La materia dell’origine<br />

“La cacca, pian piano, si trasforma in concime che serve alle piante che possono<br />

dare frutti e poi serve anche a noi perché possiamo mangiarli. La cacca non è poi<br />

così sporca!!”<br />

Questa affermazione di una bambina di classe quarta elementare, è emersa spontaneamente<br />

dopo tutta l’attività ludico-creativa effettuata in aula sul “viaggio del cibo”.<br />

Premetto che la mia adesione ad una progettazione sul tema della sessualità infantile era<br />

molto motivata in quanto, negli anni passati, entravano nelle classi preparatissimi esperti<br />

esterni che tenevano con i bambini corsi di educazione sessuale. Chiusa questa breve ed<br />

intensa parentesi, i bambini alla loro insegnante di scienze dimostravano di aver compreso<br />

bene quali erano gli organi maschili e femminili preposti alla riproduzione. Punto e basta.<br />

Le famiglie, tutto sommato, erano soddisfatte per essere state esonerate dallo spiegare ai<br />

propri figli un argomento difficile da affrontare. Tutto questo, come insegnante, mi stava<br />

un po’ stretto; ecco perché, quando l’anno scorso mi è stata data l’opportunità di poter<br />

trattare nella mia classe un argomento così importante che riguardava la sfera della<br />

sessualità, degli affetti, <strong>delle</strong> relazioni, del rapporto mente-corpo, mi sono detta che<br />

probabilmente, aiutata con un corso di formazione per insegnanti da una psicologa<br />

psicoterapeuta, sarei riuscita a relazionarmi meglio con i miei alunni, a dare ascolto ai loro<br />

bisogni, ad accogliere le ansie o i disagi, le curiosità, cercando di trasformarle creativamente.<br />

Sembra semplice da dirsi ma… sul campo è tutt’altra cosa. Diceva Sepùlveda nel suo<br />

celebre libro “Storia di una gabbianella …” “Che vola solo chi osa farlo” 1 . Ed io ho osato<br />

cominciando a parlare con i bambini dei loro sogni futuri; nei loro racconti c’era una miscellanza<br />

di aspettative e di immagini evocative di sogni notturni che, raccontati dalle loro<br />

bocche, rivelavano <strong>paure</strong> di personaggi cattivi o di animali che li divoravano.<br />

Una volta “messe fuori” queste <strong>paure</strong>, i bambini hanno disegnato le bocche che mangiano.<br />

C’erano bocche aggressive con tantissimi denti che divoravano oggetti di ogni<br />

tipo; ce n’erano altre fiorite, sdentate e con lingue lunghe; altre ancora a tre piani con<br />

forme umane all’interno.<br />

Tra le tante cose concrete che i bambini, attraverso la fantasia del disegno avevano<br />

espresso, si potevano individuare dei “geroglifici” da intendersi come simboli sessuali.<br />

La progettazione in classe è continuata quando ho chiesto le associazioni che suscitavano<br />

in loro la parola MANGIARE (brain storming); i termini emersi li ho selezionati assieme<br />

ai bambini in categorie (sentimenti, corpo, relazioni, fantasie).<br />

*AUTRICE<br />

Ronchi Adriana - docente di scuola elementare – ha maturato una lunga esperienza come formatrice IRRSAE ed è inserita nella graduatoria<br />

dei tutors della Facoltà di Scienze della Formazione presso l’Università di Udine. Insegna antropologia<br />

1 L. Sepùlveda:”Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare”, pag. 1<strong>26</strong>, Ed.Salani, 1997<br />

187


La materia dell’origine<br />

Sono emersi tantissimi termini che non avrebbero mai osato pronunciare se non avessero<br />

avuto l’assicurazione da parte mia di sentirsi liberi di “buttare fuori” tutto quello che<br />

sentivano dentro.<br />

Il gioco è proseguito disegnando il viaggio che fa il cibo dentro il corpo (metafora sia<br />

fisico-corporale, sia di un viaggio psicologico: trasformazione in un qualcosa d’altro che<br />

viene prima introitato, poi digerito e alla fine espulso).<br />

Tenendo presente la principale <strong>delle</strong> teorie sessuali infantili secondo cui “i bambini si<br />

concepiscono mangiando certe cose e si partoriscono con l’intestino, come le feci2 ”, ho ritenuto<br />

importante a questo punto sollecitare nel bambino <strong>delle</strong> associazioni creative, mettendolo<br />

cioè in grado di far coincidere l’oggetto dell’espulsione (“la cacca”) come una “nascita”.<br />

Le teorie sessuali infantili si sorreggono, infatti, sulla convinzione della<br />

equivalenza: bambino = feci = pene, che traduce il pensiero secondo cui il cibo mangiato<br />

(sorta di fecondazione orale), nella pancia diventa un bambino, per cui questo stesso<br />

bambino entra ed esce dai due unici orifizi che il bambino conosce.<br />

Ciò che hanno prodotto graficamente i miei alunni mi ha permesso di leggere i loro elaborati<br />

con occhi diversi.<br />

M. scrive: “Io pensavo che quando la mamma e il papà si davano un affettuoso bacio, dal<br />

corpo del papà entravano in quello della mamma tanti e piccoli insettini. Dopo<br />

arrivavano in una stanza calda dove questi piccoli insetti entravano in una grande<br />

palla: ero io!”.<br />

G. “La mamma ha mangiato e mi sono formata nella sua pancia e dopo sono uscita da<br />

un suo buco. Mi sono trovata all’ospedale, ho avuto paura, l’ambiente era luminoso<br />

e freddo”.<br />

Nel disegno dell’ultimo testo, la bambina scambia l’orifizio facendo uscire il neonato<br />

attraverso il retto. Quello che potrebbe essere considerato uno “sbaglio”, di fatto non è<br />

un errore di tipo scientifico, ma la conferma <strong>delle</strong> teorie sessuali infantili secondo cui<br />

“….i bambini si partoriscono con l’intestino come le feci….”.<br />

I disegni dei bambini mi hanno indirettamente confermato la corrispondenza tra la teoria<br />

e il reale pensiero infantile sulla sessualità.<br />

Riprendendo il punto in cui inizia il viaggio che porterà alla nascita, le bocche che i<br />

bambini avevano disegnato, rivelavano diversi atteggiamenti che sono riconducibili alle<br />

fantasie del bambino; c’erano bocche che mangiavano con voracità, rapidità, masticando,<br />

leccando... Ecco cosa hanno scritto:<br />

A. “La bocca che ho disegnato mangia di tutto perché ha fame: polli, pizze,lattine di cocacola”.<br />

B. “Questa bocca è una specie di giardino fiorito: profuma di cose buone che ha mangiato<br />

e se le tiene in bocca per gustarsele per sempre”.<br />

C. “C’era una volta una bocca che mangiava sempre. Un giorno incontrò un villaggio e lo<br />

mangiò, però fece indigestione e scoppiò”.<br />

D. “C’era una volta una bocca che mangiava di tutto, le sue gambe erano fatte di vomito<br />

e le sue braccia di sputo”.<br />

E. “Una volta ho incontrato per strada una bocca che aveva molta fame; appena arrivata<br />

davanti al supermercato provò ad entrare, ma era troppo grassa e fece fatica a passare<br />

per la porta. Dopo due ore riuscì a passare. Rubò tutto e, di corsa, scappò mangiando<br />

tutto in pochi minuti”.<br />

2 S. Freud: 3 saggi sulla teoria sessuale, Opere, Vol. 4 0 , 1905<br />

188<br />

Sarà servito ai bambini riscoprire nelle fiabe le immagini che nella loro fantasia disegnavano<br />

sotto forma di figure?<br />

L’ immaginario dei bambini, attraverso l’utilizzazione fatta nelle precedenti attività<br />

ludico-creative (bocca, viaggio del cibo) della fiaba, ha fatto emergere l’esigenza di un<br />

finale che di solito recita “….e vissero felici e contenti”.<br />

Il materiale che i bambini mi avevano offerto era una grossa comunicazione rispetto alla<br />

loro capacità di trasformare creativamente.<br />

Mi sono resa conto che era possibile creare quella condivisione teorica e didattica, per cui<br />

le “cose” possono non solo essere trattenute, ma anche trasformate.<br />

Nella “cacca” tutto questo si realizza come gesto di creazione, qualora il bambino si<br />

conceda di vivere la “cacca” stessa come un dono.<br />

Tutto ciò, ovviamente, non ha un significato letterale, ma va visto come evoluzione del<br />

pensiero del bambino che, attraverso la capacità trasformativa, dà spazio alla sua creatività.<br />

In questo senso, se la nascita del bambino corrisponde nel pensiero infantile alla “cacca”,<br />

ciò significa più precisamente che il bambino, durante il suo sviluppo libidico, potrà<br />

assumere la sua identità sessuale come derivato di una creazione (vedi equivalenza:<br />

bambino=cacca=pene).<br />

Mi sono resa quindi conto che il clima creatosi in classe era quello di una richiesta da<br />

parte dei bambini di riabilitare, di trasformare quella cacca così preziosa che aveva<br />

riempito i disegni dei bambini.<br />

Questa esperienza della “cacca riabilitata” li ha indotti a raffigurarla spontaneamente sia<br />

attraverso disegni raccontati, sia attraverso un simbolo:<br />

LA SPIRALE<br />

La materia dell’origine<br />

Partendo dalla parola centrale scritta alla lavagna, i bambini, attraverso la associazione<br />

libera di parole (tecnica del brain storming), sono venuti a turno a scrivere altre parole<br />

che, pian piano, hanno assunto la forma di un simbolo che andava man mano<br />

allargandosi, lasciandosi alle spalle la materia di scarto che caratterizzava l’origine, per<br />

arrivare al culmine del cibo ritrovato.<br />

Mi sembra opportuno, a questo punto, dare la “parola” ai bambini, proprio perché,<br />

attraverso gli elaborati prodotti dalla loro fantasia, possono rendere più esplicito a noi<br />

adulti-educatori quel messaggio di voler e/o poter riabilitare quella cacca che, partendo<br />

da una situazione di negatività, attraverso un ciclo biologico ma non solo, può ritornare<br />

ad essere cibo per la bocca.<br />

189


La materia dell’origine<br />

Per il noto presupposto che “nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma” 3 ,<br />

questo processo di evoluzione ha “alimentato” e maturato anche la loro mente.<br />

Mario, nella sua spirale scrive: “cacca-puzzetta-puzza-water-fogna-tubo dell’autoespurgo-camion<br />

autoespurgo-fabbrica-cacca lavorata-camion che sparge il letame-semi-granocamion<br />

che va a prendere il grano-il grano viene messo in scatola-il grano viene vendutoil<br />

grano ci sfama e ci soddisfa e cioè è CIBO”.<br />

Il tutto viene rappresentato graficamente: in primo piano un uomo porta a passeggio un<br />

cane in un campo arato: ha i pantaloni calati e gli stanno uscendo gli escrementi; più in<br />

là c’è già una piccola piantina che sta crescendo.<br />

Sandra ha elaborato una spirale formata da disegni: 1° una cacca molto scura, 2° una<br />

spirale a molla verticale di colore giallo (“scoreggia”), 3° una serie di linee curve parallele<br />

in verticale per raffigurare la “puzza”, 4° un tunnel verde scuro riempito di cacca<br />

(“fogna”), 5° un pezzo di terreno marrone (“concime”) e sopra una mano che semina,<br />

6° una “pianta” che germoglia, 7° “verdura o frutta” di un bel verde chiaro, 8° infine una<br />

bambina che mangia.<br />

Michele: sempre partendo dal termine “cacca”, il bambino è arrivato alla TRA-<br />

SFORMAZIONE in CIBO, facendolo giungere in un ambiente confortevole, sicuro: la<br />

CASA.<br />

Nel disegno ha poi illustrato la coscia posteriore di un cavallo color marrone con la coda<br />

alzata, un escremento in uscita e, a fianco, una coloratissima pannocchia matura.<br />

Altri bambini hanno preferito soltanto disegnare, dare un titolo all’espressione iconografica<br />

e scrivere un commento o un breve testo.<br />

“LA SPIRALE DEPURATORE”: viene raffigurato un nucleo centrale a forma di spirale<br />

(di colore marrone) dal quale dipartono sei frecce: quattro indicano animali (coccodrillo,<br />

tigre, leone, serpente) che portano all’interno una spirale di cacca marrone; la quinta<br />

freccia segnala un uomo; la sesta va verso un albero fiorito che produce frutti. Scrive<br />

Flavia: “la cacca non sempre è cosa brutta, perché serve alle piante, perché viene<br />

trasformata in concime, perciò gli erbivori possono mangiare e anche i carnivori che<br />

appunto mangiano gli erbivori, si possono saziare”.<br />

“PUZZA PROFUMATA”: è disegnato un water con la tavoletta alzata e si intravedono<br />

escrementi che, pian piano, attraversano un lungo tunnel rosa nel quale c’è uno scintillio<br />

di colori e suoni onomatopeici (BUM! …). Il tunnel si fa più stretto e gli escrementi<br />

assumono altri colori più delicati, giungendo infine in una aiuola disseminata di fiori,<br />

farfalle e cuori. Scrive Gianna: “la cacca non ha un buon odore ma, con una trasformazione<br />

(BUM!!!) dà concime alla pianta che dà frutti ed è alimento per le farfalle che<br />

portano amore”.<br />

“LA MUTAZIONE DELLA CACCA” “l’animale fa la cacca che va nell’autospurgo e<br />

viene poi trasformata in concime; questo viene dato alle piante che poi faranno l’insalata.<br />

MORALE: non tutta la cacca è schifosa.”<br />

3 A:L.Lavoisier, Principio della conservazione della massa nelle reazioni chimiche, 1790<br />

190<br />

La materia dell’origine<br />

“UNA SPIRALE, UNA EVOLUZIONE” “1°: non tutta la cacca non serve perché può<br />

essere alimento per la terra e le piantine che vi crescono;<br />

2°: ah, dimenticavo, può essere utile per il nostro palato!”<br />

“LA SPIRALE DELLE SCHIFEZZE… FINO AL CIBO” “C’è un albero puzzolente<br />

che al posto di avere le foglie ha la cacca, poi con vari tipi di cacche diventa un albero<br />

bello, sano, straordinario.”<br />

“GLI USI DELLA CACCA” “anche la cacca ha un ciclo!”<br />

Il lavoro di questo progetto mi ha consentito queste verifiche che mi sono state suggerite<br />

proprio dai bambini.<br />

“Ho potuto dire certe cose che non credevo di ricordare più.”<br />

“Mi sono sentito liberato e non avevo più vergogna di parlare di certe cose anche davanti<br />

ai miei compagni.”<br />

“Pensavo di essere la sola a non sapere certe cose e mi vergognavo; ora non più.”<br />

“Non credevo che anche altri compagni avessero le mie <strong>paure</strong>: allora sono come gli altri!”<br />

Questi sono i bambini della latenza che si stanno avviando verso la maturazione sessuale;<br />

cominciano pertanto a sentire i primi cambiamenti del corpo e l’immagine del loro sé<br />

corporeo si va modificando e dovrà giungere ad una integrazione con l’irrinunciabile<br />

identità sessuale che dovranno assumere.<br />

Lavorare su un aspetto così importante come quello della creatività, della elaborazione,<br />

della trasformazione, mi ha permesso di raggiungere degli obiettivi, quali:<br />

permettere che i bambini parlino di sé;<br />

permettere che i bambini parlino in gruppo;<br />

potenziare in loro fiducia e autostima;<br />

riuscire ad esternare le proprie <strong>paure</strong>, socializzarle e scoprire che sono anche degli altri.<br />

In sintesi socializzare al fine di relazionarsi.<br />

Dopo questa attività, penso che lavorare sugli aspetti della sessualità non significa trattare<br />

il corpo fisico e le sue trasformazioni reali, di cui tutti i bambini hanno già tanta<br />

conoscenza, ma lavorare sui vissuti del corpo, su come il bambino si vive nelle sue<br />

trasformazioni corporee; dunque un lavoro sui vissuti del corpo.<br />

Questa direzione di lavoro mi ha permesso così di accompagnare i bambini nel loro<br />

passaggio di crescita.<br />

191


Scuola Elementare Madre Teresa di Calcutta<br />

Cecchini di Pasiano<br />

Le fantasie sulla nascita<br />

Laura Altan - Ornella Galluzzo


Le fantasie sulla nascita*<br />

Le fantasie sulla nascita<br />

Dopo aver disegnato il viaggio fantastico del cibo all’interno del corpo umano e prima di<br />

affrontare lo studio dell’apparato riproduttore maschile e femminile, si è ritenuto<br />

importante rilevare, attraverso il disegno e la conversazione, le idee pregresse che i bambini<br />

avevano sulla loro nascita.<br />

A partire dai quattro anni di vita, essi elaborano numerose teorie circa la loro venuta al<br />

mondo.<br />

Quello che immaginano, secondo le teorie sessuali infantili, è funzione della loro<br />

rappresentazione del mondo e questa è il risultato della loro intelligente (“geniale”<br />

secondo Freud) ricerca e scoperta circa i quesiti fondamentali della vita e della morte.<br />

Esse sono fondamentali perché a seconda del tipo di fantasia sviluppata e potendola<br />

sostituire nel tempo, permettono l’evoluzione e la crescita della creatività. Il bambino<br />

passa da una fase in cui le sue fantasie sono di tipo magico-fenomenico e per lui<br />

qualunque cosa può dare origine ad un’altra, ad esempio la fecondazione può essere<br />

dovuta ad un cibo mangiato, alla fase in cui riconosce la nascita come un evento naturale.<br />

Conversando tra loro e con l’insegnante, gli alunni hanno potuto evocare le spiegazioni<br />

fantastiche che, da piccoli, avevano elaborato in merito a questo grande interrogativo: “<br />

Come sono nato?”<br />

Dopo la conversazione, ognuno ha rappresentato le proprie fantasie con il disegno,<br />

usando la tecnica ed i colori preferiti. Gli elaborati sono stati poi completati da una breve,<br />

ma significativa spiegazione scritta.<br />

Nei disegni si è ritrovata la classica fantasia dei bambini giunti al mondo a bordo di una<br />

cicogna e quella, più insolita, dei neonati arrivati dal cielo alla terra attraverso due tubi,<br />

ovviamente rosa e celeste.<br />

Alcuni alunni erano convinti di essere stati acquistati dai genitori in speciali negozi; altri<br />

di essere stati trovati dal papà o dalla mamma nel cassonetto <strong>delle</strong> immondizie: “... mia<br />

mamma mi diceva che era andata a gettare le immondizie nel cassonetto e mi aveva<br />

trovato. Avevo tre giorni ed ero coperto bene. Mio papà era sul tetto e quando ha saputo la<br />

notizia, è sceso giù dal camino anche se la stufa era accesa.”<br />

Una bambina pensava di essere stata concepita così: “...Quando mamma e papà si davano<br />

un affettuoso bacio, dal corpo del papà entravano in quello della mamma tanti piccoli<br />

insettini. Dopo arrivavano in una stanza calda dove questi piccoli insetti entravano in una<br />

grande palla: ero io!”<br />

Le fantasie illustrate dai bambini sono tipiche del periodo di latenza ossia dell’età in cui<br />

frequentano la scuola elementare. È evidente come l’aspetto riguardante la sessualità,<br />

venga rimosso cioè si può nascere da un cassonetto, si può essere messi al mondo<br />

*LE AUTRICI<br />

Altan Laura - docente di scuola elementare - insegna matematica, scienza e musica<br />

Galluzzo Ornella – docente di scuola elementare - insegna lingua italiana, antropologia, educazione all’immagine<br />

195


Le fantasie sulla nascita<br />

scendendo da un tubo, tutto fuorché essere generati da un rapporto sessuale. La<br />

fecondazione può avvenire anche oralmente: i bambini si concepiscono mangiando certe<br />

cose, il papà può passare il seme alla mamma con il bacio e questa è la principale <strong>delle</strong><br />

teorie sessuali infantili.<br />

In alcuni casi papà e mamma sono estranei alla “fabbricazione del bambino”, in altri c’è<br />

la loro partecipazione, ma senza unione genitale. Ciò può far capire la difficoltà di<br />

elaborare i vissuti della fase edipica. Il tubo, il cassonetto, sono immagini residuali che<br />

provengono dai tempi dell’Edipo e il bambino utilizzandole, ci mostra i segni “le turbolenze”,<br />

i primordi della pubertà.<br />

I vari elaborati, esposti su un cartellone, sono stati oggetto di osservazione, fonte di<br />

riflessioni e commenti da parte degli alunni. Si è così creato nella classe un clima emotivo<br />

adatto a chiarire, precisare, organizzare ed arricchire le conoscenze di ognuno relative alla<br />

nascita di un nuovo essere umano. L’aver affrontato questi argomenti collegandoli ai<br />

propri vissuti, alla propria affettività, lasciando che ognuno esprimesse emozioni, pensieri,<br />

attraverso il racconto orale e il linguaggio iconico, ha fatto in modo che le conoscenze<br />

scientifiche che i bambini via via avrebbero acquisito sul loro corpo, non rimanessero<br />

<strong>delle</strong> sterili informazioni scollegate dalla loro parte emotiva, nozioni slegate dal personale<br />

contesto affettivo.<br />

Un’alunna, terminato il lavoro, ha così sintetizzato la propria esperienza: “Io sapevo già<br />

tutte queste cose, ma avevo in testa un puzzle con le tessere disordinate, dopo queste attività<br />

sono riuscita a metterle al posto giusto.”<br />

196<br />

Scuola Elementare<br />

Padre Marco d’Aviano<br />

La storia impossibile<br />

Maria Grazia Russo, Marina Zanzot


La storia impossibile*<br />

Premessa<br />

L’attività interdisciplinare (LI – EI – SC) è nata dall’esigenza manifestata dai ragazzi di<br />

avere occasioni di confronto con i coetanei in merito alla conoscenza di sé, determinata<br />

dal loro sviluppo psico fisico.<br />

Noi insegnanti, d’altra parte, c’eravamo accorte che la nascente curiosità di “scoprire” il<br />

proprio corpo e quello dell’altro era occasione di atteggiamenti errati, che talvolta<br />

scatenavano reazioni aggressive nel gruppo.<br />

Lo scopo principale era, dunque, quello di far emergere: le sensazioni, i desideri, le <strong>paure</strong>,<br />

le curiosità, le angosce che ciascuno portava dentro e non aveva il coraggio di esprimere<br />

apertamente.<br />

Volevamo inoltre aiutare i ragazzi ad esplorare all’interno di sé le proprie contraddizioni<br />

cercando di far emergere pregiudizi e false conoscenze.<br />

Inoltre era stata fatta esplicita richiesta da parte di alcuni genitori, che trovavano difficoltà<br />

ad affrontare problematiche relative alla sfera sessuale, laddove i figli riuscivano a parlarne.<br />

OBIETTIVI<br />

1 favorire l’integrazione nel gruppo ed il superamento degli stereotipi sessuali;<br />

2 aiutare gli alunni ad acquisire la consapevolezza dei loro sentimenti;<br />

Tramite l’esperienza del circle-time.<br />

3 sviluppare il pensiero creativo;<br />

4 leggere i simboli;<br />

5 Rendere più consapevole l’immagine di sé. Tramite l’immaginazione.<br />

ATTIVAZIONE I<br />

La storia impossibile<br />

Somministrazione del sociogramma (di Moreno) che ci ha permesso di identificare la rete<br />

di relazioni all’interno del gruppo.<br />

DIALOGHI NOTTURNI (Osserviamo gli animali, Mondadori)<br />

“Ai piedi del salice e lungo la siepe d’acero che circonda il giardino brillano, nella tiepida<br />

sera estiva, piccole luci intermittenti. Minuscoli punti luminosi occhieggiano da terra.<br />

Questa sera assistiamo ai dialoghi d’amore <strong>delle</strong> lucciole.<br />

I maschi volano lenti al di sopra <strong>delle</strong> erbe o al margine dei cespugli, emettendo lampi di<br />

*LE AUTRICI<br />

Russo Maria Grazia – docente di scuola elementare – ha conseguito il diploma di specializzazione polivalente. Insegna lingua italiana<br />

e matematica<br />

Zanzot Marina - docente di scuola elementare – insegna matematica e scienze<br />

199


La storia impossibile<br />

luci a intervalli regolari. A terra o sui rami più bassi stanno le femmine, pesanti e lente<br />

come larve, con le ali spesso ridotte a moscerini invisibili.<br />

Ma anch’esse possiedono una lanterna capace di brillare nella notte.<br />

Al primo lampo di luce che balena dall’alto, la femmina fa eco con un altro lampo.<br />

Il maschio si avvicina ancora, in volo, e continua a segnalare la sua presenza con emissioni<br />

di luce. A ogni lampo dall’alto risponde, regolare e preciso, un lampo da terra.<br />

Maschio e femmina si parlano, in un muto linguaggio fatto di guizzi di luce che si<br />

alternano a pause di buio, scandite con somma precisione.<br />

È difficile che ci si confonda, che a un tipo di luce corrisponda un tipo di luce diverso.”<br />

- Lettura del testo, corredata da un’immagine rappresentante un albero illuminato<br />

dalle lucciole.<br />

- Conversazione clinica in circle-time, mirata ad esplorare le conoscenze spontanee<br />

degli alunni.<br />

Domanda stimolo: “Nei dialoghi d’amore cosa si diranno le lucciole?”<br />

Ecco alcune risposte:<br />

• Sei stupenda.<br />

• Ti invito a cena.<br />

• Ti voglio bene..<br />

• Mi vuoi sposare?<br />

• Ti vuoi accoppiare con me?<br />

• Vuoi fare un figlio con me?<br />

• Ti posso baciare?<br />

• Hai l’amante?<br />

• Sei vergine?<br />

• Hai il preservativo?<br />

• Non si dice preservativo, si chiama profilattico.<br />

• Serve per non avere figli.<br />

Le insegnanti accolgono tutte le risposte.<br />

OSSERVAZIONI<br />

Appare evidente che le risposte degli alunni sono state più “spontanee”.<br />

Questo ci ha incoraggiate a proseguire nel nostro lavoro e ci ha dato la conferma di<br />

quanto fosse necessario per loro “parlare apertamente”.<br />

200<br />

ATTIVAZIONE II<br />

• LA STORIA IMPOSSIBILE (G. Rifelli) 1<br />

• OBIETTIVI<br />

1. Acquisire la consapevolezza che il comportamento umano è determinato da vari<br />

fattori.<br />

2. Distinguere gli impulsi istintivi (propri degli animali) dagli aspetti culturali (di chi<br />

possiede il linguaggio).<br />

1 Tratto da Rifelli, 1987, pag. 57.<br />

3. Riflettere su come i nostri comportamenti vengano influenzati dall’ambiente dalla<br />

“governance”.<br />

4. Prendere coscienza <strong>delle</strong> regole e dell’ordine nella vita dell’uomo.<br />

METODOLOGIA<br />

- Lettura collettiva.<br />

- Lavoro per piccoli gruppi.<br />

- Discussione in circle-time.<br />

La storia impossibile<br />

PERCORSO<br />

Lettura collettiva della storia (ogni alunno possiede fotocopia del testo): “Forse era nato<br />

da poco, di certo era molto piccolo quando venne abbandonato ed era cresciuto da solo,<br />

protetto dal bosco ed in compagnia degli animali. Si nutriva di latte, di erbe e di frutta<br />

bevendo poi l’acqua piovana che si raccoglieva in larghe foglie a forma di calice. Non aveva<br />

bisogno di abiti e solo di notte, qualche volta, scompariva dentro mucchi di fogli secche.<br />

Gli piaceva camminare nel bosco per scoprirne gli angoli nascosti, rincorrere gli animali e<br />

arrampicarsi sulla cima degli alberi più alti. Aveva passato momenti di paura ma ormai,<br />

erano trascorsi forse vent’anni, si sentiva sicuro.<br />

Da qualche tempo aveva preso l’abitudine di recarsi al margine del bosco dove scorreva un<br />

ruscello le cui acque sembravano dissetarlo assai meglio di quelle raccolte nelle larghe foglie<br />

a forma di calice. Al di là del ruscello si vedevano ancora alberi e cespugli, di certo un altro<br />

bosco, probabilmente simile al suo, ma non aveva mai superato quello stretto corso d’acqua,<br />

anche se rimaneva spesso lì a guardare, fantasticando. Nell’altro bosco era avvenuto<br />

qualcosa di simile: una bambina forse nata da poco, di certo molto piccola, era cresciuta da<br />

sola. Anche per lei erano trascorsi vent’anni, anche lei si era nutrita di latte, di erba e di<br />

frutta; non aveva bisogno di abiti e si copriva di notte con le foglie secche. Anche lei amava<br />

camminare nel bosco, rincorrere gli animali, salire sugli alberi più alti e, da qualche tempo,<br />

anche lei aveva scoperto quel ruscello, dove andava di tanto in tanto, perché l’acqua<br />

sembrava dissetarla meglio, e perché era incuriosita da quegli alberi e cespugli che vedeva di<br />

fronte.<br />

Per diverso tempo i due giovani andarono al ruscello senza incontrarsi, fino a quando, un<br />

giorno, si trovarono improvvisamente uno di fronte all’altro…”<br />

Prima discussione sul significato del testo.<br />

Lavoro di completamento della storia (gli alunni sono divisi in piccoli gruppi, nei quali<br />

viene nominato un coordinatore e un segretario; ognuno possiede la fotocopia del testo).<br />

TESTI PRODOTTI<br />

GRUPPO A<br />

…Appena si videro si spaventarono a morte, gridarono e si nascosero. Si rividero e scoppiò<br />

un colpo di fulmine. Il ragazzo invitò la ragazza nella sua parte di foresta e si baciarono.<br />

Il giorno dopo incontrarono il gorilla-prete della foresta che gli chiese se si volevano sposare:-<br />

Uga, uga? Gli altri risposero: - Ci Puga Buga Busilli Busillis Ovus Colus (cioè: è ancora<br />

presto per sposarsi).<br />

Dopo due anni il prete tornò dall’uomo e gli richiese:- Uga, uga? (cioè se voleva sposare la<br />

donna). L’uomo rispose: - Cipuga Bula Luga Busilli Busillis Ovus Es (Ok sono pronto per<br />

sposarla). Dopo una lunga cerimonia i due si poterono baciare, però il prete-gorilla si mise<br />

in mezzo e si fece baciare dai due. La canzone per la cerimonia fu: Musachivalamba tue yè<br />

tue yelana tue yè.<br />

201


La storia impossibile<br />

Da questo fatto nacque la leggenda di Tarzan e Jene e del figlio adottato Cita!<br />

GRUPPO B<br />

…ad un certo punto si spaventarono e scapparono, perché pensavano che non esistessero altre<br />

persone come loro. Il giorno dopo il maschio prese coraggio, saltò il ruscello e andò ad<br />

osservare, nascosto dietro un albero, la prima persona incontrata in tutta la sua vita..<br />

All’improvviso inciampò su una radice, lei sentì il rumore e si accorse che qualcuno la stava<br />

osservando. Andò verso di lui e incominciarono a conoscersi a gesti. Intanto i giorni<br />

passavano e la loro amicizia continuava a sbocciare. Durante la sera di un freddo giorno,<br />

mentre si facevano il bagno e si spruzzavano l’acqua come due pesci innamorati, e facevano<br />

balzi qua e là, un esercito di nuvole attaccò il sole e lo sconfisse, finché <strong>delle</strong> gocce d’acqua<br />

incominciarono ad accarezzare il terreno. Il ticchettio della pioggia si faceva sempre più<br />

minaccioso, così i due personaggi si rifugiarono in una buia grotta. Ad un certo punto una<br />

luce abbagliante svegliò i due selvaggi: era l’angioletto dell’amore…(momento di suspance).<br />

L’angioletto prese la freccia e l’arco e colpì i due ormai innamorati, loro per concludere il<br />

sogno si baciarono.<br />

Passarono alcuni mesi da quella stupenda nottata, i due innamorati si svegliarono a causa<br />

di un rumore assordante e sconosciuto… erano dei boscaioli che stavano abbattendo i folti<br />

alberi del maestoso e fitto bosco e smisero soltanto quando ebbero a disposizione tutti i tronchi<br />

che gli servivano. Allora i due rubarono un tronco e partirono per una avventurosa<br />

traversata. Alla fine, dopo una lunga settimana di viaggio e di digiuno, giunsero finalmente<br />

in una nuova terra; era un’isola piena di foreste. Appena arrivarono esplorarono l’isola e vi<br />

rimasero per sempre. Fecero due bei bambini che diedero inizio ad una nuova generazione.<br />

GRUPPO C<br />

…si guardarono attentamente, ma non capirono di essere della stessa specie. L’uomo<br />

incuriosito da lei, attraversò il corso d’acqua e con molto coraggio salì la sponda avvicinandosi<br />

cautamente alla ragazza.<br />

La ragazza era molto diffidente, così per la paura indietreggiò, ad un certo punto cominciò<br />

a correre verso il bosco e durante la corsa decise di salire su un albero. Il ragazzo<br />

prontamente la seguì e salì sull’albero insieme a lei, ma la donna si era rifugiata sulla cima,<br />

dove lui la raggiunse. Passarono del tempo insieme e lo impiegarono facendo gesti e versi.<br />

Dopo questo incontro diventarono amici e trascorsero molti anni della loro vita insieme. In<br />

questi anni si innamorarono e decisero di sposarsi in un modo differente dal nostro.<br />

Nacquero molti figli e quegli anni furono molto felici per la coppia; intanto i figli<br />

crescevano.<br />

Dopo un lungo periodo, la donna, dopo anni di sofferenza morì tragicamente per una<br />

malattia gravissima, lasciando il marito con i figli al loro triste destino.<br />

GRUPPO D<br />

…si guardano e comunicano attraverso la “voce”, che è come quella degli animali, si<br />

conoscono. Dopo un po’ di tempo, quando ormai si sono conosciuti, il ragazzo, attraverso i gesti,<br />

invita la ragazza dalla sua parte, per mostrarle il suo “habitat”.<br />

Il ragazzo le mostra un posto dove ci sono dei fiori appena sbocciati e ad un certo punto arriva<br />

un uomo armato che li cattura e li porta in città. Vengono portati in un museo e vengono<br />

esposti al pubblico. Dei naturalisti riescono a “liberarli” e insegnano ai ragazzi a parlare.<br />

Dopo un po’ di anni trovarono un lavoro, si sposarono e “portarono avanti” i figli e la casa<br />

con lo stipendio.<br />

202<br />

SOCIALIZZAZIONE<br />

in circle-time <strong>delle</strong> storie prodotte e discussione, attraverso domande stimolo:<br />

- quali sono i gesti che i due protagonisti compiono?<br />

- quali messaggi vogliono scambiarsi?<br />

- quali sono le prime reazioni?<br />

- qual è il valore di barriera del ruscello?<br />

- quale significato viene attribuito al bosco rifugio?<br />

- i due protagonisti sono nudi uno di fronte all’altro, proveranno vergogna?<br />

- da che cosa è prodotta la vergogna nell’essere nudi?<br />

SINTESI DELLA DISCUSSIONE<br />

Dalla discussione emergono:<br />

- la necessità di possedere un linguaggio e quindi una cultura diversa da quella dell’istinto<br />

per poter comunicare i propri sentimenti;<br />

- le dinamiche di comunicazione tra ragazzi e ragazze;<br />

- la necessità e l’importanza dell’amicizia;<br />

- la visione dell’amore finalizzato allo stare insieme per non essere soli;<br />

- la formazione di una famiglia;<br />

- il senso di vergogna che si prova a questa età nell’essere nudi;<br />

- il significato di “storia impossibile”: non è possibile che un genitore abbandoni o<br />

smarrisca il proprio figlio nel bosco.<br />

ATTIVAZIONE III<br />

CAOS e COSMO<br />

Riprendiamo “La storia impossibile” mettendo in evidenza le caratteristiche di una vita<br />

vissuta secondo NATURA (istinto, senza regole) e la vita a cui noi siamo abituati nella<br />

CIVILTÀ (regole, leggi, costumi).<br />

Dalla discussione arriviamo alle parole CAOS e COSMO<br />

BRAIN STORMING<br />

La storia impossibile<br />

CAOS COSMO<br />

Disordine, confusione Tutto ciò che è il contrario di<br />

caos<br />

cose messe male, casino in camera, calma, ordine,<br />

rumore forte come quello del trapano, silenzio,<br />

confusione mentale, una decisione presa che ti fa sentir<br />

bene,<br />

disordine dentro di me quando devo tutto ciò che cambia la situazione,<br />

prendere una decisione, ragazzi normali come noi, più o<br />

meno,<br />

incendio, inondazione, calamità naturale, le coppie maschio-femmina,<br />

vivere senza regole, in modo pericoloso, la famiglia,<br />

ladri, assassini, con problemi di testa, l’amore di una coppia,<br />

ubriachi, drogati, fumatori accaniti,<br />

persone che sono degli amanti,<br />

prostitute, pedofili, omosessuali.<br />

203


La storia impossibile<br />

OSSERVAZIONI<br />

Durante questo lavoro i bambini aprono una discussione sugli omosessuali, non tutti<br />

sono d’accordo di inserirli nel “caos”.<br />

Alcuni sostengono che non vivono secondo le “regole” perché gli uomini devono stare<br />

con le donne e perché così non c’è riproduzione.<br />

Altri, invece, argomentano che ognuno è libero di scegliere la propria vita e che ci può<br />

essere amore anche tra uomo e uomo e tra donna e donna. Un alunno dice di conoscere<br />

un omosessuale, che è una bravissima persona che fa del bene agli altri con le sue mani<br />

(pranoterapeuta).<br />

La discussione continua anche sui tossicodipendenti e gli alcolisti, i ragazzi cercano<br />

giustificazioni e motivazioni che li inducono a fare simili scelte: problemi familiari,<br />

personali, depressioni, cattive compagnie, curiosità, desiderio di dimenticare i propri<br />

guai…<br />

Si è avuto modo alla fine di riflettere sulla necessità <strong>delle</strong> “regole”.<br />

204<br />

ATTIVAZIONE IV<br />

DIALOGO TRA ARISTOFANE ED ERISSIMACO<br />

dal Simposio di Platone<br />

(Ogni alunno ha la fotocopia del testo)<br />

“…A me pare che gli uomini non abbiano assolutamente capito la potenza dell’amore; se<br />

l’avessero compresa, gli avrebbero edificato i templi più grandi…Ma preliminarmente voi<br />

dovete comprendere la natura umana e i suoi casi.<br />

Ebbene in antico la nostra natura non era la stessa di ora, bensì era diversa. In principio<br />

i sessi degli esseri umani erano tre, non due come adesso, maschile e femminile, ma in più<br />

ce n’era un terzo, che partecipava del maschile e femminile; ora è scomparso, anche se ne<br />

resta il nome… In quel tempo infatti c’era il sesso androgino, che condivideva la forma<br />

e il nome di entrambi, il maschile e il femminile, ma ora non ne resta appunto che il<br />

nome, usato in senso dispregiativo. In secondo luogo la figura di ciascuna persona era<br />

tutta rotonda, con il dorso e i fianchi formati in cerchio, e aveva quattro mani e<br />

altrettante gambe, sopra il collo tondo due facce simili in tutto;… E camminava in<br />

posizione eretta, come ora, ma quando si mettevano a correre, si slanciavano in tondo<br />

reggendosi sulle otto membra, come i saltimbanchi quando danzano in cerchio facendo<br />

la ruota con le gambe levate in su.<br />

E i sessi erano tre, in quanto il maschio ebbe origine dal sole, la femmina dalla terra, e il<br />

terzo sesso, che aveva elementi in comune con gli altri due, dalla luna, che partecipa<br />

appunto della natura del sole e della terra.<br />

Essi erano tondi, e tondo il loro modo di procedere, per somiglianza coi loro progenitori.<br />

Così erano terribili per forza e per vigore, e avevano ambizioni superbe, e attaccarono gli<br />

dei, e come dice Omero, si tramanda che tentarono di scalare il cielo, per assalire gli dei.<br />

Allora Zeus e gli altri dei discutevano su cosa fare di loro, ed erano nel dubbio: non<br />

potevano ucciderli e far scomparire la loro razza… giacché in tal caso sarebbero scomparsi<br />

anche gli onori e i sacrifici che gli uomini tributavano loro, né potevano lasciare che si<br />

scatenassero liberamente.<br />

Finalmente Zeus ebbe un’idea e disse: “Credo di aver trovato il modo perché gli uomini<br />

possano continuare ad esistere rinunciando però, una volta diventati più deboli, alle loro<br />

insolenze. Adesso li taglierò in due uno per uno, e così si indeboliranno e nel contempo,<br />

La storia impossibile<br />

raddoppiando il loro numero, diventeranno più utili a noi; e cammineranno eretti su due<br />

gambe. Se vedrò che continuano a imperversare e non intendono stare tranquilli, allora<br />

li taglierò nuovamente in due, di modo che debbano muoversi saltellando su una gamba<br />

sola.”<br />

Detto questo, cominciò a tagliare gli uomini in due, come si fa con le sorbe, prima di<br />

metterle sotto sale… e dava ordini ad Apollo di girare la faccia e la metà del collo dalla<br />

parte del taglio…; poi ordinò che li medicasse. E Apollo girò la loro faccia, e tirando da<br />

ogni parte la pelle verso quello che ora si chiama ventre, come si fa con le borse strette<br />

da un nodo, vi praticò una sola bocca annodandola nel mezzo del ventre, quello che ora<br />

si chiama ombelico…<br />

Ordunque, allorché la forma originaria fu tagliata in due, ciascuna metà aveva nostalgia<br />

dell’altra e la cercava; e così gettandosi le braccia intorno e annodandosi l’una all’altra per<br />

il desiderio di ricongiungersi nella stessa forma, morivano di fame e anche di inattività,<br />

poiché l’una non intendeva far nulla separata dall’altra… Allora Zeus si impietosì ed<br />

escogito un altro stratagemma: trasferì sul davanti le parti genitali che fino a quel<br />

momento tenevano anch’esse all’esterno e del resto non generavano né partorivano l’uno<br />

nell’altro bensì in terra, come le cicale, così dunque le trasferì sul davanti e fece sì che<br />

grazie ad esse generassero gli uni negli altri, mediante il sesso maschile dentro quello<br />

femminile, allo scopo che, nell’amplesso, se un uomo si imbatteva in una donna,<br />

generassero e ne avesse origine la discendenza…<br />

Pertanto ciascuno di noi, in quanto è stato tagliato come si fa con le sogliole, è la metà,<br />

il contrassegno, di un singolo essere; e naturalmente ciascuno cerca il contrassegno di se<br />

stesso. Di conseguenza gli uomini che sono il risultato del taglio di quell’insieme che<br />

allora si chiamava androgino, amano le donne,… e parimenti le donne amano gli uomini.<br />

Invece le donne che provengono dal taglio di donne provano scarsa inclinazione verso gli<br />

uomini, ma tendono piuttosto verso le altre donne… Infine quelli che sono taglio di<br />

maschio vanno a caccia dei maschi…<br />

Così quando uno si imbatte nella propria metà di un tempo, ecco che essi sono<br />

indicibilmente assaliti da affetto intimità passione, tanto da non volersi staccare gli uni<br />

dagli altri nemmeno per un istante. E questi sono coloro che rimangono insieme per tutta<br />

la vita, senza neppure saper dire che cosa vogliono che uno riceva dall’altro. Infatti non<br />

sembra assolutamente trattarsi del rapporto sessuale, come se stessero insieme l’uno<br />

accanto all’altro con tanta passione in vista di questa soddisfazione; in realtà è chiaro che<br />

l’anima di ciascuno dei due desidera qualcos’altro, che non sa esprimere… cioè<br />

congiugersi e fondersi con l’amato per diventare una cosa sola. E la ragione è appunto<br />

che la nostra natura originaria era quella, ed eravamo interi.<br />

Dunque al desiderio e alla ricerca dell’intero si dà nome amore… Amore è per noi giuda<br />

e generale”. 2<br />

SCOPO: ricercare insieme ai ragazzi come si potrebbe porre fine al disordine e al caos<br />

che a volte è dentro di noi.<br />

2 In PLATONE, Simposio, trad. di F. Ferrari, BUR, Milano, 1994, pag. 146 e sg.<br />

205


La storia impossibile<br />

Abbiamo cercato di fare <strong>delle</strong> ipotesi, poi siamo passati alla lettura del testo che ha<br />

interessato gli alunni, anche se molti non sono riusciti a coglierne i significati più<br />

profondi: l’amore come ricerca dell’altra metà, l’accenno all’omosessualità…<br />

Ci siamo rese conto che il brano, per la complessità dei contenuti e dei messaggi era di<br />

difficile comprensione; per questo motivo abbiamo ritenuto opportuno non insistere<br />

sulla sua analisi, invitando i bambini a rileggerlo con i genitori. Il nostro fine era quello<br />

di dare l’opportunità di aprire un dialogo sulle tematiche sessuali considerando che<br />

ancora molte famiglie affrontano con disagio ed imbarazzo la sessualità dei figli, mentre<br />

sempre di più si va affermando, anche a causa dei mass – media, la cultura del corpo e<br />

della sessualità come status symbol.<br />

206<br />

ATTIVAZIONE V<br />

VALUTAZIONE DEI RAGAZZI SUL LAVORO SVOLTO.<br />

Conversazione in circle – time.<br />

Prima domanda posta dall’insegnante: “Che cosa ne pensate del percorso svolto sulla<br />

conoscenza della sessualità, vi è piaciuto, vi siete sentiti bene o ci sono stati dei problemi?”<br />

• Sì, è stato bello perché abbiamo saltato le lezioni.<br />

• Non è stato solo quello il motivo, abbiamo potuto parlare liberamente e abbiamo potuto<br />

esprimere il nostro pensiero.<br />

• Abbiamo potuto soddisfare le nostre curiosità.<br />

• Parlare per me è stata una liberazione.<br />

• Abbiamo lavorato in modo diverso anche con voi insegnanti.<br />

• Ho imparato cose nuove che prima non sapevo.<br />

• Per me è stata un’esperienza nuova e positiva.<br />

• È un percorso che consiglio anche agli altri quando saranno in quinta.<br />

• Mi sono sentita un po’ a disagio nel parlare di queste cose davanti ai miei compagni e<br />

poi non sapevo come affrontare il discorso con la mamma, ma mi sono fatta coraggio, le<br />

ho parlato e mi ha spiegato tante cose.<br />

Seconda domanda posta dall’insegnante: “Avete parlato di quello che abbiamo fatto e<br />

degli argomenti che sono stati affrontati a scuola con i vostri genitori?”<br />

La maggioranza dei bambini dice di non averne parlato in famiglia, alcuni dicono di aver<br />

affrontato l’argomento, ma i genitori si sono limitati a commentare che era una cosa utile,<br />

solo pochi ne hanno discusso con un genitore affrontando successivamente un dialogo<br />

aperto.<br />

CONSIDERAZIONI FINALI.<br />

Questa esperienza ci ha fatto riflettere sulle teorie apprese durante il corso e, coinvolgendoci<br />

emotivamente ci ha dato la possibilità di vedere, in modo diverso i ragazzi, ed<br />

ha consentito loro di considerare le insegnanti come persone amiche con cui poter parlare<br />

di se stessi, di rendere esplicito tutto ciò che sentivano dentro che prima non avevano il<br />

coraggio di esprimere.<br />

Abbiamo dato loro la possibilità di “scoprire” che non è tanto difficile “uscire dal tempo<br />

magico dell’infanzia, dal tempo sospeso della latenza”, (caratterizzato dalla “rimozione<br />

La storia impossibile<br />

della sessualità: in cui i conflitti, le difficoltà, i sentimenti violenti del periodo Edipico,<br />

vengono lasciati in ombra): dal CAOS, determinato dal desiderio di essere grandi e da<br />

quelle trasformazioni fisiche che non consentono il riconoscimento del SÈ CORPOREO,<br />

nella sua integrità e nella sua costanza.<br />

Nascere all’adolescenza (nascere al tempo della genitalità) può essere, infatti, un evento<br />

in cui si presentano e riattualizzano antiche angosce che spingono l’IO del bambino a<br />

costruirsi una corazza protettiva.<br />

Ruolo della famiglia e della scuola è dunque, secondo Meltzer quello di “generare amore,<br />

promuovere speranza, contenere la sofferenza, pensare”, sempre secondo Meltzer “la<br />

figura materna (insegnante) sopporta – regge – contiene il peso <strong>delle</strong> proiezioni dei figli<br />

(alunni), e il padre (scuola – direzione – collegio docenti) vertebra, organizza la loro<br />

crescita”.<br />

È questo il periodo in cui il bambino in preda alla confusione del disordine pulsionale<br />

può uscirne solo se riesce ad “evacuare” gli aspetti intollerabili, ma ha bisogno di un<br />

“contenitore”, che Meltzer definisce “seno gabinetto”.<br />

La funzione del “seno gabinetto” (da parte del genitore/insegnante) è quella di<br />

accogliere, contenere, trasformare: l’indicibile in dicibile, il non pensiero in pensiero, il<br />

“terrificum” in spazio immaginabile.<br />

Forse, con il nostro intervento, abbiamo dato ai ragazzi questa possibilità. La loro<br />

sessualità non sarà vissuta nel buio della propria solitudine.<br />

BIBLIOGRAFIA<br />

Klein M., Invidia e gratitudine, Martinelli, 1994, Firenze.<br />

Freud S., Casi clinici 4. Il piccolo Hans, Bollati – Boringhieri, 1976, Torino.<br />

Gordon T., Insegnanti efficaci. Pratiche educative per insegnanti, genitori e studenti,<br />

Giunti Lisciani, 1991, Teramo.<br />

Marmocchi P.; Raffuzzi L., Le parole giuste, N. I. S., 1993, Roma.<br />

Meltzer D.; Harris M., Il ruolo educativo della famiglia, Centro scientifico editore, 1986.<br />

Petter G., Problemi psicologici della preadolescenza e dell’adolescenza, La Nuova Italia,<br />

1979, Firenze.<br />

207


Finito di stampare<br />

nel mese di febbraio 2001<br />

presso Graphic Group - Feltre


L’ombra <strong>perduta</strong> <strong>delle</strong> <strong>paure</strong>.<br />

La psicanalisi é uno spazio di pensiero importante in grado di orientare una didattica psico-affettiva<br />

nel campo della sessualità grazie alle specifiche competenze sull’inconscio, sullo sviluppo<br />

affettivo, sulle relazioni oggettuali. In tale orizzonte nasce questo libro che fonda le sue radici nel<br />

recupero <strong>delle</strong> immagini mitopoietiche per un possibile pensiero sull’enigma, l’origine, l’identità<br />

sessuale. La fiaba é lo scenario evocato per rivisitare, attraverso l’immaginazione pensante e un<br />

“pensare con il cuore”, i luoghi psichici che si dischiudono fra nascita e generatività in risonanza<br />

analogica tra stati mentali e sessualità. Le tracce che emergono nel testo portano a riconoscere al<br />

bambino la sua competenza di giudizio e alle teorie sessuali infantili il loro valore di “conoscenza<br />

geniale”. Pur essendo stato pensato per gli operatori del settore scolastico e sanitario, questo libro<br />

ha il pregio di offrire un contributo operativo nel campo dalla prevenzione, trattando la sessualità<br />

come aspetto integrante dell’unità psicosomatica della persona e dell’evoluzione degli affetti. Esso,<br />

inoltre, dà voce a vari interventi elaborati dai docenti che hanno introdotto nel loro “gesto<br />

psicopedagogico” la formazione alla sessualità, consentendone l’utilizzo per ulteriori esperienze.<br />

Lorena Fornasir:<br />

Psicologa, psicoterapeuta e sessuologa clinica, è responsabile del consultorio familiare del distretto<br />

sud dell’ASS nr. 6 “<strong>Friuli</strong> <strong>Occidentale</strong>”. Da anni si occupa di formazione dei docenti sulle<br />

tematiche dell’identità e della sessualità. Lavora come psicoterapeuta in ambito clinico ed è<br />

autrice e curatrice di una precedente pubblicazione su “Sessualità e Soggetto in adolescenza”.

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