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di altre scienze non cl<strong>in</strong>iche (teoria di Bayes, analisi decisionale ecc.) applicandoli talora forzatamente<br />
alla cl<strong>in</strong>ica. Da ciò è derivato un equivoco tuttora persistente: <strong>il</strong> cl<strong>in</strong>ico, nella migliore<br />
delle ipotesi, è colui che tenta di applicare la scienza, che proviene dai laboratori, a<br />
un lavoro empirico al letto del malato, che è lavoro artigianale, sicuramente non scientifico<br />
e talora pers<strong>in</strong>o stregonesco. Si è arrivati <strong>in</strong> tal modo a un cl<strong>in</strong>ico che, afflitto da complesso<br />
di <strong>in</strong>feriorità verso gli scienziati dei vari laboratori, argomenta per dogmi o per decreti<br />
di autorità, avendo abdicato alla capacità di argomentare per ragionamenti.<br />
Perché viene data più importanza a quelli che Alvan Fe<strong>in</strong>ste<strong>in</strong> chiama i dati hard, cioè<br />
gli esami di laboratorio e strumentali? (1) Perché, per deformazione positivistica, questi<br />
appaiono degni di fede <strong>in</strong> quanto matematicamente trattab<strong>il</strong>i, mentre <strong>il</strong> rapporto medico<br />
paziente, essenza stessa della medic<strong>in</strong>a, non è matematicamente trattab<strong>il</strong>e.<br />
Quando <strong>il</strong> medico e <strong>il</strong> paziente entrano nella stanza <strong>in</strong> cui avverrà la visita (exam<strong>in</strong><strong>in</strong>g<br />
room degli autori anglosassoni) e viene chiusa la porta <strong>in</strong>izia <strong>il</strong> momento più importante<br />
del lavoro cl<strong>in</strong>ico. In quel piccolo spazio due persone si guardano negli occhi e si stab<strong>il</strong>isce<br />
un rapporto che co<strong>in</strong>volge e modifica entrambi i partecipanti. La persona è misteriosa,<br />
per <strong>in</strong>iziare a conoscerla bisogna arrivarci. Si trova però <strong>in</strong> una sua profondità<br />
<strong>in</strong>tima, enigmatica e occulta, diffic<strong>il</strong>e da raggiungere, al di là delle sue manifestazioni, al<br />
di là di ciò che pensa, che dice e che fa. Nella relazione tra <strong>il</strong> medico e <strong>il</strong> paziente può<br />
emergere s<strong>in</strong>o ad avvic<strong>in</strong>arsi molto alla superficie. La persona coesiste, sta-con: io medico<br />
sto con una persona sofferente, ascoltando la sua richiesta d’aiuto; io paziente soffro,<br />
ho paura, sto con una persona sperando che possa capirmi; per questo mi avvic<strong>in</strong>o. Inizia<br />
un gioco delicato e diffic<strong>il</strong>e di parole dette e non dette, di sfumature, di l<strong>in</strong>guaggi non<br />
verbali. È un vortice di paura, di speranza, d’ansia, di sfiducia che può arrivare al pianto,<br />
d’atti di coraggio spesso eroici, di desiderio di comprensione, d’aiuto richiesto esplicitamente<br />
o implicitamente. Ho paura. Come posso comunicargli questa notizia? Dovrò soffrire?<br />
Mi capirà? Dovrò morire? Perché non riesco a conquistare la sua fiducia?<br />
Il momento della malattia e l’eventuale prospettiva della morte costituiscono un’occasione<br />
unica per affrontare quello che probab<strong>il</strong>mente è <strong>il</strong> nodo più diffic<strong>il</strong>e che ogni uomo<br />
deve sciogliere. La persona è libera, ma come conc<strong>il</strong>iare questa libertà con i due<br />
momenti più importanti dell’esistenza, la nascita e la morte? Nascita e morte, <strong>in</strong>izio e f<strong>in</strong>e<br />
dell’avventura, hanno un carattere di necessità diametralmente opposto alla libertà.<br />
Nessuno nasce perché (e quando) vuole nascere e nessuno muore perché (e quando)<br />
vuole morire. Il suicidio non risolve <strong>il</strong> problema: non è una scelta libera tra alternative;<br />
è l’autoimposizione d’una morte <strong>in</strong>vece di un’altra, anticipando nel tempo ciò che è <strong>in</strong>evitab<strong>il</strong>e.<br />
La morte non è un atto libero; non ne siamo padroni; per quanto possiamo decidere<br />
di non morire, moriamo lo stesso. Questo problema, che sembra <strong>in</strong>solub<strong>il</strong>e o risolvib<strong>il</strong>e<br />
<strong>in</strong> modo cupo e pessimistico (l’uomo non è libero), ha <strong>in</strong>vece una soluzione<br />
lum<strong>in</strong>osa. Gli uom<strong>in</strong>i per tutta la loro vita possono fare f<strong>in</strong>ta che <strong>il</strong> problema non esista<br />
e non porsi domande <strong>in</strong>quietanti; oppure possono porsi le domande senza trovare una<br />
risposta soddisfacente. La malattia può aiutare molto nella ricerca dolorosa della risposta<br />
giusta. La soluzione appare, a chi la cerchi con semplicità e senza pregiudizi, d’una<br />
lum<strong>in</strong>osità abbagliante: è la lum<strong>in</strong>osità che avvolge s<strong>in</strong> dall’<strong>in</strong>izio <strong>il</strong> pensiero che pensa<br />
l’Inizio, sprofondando negli abissi del fondamento.<br />
Il medico deve comprendere e <strong>in</strong> qualche modo condividere <strong>il</strong> carico della persona che<br />
si rivolge a lui. Per fare questo deve compromettersi, donare all’altro qualcosa della propria<br />
vita. Scrive Adorno: "Ogni rapporto non de<strong>formato</strong> [...] è un dono. Colui <strong>in</strong> cui la<br />
logica della coerenza paralizza questa facoltà, si trasforma <strong>in</strong> cosa e congela" (2).<br />
Come pensare che tutto ciò sia matematicamente trattab<strong>il</strong>e?<br />
Eppure è sempre stata sottol<strong>in</strong>eata (e sistematicamente dimenticata) l’importanza, anche<br />
matematicamente trattab<strong>il</strong>e, della cl<strong>in</strong>ica, capacità cioè di un colloquio <strong>in</strong>telligente col malato<br />
(anamnesi), di un’ab<strong>il</strong>e visita (esame fisico) e delle conseguenti decisioni: secondo<br />
Crombie (3), l’88% delle diagnosi viene formulata al term<strong>in</strong>e della visita e dell’esame fisico;<br />
secondo Sandler (4), <strong>in</strong> un reparto di Medic<strong>in</strong>a generale, <strong>il</strong> 56% di diagnosi corrette<br />
è posto alla f<strong>in</strong>e dell’anamnesi, <strong>il</strong> 73% dopo la visita. Peraltro, <strong>il</strong> recente sv<strong>il</strong>uppo esplosivo<br />
di tecnologie complesse e costose non ha determ<strong>in</strong>ato la riduzione degli errori diagnostici,<br />
che è rimasta sostanzialmente <strong>in</strong>variata negli ultimi quaranta anni (5).<br />
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